William Gibson e Pat Cadigan: il cyborg e le nuove

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William Gibson e Pat Cadigan: il cyborg e le nuove
William Gibson e Pat Cadigan: il cyborg e le nuove
configurazioni del corpo in una prospettiva comparata
Vita Fortunati
Università di Bologna (Italia)
Eleonora Federici
Università degli Studi di Trento1
Riassunto
Il cyborg pone una grande sfida, perché rimodella la concezione stessa
di umano. È un essere mutante, ibrido, un connubio di elementi tecnologici
e biologici. L’idea stessa di ‘individuo’ muta e, inevitabilmente, le categorie
tradizionali che servono a definirlo: genere, etnia, identità. I cyborg rappresentano
un ponte tra i due mondi, un tramite, una soglia che permete il contatto tra
l’umano e il ‘post-umano’. Esseri la cui identità non si identifica più con il solo
‘corpo biologico’ ma permette di collegarsi con i computers e di inserire nel loro
cervello dati di vari ‘terminali’, impiantati direttamente nelle cellule cerebrali.
La produzione di scrittori e di scrittrici che hanno speculato sulle
potenzialità euristiche dell cyborg, e sulle differenze di genere, è vastissima.
Vita Fortunati è Professore di Lingua e Letteratura inglese e coordinatore del progetto europeo
Interfacing Sciences, Literature and the Humanities. Si è occupata della riscrittura del mito
dell’apocalisse, di utopia scritta da donne, dell’opera di Thomas More, Joseph Hall, Robert Burton,
Robert Paltock, Jonathan Swift, Jeremy Bentham, William Morris, E.M. Forster, George Orwell,
Aldous Huxley. È Direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Utopia dell’Università di
Bologna e di Forme dell’Utopia, una collana di testi primari e critici pubblicata dalla casa editrice Longo
di Ravenna. È autrice di La letteratura utopica inglese. Morfologia e grammatica di un genere letterario
(Ravenna: Longo, 1979); curatrice di Viaggi in utopia (Ravenna: Longo, 1996, con P. Spinozzi); del
Dictionary of Literary Utopias Paris, Champion, 2000 (con R. Trousson); di Dall’utopia all’utopismo.
Percorsi tematici, a cura di Vita Fortunati, Raymond Trousson, Adriana Corrado (Napoli: cuen,
2003); di Perfezione e Finitudine. La concezione della morte in utopia in età moderna e contemporanea
(con Marina Sozzi e Paola Spinozzi, Torino: Lindau, 2004). Ha promosso studi sull’utopia e
l’identità nazionale e culturale (Utopianism / Literary Utopias and National Cultural Identities: a
Comparative Perspective, a cura di P. Spinozzi, Compositori, 2001). L’Histoire transnationale de l’utopie
littéraire et de l’utopisme è attualmente in corso di pubblicazione presso la casa editrice Champion.
Eleonora Federici (MA e Ph.D University of Hull, UK) è ricercatrice di lingua inglese
presso l'Università degli Studi di Trento. Le sue aree di ricerca includono i gender
studies, i translation studies e i cultural studies. Ha pubblicato vari saggi sull’intertestualità,
la cultura britannica e canadese, le teorie e pratiche di traduzione. Ha curato con
V. Fortunati e A. Lamarra The Controversial Woman’s Body: Images and Representations in Literature and
Arts (2004). Recentemente ha pubblicato The Translator as Intercultural Mediator (2006). Attualmente
sta completando un volume sul linguaggio della pubblicità.
1
La prima parte del saggio è
stata scritta da Vita Fortunati,
la seconda da Eleonora
Federici.
Vita Fortunati e Eleonora Federici
2
Vita Fortunati. “Il virtuale
come ultima frontiera
del possibile utopico e
fantascientifico”. In: Science
Fiction, a cura di Franco
Monteleone e Cecilia Martino.
Roma: Bulzoni, 2003.
3
Cfr. Scott Bukataman.
Terminal Identity. The Virtual
Subject in Postmodern Science
Fiction. Durham and London:
Duke University Press, 1993.
