università degli studi di macerata dipartimento di studi sullo
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI STUDI SULLO SVILUPPO ECONOMICO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN LA TRADIZIONE EUROPEA DEL PENSIERO ECONOMICO CICLO XXIII TITOLO DELLA TESI LE RISORSE NATURALI ED I MEZZI DI PAGAMENTO NELLE MATRICI DI CONTABILITÀ SOCIALE: RAPPRESENTAZIONE ANALITICA E RIFERIMENTI STORICI TUTOR Chiar.mo Prof. MAURIZIO CIASCHINI DOTTORANDO Dott. GIOVANNI PALMIERI COORDINATORE Chiar.mo Prof. STEFANO PERRI ANNO 2010 Cut through the boosterism and hysterics, and growth means simply "spending more money." It makes no difference where the money goes, and why. As long as the people spend more of it, the economy is said to "grow." (Jonathan Rowe & Judith Silverstein, The GDP myth: why “growth” isn’t always a good thing) Indice Premessa…............................................................................................... 1 CAPITOLO PRIMO LE RISORSE NATURALI: RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI Introduzione............................................................................................. 2 La monetizzazione dell’ambiente e l’approccio delle spese difensive… 3 Le spese difensive in un quadro input-ouput…………………………. 4 L’aspetto materiale dell’attività economica…………………………… 6 Confronto tra i diversi metodi………………………………………… 8 Excursus storico……………………………………………………….. 11 Osservazioni conclusive………………………………………………... 47 Bibliografia…………………………………………………………….. 50 CAPITOLO SECONDO TRANSAZIONI E MEZZI DI PAGAMENTO: RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI Introduzione……………………………………………………………. 52 L’uguaglianza risparmio-investimento………………………………... 55 I servizi di intermediazione indirettamente misurati………………….. 57 La Flow-Of-Funds matrix (FOF) e la Full-Integration Matrix (FIM) 60 La Quadruple Entry Bookkeeping (QEB)…………………………….. 64 Excursus storico……………………………………………………….. 66 Osservazioni conclusive………………………………………………... 101 Bibliografia…………………………………………………………….. 103 I Indice di tabelle e figure CAPITOLO I Tabella 1: tavola supply-use semplificata………………………………. 5 Tabella 2: tavola supply-use con servizi ambientali……………………. 5 Tabella 3: tavola supply-use con risorse non prodotte e residui………... 7 Figura 1: matrice di Geddes……………………………………………. 20 CAPITOLO II Tabella 1: SAM semplificata…………………………………………… 56 Tabella 2: SAM con evidenziazione dei SIFIM………………………... 58 Tabella 3a: aggiunta settore fittizio…………………………………….. 59 Tabella 3b: riallocazione settoriale dei SIFIM…………………………. 59 Tabella 4: matrice FOF semplificata…………………………………… 60 Tabella 5: FIM semplificata……………………………………………. 62 Tabella 6: registrazione QEB dell’emissione di titoli di stato acquistati dalla banca centrale…………………………………………………….. 64 Tabella 7: registrazione QEB di un acquisto intersettoriale con ricorso al prestito bancario……………………………………………………... 65 Figura 1: Matrice tridimensionale degli scambi 3x3x3………………… 65 Tabella 8: TFM con monetizzazione del debito pubblico……………… 96 Tabella 9: TFM con la prima fase del circuito monetario, in presenza di moneta privata endogena……………………………………………….. 96 Tabella 10: TFM del circuito monetario (fasi successive alla prima) con moneta privata endogena…………………………………………... 97 Tabella 11: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dalla banca centrale…………………………………………………………………. 99 Tabella 12: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dal sistema bancario privato………………………………………………………… 99 Tabella 13: TFM con spesa pubblica finanziata a debito dal sistema bancario privato………………………………………………………… 100 II Premessa Il presente lavoro verte su due temi relativamente trascurati – o quantomeno affrontati con schemi piuttosto riduttivi – dalla scienza economica, almeno fino a qualche decennio fa. Il primo riguarda il ruolo assunto dalle risorse non prodotte e dall’ambiente naturale, nelle sue funzioni di fornitore di input, di contenitore dell’output che dal sistema economico fuoriesce in forma di residuo, e di oikos dove l’attività economica si svolge concretamente. Il secondo è incentrato sui flussi di mezzi di pagamento che regolano gli scambi aventi luogo in un sistema economico; usare mezzi di pagamento in luogo di moneta permette di essere sufficientemente generici e ricondurre all’interno delle transazioni analizzate anche modalità alternative di scambio: sebbene gli esempi proposti siano espressione di economie di mercato fortemente monetizzate, le modalità scelte per la loro rappresentazione sono utilizzabili anche per economie non monetarie, informali o di baratto. Sono cioè valide per tutti i rapporti economici configurabili come scambio di equivalenti. L’ottica scelta è sistemica, e privilegia dunque gli strumenti dell’analisi input-output: interdipendenza e interrelazione tra gruppi di agenti economici opportunamente classificati. La disposizione in forma di matrice permette inoltre di estendere l’analisi ogniqualvolta si rendano disponibili nuovi dati o si ritenga opportuno effettuare riclassificazioni. Mentre gli strumenti utilizzati per analizzare i suddetti temi e la loro struttura espositiva sono comuni, la loro natura e la loro presenza nella storia del pensiero economico li rende del tutto indipendenti l’uno dall’altro, ed è infatti così che vengono presentati, ciascuno con i propri riferimenti letterari e con le proprie considerazioni conclusive. Avvertenza Le citazioni sono riportate in italiano, anche quando provengono da testi in altre lingue, pertanto lo scrivente è responsabile per la loro traduzione. 1 CAPITOLO PRIMO LE RISORSE NATURALI: RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI Introduzione L’analisi input-output costituisce uno strumento per analizzare l’economia in senso sistemico, e dunque, oltre a cogliere le interrelazioni tra i soggetti che la compongono, la interpreta come un sistema aperto, in interscambio con l’esterno: nel linguaggio economico, le economie aperte sono definite in senso nazionale, così come la contabilità. D’altra parte, la scienza economica si impone come disciplina autonoma interrogandosi sulla ricchezza delle nazioni. Un sistema economico aperto intrattiene però tutta un’altra serie di scambi, che soltanto in parte possono essere presi in considerazione nella contabilità: una matrice input-output può tenere conto di queste relazioni tanto in entrata, stimando le risorse non prodotte (resource function), quanto in uscita, valutando i prodotti di scarto e le emissioni dovute ai processi di trasformazione (sink function); vi è inoltre una funzione dell’ambiente naturale che difficilmente può essere valutata, a meno di non incorrere in astrazioni o forzature ideologiche, ed è quella di habitat (service function, a sua volta), a sua volta disaggregabile grosso modo in uso vitale (survival function) e di godimento (amenity function). Se non si terrà conto esplicitamente di questo ruolo nel resto della trattazione, è più per rifuggire da arbitrarietà, piuttosto che per l’inadeguatezza degli strumenti contabili volti ad implementarlo.1 Limitandoci dunque alle prime due funzioni e adottando un’ottica multisettoriale, si amplierebbe la SAM affiancandovi una sottomatrice “ambientale” o “naturale”, che registri gli scambi intercorrenti tra economia e ambiente. Emerge però il problema dell’unità di misura: le relazioni interne al 1 Si veda a tale proposito il concetto di Conti Ambientali Patrimoniali (Falcitelli F., Falocco S. [a cura di], Contabilità Ambientale, Il Mulino, 2008, pp.168 e segg.) 2 sistema economico sono misurate in termini monetari, tutte le altre devono essere espresse in termini materiali (fisici). La duttilità del calcolo matriciale ci permette come al solito di scegliere tra diverse alternative: stimare gli scambi fisici in termini monetari o esprimere l’attività economica in termini materiali. Ovviamente, la prima opzione è più semplice e vanta diversi tentativi di applicazione, mentre la seconda richiede basi di dati più complesse e un approccio differente. Le direttive contabili elaborate dalle Nazioni Unite intendono percorrere entrambe queste alternative, per mezzo di quelli che sono detti “conti satellite” (System of National Accounts, 20082), ulteriormente distinguibili in interni/funzionali – risultato di riclassificazioni e deconsolidamento di poste già esistenti – ed esterni/integrati – derivanti da nuove osservazioni. La monetizzazione dell’ambiente e l’approccio delle spese difensive La scelta di esprimere in moneta le transazioni direttamente legate all’ambiente naturale in cui si svolge l’attività economica ha il vantaggio di non dover armonizzare le poste contabili già esistenti. Esistono almeno due alternative a quest’approccio, di cui si parlerà più avanti, ma per limitare le ipotesi e la necessità di inferenza che da esse deriva si adotterà in questa sede il metodo delle spese difensive3. Il modo più semplice per implementare dette spese in un quadro inputoutput consiste nell’aggiungere alla lista dei beni e servizi prodotti una merce chiamata “servizi ambientali”, che costituisce un input per i settori dell’economia, compreso il settore pubblico. Il principale fornitore di questa “merce” sarà il settore pubblico, ma nulla esclude che questo ruolo sia svolto anche da alcuni settori tradizionali qualora fossero disponibili dati accurati. Concettualmente, non si esclude che parte del valore dei servizi ambientali possa costituire una voce di domanda finale, tuttavia considerare tali spese 2 http://unstats.un.org/unsd/nationalaccount/docs/SNA2008.pdf, consultato il 25/08/2011 Esistono ovviamente spese che non sono interamente ambientali, tuttavia si tratta di una complicazione di tipo statistico che può o meno essere presa in considerazione, secondo la disponibilità di dati e la ragionevolezza dei procedimenti adottati per separare le diverse componenti. Ai fini della presente trattazione, è sufficiente esaminare le spese riguardanti esclusivamente l’ambiente. 3 3 come un’aggiunta alla ricchezza solleva qualche perplessità, trattandosi di costi dipendenti dalla struttura produttiva: in altre parole, quanto più la produzione richiede risorse naturali e quanto più la divisione del lavoro è accentuata, tanto più alte risulteranno le spese per servizi ambientali. Questa ambiguità non è una caratteristica tipica delle spese difensive ambientali, risultando invece una problematica costante nella definizione di valore aggiunto (o PIL) dell’economia. Infine, analogamente a tutte le altre merci, anche i servizi ambientali possono costituire un investimento, sebbene ciò strida con la convenzionale definizione di “servizi”: è possibile destinare delle risorse per beni che siano in grado di fornire questi servizi in più periodi; è possibile anche esportare o importare i servizi ambientali (si pensi ad esempio al trattamento dei rifiuti). L’approccio delle spese difensive non impedisce di continuare a valutare il prelievo di materie prime secondo il loro mero valore monetario, senza preoccuparsi dell’esauribilità delle stesse. Infatti, il procedimento adottato considera solo spese effettivamente avvenute, mentre per valutare lo stock di risorse naturali non prodotte si deve necessariamente ricorrere ad un’imputazione di valore, che risulterebbe più arbitraria di quanto desiderabile per i nostri scopi. Le spese difensive in un quadro input-output Consideriamo un’economia semplificata in cui sono presenti le attività economiche, l’insieme delle merci (beni e servizi) prodotte, le famiglie, il settore pubblico, il conto capitale e il resto del mondo (ROW). La struttura di relazioni che la descrive è rappresentata secondo lo schema supply-use, ricordando che ogni riga rappresenta una risorsa e ogni colonna un impiego, come esemplificato attraverso le voci “Produzione” e “Consumo intermedio”: 4 Tabella 1: tavola supply-use semplificata Imprese Imprese Merci Merci Produzione Pubblico Famiglie Investimento ROW Totale Consumo intermedio Pubblico Famiglie Risparmio ROW Totale Aggiungiamo adesso la merce servizi ambientali (AMB) accanto ai beni e servizi (BS), ed evidenziamo le transazioni in cui è coinvolta: Tabella 2: tavola supply-use con servizi ambientali Imprese Imprese Merci BS AMB Pubblico Famiglie Risparmio ROW Totale Merci BS AMB Y CI Pubblico Famiglie Investimento ROW CI DF DF DF Totale Y Le celle situate sulla riga AMB rappresentano la domanda dei servizi ambientali in senso economico e funzionale, distinguendo cioè tra soggetti che utilizzano questa merce quale input intermedio (CI) e bene di consumo finale (DF); inoltre si distingue tra spesa corrente e in conto capitale (Investimento). Le celle sottostanti la colonna AMB rappresentano invece l’offerta dei servizi ambientali, attribuita alle attività produttive ed al settore pubblico. A questo primo livello di analisi, si riscontrano alcune differenze sostanziali rispetto al metodo convenzionale di valutazione della produzione: in primo luogo, seguendo la tassonomia proposta da Eurostat4 (SERIEE, conto satellite EPEA), vi è uno slittamento di poste contabili anche considerevoli dal valore aggiunto al consumo intermedio. Ragionando in termini consueti, tale spostamento può risultare elevato in quanto ogni unità monetaria che si muove in questa direzione provoca una contrazione di valore doppio nel PIL: un euro impiegato nelle spese difensive va sottratto dal computo del valore aggiunto e 4 http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/environmental_accounts/documents/KS-RA-07012-EN.pdf, consultato il 30/07/2011 5 si somma al consumo intermedio, che come sappiamo è una componente da detrarre dal valore totale della produzione per ottenere il PIL. In secondo luogo, il settore pubblico si inserisce a pieno titolo nella struttura di interdipendenze che caratterizza l’economia, risultando fornitore di un bene non più generico e autoreferenziale come era il caso dei servizi pubblici – pratica invalsa da tempo nelle tabelle di contabilità nazionale – bensì di un input necessario alla produzione. Rimane aperta la questione della domanda finale, legata a quella del finanziamento delle spese difensive ambientali: per non rischiare eccessiva arbitrarietà nell’attribuire alle famiglie parte del valore delle spese difensive, si potrebbe semplicemente imporre una condizione di equilibrio generale, secondo la quale la parte della fiscalità prelevata come contributo allo smaltimento dei rifiuti e attività consimili rappresenta la domanda privata finale per questi servizi. La procedura così descritta presenta meno discrezionalità rispetto alle alternative disponibili, tuttavia difetta di realismo: esiste infatti una gamma di spese non classificate come difensive, ma che sono effettivamente sostenute dalle famiglie in vista di una mitigazione del degrado ambientale. Si ritiene più opportuno però rimandare quest’aspetto della contabilità nazionale all’annosa questione dei beni durevoli, che non trovano accoglienza nei conti attuali, perché la famiglia è definita come un’unità funzionale al consumo, e dunque non investe né produce5. L’aspetto materiale dell’attività economica La seconda modalità di analisi consiste nell’esprimere i flussi intercorrenti tra i diversi soggetti economici in altrettanti flussi fisici. Ogni sistema economico, indipendentemente dal suo stadio di sviluppo, fa uso di risorse non prodotte e genera residui, grandezze che possono essere espresse in termini di massa o in unità energetiche: la seconda opzione è molto più complessa da implementare in un sistema di conti, mentre per la prima esistono già modalità 5 Un’eccezione è rappresentata dall’investimento immobiliare, che genera il flusso di reddito denominato “affitti imputati”, vale a dire il costo che le famiglie avrebbero sostenuto se l’abitazione non fosse stata di proprietà. 6 di registrazione e di presentazione ben definite, che ne rendono agevole l’esposizione nel presente lavoro. Contrariamente al caso delle spese difensive, la presentazione dei flussi materiali affianca la valutazione monetaria delle transazioni economiche, costituendo quindi parte di un modello duale di rappresentazione matriciale. Si tratta sempre di aggiungere righe e colonne alla supply-use matrix, ma in maniera asimmetrica: questo perché le risorse non prodotte sono soltanto utilizzate (per definizione) dalle attività economiche e dalle famiglie, oltre ad essere esportate o accumulate, mentre i residui sono risultati dell’attività economica che possono essere destinati ad usi finali (cioè stoccati, smaltiti o esportati) oppure ad usi intermedi (riciclati e/o reimmessi nel processo produttivo). Il fatto che tali conti aggiuntivi non siano espressi in moneta permette di non alterare il modulo delle relazioni economiche. Tabella 3: tavola supply-use con risorse non prodotte e residui Imprese Imprese Merci Pubblico Famiglie Risparmio ROW Totale Risorse non prodotte Residui Merci Pubblico Famiglie Investimento ROW Totale Residui Y Y Y Y CI CI CI CI DF DF DF DF DF Ovviamente, la voce Investimento relativa ai residui sta a rappresentare la loro destinazione, e non considera certo la loro accumulazione in maniera analoga alla formazione di capitale fisico. La modalità di registrazione di queste voci contabili vanta una tradizione ormai consolidata, perlomeno a livello di intera economia, più recenti sono invece gli sviluppi che hanno portato alla dimensione multisettoriale: il sistema NAMEA6, elaborato dalle Nazioni Unite e gradualmente uniformato su scala internazionale, permette un’analisi approfondita dell’utilizzo delle 6 http://unstats.un.org/unsd/envAccounting/seea2003.pdf, consultato il 30/07/2011 7 risorse dal lato degli input e della generazione di emissioni da quello dell’output, così come dei loro legami con il risultato dell’attività produttiva. È possibile cioè stabilire una relazione diretta tra generazione di valore economico, consumo di materie prime e produzione di residui per ciascun settore, e dunque di valutare se e quanto la crescita economica si accompagni a pressioni sull’ambiente naturale, che svolge una duplice funzione, stock di risorse e deposito di scarti. Tuttavia, l’elevato grado di dematerializzazione di molte economie terziarizzate potrebbe condurre alla conclusione che le nazioni più avanzate presentino un minore grado di sfruttamento dell’ambiente per unità di valore aggiunto; si può ovviare a questa evidente incongruenza attraverso la costruzione di uno schema input-output energetico, perché ogni attività non fa uso soltanto di materia, ma anche e soprattutto di energia, al fine di trasformarla in beni e servizi dotati di valore economico. Le transazioni sarebbero così espresse in termini di energia utilizzata e dissipata, e si perverrebbe ad una nuova misura dell’attività economica, la quale farebbe risaltare il diverso impatto delle tecnologie a disposizione. I sistemi economici si confronterebbero attraverso gli impieghi energetici per unità di prodotto, ma questa doppia unità di misura presenterebbe più complicazioni del bilancio materiale di tipo NAMEA, per motivi che analizzeremo di seguito. Confronto tra i diversi metodi Il metodo delle spese difensive ha il grande vantaggio di permettere una valutazione immediata delle risorse destinate al mantenimento dell’ambiente e mostra come una crescita significativa del livello di produzione sia sempre collegata con un aumento delle risorse spese in senso conservativo. Il progresso tecnico ha certamente ridotto il consumo di risorse per unità di prodotto, tanto in termini quantitativi quanto monetari, ma è innegabile come l’industrializzazione e la meccanizzazione, che ne è il riflesso principale, abbiano al contrario accresciuto il livello di consumo: in breve, un aumento assoluto nell’uso di risorse si è accompagnato ad una sua diminuzione relativa. 8 Un’altra buona ragione per limitarsi a monetizzare soltanto quanto effettivamente speso nasce dalla considerazione che l’ambiente è un fondo di risorse cui attingere per svolgere attività economica, fondo che ha alcune caratteristiche peculiari: - la sua ricostituzione avviene completamente solo in rari casi, e a costi molto elevati (si pensi alle depurazione dell’aria e dell’acqua e al ripristino delle proprietà del terreno); - anche qualora la ricostituzione fosse completa, spesso la tecnologia non può accelerarne il processo: per la maggior parte delle risorse, la rapidità con cui viene effettuato il prelievo è migliaia di volte superiore ai tempi biologici di riproduzione (combustibili fossili, metalli e altre materie di estrazione); - i prezzi di mercato, risultanti da domanda ed offerta, non sono un buon segnale della quantità di risorse disponibili o utilizzabili, perché per alcune non esiste nemmeno un mercato in senso stretto, per altre le schede di domanda ed offerta si limitano ai consumi presenti e non tengono in alcun conto le quantità future, che dipendono in maniera cruciale dalle quantità “scambiate” attualmente (un tasso di sconto intertemporale che esprima la preferenza tra il consumo presente e quello futuro non ha senso, in quanto il periodo su cui scontare i flussi di reddito o di utilità è troppo lungo); - il consumo di risorse naturali è in qualche misura incomprimibile, e la sostituzione tra esse e il capitale fisico o il lavoro è possibile solo in maniera molto limitata e soltanto in termini di valore, non certo in termini materiali. Affermare il contrario sarebbe come sostenere che si possono produrre più pizze con la stessa quantità di ingredienti, aumentando la dimensione del forno e il numero dei pizzaioli. Tutte queste difficoltà di valutazione delle risorse naturali portano a concludere che la moneta non è una misura coerente e affidabile, e quindi invitano a farne un utilizzo parco e limitato. Discorso diverso per quanto riguarda la presentazione simultanea dei flussi materiali ed economici, propria del modello NAMEA. Questa 9 rappresentazione non altera l’analisi economica né quella fisico-biologica, ma mette direttamente a confronto la crescita del prodotto con la crescita di input naturali e output di scarto: la misurazione di questi ultimi può anche essere confrontata con le spese difensive, delle quali sono causa primaria. Infine, è doverosa una critica all’approccio meramente energetico, che non presenta solo evidenti difficoltà di raccolta dei dati necessari, la complicazione principale risiedendo piuttosto nella corretta attribuzione dei flussi: qual è il grado di arbitrarietà insito nella suddivisione tra consumo intermedio e domanda finale, o tra soggetti residenti ed esteri? L’attività economica si concretizza infatti in beni e servizi, per ottenere i quali viene domandata ed utilizzata una determinata quantità di energia; questa ha un valore monetario espresso dalle transazioni tra il settore fornitore e tutti gli altri agenti. Dal momento che questi scambi monetari riguardano dei prodotti, ciò che realmente si perviene a misurare sarebbe l’energia incorporata in essi. La valutazione energetica delle transazioni economiche non può affiancarsi agevolmente alla dimensione economica, costituendone piuttosto un’alternativa. Ci troveremmo in un modello dove i prezzi monetari sarebbero sostituiti completamente dai coefficienti energetici, non saremmo più nell’ambito dell’analisi economica, ma entreremmo nel campo biologico, fisico e chimico. Il ruolo svolto dai soggetti economici sarebbe puramente tecnico, esaurendosi nella produzione e nella scelta delle tecnologie atte alla trasformazione della materia per mezzo dell’energia libera utilizzabile. Gran parte degli strumenti di analisi economica, quali i concetti di mercato, domanda, offerta e prezzi verrebbero tout court estromessi dal campo di indagine, così come le relazioni tra agenti: una siffatta visione del mondo si presterebbe a critiche di riduzionismo ancora più radicali di quanto non lo siano quelle rivolte alla scienza economica dominante, secondo le quali il denaro e l’utilità soggettiva costituiscono un feticcio, un ostacolo sulla strada di una maggiore conoscenza della realtà e dell’attività umana in generale. 