Comunicare in modo efficace in ambito educativo
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Comunicare in modo efficace in ambito educativo
Comunicare in modo efficace in ambito educativo: una sfida possibile? Dott. Luigi Gramegna CON LE PAROLE ED OLTRE LA PAROLA “Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle. Nei nostri seminari chiamiamo ‘manomissione’ questa operazione di rottura e ricostruzione. La parola manomissione ha due significati in apparenza molto diversi. Nel primo caso essa è sinonimo di alterazione, violazione, danneggiamento. Nel secondo, che discende direttamente dall’antico diritto romano (manomissione era la cerimonia con cui uno schiavo veniva liberato), essa è sinonimo di liberazione, riscatto, emancipazione.” Lucchini Entrare in comunicazione con l’altro da sé rappresenta una delle condizioni irrinunciabili della competenza educativa. Ma cosa possiamo intendere per comunicare; non si tratta forse di una moda verbale? Sembrerebbe a volte che se ne parli più di quanto la si favorisca, in un processo in cui teoria e nominalismi sembrano voler sanare le carenze pratiche. Propongo di indagare la parola comunicazione e coglierne i suoi aspetti peculiari oltre la e le parole, indagandone anche gli aspetti non verbali: suoni, rumori, odori, distanze e movimenti fisici ed emotivi. I DUE VERSANTI DELLA COMUNICAZIONE “L’inconscio (le molte menti che non parlano dell’emisfero destro) decodifica immancabilmente ogni comunicazione non verbale. E’ la nostra coscienza che, a volte, rimane al buio”. Baiocchi – Toneguzzi “Dietro le parole c’era una volta un gesto”. Andrè Leroi-Gourban Possiamo sicuramente cogliere due aspetti insiti nella comunicazione umana: -un momento di interazione e scambio con l’altro 1 -un momento di contatto e vicinanza con l’altro. Dunque sono compresenti nella comunicazione due macro-concetti: 1) Il concetto di scambio: -attenzione sull’oggetto -che cosa si scambia. Definiamo questo versante della comunicazione, tecnico funzionale. 2)Il concetto di contatto: -attenzione sul processo di incontro -chi si contatta e come -fattore umano. Scambio e contatto sono compresenti ma risulta spesso difficile una gestione contemporanea dei due aspetti. E, ancor più spesso, si tende a dare meno attenzione al secondo aspetto relativo al contatto. IL GIUDIZIO COME MASCHERA DEL SENTIRE “Per insegnare non basta conoscere solo la disciplina che si insegna ma anche il soggetto che l’apprende. Il soggetto appare a volte incomprensibile, indecifrabile, misterioso. La tentazione, a questo punto, è di far ricorso al giudizio, alla condanna morale delle nuove generazioni. E’ così che l’insegnante finisce per mettersi fuori gioco da se stesso”. F. Montuschi Comprendere e soprattutto sentire al posto di giudicare, acquista così il significato di conservare il proprio ruolo professionale, anche quando si incontrano difficoltà comportamentali e sociali da parte dei propri utenti. Ogni volta che giudichiamo qualcuno, fermandoci a pensare come sia, stoppiamo la relazione con lui per entrare soltanto dentro di noi. Stare in relazione significa invece andare oltre il giudizio. Accettare l’altro significa in sostanza non piegarlo ai nostri modelli, ritenendo che debba o che possa essere quello che noi vorremmo fosse. E’ chiaro tuttavia che di fronte a comportamenti dell’altro che percepiamo scorretti è sano e naturale provare emozioni spiacevoli. E’ tuttavia onesto e produttivo riconoscere tali emozioni come nostre e come tali rispettarle. Il riconoscimento di bisogni ed emozioni come propri è uno dei primi passi dalla fusione relazionale, più diffusamente chiamata simbiosi, verso l’individuazione e dunque verso l’autonomia oltre il dato puramente funzionale. Una relazione simbiotica è invece assai diffusa nelle professioni educative non solo tra gli utenti ma anche tra gli educatori. LA RELAZIONE SIMBIOTICA 2 “E’ attraverso la sintonizzazione corporea che noi tutti abbiamo imparato che le altre persone possiedono differenti stati interiori e modi diversi di comunicare che esiste un vissuto interno e uno esterno, che la comunicazione è resa possibile dal delicato lavoro sulla distanza da porre fra noi e gli altri senza che si smarrisca la relazione”. Ivano