4
Cfr. Katherine Hayles. How
We Became Posthuman: Virtual
Bodies in Cybernetics, Literature,
and Informatics. Chicago:
University of Chicago Press,
1999; D. Haraway. How Like
a Leaf: Donna J. Haraway, an
Interview with Thyrza Nichols
Goodeve. New York-London:
Routledge, 2000.
5. Cfr. Vita Fortunati.
“The Revision of the Utopian
Paradigm in Ursula Le Guin’s
Work”. In: Modernisierung
und Literatur, Walter Göbel,
Stephan Kohl, Hubert Zapf
(Hrsg.). Tübingen: Gunter
Narr Verlag, 2000, pp. 223-23;
Eleonora Federici. “Women
and Cyborgs: Transformation
and Development of a Cultural
Icon”. In: The Controversial
Women’s Body: Images and
Representations in Literature
and Art, eds by Vita Fortunati,
Annamaria Lamarra, Eleonora
Federici. Bologna: Bononia
University Press, 2005,
pp. 109-130.
298
È importante domandarsi se il cyborg rappresenti veramente l’ultima frontiera
del ‘possibile utopico’. Negli anni ottanta, il manifesto cyberpunk di Bruce
Sterling, firmato con lo pseudonimo Vincent Omniaveritas, ha avuto una
carica innovativa e defersiva: già il termine cyberpunk costituisce un ossimoro,
perché unisce la parola ‘cyber’, che connota l’alta tecnologia innestata nel
corpo umano, come già teorizzato dagli sviluppi moderni della cibernetica,
alla parola ‘punk’, che allude alla cultura underground, di rivolta, propria degli
emarginati metropolitani. Negli articoli presenti nel manifesto, come pure
nei romanzi di William Gibson, per citare forse il più rappresentativo degli
scrittori di questo genere, appare evidente non solo lo sforzo di coniugare il
biologico con le nuove frontiere tecnologiche, ma anche l’intenzione di operare
una critica nei confronti della società post-industriale e post-capitalistica.
La stessa potente carica euristica si può rinvenire anche nel Manifesto
Cyborg di Donna Haraway del 1991, che ha costituito un punto di partenza
importante per il pensiero delle donne, spingendole a riconsiderare, come
dice Rosi Braidotti, il loro rapporto con il corpo, la tecnologia e la scienza e,
soprattutto, ad utilizzare ‘le nuove tecnologie a favore delle donne’.
L’ultima parte dell’intervento si concentrerà infatti sulla differenza
fra il cyberpunk di William Gibson e di Pat Cadigan, dove è posto in primo
piano la prospettiva di genere, e il cyberspazio diventa uno strumento
per analizzare la nozione di identità e di rapporto fra essere umano e
tecnologia.
1. Il cyborg tra utopia, scienza e tecnologia
Il cyborg pone una grande sfida, perché rimodella la concezione
stessa di ‘umano’. È un essere mutante, ibrido, un connubio di elementi
tecnologici e biologici. L’idea stessa di ‘individuo’ muta e, inevitabilmente,
le categorie tradizionali che servono a definirlo: genere, etnia, identità.
I cyborg rappresentano un ponte tra i due mondi, un tramite, una soglia che
permette il contatto tra l’umano e il ‘post-umano’2. Esseri la cui identità non
si identifica più con il solo ‘corpo biologico’, ma permette di collegarsi con
i computer o di inserire nel loro cervello dati di vari ‘terminali’, impiantati
direttamente nelle cellule cerebrali. L’essere terminale è sicuramente un
cyborg, perché la sua vita non può fare a meno degli strumenti tecnologici;
è terminale perché fa parte di una rete potenzialmente infinita, quella
che contiene l’universo dei dati e che dà loro una rappresentazione fisica
e visiva, che permette la connessione ad un sistema globale di mezzi di
comunicazione3. Ed è terminale anche perché costituisce l’ultima frontiera
che critici come Katharine Hayles o Donna Haraway hanno definito
‘post-umana’4.
La produzione di scrittori e di scrittrici che hanno speculato
nelle loro finzioni narrative sulle potenzialità euristiche del cyborg, e
sulle differenze di genere, è vastissima5. Qui è importante chiedersi, se il
cyborg rappresenti veramente l’ultima frontiera del ‘possibile utopico’.