10 Excursus storico Ripercorrendo la storia del pensiero economico, l’economia è stata contemporaneamente trattata come disciplina morale, storica e sociale, e come scienza quantitativa della ricchezza. Tale ambivalenza epistemologica è riscontrabile tanto nella moderna distinzione tra economia normativa e positiva quanto nell’adozione di metodi riconducibili alla fisica uniti ad una teoria completamente soggettiva del valore: quest’ultimo esempio si riferisce in particolare al periodo di sviluppo dell’economia come disciplina autonoma, durante il quale il valore – l’oggetto di studio dell’economia – è definito secondo un criterio idealista (cartesiano o kantiano) mentre la rappresentazione dell’economia come flusso circolare di merci, fattori e moneta viene mutuata dalle scienze sperimentali, particolarmente dalla fisica. Con il contributo del metodo assiomatico, l’economia ha consolidato la sua visione “pre-analitica” senza possedere il carattere sperimentale della fisica e procedendo ad una serie di astrazioni sul comportamento umano. In questo contesto, se l’uomo è la fonte del valore, la natura e le sue risorse sono considerate solo in quanto richieste e sfruttate da uno o più individui, che a vario titolo ne dispongono: la teoria della rendita è stata per lungo tempo l’unico riferimento alle risorse naturali, fattore limitato ma sostanzialmente improduttivo, se considerato isolatamente. Inoltre, lo strumento del flusso circolare chiuso di merci e moneta implica una reversibilità dei processi che non è dato riscontrare nell’attività economica osservabile. Entrambe queste rappresentazioni stabiliscono un livello di astrazione tale che i progressi di discipline quali la biologia, la fisica e la chimica non sono stati tenuti in considerazione, aumentando il rischio di incorrere in quella che A.N.Whitehead definiva la fallacia della concretezza mal posta, vale a dire confondere il modello con l’entità concreta che deve descrivere. Nonostante queste difficoltà, che hanno reso spesso sporadica e approssimativa la trattazione delle risorse naturali, è utile evidenziare come il tema sia ad ogni modo presente nella storia del pensiero economico. 11 Petty è con ogni probabilità il primo autore a mettere in risalto che la natura genera valore: la terra (land) è la “madre” del valore, mentre il lavoro ne è il “padre”, essendo entrambi fattori non prodotti7. Non è agevole esprimere entrambi nella stessa unità di misura, data la loro eterogeneità, infatti la proposta di utilizzare la sussistenza in termini di cibo lascia molto a desiderare8. Cantillon, un secolo dopo, ribadirà la duplice origine del valore – terra e lavoro – ma proverà ad adottare la terra come unica unità di misura, equiparando dapprima la quantità di lavoro al salario corrisposto, e convertendo quest’ultimo in termini di terra impiegata per produrlo. Insoddisfatto del risultato, concluderà che per spiegare la questione del valore è molto più semplice ricorrere alla contrattazione tra domanda ed offerta, e cessare di cercare il valore intrinseco. Nello stesso periodo la scuola fisiocratica approfondisce ed elabora l’idea che la terra sia all’origine del valore: Mirabeau definisce la fisiocrazia – letteralmente “governo della natura” – come “scienza delle sussistenze”, considerando la ricchezza in senso materiale. È con il Tableau di Quesnay che la terra diventa l’unica fonte del valore, e l’agricoltura, di conseguenza, l’unico settore produttivo, gli altri limitandosi a trasformare il prodotto della terra, chiamato “prodotto netto”, che serve ad alimentare le altre attività, oltre a ricostituire quanto impiegato nel processo, ossia spese per il mantenimento del terreno (avances foncières), per il capitale fisso (avances primitives) e correnti (avances annuelles). L’innovazione di Quesnay consiste nel rappresentare l’economia come un sistema e la ricchezza come un flusso circolare, sulla scorta delle conoscenze mediche possedute: la circolazione del sangue nel corpo umano è analoga alla circolazione della ricchezza nel “corpo sociale”. Si può affermare che il Tableau sia il primo modello economico, caratterizzato da interdipendenze tra classi sociali definite in senso funzionale, per il quale si evidenziano le condizioni di stabilità, o per dirla in termini marxiani, di riproduzione semplice. 7 8 A Treatise of Taxes and Contributions, 1662 Political Anatomy of Ireland, 1672, pubblicato postumo nel 1691 12 La critica dei contemporanei di Quesnay avrà gioco facile nel demolire le tesi che la terra sia l’unica origine del valore, e che le classi artigiane siano improduttive, poiché sarà l’industrializzazione stessa a contraddirle. L’idea che la produttività della terra determini il sovrappiù non viene però intaccata, e si ritrova tanto nel Saggio sulla popolazione di Malthus quanto nei Principles di Ricardo, in quella che è la teoria della rendita fondiaria: la terra è in quantità finita e si presenta con diversi gradi di fertilità, dunque all’aumentare del bisogno di sussistenze si metteranno a coltura terre sempre meno produttive. L’esito di questo processo sarà per Malthus la stabilizzazione demografica, per Ricardo l’erosione del saggio di profitto. La produzione non agricola può in via teorica crescere indefinitamente, ma troverà un ostacolo insuperabile nella finitezza dell’ambiente. Il destino dell’uomo sembra essere dunque lo stato stazionario, per evitare il quale Ricardo suggerisce l’apertura commerciale verso l’estero, Malthus conclude invece che una tale situazione si accompagnerebbe ad una crescente miseria; al contrario, alcuni anni dopo J.S. Mill vedrà nella staticità un “lieto fine”: quand’anche popolazione e capitale accumulato cessino di crescere, una migliore distribuzione del prodotto esistente sarebbe più che sufficiente per garantire comunque una crescita dello sviluppo umano, riferendosi con ciò alle arti, alle opere dell’ingegno, al godimento dell’ozio e della natura. Lo stato stazionario è in qualche misura inevitabile, quindi meglio adeguarvisi volontariamente piuttosto che costretti dalla necessità. I nuovi metodi produttivi industriali che si affermano durante il XIX secolo pongono diversi problemi, riguardanti molteplici discipline. L’economia si preoccupa soprattutto di stabilire le condizioni di allocazione del capitale fisico e misurarne il contributo alla produzione. L’affermarsi di nuove teorie economiche, nelle quali si ipotizza la soggettività del valore e si definisce l’equilibrio generale, non oscura le problematiche manifestatesi in quel periodo, relative alle risorse naturali. Jevons, il padre del marginalismo inglese, ritiene che il carbone svolga la medesima funzione che la terra svolge nel pensiero ricardiano e matlhusiano, che sia cioè il fattore limitante. L’autore affronta questo problema senza il 13 supporto dell’analisi marginale, ricorrendo principalmente alla statistica e prevedendo a breve il raggiungimento di un picco estrattivo, in prossimità del quale inizierà la scarsità a causa di domanda e costi crescenti. Essendo il carbone una risorsa esistente in quantità limitata, il prelievo crescente porrà presto dei limiti alla crescita e segnerà il declino della potenza economica inglese. Le proiezioni a lunghissimo termine risulteranno però lontane dalla realtà, in quanto Jevons svolge la sua analisi escludendo che in futuro vi possano essere altre materie prime in grado di sostituire il carbone come principale fonte di energia, mentre ammette che vi siano opportunità di sfruttare l’idrogeno e le “energie rinnovabili”, per usare l’espressione odierna. Nella stessa opera è contenuta anche l’enunciazione del paradosso di Jevons, secondo il quale un aumento dell’efficienza energetica e tecnica provoca una crescita del consumo di risorse, non una riduzione. In termini moderni, equivale ad affermare che il saggio di crescita è maggiore del saggio di progresso tecnico o – che è lo stesso – del saggio al quale diminuisce l’utilizzo di input per unità di prodotto. Un tema che emerge con forza negli stessi anni è proprio quello energetico, sulla spinta della termodinamica, branca della fisica che si viene sviluppando dopo l’introduzione delle macchine termiche nei processi di trasformazione. Le sue leggi stabiliscono tra l’altro che la quantità di energia in un sistema chiuso è costante e che qualunque sua trasformazione comporta una dissipazione. Tra le diverse ma equivalenti formulazioni, la più rilevante per la presente trattazione stabilisce che è impossibile trasformare tutto il calore in lavoro, quindi una macchina termica il cui rendimento sia il 100% è impossibile da realizzare, anche in via teorica. Il concetto di entropia entra nel linguaggio scientifico, ma gli economisti non se ne curano, sebbene ricorrano a postulati ed analogie derivanti dalla fisica e nonostante la scarsità di risorse sia alla base della definizione di economia che essi stessi adottano. Due esempi di questo disinteresse sono collegati ai nomi di Sergej Podolinskij e Patrick Geddes: il primo instaura una breve corrispondenza con Marx ed Engels, il secondo con Walras. 14 Podolinskij è un socialista ucraino che formula una teoria del valoreenergia, secondo la quale “nulla può essere creato dal lavoro e […], di conseguenza, l’utilità del lavoro, il suo scopo, non può essere che la trasformazione di certe quantità di forze”; l’energia è dunque la misura dell’attività economica e la categoria marxiana del pluslavoro viene convertita – per così dire – in “plusenergia”: “il lavoro umano accumula nei suoi prodotti una quantità di energia maggiore di quella che è stata spesa per produrre la forza lavoro dei lavoratori”. Il processo attraverso il quale il lavoro umano riesce ad accumulare energia trova dei limiti insormontabili nella finitezza dell’energia disponibile nell’universo e della dissipazione progressiva di tale quantità, riassunte nei due principi di Clausius: l’energia dell’universo è costante, l’entropia dell’universo tende ad un massimo. L’autore esplicita inoltre la distinzione tra stock e flusso di energia, evidenziandone la comune origine dall’energia solare: lo stock di energia convertibile dipende cioè dall’accumulazione di energia solare passata, mentre il flusso è per definizione la quantità di energia solare irradiata direttamente sulla terra. Diversamente da Jevons, Podolinskij ritiene che “il pericolo che un giorno vengano a mancare sulla superficie terrestre forze convertibili è ancora molto remoto; al tempo stesso, osservando la cosa più da vicino, constatiamo che la distribuzione di queste forze non è sempre la più vantaggiosa per le esigenze del mondo organico in generale e per quelle del genere umano in particolare. Crediamo però che l’umanità abbia, fino ad un certo punto, il potere di modificare questa distribuzione dell’energia totale, così da accrescerne la frazione disponibile per gli uomini”. Quindi è la distribuzione dell’energia ciò che interessa realmente all’autore, analogamente all’approccio marxista della distribuzione del reddito. A questo proposito, egli ritiene, in singolare analogia con i fisiocratici, che l’agricoltura sia l’unico settore realmente produttivo, essendo in grado di trattenere gran parte del flusso energetico solare sulla superficie terrestre. Tale affermazione non è apodittica, ma risulta da una complessa stima dell’energia effettivamente irradiata da un lato, e dell’energia necessaria alla soddisfazione dei bisogni fondamentali dall’altro. 15 Tuttavia “invece di accrescere l’accumulazione di energia sulla Terra, oggi le macchine spesso accrescono l’inutile dissipazione delle forze di lavoro disponibili in quanto, a seguito della sovrapproduzione, espellono dalla stessa produzione una parte dei proletari. È invece necessario che ad ogni perfezionamento meccanico o di altro tipo faccia seguito immediatamente una riduzione generale dell’orario di lavoro che offra agli operai tempo libero per una nuova produzione e la formazione intellettuale, artistica ecc. Un livello superiore e una distribuzione più equa della quantità e della qualità dei beni alimentari comporterebbero inevitabilmente un accrescimento della forza muscolare e nervosa dell’umanità. Ne seguirebbe un ulteriore aumento della produzione e una maggiore accumulazione di energia sulla superficie del globo”. Dalla quantità di energia che si riesce a non disperdere dipende dunque la capacità demografica del nostro pianeta, e dalla sua distribuzione dipende la qualità della vita della popolazione. Il modo di produzione capitalistico fa sì che “una statistica accurata e scrupolosa, i cui dati non siano nascosti o falsificati, sarebbe il mezzo naturale per evitare il lavoro superfluo che viene sprecato dall’attuale anarchia”. È su questo terreno che Podolinskij vorrebbe confrontarsi con Marx, tentativo vanificato dalla stroncatura che Engels riserva alla teoria del valore-energia: nel suo lavoro il pensatore ucraino avrebbe soltanto ribadito che il surplus agricolo è condizione essenziale allo sviluppo industriale, mentre il calcolo della produttività del lavoro umano basato sulla trasformazione del flusso attuale di energia non terrebbe conto della quantità di energia accumulata nel passato, di cui le attività estrattive sono l’espressione corrente. Leggendo oggi l’articolo di Podolinskij, tale bocciatura sembra piuttosto frettolosa, sebbene non fosse lecito attendersi molto di più, in quanto Marx morirà due anni dopo il primo contatto epistolare con l’ucraino. Certamente Podolinskij conosceva gli schemi di riproduzione marxiani, tanto da riproporli in chiave energetica, tuttavia vi sono altri passaggi delle opere di Marx in cui si fa riferimento ai temi sollevati in questa sede. Il primo riferimento alle risorse naturali è contenuto nei Manoscritti Economico-Filosofici (1844), in cui la natura è sia “un mezzo immediato di 16 sussistenza, sia la materia, l'oggetto e lo strumento della sua attività vitale”, legando l’estraniamento del lavoro all’allontanamento dalla natura stessa. Nel primo libro de Il Capitale, si ribadisce questo concetto, aggiungendo che “con l’eccedenza sempre più notevole della popolazione di città agglomerata in grandi centri, la produzione capitalistica […] si intromette nel ricambio materiale tra uomo e terra, cioè nel ritorno a quest’ultima dei suoi elementi costitutivi che l’uomo ha consumato sotto forma di mezzi di nutrizione e di abbigliamento, sconvolgendo con questo l’imperitura condizione naturale di una costante fertilità della terra. […] Così ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalistica equivale a un progresso non solo nell’arte di derubare l’operaio, ma anche in quella di spogliare la terra, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle costanti sorgenti di tale fertilità.” Di tale consapevolezza Marx da credito a Liebig, individuando infine negli Stati Uniti di metà 1800 il perfetto esempio del legame esistente tra centralità della grande industria e devastazione ambientale, i costi della quale ricadono in misura predominante sulle classi lavoratrici. Nel terzo libro troviamo altre riflessioni, tanto sulle fasi a monte, quanto a valle del processo produttivo: per quanto riguarda la questione delle materie prime, i cui prezzi influenzano quelli delle merci direttamente e/o indirettamente, tramite le macchine che contribuiscono a produrli, e quindi il saggio di profitto, “donde si vede tra l’altro quale importanza abbia per i paesi industriali il basso prezzo della materia prima, [… perché] il valore delle materie prime ed ausiliarie si trasmette del tutto ed in un sol colpo nel valore del prodotto per il quale esse vennero utilizzate”. Considerazione molto importante è che, anche in assenza di variazioni nei salari e nelle condizioni di domanda ed offerta del prodotto, detta influenza sul profitto sussiste, connotandosi come rendita assoluta, la quale si manifesta sotto due condizioni: una bassa composizione organica del capitale e la separazione tra proprietari e 17 capitalisti9. Marx reputa che tale rendita sia massima nella proprietà terriera che ingloba risorse idriche, forestali, minerarie. Relativamente ai residui del processo produttivo, Marx mostra un atteggiamento ambivalente: si è già visto come i problemi legati all’esistenza di residui gravino quasi totalmente sui lavoratori, ed è vero che “le spese10 dovute agli scarti mutano in ragione diretta delle fluttuazioni del prezzo della materia prima”, tuttavia “con il modo di produzione capitalistico aumentano le possibilità di utilizzare i residui della produzione e del consumo”, derivanti da alcune peculiarità del sistema industriale, quali “presenza dei residui in grande quantità, […] perfezionamento del macchinario, […] progresso della scienza”. Su questo versante scriverà più diffusamente Engels (Antidühring, 1878), il quale enuncia chiaramente la pesante eredità dello sviluppo industriale che non armonizza la crescita delle città con le peculiarità delle aree rurali, in termini – diremmo oggi – di “spese difensive”11. In sintesi Marx, pur avendo affermato che “la natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva !)” (Critica del Programma di Gotha, 1875), non ha inserito conseguentemente le risorse naturali nei suoi schemi di riproduzione, ma a giudicare dai frammenti che compaiono nel libro terzo, sembra che il tema non potesse essere facilmente eluso. Negli stessi anni anche un biologo scozzese, Patrick Geddes, definisce la società come una molteplicità di esseri viventi in un determinato spaziotempo, i quali modificano la natura attraverso l’uso combinato di materia ed energia, allo scopo di supportare le proprie funzioni biologiche. Materia che si presenta in sostanze animali, vegetali e minerali, mentre l’energia viene distinta in chimica, tecnica (interna alla terra), rotativa (cinetica) e solare, che è sì attiva ma latente. Geddes considera il prelievo, l’utilizzo, e soprattutto la dissipazione di materia ed energia, la quale ha luogo durante tutte le fasi dei 9 Si ricordi che la rendita differenziale non influisce sui prezzi dei prodotti, in quanto mera redistribuzione di plusvalore 10 “Spese” nel senso di “Maggiori costi per il capitalista” 11 “Solo con la fusione fra città e campagna può essere eliminato l'attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in una condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie. La civiltà ci ha senza dubbio lasciato nelle grandi città un'eredità la cui eliminazione costerà molto tempo e molta fatica.” 18 processi di trasformazione innescati dall’uomo: estrazione di risorse naturali, sfruttamento, manifattura, trasporto, scambio, consumo finale e remedial effort, ossia le risorse impiegate per il contenimento dei danni. Gli agenti che provocano la dissipazione possono essere fisici (eventi naturali), biologici (dovuti ad organismi viventi) o sociali, come ad esempio la guerra e il crimine. Geddes non crede che la classificazione statistica contenga elementi di novità, tuttavia essa costituisce uno strumento adattabile e capace di rappresentare correttamente ogni elemento della società, al limite anche l’individuo. La terra che fornisce materia ed energia, la manifattura e il commercio che le trasformano sono in continuità con l’opera di Quesnay, che Geddes definisce “the leader of economic Reinassance”: le “scienze preliminari” (biologia, fisica, chimica) e la classificazione statistica contribuiscono a fare dell’economia una scienza perfettamente integrata nel complesso epistemologico, e non più un ambito isolato. Due anni dopo questa pubblicazione, Geddes intraprende un infruttuoso carteggio con Walras, prima di pubblicare An Analysis of the Principles of Economics, nel 1884. In questo lavoro i produttori vengono definiti automata che acquisiscono materia ed energia, mentre i consumatori le utilizzano. Il processo produttivo viene semplificato in tre fasi, estrazione, manifattura e scambio (trasporto e commercio): in breve, prima che inizi il processo si ha potential product, materia ed energia utilizzate nelle varie fasi sono il mediate product, e l’ultimate product è ciò che rimane dopo la trasformazione e la dissipazione avvenute in ciascuna delle tre fasi. Il surplus è dato dalla differenza tra prodotto finale e input (usati più dissipati), ed è ulteriormente suddiviso in uso permanente e transitorio: solo quest’ultimo dovrebbe essere propriamente denominato “consumption”, ed è composto da tutto ciò che si esaurisce con l’utilizzo (cibo, vestiario ecc.), mentre ciò che permane costituisce uno stock, sottoposto comunque a dissipazione e perdita di valore, ma più gradualmente. Ne consegue che massimizzare il consumo equivale a minimizzare il “permanent product”, e dunque a dissipare più velocemente materia ed energia. 