ETIOPIA. Dancalia: vulcano Erta Ale e Dallol “Un altro pianeta”
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ETIOPIA. Dancalia: vulcano Erta Ale e Dallol “Un altro pianeta”
CLUB ALPINO ITALIANO Sezione Valdarno Superiore Via Cennano, 105 – 52025 MONTEVARCHI (AR) Tel/Fax 055900682 – Mobile 3425316802 - [email protected] – www.caivaldarnosuperiore.it Marzo 2013 - Anno 12° - Num. 1 - Notiziario Trimestrale della Sezione Valdarno Superiore del Club Alpino Italiano - Autorizz. del Trib. di Arezzo n. 12/2001 - Spedizione in A.P. Tariffe stampe Periodiche Articolo10 DL n.159/2007 conv. L. n. 222/2007 - DC/DCI/125/ SP del 06/02/2002 AREZZO TARIFFA STAMPE PERIODICHE Art. 10 DL n.159/2007 conv. L. n. 222/2007 DC/DCI/125/SP del 06/02/2002 AREZZO Un’amicizia che non ha confini Alla fine del 1989 abbiamo conosciuto il prof. Vincenzo Di Gironimo del CAI di Napoli, in quel periodo preside delle Scuole Medie di Loro Ciuffenna. Tramite lui conoscemmo nel 1990, durante una trasferta indimenticabile a Napoli della nostra sottosezione, il prof. Onofrio di Gennaro, alpinista di montagne (Himalaya, Ande, Alaska, Nuova Zelanda… e resto del mondo!!!) e di gran parte dei vulcani del nostro pianeta, esploratore solitario nei posti più sperduti e pericolosi della terra. Quel rapporto, nato per caso tanti anni fa, invece di sfilacciarsi si è rafforzato con il tempo e oggi con Onofrio, che nel frattempo ha ricoperto anche la carica di Consigliere Centrale CAI, e con Vincenzo (emerito studioso del Meridione) che attualmente ricopre la carica di componente del Comitato Scientifico Centrale del CAI, c’è amicizia vera, grande, e soprattutto tanta, tanta stima. Pubblichiamo volentieri sul nostro giornalino (che abbiamo sempre inviato puntualmente ai nostri due amici napoletani) il resoconto di un’escursione (per lui una passeggiata) fatta recentemente da Onofrio in Dancalia, uno dei posti più solitari e pericolosi dell’Africa. Vannetto Vannini ETIOPIA. Dancalia: vulcano Erta Ale e Dallol “Un altro pianeta” Erta Ale, Dallol, ecco dei nomi che fanno sognare tutti gli appassionati di vulcani! La catena vulcanica dell’Erta Ale, situata nel Nord Etiopia in Dancalia, fa parte del sistema del grande Rift Valley africana, una depressione lunga 11000 Km, prodotta dal processo millenario di formazione di un nuovo oceano; questo nuovo oceano dividerà fra qualche milione di anni la parte orientale dell’Africa dal resto del continente. Sono soltanto quattro i vulcani della terra dove esistono laghi di lava fusa nel loro cratere: il Kilauea alle Hawai, il Nyragongo nella repubblica democratica del Congo, il Marum-Benbow nelle Isole Vanuatu nel Mar dei Coralli, l’Erta Ale in Etiopia. Di questi vulcani, i primi tre sono stati mete di mie entusiasmanti escursioni, il quarto, l’Erta Ale, sarà la meta della mia prossima miniescursione in Etiopia. A fine Novembre, nonostante le non incoraggianti notizie di attacchi armati e di aperte ostilità verso turisti stranieri – cose che, unitamente alle condizioni climatiche, hanno dissuaso i miei abituali compagni di avventura dall’intraprendere con me un tour in quei luoghi – con una buona dose di incoscienza, ma con molta determinazione, decido di partire da solo. segue Fiori delle nostre colline Semprevivo montano (Sempervivium montanum – Famiglia: Crassulaceae): Conosciuta anche col nome comune guardiacasa, è una modesta pianta grassa con scapo eretto alto da 5 a 20 cm, spesso fornita di brevi stoloni superficiali. Le foglie basali, carnose e numerose, formano dense rosette a cuscinetto di 2 a 5 cm di diametro; sono di colore da verde a rosa scuro, spesso con l’apice rossiccio porporino, tutte finemente pelose. I fiori sono abbastanza grandi di color rosso porporino o porporino violaceo. I frutti sono capsule e contengono numerosi piccoli semi. Cresce nei terreni silicei e nei luoghi sassosi e detritici della zona montana da 600 a 2500m. fiorisce in Luglio-Agosto. Tarassacco o Dente di Leone (Taraxacum officinale). Sono i comuni “soffioni” frequenti nei campi, lungo i viottoli e le strade di campagna. Ricco di proprietà medicinali, la specie si riconosce per la soffice “palla” piumosa che si disperde in singoli pappi al minimo soffio al vento. Il fiore è di colore giallo e fiorisce da marzo ad ottobre, le foglie formano una rosetta basale con dei lobi profondi e dentellati e sono ricurve verso il basso. Il frutto consiste in un achenio ovoidale, spinoso alla sommità con denso pappo. La pianta è considerata officinale perché ha proprietà medicinali; i getti teneri sono ottimi come insalata. 