Negli anni Ottanta, il manifesto cyberpunk di Bruce Sterling, firmato con
William Gibson e Pat Cadigan
lo pseudonimo Vincent Omniaveritas 6, ha avuto una carica innovativa ed
eversiva: già il termine cyberpunk costituisce un ossimoro, perché unisce la
parola ‘cyber’, che connota l’alta tecnologia innestata nel corpo umano, come già
teorizzato dagli sviluppi moderni della cibernetica, alla parola ‘punk’, che allude
alla cultura underground, di rivolta, propria degli emarginati metropolitani.
Il cyberpunk , come dichiara Bruce Sterling nella raccolta intitolata
Mirrorshades, considerata il manifesto del genere, si occupa delle trasformazioni
tecnologiche e scientifiche del presente attraverso una temporalità il cui
continuum viene ripetutamente smontato e rimontato. In questo abbandono
del concetto di un continuum temporale lineare “il nostro corpo affronta la
sensazione contraddittoria della perdita dei propri limiti rimanendo però
consapevole”6. Negli articoli presenti nel manifesto, come pure nei romanzi
di William Gibson, per citare forse il più rappresentativo degli scrittori di
questo genere, appare evidente non solo lo sforzo di coniugare il biologico
con le nuove frontiere tecnologiche, ma anche l’intenzione di operare una
critica nei confronti della società post-industriale e post-capitalista. La stessa
potente carica euristica si può rinvenire anche nel Manifesto Cyborg di Donna
Haraway del 19917, che ha costituito un punto di partenza importante per il
pensiero delle donne, spingendole a riconsiderare, come dice Rosi Braidotti,
il loro rapporto con il corpo, la tecnologia e la scienza e, soprattutto,
ad utilizzare ‘le nuove tecnologie a favore delle donne.’8
I personaggi di Gibson sono veri e propri cyborg, uomini che
portano sul corpo i segni fisici della tecnologia: un braccio meccanico
multiuso, armi retrattili nascoste sotto le unghie, fori alla base del cranio.
Questa mutazione o metamorfosi della carne in metallo o in chips non è
però sempre indolore: il corpo fisico resta ancora come ‘materia organica’
sulla quale operare trapianti, innesti, interventi chirurgici che lasciano
tracce sul corpo corazzato. Come ha messo in luce Scott Bukataman, il
corpo diventa un ‘oggetto bricolage’ con vari accessori. Questo corpo, che
tenta disperatamente di fondersi e confondersi con la macchina, diventa
anche lo sfondo sul quale proiettare disagi sociale o possibili cambiamenti.
L’universo di Gibson, lungi dall’essere un universo utopico, si presenta
con connotazioni distopiche. La grande rete informatica, la nuova ‘città’,
si configura infatti come nuovo spazio decentrato, basato sul concetto del
network senza confini, un grande reticolato nelle cui maglie vivono i nuovi
esseri, inconsapevolmente manipolati dai pochi che detengono l’accesso alle
‘matrici’. Questo mondo è così dominato dalle grandi multinazionali, che
operano come nuovi guardiani di un’unica società panottica; l’unica arma di
rivolta è nelle mani degli hackers, che, con azioni episodiche possono però
solo scalfire il sistema del potere, ma non certo sovvertirlo. L’unica forma
di libertà nei romanzi di Gibson è quella di una guerriglia urbana che può
avere luogo soltanto nei vicoli del gigantesco rizoma dei media: un labirinto
che spesso è paragonato alla mappa di una città. All’uomo cyberpunk resta
solo la possibilità di isolarsi nel proprio mondo e vivere nel porto-franco
rappresentato dalle cyberzones, mentre coloro che detengono il monopolio
controllano il loro tesoro, fatto di informazione, e contemporaneamente si
godono i parchi dei divertimenti virtuali.
6. Davide Brolli. Cuori elettrici:
l’antologia essenziale del
cyberpunk. Torino:
Einaudi, 1986.
7. Donna Haraway. Manifesto
Cyborg. New York: Routledge,
1991 (trad. it. a cura di Liana
Borghi. Manifesto Cyborg.
Donne, tecnologie e biopolitiche
del corpo. Milano: Feltrinelli,
1995).
