Sergio Lubello, Carolina Stromboli
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Sergio Lubello, Carolina Stromboli
Cresti, E. (a cura di) Prospettive nello studio del lessico italiano, Atti SILFI 2006. Firenze, FUP: Vol I, pp. 55-61 Il Lessico Etimologico Italiano e i germanismi: lavori in corso Sergio Lubello*, Carolina Stromboli** *Università di Salerno, **Università di Napoli “Federico II” Abstract Questo contributo intende illustrare, nell’ambito del lavoro di redazione dei Germanismi del LEI, qualche problema specifico pertinente ad alcuni articoli in corso di ultimazione, in particolare: 1. l’it. bordello ‘postribolo’, derivato tramite il francese bordel dall’antico basso francone *bord ‘asse, pezzo di legno’, che pone alcuni problemi circa l’etimo remoto (si propende per la distinzione tra l’antico basso francone *bord ‘asse’ e l’antico francone *bord ‘fianco della nave’), la derivazione galloromanza (si è a favore di un prestito dal francese e non dal provenzale) e l’evoluzione semantica (si interpreta in senso letterale e non traslato l’attestazione dantesca di Purg. VI, 78); 2. predella, termine tecnico della mascalcia con cui Dante, in Purg. VI, 96, indica ‘una parte del freno del cavallo costituita da due aste rigidamente collegate da un traversino’; si avanza qui l’ipotesi che predella, in questo significato, derivi non da uno dei possibili etimi della voce italiana briglia (cfr. per esempio REW 1313) ma dal longobardo *predil ‘assicella’. Premessa1 Il LEI (Lessico Etimologico Italiano) ha avviato da tempo la sistemazione del materiale etimologico non latino a cominciare dalla pubblicazione, a partire dal 2000, della sezione dedicata agli etimi germanici (diretta da Elda Morlicchio). I confini dell’elemento germanico nel LEI sono stati stabiliti escludendo l’inglese (a cui sarà dedicata una sezione a parte), i derivati da nomi propri (che confluiscono nel Deonomasticon Italicum diretto da W. Schweickard) e i francesismi di derivazione germanica entrati nell’italiano dopo il 1500 (che entreranno a parte nella sezione dei francesismi); per le voci il cui tramite è stato il latino carolingio si è scelto di indicare in esponente tanto il latino medievale quanto l’etimo germanico. La pubblicazione è arrivata al IV fascicolo (in corso di stampa), mentre il V già redatto è in revisione e il VI in fase avanzata di allestimento. Di seguito si prendono in esame due voci già redatte e in corso di revisione (saranno pubblicate nel fascicolo VI): bordello e predella. Si forniscono i risultati della prima fase di lavoro, suscettibili ancora, fino alla mise en page finale nel LEI, di aggiustamenti e ultime verifiche. 1. bordello ‘postribolo’ 1.1. Conflitti etimologici: coincidenza? omografia o L’italiano bordello ‘postribolo’ è un germanismo entrato attraverso l’antico francese bordel (quest’ultimo è attestato in questo significato dal 1200ca., Bodel, TLF 4: 696b, ma in quello originario di ‘piccola capanna’, diminutivo di borde ‘capanna, tugurio fatto di assi’, dal 1100ca., Rs - 1590, Gdf, FEW 15/1: 188a)2. La forma francese bordel viene quasi unanimemente fatta risalire all’antico basso francone *bord ‘asse’ (documentato come maschile, bordus ‘assicella di legno’, in glosse latine del X secolo e passato anche al tedesco e all’inglese brothel) supponendo una forma *borda, plurale neutro con valore collettivo nel senso di ‘casa fatta di assi’3. La base francone si collega alla forma gotica (fotu-) baúrd n. ‘banchetto, sgabello per i piedi’ (Feist: 159, s.v. fotubaurd), antico nordico borð (AhDW I: 1267; De Vries: 26), antico inglese, antico frisone, antico sassone bord (ib.), antico alto tedesco bort ‘tavola, asse’. Per motivi strettamente cronologici, Corominas non è convinto della trafila che va dal germanico *bord attraverso il francese borde/-el all’italiano bordello, dal momento che, prendendo in considerazione proprio l’area iberica, nel catalano è documentata una forma borda nel significato di ‘casetta per grano e altre provviste’ già nel 965 (DELCat 2: 102), forma e significato che, del resto, non sono isolati nella Romània, come conferma, per esempio, l’attestazione, più tarda ma in tutt’altra area geografica, del rumeno bordéi pl. ‘capanne’ (1595, Tiktin-Miron 1: 299). Il significato di capanna, quindi, potrebbe essersi già irradiato nel latino tardo (ma l’attestazione moderna e isolata del triestino bordel ‘capanna’ sembrerebbe un francesismo piuttosto che un relitto). Un’alternativa etimologica al francone *bord è quella avanzata da Vittore Pisani nel 19554 che fa risalire l’it. bordello alla stessa base di bagordo, cioè all’antico francese behorder ‘giostrare, urtarsi delle lance in un torneo’ (a sua volta dal francone *bihurdan) puntando sul significato secondario e tardo contenuto nella locuzione far bordello, ma l’ipotesi, se regge ipotizzando tutta una serie di passaggi