Gamelli L’indagine sulla relazione simbiotica consente di individuare: -disfunzioni del rapporto educativo; -carenze di funzionalità in entrambi gli interlocutori. Tale forma relazionale contraffatta è spesso rilevabile nella comunicazione educativa disfunzionale, allorquando chi ha bisogno di aiuto non lo chiede esplicitamente e chi offre aiuto non chiarisce e concorda la propria offerta. Tutto resta alluso e inteso secondo un bisogno personale e non secondo il reale bisogno altrui. Allenarsi a capire il reale bisogno dell’altro ed il proprio prima di adoperarsi, aiutare gli utenti ad individuare i propri bisogni, facilitarli nell’apprendere a chiedere senza ricatti o atteggiamenti di passività, possono essere alcune premesse iniziali per tenersi lontani dalla relazione simbiotica. I più frequenti tranelli nella relazione educativa che coinvolgono educatori e docenti, si riferiscono all’assunzione del ruolo del Salvatore. IL RUOLO DEL SALVATORE “Avere un dittatore da compiacere è un vero guaio. Poco male se si trattasse solo di ballare a testa in giù. Con un po’ di pratica chiunque ci può riuscire. Il vero problema è che non c’è modo di sapere da un giorno all’altro, da un minuto a quello seguente, qual è l’alto e quale il basso”. Chinua Achebe Secondo la psicologia umanistica, la nevrosi non è da intendersi come una malattia ma come una condizione umana di partenza. In questo senso propongo di indagare alcuni ruoli comunicazionali nevrotici. Salvare qualcuno che non sa nuotare non è certo inquadrabile come comportamento da salvatore in senso nevrotico, diverso è il caso di portare puntualmente lo zainetto al proprio figlio o fare i compiti al posto suo oppure aiutare uno “splendido quarantenne” ad attraversare la strada. Parliamo insomma di quei comportamenti sostitutivi che impediscono al nostro interlocutore di vivere quelle occasioni di crescita che la vita ed i contesti gli propongono, secondo una legge che già Freud aveva definito principio di realtà. 3 Il ruolo del Salvatore si contraddistingue per un’apparente, smodata generosità, per un aiuto sproporzionato che, proprio perché tale, risulta ingannevole ed insidioso per gli effetti su entrambi gli interlocutori ed il contesto. L’istanza di aiutare l’altro, è spesso latente in chi sceglie professioni educative. Tale istanza va però educata attraverso un processo di consapevolezza dei ruoli giocati nella relazione educativa. L’aiuto di cui il comportamento del salvatore è oggetto, pur manifestandosi in superficie come atto di generosità a tratti eroica, si rivela invece a più attento esame di segno contrario. L’aiuto dato dal Salvatore è individuabile per l’assenza di un vero bisogno da parte dell’interlocutore soccorso. Si tratta dunque di una particolare forma di aiuto che, anziché basarsi su una responsabilità ed un potere reciproco, svaluta di fatto le capacità del proprio interlocutore sul piano funzionale e le sue intenzioni e motivazioni sul piano affettivo. La persona incautamente soccorsa, può dunque convincersi di essere realmente incapace o, nel miglior dei casi, con il tempo rinuncerà all’esercizio della propria responsabilità ed autodeterminazione. Il Salvatore, non prende in carico il reale bisogno del proprio interlocutore perché è preoccupato di se stesso: necessita di curare la propria considerazione di fronte a se stesso e di fronte agli altri. L’aiuto “donato”si costituisce così come occasione di guadagno personale, di profitto morale e sociale; la ratio di questo soccorso, generoso e fraudolento, non è centrata sul bisogno altrui ma sul proprio. Il profitto personale, cui si allude, può naturalmente essere di diversa matrice: zittire i propri sensi di colpa (magari di colpe mai commesse), farsi amare dagli altri; percepirsi efficaci nel proprio ruolo di educatore, genitore, insegnante oppure trovare motivi di stima nei propri confronti. Un aiuto calibrato sul bisogno dell’altro è possibile attraverso un contatto contemporaneo con l’altro e con se stesso. L’aiuto del salvatore, viceversa, si fonda su una relazione definibile io-me piuttosto che io-te. DAL SALVATORE AL PERSECUTORE “E’ la teoria a decidere cosa possiamo osservare”. Albert Einstein “Noi siamo ben oltre le parole”. Friedrich Nietzsche La truffa comunicativa, per cui si aiuta l’altro per aiutare se stessi, è apertamente svelata da un repentino cambio di ruoli. 