19 La rappresentazione di questo processo è condensata nella tabella seguente, ed è una sorprendente anticipazione di un quadro input-output con saldi sequenziali: nella parte superiore della tabella, ogni stadio usa materia ed energia nelle quantità delineate dall’area bianca più in alto, ne dissipa un’altra parte (quella scura) e cede il restante alla fase successiva, processo che si ripete fino al consumo, dove si esaurisce il prodotto finale suddividendolo in transitorio e permanente. Nella parte inferiore all’intestazione dei conti troviamo invece dettagli circa la produzione e il consumo in termini di valore economico. Figura 1: Matrice di Geddes Mentre il problema energetico è abbastanza ben delineato, e consiste in “(1) stimare la quantità totale di energia immagazzinata a nostra disposizione; (2) la quantità lorda e netta utilizzata per unità di tempo; (3) i dettagli del suo utilizzo e della sua dissipazione”, il surplus totale e il suo impiego non possono essere comprensibili con un bilancio materiale ed energetico: Geddes afferma che, sebbene i bisogni fondamentali possano essere simili per tutti gli esseri umani, tuttavia il valore economico ed il consumo dipendono crucialmente da considerazioni estetiche, psicologiche e sociali. Ben conscio di ciò, l’autore ritiene l’approccio material-energetico una critica delle contemporanee teorie del valore, e non un paradigma alternativo. Le questioni distributive, collettive ed individuali, possono essere risolte dalla scienza economica solo se questa si accompagna ad altre scienze e ne interiorizza il contributo. 20 La questione delle basi materiali ed energetiche su cui si innesta l’attività economica viene ripresa nei primi decenni del 1900 da Frederick Soddy, premio Nobel per la chimica nel 1919, il quale, in due lezioni tenute ad Oxford, partendo dal presupposto che l’unica fonte di energia rinnovabile capace di garantire un flusso nel tempo è il sole, mentre il capitale e le materie prime utilizzate sono fondi, cioè flussi energetici accumulati in passato, suddivide gli input energetici a seconda del loro utilizzo in processi metabolici (life-use) o in processi lavorativi (labour-use), e conclude che, mentre l’uso vitale dell’energia non differisce molto da individuo a individuo e nel corso del tempo, il suo utilizzo nei processi produttivi è grandemente variato, aumentando notevolmente a partire dalla meccanizzazione e dall’industrializzazione. Ora, l’energia contenuta nelle merci prodotte si va decumulando, e se queste merci sono beni-capitali un flusso di energia supplementare dovrà essere impiegato per il loro mantenimento in efficienza. Dato che la disponibilità di fondi è limitata, ne consegue che l’aumento di ricchezza derivante dall’intensificazione della produzione si è reso possibile soltanto tramite il prelievo di quanto accumulato nei secoli sotto forma di energia latente. La ricchezza reale è per Soddy derivante soltanto dal sole e dalla fotosintesi, perché rinnovata continuamente nel tempo (flusso), e non può quindi essere “risparmiata”, nel senso che gli economisti danno a questa parola. Allo stesso modo, non è pensabile che un sistema economico possa crescere indefinitamente, essendo sottoposto ai vincoli energetici di cui si è detto: da questa considerazione deriva la critica all’interesse composto e al debito, che sono “irragionevoli convenzioni sociali”. Sebbene praticamente sconosciuto come economista, Soddy dovrebbe essere ricordato proprio per due concetti che verranno proficuamente ripresi nella seconda metà del Novecento: la critica della crescita e la distinzione tra flussi e fondi. Mentre Podolinskij, Geddes e Soddy descrivono principalmente le condizioni tecniche e fisiche grazie alle quali i sistemi economici utilizzano e trasformano risorse naturali, Pigou inaugura una tradizione che si rivelerà 21 dominante per quasi tutto il XX secolo: valutare col metro monetario tanto gli input non prodotti quanto le conseguenze dell’agire economico. Nel 1920 viene pubblicato Economics of Welfare, testo in cui, sebbene venga preso a riferimento per quella che in letteratura sarà poi conosciuta col nome di “imposta pigouviana”, si trova la definizione di prodotto netto sociale marginale e la sua comparazione col prodotto netto privato marginale: questi due aggregati possono differire in valore anche notevolmente, in presenza di beni e servizi di cui possono usufruire (o subirne le conseguenze) più soggetti. Nella stessa opera vi è anche un riferimento puntuale alle considerazioni extra economiche di cui si deve tener conto ogniqualvolta si intende ridurre gli effetti esterni, oltre alla considerazione che molto spesso le misure devono essere monetarie ed imposte per legge, affinché possano avere qualche efficacia. Mentre la teoria economica svilupperà copiosamente queste intuizioni e le unirà al surplus del consumatore per individuare profili fiscali o compensativi che riguardano la fase “a valle” del processo produttivo (la produzione di residui), poco si curerà di un'altra opera di Pigou, The Economics of Stationary States, in cui l’autore si occupa del ruolo delle risorse naturali come fattori di produzione, in un’ottica di equilibrio generale e di contabilità del reddito. Innanzitutto, egli enumera tre gradi di stato stazionario: nel primo, il sistema industriale nel suo complesso è stazionario, ma i settori rimangono dinamici; nel secondo, anche i settori sono in movimento, ma le singole imprese permangono stazionarie; nel terzo, infine, tutti gli agenti economici sono statici. Subito dopo, Pigou richiama la definizione ricardiana di “terra”, per estenderla al complesso delle risorse naturali e assumerla quantitativamente limitata: tale finitezza implica rendimenti decrescenti e quindi l’esistenza di una situazione di equilibrio, verso cui però non è detto che si converga, e quindi tantomeno che si raggiunga. Tale equivoco – tra esistenza e raggiungimento dell’equilibrio – può essere evitato facendo ricorso alla terminologia usata in fisica, e cioè distinguendo tra processi irreversibili e reversibili: mentre la tesi che oscillazioni intorno all’equilibrio debbano ridursi col tempo, fino a convergere verso di esso, appartiene all’ultima categoria di 22 processi, l’esistenza di fattori produttivi in stock limitati o comunque ricostituibili in un grande lasso di tempo sembra appartenere alla classe dei processi irreversibili. Pigou passa poi a definire il “real income”, ottenuto detraendo dal prodotto lordo sia il deprezzamento del capitale, sia delle risorse non prodotte consumate durante il processo produttivo. Il reddito reale è composto di materia, la quale esiste in quantità data, dunque “la produzione è, in realtà, un riarrangiamento della materia, e il consumo un secondo riarrangiamento.” L’attività economica consiste in successive trasformazioni della materia verso forme via via meno sfruttabili di essa: seppure tale termine non compaia in questa opera, la definizione così fornita ha molto in comune col concetto di entropia. Veniamo infine ai fattori, dal cui impiego dipende il livello di reddito reale: essi possono essere suddivisi – come di consueto – in fattore umano, fattore naturale (gifts of Nature), fattore prodotto (capitale materiale ed immateriale), ma la loro varietà è più marcata all’interno di questi gruppi, piuttosto che tra i gruppi; infine, Pigou introduce il concetto di maintenance price, ossia il costo sostenuto per mantenere invariata la funzionalità dello stock di un fattore, nelle condizioni in cui si trova. Se ammettiamo che effettivamente esiste un siffatto prezzo per ogni sub-fattore, questi formeranno un sistema di interrelazioni, all’interno del quale (e lì solo) è ammissibile ipotizzare in qualche misura la sostituibilità tra di essi. Pigou tuttavia, quando fa riferimento alla sostituibilità, non si riferisce mai al fattore naturale, bensì sempre a capitale e lavoro. Sebbene ancora nel 1935 un economista “mainstream”, diremmo oggi, come Pigou si occupi del ruolo e della contabilità delle risorse naturali, e quindi dei limiti imposti alla produzione ed alla crescita economica, tuttavia a partire dallo stesso periodo si apre una lunga parentesi nella quale la scienza economica “risolve” tale questione attraverso l’equilibrio generale concorrenziale. Le ragioni di questa tendenza si possono ricercare tanto nella crisi del 1929, la quale sposta l’attenzione sui meccanismi di domanda ed offerta di merci e moneta, quanto nella situazione europea – e, di riflesso, 23 mondiale – che fa da preludio al secondo conflitto mondiale. Gli economisti si dedicheranno quindi al supporto delle decisioni produttive volte a sostenere lo sforzo bellico prima e la ricostruzione “mercatistica” in funzione anticomunista poi, e collateralmente si occuperanno dei meccanismi monetari e finanziari in grado di agevolarne la realizzazione. Per capire meglio quale sia il punto di vista di questa corrente, seguiamo dapprima Harold Hotelling, che in un articolo del 1931 ammette da un lato che le risorse assolutamente non rimpiazzabili dovrebbero essere gestite nell’interesse collettivo, per evitare sprechi e imprevedibilità nelle varie fasi (scoperta, sfruttamento, immagazzinamento, distribuzione), e dall’altro che le decisioni pubbliche al riguardo dovrebbero basarsi sul tasso d’interesse di mercato, dal momento che questo è il risultato di molteplici influenze, anche meta-economiche, e costituisce perciò un criterio semplice e ragionevole: il valore sociale di un giacimento è il flusso scontato delle merci producibili grazie al suo sfruttamento, ed è con questa stima che andrebbe contabilizzato. L’analisi marginale con elementi di dinamica è poi lo strumento attraverso il quale si definisce il tasso ottimo di sfruttamento, il prezzo ottimale e l’equità intergenerazionale. Se Hotelling si occupa della fase “a monte”, Coase analizza gli effetti “a valle” del processo produttivo, sempre con il metro del mercato concorrenziale: comparare situazioni sociali alternative altro non è che comparare i corrispondenti livelli di prodotto sociale. Inoltre, per Coase eventuali effetti esterni negativi non sono necessariamente anti-sociali, come ventilava Pigou. Auspicando che i problemi dell’economia del benessere “debbano infine dissolversi nello studio dell’estetica e della morale”, Coase limita il problema economico al valore di mercato della produzione, potendosi dunque concepire esternalità negative che hanno un risultato netto positivo sul valore della produzione, e che perciò non andrebbero ostacolate o mitigate. L’idea di valutare gli effetti negativi (oggi li chiameremmo “spese difensive”) in senso risarcitorio o collettivo è fallace, secondo Coase, perché poggia su un’errata definizione di fattore produttivo: questi non sarebbe un’entità tangibile, bensì “un diritto di compiere certe azioni (in senso fisico)” o di 24 escludere altri dal poterle compiere. In questo modo, “come possiamo usare un pezzo di terra in modo da impedire a qualcun altro di calpestarlo, parcheggiarci o costruirci casa, così possiamo usare [il diritto di inquinare l’aria con fumi, rumori, odori] per negare ad altri la visuale, o un’aria pulita o la quiete”. In questi due autori si nota come le considerazioni tecniche, fisiche e biologiche vengano considerate estranee al campo di analisi e di indagine economica, che si limita ad analizzare i prezzi, le preferenze e il livello di produzione. In tal senso, non vi è alcun riguardo per una contabilizzazione differente da quella che considera le risorse naturali gratuite e fonte di guadagno per chi le estrae, guadagno che può essere valutato con l’analisi marginale, in termini di contributo alla produzione e tasso d’interesse; e dall’altro lato, non vi è la necessità di detrarre dalla ricchezza eventuali effetti negativi, nemmeno se manifestatisi in forma monetaria: seguendo il ragionamento di Coase, la spesa per mitigare i danni derivanti dall’esercizio del diritto ad emettere fumi è parte del prodotto sociale. Per concludere, va detto che in letteratura le prospettive del Pigou “benesserista” e del contrattualismo à la Coase non sono ritenute antagoniste, in quanto quest’ultima sarebbe soltanto la versione micro o meso-economica dell’imposta (o sussidio) alle esternalità: l’idea di un accordo di tipo giuridicocontrattuale è infatti ritenuta praticabile soltanto in presenza di risorse condivise da un gruppo delimitato di soggetti, mentre l’aspetto impositivo – e in qualche misura coercitivo – della ricetta pigouviana meglio si attaglierebbe a macroesternalità. Un analogo filone interpretativo riguarda i beni pubblici (commons), la fornitura da parte dell’autorità e il loro finanziamento. Per illustrare in sintesi le prospettive prevalenti, si è scelto da un lato il contributo di Samuelson, dall’altro le fosche analisi di Hardin. Samuelson intende generalizzare l’equilibrio di Lindahl in presenza di beni pubblici, per i quali esisterebbe uno pseudo-mercato, e la domanda dei quali dipende dal sistema dei prezzi e dal reddito disponibile. Secondo Samuelson, una redistribuzione del reddito condurrebbe ad un equilibrio di first best e 25 market clearing: vale a dire che ciascun consumatore paga esattamente ciò che è disposto a pagare, mentre l’autorità produce esattamente la quantità di bene pubblico domandata, e l’utilità marginale del reddito di ogni consumatore è identica, se ponderata col peso che ciascuno ha nella funzione di benessere collettivo adottata dal governo. La condizione perché questo equilibrio sia possibile è che il decisore pubblico sia onnisciente e benevolente, in quanto il problema del free riding va risolto a monte della decisione di fornitura, non durante la contrattazione. Hardin condivide la necessità di un soggetto pubblico che con una coercizione quanto più possibile condivisa sulla disciplina dei beni pubblici, ma il focus è sulla popolazione: in società con densità demografiche relativamente basse ha senso avere molti “commons”, mentre la concentrazione e l’urbanizzazione riducono gli spazi comuni e di conseguenza le libertà potenziali di cui ciascun individuo può godere, oltre ad aumentare l’inquinamento. Pertanto, l’autore ne deduce che anche la dimensione della famiglia non sia un fatto meramente privato, lasciato alla libera determinazione dei singoli: il laissez-faire non funziona nemmeno in demografia, perché è impossibile massimizzare contemporaneamente due variabili, l’energia destinata alla sussistenza e quella utilizzata per il lavoro. L’aumento della popolazione implica la riduzione di tutte quelle attività non direttamente legate alla sopravvivenza fisica; anche qualora l’approvvigionamento energetico divenisse illimitato, rimarrebbe il problema dell’accresciuta dissipazione e dei costi correlati all’inquinamento. Nonostante la scienza economica si accontentasse dei meccanismi di mercato, tendendo ad assiomatizzarli – si pensi all’equilibrio di Arrow-Debreu – ed universalizzarli, nello stesso tempo iniziavano ad essere evidenti i limiti dinamici di un modello di concorrenza perfetta, perfetta informazione e completa razionalità. Già nel 1960 era comparso Silent Spring, di Rachel Carson, che oggi viene considerato la pietra miliare dell’ambientalismo. L’imponente crescita economica verificatasi nell’immediato dopoguerra, unita all’affacciarsi di 26 paesi recentemente diventati indipendenti, sposta gradualmente l’attenzione verso la reale possibilità di una crescita illimitata e dei costi che essa avrebbe. L’analisi di queste tematiche è grandemente facilitata dal consolidamento del modello input-output, ideato e descritto da Wassily Leontief quasi trent’anni prima: la duttilità di questo schema interpretativo consente tanto un approccio analitico quanto statistico alla questione delle risorse energetiche e materiali da un lato, e della produzione di residui dall’altro. Nel 1966 Kenneth Boulding pubblica The Economics of the Coming Spaceship Earth, nel quale traccia la differenza tra un sistema chiuso ed uno aperto. Quest’ultimo è definito ”economia del cowboy”, dotata di enormi risorse non sfruttate, dove il consumo e la produzione sono comunque positivi, mentre il primo, detto “economia della navicella”, possiede limitate capacità di rigenerare le risorse necessarie, e quindi ciò che conta è mantenere quanto più possibile inalterato lo stock esistente – ad esempio, evitando di stabilire un tasso di sconto intertemporale, esempio di miopia e di intollerabile disfatta morale a supporto di decisioni reazionarie, o allungando la durata dei prodotti, obiettivo per il quale non basterà il mercato né tantomeno un meccanismo fiscale, essendo il sistema dei prezzi insufficiente al riguardo. Ma anche adottando la prospettiva del sistema aperto, il cui livello di produzione e consumo è misurato dal PIL, si dovrebbe poter distinguere tra input provenienti da risorse rinnovabili e non, oppure separare la parte di consumo che può ritornare ad essere input da quella che invece costituisce un residuo. Boulding definisce l’econosfera come un sistema aperto, ma in gradi di apertura molto differente nelle sue componenti (materia, energia, informazione): per quanto riguarda la materia, gli input passano dall’esterno all’interno del sistema di produzione e scambio, mentre gli output escono sotto forma di residuo o scarto; l’energia, proveniente da fonti rinnovabili e non, viene invece assorbita nel sistema economico, con una parte dissipata, dispersa sotto forma di calore; l’informazione (o conoscenza) è il fattore cruciale per l’evoluzione dell’uomo, in quanto egli è in grado di accrescerne lo stock 27 tramite nascite ed educazione, e di converso capace di ridurlo con l’invecchiamento e la morte. Orbene, tutti e tre gli ambiti sopra delineati sono soggetti ad entropia, cioè a dispersione dello stock disponibile: ovviamente in campo energetico tale assunzione è ormai consolidata (II legge della termodinamica). Anche la materia sembra sottoposta ad entropia crescente bilanciabile da processi antientropici (fissazione dell’idrogeno, desalinizzazione delle acque), tuttavia questi richiedono molta energia, e quindi aumentano l’entropia altrove. Quanto alla sfera della conoscenza (“noosfera”), non appare esservi degradazione complessiva, anche se i meccanismi che differenziano le società nei periodi espansivi non sono ben chiari e determinabili attraverso modelli. La riflessione metodologica, unita alla dimestichezza con i modelli inputoutput, inizia nello stesso periodo a tradursi in modelli operativi, analitici e statistici insieme. Qui ne prenderemo in esame due, uno materiale ed uno ambientale. Il primo è del 1969, gli autori sono Kneese e D’Arge, e si pone nell’ottica di equilibrio generale – bilancio dei materiali. Il modello è specificato come segue: rM = vettore di M risorse e servizi VM = vettore dei prezzi associati a risorse e servizi XN = vettore di N prodotti PN = vettore dei prezzi dei prodotti YN = vettore delle domande finali Nell’ipotesi che non vi sia sostituibilità tra fattori e processi e che non vi sia produzione congiunta (numero di prodotti identico al numero dei settori), tutte le relazioni sono mediate da matrici di tipo leontieviano a coefficienti fissi: (1) rM = AMN XN, dove AMN = [ajk] indica l’impiego della j-esima risorsa nel k-esimo settore; (2) XM = ANN YN, 28 con ANN = [I – C]-1, dove I è la matrice unitaria e C la nota matrice di produzione di Leontief; La (1) mette in relazione le risorse con i prodotti, mentre la (2) i prodotti con la domanda finale; combinando insieme le due espressioni, si può stabilire il legame tra risorse e domanda finale, sia dal lato quantitativo (3) che da quello dei prezzi (4): (3) rM = AMN ANN YN (4) PN = VM AMN ANN Poiché l’obiettivo è di analizzare l’equilibrio in senso materiale, le quantità dei fattori produttivi e dei prodotti devono uguagliarsi: a questo scopo, vengono introdotti due ulteriori settori, “ambiente” e “consumo finale”, i cui livelli di produzione in termini fisici sono rispettivamente Xθ e Xf. Successivamente, le risorse vengono suddivise in L materie prime (rm) e P servizi (rs), e solo le prime possono essere valutate in termini fisici, i secondi dovendosi necessariamente esprimere in unità di tempo o monetarie. Focalizzandosi dunque sui flussi materiali, la condizione di equilibrio si può esprimere come (5) (6) N L L k =1 j =1 j =1 N N k =1 k =1 ∑ Cθk X k = ∑ rjm = ∑ N L k =1 j =1 ∑ a mjk X k , che implica Cθ k = ∑ a mjk ∑ Cθ k X k = ∑ Ckθ X θ + C f θ X θ La (5) esprime l’equilibrio dei flussi materiali in entrata (dall’ambiente ai settori), la (6) in uscita: la somma dei flussi di materie prime è identica alla somma dei flussi di ritorno, sotto forma di rifiuti e residui. Tale condizione di equilibrio vale anche per il settore finale: (7) N N k =1 k =1 ∑ Ckf X f = ∑ C fk X k + C f θ X θ , dove il primo termine indica tutti i beni finali prodotti, il secondo i materiali reimmessi nel sistema (riciclo) e il terzo i rifiuti. 