semantici, è poco convicente sul piano fonetico (il collegamento a bigordo / bagordo è stato peraltro riproposto anche di recente da Lurati, 2004)5. Resta invece non definitivamente chiarito, almeno allo stato attuale della documentazione, il problema dell’identificazione dell’etimo germanico. In effetti, un’altra famiglia lessicale di cui fa parte l’it. bordo ‘fianco della nave’ viene ricondotta all’antico francone *bord ‘bordo di un’imbarcazione’ (cfr. AhDW I: 1267), collegato all’antico nordico bord dello stesso significato, testimoniato nell’antico sassone e antico inglese bord, nel 3 1 Il paragrafo 1 è di Sergio Lubello, il paragrafo 2 di Carolina Stromboli. Per lo scioglimento delle sigle di vocabolari e repertori lessicografici e delle abbreviazioni si rinvia al Supplemento bibliografico del LEI (2002). Si indica con TLIO il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini e con corpus OVI la banca dati. 2 Il MlatW. documenta bordellum ‘lupanare’ in un codice di Sangallo del XII sec. Ipotesi, questa, già del Meyer-Lübke e si veda anche quanto sostiene Wartburg in FEW 15/1: 188. 4 Cfr. DELIN: 234. 5 Secondo Lurati (2004) il passaggio fonetico bagordo, begordo > baordo > bordo > diminutivo bordello è quanto mai normale, mentre sul piano semantico parte da bagordo ‘luogo del disordine’ per arrivare al francese bordel e all’italiano bordello come ‘luogo del disordine, del malaffare’, da cui si sarebbe poi estratto borda (cat., fr., prov. ecc.). Sergio Lubello, Carolina Stromboli neederlandese boord, nell’antico alto tedesco bort (DeVries), brort ‘margine di qualcosa’ (GamillschegRomGerm 2: 137). Questa base francone (*bord ‘bordo di un’imbarcazione’) è distinta e di fatto solo omografa dell’antico basso francone *bord ‘asse, trave, pezzo di legno’. Di tale separazione in due etimi diversi non sono sicuri, in ambito di etimologia germanica, né il Kluge-Seebold (s.v. bord-2) né l’AhdWb (I: 1267, s.v. bort ‘asse, asse della nave’) che non escludono un qualche collegamento fra le due basi (data la vicinanza semantica e metonimica tra ‘asse’ e ‘bordo dello stesso’). Così, mentre da una parte Lloyd-Springer (II: 249-251) in modo netto ritiene che i due etimi (bort-1 ‘bordo’ e bort2 ‘asse’) non vadano separati e che forse nella antica lingua dei marinai un antico germanico *bord possa aver avuto molto presto tanto il significato di ‘asse della nave’ quanto quello di ‘bordo della nave’, dall’altra la tradizione etimologica di area romanza dal Diez al REW (1215 e 1216)6 propone invece con più decisione una distinzione in due etimi. Questa’ultima tradizione viene proseguita nel LEI, che considera, sulla base delle attestazioni antiche e della cronologia della documentazione, da una parte un etimo antico basso francone *bord ‘asse’ che attraverso il francese bordel è alla base dell’italiano bordello, dall’altra una più complessa articolazione in due successivi strati germanici: uno strato anteriore *bordjan/*borda (>*bordire ‘bordare’), da cui deriverebbero le più antiche attestazioni italiane per lo più di area toscana (le prime, nel significato di ‘bordato, specie di tela’, sono quelle pratesi di bordio del 1247, di panno bordio di lino del 1275 e quella senese chapezzale di bordo del 1298)7 e uno strato successivo, antico francone *bord ‘bordo, lato’ a cui si riconduce la famiglia dell’it. bordo, bordare, abbordare, ecc. di nuovo attraverso un’intermediazione galloromanza, giacché la cronologia delle forme romanze consente di individuare il nucleo d’irradiazione nell’antico francese bord (de la nef) ‘fianco di una nave’ (1121ca, SBrendan, TLF 4: 694a), entrato nel Trecento nell’italoromanzo e nel portoghese (bordo, DELP 1: 450a), nel Quattrocento nello spagnolo (bordo, 1474, G.deSegovia, DME 1: 539a) e solo molto più tardi nel catalano (bord, 1803, DELCat 2: 101). 1.2. Dalla Francia all’Europa L’it. bordello ‘postribolo’ è documentabile negli antichi volgari italiani a partire dalla metà del Duecento: secondo il TLF (4: 696b) il prestito italiano potrebbe provenire tanto dal francese quanto dal provenzale, ma la documentazione, in particolare l’attestazione, tra le prime, del Tesoretto di Brunetto Latini, depone a favore della prima ipotesi, tanto più che la forma del sud della Galloromania (occitanico bordell) nel significato traslato di ‘postribolo’ è da considerarsi irradiazione del francese piuttosto che sviluppo semantico autonomo, come pensa invece il TLF. Nel Duecento, probabilmente con le Crociate, l’antico francese bordel, da poco evolutosi dal significato ‘capanna di assi, casa modesta’ a ‘casa di malaffare, postribolo’ (1200ca.), si espande e raggiunge la Romània meridionale, come rivelano l’antico occitanico bordelh (Manosque 1235, cart 63, PfisterMat), bordel (ante 1272, PCard, Rn 2: 238), l’antico catalano bordell (XIII sec., Llull, DCVE 2: 586) e, nella stessa epoca, l’italiano