1° e 2° giorno - Le origini dell’uomo: Volo da Roma ad Addis Abeba. Mi soffermo due giornate nella capitale etiopica per visitare i due musei più importanti: il Museo Etnografico, ottimo punto di partenza per iniziare a comprendere la grande diversità etnica del Paese, e il Museo Nazionale, dove sono conservati i resti fossili di un ominide femmina vissuto all’incirca 3,5 milioni di anni fa, scoperto nel 1974 da archeologi statunitensi che le imposero il nome di Lucy e altri reperti fossili ritrovati poco più che vent’anni dopo, di un esemplare femmina di un ardipithecus ramidus, di cui fu dato il nome di Hardy, ominide probabilmente vissuto 4,4 milioni di anni fa. Grazie alla scoperta di questi due ominidi e di altri preziosi fossili, all’Etiopia è stato attribuito il titolo di “culla dell’umanità”. 3° e 4° giorno - Sulle piste della Dancalia: durante il volo da Addis Abeba a Macallè faccio conoscenza di Colin, un giovane geologo canadese del Quebec, anch’egli interessato al tour in Dancalia. Giunti a Macallè, ci rivolgiamo ad una modesta agenzia di viaggi per poter organizzare la mini-spedizione. Dopo un po’ di trattative, versiamo 1000 dollari USA pro capite e in cambio otteniamo: noleggio di due malridotti 4x4 con relativi conducente e carburante, guida Afar (Israel), scorta armata di tutto punto, costituita da due poliziotti, cibo, acqua ed equipaggiamento adeguato alle circostanze. Siamo in sette, saremo insieme per una settimana. Lasciamo Macallè e dopo soli 50 Km di strada asfaltata, ci rassegniamo a percorrere i restanti 180 km che ci separano dal villaggio Afar di Hamadella che sarà il nostro campo base, su una pista orribile e stremante, totalmente stravolta dai faraonici lavori stradali finanziati dalla comunità internazionale per i paesi in via di sviluppo. Sull’intero tragitto attraversiamo soltanto due villaggi: Agula e Berhale. Ad Hamadella, proseguendo ancora per qualche km, questa “pista road”, a fine lavori svanirà nel nulla del Piano del Sale: incredibile! Lungo il percorso ci imbattiamo in lunghe file di cammelli e asinelli stracarichi di sale. I cammellieri, gli asinai e i giovanissimi pastori nomadi sono tutti armati di vecchi Kalashnikov, fucili automatici d’assalto. Giungiamo ad Hamadella impolverati e frastornati. Prendiamo un’abbondante, succulenta minestra e subito ci apprestiamo a passare la notte sotto le Deserto di Danakil, Erta Ale - Risacca e zampilli di lava stelle, siamo a 120 m. sotto il livello del mare e ci troviamo nel sito più caldo del nostro pianeta. 5°e 6° giorno - In marcia verso l’Erta Ale: È ormai giorno, consumiamo una colazione frugale; comincia il nostro tour. Con i due “ansimanti” fuoristrada ci dirigiamo verso il vulcano a scudo Erta Ale, 650 m. Abbiamo da percorrere 105 km. di strada sterrata e poi un’altra trentina a piedi per raggiungere la sommità del vulcano. Dopo aver percorso una ventina di km, date le pessime condizioni della pista, decidiamo di proseguire a piedi, lasciando gli autisti a sorvegliare i fuoristrada. Ben affardellati, ci incamminiamo verso il famoso vulcano. Marciamo per due giorni, evitando le ore della soffocante, ossessiva canicola. È quasi notte quando ci troviamo nella zona sommitale del vulcano. Ci meritiamo una lunga sosta per rimetterci in sesto. Ripartiamo, ci caliamo giù per una facile paretina di una trentina di metri. Siamo nel fondo del vasto cratere, proseguiamo su lava solidificata ma rovente. Finalmente giungiamo ai bordi del pit (pozzo) lavico: fantastico! Questo lago di lava ribollente, isolato in mezzo al deserto di Danakil, sta ad agitarsi a 30 m. sotto i nostri piedi, ad una temperatura di 1250°C. Di tanto in tanto l’incandescenza si infrange, originando zampilli di lava, sembra distruggersi al ritmo della risacca che rimuove la pellicola che si è appena formata sulla superficie. Si ha veramente l’impressione di avvicinarsi alle origini del mondo. Sostiamo fino all’alba per goderci nella luce diurna questo spettacolo unico e magico. Dopo un estenuante trek, raggiungiamo i nostri 4x4 per far ritorno a Hamadella. 7° giorno - Dallol, il piano del sale: Oggi si va a Dallol, un vulcano collassato posto a 80 m. sotto il Piano del sale - Cammello all’abbeveratoio livello del mare, a 70 km a nord, su pista salata. Questo sito, doppiamente protetto dalle difficoltà di accesso e dal suo clima torrido, è l’incredibile risultato dell’interazione tra il vulcanismo e l’idrologia: sorgenti geyseriane, bizzarre e colorate concrezioni cristalline di sali minerali, dovute alla evaporazione di acque termali, si estendono a perdita di occhio sul Piano del Sale. Siamo in piena fantasmagoria di colori vivi, sbalorditivi, che vanno dal rosso più acceso al giallo più intenso, passando per tutte le sfumature di verde e di bianco. Riprendiamo i fuoristrada per portarci all’imbocco di straordinari canyons di sale rosa, andando cautamente a piedi; gli epiteti “apocalittico”, “irreale” e “infernale” sono i più adatti a descrivere questo ambiente estremo. Ci dirigiamo, sempre a piedi, Dallol - Scorcio del deserto del sale verso il cuore del Piano del Sale. Qui giunti, ci soffermiamo a guardare i “forzati del sale” mentre estraggono il salgemma in una oppressiva atmosfera salmastra, i loro visi sono al limite della sopravvivenza. Lasciamo questi luoghi fantastici per ritornare a