8. Rosi Braidotti. “La
molteplicità. Un’etica per la
nostra epoca, oppure meglio
cyborg che dea”. In: Manifesto
Cyborg, cit., p. 12.
299
Vita Fortunati e Eleonora Federici
9
Vivian Sobchack. “New
Age Mutant Ninja Hackers:
Reading Mondo 2000”. In:
Flame Wars. The Discourse
of Cyberculture. Mark Dery
editor, Durham and London:
Duke University Press, p.
24. [Il promuovere futuri
networks utopici, dove tutti
sono collegati a tutti, in modo
trasversale rispetto alle divisioni
di classe, Nuovi Mutanti
Epocali Ninja Hackers immersi
in questo sogno comunitario,
non implica nessuna idea
reale di come raggiungerli.
Invece essi privilegiano
l’individuo – modellandosi
sulle combinazioni del mondo
logoro di Case in Neuromancer
o di Rick Deckard in Blade
Runner […]. Sebbene il sogno
sia quello di una utopia della
comunicazione, l’impulso che
prevale è quello di assicurare il
massimo dell’individualismo
e della privatizzazione.]. Cfr.
anche Donna Haraway. Private
Visions: Gender, Race and Nature
in the World of Modern Science.
London; Routledge, 1989.
10
R. Scott, USA, 1982.
300
Da questo punto di vista, la narrativa di Gibson può essere
accostata al filone della fantascienza sociale: nei suoi romanzi vengono
criticati alcuni aspetti che caratterizzano la società dell’informazione.
Mi riferisco soprattutto ai ‘corrieri’ umani, persone che vengono usate
dalle multinazionali per immagazzinare informazioni che loro però non
conoscono e che devono solo trasportare. I personaggi di Gibson appaiono
come drogati di informazione, che si stipa nelle loro cellule terminali:
correnti di informazioni che circolano senza tregua tra cervelli e computer;
essi diventano, quindi, gli elementi biologici della grande rete. A loro,
infatti, non è concesso di accedere al cyberspace, perché non conoscono
la chiave, il codice, la password. Il potere è ‘sapere’ o, meglio ‘decifrare’,
dare un senso alle informazioni, possedere le matrici; un sapere che è gestito
in modo altamente gerarchico dal soggetto collettivo delle multinazionali ed
è negato agli hackers. Ed è per questo che gli hackers cercano disperatamente
il codice d’accesso per fare crollare tutte le difese delle multinazionali.
L’operazione di Gibson è interessante soprattutto per il tentativo di
coniugare l’alta tecnologia informatica con la cultura underground, ispirando
un immaginario visivo che ha attraversato la cinematografia, i fumetti, i
videoclips, le nuove forme di arte contemporanea. Tale produzione è stata
però ben presto inglobata da una vera e propria industria culturale. Gibson,
come tanti altri scrittori che hanno usato il genere ‘cyborg’, non rappresenta
l’ultimo orizzonte dell’utopia: se è vero infatti che in Gibson vi è ancora il
fascino di un ideale collettivo realizzato dai gruppi di emarginati, le tribù
underground, coloro che sono stati cacciati dal mondo dell’alta tecnologia, è
però anche vero che questi reietti si ribellano senza avere un preciso ideale o
una precisa ideologia da realizzare o da proporre. Non è possibile considerare
queste figurazioni apocalittiche una nuova forma di utopia. Come sostiene
Vivian Sobchack: Promoting future utopian ‘Networks’ in which everyone at every level of society is
connected and plugged in to everyone else, the New Age Mutant Ninja Hackers,
in the midst of this communitarian dream, have no real idea of how to achieve
it. Instead, they privilege the individual – modelling themselves after some
combination of Neuromance’s world weary Case and/or Blade runner’s Rick
Deckard […] Although it dreams of a communication utopia, its major impulses
are to secure maximum individualism and privatisation9.
La rivolta di Case, il protagonista di Neuromancer (1984), o quella
Rick Deckard in Blade Runner (1982),10 per citare solo i due modelli per
eccellenza, si limitano, infatti, ad una pratica di resistenza quotidiana, non
sostenuta da una utopia realmente percorribile, pubblica e collettiva.