29 N Esprimendo la domanda finale come X f = ∑ Y j e ricordando la relazione (1) si j =1 può stabilire una relazione tra i flussi di rifiuti e la domanda finale, utilizzando i coefficienti tecnici leontieviani: N (8) N C f θ X θ = ∑∑ (C jf − C fj Ajk )Yk k =1 j =1 Il modello in questione presenta due condizioni molto restrittive, la completa insostituibilità dei fattori e l’assenza di produzione congiunta (un settore – un prodotto – un processo), tuttavia è utile per gettare luce su delle relazioni generalmente trascurate: per l’analisi dell’attività economica non rilevano soltanto i coefficienti di produzione e di consumo intermedio, necessari per stabilire un legame tra risorse utilizzate e prodotti finiti – vedi (3) – ma anche i coefficienti “di scarto” (Cfθ) e “di riciclo” (Cfk). Partendo dal presupposto che la materia è in quantità finita, la crescita del prodotto non è positiva in sé, ma dipende dalla capacità di utilizzare meno input e generare meno rifiuti (dispersione di materia). Permangono tutte le difficoltà di misurazione in termini economici, come si nota dall’accenno sommario – e non approfondito – della relazione tra prezzi delle risorse e dei prodotti, è però innegabile l’ineludibilità e la necessità di considerazioni fisiche e materiali nell’analisi economica. Leontief, da parte sua, non tarda ad offrire il suo contributo: partendo dalla constatazione che “l’inquinamento e gli altri effetti esterni desiderabili o indesiderabili delle attività di produzione e di consumo debbono essere considerati, a tutti i fini pratici, come parte del sistema economico”, l’autore colloca la determinazione della quantità di agenti inquinanti generata dalle attività produttive in posizione preliminare all’analisi economica, in quanto da un lato dipende da dati tecnici (chimici, fisici, biologici), dall’altro perché notoriamente il sistema di contabilità nazionale non si occupa delle transazioni che non passano per il mercato. Tuttavia, lungi dal ritenerla meramente una questione extra-economica, Leontief sostiene che “qualsiasi diminuzione o aumento nel livello di 30 produzione di agenti inquinanti, può essere dovuto tanto a un cambiamento nella domanda finale […] quanto a cambiamenti nella struttura tecnologica”, come si è già visto nel modello di Kneese e D’Arge relativamente ai flussi da e verso l’ambiente. Discorso diverso invece per lo smaltimento – totale o parziale – di tale quantità di inquinamento, che può agevolmente essere analizzato e misurato in termini economici, ossia in transazioni monetarie; in maniera molto semplice, si ipotizza che una parte di agenti inquinanti sia smaltita da un settore antiinquinamento, che opera con propri coefficienti tecnici e utilizza lavoro, un’altra parte sia eliminata direttamente dal settore che lo genera, mentre una quota non sia smaltita e quindi attribuita contabilmente alla domanda finale. Il classico sistema input-output viene riarrangiato come segue: A11 = [aij], input del bene i per unità di output del bene j (prodotto dal settore j), ovvero coefficienti tecnici di produzione; A21 = [agi], unità di agente inquinante g per unità di output i (prodotto dal settore i), “coefficienti tecnici di inquinamento”; A12 = [aig], input di i per unità di g eliminata (dal settore g), “coefficienti tecnici anti-inquinamento”; A22 = [agk], output di inquinante g per unità di inquinante eliminato k (eliminato dal settore k ); X1 = [xi], output totale del bene i; X2 = [xg], quantità totale di g eliminata; Y1 = [yi], domanda finale del bene i; Y2 = [yg], quantità di g non smaltita e attribuita alla domanda finale; In termini fisici, la condizione di equilibrio generale è espressa da: (9) I − A11 M − A12 X 1 Y1 LLL L LLL L = L A M − I + A22 X 2 Y2 21 31 Infine, si può considerare anche l’eventuale quota d’inquinamento generata direttamente dal settore di consumo finale (“Famiglie”), attraverso la matrice Ay = [agy,(i)], dove i coefficienti indicano l’output dell’agente inquinante g prodotto dal consumo di un’unità della merce i: in questo caso, il vettore Y2 va sostituito da Y2 – Ay Y1. Il sistema dei prezzi è leggermente più complesso e necessita di ulteriori specificazioni: Q21 = [qgi] = [rgi agi], dove rgi è la quota di inquinante g eliminata direttamente dal settore i in cui è stata generata; Q22 = [qgk] = [rgk agk], dove rgk è la quota di inquinante g eliminata direttamente dal settore k (anti-inquinante) in cui è stata generata; P1 = [pi], prezzi dei beni; P2 = [pg], costo di eliminazione dell’agente inquinante g; V1 = [vi], valore aggiunto per unità di bene i prodotta del settore i; V2 = [vg], valore aggiunto del settore anti-inquinamento g per ogni unità di g smaltita; (10) I − A'11 M −Q '21 P1 V1 LLL L LLL L = L A' M I − Q '22 P2 V2 12 In conclusione, nel sistema leontieviano il settore disinquinante genera valore aggiunto analogamente agli altri – dipende cioè dai coefficienti tecnici e dal costo dei fattori utilizzati – e quindi si somma al prodotto netto del sistema economico. Tuttavia, l’autore riconosce apertamente che il disinquinamento è un costo, il quale ricade principalmente sui consumatori finali, dal momento che se tale costo viene sostenuto dal pubblico sarà finanziato dalla fiscalità generale, mentre se si imponesse in via normativa lo smaltimento ai settori che producono agenti inquinanti, i relativi costi verrebbero incorporati nei prezzi. Ad ogni modo, “una volta che sono stati elaborati appropriati insiemi di coefficienti tecnici di produzione, la generazione o l’eliminazione di tutte le varie specie di agenti di inquinamento 32 può essere analizzata, così come in realtà è, come parte integrante del processo economico”. La trattazione forse più completa e rigorosa degli aspetti materiali relativi ai processi economici si deve a Nicholas Georgescu-Roegen, il quale affronta l’argomento in un’opera organica e complessa, e non in un breve articolo, come si è visto finora. L’analisi economica è concentrata negli ultimi capitoli, ed è a essi che si farà riferimento. Preliminarmente, l’autore definisce e delimita il concetto di processo, attraverso due dimensioni: la frontiera con il suo ambiente circostante (in senso figurato, non meramente spaziale) e la durata. Analiticamente, “possiamo descrivere ogni elemento che attraversa la frontiera dall’ambiente al processo come un input e ogni elemento che la attraversa all’inverso come un output”, ovvero, ad ogni elemento Ci associamo una funzione di input Fi(t) ed una di output Gi(t), entrambe definite sull’intervallo [0,T], indicante la durata del processo. È possibile inoltre rappresentare ciascun elemento con il saldo Ei(t) = Gi(t) – Fi(t), che conduce a distinguere tra diversi casi: se Gi(t) è nullo, l’elemento è un input puro (ad esempio, l’energia solare), viceversa se Fi(t) =0, C è un output puro (i rifiuti non riciclabili); prendendo spunto dal modello ricardiano, il grano è invece tanto input quanto output; una terza categoria, infine, è più complicata, poiché composta di elementi che durante il processo subiscono cambiamenti qualitativi – è il caso dei lavoratori e degli utensili: i primi “entrano riposati ed escono stanchi”, i secondi “possono essere nuovi quando entrano nel processo ma usati quando ne escono”. Questa trasformazione è una forma con cui si presenta – e influisce sull’attività economica – l’entropia. Georgescu non è però soddisfatto dei modelli statici di Leontief e di Von Neumann, in quanto osservano semplicemente i flussi che attraversano la frontiera tra ambiente e processo, senza nulla dire riguardo la situazione preesistente e quella finale, al punto che, se la quantità di prodotto fosse uguale in due diversi istanti osservati, non sapremmo distinguere tra stazionarietà – situazione in cui qualcosa accade – e stasi. Risulta altresì limitativa la celebre distinzione di Fisher, secondo la quale “lo stock si 33 riferisce ad un istante di tempo, il flusso ad un intervallo”, potendosi dare il caso in cui il discrimine non sia esclusivamente temporale – vale a dire che un flusso non necessariamente proviene da uno stock e si dirige verso un altro stock – bensì sostanziale: flussi e stock possono cioè essere composti di sostanze differenti. Da parte loro, gli input necessari allo svolgimento di un processo possono essere usati o consumati: nel primo caso, prima di annullarsi richiedono un certo intervallo di tempo, mentre nel secondo si annullano nel momento stesso in cui superano la frontiera tra ambiente e processo: “in relazione ad un dato processo, un input è solamente usato (ma non consumato) se può essere associato ad un elemento di output perché è della stessa sostanza – come i semi di trifoglio nel produrre semi di trifoglio – o perché è rimasto invariato – come la scala per il pittore”. L’esistenza di input durevoli conduce l’autore alla ricerca di un termine più appropriato per definire il capitale fisico, che viene “decumulato” non nel senso che viene attribuito ad uno stock: “quando ‘decumuliamo’ una macchina non la dividiamo in parti e ne usiamo una alla volta finché tutte non vengono consumate. Al contrario, la macchina è via via usata in una sequenza temporale di operazioni fino al punto in cui diventa inutilizzabile e viene gettata. Una macchina è uno stock materiale, ma non nel senso che la parola assume in ‘uno stock di carbone’. Se vogliamo mantenere la terminologia, potremmo dire che la macchina è uno stock di servizi (usi). Ma un modo distinto (e quindi più corretto) di descrivere una macchina è definirla come un fondo di servizi”. Uno stock si può decumulare istantaneamente, un fondo no: ad esempio, una lampadina con 500 ore di vita non può illuminare 500 stanze per un’ora contemporaneamente. Le unità di misura riassunte in tabelle illustrano meglio la differenza concettuale: 34 Concetto Flusso Saggio di flusso Servizio Saggio di servizio Unità di misura Sostanza Sostanza Tempo Sostanza ⋅ Tempo Sostanza ⋅ Tempo = Sostanza Tempo È rimarchevole notare come flusso e saggio di servizio siano misurati entrambi attraverso la “sostanza” (in senso lato), poiché “il saggio di servizio è semplicemente l’ampiezza del fondo che fornisce quel servizio”. L’autore si richiama al capitale costante di marxiana definizione, il quale partecipa al processo produttivo, ma rimane praticamente inalterato; Georgescu si limita ad aggiungere che un fondo soddisfa questa condizione – esce dal processo nelle medesime condizioni in cui vi è entrato – fatte salve le spese per evitarne il degrado e mantenerne quindi l’efficienza iniziale. L’azione entropica espressa dal secondo principio della termodinamica impedisce però ad alcuni fondi di essere sempre e comunque ricostituiti tramite adeguati flussi energetici di mantenimento – si vedrà tra poco questo concetto – mentre il consumo da un lato e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti dall’altro non fanno altro che aumentare l’uso di materia o – per dirla in un altro modo – diminuire la resilienza del sistema economico, ossia la sua capacità di mantenere la struttura organizzativa in presenza di perturbazioni. Georgescu riassumeva questa considerazione con la frase “matter matters, too” e la usava come base per quella che ha definito ironicamente la “quarta legge della termodinamica”, secondo la quale la Terra è un sistema aperto dal lato energetico, ma chiuso da quello materiale, cosicché la degradazione della materia impedisce definitivamente il riciclaggio completo. Con questa tassonomia, è possibile enucleare ora il modello flussi-fondi, in cui entrambi i termini costituiscono fattori di produzione, con i flussi come soggetti passivi e i fondi quali agenti – o soggetti attivi – dei processi economici. Ciascun flusso continua ad essere rappresentato con Ei(t), gli elementi di fondo (Cα) contribuiscono al processo con un ammontare di servizi Sα(t). 35 Naturalmente, lo stesso elemento può essere un flusso od un fondo – “il martello utilizzato per produrre altri martelli” – e ciò dipenderà dalla durata del processo: un’automobile può durare un tempo molto lungo, se le sue componenti vengono via via sostituite; nel lungo periodo, tuttavia, il costo e l’obsolescenza renderanno più conveniente rimpiazzarla tout-court, mentre nel lunghissimo periodo sarà l’inesorabile legge di entropia che impedirà al fondo di fornire ancora servizi. Per quanto riguarda la classificazione, l’autore annovera tra i fondi i tre classici “fattori di produzione” terra ricardiana (L), capitale (K) e lavoro (H), mentre i flussi sono composti da risorse naturali (R) – energia solare, acqua, carbone ecc. – input materiali destinati alla trasformazione (I), input necessari al mantenimento del capitale (M), output (Q) e rifiuti (W). Un processo può essere quindi rappresentato da T T T T T T T T R ( t ), I ( t ), M ( t ), Q ( t ), W ( t ); L ( t ), K ( t ), H (t ) 0 0 0 0 0 0 0 0 Tale rappresentazione conduce l’autore a due critiche nei confronti della teoria neoclassica della produzione: da un lato, la funzione di produzione à la Wicksteed è una funzione puntuale, associa cioè un livello quantitativo di produzione con una combinazione di certe quantità di input; dall’altro, non includendo esplicitamente il tempo, una tale relazione equivale ad assumere un “sistema di fabbrica” composto da processi in linea nei quali i fattori non sono mai inoperosi, e generano quindi elementi di flusso continui: R(t) = rt, M(t) = mt, e così via. Se ai fondi fin qui enumerati se ne aggiungono altri due, le scorte S e i semilavorati (elementi propri del sistema di produzione in serie), la funzione di produzione neoclassica si può esprimere come q = F (r , i, m, w; L, K , S , , H ) , la quale “non ci dice ciò il sistema fa, ma solo cosa può fare”. Georgescu-Roegen suggerisce invece di considerare la funzione come un funzionale, ossia una “funzione di funzioni”, del tipo rappresentato di seguito: T T T T T T T T Q (t ) = ℑ R (t ), I (t ), M (t ),W (t ); L(t ), K (t ), H (t ) 0 0 0 0 0 0 0 0 36 Un’altra annotazione riguarda il grado di sostituibilità tra fondi e la teoria distributiva basata sulla produttività marginale: in sintesi, è molto più verosimile che esista un certo grado di sostituibilità tra qualità diverse dello stesso fondo piuttosto che tra fondi distinti; ad esempio, K e H possono essere resi omogenei, e quindi in parte sostituti, solo misurandoli in termini di valore, ma è pur vero che generalmente parlare di capitale (o lavoro) omogeneo è una comoda quanto semplicistica astrazione matematica, esattamente come lo era l’assumere processi in linea ininterrotti, senza inoperosità dei fondi. Infine, non bisogna dimenticare che in un sistema non stazionario la “produzione” non consiste solo di merci, ma anche di processi, quindi ogni modello input-output dinamico dovrebbe includere un ritardo che tenga conto del tempo necessario ad accumulare i fondi necessari a creare il nuovo processo che produrrà il nuovo flusso. Non volendo entrare nel formalismo matematico proposto da GeorgescuRoegen, è sufficiente puntualizzare come in realtà lo schema dei flussi coincida con il modello input-output leontieviano, con due aggiunte: le risorse naturali – potremmo dire “non prodotte” – e i rifiuti. Il dibattito ecologico cui si è accennato in queste pagine è stato affrontato anche con altri metodi e ipotesi, di cui è bene rendere conto, da un lato per completezza di trattazione, dall’altro per evidenziare la rilevanza dei temi sollevati e la loro accettazione da parte degli economisti. Il punto di vista dell’economia neoclassica riguardo il tema delle risorse esauribili è ben compendiato in due articoli di Solow: nel primo (1974a) si ribadisce che il sistema di mercato è sufficiente per fronteggiare l’eventuale esaurimento di un input, poiché la scarsità ne farà aumentare il prezzo e quindi per un verso renderà profittevole ricorrere a riserve più costose e difficili da sfruttare, mentre allo stesso tempo spingerà verso la ricerca di fonti alternative. È importante per Solow il ruolo chiave delle spese in ricerca e sviluppo, le quali, se si traducono in innovazioni applicabili, sono in grado di mantenere un accettabile e sostenuto livello di crescita endogena, permettendo un certo grado di sostituibilità sia tra diverse risorse naturali sia tra queste e il 37 capitale fisico utilizzato: nel primo caso, una risorsa in esaurimento viene gradualmente rimpiazzata con un’altra emergente, nel secondo diminuisce l’utilizzo di una risorsa non prodotta mentre aumenta quello di capitale. Tale visione fiduciosa nel progresso tecnologico viene confermata e rafforzata in un altro lavoro (1974b), nel quale la prospettiva neoclassica si legittima anche “moralmente”: è possibile continuare a perseguire l’obiettivo di massimizzare il consumo pro-capite vincolato all’esistenza di risorse esauribili e all’indisponibilità del capitale futuro, a condizione che ad ogni maggiore prelievo odierno di risorse corrisponda un incremento dell’intensità capitalistica – dunque della quantità di capitale fisico rapportata all’input di lavoro – lasciata in dote alle generazioni successive. Sebbene questo articolo faccia riferimento a problemi di lungo periodo, in realtà è sulle ipotesi iniziali che sorge qualche perplessità: in primo luogo, viene ribadita la sostituibilità tra fattori non prodotti e capitale fisico, il che equivale – per usare le parole di Mauro Bonaiuti – ad ipotizzare che per produrre una maggiore quantità di pizza basti impiegare più forni e più pizzaioli, lasciando invariata la quantità di ingredienti; secondariamente, viene assunto un progresso tecnico di tipo Hicks-neutral, vale a dire che a variare è la produttività totale dei fattori, non quella di un singolo input; inoltre, si stabilisce che il tasso di prelievo ottimale è quello che equipara i rendimenti del capitale fisico a quelli ottenibili dall’utilizzo di risorse naturali, confondendo l’efficienza tecnica con quella economica; infine, si assume che l’output sia più elastico rispetto al capitale che alle risorse esauribili, il che rafforza certamente la fiducia riposta nel progresso tecnico, ma questa convinzione andrebbe dimostrata, non assunta a priori. Il secondo approccio è antitetico rispetto a quello “economicista” di Solow, e possiamo considerarlo in parte come una radicalizzazione dell’opera di Podolinskij, descritta in precedenza. Partendo dai progressi della termodinamica e dalle caratteristiche dell’energia – misurabilità, additività, convertibilità – Eugene e Howard Odum elaborano la teoria “emergetica”, contrazione di embodied energy, la variabile che tutti gli ecosistemi, e dunque tutti i sistemi economici, tendono a massimizzare sotto il vincolo di 38 disponibilità energetica limitata. La produzione e lo scambio di beni e servizi vengono così ricondotti all’utilizzo e al trasferimento di energia incorporata, in una prospettiva olistica che condivide la cornice input-output. Seguendo queste premesse, la ricchezza e la possibilità di una crescita durevole dipende crucialmente dalla quantità di energia disponibile che un sistema riesce ad incorporare. Si è già detto di come questo secondo approccio risulti riduzionista, non tenendo in alcun conto l’agire dei singoli soggetti economici e non considerando un altro importante aspetto, la materia, inserito invece nel modello di Georgescu-Roegen, mentre per Solow valgono considerazioni opposte, poiché subordina al valore economico ogni altra considerazione tecnica. In sintesi, si può dire senza esagerare che la prospettiva degli ecologisti à la Odum è sistemica, ma non economica, mentre gli economisti neoclassici sono scarsamente sistemici, sebbene colgano meglio le dinamiche prettamente economiche. Dunque, alla fine del decennio 1970, le problematiche ambientali, tanto dal lato delle risorse quanto da quello dei residui, sono entrate a pieno titolo nel discorso economico, e hanno interessato anche la scuola neoclassica, come dimostra il contributo di Solow. Nel decennio successivo è possibile rinvenire almeno tre approcci, che si concentrano meno su questioni analitiche pure, piuttosto cercano di integrare coerentemente – quantificandolo – il ruolo giocato dalle limitazioni ambientali nell’attività economica: il primo, prettamente mainstream, prosegue nell’alveo “contrattualistico”, e intende definire un vero e proprio mercato dei diritti ad inquinare o ad utilizzare le risorse comuni. Tale corrente può essere ricondotta inizialmente a John Dales, fino ad arrivare alle estreme conseguenze, espresse da Larry Summers al Financial Times il 10 febbraio 1992: “I Paesi dell’Africa scarsamente popolati sono molto meno inquinanti della media. In tali paesi la qualità dell’aria è inutilmente molto migliore di quella di Los Angeles. Bisogna incoraggiare una migrazione più sostanziosa delle industrie inquinanti verso i paesi meno avanzati, e preoccuparsi di più dei rischi di cancro alla 39 prostata che si corrono in un paese in cui si invecchia abbastanza per contrarlo, piuttosto che in un paese dove duecento bambini su mille muoiono prima dei cinque anni. Penso che la logica economica secondo la quale masse di rifiuti tossici devono essere scaricate là dove i salari sono più bassi, sia inconfutabile”. Il secondo approccio è perfettamente inserito nel quadro NIPA (National Income and Production Accounts) e consiste da un lato nell’aggiunta di voci trascurate dalla contabilità nazionale, dall’altro nel cambiare di segno molte voci positive del PNL, considerandole cioè consumo intermedio invece che contributi al reddito nazionale. Daly e Cobb, ripercorrendo i recenti sviluppi della contabilità nazionale, partono da una definizione “hicksiana”12 del reddito: RH = PNL – SP – (ACF + ACN), nella quale il reddito effettivo di un sistema economico si ottiene detraendo dal prodotto nazionale lordo le spese difensive (SP) e due componenti di ammortamento, relative al capitale fisico (ACF) e a quello naturale (ACN), seguendo “una definizione funzionale di capitale come uno stock che produce un flusso di risorse e servizi naturali”. Gli autori tengono anche conto della possibilità di sostituzione tra capitale fisico e risorse naturali, e definiscono “sostenibilità debole” l’ottimistica visione neoclassica, adottando la quale “sarebbe tuttavia necessario mantenere intatto il capitale totale (sia quello creato dall’uomo sia quello naturale) per rispettare la definizione hicksiana di reddito. Il logoramento del capitale naturale dovrebbe quindi essere compensato da un’accumulazione equivalente di capitale creato dall’uomo”. La proposta operativa è molto articolata, comprendendo stime del lavoro domestico, lo storno dei beni durevoli acquistati dalle famiglie dal consumo all’accumulazione, la detrazione delle spese pubblicitarie, ma ciò che interessa 12 “Lo scopo del calcolo del reddito nelle situazioni concrete è di dare alle persone un’indicazione dell’ammontare che possono consumare senza diventare più poveri. Sviluppando questo concetto, si può giungere a definire il reddito di una persona come il massimo valore che può consumare nel corso di una settimana con l’obiettivo di arrivare alla fine della stessa tanto ricco quanto lo era all’inizio” (Value and Capital, 1948) 40 in questa sede sono le spese difensive, in una doppia accezione, sociale ed ambientale. Vediamole in breve: - spese private: si ipotizza che la metà della crescita delle spese sanitarie sia di tipo difensivo, ossia generata dalle deteriorate condizioni ambientali urbane ed industriali; - costi diretti del pendolarismo: quota delle spese per trasporti pubblici e dei costi di acquisto, ammortamento ed uso di veicoli privati,; - costo dell’urbanizzazione: valore del terreno in rapporto al valore totale delle proprietà (terreno + fabbricati) moltiplicato per le spese di alloggio; - costo degli incidenti stradali; - perdita di terreni agricoli; - costi del deterioramento di aria, acqua, risorse naturali: stime presuntive; - danni ambientali a lungo termine: stima proporzionale al consumo di energia da fonti non rinnovabili. È bene precisare che lo scopo ultimo di queste modifiche al sistema contabile consiste nella creazione di un indice alternativo al PNL (l’Index of Sustainable Economic Welfare), e che i procedimenti di stima sommariamente descritti non possono essere integrati facilmente in un quadro input-output: infatti, se perfino a livello nazionale si sono dovute condurre delle stime, la disaggregazione settoriale imporrebbe un ulteriore inferenza potenzialmente letale per il valore esplicativo dell’analisi condotta da Daly e Cobb. Pur con queste limitazioni, peraltro sottolineate dagli stessi autori, il tentativo di quantificare e ridefinire alcune poste contabili legate all’ambiente entro cui si svolge l’attività economica è inedito, comprensibile e agevolmente migliorabile. Certamente, definire consumo intermedio tanto le spese pubblicitarie quanto lo smaltimento di rifiuti può ritenersi discutibile o ideologico, così come scindere le spese sanitarie e di istruzione in una quota “positiva” ed una “difensiva” è un procedimento arbitrario, di esclusiva responsabilità degli autori. 