5A DISTURBI INTERNALIZZANTI FOBIA SCOLARE tutto OK

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5A DISTURBI INTERNALIZZANTI FOBIA SCOLARE tutto OK

XX FOBIA SCOLARE
L’ansia di andare a scuola o il rifiuto marcato di farlo può essere considerata una manifestazione
ansiogena e quindi potrebbe essere trattata al pari di altre forme di ansia nei bambini, abbiamo
scelto di dedicare un capitolo specifico a questo tema proprio per l’importanza che questo tipo di
problema può avere per i bambini che frequentano la scuola e quindi costituisce un tema di
interesse specifico sia per gli operatori scolastici che per gli psicologi che si occupano di questa
fascia di età o che operano a stretto contatto con le agenzie scolastiche.
Abbiamo visto nelle pagine precedenti definizioni e descrizioni degli stati ansiosi, vediamo adesso
come si declina relativamente all’ambito scolastico. Si parla di fobia o ansia scolare quando
l’ambiente scolastico costituisce o diventa per il bambino un luogo problematico, che cerca, quando
possibile, di evitare. Il rifiuto di andare a scuola può avere alla sua radice tre aree di difficoltà: il
fatto stesso di separarsi dall’ambiente protetto della famiglia, preoccupazioni relativamente alla
qualità delle relazioni che il bambino ha nel contesto scolastico (con gli adulti, gli insegnanti, con i
compagni di classe o di scuola), preoccupazioni relative invece alla qualità e quantità delle attività
che vengono specificatamente svolte a scuola, come le valutazioni, gli aspetti prestazionali, la
spinta al successo. È abbastanza evidente che sono tre aspetti problematici della vita del bambino
molto diversi tra loro e che ci fanno capire come il primo e più essenziale passaggio davanti ad un
bambino che non vuole o fatica ad andare a scuola sia mettere a fuoco quale di queste tre
dimensioni sia quella cui è legato il suo rifiuto e la sua paura.
Se un poco di inquietudine e preoccupazione all’idea i andare a scuola è normale nei bambini,
soprattutto nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola, primaria, secondaria oppure al
momento di un cambiamento di scuola o quando cambia uno degli insegnanti, è anche vero che la
prolungata paura di andare a scuola e soprattutto un prolungato evitamento dell’ambiente scolastico
può costituire un danno importante sia sul breve che sul lungo periodo: sul breve periodo il fatto che
il bambino non va a scuola e non svolge in modo completo le attività previste per la sua classe può
rallentare lo sviluppo cognitivo e intellettuale del bambino e creare una storia di criticità nel
rendimento scolastico che a sua volta costituisce un potenziale fattore di rischio per gli anni
successivi. I ridotti e a volte problematici contatti con i compagni non favoriscono un buon sviluppo
delle competenze sociali in alcuni casi innescando un circolo vizioso di difficoltà relazionali;
facilmente aumenta il livello di stress e tensione tra i membri della famiglia. Sul lungo termine la
difficoltà ad andare a scuola può portare ad uno stato di ansia cronica, allo sviluppo di un disturbo
d’ansi, ad un basso livello di autostima e alla difficoltà nel raggiungere il benessere personale e
professionale in età adulta (Mayer, 2008, p. 5-6). Se non trattata adeguatamente e per tempo la fobia
scolare può facilmente trasformarsi in un problema cronico con evidenti e ovvi effetti sullo sviluppo
del bambino. In una ricerca svedese che ha seguito per più di vent’anni un gruppo di bambini con
un rifiuto della scuola, si è potuto osservare che i bambini con questo problema da adulti si
segnalavano per un maggior numero di contatti con le strutture psichiatriche, una più lunga
permanenza nella famiglia di origine, un minor numero di figli rispetto alla media della popolazione
(Flakierska-Praquin, Lindstrom, Gillberg,1997)
Come definizione operativa, possiamo descrivere la paura della scuola come (i) il rifiuto di andare o
(ii) la difficoltà di rimanere a scuola per un giorno intero (Kearney, Silverman, 1990).