L’ambiguità dell’operazione di Gibson consiste proprio nel fascino
che egli prova nei confronti di questo nuovo universo, che annulla la capacità
critica nel flusso accelerato e velocissimo dei bits, affascinando il ‘navigatore’
e facendogli assumere un atteggiamento quasi mistico nei confronti di chi
detiene la matrice. È il ritorno del Grande Fratello, invisibile, onnipotente,
e invincibile. L’unico orizzonte possibile, misero surrogato dell’utopia, ha lo
stesso colore dell’incipit di Neuromancer, “the color of the television tuned
William Gibson e Pat Cadigan
to a dead channel”11. Nei romanzi di Gibson emerge quindi una relazione
contraddittoria nei confronti del cyberspace, perché se da un lato l’interfaccia
con il computer rende possibile concepire un desiderio di fuga dal corporeo,
e una sorta di piacere sensuale tecnologico, dall’altro questo spazio virtuale
rappresenta la perdita dell’io unitario.
2. Il cyberpunk di William Gibson e Pat Cadigan
La seconda parte del saggio è focalizzata sulla differenza tra le
rappresentazioni corporee nel cyberpunk prendendo come esempi i romanzi
di William Gibson e la scrittura di Pat Cadigan, considerati entrambi
autori principali di questo genere. A differenza di altre voci femminili che
in anni recenti si sono adeguate ad una commercializzazione del genere la
scrittrice ha mantenuto una prospettiva critica sia nei confronti del sociale e
degli sviluppi tecnologici così esaltati nel cyberpunk che nei riguardi di una
revisione politica dei rapporti di potere tra i generi12.
A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso la politica visionaria
del femminismo ha creato una serie di opere fantascientifiche cyborg e
cibernetiche nelle quali la fusione della carne con il metallo, della natura
con la tecnologia diventa un potente mezzo euristico per decostruire la
costruzione binaria dell’identità sessuale e per mettere in discussione il
concetto di alterità. A questo proposito Chela Sandoval rinviene nella
scrittura delle donne una sorta di “cyborg consciousness”13 sottolineando
una responsabilità verso la differenza in ogni rappresentazione del corporeo
e del sociale. Sullo sfondo di queste nuove figurazioni del corpo vi sono non
solo le teorizzazioni del cyborg di Donna Haraway ma anche del soggetto
nomade di Rosi Braidotti, di quello ‘queer’ di Judith Butler e la ‘mestiza’
di Gloria Anzaldùa, tutte teorie che vogliono decostruire la concezione di
un soggetto unitario e totalizzante per proporre una soggettività mobile
che sia in grado di oltrepassare le barriere etniche e geografiche e di
problematizzare l’opposizione norma/devianza14. Queste nuove figurazioni
del corpo e dell’identità del Soggetto donna hanno l’importante funzione
“utopica” di scuotere le fondamenta su cui si basa il pensiero e l’ordine
simbolico della cultura occidentale. In queste opere le nozioni di spazio e
di territorio vengono decostruite e messe in questione in quanto riflettono
una volontà di segregare ed emarginare, poiché sia lo spazio che le frontiere
si sono da sempre configurate come categorie ontologiche. Una discussione
sul cyberfeminism (comprendendo non solo la narrativa cyberpunk e
di fantascienza, ma anche le rappresentazioni di genere nella rete) è un
fenomeno complesso e richiede un’analisi più approfondita15. L’aspetto da
sottolineare è che il cyberfemminismo non si configura come una teoria
omogenea, ma come una strategia spaziale che include molti movimenti,
talvolta tra loro conflittuali, come il femminismo liberale e quello radicale,
uno spazio mobile e rizomatico che attraversa le differenti posizioni teoriche
sulla scienza, la tecnologia e il corpo cercando di ridefinire la nozione di
spazio e di soggettività. Aldilà delle molteplici differenze si può dire che
11
William Gibson.
Neuromancer. London; Harper
Collins, 1995, p. 9.
12
Pat Cadigan. Mindplayers.
New York: Bantam, 1987;
Fools. London: Harper Collins,
1994; Tea from an Empty Cup.
London: Harper Collins, 1998.