41 La terza modalità di inclusione dell’ambiente nella contabilità nazionale è una variante della proposta di Daly & Cobb, differente in quanto valuta soltanto le spese effettivamente sostenute per “eliminare, mitigare, neutralizzare o anticipare ed evitare i danni e il degrado che le società industriali hanno causato alle condizioni ambientali, di vita e di lavoro”: in uno studio empirico sulla Germania Ovest, Leipert conferma quello che abbiamo visto essere un doppio bias della contabilità nazionale, omettendo i costi dovuti al degrado dell’ambiente e ponendo alcune spese difensive come componenti positive di reddito. I costi ambientali sono in costante aumento per la “voracità” della struttura economica, caratterizzata da un processo di crescita incontrollato e dal perseguimento del minimo costo, sfruttando i fattori gratuiti, vale a dire disponibili in natura. La concentrazione urbana ed industriale genera quattro diverse categorie di costi, ambientali e sociali: “spese difensive compensatorie”, pensioni e assistenza sanitaria, perdite di risorse, danni ad individui e ambiente. Potrebbero essere inserite anche, come visto in Daly e Cobb, le spese per trasporti individuali, per gli affitti e per la sicurezza. Di queste, “le spese compensatorie sono imprescindibili necessità, lo scopo delle quali è compensare per passati danni ambientali o di altro tipo, o prevenire il loro verificarsi nel futuro”, e sono anche le uniche di cui si tiene conto in un quadro di contabilità nazionale. Nel caso dell’allora Germania Ovest, nel quindicennio 1970-1985 il 20% della crescita economica è dovuto all’aumento delle spese difensive – nell’accezione ristretta – mentre all’inizio del decennio 1980 esse ammontano a circa il 10% del PNL. Tali numeri portano l’autore a concludere che “l’indicatore ufficiale di crescita trasforma un fallimento in un successo”, e che “l’unico ruolo ragionevolmente attribuibile alla misurazione convenzionale della crescita sia di sintetizzare passivamente i risultati monetari dell’attività economica”. Molti di questi spunti saranno poi implementati nella contabilità ambientale dell’Eurostat, pur con tutte le difficoltà – tuttora presenti – nel trasformare il 42 quadro aggregato in un quadro intersettoriale: ad esempio, tra le spese difensive ve ne sono alcune riconducibili interamente alla protezione dell’ambiente, altre che invece sono ambientali soltanto in parte, ed è spesso difficile separare nettamente le diverse componenti. Constatare che una rilevante parte della crescita dipende dalle spese sostenute per ovviare ai problemi che la stessa crescita comporta è la base per la teoria della decrescita, sviluppatasi agli inizi del decennio 1990, ma che ha prodromi individuabili in lavori leggermente anteriori: per citarne solo due, da un lato il rapporto Meadows, focalizzato sulle condizioni materiali, che mostrava scenari futuri mondiali alternativi e quasi tutti insostenibili, se non modificando radicalmente le modalità operative dell’attività economica; dall’altro si situa il coevo The Social Limits to Growth, di Fred Hirsch, centrato sulla competizione posizionale nelle società economicamente avanzate, processo tendenzialmente escludente e generatore di disuguaglianza. Tuttavia, in questa sede ci si limiterà a sintetizzare il rapporto Meadows, in quanto relativo a limiti fisici, e non meramente sociali. Quale che sia lo scenario ipotizzato – anche il più ottimistico – tutto lascia presagire che entro un secolo dalla pubblicazione dell’opera l’umanità avrà raggiunto i limiti superiori alla crescita economica. Innanzitutto, “una disponibilità immediata di risorse […] non sembra rappresentare la soluzione per mantenere lo sviluppo del sistema mondiale. La rapida espansione economica che la disponibilità di tali risorse consentirebbe dovrebbe accompagnarsi a misure di controllo dell’inquinamento, per evitare la crisi del sistema mondiale.” In altri termini, risolvere il problema a monte non è sufficiente, bisogna agire anche sull’output del sistema economico. In secondo luogo, esiste una sorta di “paradosso di Jevons” anche per l’inquinamento, in quanto, anche simulando una riduzione ad un quarto di ogni genere di emissione inquinante, l’aumento del livello di attività più che compenserebbe tale miglioramento, aumentando cioè il livello assoluto di inquinamento. Ancora, non è sufficiente nemmeno l’ottimismo tecnologico à la Solow, poiché “qualunque società che si sforzi di oltrepassare i limiti posti dalla 43 natura facendo ricorso a nuove tecniche si trova a un certo punto di fronte a una scelta fondamentale: è preferibile adattarsi a vivere all’interno di tali limiti, accettando una regolazione autoimposta del processo di sviluppo e di crescita, oppure continuare sulla via dello sviluppo, fino al manifestarsi di qualche ostacolo naturale, sperando che nel frattempo i progressi della tecnica consentiranno di rimuoverlo?” Gli autori, pur riconoscendo che la seconda opzione è stata praticata con successo negli ultimi due secoli, rimangono nondimeno della convinzione, suffragata dalle loro simulazioni, che “l’ottimismo tecnologico rappresenta la più comune e pericolosa reazione alle nostre conclusioni sull’esame del modello mondiale”. La possibile via d’uscita proposta dagli autori richiama lo stato stazionario di John Stuart Mill, espresso però in termini analitici e contabili. Si parte dal presupposto che la crescita economica è il risultato dell’interazione tra tassi di segno opposto che agiscono su diversi aggregati: AGGREGATO Popolazione Capitale fisico Produzione VARIAZIONI POSITIVE Tasso di natalità Investimento Beni, servizi e residui VARIAZIONI NEGATIVE Tasso di mortalità Deprezzamento Risorse naturali Ciò significa che – ad esempio – un saldo netto positivo tra natalità e mortalità comporta un aumento della popolazione, che si traduce in un maggiore fabbisogno di beni e servizi, il quale a sua volta è accompagnato da una maggiore quantità di residui (inquinamento), da un maggiore livello di accumulazione e da una riduzione delle risorse naturali, sottoposte a maggiore sfruttamento. Qualora il livello di benessere raggiunto permetta una riduzione della mortalità – come è avvenuto con le trasformazioni economiche passate – il processo potrebbe autoalimentarsi all’infinito, prima di trovare variazioni negative in grado di controbilanciarne la forza. Quanto esposto è un anello di retroazione positivo, per usare la terminologia degli autori, e nell’esempio sopra citato si può interrompere attraverso la riduzione della natalità, un maggiore deprezzamento del capitale fisico, la riduzione delle risorse naturali disponibili o una combinazione di questi tre elementi. 44 Un sistema così strutturato presenta quindi delle condizioni di stabilità ben precise, che devono rispettare due requisiti: non è infatti sufficiente che le variazioni negative bilancino quelle positive (“equilibrio significa ‘condizione determinata dall’azione simultanea di forze uguali ed opposte’”), ma è necessario che tale condizione di uguaglianza abbia luogo in corrispondenza di bassi tassi di variazione. La popolazione ed il capitale possono rimanere costanti nel tempo a fronte di alta natalità ed alto investimento, ma ciò equivale ad assumere mortalità e deprezzamento altrettanto elevati, con tutte le spiacevoli conseguenze che ciò comporterebbe. Gli autori auspicano dunque che le oscillazioni di capitale e popolazione vengano minimizzate, per offrire le migliori condizioni alle generazioni future, sebbene non si spingano a prescrivere le stesse condizioni per quanto riguarda il terzo aggregato, ammettendo che nel 1972 – anno della pubblicazione – non vi erano informazioni coerenti e adeguate per descrivere la quantità di inquinamento e il suo legame con la crescita economica. La riduzione della produzione di nuovi beni e servizi – che si traduce in un allungamento del ciclo di vita dei prodotti, una riduzione dei residui da smaltire e del prelievo di risorse naturali – costituisce il nodo centrale della proposta eterodossa dei teorici della decrescita (Gorz, Latouche, Illich) e la base per le critiche al PIL, sviluppatesi nel primo decennio 2000, con proposte alternative volte a misurare il benessere sociale. Per finire la carrellata storica, è opportuno dar conto degli sviluppi dei modelli nati recentemente sulla scia di Von Neumann e Sraffa, e che si possono trovare sintetizzati in un botta e risposta apparso su Metroeconomica del 2001. Il primo lavoro si basa su una ripresa, da parte di Bidard ed Erreygers, del modello di Hotelling, compiuta utilizzando gli strumenti analitici neoricardiani: si parte da un modello semplice, con un solo bene (il classico “grano”), una sola risorsa esauribile (il guano) estratta senza costi e due tecniche produttive, una che utilizza guano e lavoro ed una che utilizza solo lavoro. L’analisi parte dal confutare la possibilità di trattare le risorse non rinnovabili allo stesso modo della “terra” ricardiana, con il pretesto della loro 45 estrema lentezza nell’esaurirsi; inoltre, si rigetta la praticabilità della soluzione competitiva, in quanto presuppone la perfetta conoscenza degli eventi futuri. (11) 1( guano) → 1( guano) a1 (corn) ⊕ 1( guano) ⊕ l1 (labour ) → 1(corn) a2 (corn) ⊕ l2 (labour ) → 1(corn) Seguendo la regola di Hotelling, “il prezzo corrente zt di una risorsa esauribile cresce nel tempo ad una velocità pari al tasso di interesse rt” (o tasso di profitto). D’altra parte, il prezzo del guano influisce su quello del grano, e “in presenza di prezzi variabili un’ulteriore difficoltà […] riguarda la misura del profitto”. Gli autori propongono di utilizzare come numerario un paniere (d, e, f) composto rispettivamente da un vettore di beni finali, un vettore di risorse non rinnovabili e uno scalare di input di lavoro; il tasso di interesse reale sarebbe quindi espresso in termini di questo paniere, che gli autori assumono – per semplicità – essere composto da solo grano. Si ipotizza inoltre di conoscere esattamente l’istante T in cui il guano sarà definitivamente esaurito, solo la tecnica composta da grano e lavoro sarà in uso e quindi si ritornerà al classico modello-grano. Grazie a questa ipotesi, gli autori possono enunciare il translation principle: la sequenza dei prezzi della risorsa esauribile non è influenzata da variazioni della domanda finale né dallo stock della risorsa stessa. La dinamica del modello implica che “il metodo con guano è usato fino all’esaurimento, il metodo con solo lavoro dopo l’esaurimento, entrambi i metodi durante il periodo di esaurimento. In questo istante (T) la royalty sulla risorsa raggiunge il suo picco ed è dunque identica alla rendita differenziale tra le due tecniche”. In un regime di variazione dei prezzi, non è inoltre sufficiente scegliere la tecnica e fissare una variabile distributiva (in questo caso il profitto) per determinare automaticamente l’altra, come nel modello sraffiano. La critica a questo approccio ed alle sue conclusioni arriva da Kurz e Salvadori, e verte inizialmente sulla definizione stessa di tasso di interesse reale, il quale, nel lavoro di Bidard ed Erreygers, rappresenta la sequenza di tassi di profitto nominali che rende costanti i prezzi del grano, ma questo è 46 soltanto uno dei casi possibili, e non ha alcuna valenza euristica particolare, come invece avrebbe se fosse l’own rate of return, così come definito da Sraffa13 e Wicksell14, questo sì “reale”, perché espresso negli stessi termini dell’input. Le proprietà di un sistema economico non dovrebbero variare a seconda del numerario scelto. In secondo luogo, la regola di Hotelling presuppone che la risorsa sia omogenea e disponibile in quantità nota, e dipendente dallo stock non ancora estratto: ciò equivale ad assumere che lo scenario “fine del mondo” non sia possibile, e ne da conferma l’esistenza di una tecnica che prescinde dall’utilizzo di guano. In una nota ancora non pubblicata15, Sraffa tratta esplicitamente la questione delle risorse naturali, distinguendo tra costi fisici reali e valorelavoro: nei primi è incluso l’ammontare di risorse esauribili utilizzate nel processo produttivo, nel secondo no. I casi possibili sono essenzialmente tre: questi input possono essere riprodotti dal lavoro, sostituiti dal lavoro, oppure nessuno dei due casi precedenti. Se tali risorse non possono essere riprodotte né sostituite, l’esito finale sarà ovviamente la distruzione della società intera, e i modelli dinamici che non tengono conto di questa possibilità giungono a conclusioni assurde. Osservazioni conclusive Nella nostra panoramica storica, si è visto come nel corso del tempo i problemi al centro della riflessione economica siano variati, spostandosi – lentamente ma costantemente – da un approccio meramente produttivistico all’analisi del problema distributivo, fino ad includere le risorse non prodotte, l’ecosistema e dunque la sfera esterna all’economia. Naturalmente, queste fasi non si sono mai escluse a vicenda, potendosi proporre e riproporre a seconda dei luoghi e dei tempi: ad esempio, il 13 “I prestiti nel mondo reale sono generalmente elargiti in termini di ogni merce per la quale esiste un mercato di contratti futuri” (Dr. Hayek on Money and Capital, 1932) 14 “Colui che cede beni presenti per ottenere, in un modo o nell’altro, beni futuri dello stesso tipo, compie realmente uno scambio tra due utilizzi dello stesso bene” (Value, Capital and Rent, 1954, prima ed. 1893) 15 Sraffa’s Papers, D3/12/42:33, nota del 25/03/1946) 47 problema distributivo, che sembrava essersi affievolito dopo la grande attenzione marxiana, si è riproposto su più vasta scala nel secondo dopoguerra, in occasione della decolonizzazione; in contemporanea, però, nelle accademie più prestigiose del mondo occidentale dominavano teorie neoclassiche matematicamente eleganti, analiticamente coerenti e politicamente solide, che estendevano la loro influenza anche laddove le teorie del sottosviluppo avevano naturalmente attecchito, in quanto espressione concreta dell’hic et nunc. Se si escludono alcuni spesso oscuri o ignorati precursori che li hanno considerati centrali, i temi ambientali sono una “scoperta” recente del pensiero economico, dettata dalla crescente competizione internazionale per le risorse esauribili e dagli evidenti dissesti che fino a poco tempo fa erano ritenuti fenomeni naturali, ma che il progredire delle conoscenze hanno identificato inequivocabilmente come prodotti dell’antropizzazione. La tesi che mi sembra più appropriata è riassumibile in due grandi temi, legati all’uso che si intende fare della contabilità sociale: 1. ipotizziamo che si voglia mantenere l’attuale approccio alla valutazione della ricchezza prodotta da un sistema economico. In questo caso a. le risorse naturali utilizzate come input produttivi (idrocarburi, minerali, acqua ecc.) continuano ad essere contabilizzate al loro prezzo di mercato, dunque non si fa ricorso a nessuna imputazione o valutazione presuntiva, potendo distinguere al massimo tra costo di estrazione, trasformazione, distribuzione, come per quasi tutti gli altri prodotti; le stime sul probabile esaurimento delle risorse non rinnovabili sono importanti, ma non rilevano ai fini della ricchezza del sistema economico, così come non ha alcuna valenza l’ipotesi di sostituibilità tra risorse prodotte e non prodotte, a meno che tale grado di sostituzione non sia misurato in termini monetari, quindi ex post, una volta cioè che si sono formati i prezzi. b. diverso discorso per i costi di smaltimento e mantenimento dell’ecosistema, i quali vanno senza dubbio sottratti al reddito, 48 come viene oggi contabilizzato: per quanto riguarda i residui dell’attività antropica, sia produttiva che di consumo, i settori che forniscono i servizi in oggetto possono essere sì produttivi di valore aggiunto, ma solo nella misura in cui distribuiscono redditi ai fattori produttivi utilizzati, mentre a livello dell’intero sistema economico operano semplicemente una redistribuzione della ricchezza, anche qualora fossero compresi nella categoria di spesa pubblica. Relativamente alle spese di mantenimento del sistema ambientale (dragaggi, piantumazione, consolidamento ecc.), vale un discorso analogo all’ammortamento del capitale fisico: infatti, un ammontare di risorse viene costantemente impiegato per mantenere lo stesso livello di efficienza e produttività, e non può essere considerato investimento, tanto più che l’ambiente, una volta reso improduttivo o non più utilizzabile, difficilmente può essere ricostituito, vuoi per ragioni tecniche (costi troppo elevati), vuoi per ragioni fisiche (ad esempio, una cava di materiali pietrosi distrugge irreversibilmente il territorio su cui è sita). 2. se si vuole valutare l’aspetto materiale dell’attività economica, è opportuno “convertire” gli scambi in termini di energia e materia, prescindendo dunque dal metro monetario e focalizzandosi esclusivamente sulle condizioni tecniche di produzione prevalenti. Un problema di questo approccio è – tra gli altri – il riduzionismo derivante da una visione esclusivamente “ingegneristica” dell’azione economica, tenendo conto in particolare dell’elevato grado di immaterialità della produzione raggiunto dalle economie occidentali. Qualora infatti si volesse stimare l’utilizzo di risorse per unità di valore aggiunto si perverrebbe giocoforza a conclusioni distorte sul grado di sfruttamento della natura da parte dei diversi settori, rimanendo pur sempre l’economia legata alla variabile umana, che è politica, sociale, spesso casuale e ben lontana dalla razionalità di quasi tutti i modelli comportamentali attualmente in auge. Tuttavia, conoscere anche 49 soltanto approssimativamente il fabbisogno materiale dei nostri sistemi economici ha dei riflessi notevoli sulla definizione di ricchezza e fornisce utilissime indicazioni circa la riproducibilità e la resilienza delle società. Bibliografia Bidard, C., Erreygers, G. (2001) – The Corn-Guano Model – Metroeconomica, vol.52, n.3 Boulding K. (1966) – The economics of the coming Spaceship Earth – in H. Jarrett [ed.], Environmental Quality in a Growing Economy, Johns Hopkins University Press Cantillon, R. (1995) – Essai sur la nature du commerce en général – Cofide Coase, R. (1960) – The Problem of Social Cost – Journal of Law and Economics, vol.3 Dales, J. (1968) – Pollution, Property and Prices – University of Toronto Press Daly, H. Cobb, J. (1989) – For the Common Good – Beacon Press Geddes, P. (1881) – The Classification of Statistics and its Results – A.C. Black Geddes, P. (1884) – An Analysis of the Principles of Economics – Williams & Northgate Georgescu-Roegen, N. (1971) – The Entropy Law and the Economic Process – Harvard University Press Hardin, G. (1968) – The Tragedy of the Commons – Science, vol.162, n.3859 Hirsch, F. (1977) – The Social Limits to Growth – Routledge & Kegan Paul Hotelling, H. (1931) – The Economics of Exhaustible Resources – Journal of Political Economy, Volume 39, Issue 2. Jaffé, W. [ed.] (1965) – Correspondence of Léon Walras and Related Papers – North-Holland Publishing Company Jevons, W.S. (1965) – The coal question – Kelley Kneese, A.V., D’Arge, R.C. (1969) – Pervasive External Costs and the Response of Society – in Analysis and Evaluation of Public Expenditures: The PPB System, Joint Economic Committee, U. S. Congress, 1st Session 50 Kurz, H., Salvadori, N. (2001) – Classical Economics and the Problem of Exhaustible Resources – Metroeconomica, vol.52 n.3 Leipert, C. (1989) – National Income and Economic Growth: the Conceptual Side of Defensive Expenditures – Journal of Economic Issues, vol.23, n.3 Leontief, W. (1970) – Environmental Repercussions and the Economic Structure: an Input-Output Approach – Review of Economics and Statistics, vol.52, n.3 Malthus, T.R. (2004) – An essay on the principle of population – Norton & Company Marx, K., Engles, F. (2010) – Marx and Engels Collected Works – Lawrence & Wishart Meadows, D.H. et al. (1972) – The Limits to Growth: a Report for the Club of Rome Project on the Predicament of Mankind – Universe Books Mill, J.S. (1987) – Principles of political economy with some of their applications to social philosophy – Fairfield Odum E.P. (1971) – Fundamentals of Ecology – W.B. Saunders Odum H.T. (1984) – Embodied Energy, Foreign Trade and Welfare of Nations – In Integration of Economy and Ecology - an Outlook for the Eighties, A.M. Jansson, [ed.], Proceedings of the Wallenberg Symposiium, Asko Laboratory, University of Stockholm Petty, W. (1997) – The Collected Works of Sir William Petty – Routledge Pigou, A.C. (1920) – Economics of Welfare – Macmillan Pigou, A.C. (1935) – The Economics of Stationary States – Macmillan Podolinskij, S. (1881) – Il Socialismo e l’Unità delle Forze Fisiche – La Plebe, n.3-4 Quesnay, F. (2008) – Tableau économique – Luiss University Press Ricardo, D. (1989) – On the principles of political economy and taxation – Cofide Samuelson, P.A. (1969) – Pure Theory of Public Expenditures and Taxation – in Public Economics, Margolis, J. Guitton, H. [eds.], Macmillan Soddy, F. (1922) – Cartesian Economics: The Bearing of Physical Science upon State Stewardship – Hendersons Solow, R. (1974a) – The Economics of Resources or the Resources of Economics – The American Economic Review, vol.64, n.2 Solow, R. (1974b) – Intergenerational Equity and Exhaustible Resources – Review of Economic Studies, vol.41 51 CAPITOLO SECONDO TRANSAZIONI E MEZZI DI PAGAMENTO: RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI Introduzione Lo studio di un sistema economico dipende sostanzialmente dalla struttura degli scambi che avvengono al suo interno. La natura delle transazioni era chiara fin dai tempi di Aristotele, che distingueva tra crematistica (l’abilità di produrre ricchezza) ed economia (la saggia amministrazione e destinazione delle ricchezze), ricalcando in gran parte la distinzione odierna tra produzione e distribuzione del reddito. La crematistica comprende anche la capacità di generare un guadagno dallo scambio di beni, guadagno che sarà generalmente di tipo monetario – poiché la moneta nasce per facilitare le transazioni – ma non necessariamente. Gli economisti hanno affrontato con notevole impegno le questioni relative alla moneta, alla sua quantità ed alla sua circolazione, mentre – tenendo a mente le caratteristiche delle economie moderne – la riflessione sulla generalità dei mezzi transattivi è molto più recente. Giova ricordare infatti che le definizioni moderne di moneta – si pensi agli aggregati monetari – sono decisamente differenti dalla concezione classica di moneta, rientrando più compiutamente nella definizione di credito. Non è soltanto una questione di complessità economica e finanziaria, ma anche e soprattutto eziologica: la moneta circolante nelle nostre società è completamente fiduciaria, essendo venuto meno ormai da 40 anni il “sottostante”, vale a dire il riferimento esterno alla moneta stessa, che nel corso dei secoli è stato rappresentato perlopiù da materiali rari e non riproducibili (conchiglie, oro, argento, bronzo, rame ecc.). 