Cenni storici
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I primi riferimenti alla fobia scolare come un vero e proprio problema clinico sono dell’inizio degli
anni ’40 ed è del 1965 (Kennedy, 1965) la distinzione tra due tipi di fobia scolare, con alcuni tratti
in comune e altri invece distintivi. Tra i tratti comuni la frequenza di disturbi somatici, paura di
separazione dalla madre, conflitti tra la famiglia e l’ambiente scolastico.
Manifestazione
Tra le differenze, la fobia scolare di tipo1 si caratterizza per un esordio acuto, è più frequente nei
bambini dei primi anni della scuola dell’obbligo, a volte i bambini raccontano di una loro paura
della morte o della malattia di uno dei genitori, la comunicazione all’interno della famiglia è buona,
così come il rapporto tra i genitori, i padre è positivamente presente nella vita della famiglia e i
genitori sono molto collaborativi con i clinici. Nella fobia scolare di tipo2 invece l’esordio è lento,
si presenta nei bambini più grandi, non è presente la paura della morte né della malattia dei genitori,
il grado di comunicazione in famiglia non è buono, né lo è il rapporto tra i genitori, il padre è
decisamente assente e lavorare con i genitori non è semplice.
Spesso l’espressione fobia scolare o rifiuto della scuola vengono utilizzati come sinonimi, tuttavia
non sono due concetti esattamente equivalenti perché il rifiuto di andare a scuola non è legato
solamente o prevalentemente alla paura della scuola in sé o della separazione dalla proprie figure di
attaccamento, spesso molti bambini dicono che la loro paura della scuola pur essendo forte, non
fortissima, altre paure sono per loro più intense. In alcuni casi non è presente solo paura o ansia, ma
anche un senso di tristezza che ci può far pensare a un blando stato depressivo. Inoltre ci sono
bambini che non vogliono andare a scuola per la paura delle aggressioni fisiche dei compagni
violenti e bulli (Dube, Orpinas, 2009), o perché, pur senza essere oggetto di aggressioni fisiche o
psicologiche, fanno molta fatica nelle relazioni con i compagni: circa un terzo dei bambini con
ansia scolare sono timidi nei confronti dei pari, hanno paura di essere presi in giro, o hanno
comunque delle relazioni conflittuali con i compagni (Egger, Costello, Angold, 2003). In altri casi
ancora sono bambini particolarmente preoccupati delle interrogazioni, dei compiti in classe, dei
compiti a casa o dello studio, spesso sono presenti dei tratti di perfezionismo eccessivo che rende
difficile anche solo terminare un compito. In altri casi ancora l’evitamento della scuola è legato alla
presenza di un disturbo dell’apprendimento.
Di solito si tratta di bambini che mancano completamente di caratteristiche antisociali (che invece
sono tipiche dei bambini che evitano la scuola per mancanza di interesse o per sfida all’autorità
degli adulti e che a volte tendono a collezionare una lunga lista di assenze ingiustificate per
commettere dei piccoli reati in banda), di solito sono quelli che agli adulti appaiono dei bravi
bambini, ansiosi e un po’ inibiti, che sinceramente desiderano andare a scuola, ma che non ce la
fanno proprio per questa loro fatica emotiva.