13
Chela Sandoval. “New
Science: Cyborg Feminism
and the Methodology of
the Oppressed”. In: Cyborg
Handbook. New York, London:
Chris Hables Gray, 1995,
pp. 407-422.
14
Rosi Braidotti. Nomadic
Subject. New York: Columbia
U.P., 1994; Judith Butler.
Gender Trouble: Feminism and
the Subversion of Identity. New
York: Routledge, 1990; Gloria
Anzaldua. Borderlands/La
frontera. The New Mestiza.
San Francisco: Aunt Lute
Books, 1987. Vedi R. Baccolini,
M.G. Fabi, V. Fortunati, R.
Monticelli, a cura di. Critiche
femministe e teorie letterarie.
Bologna: Clueb, 1997.
15
Sandy Stone. The War of
Desire and Technology at the
Close of the Mechanical Age.
Cambridge: MIT Press, 1995;
Sadie Plant. Zeros + Ones.
Digital Women and the New
Technoculture. London: Fourth
Estate, 1998; Jenny Wolmark,
ed. Cybersexualities: A Reader
on Feminist Theories, Cyborgs
and Cyberspace. Edinburgh:
Edinburgh University Press,
1999;
301
Vita Fortunati e Eleonora Federici
16
Sherry Turkle. Life on the
Screen: Identity in the Age of
Internet. New York: Simon and
Schuster, 1995.
17
William Gibson.
Neuromancer. New York: Ace,
1984; Count Zero. London:
Victor Gollancz, 1986; Mona
Lisa Overdrive. New York:
Ballatine, 1988; Idoru. New
York: Berkley Books, 1996.
18
Anna Balsamo. Technologies
of the Gendered Body: Reading
Cyborg Women. Durham: Duke
U.P., 1996.
19
Eleonora Federici. “Il corpo
disseminato nel cyberspazio
di William Gibson e Pat
Cardigan”. In: Merope, n. 28,
1999, pp. 105-126.
302
la politica cyborg è il prodotto di un’epoca tecnologica e transnazionale
che favorisce la creazione di identità polimorfe e ibride: il ‘cyberspace’
delle donne diventa matrice e interfaccia di sperimentazioni sull’identità,
ponendo questioni fondamentali quali lo iato tra la materialità del corpo e
il virtuale, il rapporto tra il computer e la psiche umana e di come esso la
modifichi.16
Il cyberpunk distopico di Pat Cadigan si pone in una posizione
critica nei confronti della tradizione maschile del cyberpunk, espressione
di un individualismo maschile estremo, talvolta anarchico ed egocentrico,
non esente da forme di xenofobia. Esempio sono i romanzi di Gibson in
cui l’autore propone una rappresentazione stereotipata del personaggio
femminile.17 In Mona Lisa Overdrive i personaggi femminili riprendono
ruoli e rappresentazioni di genere stereotipate. Angela, la diva, è simbolo
dell’ideale di bellezza femminile, Mona è una ragazzina il cui corpo viene
ricostruito e rimodellato per assomigliarle, Kumiko è la figlia di un gangster
della mafia giapponese la cui vita è gestita completamente dal padre e Molly
è una cyborg che pur allontanandosi dall’ideale femminile di passività
rimane ancorata ad una raffigurazione di genere stereotipata. Molly è una
street samurai che si muove a suo agio nell’enorme territorio urbano che si
espande da Boston ad Atlanta, ha gli occhi nascosti da un paio di occhiali
a specchio le cui lenti sono chirurgicamente innestate nel suo corpo,
la sua arma letale si nasconde sotto le unghie, una serie di affilate lame
retrattili. Su questo personaggio Gibson proietta l’atavica paura maschile
nei confronti del corpo femminile.18 Il proliferare di presenze femminili
all’interno della matrice viene rappresentato come un elemento pericoloso:
la matrice è per l’hacker spazio erotico che diventa letale perché egli non
è capace di destreggiarsi al suo interno. Il ‘cowboy della consolle’ finisce
spesso per consolidare il nucleo familiare patriarcale, proprio all’interno
della matrice, immenso spazio femminile, Gibson crea una nicchia per
l’eroe in cui contrappone alla madre – matrice che incute paura, la figura
confortante della moglie come custode arcaica della famiglia.