antico, le cui attestazioni più significative per la datazione e per la distribuzione geolinguistica sono: - lat.mediev.lig. (bordellus, Savona 1250) lat.mediev.bol. (bordellus, 1288) pad.a. (1255, Esercizi scolastici veneto-latini) sen.a. (metà circa del sec. XIII, in Ruggieri Apugliese) tosc.a. (1268 ca., AlbBresciaVolgAndrGrosseto) fior.a. (dal 1274, Tesoretto di Brunetto Latini; Novellino; Fiore; Dante, Purg.) - roman.a. vordello (fine del sec. XIII, MiracoleRoma; StorieTroiaRomaVolg). L’irradiazione del francesismo continua poi nel Trecento raggiungendo lo spagnolo (burdel nel sec. XIV, DCECH 1: 697) e anche fuori dall’area romanza, come si desume dal prestito di ritorno già nella seconda metà del XIV secolo nel medio alto tedesco Bordell (DtFremdWörterbuch: 439). Quest’ultimo, secondo il Kluge-Seebold: 126, sarebbe arrivato tramite il neederlandese medio bordeel, francesismo stando al suffisso diminutivo -el romanzo e non germanico (cfr. WbNedTal, III/1: 526-527). Le aree romanze più periferiche hanno conosciuto il termine solo tra Sei- e Settecento, come rivelano la forma seicentesca del portoghese bordel (DELP 1: 450) e quella settecentesca del rumeno bordél (1703, Tiktin-Miron 1: 299). All’interno di questi itinerari di parole tra le lingue europee, il LEI evidenzia anche altri debiti con il mondo galloromanzo per quanto riguarda alcuni derivati. Dal francese, infatti, già nel Trecento passano all’italiano due altri prestiti: il fiorentino bordellieri m.pl. ‘frequentatori di bordelli (o tenutari di bordello)’ attestato nell’Ottimo commento della Divina Commedia (1334ca., mentre molto più tarda è l’attestazione italiana di bordelliere, dal 1837, Tommaseo) che deriverebbe direttamente dal francese bordelier (1204, FEW 15/1: 188b; bordelière nel sec. XIII, ib.)8 e il verbo assoluto, anche fiorentino, bordellare ‘stare in un bordello, prostituirsi; frequentare i bordelli’ attestato nella Cronica del Velluti (ante 1370, TLIO) dal verbo francese bordeler ‘frequentare i bordelli’ (sec. XIII - Oud 1660, ib.). Resta il dubbio legittimo, anche se le date sono chiare, che possa trattarsi di formazioni autoctone nell’italiano come pensa Cella (2003: 347) tanto per bordellare quanto per bordelliere, alla pari di bordelai m.pl. ‘tenutari di bordelli’ attestato nel Fiore (CXXIV, 11)9. 8 6 Al franco *bord ‘tavola’ anche Castellani (2000: 130) riconduce il francesismo italiano bordello. 7 I dati del TLIO sono integrati con quelli del corpus OVI. Propende per il francesismo piuttosto che per formazione autonoma anche Hope (1971: 86). 9 Oppure la forma bordelai del Fiore potrebbe essere interpretata come calco morfo-fonematico dal fr. bordelier con cambio di suffisso, come pensa Moroldo: 138. Il Lessico Etimologico Italiano e i germanismi 1.3. Significati propri e traslati. Una proposta per Purg. VI, 78 Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello! (Purg. VI, 76-78) L’attestazione dantesca di bordello contenuta nella celebre invettiva del VI canto del Purgatorio è tra le più antiche in italiano, preceduta, in versi, solo da quelle del senese Ruggieri Apugliese e del Tesoretto di Brunetto Latini. Il verso 78 del Purgatorio, in riferimento alla stato di decadenza in cui è precipitata l’Italia, è comunemente parafrasato ‘non più signora dei popoli, ma luogo pieno di corruzione’. Di tale significato traslato di bordello il passo dantesco sarebbe, nei repertori lessicografici (da B al TLIO) la prima attestazione. Riesaminando la documentazione antica, finalmente disponibile ‘per intero’ grazie al TLIO (già analizzato in Cella 2003: 346-347 e integrato con il corpus OVI) e prestando attenzione alle chiose dei primi commentatori, l’occorrenza dantesca sarebbe invece più opportunamente da glossare con il significato proprio, quello di ‘postribolo’, piuttosto che con uno spostamento semantico, tanto più che il termine è parola ‘nuova’ e relativamente recente all’epoca di Dante, usata anche, nel senso proprio, nel limitrofo Fiore (in CCXXII 7, nella locuzione i’ le farò tener bordello). Il quadro completo della documentazione antica consente peraltro di sgombrare il campo da qualche ipotesi peregrina e stravagante, come quella di Leonetti (1950) che ha tentato addirittura di recuperare, in modo poco persuasivo, il significato etimologico di ‘capanna’ per glossare il verso dantesco (si veda la nota di Freya Anceschi in EncDant s.v. bordello). All’esegesi sono di ausilio due importanti commenti antichi, quello dell’Ottimo (erroneamente citato in B sotto il significato traslato) che glossa così il passo dantesco: «Siete come quelle che stanno nel bordello, le quali solo alla lucrativa hanno lo intelletto, e d’ogni vergogna in sé si truovano prive. E nota che ’l testo, come è detto, esclama contra luogo per grazia del locato», e quello quattrocentesco del Landino che chiosa il termine «Ma