La complessità del quadro rende di fatto poco utile un approccio diagnostico-descrittivo, mentre
rende essenziale una lettura della situazione clinica in chiave funzionale. Infatti evitare la scuola
consente al bambino – da un punto di vista funzionale appunto – di (Kearney, 2007):
-
evitare uno o più stimoli che generano stati emotivi negativi (paura o tristezza)
allontanarsi da situazioni sociali o di prestazione
ottenere maggiore attenzione da parte dei genitori
ottenere dei rinforzi positivi tangibili (a stare a casa si hanno tanti vantaggi: si gioca, si
dorme un po’ di più, si è più liberi, non si è obbligati a fare quello che la maestra chiede, etc
etc
Sintomi
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La maggior parte dei bambini che frequentano la scuola primaria non sono in grado di dare una
spiegazione dei loro sintomi ansiosi e di solito si descrivono come nervosi, dicono di avere mal di
testa o semplicemente dicono di non voler andare a scuola. Lo stato di paura/ansia può essere più o
meno manifesto: alcuni bambini rifiutano esplicitamente la scuola, altri tendono maggiormente,al
risveglio mattutino, a lamentarsi di avere mal di qualche cosa – mal di testa, mal di pancia, mal di
stomaco/nausea, diarrea – altri ancora, più consapevoli della componente tachicardica della
reazione di ansia, dicono di aver paura di avere male al cuore e quindi di poter morire. Spesso i
bambini più piccoli hanno un marcato malumore mattutino, quelli un po’ più grandi tendono a
rallentare in modo esasperante le procedure igieniche del risveglio.Lo stato di angoscia tende ad
aumentare se si forza il bambino ad andare a scuola. Se la scuola deve essere raggiunta con un
mezzo pubblico, spesso viene perduto e il bambino deve essere accompagnato a scuola da un
adulto.
Il tragitto verso la scuola è difficoltoso, il bambino non solo rallenta per allontanare il più possibile
il momento di entrare a scuola, ma spesso piange e si dispera tra scuola e casa. Spesso si possono
avere veri e propri attacchi di panico al momento di entrare a scuola
In alcuni casi il bambino riesce ad arrivare a scuola e ad entrare, ma dopo poco, di solito un’oretta,
inizia a lamentarsi, disturbare, piangere spesso a tal punto da dover essere rimandato a casa.
I sintomi somatici anche la sera prima, insonnia e disturbi del sonno: un terzo dei bambini con fobia
scolare faticano al momento dell’addormentamento, un questo si sveglia a metà della notte e cerca
conforto dai genitori e poco meno del venti per cento ha incubi e brutti sogni (Egger, Costello,
Angold, 2003).
Molto spesso nei bambini che hanno un rifiuto per la scuola è presente anche un disturbo depressivo
(vedi cap. xx), in una proporzione che nelle varie ricerche epidemiologiche varia dal 14% al 69%,
con una percentuale sempre più alta mano a mano che ci si avvicina all’età adolescenziale.
È importante anche fare attenzione ai cambiamenti nel tono dell’umore che possono segnalare uno
stato di stress, come il sopravvenire di uno stato di irritabilità o depressione. In taluni casi i bambini
diventano facilmente irritabili e mostrano comportamenti aggressivi, oppure, all’opposto, tendono a
piangere con facilità, essere tristi o ipoattivi. Possono essere presenti anche forme di disregolazione
dell’alimentazione (inappetenza o fame eccessiva).
Epidemiologia
In generale il problema di aver paura di andare a scuola tocca 1-5%dei soggetti in età scolare nella
popolazione generale (Egger, Costello, Angold, 2003; King, Bernstein, 2001)e sopra il 5% nei
bambini e adolescenti seguiti dai servizi clinici(Last, Strauss, 1990), non ci sono differenze tra
maschi e femmine; i due picchi più frequenti per il manifestarsi di questo problema sono le età che
corrispondono a due fasi evolutive delicate per un bambino, cioè l’ingresso nella scuola elementare
e il passaggio dalla scola elementare alla scuola media e quindi tra i cinque e i sei anni e tra i dieci e
gli undici anni.
Cause
Tra i fattori predisponenti allo sviluppo di un rifiuto scolastico è possibile trovare nell’ambito
familiare la presenza di una madre iperprotettiva o intrusiva con scarsa differenziazione dal figlio;
un altro elemento presente può essere uno stile educativo parzialmente incoerente; in taluni casi
sono stati riscontrati problemi di ansia o di depressione almeno in una delle figure genitoriali.