52 L’ ”invenzione” del credito è dovuta, nella sua forma moderna, ai banchieri italiani del Rinascimento, i quali, sebbene facessero sempre riferimento ad una quantità di metalli preziosi a garanzia delle lettere di cambio, poterono in questo modo condurre i loro affari con minori impieghi e rischi di perdite, furti e svilimenti della moneta stessa. Naturalmente, non c’è solo la prassi commerciale dietro queste innovazioni: Leonardo Pisano, detto Fibonacci, introdusse la numerazione araba nel 1200 allo scopo di tenere dei conti, mentre la prima trattazione organica di quella che oggi è chiamata “partita doppia” si deve a Luca Pacioli, un religioso e matematico aretino, attivo verso la fine del ‘400. L’idea che dietro ogni transazione vi siano due distinte registrazioni da tenere, poiché due sono generalmente i soggetti coinvolti (controparti), è alla base anche delle moderne Social Accounting Matrices, oltre che della contabilità commerciale: infatti, sebbene non espressa in un conto a T, ogni voce della SAM costituisce una risorsa per l’agente posto in riga ed un impiego per quello posto in colonna. I meccanismi del credito commerciale prima e finanziario poi sono però rimasti ai margini del dibattito economico, anche quando si erano verificate delle crisi del tutto simili a quelle odierne (la bolla dei tulipani, il crack di John Law, la nascita del debito delle case reali), sembrando sufficiente regolare la quantità o il valore della moneta metallica in circolazione. Vi è anche un altro aspetto delle transazioni, che riguarda simultaneamente il tempo in cui avvengono e gli strumenti utilizzati per completarle: in termini contabili, si parla di criterio di competenza e di cassa, per distinguere il momento in cui nasce un’obbligazione verso la controparte transante dal momento in cui lo scambio si completa, ossia quando entrambi i flussi – equivalenti e in direzioni opposte – hanno avuto luogo. In maniera semplicistica, si potrebbe dire che il primo momento corrisponde alla vendita, il secondo al pagamento. Per una gran parte degli scambi, questi momenti sono coincidenti o poco distanti nel tempo, mentre per altri, molto spesso di elevato valore, i momenti sono separati da un notevole intervallo, e gli 53 strumenti usati risultano molto più complessi della semplice carta moneta o del prelievo dal deposito bancario. Se la partita doppia è molto utile per evidenziare l’ottica di un agente economico, non è più sufficiente quando si intende analizzare gli scambi che coinvolgono almeno due soggetti, in quanto la valutazione, la tempistica e la classificazione degli scambi potrebbe variare secondo l’ottica adottata dal singolo agente coinvolto nella transazione. Vedremo dunque che in realtà gli scambi aventi luogo in un sistema economico complesso assumono una maggiore comprensibilità in un quadro contabile di partita quadrupla (Quadruple Entry Bookkeeping, in breve QEB), nel quale ogni singolo scambio movimenta quattro conti, due per il cessionario e altrettanti per il cedente. Tale architettura statistico-concettuale, per quanto difficile da implementare con i dati esistenti, potrebbe mettere fine alla dicotomia reale/finanziario che spesso ha impedito il progredire dell’analisi economica e della comprensione del funzionamento delle economie. Un’ultima considerazione su moneta e credito: in questa sede si privilegerà il secondo termine, rovesciando in parte gli approcci che vogliono la moneta quale prius logico, dalla quale discende la capacità di erogare credito; in realtà il credito può ben esistere anche in un sistema demonetizzato, ad esempio nel baratto: immaginiamo che un individuo ceda una certa quantità di merce A cui corrisponde la promessa di ottenere un altrettanto certo quantitativo di merce B da parte di un secondo soggetto, una volta trascorso un determinato lasso di tempo. In questo tipo di scambio non vi è la moneta come numerario, cioè misura del valore di entrambe le merci scambiate, tuttavia la transazione si è effettuata ugualmente. È evidente come il credito sia esposto a due tipi di alea: il primo, che potremmo definire morale o giuridico, perché se non esistesse una qualche forma di obbligazione da parte del soggetto B (auto o eteroimposta) a cedere quanto pattuito, non saremmo in presenza di uno scambio, ma di un trasferimento; la seconda fonte di incertezza è invece da sempre costitutiva delle attività economiche, anche le più elementari. Non è infatti detto che al tempo pattuito il secondo soggetto sia realmente in grado di cedere la merce B, 54 vuoi perché ne abbia persa la disponibilità (ad esempio, nel caso di un raccolto agricolo distrutto dopo la raccolta) o perché non l’ha mai avuta (nel caso di un raccolto andato male). Da queste considerazioni emerge che i mezzi di pagamento e di scambio possono essere creati direttamente nello scambio, purché le parti sanciscano il loro comune accordo di transare. Tale conclusione, come vedremo, influenza anche le modalità con cui rappresentiamo gli scambi di un sistema economico, e riduce notevolmente l’enfasi posta sulle definizioni di “autorità” e “sovranità” monetarie, concetti spesso fonte di equivoci o interpretazioni dogmatiche. L’uguaglianza risparmio-investimento La prima modalità di “chiusura”1 del sistema economico è la classica uguaglianza tra risparmio e investimento reale. Indipendentemente dalle ipotesi comportamentali che contraddistinguono le varie correnti di pensiero, questa identità contabile è necessaria per garantire coerenza ai conti economici, corrente e di accumulazione: il primo si suddivide ulteriormente in - conto della produzione (valore aggiunto come differenza tra ricavi e consumi intermedi); - conto della distribuzione primaria del reddito tra fattori produttivi (di solito salari e profitti, remunerazioni rispettivamente di lavoro e capitale); - conto della distribuzione secondaria del reddito (ripartizione tra consumo e risparmio, quest’ultimo valutato in maniera residuale), mentre il secondo distribuisce il risparmio tra investimento in termini reali e variazione delle scorte, presentando a saldo la capacità o la necessità di finanziamento esterno, nel caso di economie aperte. Adottando le convenzioni tipiche della Social Accounting Matrix (d’ora in avanti SAM), secondo le quali ogni cella rappresenta un uso per il conto in 1 Si usa questo termine, preferendolo ad “equilibrio”, nella stessa accezione della contabilità commerciale, ad indicare l’uguaglianza fra entrate ed uscite. 55 colonna ed una risorsa per il conto in riga, il sistema economico può essere sinteticamente descritto come segue: Tabella 1: SAM semplificata Imprese Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale Imprese I Famiglie Governo Risparmio Ti Sk Sf Sg Sx Resto del mondo Mi Totale Itot Stot I: investimento, risultante dalla somma formazione di capitale fisso + variazione degli stock; Ti: imposte indirette dovute per l’acquisizione di beni d’investimento; Sk: risparmio delle imprese; Sf: risparmio delle famiglie; Sg: risparmio della pubblica amministrazione; Sx: saldo esterno corrente, equivalente al risparmio del resto del mondo; Mi: importazioni di beni d’investimento; Come si può notare, il risparmio complessivo deriva dall’aggregazione del risparmio di famiglie, imprese e pubblica amministrazione, mentre l’investimento è il risultato dell’acquisizione di beni capitale prodotti internamente ed importati, cui si devono aggiungere le imposte pagate su queste acquisizioni. Condensare la disposizione del reddito in una sola posta contabile garantisce coerenza interna, vale a dire l’eguaglianza tra il valore delle transazioni in entrata e il valore di quelle in uscita per ogni macro-agente economico, e anche esterna, nel senso che il totale delle risorse è uguale al totale degli impieghi per ogni categoria di transazione; tuttavia, in un tale schema non vi è alcun cenno ai flussi attraverso i quali il risparmio giunge all’investimento, mancando del tutto il canale finanziario e la distinzione tra attività e passività (asset e liabilities). Vedremo che questa non è una dimenticanza, ma il frutto di una scelta ben precisa. 56 Infine, bisogna precisare che la SAM proposta è soltanto una rappresentazione del periodo in corso – tipicamente l’anno – ma non presenta alcun riferimento allo stock di ricchezza accumulata nel passato, quindi non è possibile trarne indicazioni circa la potenzialità del sistema economico di investire risorse superiori a quanto risparmiato correntemente. I servizi di intermediazione indirettamente misurati Sempre in un’ottica intersettoriale, si può evidenziare il ruolo degli intermediari finanziari, definiti come “assuntori di rischi per conto proprio”, i quali acquistano beni e servizi come qualsiasi altro settore, e presentano un autonomo valore della produzione: quest’ultimo, seguendo le convenzioni contabili, può essere distinto in valore dei servizi misurabili direttamente, in quanto esposti esplicitamente nei bilanci delle unità istituzionali, e i cosiddetti SIFIM (Servizi di Intermediazione Finanziaria Indirettamente Misurati): se non si inferisse l’ammontare di questi ultimi, il valore aggiunto del settore intermediario sarebbe quasi sempre negativo. In precedenza questa posta contabile era calcolata in aggregato come differenza tra redditi di capitale degli intermediari e interessi passivi creditori, e successivamente considerata come parte dei consumi intermedi di un settore fittizio, costruito ad hoc. Attualmente, dopo le revisioni del SNA93, dell’OCSE e dell’UE, i SIFIM vengono calcolati sulla base dei soli prestiti e depositi – escludendo quindi gli impieghi di capitale proprio – e su base settoriale (bottom-up), secondo la formula SIFIM = ∑ j ( I j (C j ) − I j ( D j )) − r * ∑ j (C j − D j ) dove j indica il singolo settore, I (C) è l’interesse pagato sui crediti, I (D) quello ricevuto sui depositi, r* il tasso di riferimento2, C e D rispettivamente lo stock di crediti e depositi. 2 La metodologia adottata dall’ISTAT calcola un tasso “interno” ed uno “esterno”, distinguendo secondo la residenza degli operatori finanziari. I due tassi sono una media ponderata dei tassi effettivi applicati su operazioni interbancarie, vale a dire il rapporto tra la somma degli interessi (attivi e passivi) e la somma di crediti e depositi. 57 Contestualmente, dato che i prestiti sono principalmente richiesti dalle imprese e che i depositi sono prevalentemente detenuti dalle famiglie, si è riallocato il valore dei SIFIM dal consumo intermedio alla domanda finale: questo spostamento ha consentito una maggiore comparabilità internazionale, indicando la destinazione di tali servizi – tanto più importante quanto più è “finanziarizzato” il sistema economico – mentre non ha inciso in maniera significativa sul PIL reale (in Italia la stima è dello 0,05% nel periodo 19802005). La SAM derivante dalla riclassificazione dei SIFIM è illustrata di seguito: Tabella 2: SAM con evidenziazione dei SIFIM Imprese Intermediari Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale Finanziari Imprese Intermediari finanziari SIFIMci SIFIMci SIFIMdf SIFIMdf SIFIM Famiglie Governo Risparmio Resto del mondo Totale È importante sottolineare esplicitamente almeno tre aspetti: - alle famiglie è attribuita una quota di SIFIM che non si cumula alla domanda finale, ma ai consumi intermedi: tale quota rappresenta i prestiti per acquisto, manutenzione, ristrutturazione di abitazioni di proprietà; in realtà, la contabilità nazionale classifica questi servizi come produzione del settore fittizio “servizi della locazione”, analogamente a quanto avviene per il conto “affitti imputati”, che costituisce una stima del reddito derivante dal possesso e dall’utilizzo di un’abitazione da parte di una famiglia, valutandolo come l’affitto che avrebbe percepito qualora l’avesse locata a terzi. La matrice verrebbe ridefinita con un ulteriore passaggio, come segue: 58 Tabella 3a: aggiunta settore fittizio Servizi alla locazione Intermediari finanziari SIFIM Tabella 3b: riallocazione settoriale dei SIFIM Imprese Intermediari Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale finanziari Servizi alla locazione SIFIMci SIFIMci SIFIMdf SIFIMdf SIFIM Tale trattamento statistico-contabile ricalca a sua volta l’autoconsumo da parte delle imprese non finanziarie: - dato che i SIFIM sono calcolati sulla base dei tassi di riferimento, la moneta creata dalla Banca Centrale genererebbe un SIFIM molto alto, dal momento che non vi è interesse corrisposto sulla moneta: includerla nel novero degli strumenti finanziari che generano SIFIM comporterebbe un notevole aumento del PIL, se si pensa che viene detenuta principalmente dalle famiglie a scopo di consumo immediato o leggermente differito3. Il motivo per cui viene generalmente esclusa è che generalmente la “produzione” della Banca Centrale viene interamente “consumata” dal settore degli intermediari finanziari e che quindi non costituisca altro che una partita di giro. Ancora più estremo sarebbe invece il caso in cui la Banca Centrale finanziasse il debito pubblico, in quanto si potrebbe dare il caso di SIFIM negativi, un nonsense economico; - accanto ai SIFIM ci sono naturalmente tutti i servizi di intermediazione che presentano un valore contrattuale ben definito e sono agevolmente attribuibili a coloro che ne usufruiscono. 3 (Bournay et al., (1996) Financial Intermediation Services Indirectly Measured, Review of Income and Wealth, v.42-i.4, pp. 453-472) 59 La Flow-Of-Funds matrix (FOF) e la Full-Integration Matrix (FIM)4 Quelli descritti in precedenza sono quadri intersettoriali – o, per meglio dire, “interistituzionali” – perché le transazioni avvengono tra agenti economici e nulla si può evincere circa gli strumenti utilizzati per completare tali scambi. Tuttavia, è possibile esprimere la posizione finanziaria di ogni singolo attore attraverso uno schema di tipo supply-use, come esemplificato di seguito5: Tabella 4: matrice FOF semplificata Imprese Salari – Wnfb Intermediari finanziari – Wfb Profitti + FDnfb – FUnfb + FDfb – FUfb + Fhhs Interessi + DINTnfb + BINTnfb – LINTnfb + ∆Enfb + ∆Lnfb + LINTfb + BINTfb – DINTfb + ∆Dfb + ∆Efb – ∆Mfb – ∆Bfb – ∆Lfb 0 + DINThhs + BINThhs – LINThhs + ∆Lhhs – ∆Mhhs – ∆Dhhs – ∆Bhhs – ∆Ehhs 0 Variazioni Totale 0 Famiglie Governo Totale + Whhs – Wgov 0 0 – BINTgov 0 + ∆Bgov 0 0 0 I pedici stanno ad indicare i soggetti cui vengono attribuite le voci: nfb: imprese non finanziarie; fb: intermediari finanziari; hhs: famiglie; gov: pubblica amministrazione; mentre le lettere maiuscole rappresentano le tipologie di flussi: W: salari; FD: profitti distribuiti; FU: profitti non distribuiti (autofinanziamento); 4 Questa sezione prende come riferimento il lavoro di Lavoie e Godley (cit.), di cui si renderà pienamente conto più avanti 5 In realtà, la classificazione adottata è molto più complessa, come si può evincere dalla FOF della Federal Reserve, la quale presenta il saldo attività/passività per ciascun agente: http://www.federalreserve.gov/releases/z1/current/accessible/assets.htm, consultata il 9 dicembre 2011 60 DINT: interessi su depositi bancari; LINT: interessi su prestiti bancari; BINT: interessi su titoli di debito pubblico; L: prestiti bancari; D: depositi bancari; E: titoli rappresentanti quote di imprese; M: moneta; B: titoli di debito pubblico Il primo tratto distintivo di questa matrice è la presenza dei segni nelle transazioni: infatti, per coerenza contabile ogni impiego di risorse finanziarie presenta un segno negativo, mentre una fonte è contraddistinta da un segno positivo. Questa convenzione non è tuttavia intuitiva, in quanto un aumento delle attività finanziarie (ad esempio l’acquisto di titoli) è presentato con un segno negativo: l’apparente contraddizione si dipana ricordando che in questa esposizione ciò che realmente conta è distinguere tra resources e uses, vale a dire tra origine e destinazione degli strumenti finanziari. La seconda particolarità della FOF consiste nell’annullamento di tutti i totali; mentre nella classificazione precedente (agenti in riga ed in colonna) tale risultato sarebbe stato privo di senso, in questo caso in riga si pone l’accento sul tipo di strumento utilizzato, e quindi risulta perfettamente coerente assumere che durante un certo periodo di osservazione l’uso e la destinazione di ciascuno strumento siano perfettamente equivalenti, e che il saldo sia nullo: ad esempio, se in un anno sono stati acquistati beni in contanti per 100€, vi saranno 100€ in meno nella disponibilità delle famiglie e 100€ in più a disposizione delle imprese, che a loro volta possono averli depositati presso le proprie banche o utilizzate per ripagare i propri fornitori, e dunque distribuite nei vari settori. Tale ragionamento si estende anche ai totali delle colonne, che rappresentano i vincoli di bilancio dei singoli agenti economici. È necessario infine porsi il problema della valutazione di alcune poste contabili particolarmente delicate, quali ad esempio il capitale fisico (che verrà trattato più avanti), i titoli azionari, obbligazionari, derivati, e i crediti iscritti a 61 bilancio: in questa sede si opta per valutare il capitale tangibile al prezzo di sostituzione e le attività finanziarie al prezzo di mercato. Per quanto concerne i crediti – in particolare quelli commerciali – la questione è molto più complessa, in quanto la valutazione è fondamentalmente soggettiva: un credito può essere giudicato inesigibile dal creditore e quindi espunto, mentre potrebbe sussistere ancora integro nel bilancio del debitore. Non è un caso che nell’integrare tabelle di contabilità nazionale del reddito e dei flussi finanziari compaiano delle voci di riconciliazione e di discrepanza statistica. Ad ogni modo, quale che sia il grado di dettaglio raggiunto dai dati, esisterà sempre una notevole area di incertezza e di approssimazione, anche nei mercati finanziari, che pure dovrebbero essere i più monitorati, data la loro crescente informatizzazione. La FOF così congegnata manca però dei saldi di apertura e di chiusura, elementi chiave, senza i quali sarebbe semplicemente un’identità contabile. Analogamente ai bilanci privatistici, la situazione finanziaria va integrata con i valori di inizio e fine periodo di osservazione, portando dunque ad una matrice integrata del tipo stock-flow: Tabella 5: FIM semplificata Imprese Intermediari finanziari NWfb-1 Famiglie Governo Totale NWhhs-1 NWgov-1 K-1 – ∆Lhhs + ∆Mhhs + ∆Dhhs + ∆Ehhs + ∆Khhs + ∆Bhhs + CGEhhs + CGKhhs NWhhs – ∆Bgov 0 Saldo di chiusura periodo precedente Variazioni da transazioni NWnfb-1 – ∆Enfb – ∆Lnfb + ∆Knfb + ∆Lfb + ∆Mfb – ∆Dfb – ∆Efb + ∆Bfb Variazioni da rivalutazioni Saldo di chiusura periodo corrente – CGEnfb + CGKnfb NWnfb – CGEfb NWfb CGK NWgov K Oltre alle voci già descritte nella precedente tabella, si aggiungono NW: posizione finanziaria netta; K: capitale tangibile; CGE: rivalutazione del capitale finanziario; CGK: rivalutazione del capitale tangibile; 62 La prima differenza fondamentale riguarda l’inversione dei segni: se nell’ottica dei flussi un aumento dei prestiti contratti dalle famiglie risulta essere una fonte di attività finanziarie e quindi presenta un segno positivo, nell’ottica degli stock (o della ricchezza) non può che essere negativo, in quanto incrementa le passività finanziarie. Ciò