Macallè. Lungo il percorso cogliamo l’occasione per visitare alcune antiche, preziose chiese rupestri del Tigrai. Giunti a Macallè ci salutiamo con un forte, vulcanico, abbraccio ed una vigorosa stretta di mano. Il resto è storia. Una considerazione: bisogna agire d’urgenza prima che la famigerata “pista road” e la follia dei “viaggiatori-gregge” condannino ancora una volta l’avvenire di questi siti straordinari. Onofrio di Gennaro Anno 2012: In crescita il numero dei nostri soci Dal consuntivo del numero di iscritti che la Sede Centrale di Milano ha mandato al Gruppo Direttivo Toscano del CAI, si ha una panoramica completa dell’andamento in regione del tesseramento terminato a fine ottobre dello scorso anno. Complessivamente nel 2012 il CAI in Toscana ha perso circa 250 soci, ritornando di poco sotto il numero di 13.000 iscritti. In controdentenza alcune sezioni hanno aumentato gli associati: fra queste sezioni c’è la nostra che ha aumentato il numero degli iscritti di 27 unità, portando i soci da 450 del 2011 a 477 nel 2012 con un aumento del 6%. Un buon risultato che premia il lavoro di tutti. Un grande Uomo una grande Organizzazione e 150 anni di Storia Parto da un episodio personale del tutto banale, un viaggio a Torino, da cui prendo spunto per ricordare una persona ed un evento che a noi, soci del Club Alpino Italiano, non può che far piacere ed essere di sprone per la nostra attività. Dicevo che finita la visita al Castello del Valentino, nel mio viaggio a Torino, passeggiavo in questa bellissima città che a me è sembrata la più mitteleuropea delle vecchie capitali italiane, quando, a lato di una piazza, mi sono imbattuto in un monumento. A prima vista non particolarmente attraente, raffigurava un signore anzianotto, di costituzione tarchiata e non molto atletica, con in mano un martelletto da geologo e nell’evidente gesto di esaminare una piccola pietra. La targa sul basamento però mi ha fatto subito fermare a riflettere. “Quintino Sella Scienziato Statista Insigne” recitava la scritta. - Toh! chi si vede - ho pensato. - Il nostro fondatore! - Ed allora mi è sovvenuto che quest’anno è il 150° anniversario della presenza del Club Alpino Italiano nella storia di questo paese e mi sono sentito fiero di farne parte. Appena ho potuto sono entrato in Internet ed ho cominciato a cercare notizie su questo personaggio e devo dire che ne sono rimasto ancor più meravigliato. Un mutevole ingegno, scienziato prolifico, politico preparato ed inflessibile sull’uso delle risorse pubbliche, si batté per la conquista di Roma per farla diventare capitale del Regno, fondatore di scuole tecniche d’avanguardia, ma quello che a noi interessa di più, appassionato alpinista, fondatore del nostro sodalizio. Capitanò la prima spedizione interamente italiana sulla vetta del Monviso (1863), fondando nello stesso anno il C.A.I. Il Club Alpino gli ha dedicato alcuni rifugi alpini, tra i quali: Rifugio Quintino Sella al Monviso sul Monviso, il Rifugio Quintino Sella nel versante sud del Monte bianco ed il Rifugio Quintino Sella al Felik nel gruppo delle Alpi Pennine. Il 2013 quindi dovrà essere degnamente ricordato dal C.A.I. e fra le tante manifestazioni che sicuramente hanno previsto sia la Sede Nazionale, sia il Comitato Regionale Toscano, troveremo modo di inserire anche qualche iniziativa della nostra sezione. Così, per ricordare questo grande italiano e per ricordarci che anche noi, pur nel nostro piccolo, possiamo costruire qualcosa di duraturo, partendo dalle parole del Foscolo: “A egregie cose il forte animo accendono l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta” vi sottopongo un frammento del discorso che Quintino Sella tenne per l’inaugurazione al settimo congresso degli alpinisti italiani, Torino 1874, in Atti della R. Accademia dei Lincei, Volume II, 1884-1885). L’idea che la meraviglia dell’uomo, dovuta agli spettacoli della natura, sia la molla che lo spinge verso la ricerca scientifica è, per la verità, di Aristotele ma, il nostro, la descrive molto bene: “Vi ha nelle Alpi tanta profusione di stupendi e grandiosi spettacoli, che anche i meno sensibili ne sono profondamente impressionati. Il forte sentire ben presto agisce sull'intelletto, sorge la curiosità, il desiderio di sapere le cose e le cause delle cose e dei fenomeni che si vedono. Non si cercherà la ragione di ciò che si vede ogni giorno; l'abitudine crea l'indifferenza; ma gli spettacoli, i fenomeni straordinari, cioè quelli che ordinariamente non si vedono, destano la curiosità e l'intelligenza umana, e così le montagne producono l'effetto dei lunghi viaggi. Quante nozioni, quanti propositi, anzi bisogni di studiare, di indagare, non si riportano dalle escursioni alpine. Quanti pensieri novelli si affollano alle vostri menti comunque siate naturalisti, artisti, filosofi, letterati.” Devo da ultimo però rendere a Quintino Sella un risarcimento. Non è giusto rimanere con una sua immagine così poco “atletica” e, per