La narrativa cyberpunk della Cadigan (l’unica donna ad essere
inclusa nella antologia dei racconti Mirrorshades) si differenzia da quella
di Gibson, perché nelle sue storie appare evidente la sua volontà di
evitare quella sorta di essenzialismo tecnologico presente nel cyberpunk
maschile. Il cyberpunk della Cadigan si focalizza su cosa significhi essere
umani a contatto con un mondo tecnologico, su come cambi il concetto di
identità attraverso l’interfaccia con un mondo simulato e su come questa
esperienza consenta di confrontarsi con le reali relazioni di potere tra
generi nella società.19 Il cyberspace rappresenta invece per la fantascienza
femminile un luogo per rimettere in discussione il concetto di corpo e di
identità. Se nella fantascienza di Gibson l’eroe è un hacker della rete che
attraverso la proiezione del proprio corpo nel virtuale riconsolida la propria
mascolinità e il proprio narcisismo, nei romanzi della Cadigan il cyborg
è invece considerato un soggetto decostruttore di significati patriarcali
e il cyberspace diventa uno spazio per sovvertire la logica binaria anche
mediante il tema del travestimento. Nelle sue storie la scrittrice mette al
William Gibson e Pat Cadigan
centro il rapporto tra essere umano e macchina e lo problematizza in modo
diverso, mostra come in una società distopica e ipertecnologica dominata
dal multicapitalismo, questo rapporto può avere sia risvolti negativi che
positivi. Diversamente dal cyberpunk maschile l’interazione tra essere
umano e macchina evidenzia una commistione tra umano e tecnologico
che viene vissuta come un processo di trascendenza del corpo piuttosto
che di trasformazione. I personaggi di Gibson si connettono al computer
più per fuggire alla loro realtà sociale che per metterla in discussione,
al contrario, la narrativa della Cadigan dimostra una volontà di mostrare
le possibilità di una trasformazione radicale del processo socio-politico.
Lo stesso cyberspace diventa per la scrittrice non una perdita del sé, ma uno
strumento per indagare la nozione di identità come avviene per esempio
nel romanzo Mindplayers (1987), dove il computer serve alla protagonista
per navigare nelle menti altrui attraverso il mindplay, un sorta di telepatia
mediata tecnologicamente.
La ricerca della identità nel rapporto tra essere umano e tecnologia
viene presentato anche nel racconto Pretty Boy Crossover (1987)20 dove
l’autrice si focalizza proprio sul rapporto tra video e corpo umano in un
mondo dove i media sono onnipresenti e rappresentati come uno strumento
fagocitante e pericoloso nelle mani di poche persone che detengono il potere
economico. In questo racconto il corpo umano al contatto con la tecnologia
diventa un involucro ricettivo, che nel suo avvicinarsi allo schermo viene
completamente risucchiato e travasato in esso. La Cadigan mette così
in discussione il confine tra identità umana e la rifrazione del corpo nei
media. In tutte le sue storie, la Cadigan mette al primo posto il rapporto tra
soggettività umana e interfaccia con i media sottolineando come l’identità
sia strettamente legata al corporeo e come il medium possa trasformarsi in
uno strumento della perdita del sé. La Cadigan, come la Haraway evidenzia
come ripensare il Soggetto significhi riprendere in considerazione la sua
radice corporea, dato che oltre ad essere biologico, il corpo è un campo
di iscrizioni culturali e il sito della costituzione della donna. La Cadigan
rappresenta l’identità del soggetto donna come multipla, plurale e che non
si può racchiudere nel rapporto dicotomico organico/inorganico.