bordello!: ma meretrice. Puose il luogo per chi l’abita», spiegazione, questa del Landino, molto interessante e suggestiva perché è la prima di una linea di interpretazione, sia pure minoritaria, che ha riscosso fino ad oggi i consensi di autorevoli dantisti, da Singleton a Porena (e si veda anche il recente commento nell’edizione mondadoriana del 1994 nei Meridiani) e che si spinge a interpretare bordello, in sintonia con certa crudezza del realismo dantesco, metonimicamente come ‘meretrice’ in contrapposizione a donna di provincie. D’altra parte, se sono le leggi iustinianee a costituire l’autorevole modello che veicola la domina provinciarum, non meno autorevole fonte è quella delle sacre scritture che adoperano l’immagine della meretrice nel paragone di città e nazioni, per es. in Is., I, 21: «Quomodo facta est meretrix, civitas fidelis, plena iudicii?» (e inoltre Ier. 2,20; Ez., 16,16; Apoc. 17,1-3), senza dimenticare che il termine compare proprio esplicito nel Convivio, I, ix, 5: «l’hanno fatta di donna meretrice». E d’altro canto, il campo semantico del bordello e della prostituzione è ben usato da Dante, come giustamente ricorda Mazzoni nel suo commento, qualche canto più avanti, in Purg., XXXII, ai vv. 148-60 (in particolare nella puttana sciolta del v. 149 che simboleggia la curia papale dei tempi di Dante, quella di Bonifacio VIII e di Clemente V) con richiamo e suggestione della gran meretrice dell’Apocalisse, XVII, 15; né va dimenticato, per restare nello stesso dominio, il puttaneggiar coi regi del v. 108 di Inferno, XIX (sempre riferito alla magna meretrix, alla chiesa corrotta). Nel tono forte dell’invettiva e all’insegna di un realismo che spesso caratterizza il lessico dantesco della Commedia, sembra più pertinente a spiegare bordello il significato proprio di ‘postribolo’ in netta contrapposizione alla donna di provincie, o di ‘meretrice’ per mantenere il parallelo con donna (potrebbe trattarsi anche di un’espressione non rara con genitivo aggiogato e quindi in modo ellittico si potrebbe leggere, con una doppia possibilità: ‘non più signora delle province ma donna di bordello’ oppure ‘non più signora delle province ma meretrice delle province’). E se, al limite, si continua a propendere per la glossa tradizionale, come quella del noto commento di Natalino Sapegno, ‘nido di corruzione’, sarebbe opportuno sottolineare il significato precipuo del bordello ‘postribolo’ e cioè quello della compravendita, come emerge chiaramente dalla chiosa di Isidoro Del Lungo («in quanto la cosa pubblica non sia governata secondo diritto ma si offra e si dia a chi la vuole»). Tornando alla documentazione, non è un caso che nel TLIO siano poche e successive le attestazioni del significato traslato ‘luogo di corruzione’, non prima del quarto decennio del Trecento, a partire dal trevigiano Niccolò de’ Rossi («tu se’ de vicii un enorme bordello») al volgarizzamento di Sant’Agostino («chi vuole essere bordello delli molti iddii») fino al significato di ‘luogo molto frequentato’, vivo ancora oggi, nella Cronaca aquilana di Buccio di Ranallo («Tante some ne uscevano che parea un bordello!»). Nel francese l’uso traslato si riscontra molto più tardi, non prima dell’Ottocento, e perciò non si può escludere un diretto influsso italiano e che quindi, per chiudere il percorso della migrazione del termine, si tratti di un calco semantico, questa volta, però, cavallo di ritorno nel francese. 2. predella ‘parte del freno del cavallo’ 2.1. «Poi che ponesti mano alla predella» Nei celebri vv. 91-96 del canto VI del Purgatorio si legge: (1) Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se ben intendi ciò che Dio ti nota, guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta da li sproni, poi che ponesti mano a la predella. Il passo potrebbe parafrasarsi in questo modo: ‘ahi gente del clero, che dovresti essere devota, cioè dedita solo alle cose spirituali, e lasciare che sia l’imperatore a Sergio Lubello, Carolina Stromboli sedere sulla sella, cioè a guidare l’Italia, se ben intendi il volere di Dio, guarda come questa fiera, l’Italia, è diventata recalcitrante, riottosa, per non essere corretta con gli sproni di un cavaliere (l’imperatore), da quando tu conduci il cavallo camminandogli al fianco e tenendolo per la predella, cioè da quando eserciti il potere temporale sull’Italia’. Il clero dunque conduce il cavallo a mano e in tal modo non riesce a controllarlo efficacemente, perché bisognerebbe montargli in sella e guidarlo con fermezza, ma di questo è capace solo l’imperatore. La voce predella come termine connesso ai finimenti del cavallo, oltre che nel passo dantesco, ha scarsissime attestazioni. La prima è in un documento fiorentino del 1312, reperibile nel corpus OVI: (2) e dè dare, dì 9 febraio decto, per raconciatura di quattro freni et per due predelle et per un paio di rendini s. otto d. due