4 Il Salvatore che fallisce nei suoi tentativi di soccorso per la mancata collaborazione del suo interlocutore o per il suo esplicito rifiuto, assume all’improvviso il ruolo di Persecutore. La stessa persona che era oggetto di solerti cure e di premurose attenzioni diviene inaspettatamente oggetto di accuse gravose e di rabbiose critiche. Chi non accetta l’aiuto viene così giudicato e imputato motivo del proprio “fallimento educativo”. L’aiuto rifiutato diventa così ragione di frustrazione e di fallimento per il Salvatore che non ritiene di poter tollerare tanta “ingratitudine” del suo interlocutore. Ci sono allora tutte le ragioni per incolpare, punire e “far giustizia”: per incarnare quindi il ruolo del Persecutore. Il repentino cambiamento disorienta entrambi gli interlocutori. Il Salvatore fallito, a seguito dell’inutile assunzione del ruolo del Persecutore, può così assumere i panni di Vittima e soffrire nuovamente per l’ingratitudine degli “altri” siano essi i colleghi, giovani, gli studenti, i genitori… IL TRIANGOLO NO “La natura contagiosa della nevrosi si basa su un complicato processo psicologico nel quale giocano una parte i sentimenti di colpa e di paura di essere esclusi, così come il desiderio di stabilire contatto, anche se si tratta di uno pseudo contatto”. Frederick Perls “In ogni presa di coscienza vi è una crescita d’essere” Gaston Bachelard Questo circuito triangolare, descritto da S. Karpman, prevede una risposta speculare: al ruolo di Salvatore fa riscontro il ruolo di Vittima dell'altro; al ruolo di Vittima fa riscontro quello di Persecutore o di Salvatore, e così via. Il continuo scambio ed avvicendamento delle parti porta a esperire comunicazioni nevrotiche e continui fraintendimenti, piuttosto che relazioni basate sulla responsabilità reciproca e la conseguente possibilità di scelta e autodeterminazione. L’inganno è insito nel ritenere di poter pensare ed agire per l’altro mentre in realtà e inconsapevolmente l’interlocutore sta pensando a se stesso. Si tratta appunto di una comunicazione che prende spesso l’accento di una pseudo relazione (io-me piuttosto che io-te) e tuttavia, il proprio benessere diventa così soggetto e dipendente dalla risposta dell’altro. 5 Una pratica basilare consiste nel chiedere prima di intervenire nel dare aiuto. I ruoli nevrotici o “drammatici” , secondo S. Karpman, fanno da copione a una trama di relazioni disfunzionali ricorrenti nella vita e dunque anche nell’esperienza educativa e scolastica. Ogni persona gioca un ruolo “privilegiato” che assume con maggiore facilità in presenza di interlocutori che giocano ruoli complementari. Chi agisce con facilità il ruolo del Salvatore sarà più chiaramente attratto da una persona che interpreta il ruolo della Vittima. Chi ha dimestichezza con il ruolo della Vittima entrerà nella relazione triangolare allorquando incontra chi gioca prevalentemente il ruolo del Salvatore che gli darà l’illusione di essere soccorso; oppure sarà parimenti attirata dal ruolo del Persecutore che, facendola soffrire, potrà riconfermarle di essere effettivamente una Vittima. Ciascun ruolo si nutre di una carenza emotiva: il Salvatore cerca credito preoccupandosi degli altri non avendo la capacità e la forza di occuparsi di sé. Il Persecutore punisce in nome della giustizia e per sentirsi utile, ma così facendo vuole alleviare la propria solitudine e la sua remota rabbia nei confronti degli altri. La Vittima depone il suo destino al lamento, nella speranza di avere comprensione dagli altri oppure confidando di ricevere una condanna che giustificherà effettivamente la sua continua rimostranza. Svelare tali inganni, acquisendo consapevolezza, è quindi il primo passo per tenerli lontani. Un ulteriore passo può fondarsi nello sperimentare il contatto, una pratica relazionale capace di cambiare radicalmente il rapporto con se stessi e con gli altri. SENSO E SIGNIFICATO: SENTIRE OLTRE CHE CAPIRE Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle: “ Come spiegherebbe a un bambino cos’è la felicità?” “Non glielo spiegherei”, rispose, “gli darei un pallone per farlo giocare”. Galeano Una relazione educativa per il ben-essere non può trascurare il concetto del contatto. Ma anche a tale proposito è opportuno operare un’ulteriore “manomissione di parole” ormai consunte e probabilmente un vero e proprio cambio di paradigma. Come la felicità, il contatto ha più a che fare con il senso che con il significato, con il sentire piuttosto che con il pensare. Ognuno di noi lo ha probabilmente sperimentato. 