farmi perdonare, ho scaricato da Internet una fotografia del Quintino giovane, un Quintino che certamente poteva aspirare alle alte vette alpine. Lorenzo Bigi STELLE ALPINE & FIORI D’ARANCIO A molti di voi sarà toccata la gioia di veder convolare a nozze un figlio e magari più di uno. È una parte di te che ti si stacca per sempre anche se andrà a stare soltanto due isolati più in là, quando non al piano di sopra o addirittura alla porta accanto. Nel caso di figlie femmine al papà spetta l’onore e l’onere di accompagnare la sua Stella Alpina all’altare in quello che sarà l’ultimo tratto di strada che ancora percorreranno insieme. L’ultimo sentiero che anche ai più indefessi camminatori l’emozione renderà lungo, interminabile e non saprai mai se è la sposa che si attacca al tuo braccio o viceversa. Arrivati allo “00” dell’altare altre braccia attendono quelle di tua figlia. In un’altra terra fertile attecchirà quel fiore. Un vago senso di vuoto ora pervade il papà. Ricorda vagamente la delusione di un bimbo a cui il vento ha rubato dalle mani il sottile filo del palloncino e ora lo guarda col naso all’insù perdersi nell’immensità dell’azzurro. Il controllo delle proprie emozioni tuttavia è repentino nonostante quel nodo alla gola, e si riuscirebbe a ritrovare un aplomb degno di un Monti prima maniera se non fosse per le contagiose lacrime di tua moglie che, libera dal cliché del sesso forte, piange la sua forza di sesso debole. Questa gioia sarà toccata a molti ma a pochi il matrimonio della propria figlia li avrà catapultati in un’altra dimensione come è accaduto a Luigi. Luigi, detto Mosè, non ha bisogno di presentazioni. Una vita normale tutta CAI e famiglia fino a quando per sua figlia Sara, Galeotto fu quel viaggio in Kenya. Daniel è un Keniota simpatico, divertente, pieno di vita, tra i due scocca una scintilla che nell’insondabile buio delle notti africane brucia un intero passato. E mentre al CAI si va a camminare bardati di cappelli e guanti e protetti dal guscio di caldi piumini, a Malindi è esplosa un’estate caldissima. Papà Luigi porge per l’ultima volta il braccio alla sua Stella Alpina, sudato e in maniche di camicia. E su quello “00” keniota, perché la vita è per tutti un crinale da raggiungere, un percorso ad anello unico e irripetibile a qualunque latitudine la si viva, aspetta Daniel e un impettito vice Sindaco che quale che sia la formula e quale che sia il rito col quale la cerimonia si svolge, celebrerà il nascere di una nuova storia. A Civitella c’è un sole quasi primaverile al quale ci ritempriamo scaldandoci come pulcini infreddoliti sotto una calda ala di chioccia. Poter essere una spugna e serbarne un po’ di questo calore anche quando il tramonto lo spegnerà col suo respiro gelido, come una candela sopra una torta di compleanno. Sotto di noi il Valdarno è un soffice lago di nebbia e si fa fatica a immaginare che sotto quella spessa coltre di bambagia brulichi tanta vita come in un formicaio. Luigi ci cammina accanto raccontandoci del suo viaggio da Peter Pan in quell’isola così lontana dal nostro tempo e dal nostro spazio da credere che tutto sia solo il frutto della sua fervida fantasia di pittore. Parla di un intero villaggio in festa. Di donne vestite di caldi colori vivaci. Di una vita scandita da una semplicità essenziale a noi oramai sconosciuta. E degli occhi dei bambini parla Luigi, nei quali la tenerezza stride di una forza primitiva, è la stessa che nella Savana consente alle prede di non soccombere ai loro predatori, e che li fa sembrare più grandi di quanto non lo siano in realtà. Stanno tutti ordinatamente in fila aspettando che gli sposi distribuiscano loro un pezzetto della torta nuziale. Non fanno ressa, aspettano il proprio turno in maniera disciplinata e tranquilla e colpisce, chi come noi è ormai abituato al superfluo, come quei bambini possano ancora gioire per un pezzetto di torta con quella felicità che è propria dei semplici. Con quella semplicità che è propria degli umili. Solo una bambina allunga la mano due volte. Non sa cosa significhi: “Te il dolce tu l’hai preso di già”. Ma capisce il velato rimprovero delle parole di Luigi, allora si scosta mostrando un esserino di nemmeno due anni le cui braccine sono troppo piccole per arrivare a quelle degli altri. Solleva la mano della sorella e la porge a quell’italiano grande e grosso ma dagli occhi buoni. E c’è tanta dignità in quel piccolo gesto che ancora, quando Luigi ne parla, gli vengono le lacrime agli occhi. La sera arriva col suo molle respiro di nebbia e Luigi ha qualche difficoltà a ritrovare la strada (il nome Mosè, Mariella non glielo aveva dato a caso) ma ha un buon senso dell’orientamento, retaggio del suo passato di cacciatore, e alla fine riesce a condurre senza grossi problemi il suo piccolo popolo alla sospirata Terra Promessa, dove le nostre macchine nel buio sembrano mansueti cani da guardia in attesa dei loro padroni. Abbiamo i capelli intrisi di nebbia