tornesi piccoli (A Sapori, La compagnia dei Frescobaldi in Inghilterra) Si segnala inoltre un’occorrenza in un passo della Mascalcia di Dino di Piero Dini (1353-1359): (3) poi che ’l puledro è alquanto rassicurato gli si debbe mettere in bocca un freno a cannello senza altro camo, con la predella bene disardita (Dino Dini, Mascalcia, B s.v. predella2) Predella come elemento connesso ai finimenti del cavallo è poi nel commento dantesco del Buti10 (13851395). Infine, un’attestazione di predella è presente in un trattatello di mascalcia pseudoaristotelico, intitolato Dottrina quando vai a vedere cavalli per comperare, sotto la rubrica Degli occhi, tramandatoci in codici del sec. XV o poco prima11: (5) Cesare tornò pur troppo, e questa volta pose da vero mano alla predella e inforcò la polledra selvaggia: Dante poteva esser contento, l’idea ghibellina aveva trionfato (G. Carducci, B s.v. predella2) Nel commento di Jacopo della Lana (1328)12 e nell’Ottimo (ante 1334)13 si dà invece un’errata interpretazione di predella, come derivato dal latino 14 PRAEDIUM ‘possesso, dominio’ . A parte questi fraintendimenti15, c’è concordanza, presso commentatori, antichi e moderni, e lessicografi, nel ritenere la predella dantesca una parte dei finimenti della testa del cavallo. Varie sono state invece le spiegazioni proposte su che cosa tale predella fosse effettivamente. Per una rassegna sulle definizioni di predella che si sono susseguite nel tempo rimando al saggio di Arquint (2004). Sul significato della voce la Arquint ha ormai sgombrato il campo da ogni dubbio: la predella era una parte del freno medioevale, in uso dall’anno Mille fino al XIV secolo e sostanzialmente diverso rispetto al sistema moderno, costituita da due aste metalliche unite da un traversino e collegate da un lato con le redini, dall’altro con il morso nella bocca del cavallo; «in tal modo la predella pendeva verticalmente quando le redini erano sciolte, e […] costituiva un modo comodo e funzionale per condurre a piedi il cavallo» (Montuori 2005: 200). Resta invece ancora aperta la questione dell’etimologia di predella nel significato appena dato. L’opinione corrente (cfr. REW 1313) è che predella come parte del freno del cavallo abbia lo stesso etimo della voce italiana briglia. In questo lavoro invece, riprendendo un’indicazione presente in Salvioni,RIL 4916, si avanza l’ipotesi che la predella dantesca derivi dal longobardo 12 (4) E quanto l’hai così procurato delle sopradette cose, e tu lo piglia per la predella del freno, e ragguardalo negli occhi, prima l’uno e poi l’altro (PseudoAristotele, Dottrina, citato in Arquint 2004: 12) Per quanto riguarda le attestazioni recenti, c’è da segnalare solo l’esplicita ripresa, da parte del Carducci, della locuzione dantesca, nel passo seguente: 10 «Poi che ponesti mano a la predella; cioè poi che accettasti lo imperio e pilliasti la signoria; e seguita la figura del cavallo: predella è parte del freno dove si tiene la mano quando si cavalca; cioè poi che ponesti mano al freno, che abbandoni; cioè lo quale abbandoni» (FrButi II: 137). 11 L’attestazione è segnalata per la prima volta da Giulio Ottonelli nelle Annotazioni sopra il vocabolario degli Accademici della Crusca del 1698: la predella viene qui identificata con la sguancia. Dei cinque testimoni che ci tramandano lo Pseudo-Aristotele, solo uno legge predella, il ms. Landau 127 della Biblioteca Nazionale di Firenze (c. 11r); per il resto, uno ha una lacuna meccanica (Fiorentino II.IV.225), mentre negli altri si legge rispettivamente padella (Palatino 533, c. 5v), prendella (Riccardiano 2216, c. 82v) e pdella, con abbreviazione di dubbio scioglimento, cioè un punto sopra la p (Estense α.P.6.20, c. 77r); per queste notizie cfr. Arquint (2004); per i manoscritti e per i problemi relativi all’edizione critica del trattato cfr. Coco (2001). «po’ che ponisti mano a la predella. ‘Predella’ s’intende da questo nome: «predium, predii», che è la possessione, o ver villa, o ver campo. Sí che dice l’A.: ‘poiché tu ... ponisti mano ... alle toe possessioni e lasastilo vignire a reggere Italia è fatta cussí fella’» (JacLana, TLIO). 13 «e questo è avvenuto, poscia che tu ponesti mano alla predella. Predella discende da quello nome praedium praedii, che è la possessione, o vero villa, o vero campo; sì che dice l’Autore: poscia che tu, Alberto, ponesti mano alla predella, cioè alle tue possessioni, e lasciasti il venire a reggere Italia, ella è così fatta fella» (Ottimo, TLIO). 14 In verità, però, già «un più accorto glossatore», in due testimoni del commento del Lana, aveva glossato predella come «bactitoio del freno» (nel Magliabechiano VII.156) e come «’l saludar del freno del cavallo» (nel Riccardiano 1005; cfr. Scartabelli, 1866: II: 71; su queste definizioni vd. Arquint, 2004). 