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commentary «Q Commentary, 27 dicembre 2016 PICCOLI TRUMP CRESCONO ALBERTO MARTINELLI ©ISPI2016 L ’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti è stata accolta con entusiasmo dai leader dei partiti populisti europei, da Nigel Farage (ormai ex leader di Ukip e primo esponente politico europeo ad essere ricevuto da Trump in riconoscimento del suo ruolo di battistrada) a Geert Wilders, leader del partito della libertà olandese che l’ha definita “una vittoria storica, una rivoluzione!”, da Marine Le Pen, leader del Front National francese che l’ha salutata come “un’ottima notizia”, a Viktor Orbán, capo di Fidesz, il partito al governo in Ungheria che l’ha definito “la cosa più piacevole di questi tempi”, fino a Matteo Salvini che ha cercato di accreditarsi come amico del nuovo presidente. Tutti questi esponenti politici considerano il successo di Trump una opportunità storica, come ha dichiarato Frauke Petry, leader del partito anti-immigrati e anti-euro Alternative für Deutschland (AfD), la “deflagrazione di un’epoca” secondo Beppe Grillo, il segno di tempi nuovi, l’espressione di una ribellione della ‘maggioranza tradita’ dalla globalizzazione, dall’euro, dalla società multietnica. Consideriamo rapidamente due questioni. La prima: esistono autentiche affinità tra il populismo americano di Donald Trump e il nazional-populismo europeo della Le Pen, di Orbán e simili? La seconda: il successo di Trump può concretamente aiutare i populisti europei ad arrivare al potere, o a consolidarlo laddove già ce l’hanno? Circa la prima questione, al di là di storiche differenze, tra il populismo nord-americano nella versione Trump e il neo-populismo europeo vi sono reali affinità ideologiche e di strategia politica. Trump si è, infatti, presentato come il candidato anti-establishment, che sfida i “poteri forti” della politica (non solo del partito avversario, il Democratico, ma anche di gran parte del proprio, il Repubblicano) e della finanza di Wall Street, anche se appare già chiaro che le cose dette in campagna elettorale sono molto diverse dalle decisioni prese una volta al potere (è significativo, ad esempio, che Trump presidente in pectore abbia già dichiarato di voler sopprimere la legge Dodd-Frank che ha cercato di regolare i mercati finanziari). Trump ha inoltre affermato l’identità americana contro gli immigrati (nativismo) proponendo rigorosi controlli alle frontiere; ha criticato la globalizzazione con accenti neo-protezionistici e neo-isolazionisti, dichiarando di voler rinegoziare l’accordo transpacifico TTP e bloc- Alberto Martinelli, Università degli Studi di Milano 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non necessariamente riflettono l’opinione dell’ISPI Anche le pubblicazioni online dell’ISPI sono pubblicate con il supporto della Fondazione Cariplo. commentary care quello transatlantico TTIP. Ha colorato di toni nazionalistici il tradizionale patriottismo americano (emblematici i suoi slogan America first e We will make America great again). Infine, nella campagna elettorale di Trump si è fatto frequente ricorso alle post-verità e si è ampiamente usata la rete per denigrare e denunciare (prima i concorrenti nelle primarie del Partito repubblicano e poi Hillary Clinton), per costruire “capri espiatori”, per esprimere frustrazione e rabbia, per suscitare paure e pregiudizi. Circa la seconda questione, le chances di successo dei partiti populisti nelle elezioni del prossimo anno rimangono modeste, nonostante “l’effetto dimostrazione” del successo di Trump. Cominciando dalle prime in ordine di tempo, in Olanda Wilders non è mai riuscito ad andare al governo e nonostante la debolezza del governo olandese attualmente in carica anche questa volta difficilmente riuscirà. Passando alle elezioni presidenziali francesi di maggio, è assai probabile che Marine Le Pen arrivi al ballottaggio, addirittura come candidato più votato al primo turno, ma difficilmente prevarrà sul suo concorrente al secondo turno (che sarà probabilmente Francois Fillon del centro-destra). Nelle elezioni politiche tedesche di inizio autunno l’AfD potrà riportare un certo successo elettorale, entrando nel Bundestag, ma non ha chance per partecipare a una coalizione di governo. Infine, se ci sarà il voto anticipato in Italia, lo sfidante più agguerrito del Partito democratico non è il centro-destra di una Lega entusiasticamente pro-Trump, ma il Movimento Cinque Stelle. Quanto alla diffusione di post-verità nelle campagne elettorali il populismo nostrano non ha niente da imparare da Trump. In generale, in nessuno di questi paesi, il successo del nuovo presidente americano sembra poter spostare significative quote di elettori a favore dei partiti nazional-populisti. ©ISPI2016 Le differenze sono tuttavia almeno altrettanto grandi: l’egemonia americana nel mondo multipolare richiede scelte assai diverse da quelle proposte dal nazionalismo delle piccole e medie potenze europee che vogliono recuperare una piena sovranità e rinazionalizzare le politiche pubbliche, ma che non sarebbero poi in grado di dare risposte adeguate ai problemi globali. Inoltre, Trump non ha interesse a una disgregazione della Unione Europea e non intende abolire la NATO come auspicato dai nazional-populisti, ma al contrario chiede una maggiore condivisione degli oneri (burden sharing) che si può ottenere solo da una UE che finalmente attui una politica di difesa e sicurezza comune (e in questo senso l’elezione di Trump offre un’opportunità anche agli europeisti, non solo agli anti-europeisti). 2