Che succede se la violenza non è “solo” quella di un uomo ma di un

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Che succede se la violenza non è “solo” quella di un uomo ma di un
26 NOVEMBRE 2016
NUMERO 48 | SETTIMANALE
€ 2,50
60048
9 771594 123000
SPECIALE
Le città del futuro secondo
Ada Colau e Saskia Sassen
Che succede se la violenza non è “solo” quella di un uomo
ma di un intero sistema fatto di leggi? La questione femminile è politica
con Serena Dandini, Chiara Saraceno e Camilla Seibezzi
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PARERI
LA MAGGIORANZA INVISIBILE
di Emanuele Ferragina
Una lezione americana
dai perdenti della globalizzazione
L
a vittoria di Trump - come la Brexit - è
un segnale della fase di transizione che
attraversa l’Occidente. Proprio nei Paesi
che per primi hanno scelto il neoliberismo, il domino della finanza e la completa deregolamentazione dei mercati, s’intravede una
pesante reazione sociale e politica. Questo cambiamento affonda le radici nel fallimento strutturale di quelle politiche cominciate con Ronald
Reagan e Margaret Thatcher, rappresentato plasticamente dalla crisi del 2008. Sfruttando il malcontento crescente, Donald Trump ha costruito
una base elettorale trasversale ed eterogenea. La
sua vittoria è il risultato di un complesso esercizio di equilibrismo che mette insieme alcuni
perdenti della globalizzazione e parti importanti
dell’establishment americano, ed ha come nodo
focale una visione paternalistica e conservatrice
della società. Entrando nello specifico, tre ragioni
della vittoria di Trump meritano attenzione.
La prima è la capacità del magnate americano di
attrarre nel campo repubblicano i cosiddetti Rust
Belt States (le zone del Nord-Est, dei Grandi Laghi
ma anche del Mid-West). In queste aree, l’economia era basata principalmente sulla produzione
e la distribuzione dell’acciaio e l’accelerato processo di finanziarizzazione degli anni 80 e la recente crisi economica hanno fortemente ridotto
lo standard di vita della classe operaia. La maggioranza degli elettori in Michigan, Wisconsin e
Pennsylvania - roccaforti democratiche fin dal
1980 - alle ultime elezioni ha preferito Trump alla
Clinton. Guardando alla retorica dei due candidati c’è poco di cui essere stupiti: Trump ha sostenuto con forza l’idea di far ripartire la macchina
industriale, mentre i Democratici si sono chiaramente schierati con l’élite finanziaria, soprattutto dopo l’estromissione di Bernie Sanders. Make
America Great Again, è il manifesto di Trump per
un’America nuovamente forte in campo industriale: e poco importa se quest’agenda sia desiderabile e perseguibile nel lungo periodo.
La seconda chiave di lettura per comprendere la
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vittoria di Trump, è notare come il magnate abbia ridato importanza alla cosiddetta economia
reale. Il cerchiobottismo di Trump ha fatto breccia: se da un lato si è detto vicino alle masse impoverite promettendo tutela, dall’altro il nuovo
presidente rimane un concreto rappresentante
di quell’establishment finanziario contro cui le
stesse masse si stanno ribellando in giro per il
mondo. La famiglia Trump ha fatto fortuna grazie
all’immobiliare, business che negli Usa è inestricabilmente legato a quello finanziario.
Infine, la vittoria di Trump segnala inconfutabilmente l’incapacità dei Democratici di dare
rappresentanza alla maggioranza invisibile. I
Democratici, e così i principali partiti socialdemocratici europei, sono distanti dagli “ultimi”,
sempre troppo attenti ai sondaggi e poco simpatetici con le esigenze
L’incapacità di scorgere il
dell’uomo comune.
Sicurezza, lavoro e im- cambiamento nelle fasce più
migrazione sono i tre deboli ha spinto i Democratici
temi che hanno cata- a puntare ancora una volta su
lizzato la scena politi- una proposta politica basata
ca di questi anni, forse sull’appartenenza a categorie
sarebbe stato possibile razziali, sessuali, culturali
interpretarli in chiave
progressista. Invece si è scelto di trascurali. Il risultato è che l’opposizione alle élite, che in un’economia globalizzata significa opposizione ai
grandi poli del potere finanziario, ha smesso di
essere un argomento di sinistra. L’incapacità di
scorgere il cambiamento nelle categorie sociali più deboli ha spinto i Democratici a puntare
ancora una volta sull’identity politics, ovvero su
una proposta politica basata sull’appartenenza a
certe categorie (razziali, sessuali, culturali) senza
rendersi conto che il contesto socio-economico
è radicalmente cambiato. Il risultato è che i perdenti della globalizzazione, ignorati e spesso
trattati come bifolchi e ignoranti, hanno iniziato
a riversare le loro frustrazioni a destra.
Monito ai “progressisti”: chi ignora la propria storia, è tristemente destinato a riviverla.
26 novembre 2016
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