15 Si veda anche l’interferenza con predella ‘sgabello’ nella spiegazione fornita da Giovanni da Serravalle: «postquam posuisti manum ad scabellum, scilicet imperialem: idest postquam tu es imperator, et vis habere nomen sedendi in scabello imperiali, cur non regis sicut regere deberes, ex quo tu posuisti te ad gubernium?» (Fratris Iohannis de Serravalle translatio et comentum Dantis Aldigherii, cum texto italico fratris Bartholomaei a Colle. Prato, ex officina libraria Giachetti, filii et soc, 1891). 16 «Se il dantesco predella, REW 1313, è giustamente interpretato come ‘la parte del freno cui s’appoggia la mano nel condurre il cavallo’ potremo anche pensare all’altro predella» (Salvioni, RIL 49: 41). Il Lessico Etimologico Italiano e i germanismi *predil ‘assicella’, che è l’etimo della voce italiana predella ‘sgabello, panca; asse, pezzo di legno’. 2.2. L’etimologia di predella ‘sgabello; asse di legno’ Per l’etimologia della voce predella ‘sgabello; asse di legno’ Pfister (IncontriLing 7) ricostruisce tre strati17: - uno strato gotico *bridilo ‘assicella’ (diminutivo di brid ‘asse’) all’origine delle forme con br- diffuse soprattutto nei dialetti settentrionali; - uno strato longobardo anteriore *predil, con bilabiale sorda iniziale e con dentale sonora intervocalica, all’origine delle forme predella (dal 1290) e prédola (dal XIV secolo); - uno strato longobardo posteriore *pretil, forse caratteristico del ducato di Benevento, come mostra l’odierna diffusione delle forme con la dentale sorda nei dialetti abruzzesi e centro-meridionali. La prima attestazione con bilabiale sonora iniziale è il milanese antico bradella ‘piccola pedana su cui appoggiare i piedi o sedersi; sgabello’, che risale al 1495 (IstrumDivisione,SforzaViscontiCittadella, MSI 4: 474); la voce, nella forma bredella è attestata però già quasi tre secoli prima nel latino medievale novarese (1212, HubschmidMat). Le forme con br- e suffisso -ella/-ela, anche metatetiche (il tipo bardela), sono documentate nelle varietà dialettali settentrionali, soprattutto occidentali (ligure, piemontese, ticinese, lombardo, emiliano occidentale). In lombardo alpino, veneto e friulano si trova inoltre il tipo con suffisso ula (bredola), che è presente anche in occitanico (sec. XV, Floretus, Lv: 163b). Il FEW considera la forma occitanica un prestito dall’Italia settentrionale; di parere diverso è invece Pfister (IncontriLing 7: 134-135), che scrive: «un prestito dall’ital.sett. supporrebbe l’esistenza del tipo bredola nella zona confinante, cioè nel Piemonte e nel ligure, dove invece non si trova»; dunque, secondo Pfister, non è necessario postulare un etimo longobardo *bredil, come pure è stato proposto18, «perché la concordanza con l’occitanico parla a favore di un germanismo gotico» (ib.). I significati attestati nei dialetti per i tipi bredella e bredola sono: ‘sgabello, panca’, anche nelle accezioni ‘panca della chiesa’ e ‘sgabello per mungere’; ‘pezzo di legno’; ‘asse per lavare i panni’. La prima attestazione di predella dal longobardo *predil ‘assicella’ risale al 1290 ed è in un documento fiorentino reperibile nella banca dati del TLIO (Registro di Entrata e Uscita di Santa Maria di Cafaggio (REU), 1286-1290). La voce è presente in tre contesti: (1) It. tracti, dì xxj di gennaio in iiij assi d’abete e in xxvij predelle 17 Cfr. anche SabatiniRiflessi: 97, secondo cui le attestazioni dialettali presuppongono «almeno una triplice forma della base longobarda, in relazione a fasi successive nella mutazione consonantica». Vd. anche Castellani (2000: 78-79). 18 Cfr. per esempio, Sabatini Riflessi: 97; Pellegrini (1969: 255). (2) It. tracti in due regoli per gli appogiatoi de le predelle, dì xxv di gennaio, s. j e d. vij (3) It. tracti, dì viij di febraio per una predella e per uno chiavaccio e cc bolle stagnate, s. xiiij e d. ij Le occorrenze trecentesche sono tutte in testi toscani e il primo significato attestato sembra essere quello di ‘piccola pedana su cui poggiare i piedi o sedersi; sgabello’. All’inizio del ’300 risalgono le prime attestazioni della voce nelle accezioni ‘tavola rettangolare, divisa in più riquadri, con scene attinenti al soggetto principale, che costituisce la base inferiore di un polittico o di una pala d’altare’ (dal 1302, senese antico, es. 4) e ‘gradino superiore dell’altare’ (dal 1325, senese antico, es. 5): (4) Ancho XLVIIJ libre al maestro Duccio dipegnitore per suo salario di una tavola o vero Maestà che fecie et una predella che si posero nell’altare ne la Casa de’ Nove (Documenti senesi del 1302-1360, corpus OVI) (5) due predelle da altare (Inventari di tutte le cose e masserizie de la Compagnia dei Disciplinati, corpus OVI) Il significato tecnico di ‘parte di una pala d’altare’, ancora oggi vitale, è entrato poi come prestito nel francese (dal 1855, TLF 13: 1030b). Più tarda è la prima attestazione di predella nel significato, che è quello oggi più diffuso, di ‘bassa