non è incoerente, dato che nel primo caso adottiamo la prospettiva risorse/usi, nel secondo il discrimine è tra attivo e passivo. In secondo luogo, questa tabella rispetta sempre il principio della partita doppia, ma da un altro punto di vista: mentre nella matrice input-output intersettoriale – e di conseguenza anche nella SAM illustrata in precedenza – le “entrate” e le “uscite” sono riferite al singolo agente economico (settore, istituzione), nella FOF e nella FIM tale vincolo riguarda gli strumenti con i quali vengono poste in essere le transazioni. Tuttavia, il capitale tangibile, pur essendo un asset, non presenta una doppia entrata di identico valore e segno opposto, in quanto viene considerato come l’unico saldo netto (net worth) del sistema economico, considerato nel suo complesso. Si deve altresì sottolineare che l’accumulazione di capitale tangibile non è più circoscritta alle imprese, ma si estende anche alle famiglie, che investono tipicamente in immobili. Infine, si deve precisare che nella voce “capitale tangibile” sono incluse anche le scorte; queste ultime costituiscono un’eccezione, in quanto, diversamente dal capitale tangibile che dovrebbe essere valutato al prezzo di sostituzione, si presentano al costo di sostituzione: la valutazione di capitale e titoli può essere fatta cioè ai reali valori di mercato, mentre le scorte, essendo un insieme composito di semilavorati, materie prime e prodotti finiti, non hanno una valutazione di mercato omogenea e ci si deve riferire al loro costo complessivo. Tutte le variazioni di ricchezza fin qui descritte avvengono tramite transazioni, ma esiste al loro fianco anche una componente di rivalutazione, che rende immediato comprendere la scelta del prezzo di mercato come criterio valutativo; quest’ultimo infatti può determinare un cambiamento della posizione finanziaria netta anche quando non accompagnato da una variazione 63 reale delle voci contabili: ad esempio, è il caso in cui il prezzo di azioni od obbligazioni aumenta o diminuisce senza che vi sia stata un’emissione, quindi a parità di quantità flottanti sul mercato. Ovviamente, questo discorso vale anche per il capitale tangibile, come le bolle immobiliari hanno efficacemente mostrato. La Quadruple Entry Bookkeeping (QEB) Gli schemi contabili esaminati finora poggiano sul principio della partita doppia, e dunque adottano l’ottica del singolo agente economico, col suo bilancio fatto di attività e passività. Ance qualora si analizzassero i saldi non secondo il soggetto coinvolto negli scambi, bensì sul valore della transazione, la conclusione non cambierebbe: tante transazioni attive, tante passive. I sistemi economici analizzati però sotto un’ottica macroeconomica vedono coinvolti una pluralità molto elevata di agenti; solitamente però le transazioni avvengono tra due di essi, anche qualora siano coinvolti degli intermediari. Ne consegue che ogni singola transazione – con pochissime eccezioni – movimenta in realtà due conti della parte cedente e due conti della parte cessionaria. Per questo durante i primi passi verso l’elaborazione della moderna contabilità nazionale ha fatto capolino l’approccio della partita quadrupla6 (QEB d’ora in avanti). Esistono sostanzialmente due modalità espositive di questo quadro contabile: la prima ricalca le tabelle di tipo FOF e FIM, mentre la seconda è più complessa e difficile da rappresentare, a causa del suo quadro intersettoriale (o interistituzionale). Tabella 6: registrazione QEB dell’emissione di titoli di stato acquistati dalla banca centrale Governo Moneta – ∆Mgov Banca Centrale + ∆Mcb Titoli di Stato + ∆Bgov – ∆Bcb In questa tabella è rappresentata l’emissione di titoli di debito pubblico da parte dello stato ed acquistati dalla banca centrale: come si nota, la transazione 6 La terminologia si deve a Copeland (1949) 64 riguarda titoli contro moneta, e da appunto luogo a quatto entrate contabili di ammontare perfettamente identico. Il sistema è in equilibrio contabile, perché ogni soggetto ed ogni strumento utilizzato nella transazione presentano saldi nulli. Ciascun ulteriore scambio, che può coinvolgere altri soggetti, darà luogo a quadruple entrate similari7. La seconda modalità è sempre di tipo matriciale, ma a differenza delle SAM e delle input-output dovrebbe essere tridimensionale, ossia presentare in riga e in colonna gli stessi soggetti, ma suddividersi all’interno di ogni cella a seconda del tipo di strumento transattivo: Tabella 7: registrazione QEB di un acquisto intersettoriale con ricorso al prestito bancario Settore primario Settore primario Settore secondario Banca Settore secondario Qg Banca + Lss (– Db) M Qs In questa tabella è descritto sinteticamente il seguente processo: il settore secondario acquista beni dal settore primario (Qg), e contemporaneamente chiede un prestito alla banca (Lss), la quale lo concede, riducendo di un identico ammontare i depositi (– Db), cedendo moneta (M) al settore primario e fornendo al settore secondario il servizio di anticipo commerciale (Qs). Naturalmente, per esprimere transazioni più complesse sarà più opportuno ricorrere ad una matrice tridimensionale, del tipo riportato di seguito8: Figura 1: Matrice tridimensionale degli scambi 3x3x3 7 Si veda Lavoie & Godley (2007), pp.52 e segg. La notazione è mutuata da Postner, H. (1994) – A Historical Note on Quadruple-Entry Bookkeeping – in Kenessey, Z. [ed.], “The Accounts of Nations”, IOS Press 8 65 Nell’esempio vi sono tre righe, tre colonne e tre piani: le prime e le seconde si riferiscono ai settori, gli ultimi invece alle categorie di transazioni. Un generico elemento sijk indica dunque una transazione di tipo k avvenuta tra il settore creditore i e il settore debitore j. A differenza della matrice in figura, è ragionevole supporre che molti blocchi presentino entrate nulle, posto che il numero dei settori e delle transazioni sia sufficientemente elevato – in altri termini, che vi sia una discreta disaggregazione del sistema economico. Excursus storico Come si è più volte sottolineato, l’ottica matriciale adottata impone di valutare ed attribuire correttamente gli scambi che avvengono in un certo sistema economico, suddiviso in settori o agenti ben distinti che interagiscono tra di essi. In questo schema la moneta funge ovviamente da unità di conto, in quanto tutte le transazioni vengono misurate col metro monetario, ma soprattutto è lo standard di riferimento per i pagamenti differiti: questo è l’aspetto che distingue in sostanza le economie moderne – e i relativi dibattiti – dai classici problemi della circolazione monetaria e della quantità di moneta legata alle riserve di metalli preziosi. Si usa una moneta non per le sue caratteristiche esogene, ma perché si sa – o si ritiene con ragionevole certezza – che sarà accettata in scambi successivi, dunque distanti nel tempo. Non vi è dunque un tentativo di stabilire una teoria del valore, ma solo la necessità di dotarsi di un misuratore della ricchezza. È altrettanto vero che nella storia del pensiero economico la riflessione sulla moneta, anche quando discuteva di modelli astratti, ha fatto riferimento in prevalenza a concrete modalità operative dei coevi sistemi istituzionali. Questo è il motivo per cui gli schemi rappresentativi sopra citati non hanno precedenti illustri tra gli autori economici “classici”: questi ultimi facevano riferimento al periodo in cui vivevano, presentavano analisi, proposte e soluzioni relative al meccanismo monetario della loro epoca e difficilmente 66 potevano immaginare quali e quante trasformazioni avrebbero mostrato in seguito i mezzi di pagamento. Per molto tempo, nonostante i vantaggi della carta moneta fossero già evidenti e le cambiali venissero ampiamente utilizzate, chi si è occupato di economia – si veda ad esempio Hume – non ha quasi mai messo in discussione la necessità di avere un solido riferimento aureo, dunque esterno, alla moneta. Accumulare moneta sotto questa forma era spesso considerato lo scopo ultimo dell’attività economica e misura principe del benessere e della potenza di una nazione. Una prima critica al mercantilismo – che in questa sede coincide col “metallismo” – è rinvenibile nell’apprezzamento di Adam Smith per la carta moneta (“i biglietti circolanti delle banche e dei banchieri”), la quale “sostituisce uno strumento di commercio molto costoso con un altro che lo è molto meno e che a volte è altrettanto conveniente”. Esaminando il funzionamento dell’economia scozzese, Smith notava che grazie ai cash accounts (oggi diremmo “credito bancario allo scoperto”), ma soprattutto alla prudenza di entrambe le parti – banca e debitore – si riduceva il fabbisogno di metalli preziosi, tanto nella circolazione quanto nella riserva bancaria necessaria a garantire il credito. La quantità di oro e di argento non più necessarie per gli scambi potevano dunque essere impiegate per scopi produttivi o altre finalità. In ossequio al principio di prudenza, Smith elaborò quella che fu definita real bills doctrine, ossia la necessità di emettere cambiali o biglietti bancari solo se aventi rispettivamente merci e metalli preziosi come sottostanti, per non svilire la moneta circolante e ingenerare crisi finanziarie. Qualche anno dopo in Inghilterra si sospese temporaneamente la convertibilità delle banconote, e di riflesso si innescò prima la famosa bullion controversy e in seguito il dibattito tra currency school e banking school9. In breve, la prima controversia smentiva la smithiana “teoria delle cambiali reali”, sostenendo che la svalutazione delle banconote emesse dalla Bank of 9 Ingrao, B., Ranchetti F. (1996) – Il mercato nel pensiero economico : storia e analisi di un idea dall'illuminismo alla teoria dei giochi – Hoepli 67 England fosse legata al tasso di sconto irrisorio, piuttosto che alla sovraemissione, mentre Ricardo proponeva un ritorno alla convertibilità, seppur in lingotti, invece che in moneta coniata, ma ipotizzava che, una volta stabilito il tasso di conversione, sarebbe stato possibile utilizzare soltanto carta moneta per gli scambi. Nella seconda diatriba, anche questa poggiante sullo status giuridico delle banche di emissione e del loro controllo, si trovano due posizioni innovative su entrambi i fronti: in quello “metallista” Robert Torrens, seppur legato ad una visione quantitativa ante litteram – banconote in rapporto alle riserve auree e alla bilancia dei pagamenti – suggeriva di separare l’attività creditizia da quella di emissione; dall’altra parte, Thomas Tooke e gli altri della scuola “bancaria” adottavano una definizione molto ampia di “moneta”, arrivando ad un abbozzo della definizione di moneta endogena, vale a dire la teoria secondo cui la quantità di mezzi di pagamento in circolazione si adatta al livello dei prezzi. Una riflessione più articolata sul tema del credito e dei suoi meccanismi di funzionamento si deve a Marx, che nel libro III10 del Capitale – in verità una raccolta di scritti faticosamente riordinata da Engels – mostra una notevole comprensione delle trasformazioni in atto nei mezzi monetari, assente invece nel libro II, dove presupponeva che il denaro necessario alla circolazione delle merci esistesse in forma monetaria nelle mani dei capitalisti, non differenziandosi in questo da Quesnay, per il quale l’inizio del processo circolatorio derivava dalle avances, ossia una generica disponibilità di capitale anticipato, propedeutico al processo riproduttivo del sistema. Bisogna però precisare che la sua prospettiva è pur sempre quella di un uomo dell’Ottocento, perciò il denaro che può essere prestato trova necessariamente un limite nel risparmio accumulato in precedenza; tuttavia, nei suoi scritti vi sono alcune feconde intuizioni. La prima è il riconoscimento che “la moneta, qualora venga ceduta in prestito per ampliare, accelerare, modificare il processo produttivo, è in realtà 10 V sezione, Suddivisione del Profitto in Interesse e guadagno d’imprenditore. Il capitale produttivo di interesse 68 capitale monetario, che produce un flusso di interessi per il detentore che lo cede in prestito, flusso derivante dal possesso della moneta ceduta: il denaro in tale sua prerogativa è già valore che in potenza si valorizza e che in questa qualità viene dato in prestito, giacché il prestito rappresenta la forma di vendita per quella particolare merce. Esattamente come la proprietà di un pero è quella di produrre pere, così la proprietà del denaro è di produrre valore, di dare interesse”. Tuttavia “cessione e rimborso del capitale prestato appaiono come movimenti arbitrari, mediati da operazioni giuridiche che avvengono prima e dopo l’effettivo movimento del capitale e non hanno con lo stesso nulla a che fare”, rendendo il processo D-D’ un “feticcio automatico” e l’interesse “una forma del tutto irrazionale del prezzo”. L’esistenza dell’interesse spinge Marx ad illustrare il caso in cui un imprenditore senza alcun capitale proprio ottiene in prestito l’ammontare dell’intero investimento: in questa situazione il rapporto intercorre “tra due specie di capitalisti, il capitalista monetario e il capitalista industriale o commerciale”; il flusso di interessi richiesto dal capitalista monetario va dedotto dal plusvalore, e ciò che ne rimane costituisce il reddito dell’imprenditore/commerciante, che in questo caso estremo può essere assimilato verso il reddito da lavoro, almeno per la comune natura: infatti esso dipende dall’attività concretamente svolta nel processo produttivo, e dunque dall’aver prima di tutto reso capitale effettivamente operante (“capitale reale”) ciò che altrimenti sarebbe stata soltanto moneta, e infine dal fatto che “con il suo riflusso – trascorso il termine – esso cessa di avere la sua funzione di capitale. Ma, come capitale che non è più operante, deve essere nuovamente restituito a [colui] che non ha mai cessato di esserne il proprietario dal punto di vista giuridico”. In secondo luogo, Marx distingue nettamente credito commerciale e credito bancario, ricorrendo anche ad una pletora di esempi coevi. Il credito commerciale è quello in cui “il denaro funziona unicamente come mezzo di pagamento, ovvero la merce non è venduta per denaro, ma dietro l’impegno scritto di pagare ad una scadenza stabilita. […] Esattamente come questi reciproci anticipi dei produttori e dei commercianti formano il fondamento effettivo del credito, così il loro strumento di circolazione, la cambiale, 69 rappresenta la base per la reale moneta di credito, le banconote, ecc.”. In questi passi riecheggia la dottrina delle cambiali reali, ma emerge il carattere fiduciario della moneta-credito, che costituisce condizione necessaria e sufficiente per il suo utilizzo come mezzo di circolazione. È nell’esaminare il credito bancario che Marx illumina alcuni punti salienti – anche con indicazioni contabili – dell’intermediazione finanziaria: scrive infatti che “l’altro aspetto della natura del credito è legato allo sviluppo del commercio di denaro, che nella produzione capitalistica procede naturalmente in maniera parallela allo sviluppo del commercio di merci. […] Una banca da un lato rappresenta la concentrazione del capitale monetario, ovvero di coloro che concedono in prestito, dall’altro la concentrazione di quelli che prendono a prestito. Il suo profitto sta in genere nel fatto che essa prende a prestito a un tasso meno alto di quello con cui da in prestito” 11 . Non discostandosi dall’identità tra risparmio e capitale prestabile, per Marx la concentrazione del sistema bancario ha due conseguenze: da un lato “una massa minore di denaro o di segni monetari compie lo stesso servizio”, dall’altro “il credito accelera la metamorfosi delle merci e quindi la velocità della circolazione monetaria”. Con questa identificazione tra concentrazione bancaria e velocità di circolazione Marx sembra inserirsi nell’alveo della futura teoria quantitativa della moneta, anche se va sottolineato che nello stesso libro III egli considera il capitale monetario e quello industriale a volte complementari, a volte sostituti, segno evidente della provvisorietà dei manoscritti. Per questo non si approfondirà la questione, che verrà ripresa da Hilferding e Wicksell. La terza questione su cui Marx fornisce forse le più interessanti e lungimiranti analisi riguarda il mercato dei titoli di credito. Oltre a fornire un elenco molto dettagliato delle modalità con cui si estrinsecavano già allora la concessione e il godimento del credito, Marx mette l’accento sulla natura fittizia, speculativa e meramente redistributiva delle loro variazioni di prezzo: “questi titoli di proprietà, non solo valori statali, ma anche azioni, fanno sì con il movimento autonomo del loro valore che sembrino rappresentare un capitale 11 Il differenziale secco tra interessi debitori e creditori è contenuto nella definizione contabile dei SIFIM 70 effettivo insieme al capitale o al diritto sul capitale di cui sono appunto un titolo giuridico. […] Il loro valore di mercato è differente dal loro valore nominale, a prescindere dal mutamento di valore del capitale reale. […] Essendo la diminuzione o l’aumento di valore di tali titoli indipendente dal movimento di valore del capitale effettivo da essi rappresentato, la ricchezza di un paese non cambia in seguito a questa diminuzione o aumento. […] Tutti questi titoli in effetti sono soltanto una accumulazione di diritti, titoli giuridici, sulla produzione futura, e il loro valore monetario, o valore capitale, non rappresenta capitale, come per esempio trattandosi del debito pubblico, oppure viene determinato in maniera affatto indipendente dal valore del capitale effettivo da essi rappresentato.” Accanto alla distinzione tra capitale reale e monetario ed alla natura giuridica del credito – di cui si è già dato conto – emerge lo iato tra prezzo nominale e di mercato, quest’ultimo determinato spesso dalle condizioni soggettive degli agenti che intendono scambiarlo. Tra questi titoli troviamo anche quelli del debito pubblico, il quale “resta un capitale solo immaginario, e allorché questi titoli di credito divenissero invendibili verrebbe meno anche l’apparenza di esso”. Tutti questi titoli sono al di fuori delle teorie del valore, essendo irrilevanti tanto il contenuto di lavoro quanto il valore d’uso (l’utilità marginale, per usare termini neoclassici), quest’ultimo proprio invece delle merci con le quali i titoli possono essere scambiati, ma sulla base dei prezzi correnti e sul presupposto fiduciario. Ricordando poi l’accentramento delle funzioni di intermediazione finanziaria in mano alle grandi banche, Marx conclude che la maggior parte delle operazioni creditizie sono in realtà semplici partite di giro (giroconti) di moneta-credito del tutto fittizia, funzionando le banche stesse come delle clearing houses dove crediti e debiti si compensano reciprocamente, anche se può accadere che detta compensazione non avvenga completamente oppure abbia luogo con un notevole ritardo: le fluttuazioni delle attività commerciali e industriali sarebbero quindi il frutto di variazioni speculative dei prezzi dei titoli e di conseguenza delle aspettative circa i prezzi delle merci ancora non prodotte, le quali fungono da sottostante per molti di questi titoli. 