e i piedi che ormai scalpitano negli scarponcini ma è stata una bella camminata e siamo tutti molto contenti. L’applauso per Luigi nasce spontaneo, sincero, ed è il nostro modo per dirgli grazie. E per dirgli JAMBO, Luigi. Con tutto il cuore. Pina Daniele Di Costanzo Antiche parole della nostra montagna Còppa: misura di capacità corrispondente alla ventesima parte dello staio. Questa parola era usata soprattutto nel Pratomagno versante casentinese. Da notare che la quantità di prodotto (castagne, olive, granturco, grano) variava secondo le consuetudini del paese perché in alcune zone lo staio era riempito raso, in altre zone lo staio era riempito con accumulo. Nella zona del Cocollo uno staio di olive pesava circa 15Kg, di granturco 16Kg e di grano 17Kg. Fiéscolo o Fìscolo: contenitore costruito con vimini o altri materiali che veniva riempito con la pasta delle olive appena macinate e sottoposte poi alla pressatura. Questo sistema non è più usato e oggi, con il nome fiescolo o fiscolo viene chiamato il disco si acciaio con foro centrale che interrompe i setti vegetali (stiancini) nella filza. Abbaccito: è una antica parola che viene usata ancora per indicare il fieno bruciato dal sole senza aver raggiunto la completa maturazione. Questo termine veniva usato soprattutto nel Pratomagno casentinese mentre nel versante valdarnese è in uso il termine abbacchiato. Vannetto Vannini CANTI DELLA MONTAGNA Il testamento del capitano Questa canzone è una delle più celebri del repertorio alpino, cantata da tanti cori, ma anche da Mina in una magistrale interpretazione e da Gigliola Cinguetti. La vera e sicura origine di quello che potremmo definire il più classico, il più nobile fra i canti degli alpini si riscontra in un canto funebre cinquecentesco il testamento spirituale del Marchese di Saluzzo. È una canzone dalla storia particolare: ha origine nella Napoli del 1528, teatro di guerra fra francesi e spagnoli, e poi, nella guerra 1915/ 18, è diventata la cantata degli alpini sull’Adamello e su tutto il fronte delle Alpi trasformandosi in canzone nazionale e non più regionale come era nata. Il 1528 è stato un anno decisivo per la storia della penisola italiana, con l’episodio chiave dell’assedio di Napoli, finito con la vittoria di Carlo V e la definitiva disfatta di Francesco I, con conseguente egemonia spagnola su tutta la penisola, mentre la morte del capitano marchese Michele Antonio da Saluzzo e le nozze mancate con Margherita del Monferrato, diede via libera ai Savoia per la conquista dell’intero Piemonte. Dopo varie vicende il Marchese di Saluzzo si trovò a comandare tutto l’esercito francese, ferito, fu fatto prigioniero e ospitato a Napoli nel palazzo del duca di Tremoli dove firmò con gli spagnoli una pace onorevole. Sul punto di morire il Marchese volle essere visitato dai suoi soldati e chiese che una volta morto il proprio corpo fosse diviso in cinque parti e riportato a Saluzzo. La divisione del corpo in cinque parti ha un fondamento storico molto profondo e complesso da spiegare. Nacque così la ballata del Sur Capitani di Salusse che fu tramandata per secoli per memoria orale. A metà del 1800, Costantino Nigra raccolse tutte le canzoni popolari piemontesi e fra queste il Testamento del Capitani de Salusse che diventò in lingua italiana il Testamento del Capitano. Questa cantata in dialetto piemontese fu ereditata in seguito dalla tradizione alpina, che all’epoca della 1a guerra mondiale, rese popolarissimo il canto in un mezzo dialetto veneto-trentino. La canzone è stata cantata da generazioni di alpini in guerra e pace, da centinaia di cori che stanno a testimoniare come lo studio e il recupero del canto popolare stia destando particolare interesse anche in ambienti che fino a poco tempo fa prestavano poca attenzione alle storie cantate dalla tradizione popolare italiana delle quali i cori degli alpini sono sempre stati i portavoce. Il testamento del capitano è sempre rimasto famoso, tanto che fu cantato moltissimo poi nella 2a guerra mondiale anche se, in Albania, fu trasformato nel Il colonnello fa l’adunata, una cantata che mantenendo la stessa melodia musicale, ebbe le parole adattate a una vicenda avvenuta sulle Alpi albanesi. Fu proprio durante la 2a guerra, nella campagnia di Russia che si ebbe l’esempio più bello e toccante relativo a questa canzone. Nella mattina del 26 gennaio 1943, il capitano Giuseppe Grandi di Cuneo fu ferito gravemente all’addome mentre alla testa dei suoi alpini guidava una carica contro i russi a Nikitowka. Portato al riparo e adagiato su una slitta trainata da un mulo, gli alpini gli sono intorno e qualcuno ha le lacrime agli occhi. Il moribondo li vede e dice loro: “Che cosa fate con quei musi! Avanti cantate con me la canzone del Capitano” e intona per primo “Il capitan della compagnia e l’è ferito e sta per morir…” I suoi alpini facendosi forza, stringendo le labbra per non piangere fanno coro insieme a lui, un coro