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In molti casi le relazioni familiari sono faticose o difficili, è stata riscontrata un’associazione tra il
rifiuto della scuola e la presenza di un genitore in terapia per problemi psicologici o psichiatrici
oppure situazioni familiari problematiche, come la mancanza di uno dei due genitori (Egger,
Costello, Angold, 2003). Disfunzioni più o meno importanti nel funzionamento familiare sono state
trovate nelle esperienze di vita dei bambini con un rifiuto della scuola sulla base di sintomi
depressivi, ansioso-depressivi, ma non in quelli in cui il rifiuto ad andare a scuola aveva alla sua
base solamente un disturbo d’ansia nel bambino; si tratta però solo di studi correlazionali, che
permettono di registrare la concomitanza di due fenomeni, non se e che tipo di relazione causale vi
sia tra loro (Bernstein, Svingen, Garfinkel, 1990): un conflitto tra genitori in presenza di un
problema scolastico del figlio può essere tanto la causa che l’effetto della difficoltà scolastica del
bambino. Nelle famiglie dei bambini in cui erano presenti insieme all’ansia anche problematiche di
tipo depressivo è più frequente una ridotta capacità di risolvere i problemi, fronteggiare le crisi, c’è
una minore definizione e integrazione dei ruoli all’interno della famiglia, spesso sono presenti stili
comunicativi disadattativi, e in generale una minore coesione familiare ed una maggiore rigidità ed
una discrepanza netta tra la percezione idealizzata del funzionamento familiare e il funzionamento
reale della famiglia.
È facile che almeno uno dei genitori abbia problemi di ansia o un vero e proprio disturbo d’ansia
(disturbo da attacchi di panico, agorafobia, fobie specifiche o fobia sociale)
Fattori Scatenanti
Ci sono alcuni eventi di vita che possono agire da fattori scatenanti il problema legato alla scuola,
per lo più si tratta di eventi di vita che attivano temi relativi alla separazione o alla perdita: la morte
o la malattia di un genitore o di un altro componente della famiglia, un cambiamento di classe o di
scuola, o anche una prolungata assenza da scuola del bambino, ad esempio per una malattia (King,
Ollendick, 1989). Anche un evento traumatico accaduto a scuola può innescare l’evitamento e il
rifiuto di andare a scuola: l’esperienza negativa di avere provato direttamente vergogna o imbarazzo
per qualche cosa davanti all’insegnante e alla classe può innescare il comportamento di evitamento,
spesso accompagnato da rimuginio sull’episodio, anche se il bambino non è direttamente coinvolto,
ma si limita ad assistere semplicemente testimone di fatti simili accaduti a qualcun altro. Un
malessere che consente di restare a casa ed evitare così una situaizone difficile può agire da rinforzo
e consolidare il comportamento di evitamento di una situazione che per il bambino è fonte di
disagio.
Possiamo quindi dire che per alcuni bambini il rifiuto della scuola è una conseguenza di un disagio
di tipo ansioso più generalizzato e di cui la scuola è una semplice manifestazione, per altri bambini
invece l’evitamento della scuola è il risultato di un evento soggettivamente avvertito come
traumatico. È chiaro quindi che il primo passo per mettere a punto qualsiasi protocollo di intervento
non può che partire da una messa a fuoco di queste differenze e del meccanismo, tempistica e
procedura di comparsa del problema.