piattaforma di legno, pedana usata come sostegno di un mobile’: la forma è documentata nel 1647 in Birago (es. 6), e poi a partire dal 1841 (D’Azeglio, es. 7): (6) Entrati nella sala dove stava sua Maestà, si alzò dalla sedia dove stava e, uscita di sotto il baldacchino, venne fin alla sponda del tappeto che copriva una bassa predella (G.B. Birago, Istoria della disunione del regno di Portogallo della Corona di Castiglia, B) (7) Il letto sorgeva su una predella che correva intorno alta un palmo dal pavimento (D’Azeglio, Niccolò de’ Lapi, vol. I, B) Seicentesca è anche la prima segnalazione di predella come ‘struttura costituita da uno o più gradini, di cui sono fornite vetture ferroviarie, tranviarie o sim., per facilitare la salita o la discesa’, documentata per la prima volta nel vocabolario di Veneroni (1681). In questa accezione a partire dall’inizio del ’700 si usa anche il derivato maschile predellino (dal 1704, Spadafora). Predella in quest’ultimo significato e predellino inizialmente indicavano probabilmente un oggetto in legno (il gradino di accesso ad una carrozza), ma poi passano a definire un oggetto sicuramente metallico. Dal longobardo *predil, oltre alla voce predella, deriva anche la forma con suffisso ula, attestata solo nei dialetti. Trecentesca è la predola del’altare, per indicare il gradino superiore dell’altare, nel volgare di Città di Castello (seconda metà del XIV secolo, Capitolo dei disciplinati di Santa Caterina, corpus OVI), mentre risale alla seconda metà del secolo l’attestazione pisana del plurale predule ‘piccolo sgabello a tre gambe e senza spalliera’ (nei RicordiMiliadussoBaldiccioneBonaini: 44). Sergio Lubello, Carolina Stromboli Il tipo in ula è frequente soprattutto nei dialetti centro-meridionali, in particolare in Abruzzo e Molise, ma anche in Calabria (cfr. DAM, NDC e AIS cc. 898, 1196), in genere con il significato di ‘piccolo sgabello di legno’, anche nell’accezione di ‘sgabello usato per mungere’. In Abruzzo e in zone limitrofe è presente anche il tipo prètola, con dentale sorda intervocalica; il significato più diffuso è ancora una volta quello di ‘piccolo sgabello’, ma è documentato anche quello di ‘asse per lavare i panni’19. È possibile, scrive Pfister, «che questo mutamento d > t negli Abruzzi sia caratteristico per il ducato di Benevento» (Pfister,IncontriLing 7: 135); egli ipotizza dunque che vi sia stato un secondo strato longobardo, posteriore alla seconda rotazione consonantica20. Riassumendo, dunque, la forma italiana predella si irradia dalla Toscana; solo dialettale è invece il tipo prèdola. I significati documentati dalle fonti e dai vocabolari sono tutti coerenti con uno sviluppo dal significato originario ‘assicella’. I significati più diffusi sono ‘sgabello’, ‘asse’, ‘gradino’, ‘pezzo di legno’, ma non mancano casi in cui le forme in questione designano oggetti in metallo. Mentre le forme con b- iniziale, derivate dal gotico *bridilo, sono attestate, oltre che nell’Italia settentrionale, anche in provenzale, in friulano e in valdostano, le forme con sorda iniziale, come sempre nel caso dei longobardismi, mancano nelle altre lingue romanze (cfr. GamillschegRomGerm 2: 135). 2.3. L’etimologia di briglia ‘rèdine’ In italiano la voce briglia indica ‘ciascuna delle due rèdini che si attaccano al morso del cavallo’, ma anche, per metonimia, soprattutto al plurale, ‘l’insieme dei finimenti con cui si guida il cavallo (testiera, morso, rèdini)’. La prima attestazione della voce in area italiana è del 1339 in un documento pistoiese, in cui si legge: «una briglia per la mula» (Quaderno dei conti del Capitano Jacopo di Francesco del Bene, TLIO). Di poco posteriori (ante 1348) sono due attestazione fiorentine nella Nuova Cronica di Giovanni Villani. La voce, nella forma brilla, è documentata pochi anni prima in latino medioevale, nel Codex Comanicus, glossario latino – persiano – cumano databile attorno al 1330 (il testo sarebbe stato scritto verso il 1324-1325)21. Il tipo briglia è attestato in tutte le varietà 19 Da segnalare, sempre in Abruzzo, anche il tipo f. p r é s l , m. p r é s l , con influsso di presa. 20 Nel passato si riteneva che il gotico non avesse preso parte alla seconda rotazione consonantica, mentre il longobardo sì. Studi successivi hanno corretto questa semplificazione, mostrando «che b è reso nel longobardo con b o con p, g con g o con k e d con d o con t» (Pfister, 1986: 43), e che dunque sono ipotizzabili due fasi, una fase longobarda più arcaica, senza la seconda mutazione consonantica, e una fase successiva, o longobardo posteriore (forse dal VII secolo), con mutazione consonantica (ivi: 44). Naturalmente i tratti fonetici della seconda mutazione consonantica, per esempio l’alternanza -d-/-t-, come nel caso di *predil/*pretil, o l’alternanza gotico br-/longobardo pr«possono essere usati per la differenziazione dei vari livelli del superstrato germanico solo quando sono accompagnati da riflessioni di geografia linguistica» (Pfister,IncontriLing 7: 138). 