triste, lento, un coro di voci che tremano di singhiozzi. Questo episodio, realmente accaduto è entrato di diritto nella leggenda alpina. Alla sera, esattamente alle 4 del pomeriggio, con oltre 40° sotto zero, sfondate le linee russe gli alpini entrano a Nikolajewka uscendo dalla sacca aprendosi così la via della salvezza. Il capitano Grandi, portato in un’isba viene confessato da un cappellano, pernottando insieme agli altri feriti. La mattina del 27 Gennaio, gli alpini della 46a Compagnia continuano a prodigarsi presso la slitta che trasportava il loro comandante, ma tutto si rivelerà vano perchè in quello stesso pomeriggio il capitano Grandi muore. Non volendolo abbandonare neppure da morto, sarà trascinato sulla slitta per alcuni giorni finchè verrà sepolto in un campo laterale alla pista. Alla memoria di questa bellissima figura di alpino, sarà poi concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Un canto che tocca il cuore come tutti i canti alpini, nati in un contesto difficile ma pieni di voglia di vivere, alcuni scanzonati e allegri dove l’amore, quello fisico, fa la parte del leone, altri tristi, molti contro la guerra e per questo alcuni furono proibiti, canti che penetrano nel profondo dell’anima e dove la vera esaltazione è per l’amicizia, la pace, l’amore, la fratellanza e anche per... i fiaschi di vino. Nb: L’ immagine sopra è un grande dipinto, molto celebre, che si trova nella Acropoli Alpina sul Doss di Trento. L’autore è l’architetto Paolo Caccia Dominioni (1896-1992), Colonnello del Genio Alpino e Medaglia d’Oro al Valor Militare, ideatore e disegnatore del Sacrario Italiano a El Alamein. Vannetto Vannini Il testamento del capitano “O con le scarpe o senza scarpe I miei alpini li voglio qua!” Il capitan della compagnia e l’è ferito e sta per morì el manda a dire ai suoi alpini perché lo vengano a ritrovar. I suoi alpini ghe manda a dire che non ha scarpe per camminar. “O con le scarpe, o senza scarpe I miei alpini li voglio qua!” “Cosa comanda sior capitano Che noi adesso semo arrivà?” “E io comando che il mio corpo in cinque pezzi sia a taglià. Il primo pezzo alla mia patria che si ricordi del suo alpin, secondo pezzo al battaglione che si ricordi del suo capitan, il terzo pezzo alla mia mamma che si ricordi del suo figliol. Il quarto pezzo alla mia bella che si ricordi del suo primo amor, l’ultimo pezzo alle montagne che lo fioriscano di rose e fior”. L’itinerario escursionistico consigliato Un’escursione nel Medio Evo partendo da dietro casa Percorso di tipo E - Lunghezza percorso: 13 km. circa interno della Pieve di S. Pancrazio (la variante, tra andata e ritorno, allunga l’escursione di 3 km.) Dislivello : 670 m.circa, senza la variante Zone attraversate: Valdarno – Chianti Luoghi di interesse: Cavriglia – San Pancrazio – Villa Petraia – Castello D’Albola – Parco di Cavriglia – Casignano Spesso mettendomi a pensare a un nuovo percorso da consigliare per il Giornalino della sezione mi faccio tornare alla memoria le escursioni più lontane a cui ho partecipato. Così facendo penso di offrire ai tre lettori che mi seguono una proposta originale che, in qualche modo, li interessi e li spinga a ripercorrerne le orme. Devo invece ringraziare Romano Resti perché nell’ultimo Dicembre mi ha condotto e fatto apprezzare un pezzo, un pezzo minuscolo, del territorio Valdarnese che però sta magnificamente bene al confronto con più rinomate destinazioni. Non è lontano, anzi, è proprio molto vicino. Non che non ci fossi mai passato in precedenza ma, forse per il fatto che fosse ben disposto come tracciato e difficoltà, forse per il fatto che pioveva e il tutto prendeva una luce particolore, forse infine per la ragione che quella domenica eravamo soltanto in dodici, ho potuto gustarmelo e meditare a fondo durante l’escursione. Fra breve vi descriverò il percorso ma voglio qui invitarvi a sostare con il pensiero su un piccolo fatto. Il percorso attraversa un magnifico bosco e un parco naturalistico e si apre a bellissime visioni sul Valdarno; parte da una pieve medioevale eccezionale e ne raggiunge un’altra formidabile. A metà strada incontra un Castello del 1000, una bellissima Villa rinascimentale, oltre a costeggiare case e borghi medioevali e agriturismi incantevoli. Tutto ciò mi spinge a domandarvi: ma sono davvero molti i territori che hanno una tale capillare presenza di bellezze e luoghi affascinanti? Ma non è l’ora di esserne giustamente consapevoli e cominciare a valorizzarli uscendo da idioti campanilismi o da complessi di inferiorità perché non siamo né Firenze, né Arezzo, né Siena? Quello che va valorizzato è il Valdarno nel suo complesso e non questo o quel comune! Discorso difficile lo so, ma come CAI ci proveremo. Si parte dalla Pieve di San Pancrazio sopra il Neri ma ci si ferma subito! Molti di voi sono entrati dentro questa chiesa? Non credo! Sapete perché? Perché in Valdarno quando si parla di Pievi viene spontaneo pensare a quelle della Sette