Valutazione
Come sempre un buon colloquio clinico fornisce il miglior quadro della situazione. Vi sono però
alcuni questionari che possono essere utilizzati o costituire degli spunti interessanti relativamente
alle aree da esplorare nel colloquio stesso
-
School Refusal Assessment Scale (SRAS, Kerney, Silverman, 1990; 1999) e School Refusal
Assessment Scale Revised (SRAS-R, Kerney 2002); le domande toccano quattro aree
importanti e servono ad identificare le motivazioni che spingono il bambino a non andare a
scuola: per evitare stimoli e situazioni che provocano emozioni negative di ansia, di paura,
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di tristezza, di nervosismo, di disturbi fisici (tipico dei bambini con problematiche di ansia
generalizzata); per evitare situazioni sociali o di giudizio, come parlare con i compagni,
cercare di stare lontani dai luoghi dove si radunano gli altri bambini (tipico dei bambini con
problematiche più legate all’ansia sociale); per ottenere una maggiore attenzione da parte
degli adulti o una maggior vicinanza anche fisica (tipico dei bambini con un problema di
ansia da separazione); perché al di fuori della scuola è più facile ottenere tangibili rinforzi
positivi, come fare cose piacevoli e divertenti (tipico dei bambini in cui sono presenti anche
disturbi della condotta)
Trattamento
Le linee guida per il trattamento del rifiuto scolastico che si appoggiano su questa visione
funzionale del sintomo si articolano in quattro approcci:
(a) quando nel bambino la paura della scuola è prevalentemente legata alle emozioni negative
della paura, dell’ansia, delle difficoltà legate alla separazione e al restare da soli, si
suggerisce l’utilizzo delle tecniche comportamentali per la regolazione degli stati fisici
legati all’ansia e delle tecniche cognitive per l’aumento della consapevolezza dei propri stati
corporei e del legame pensieri-stati fisici e emotivi; l’uso delle tecniche di esposizione
graduale per favorire il progressivo reinserimento a scuola del bambino; un lavoro sugli
aspetti dell’autostima, che consolidi il senso di efficacia personale, della capacità di
controllo delle situazioni.
(b) Nel caso in cui invece il rifiuto della scuola è maggiormente legato all’evitamento di
situazioni sociali o di prestazione, caratterizzato quindi dall’ansia per le prove scolastiche o
per le interazioni difficili con compagni o insegnanti, l’intervento si deve muovere
dall’esplorazione delle emozioni negative legate al contatto con gli altri e ai pensieri ad esse
legati, al piano cognitivo dell’esplorazione di questi pensieri e all’intervento di
ristrutturazione e cambiamento del dialogo interno negativo (solitamente caratterizzato da
pensieri relativi al proprio senso di incapacità e inadeguatezza); è importante far simulare al
bambino nella situazione protetta della seduta le situazioni relazionali che lo spaventano,
provando insieme possibili strategie per affrontarle, un’esposizione graduale alle situazioni
difficili e un lavoro sulle competenze e abilità sociali a partire dalle situazioni che il
bambino vive come problematiche all’interno della scuola.
Dare spazio per parlare delle paure ed esplorare i pensieri disfunzionali del bambino: Stare
a scuola è brutto e fa paura; Io sono inadeguato ad affrontare una scuola(nuova) perché è
troppo complesso e difficile; Non riesco a stare in gruppo, ho paura dei compagni, i
compagni mi prendono in giro; A scuola si fanno cose noiose; troppo difficili; Ho paura a
stare senza la mamma.
(c) Se il rifiuto della scuola è legato invece all’attivazione di comportamenti che hanno la
finalità di ottenere maggiore attenzione e vicinanza da parte degli adulti significativi (e che
si possono manifestare sia con i sintomi dell’ansia o del pianto, sia con comportamenti
invece più aggressivi e oppositivi) è importante lavorare anche con i familiari per insegnare
loro come gestire al meglio i momenti di separazione, come non rinforzare i comportamenti
aggressivi, ignorandoli e rinforzando invece i momenti di controllo, utilizzare ricompense
concordate con il bambino per le situazioni in cui riesce a andare o stare a scuola, in taluni
casi anche spingere comunque perché il bambino si rechi a scuola.