6 Il contatto ed il nutrimento psicologico che ne deriva, si possono sperimentare ma tradurre questa esperienza con le sole parole, risulta complicato perché la comunicazione va oltre le parole e si avvale di sguardi, movimenti, prossemia, ritmi e toni di voce, pause e silenzi. La comunicazione non è il solo linguaggio dell’emisfero sinistro, non è il solo linguaggio di segni arbitrari, ma linguaggio ancestrale e culturale del corpo. La comunicazione in genere ma soprattutto quella di contatto in quanto espressione di sensi, prima ancora che di significati, è difficile da esprimere avvalendosi delle sole parole. Il contatto lo sperimenta l’infante che non sa parlare se non con il suo corpo ed è sempre il contatto ad alleviare le sofferenze del morente. Così il contatto accompagna l’essere umano nei suoi contesti di vita come l’elemento psicologicamente più nutriente. “La comunicazione è il solo modo mediante il quale impariamo chi siamo: il nostro senso di identità si basa su come interagiamo e sui messaggi e le definizioni che, fin dall’infanzia, gli altri significativi (genitori, familiari, adulti per noi importanti, amici), ci inviano”. (Zani ‘94). La rete che questi affetti tramano ci sostiene o ci intrappola, di modo che “agiti” più che attori, rischiamo di riprodurre modelli comunicativi e relazionali intrappolanti. Esiste però una chiara differenza tra una formazione che si fa implicitamente, perché dimensione immanente alla vita, ed una che, viceversa, si organizza in base ad un preciso mandato. Nell’esercizio della pratica professionale in contesti psicopedagogici, è necessaria una relazione calda ma intenzionale. Affinare la propria capacità comunicativa è necessario per passare da una volenterosa disponibilità alla relazione di aiuto ad una consapevole comunicazione educativa/terapeutica in grado di supportare verso il potenziamento dell’autonomia, dell’autostima e della capacità di instaurare e mantenere relazioni d’intimità con gli altri, astenendosi dal proporre a tutti i costi, dal giudicare e dalla tendenza a sostituirsi ai normali compiti e percorsi evolutivi. Tuttavia spiegare la comunicazione in quanto congruente equilibrio tra aspetti funzionali (di scambio) ed affettivi (di contatto) è un po’ come cercare di dare forma all’acqua. CONTESTI DIFFICILI “La maggior parte di coloro che vedono più chiaramente, sentono più intensamente e agiscono più coraggiosamente, spesso sprecano se stessi e soffrono, poiché è impossibile per chiunque essere felice, finché in generale non siamo tutti un po’ più felici. 7 Se tuttavia riusciamo a prendere contatto con questa terribile realtà, vi è anche una possibilità creativa”. Perls, Hefferline e Goodman. “Lo schema delle aule si perpetua invariato, la campanella continua a strillare ossessivamente a ogni ora, mentre persiste la convinzione che si possa insegnare solo attraverso la parola.” Ivano Gamelli Al pari di un recipiente con l’acqua, il contesto fisico e relazionale entro cui una comunicazione avviene è in grado spesso di dare forma ma anche colore finanche agli aspetti di scambio. Farsi chiamare Napoleone ha un significato diverso all’interno di una rappresentazione teatrale ed all’interno di in una struttura psichiatrica. Ma non è solo questo il modo in cui il contesto, dà senso all’interazione che avviene al suo interno. Riferendoci per esempio all’ambiente scolastico, è assai imbarazzante e laborioso, insegnare il rispetto per cose e persone all’interno di un ambiente trascurato, come talvolta capita. Difficile è anche parlare di comunicazione in un ambiente in cui di fatto spesso gli alunni si danno effettivamente le spalle per una disposizione dei banchi più funzionale al controllo che all’apprendimento. L'ambiente, il contesto, è formato naturalmente di persone oltre che di oggetti. I concetti basilari del