In modo simile Donna Haraway definiva il cyborg uno strumento
per la politica femminista, dove la tecnologia viene vista come un mezzo
per migliorare la vita delle donne: “The cyborg is our ontology; it gives our
politics. The cyborg is a condensed image of both imagination and material reality, the two joined centers structuring any possibility of historical
transformation.” 21
Il manifesto della Haraway ha sottolineato l’importanza di una
posizione critica e propositiva delle donne nella rivalutazione delle
complesse raffigurazioni del corporeo tecnologico, a partire dal cyborg
utilizzato come potente metafora dell’alterità. La Haraway è stata criticata
per la posizione estremamente utopista nei confronti del corpo cibernetico,
soprattutto nei suoi primi scritti. Seguendo il percorso teorico di questa
studiosa e la sua mappatura di una ‘antropologia cibernetica’22, un altro
studioso di rappresentazioni corporee tecnologiche, Chris Hables Gray,
20
Pat Cadigan. “Pretty Boy
Crossover”. In: G. Dozois, ed..
The Year’s Best Science Fiction:
Fourth Annual Collection. New
York: St. Martin’s P., 1987,
pp. 106-114.
21
Donna Haraway 1990,
p. 191 [Il cyborg è la
nostra ontologia, ci dà la
nostra politica. Il cyborg è
un’immagine condensata di
fantasia e realtà materiale, i due
centri congiunti che insieme
strutturano qualsiasi possibilità
di trasformazione storica].
22
D. Haraway. Modest
Witness@Second Millenium
Female Man Meets OncoMouse:
Feminism and Technoscience.
New York: Routledge, 1997.
303
Vita Fortunati e Eleonora Federici
23
C. Hables Gray. The
Cyborg Citizenship. London:
Routledge, 2000.
24
J. Cameron, The Terminator,
USA, 1984 e Terminator 2;
Judgment Day, USA, 1991.
J. Mostow, Terminator 3:
Rise of the Machines, USA,
2003. Eleonora Federici.
“The Cyborg Strikes Back:
Images and Representations
of a Cultural Icon through
the Media”. In: M. Silver and
G. Buonanno, eds. CrossCultural Encounters: Identity,
Gender, Representation. Roma:
Officina edizioni, 2005, pp.
117-126; E. Federici. “From
Cyborg to Human and Back:
The Terminator Series”. In:
C. Pagetti and O. Palusci, eds.
Delicate Monsters. Literary
Creatures of Wonder. Milano:
Cisalpino, 2007, pp. 217-230.
304
ha riaffermato la potenzialità di decostruzione delle categorie di genere
e classe sociale. L’anatomia del cyborg mette infatti in discussione i ruoli
di genere codificati ed il concetto stesso di alterità proprio partendo da
una revisione di tale concetto. Il cyborg, novello Leviatano, rappresenta
la tecnoscienza e offre una nuova concezione dell’identità umana in bilico
tra tradizione e progresso, corpo e mente, natura e tecnologia.23 Come
già sottolineava la Haraway nella sua introduzione al Manifesto, i cyborg
non sono immagini immobili ma mutano, sia nella realtà che nei mondi
dell’immaginazione in cui sono protagonisti. Se da una parte dunque gli
studiosi continuano ad evidenziare la potenzialità decostruttiva del cyborg,
dall’altra la cultura popolare trasforma questa figura in una icona sempre
più familiare e sempre meno mostruosa e ‘altra’. Il cyborg, soprattutto
nella cinematografia prodotta da uno sguardo maschile – basti pensare alla
trilogia dei film di Terminator – si umanizza sempre più, mentre l’essere
umano viene ritratto con tratti iper-razionali e sempre meno emotivi, e di
conseguenza meno umani.24 L’uomo macchina da sempre fonte di paura
nella fantascienza si è via via trasformato nell’immaginazione collettiva,
assumendo sempre più il ruolo di simbolo dell’umanità. Da potente arma
di distruzione diventa nella serie di Terminator il salvatore dell’umanità,
ultimo simbolo di una mascolinità avventurosa ed eroica contrapposto
al cyborg femminile che è nuovamente posto come simbolo di alterità.
La cyborg rimane infatti emblema della mostruosità e dell’alterità
femminile. Dovremmo forse aspettare uno sguardo femminile alla regia per
vedere una diversa rappresentazione cinematografica della cyborg. Nelle
rappresentazioni culturali l’identità rimane comunque legata al corporeo,
umano o tecnologico, e alle iscrizioni iscritte su di esso. Il cyberpunk con i
suoi mondi in cui la tecnologia è parte dell’essere umano offre un’interessante
possibilità di rimettere in discussione la costruzione dell’identità di genere.