(d) Se infine l’evitamento della scuola è legato soprattutto ai vantaggi che il bambino ricava
dallo stare a casa (poter giocare ai propri giochi preferiti o maggiore libertà, quando l’età o
la situazione lo consentono)e che spesso si accompagna ad un sistema familiare poco
strutturato e che pone pochi limiti al bambino. In questo caso è utile intervenire sia sui
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genitori per aiutarli a ridurre o meglio evitare che quando il bambino è a casa possa svolgere
attività per lui piacevoli, aiutarli a stabile e mantenere alcune regole più generali nell’ambito
familiare,aiutarli a gestire le situazioni di conflitto in famiglia. In taluni casi all’origine
dell’evitamento della scuola ci possono essere episodi di difficoltà con i compagni o
l’insegnante sui quali è bene lavorare con il bambino come sopra indicato(Kearney, Albano,
2000a,2000b). sono stati fatti alcuni studi di out come, che hanno mostrato l’utilità dello
strumento SRAS come strumento per identificare quale trattamento può servire nelle diverse
situazioni.
Self-Efficacy Questionnaire for School Situations (SEQ-SS Heyne, King, Tonge, et al.,
1998) che valuta la percezione che il bambino ha della sua capacità di fare fronte a
situazioni potenzialmente ansiogene legate alla scuola, quali lo svolgere le atività
scolastiche, il restare lontano dai genitori e dalle proprie figure di attaccamento. È meno
validata ed usata rispetto alla precedente
Abbiamo già in parte visto trattando della School Refusal Assessment Scale come gli interventi che
possono essere messi in atto in queste situazioni cliniche vadano svolti su piani diversi e siano di
gradi di complessità diversi: dagli interventi più semplici più di tipo psicoeducativo sul bambino e
sulla famiglia, ad altri più complessi e specifici del clinico per lo più sulla base del riferimento
cognitivo-comportamentale (sulle paure del bambino, i suoi pensieri disfunzionali, l’incremento di
consapevolezza delle sue emozioni e delle strategie di regolazione dei propri stati emotivi).
Nella prima categoria rientrano anche tutti i piccoli cambiamenti da apportare all’ambiente
familiare e che possono aiutare a rendere l’andare a scuola un po’ meno faticoso e affannoso. Qui di
seguito sono elencati alcuni“trucchi”che l’insegnante o lo psicoterapeuta possono con dolcezza
suggerire ai genitori, dopo aver chiesto e ascoltato come si svolge normalmente la routine mattutina
e serale legata alla scuola: spesso le mattine di scuola sono connotate da caos e fatica e ogni cosa
viene fatta di corsa perché si deve uscire di casa in fretta e per tempo. È importante quindi cercare
di evitare queste corse mattutine che spesso generano ansia e irritazione in tutti:
-
controllare la cartella i compiti e quant’altro la sera prima, quando tutti sono più tranquilli
non fare i compiti alla sera tardi
preparare i vestiti per il giorno dopo prima di andare a letto
concedere e concedersi del tempo per giocare insieme prima di andare a dormire
far andare a letto in orario il bambino
al mattino cercare di non svegliarlo all’ultimo minuto, in questo modo è possibile fare
colazione insieme ed essere pronti senza correre riuscendo anche a stare un po’ insieme
lasciar prendere al bambino (non solo a quelli più piccoli della scuola dell’infanzia, ma
anche a quelli più grandi) un gioco preferito, un oggetto di casa, una foto o qualsiasi altra
cosa sia per lui rassicurante
cercare il più possibile di andare a prenderlo in orario
nel salutare non dimenticarsi bacio e abbraccio (finché non sarà lui a rifiutarvelo)
Sono suggerimenti apparentemente semplici che però servono non solo a modificare nel concreto
alcuni comportamenti, ma a creare degli spazi relazionali di tranquillità e rassicurazione tra i
genitori e il bambino.