Ponti (e spesso si dimentica quella di San Giustino). Al massimo si aggiunge quella di Gaville. La Pieve di San Pancrazio è citata solo dai pochi che l’anno visitata. Ebbene qui prendo un impegno: o sul giornalino, o sul nostro sito, fra qualche tempo cominceremo a introdurre dei percorsi che uniscono le varie pievi valdarnesi. Cominciate a contare, per gioco, quante sono da Badia a Ruoti a Rosano (la Val D’Ambra è Valdarno non fate i pedanti) e da Quarata a Vallombrosa. Avrete delle sorprese. Si parte dalla Pieve di San Pancrazio (389 mslm) dicevo, e qui già bisogna trovare il modo di farci aprire la chiesa per ammirare il suo interno originale nella serie di chiese plebane valdarnesi. Lasciata la chiesa ci dirigiamo subito per stradella di bosco (sentiero 31 CAI) in salita verso il borgo di Secciano (509 mslm). Proseguiamo, sempre in salita in sentiero di bosco verso il crinale dei monti del Valdarno-Chianti, facendo attenzione presso la Casa al Monte per la presenza di armenti e di cani pastore a guardia del gregge. Raggiunto il crinale (sentiero 00 CAI) presso poggio Torricella (740 mslm), ci dirigiamo a destra e in falsopiano con prevalenza di discesa verso la Villa Petraia , splendido esempio di villa patrizia rinascimentale (640 mslm),con un bellissimo giardino di lavanda sulla fronte che, nella primavera, inebria con il suo penetrante profumo e, veduta della fattoria e del borgo d’Arbola quindi, proseguendo sul versante chiantigiano, raggiungiamo il Cassero D’Arbola (603 mslm), castello dalla storia millenaria e splendidamente restaurato. (Qui con breve variante si può raggiungere la Fattoria ed il borgo D’Arbola che vale la visita). Su stradella bianca che ben presto diventa carrareccia forestale, ci volgiamo sulla nostra destra per riguadagnare il crinale e tornare sul versante valdarnese dei monti che superiamo sopra il Parco di Cavriglia a quota 780 mslm. Come prima avevamo vaste vedute sul Chianti ora possiamo ammirare la profonda vista del Valdarno con un panorama che spazia da sud a nord. Scesi al Parco e, volendo, preso un caffè al Bar-Ristorante, seguiamo ilsentiero CAI n° 29 in discesa fino a Casignano (500 mslm) dove, se siamo fortunati, possiamo ammirare anche all’interno, oltre che dall’esterno, la Pieve di San Lorenzo. Di questa pieve spero notiate il filaretto, è musica per gli occhi. Anche questa ottimamente restaurata insieme all’adiacente casa che fungeva di ostello per i pellegrini. Qui è d’obbligo fare molta attenzione e seguire il tracciato gps perchè, solo chi lo conosce o è sostenuto dai mezzi tecnici, entrerà nel passaggio a destra di un grande cancello di ferro che chiude (sembra) la stradella di bosco che si intravede oltre l’ostacolo. Percorrendo quest’ultima nel suo girovagare per bosco e limiti di vigneti, ci condurrà in breve di nuovo alla Pieve di San Pancrazio. Era evidentemente la vecchia strada che univa le due pievi, percorsa dai pellegrini medioevali che volevano recarsi a Roma. Vi invito, in finale di presentazione, a preparare bene la vostra escursione. Non tanto dal lato tecnico perché il percorso non presenta delle difficoltà se viene seguita la traccia gps, che è presente nel nostro sito nella sezione “percorsi Valdarno”, oppure seguendo con attenzione i segnali sentieri CAI, ma soprattutto ad informarvi dal lato storico culturale perchè tutti i luoghi, e i monumenti che incontrerete, avranno ben altro sapore se ne conoscerete le vicende e i trascorsi. Lorenzo Bigi (RI)CONOSCERE I FUNGHI LACTARIUS LACTARIUS DELICIOSUS (per le sue buone qualità gastronomiche) Famiglia Russulaceae Genere Lactarius Fungo omogeneo senza volva e anello Caratteristiche: carne granulosa e cassante (a frattura netta). Cuticola del cappello glabra, liscia, viscida con tempo umido, con leggere fossette, rossoarancio, ocra-arancio, rosa-arancio e con larghe zonature concentriche più scure che invecchiando macchiano di verde-rame. Rotto emette un lattice rosso carota. Odore fruttato. Sapore mite poi aspro, più o meno acre. Habitat: In estate e autunno, sotto il pino silvestre, pino nero e ginepro, su suolo acido. Commestibilità e tossicità: Buon commestibile da cuocere preferibilmente a fuoco vivo, considerato da molti uno dei migliori funghi se cotto alla griglia. Osservazioni: Viene facilmente confuso con le altre specie a latice rosso-carota, per cui è necessario una esatta identificazione dell’habitat: Pinus o ginepro. LACTARIUS TORMINOSUS (peveraccio delle coliche) Etimologia: Dal latino torminosus = che tormenta, per i forti disturbi gastrointestinali che provoca. Famiglia Russulaceae Genere Lactarius Fungo omogeneo senza volva ed anello Caratteristiche: Cappello con colorazione rosa antico o rosa salmone, con nette zonature concentriche, ricoperto da una fitta peluria. Le lamelle, molto fitte e sottili, sono di colore crema pallido con sfumature rosate. Carne bianca, cassante ma rosata in prossimità delle superfici esterne (gambo e cuticola), pressochè