contestualismo, come quello di zone di sviluppo prossimali, benché ormai oggetto culturale di “modernariato”, non sono tuttavia realmente penetrati nell’esercizio della quotidiana pratica didattica. Secondo il concetto di zona di sviluppo prossimale del russo Vjgotskj , sono le persone che ci circondano a metterci in contatto con il mondo, per mezzo di processi che proprio attraverso l'interpsichico, la relazione con gli altri, vanno a strutturare l'intrapsichico. Tuttavia una comunicazione centrata su modelli verticistici piuttosto che sommariamente definibili come circolari, non appartiene diffusamente solo al micro contesto classe ma anche alla scuola nel suo più generale apparato organizzativo e decisionale. Appare spesso infatti retorico parlare di democraticità degli organi collegiali di una scuola in presenza di una struttura comunicativa, tipica delle assemblee scolastiche, i collegi docenti, che finanche da un punto di vista fisico risponde a stili decisionali non distribuiti. E’ oltretutto senza dubbio usurante, sentire il bisogno di impostare una comunicazione in classe, centrata sull’ascolto e che risponda a criteri di contatto e scontrarsi invece con alcuni limiti di tipo strutturale, tra cui: -mancanza di spazi progettati ad hoc 8 -mancanza di un training iniziale o in servizio alla competenza relazionale -rapporto demografico tra insegnanti ed alunni sempre più oneroso con classi sempre più affollate. Tuttavia prendere contatto con questa realtà, andare oltre una condanna ed un lamento non propositivo, ma aumentare piuttosto il livello di consapevolezza circa le dinamiche comunicative sottese alla relazione con alunni, genitori, colleghi, staff dirigenziale e struttura scolastica, può generare una sostanziale azione più congruente ai propri bisogni percepiti e quelli dei propri utenti, pur entro un realistico principio di realtà. Un training alla competenza relazionale è da intendersi non tanto come allenamento alla persuasione quanto piuttosto all’ascolto inteso come un contemporaneo contatto con se stessi, con l’altro e l’ambiente. In cinese il verbo “ascoltare” è formato dai caratteri: orecchio, occhi, mente e cuore. Propongo dunque di intendere per competenza relazionale la capacità di una comunicazione congruente. Per congruenza comunicativa si intende la congruenza tra i propri bisogni e stati d’animo e la propria comunicazione in relazione al contesto. Ciò presuppone un ascolto attivo, tanto interno quanto esterno, che richiede una forte attenzione percettiva ed emotiva. LA CONGRUENZA COMUNICATIVA “In ogni gesto c’è la mia relazione col mondo, il mio modo di vederlo, sentirlo, la mia educazione, il mio ambiente, la mia costituzione psicologia, il mio modo di offrirmi, tutta la mia biografia.” Umberto Galimberti “Coloro che vogliono andare sotto l’epidermide lo fanno a proprio rischio”. Oscar Wilde E’ possibile rilevare quattro aspetti insiti in ogni messaggio comunicativo: l’aspetto fattuale, l’autorivelazione, l’appello e la relazione. In sostanza, in ogni comunicazione è possibile cogliere un aspetto fattuale ossia il contenuto della comunicazione, un aspetto di autorivelazione cosa l’altro sta dicendo di sé, un appello che corrisponde a cosa il nostro interlocutore ci sta chiedendo implicitamente o esplicitamente, un aspetto di relazione che attiene appunto al tipo di relazione tra gli interlocutori. E’ possibile allenarsi ad individuare nelle nostre ed altrui comunicazioni questi aspetti che consentono di familiarizzare più palesemente con i 9 nostri ed altrui bisogni e con gli effetti della nostra comunicazione ovvero con la pragmatica della comunicazione. Tale settore è stato attentamente indagato dalla così detta scuola di Palo Alto ed in particolare da Watzlawich, Jackson e Beavin, che, negli anni ’60, nel libro “Pragmatica della comunicazione umana”, hanno identificato 5 assiomi che regolano la comunicazione: 1. E’ impossibile non comunicare; 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione, di modo che il secondo giustifica il primo; 3. La natura della relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti; 4. Gli esseri umani comunicano sia con il modulo digitale che con quello analogico; 5. Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Propongo di analizzare più in dettaglio tali assiomi. 1)E’ impossibile non comunicare. Tutto comunica non solo le parole ma anche suoni, colori, odori, forme distanze e movimenti. Lo studio e la conoscenza della comunicazione non verbale appaiono strumenti assai utili per educatori ed insegnanti e per quanti svolgano professioni a più marcata centratura relazionale. Questo settore di studi, rappresenta un vasto campo di interesse che non è analizzabile in questa sede. E’ tuttavia opportuno facilitare qualche interrogativo sui risvolti di tale assioma. Conosciamo le nostre modalità comunicative? E’ possibile, e soprattutto fruttuoso, preoccuparsi della propria comunicazione esclusivamente relativamente agli aspetti squisitamente didattici? Quanto e come utilizziamo e facciamo utilizzare il silenzio come una una delle modalità comunicative attive che è possibile investire in classe ed in altri contesti educativi? Neruda scriveva “il silenzio è l’ala della parola”. “Noi siamo indubbiamente esseri di parola. Paradossalmente solo una formazione che non abbia paura della sospensione e del silenzio, disponibile ad esplorare concretamente linguaggi eterogenei, a esercitarsi nel gioco delle loro possibili combinazioni-sovrapposizionitransizioni, può mostrarci un accesso completo al pensiero e alle sue parole”. (I. Gamelli ‘92). Il secondo assioma individua due aspetti insiti nella comunicazione. 2)Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed aspetto di relazione di modo che il secondo giustifica il primo. Pensiamo ad una richiesta del tipo “Potreste prestarmi attenzione?” e postuliamo adesso le molteplici modalità con cui tale richiesta può essere 10 avanzata. Sorridendo o piangendo, con voce neutrale o pronta alla stizza, lamentosa o perentoria, ironica o sfrontata. Saranno appunto gli aspetti di relazione, toni, pause, ritmi della voce, prossemica e movimenti del corpo, oltre naturalmente al contesto, a qualificare l’aspetto di contenuto espresso nella comunicazione. Nella comunicazione congruente contenuto e relazione vanno nella stessa direzione. Diverso è il caso del così detto doppio legame studiato in particolare da Bateson. Si tratta di un messaggio paradossale al quale è impossibile sia obbedire che disobbedire. Questa particolare forma di comunicazione è particolarmente disorientante e dannosa per chi ne è esposto, avendo come effetto sul comportamento una paralisi. Facciamo alcuni esempi tratti dalle lezioni di Watzlawich. Secondo un’antica storia il diavolo una volta mise in dubbio l’onnipotenza di Dio chiedendogli di creare una roccia tanto enorme che neppure Dio stesso avrebbe potuto sollevarla. Cosa doveva fare il Signore? Se non riusciva a sollevare la roccia, non era onnipotente; se riusciva a sollevarla, era incapace di crearla abbastanza grande. Tale comunicazione del diavolo conteneva appunto un doppio legame. Chiariamo con un ulteriore esempio. Si racconta che Karl Popper mandò scherzosamente una lettera ad un suo amico con il seguente messaggio: Caro M.G., ti prego di rispedirmi questa cartolina, abbi però cura di scrivere “si”, o qualunque altro segno di tua scelta, nel rettangolo vuoto a sinistra della mia firma se, e soltanto se, ritieni di poter legittimamente predire che io, quando riceverò la cartolina di ritorno, troverò questo spazio ancora vuoto. Cordialmente K. Popper Immagino il disagio e il disorientamento del lettore che avrà forse letto per due volte il messaggio per poi smascherarne il paradosso e l’impossibilità di azione. Ma tale operazione di smascheramento non è sempre così facile e tuttavia il doppio legame esercita su di noi e sugli altri il proprio ruolo paralizzante e disorientante in special modo quando non codificato come tale. Si tratta di un paradosso e di una paralisi simile a quella dell’insegnante che è chiamato a svolgere compiti educativi ma è spesso invitato 11 contemporaneamente, da genitori o dirigenti scolastici ad attenersi ai “soli” aspetti didattici. Nella stessa situazione sclerotizzante si trova l’alunno al quale è detto che per imparare è normale sbagliare ma la cui relazione con l’insegnante gli dovesse testimoniare puntualmente il contrario. Veniamo al terzo assioma. 