Intervento a scuola
Nella situazioni di rifiuto della scuola è essenziale che si possa fare un lavoro integrato tra il clinico
e gli insegnanti, questo richiede una fase di contatti frequenti con la scuola e la comprensione da
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parte degli insegnanti del senso di alcune richieste che lo psicoterapeuta può fare. Da un lato quindi
è necessario che il clinico sappia e si muova parlando con gli insegnanti e – a loro volta – che gli
insegnanti siano disponibili ad accettare alcuni suggerimenti del clinico. Il rientro a scuola infatti
deve avvenire in molti casi in modo graduale e con la massima flessibilità. Gradualità vuol dire per
esempio che il bambino ha bisogno di rientrare a scuola solo alcune ore, magari all’inizio neppure
in classe, ma semplicemente all’interno dell’edificio scolastico, ad esempio in biblioteca. Poi si può
passare a stare alcune ore in classe, scegliendo le materie preferite e l’insegnante con cui il bambino
si sente più a suo agio. In alcune situazioni si può decidere di lasciare che uno dei genitori stia con il
bambino, riducendo questo tempo insieme. Per dare al bambino la sensazione di avere il controllo
su quanto sta accadendo si può far decidere a lui in che giorno inizia a tornare a scuola.
È importante che i vari passaggi, la sequenza e le durate siano pianificate e concordate con gli
insegnanti per cui è necessario che i docenti comprendano il senso di ogni momento dell’intervento.
understanding the emotional functioning of children and adolescents exhibiting school refusal may
enhance prevention and intervention programs. One specific area in which dysfunction may be
evident is the way in which these children regulate emotion.
Thompson (2001) has proposed that anxious children may have trouble reappraising due to their
tendency toward “fixed, persistent, and biased threat-related interpretations of benign situations that
evoke fear for them” (p. 169). For example, adolescents with social anxiety have been reported to
make more negative interpretations of ambiguous social situations compared to nonanxious
adolescents (Miers, Blote, Bogels, & Westenberg, 2008). Such interpretations are likely to
exaggerate perceived threat and lead to avoidance of situations. This may, in turn, further restrict
the development and use of reappraisal as a result of limited opportunities for more realistic and
adaptive interpretations. With regard to suppression, it has been proposed that the tendency of
anxious individuals to perceive particular emotions as unacceptable, or aversive, may prompt them
to suppress their emozional expression in a misguided attempt to avoid the emotional experience or,
alternatively, as a way of minimizing potential negative evaluations by others (Amstadter, 2008;
Mennin, Heimberg, Turk, & Fresco, 2002). children and adolescents presenting with school refusal
reported less adaptive ER strategy use compared to age- and sex-matched nonclinical children and
adolescents. Specifically, the school refusal sample reported less use of cognitive reappraisal and
greater use of expressive suppression than did the nonclinical sample. Similarly, the finding that
school-refusing children are more likely to regulate their emotions through expressive suppression
may reflect the tendency for anxious individuals to perceive particular emotions as unacceptable
and, consequently, attempt to avoid these emotional experiences by suppressing them
(inizio box)
regolazione delle emozioni (riferimenti biblio in art emotion regulation and school refusal).
Emotion regulation (ER) can be broadly defined as the processes through which emotional
awareness and experience is monitored, evaluated, maintained, and modified (Thompson, 1994).
Such processes allow individuals to influence “which emotions they have, when they have them,
and how they experience and express these emotions” (Gross, 1998b, p. 275). The current study
focused on two specific ER strategies described by Gross and John (2003; John & Gross, 2004):
cognitive reappraisal and expressive suppression. These strategies have been described within
Gross’s (1998a) process model of ER in which antecedent-focused strategies are distinguished from
responsefocused strategies. Cognitive reappraisal is employed prior to the generation of an
emotional reaction and is classified as an antecedent-focused strategy. It involves changing the way
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one thinks about a situation in order to change its emotional impact. In contrast, expressive
suppression is considered a responsefocused strategy as it is employed subsequent to an emotional
reaction. It involves suppressing or hiding your emotional response from others. In general,
reappraisal is considered to be a healthy ER strategy as it has been found to prevent or reduce the
experience of negative affect and thus has the potential to reduce subsequent negative outcomes
(Gross & John, 2003). In contrast, suppression has been shown to be a less healthy ER strategy as,
despite inhibiting the expression of negative affect, the experience of the negative affect remains
unchanged or may increase, likely as a consequence of the discrepancy between inner experience
and outer expression (Gross & John, 2003). Consistent with this, research has indicated that greater
use of reappraisal is associated with better psychological well-being, while greater use of
suppression is associated with poorer psychological well-being (e.g., Gross & John, 2003; Gross &
Levenson, 1997; Nezlek & Kuppens, 2008; Richards & Gross, 1999).