immutabile con odore debole fruttato e sapore acre. Latice non molto abbondante di colore bianco immutabile e di sapore molto acre. Habitat: In estate e autunno, sotto il pino silvestre, pino nero e ginepro su suolo acido Commestibilità e tossicità: È da considerare velenoso e provoca intossicazioni di tipo gastrointestinale. Il lattice bianco e le caratteristiche morfologiche sopradescritte sono la migliore guida per una corretta determinazione. Vincenzo Monda Attività sezionale MARZO - GIUGNO 2013 Ogni martedì si svolgono escursioni infrasettimanali, solitamente di tipo E e sempre con mezzi propri, sul territorio regionale; il programma delle escursioni è visibile, aggiornato mese per mese, sul nostro sito nella sezione PROGRAMMA, in sede e presso le varie ProLoco. Si raccomanda a tutti gli interessati (soci e non soci) di contattare il referente della singola escursione (nome e recapito telefonico nella circolare) il pomeriggio del lunedì per avere conferma. sabato 16 marzo **** ASSEMBLEA ORDINARIA DEI SOCI **** *** domenica 17 marzo COLLINE ARETINE: Bagnoro - Castiglion Fiorentino pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Giampiero Maffeis e Vannetto Vannini *** domenica 24 marzo MONTEVARCHI: circuito dei madonnini mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E/T Accompagnatori sez.: Mauro Brogi e Carlo Ciatti *** lunedì 1 aprile VALDAMBRA: anello Colonna del Grillo CAMMINATA DI PASQUETTA mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Mario Carbonai e Mario Scaramucci *** sabato 13 e domenica 14 aprile VENETO: Verona - Lago di Garda pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Attilio Canestri e Giocondo Pagliazzi *** giovedì 25 aprile VALDAMBRA: Perelli - San Leolino SENTIERO DELLA MEMORIA mezzi propri DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Elio Rossi e Sauro Vasai *** da sabato 27 aprile a domenica 1 maggio BASILICATA: Matera e dintorni pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Giustino Bonci e Mauro Brogi *** domenica 19 maggio VALTIBERINA: Alpe della Luna: Eremo di Monte Casale pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Daniela Menabeni e Sauro Sottili *** domenica 26 maggio CHIANTI GIORNATA DEI SENTIERI mezzi propri Accompagnatori sez.: Carlo Ciatti e Elio Rossi *** domenica 2 giugno CASENTINO: Camaldoli: Via dei Tedeschi pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Mauro Borchi e Mauro Guelfi *** domenica 9 giugno APUANE: Isola Santa - C. di Favilla - Rif. De Feo Cardoso pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo E Accompagnatori sez.: Giampiero Maffeis e Vannetto Vannini *** domenica 15 giugno CASENTINO: La Verna: Sentiero della Ghiacciaia BABY C.A.I. mezzi propri Accompagnatori sez.: Daniele Menabeni e Alessandro Romei *** da venerdì 21 a domenica 23 giugno VALDAOSTA: Courmayeur: Val Ferret (via alpinistica al bivacco Gervasutti) pullman DIFFICOLTA’: percorso di tipo EE / EEA Accompagnatori sez.: Franca Debolini e Gabriele Piccardi ...Daniela Le ricette di... LA PANINA DI PASQUA La panina è un dolce tipico delle nostre zone, che si prepara nel periodo pasquale e più precisamente il Giovedì Santo. Venivano date ai fratelli della “Compagnia”, antica istituzione religiosa, nell’occasione dell’ultima cena, dopo la lavanda dei piedi ed è rimasta nella tradizione il dolce tipico pasquale. 660 g. di farina 10 cucchiai di olio di oliva 2 uova 1 bustina di zafferano ingredienti: 1 bella manciata di zucchero 1 panetto e mezzo di lievito di birra 1 pizzico di pepe e 1 pizzico di sale 1\2 kg di uva sultanina Mettere a bagno l’uva sultanina per farla rinvenire per circa 1\2 ora in acqua tiepida. Sciogliere il lievito in 1\2 bicchiere d’acqua. Mescolare il resto degli ingredient i in una ciotola e lavorare con le mani (chi preferisce può usare l’impastatrice). Aggiungere il lievito sciolto e l’uva sultanina strizzata. Quando il composto è ben amalgamato, coprire la ciotola con un panno e mettere a lievitare per circa 4 ore. Quando il composto sarà più che raddoppiato, lavorarlo leggermente e formare le panine della misura desiderata. Disporre le panine in una teglia ricoperta di carta da forno, coprire con un panno e lasciare lievitare ancora per almeno 3 ore. Finita la lievitazione porre in forno preriscaldato a 160° per circa un’ora, finché non raggiunge una bella doratura. C’è una variante salata, detta la “panina unta”, che veniva mangiata con l’uovo benedetto e fettine di salame la mattina di Pasqua . Viene fatta a forma di pane e abbina agli usuali ingredienti (farina, lievito, uovo e un pizzico di zucchero) ciccioli o 150 g. di rigatino tagliato a cubetti, olio sale e pepe e 60 g. di strutto. Per il resto la lavorazione è la stessa. Nel rispetto delle più antiche tradizioni vi auguro una felice Pasqua. Daniela Venturi Editore Mauro Brogi Direttore responsabile Vannetto Vannini Redazione Lorenzo Bigi, Matilde Paoli Collaboratori Daniele Menabeni, Vincenzo Monda