3)La natura della relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti. Ovverosia la natura della relazione dipende dal punto di vista dal quale la guardo. Anche per spiegare tale assioma sarà utile il ricorso a qualche aneddoto. Una barzelletta in voga tra gli studenti di psicologia racconta di alcuni scienziati che a cena si complimentano tra loro per la competenza con cui sono riusciti ad indurre in ratti di laboratorio alcuni comportamenti condizionati dalla ricompensa. Dal canto loro anche i topini a cena raccontano ad altri colleghi topi: “Avete visto come abbiamo addestrato bene gli scienziati? Noi premiamo la leva e loro ci danno da mangiare”. Chi ha ragione se non entrambi gli interlocutori coinvolti nella storiella. A ben vedere si tratta di una barzelletta talvolta purtroppo esportabile ad alcune relazioni disfunzionali del contesto scolastico. Non certo tuttavia a quelle che prevedono un potere reciproco ed una autodeterminazione attraverso un progressivo allargamento dello spazio d’azione degli alunni piuttosto che un loro restringimento. Ciò non è di poco conto. In una relazione centrata sul contatto il problema non è come motivare gli alunni ma come trovare la loro motivazione. Come in sostanza far sì che l’apprendimento sia centrato sullo schema di sé dell’interlocutore ed abbia pertanto un significato personale. Gli studi sull’apprendimento evidenziano come una delle forme più potenti di rappresentazione delle conoscenze è il sé. Tale dato, noto ormai fin dall’inizio degli anni settanta, è stato riconfermato in numerose ricerche anche in tempi recenti. Ciò che questi studi hanno dimostrato è che la stessa informazione viene appresa, conservata in memoria e poi recuperata in modo più profondo ed accurato (e quindi più efficacemente) quando chi apprende associa l’informazione a sé. Il quarto assioma individua due macro modalità comunicative. 4)Gli esseri umani comunicano sia con il modulo digitale che con quello analogico. Per modulo digitale o numerico, intendiamo un sistema di segni arbitrario, come parole e numeri, per modulo analogico facciamo riferimento alla comunicazione non verbale la cui codifica ed espressione ha sede principalmente nell’emisfero destro. 12 L’ascolto ed una migliore padronanza della comunicazione non verbale, la conoscenza dei segnali di attivazione emozionale piacevoli e spiacevoli, possono essere ulteriori potenziali mezzi di avvicinamento e contatto dell’educatore con gli utenti. Per comunicazione non verbale intendiamo sia quella statica (scultura corporea) che quella dinamica: mimica facciale, gesti e movimenti, prossemica, extralinguistica (toni, pause, ritmi, ecc.). Tuttavia un’approfondita disamina dei singoli aspetti non è possibile in questa sede. L’ultimo assioma esplicita alcune posizioni che possono caratterizzare la relazione comunicativa. 5)Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza Perché ci sia una buona comunicazione si deve essere alternativamente trasmettitori o riceventi. Una posizione di questo tipo è definita complementare. Si pensi invece ad una discussione in cui ciascun interlocutore vuol convincere l’altro di avere ragione; in questa caso avremo evidentemente due posizioni simmetriche. Sono altresì simmetriche le posizioni di quei genitori, educatori od insegnanti che si propongono di essere “amici” di figli o allievi piuttosto che accompagnarli in una progressiva assunzione di responsabilità guidata da un contatto con se stessi, il proprio ruolo ed il proprio interlocutore. Gli studi sulla pragmatica della comunicazione, cui si è qui accennato, possono costituire dunque una sorta di falsa riga entro cui approfondire la relazione educativa. Possedere una dimestichezza al contatto con se stessi e con gli altri, entro uno spazio di vicinanza e non di simbiosi, consente all’educatore di ascoltare l’energia corporea, emotiva, spirituale e cognitiva, dell’interlocutore in quanto altro da sé; sarà quest’ultimo a poter così trovare la sua “forma”, la propria gestalt. 13 Riferimenti bibliografici ANOLLI L., Psicologia della comunicazione, Il Mulino, Bologna 2002. BAIOCCHI P. – TONEGUZZI D., La comunicazione affettiva e il contatto umano, Tipografia Adriatica, Trieste 2002. 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