21 Sul Codex comanicus cfr. l’edizione critica di Drimba (2000) (brilla è a p. 103); devo l’informazione ad A. Cascone, di cui cfr. dialettali italiane; in alcune aree settentrionali (Piemonte orientale, Ticino, Trentino) predomina la forma bria. Piuttosto controversa è la questione dell’etimologia di briglia. Tre sono le ipotesi etimologiche correnti22: - l’etimo di briglia è l’antico alto tedesco brittil, anche se «wie sich it. briglia, venez. bria, crem. brea, bologn. braya, mallork. brilla dazu verhalten, ist nicht klar» (REW 1313); - briglia risale ad una voce gotica ricostruita *brigdil (cfr. FEW 15/1: 284; GamillschegRomGerm 2: 18; DELIN: 248); - la forma briglia è una ricostruzione ipercorretta dei settentrionali brida, bria, di origine galloromanza (cfr. D’Ovidio,AGI 13: 405; VSI 2: 942a; Castellani 2000: 85, n. 157); il francese bride, attestato dal 1200 ca., è entrato come prestito anche nelle altre lingue romanze: in provenzale (sec. XV, Rn: 259a), catalano (1363, DELCat 2: 232a), spagnolo (1460, DCECH 1 : 519a), portoghese (sec. XV, DELP 1: 406b). 2.4. Conclusioni: dantesca l’etimologia della predella Ritorniamo ora al problema etimologico che ci siamo posti all’inizio: la predella dantesca deriva da uno dei possibili etimi della voce briglia, o ha la stessa base etimologica della parola predella ‘asse di legno’? La predella dantesca, come ha chiarito Arquint (2004: 59) va identificata con quella «coppia di aste collegate ad un traversino che, unite al morso, costituiscono il freno», ed è dunque un oggetto metallico. La scarsità di attestazioni di predella come termine tecnico per riferirsi ad una parte del freno medioevale per la quale si può condurre a mano un cavallo (appena tre, oltre a quella dantesca, cfr. § 2.1.), di contro alla diffusione di predella come ‘asse di legno’ (§ 2.2.), ci portano a concludere che la predella dantesca sia una specializzazione semantica di predella < longobardo *predil ‘assicella’. Anche la forma della predella medioevale (due aste collegate da un traversino) sembra coerente con questa proposta etimologica. 3. Riferimenti Arquint, P. (2004). «Poi che ponesti mano alla predella». Studio sui freni dei cavalli ai tempi di Dante. Studi di filologia italiana, LXII, pp. 5-90. Castellani, A. (2000). Grammatica storica della lingua italiana. Introduzione. Bologna: Il Mulino. Cella, R. (2003). I gallicismi nei testi dell’italiano antico (dalle origini alla fine del sec. XIV). Firenze: Presso l’Accademia. Coco, A. (2001). Problemi di ricostruzione e di edizione del testo in un’opera di veterinaria medioevale: il trattato di mascalcia dello Pseudo-Aristotele. In R. Gualdo (a cura di), Le parole della scienza. Scritture tecniche e scientifiche in volgare (sec. XIII-XIV). Atti il saggio in stampa Il latino del Codex Comanicus. Prospettive di ricerca. 22 Si veda anche il DEI s.v.: «etimol. incerta, o adattamento tosc. del sett. bri(d)a o dalla stessa base *brigida con altro suffisso (*brigula) […]. Da escludere per ragioni fonetiche il m.a.ted. brittil». Il Lessico Etimologico Italiano e i germanismi del Convegno (Lecce, 16-18 aprile 1999). Galatina: Congedo, pp. 327-339. Drimba, V. (2000). Codex Comanicus. Édition diplomatique avec fac-similés. Bucarest: Editura enciclopedica. Hope, T.E. (1971). Lexical Borrowing in the Romance Languages. A Critical Study of Italianisms in French and Gallicism in Italian from 1100 to 1900. 2 voll. Oxford: Blackwell. Leonetti, A. (1950). Della parola «bordello» nel Purgatorio di Dante. Lettere italiane, II, pp. 235-238. Lurati, O. (2004). Oltre la lingua: nomi di eretici e di aderenti ai movimenti pauperistici (bigotto, béguine) e le loro implicazioni metodologiche. Forza semantica di bagordo e di bordello. In V. Noll e S. Thiele (a cura di), Sprachkontakte in der Romania. Zum 75. Geburtstag von Gustav Ineichen. Tübingen: Niemeyer Verlag, pp. 89-108. Montuori, F. (2005). Recensione a Arquint 2004. Rivista di studi danteschi, 1, pp. 200-201. Pellegrini, G.B. (1969). La genesi del friulano e le sopravvivenze linguistiche longobarde. In Atti del Convegno di studi longobardi. Udine: Deputazione di storia patria per il Friuli, pp. 135-153. Pfister, M. (1986). I superstrati germanici nell’italiano. In Elementi stranieri nei dialetti italiani. Vol. I. Pisa: Pacini, pp. 37-58. Scarabelli, L. (a cura di) (1866). Comedia di Dante degli Allagherii col commento di Jacopo della Lana bolognese, 3 voll. Bologna: Tipografia Regia. Stromboli, C. (2006). Predella, biacca, bramare. Etimologia e storia di tre germanismi dell’italiano. Napoli: Phoebus. Supplemento bibliografico LEI (2002). Supplemento bibliografico, a cura di R. Coluccia, A. Cornagliotti, T. Hohnerlein, A. Lupis, G, Tancke, Wiesbaden: Reichert.