(fine box)
Fattori di successo e di insuccesso
Se l’intervento viene fatto con bambini più piccoli, con un discreto livello di frequenza scolastica e
senza la presenza di un concomitante disturbo d’ansia da separazione le possibilità di un buon
successo sono maggiori (Last, et al. 1998) e confermano l’importanza di intervenire il prima
possibile, evitando che ci sia un consolidamento dei comportamenti e dei pensieri disfunzionali e
quindi la riduzione del senso di autoefficacia e competenza personale nella gestione delle difficoltà.
Mentre solitamente nel caso di paure infantili si suggerisce ai genitori di aspettare almeno sei mesi
per vedere se sono solo un passaggio evolutivo naturale, nel caso della scuola è bene non aspettare
oltre due/tre settimane, soprattutto quando i giorni di assenza sono continuativi. In questo modo si
evita anche che si consolidino i vantaggi secondari dello stare a casa che diventano poi un
problema in più da dover gestire nella messa a punto della strategia di intervento.
Dato l’importante coinvolgimento della scuola – dove si devono necessariamente svolgere molti
degli interventi di esposizione graduale e dove spesso è necessaria la presenza anche fisica o del
genitore o dello psicologo che segue il bambino – è assolutamente vitale che il clinico sappia ben
gestire questi rapporti e che, dal canto loro, gli insegnanti siano consapevoli che sia le tecniche che
la presenza di altri adulti fa parte del processo di trattamento. È utile che lo psicologo si metta a
disposizione degli insegnanti non solo per spiegare il senso di quello che viene via messo in atto,
ma anche per raccogliere le loro perplessità, dubbi e difficoltà. Per lo psicologo investire alcune ore
di lavoro nella presenza fisica a scuola per accompagnare i primi momenti di rientro a scuola è un
investimento importante che consente sia di vedere se e come le sue indicazioni sino effettivamente
seguite, sia per evitare di intervenire più tardi e in corsa se qualche cosa non è stato fatto nel più
funzionale dei modi. Se necessario giustificare le assenze dell’alunno, per evitare la bocciatura, lo
psicologo stenderà una relazione che sarà custodita a scuola dal dirigente scolastico.
Elementi che possono complicare il lavoro ci sono e vanno dall’ostilità verso il clinico (latente o
manifesta) di uno dei genitori, problemi psicologici nei genitori, la presenza di un disturbo più
importante nel bambino. a volte per i genitori – così come è difficile portare il bambino a scuola – è
difficile portarlo alla seduta di psicoterapia: spesso di deve lavorare prima con i genitori – per
consolidare la loro competenza genitoriale e aiutarli a mettere e far rispettare poche regole - per
poter poi condurre l’intervento clinico con il bambino.
Un’ultima nota: spesso un grosso problema che i bambini raccontano e che rende loro difficile
tornare a scuola è “cosa dico ai miei compagni?”. Questo senso di vergogna è proporzionale all’età:
più la classe aumenta, maggiore è avvertito dai bambini che sono più sensibili al giudizio esterno.
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Il problema va risolto dall’insegnante che parlerà ai compagni di classe e preparerà il rientro
dell’alunno a scuola. Parlerà a loro dell’ ansia del compagno assente e li aiuterà a comprendere il
suo disagio.
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