71 Riassumendo i limiti dell’esposizione e dell’argomentazione marxiana, è degno di nota l’uso della perifrasi “segni monetari” quale “voce dal sen fuggita”, in cui il rimando al cartalismo è evidente e sintomatico, e tuttavia affiancato dall’idea che una quantità eccessiva di carta moneta implichi un suo minor valore, e dunque rimandi alla moneta-merce. L’avvento del marginalismo e del concetto di equilibrio in un mercato pieno di agenti razionali massimizzanti lascerà alla moneta un ruolo puramente neutrale, potendo essa influire soltanto sui prezzi. A questo proposito, basterà citare Marshall12, con la sua proposta di separare la funzione di scambio da quella di riferimento per pagamenti differiti: quest’ultima sarebbe stata assolta da “uno standard ufficiale del potere d’acquisto indipendente dalla valuta”, ossia un indice statistico dei prezzi stabilito da un’autorità pubblica, da usare come base per contratti indicizzati, scopo dei quali fosse quello di mantenere inalterato il potere d’acquisto ed evitare le spiacevoli fluttuazioni legate alla speculazione sull’andamento futuro dei prezzi; con terminologia moderna, un indice dei prezzi riferito ad un anno base. Alla fine dell’Ottocento arriva da Knut Wicksell la prima radicale critica alla teoria quantitativa della moneta e alla sua presunta neutralità, contenuta nel capitolo IX di Geldzins und Güterpreise (Interesse Monetario e Prezzi, 1898). L’autore descrive un sistema ideale, dove gli imprenditori devono prendere a prestito l’intera somma da anticipare per il processo produttivo13 da intermediari – le banche – che svolgono la funzione di accentrare le disponibilità monetarie in eccesso detenute dai capitalisti-risparmiatori: se anche il risultato della produzione transitasse sui conti accesi dalle banche, il complesso delle loro attività equivarrebbe a quello delle passività, perché la cessione di un input intermedio sarebbe un’uscita dalla banca dell’acquirente 12 Remedies for Fluctuations of General Prices (1887); in questo articolo Marshall ripropone una versione del Tabular Standard, che era stata oggetto delle riflessioni prima di Jevons e successivamente di Fisher 13 È un espediente che richiama la teoria del fondo-salari, in cui il capitalista produttore deve anticipare i mezzi di sussistenza per garantirsi le prestazioni della forza-lavoro e per procurarsi gli altri input necessari alla produzione 72 ed un’entrata nella banca del fornitore. Di questi aggregati contabili farebbero parte anche il profitto d’impresa (aleatorio) ed il flusso di interesse (contrattualmente stabilito). Tutti gli scambi intercorrenti nel sistema economico ideale diverrebbero così dei semplici giroconti, tali che al limite la moneta metallica potrebbe non intervenire affatto: “nel caso estremo, si può supporre che le banche aprano un credito di ammontare K all’imprenditore; che l’imprenditore paghi i lavoratori ecc., tramite prelievi dal proprio conto corrente; che detti prelievi servano anche per pagare merci, e che quindi finiscano nelle mani dei capitalisti venditori; e che infine ritornino alle banche, incrementando i relativi crediti dei capitalisti nei loro confronti”. La teoria quantitativa della moneta viene considerata quindi un caso particolare, in cui “se si usa soltanto moneta metallica, le banche non sono in grado – in condizioni normali – di concedere in qualunque momento l’intero ammontare di moneta richiesto”. In presenza di credito, invece, la moneta “è elastica nel suo ammontare. La sua quantità può essere aggiustata – e in un sistema di credito completamente sviluppato l’aggiustamento è totale – a qualsiasi livello della domanda”. Ci troviamo dunque di fronte ad un rovesciamento della prospettiva monetaria prevalente, in cui l’unico limite alla creazione di moneta-credito è la solvibilità del mutuatario. Nella realtà, e cioè in sistemi dove moneta metallica e credito convivono, la velocità di circolazione e il lasso di tempo intercorrente tra due pagamenti successivi sono inversamente correlati, dunque utilizzare una minima quantità di moneta per effettuare una considerevole quantità di transazioni permette di ottenere quei vantaggi che già Smith aveva evidenziato nella sua descrizione del sistema scozzese, fermo restando che una parte di liquidità sarà sempre detenuta dagli agenti economici, vuoi per regolare pagamenti differiti, vuoi per costituire un fondo contro i rischi derivanti da imprevisti. Inoltre, per Wicksell il credito può ben esistere anche in assenza di moneta, vale a dire in un sistema di baratto: si ipotizza che le merci-capitale con cui si inizia il processo produttivo vengano prese in prestito e che output ed input siano omogenei, in modo da definire il tasso di interesse naturale come quello 73 che non modificherebbe i prezzi, nel caso si passasse ad un’economia monetaria. In realtà il tasso di interessa naturale misura l’eccedenza di prodotto sull’input, rapportata all’input stesso, grandezze entrambe misurate in termini fisici, mentre il tasso risulterebbe un numero puro14. Il resto dell’analisi intende illustrare gli effetti dell’interesse – e soprattutto delle discrepanze tra tasso naturale e monetario – sui prezzi e sulle variabili distributive, e dunque in questa sede interessa meno, mentre invece risultano importantissime due considerazioni: in primo luogo, il processo economico è sequenziale, si svolge cioè nel tempo, e la sua dinamica è scandita dai flussi monetari che intercorrono tra i suoi agenti; secondariamente, il credito è un catalizzatore degli scambi logicamente anteriore alla moneta perché ha a che fare con il profilo temporale dei pagamenti, prima ancora che con il loro valore; tuttavia, se esiste anche la moneta, allora essa diventa il metro con cui il credito e anche il saggio di interesse vengono misurati. Wicksell ha anche fornito una spiegazione del legame che intercorre tra credito e disequilibrio, con argomentazioni che in parte verranno riprese nella teoria austriaca dell’interesse: una maggiore disponibilità di credito induce un più alto livello di investimenti, cui segue un aumento del processo produttivo e quindi diverse alterazioni dei rapporti tra beni di consumo e beni capitale, compreso un aumento dei prezzi dei fattori usati dai settori più “a monte” del sistema economico. Tuttavia, tale teoria manca di solide basi empiriche – inevitabili, dato il carattere esplicativo impressole – oltre che di alcune limitazioni: una sottolineata da Sraffa, il quale obietta che, seguendo la teoria austriaca, un aumento del credito viene in realtà assorbito dai maggiori investimenti e dalla dinamica inflativa nei fattori utilizzati nei settori più lontani dal consumo finale, quindi non è chiaro da dove arriverebbe l’incremento salariale a sostegno della domanda e dunque a chiusura del ciclo; la seconda di Blaug, che ritiene il processo descritto dalla scuola austriaca verificato solo in assenza di qualunque progresso tecnico, perché in caso 14 Questa ipotesi semplificatrice è però gravida di conseguenze, infatti Sraffa ne utilizzerà una molto simile sia nella sua critica ad Hayek (il commodity rate of interest) sia in Produzione di merci a mezzo di merci al fine di esprimere il saggio di sovrappiù come un numero puro e utilizzare la merce-tipo come numerario 74 contrario il valore non dipenderebbe principalmente dal tempo di produzione, bensì dal modo. Un’opera ricca invece di dettagli ed analisi puntuali sui meccanismi del credito e delle loro conseguenze sul capitalismo, oltre che di dettagli ed indicazioni contabili, è Das Finanzkapital (Il Capitale Finanziario, 1910) di Rudolf Hilferding, uomo politico ed economista tedesco che ci ha lasciato una teoria monetaria molto approssimativa – ispirata alle teorie marxiste – e duramente criticata dai marxisti stessi, ma una descrizione della prassi finanziaria lungimirante e sufficientemente precisa.. Hilferding parte constatando che la funzione di numerario della moneta è in realtà meno importante di quella circolatoria, negli scambi infatti “il venditore diventa creditore, il compratore debitore. Il denaro, da questa dissociazione tra vendita e pagamento, riceve una nuova funzione: diventa mezzo di pagamento […] Il venditore ha dato la sua merce senza essersi assicurato il suo equivalente socialmente valido, il denaro, o altra merce di uguale valore, che avrebbe reso superfluo il denaro in quell’atto di scambio. […] Contrariamente alla carta moneta a corso forzoso, che nasce come prodotto sociale della circolazione, il denaro creditizio è garantito non dalla società, ma da privati, e deve perciò essere sempre tramutabile in denaro. […] Su questo dato di fatto, che la cambiale obbliga solo privati, mentre i biglietti di stato obbligano la società, poggia la diversa possibilità di svalutazione. […] La somma dei biglietti di stato […] può essere svalutata o sopravvalutata solo nella sua totalità, e una sua svalutazione riguarda allo stesso modo tutti i membri della società. […] Una cambiale può anche diventare assolutamente priva di valore, ma priva di valore può divenire solo la cambiale del singolo, e la svalutazione colpisce sempre e soltanto un altro singolo, le cui obbligazioni non vengono, ad ogni modo, alterate”. In questo primo passaggio vanno sottolineati due aspetti: in primo luogo, la funzione sociale del denaro deriva da connessioni sociali già esistenti, senza le quali non si potrebbe estrinsecare; secondo, si nota la diversa natura del credito commerciale e della moneta fiat, che rimanda alle diatribe ottocentesche sul signoraggio e lo svilimento monetario, ma da una 75 prospettiva del tutto moderna, nella quale sussiste un impegno di tipo giuridico – un’obbligazione – che coinvolge tutta la società che adotta quella particolare moneta, società che risulta danneggiata o beneficiata nel suo complesso. È per questo che secondo Hilferding i biglietti di stato possono subire un effetto di contagio, mentre le cambiali no: su questo punto l’autore non immagina – e come potrebbe? – che un elevato grado di interdipendenza finanziaria può causare svalutazioni generalizzate delle tratte, pur vivendo in un periodo molto simile all’attuale “globalizzazione”. Il credito commerciale rimane dunque un’obbligazione bilaterale, o comunque non universale, e “le banche intervengono nel caso in cui la vendita delle merci, condizione della circolazione cambiaria, ristagni per una qualsiasi ragione. […] In questo caso, le banche non fanno che integrare e perfezionare il credito bancario”. La distinzione tra credito bancario e commerciale rimanda direttamente a Marx, ma non solo, in quanto anche in tema di concentrazione del denaro disponibile Hilferding si ritrova sulle stesse posizioni: “con la concentrazione dei pagamenti in uno stesso luogo si sviluppano naturalmente particolare strutture e metodi per il loro saldo. Tali, ad esempio, i Virements nella Lione medievale. Le richieste di credito hanno solo bisogno di venir confrontate fra loro per neutralizzarsi a vicenda, entro un certo limite, come grandezze positive e negative. In tal modo resta da saldare solo una bilancia del credito”. Qui l’autore descrive con un esempio una clearing house nella quale il fabbisogno di moneta è drasticamente ridotto, dovendosi monetizzare soltanto i saldi risultanti, ma di seguito avverte che “con lo sviluppo del sistema bancario, che comporta l’afflusso nelle banche di tutto il denaro inutilizzato, il credito bancario si sostituisce al credito commerciale, nel senso che le cambiali circolano […] nella loro nuova forma di banconota. Le compensazioni della bilancia monetaria avvengono ora nella sfera e sotto il controllo delle banche, il che costituisce una facilitazione tecnica che consente l’ampliamento della cerchia dei possibili clearings e riduce ulteriormente la quantità di denaro contante richiesta”. Si badi bene che il credito bancario viene qui indicato come sostituto del credito commerciale, ma precedentemente è stato indicato come complemento 76 o catalizzatore: vale a dire che la funzione delle banche dipende dalle trasformazioni in atto nel sistema economico; il successivo passo descritto da Hilferding è descritto come segue: “Il credito industriale in conto corrente è la pietra angolare di tutti gli affari tra banca e industria. Attività di fondazione e di emissione della banca, sua compartecipazione diretta a imprese industriali e partecipazione – mediante rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione – alla direzione di aziende industriali sono in stretto rapporto di causa ed effetto con il credito bancario.” E continua: “L’industria contemporanea si regge, in altre parole, su un capitale molto maggiore del capitale complessivo di proprietà dei capitalisti industriali. […] La subordinazione dell’industria alle banche è quindi conseguenza dei rapporti di proprietà. Una parte sempre crescente del capitale dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale.” La banca amplifica il credito tanto sincronicamente (rendendolo disponibile per più soggetti) che diacronicamente (dilatandone il tempo di restituzione), ma per fare ciò “le banche che hanno la funzione della vera e propria concessione di credito, a differenza delle semplici banche-depositi debbono disporre di ingenti capitali”15. Un’ulteriore constatazione circa il credito industriale concerne quello che oggi chiameremmo il merito di credito: “Nel processo Denaro – Mezzi di produzione […] il credito può avere una più vasta funzione: i mezzi di produzione acquistati sono destinati ad essere valorizzati; il denaro speso per acquistarli è stato solo anticipato dal capitalista; esso deve tornare a lui, alla fine del periodo di circolazione, e a lui torna infatti, aumentato, ove il decorso 15 L’autore porta ad esempio due banche inglesi con rapporto tra capitale proprio e massa fiduciaria pari al 4.38 % 77 sia normale. […] Questo è il presupposto del credito di produzione: il denaro viene prestato soltanto a chi lo spende al fine di recuperarlo.”16 C’è da dire che l’autore prevede un sempre maggiore coinvolgimento delle banche nel capitale industriale, nonostante questo sia estremamente più rischioso della speculazione sui mercati borsistici: in ciò è probabilmente guidato dalla conoscenza dell’esperienza tedesca, con la banca a fungere da incubatrice per tutti i settori industriali. L’ultimo argomento di cui Hilferding illustra anche aspetti contabili è l’attività di emissione da parte delle banche, inserita nel più generale tema del mercato dei titoli: “la banca può collocare buona parte delle sue emissioni presso i propri clienti […] La richiesta di emissione rivolta alle banche aumenta di pari passo con lo sviluppo dell’industria. […] I capitali possono essere messi a disposizione delle imprese solo se si trovano concentrati nelle banche, alle quali spetta dunque il compito di provvedere a questa raccolta di distribuzione senza turbare il mercato monetario. Le banche possono svolgere la loro funzione solo se i capitali che esse cedono rientrano rapidamente, oppure se le vendite vengono soltanto annotate sui registri, senza intervento di denaro. Quest’ultimo caso si presenta quando le azioni vengono acquistate dagli stessi clienti della banca: il denaro che deve essere pagato da costoro viene sottratto dai loro depositi bancari, riducendo il passivo”. Anche in questo inciso l’autore ricorda come anche la trasformazione – apparentemente complessa – della banca in società per azioni possa essere effettuata senza movimentazione di denaro, poggiando unicamente sui depositi dei propri clienti, in sostanza con un giroconto tra attività e passività. In tale fase la banca esprime tutto il suo potenziale, assurgendo a ganglio vitale del capitalismo, intensificando concentrazione ed internazionalizzazione. Nelle stesse pagine, si prosegue con un’analisi piuttosto puntuale delle borse, luoghi dove avviene “un fenomeno puramente economico di redistribuzione della proprietà privata, senza alcuna influenza sulla produzione o sulla realizzazione del profitto”, concezione che risulta abbastanza ingenua, 16 Kalecki esprimerà quest’idea con il suo celebre motto “The workers spend what they get, the capitalists get what they spend” 78 se paragonata alla modernissima descrizione dei meccanismi speculativi, di leverage e dei conti di compensazione (clearing), questi ultimi ancora una volta visti come il principale modo per risparmiare denaro e chiudere in equilibrio gruppi sempre più grandi di transazioni. Per concludere con Hilferding, si può certamente affermare che le sue conoscenze non mediate del mercato finanziario ne fanno un attento osservatore ed anche un raffinato analista, tuttavia la sua opera non assurge alla completezza teorica che era lecito aspettarsi, ma questo è un limite che anche Marx non ha saputo superare, e che probabilmente non ha molto a che fare con l’epoca in cui gli autori sono vissuti, riguardando piuttosto delle difficoltà oggettive nell’elaborare una “teoria finanziaria” coerente, ben sapendo che i mercati sono fatti da agenti in carne ed ossa, e che quindi sia molto difficile prevederne le reazioni. Rimangono tuttavia molto preziose le indicazioni contabili disseminate in tutta l’opera dell’ex ministro tedesco. Nei primi anni del Novecento il colonialismo delle potenze europee – con il tardivo inserimento degli Stati Uniti – perfeziona una sorta di globalizzazione ante-litteram, vale a dire espande fino al massimo possibile per l’epoca la dimensione dei commerci e degli scambi finanziari; in breve tempo le tensioni si acuiscono e scoppia la Prima Guerra Mondiale, seguita in rapida successione dal dramma delle riparazioni ottusamente imposte alla Germania (sulle quali Keynes scriverà il pamphlet The economic consequences of the peace), dalla depressione economica originatasi negli Stati Uniti, dall’affermarsi dei regimi totalitari, per culminare nel secondo conflitto mondiale. Il gold standard e la teoria quantitativa della moneta non sembrano in grado di interpretare né di emendare quanto sta accadendo, tanto che emergono – anche in seno al pensiero economico prevalente – delle teorie e delle proposte pratiche quasi del tutto inedite: tali sono ad esempio la moneta ad interesse negativo, caldeggiata prima da Silvio Gesell, poi da Irving Fisher, e anche i MEFO di Hjalmar Schacht, ministro e banchiere centrale del governo hitleriano. Nel primo caso, si tratta di una versione moderna della dottrina delle cambiali reali, in quanto la ratio sottostante le proposte è quella 79 di penalizzare la ritenzione di moneta rendendola “deperibile”, allo stesso modo delle merci che la moneta stessa permette di acquistare, con l’obbligo di apporvi periodicamente un bollo finalizzato a mantenerne inalterato il valore facciale. Con questo sistema si ritiene che aumenti la velocità di circolazione della moneta e quindi ne occorra una quantità inferiore per sostenere gli scambi. Per quanto riguarda invece Schacht, i MEFO erano delle cambiali garantite dallo stato, emesse dalle imprese e dalle altre unità produttive, il cui unico rischio – analogamente a quello bancario della riserva frazionaria – era che venissero riscontate massicciamente e contemporaneamente presso la Reichsbank, cosa che di fatto non avvenne, grazie alla fiducia nutrita dagli agenti economici verso questi mezzi di pagamento: infatti, i MEFO circolarono tra gli industriali fungendo da conti di compensazione, alimentando l’occupazione e impedendo l’innescarsi di dinamiche inflattive, che sarebbero state inevitabili qualora si fosse stampata moneta o la si fosse presa in prestito17. Keynes mostrerà di conoscere bene queste due proposte eterodosse: riguardo la prima, oggi diremmo che la teoria della preferenza per la liquidità (moneta come riserva di valore) è un esempio di finanza comportamentale, perché indaga le motivazioni individuali nella detenzione di moneta, ed è proprio questo che manca a Gesell, secondo lo stesso Keynes18. Relativamente a Schacht, Keynes riconosce l’utilità di “rinunciare ad una moneta con validità internazionale e rimpiazzarla con l’ammontare dello scambio, non tra individui, bensì tra unità economiche differenti”, e ipotizzerà un sistema molto simile nella sua proposta di International Clearing Union: creare una “stanza di compensazione” per gli scambi internazionali, senza 17 Si narra che un banchiere americano in visita in Germania avesse detto: “Signor Schacht, dovreste venire negli Stati Uniti. Là abbiamo moltissimo denaro, e questo è il vero modo per gestire un sistema bancario”. E Schacht avrebbe risposto: “Dovreste venire a Berlino. Là non abbiamo denaro, ed è questo il vero modo di guidare un sistema bancario”. 18 Nella General Theory, Keynes scrive che Gesell “ha costruito solo una semi-teoria del tasso d’interesse”, e che “se alla moneta viene tolto il premio per la cessione di liquidità dal sistema dei bolli, una lunga serie di sostituti ne prenderebbe il posto”. 80 utilizzare moneta, ma semplicemente adottando un partitario scritturale, con le banche centrali nazionali a garantirsi i saldi reciproci19. A guerra terminata, l’orientamento “produttivista” della contabilità nazionale non monopolizza più l’elaborazione statistico-economica, come dimostra l’assoluta disomogeneità delle classificazioni adottate in seno alle Nazioni Unite da due comitati incaricati di redigere rispettivamente uno schema di contabilità finanziaria e uno di conti nazionali. Richard Stone, uno dei “padri” della contabilità nazionale, riconosceva apertamente che l’evoluzione dei differenti schemi contabili (conti nazionali, input-output, conti finanziari e stati patrimoniali) era avvenuta in “forme distinte e solo parzialmente collegate”, tanto da potersi ritenere – in sintonia con Della Torre (2000) – che lo iato esistente tra conti nazionali e finanziari fosse il risultato di diverse impostazioni teoriche, non di metodologie o sistemazioni statistiche: il sistema NIPA (National Income and Product Account) si era sviluppato per monitorare e programmare lo sforzo bellico, quindi nel calcolo del valore aggiunto il settore pubblico non produce per il mercato, e l’ammortamento del capitale fisico non viene tenuto in considerazione, ritenendo potersi rimandare questo problema alla fine della guerra. Tuttavia, nell’immediato secondo dopoguerra erano emersi approcci alternativo alle identità contabili keynesiane, senza che il System of National Account (d’ora in avanti SNA) del 1953 ne tenesse conto, salvo poi tentare di incorporare parte di questi contributi qualche anno dopo, nel SNA68: Meiselman descriveva “una proliferazione di schemi di contabilità finanziaria in cerca di teoria”, di cui si darà brevemente conto. Morris Copeland propone di guardare ai sistemi economici con l’ottica dei Moneyflows (MF), una terminologia mutuata dal memorandum di Richard Stone alle Nazioni Unite, intendendo dare risposta “a domande come queste: Quando il totale degli acquisti o del prodotto nazionale aumentano, da dove proviene la moneta per finanziarli? Quando declinano, cosa accade alla moneta non spesa? È trattenuta, o cos’altro? Chi possiede ed esercita il potere 19 Una versione leggermente differente dal Piano Schumacher, dove la compensazione dei saldi si sarebbe realizzata tramite emissione o riacquisto del debito pubblico, e contestuale partecipazione proquota dei paesi in avanzo al National Clearing Fund, l’equivalente dell’ICU keynesiana. 81 discrezionale di aumentare o ridurre la spesa? Che ruolo hanno il contante, le altre forme di liquidità e i debiti nel ciclico espandersi e contrarsi dei flussi monetari?” L’autore sottolinea che “i MF emergono al di fuori delle transazioni”, dunque possono essere ricostruiti ed analizzati solo se i soggetti coinvolti li registrano. Qualora ciò venga fatto, si prestano però ad una comoda presentazione in forma finanziaria (totale entrate = totale uscite): “La preparazione e l’interpretazione del complesso delle statistiche economiche in forma finanziaria è una procedura nota come contabilità sociale”. I MF vengono definiti come “origini e destinazioni della moneta, che sono esterne alle transazioni e che coinvolgono due soggetti transanti. […] Dal momento che [i MF] coinvolgono due soggetti transanti, l’approccio della contabilità sociale poggia non su un sistema di partita doppia, ma di partita quadrupla”. La prospettiva contabile proposta continua ad essere intersettoriale20, ma è differente dalla contabilità del reddito nazionale, in quanto implica - l’adozione del principio di cassa: la registrazione avviene in concomitanza col flusso monetario, con la rilevante eccezione del credito, che invece è registrato al momento in cui insorge l’obbligazione. Dovrebbero dunque essere contabilizzati anche i flussi monetari relativi a compravendite di beni usati, mentre sarebbero escluse le poste contabili imputate, come svalutazioni, rivalutazioni, perdite su crediti, ecc.; - la rilevazione dei saldi, di apertura e chiusura, tra flussi in entrata e in uscita21; - il raccordo tra conti reali e finanziari: quando i flussi monetari entranti ed uscenti non si equivalgono, il saldo è capacità (surplus) o fabbisogno (deficit) in termini finanziari, che chiude i MF ed apre le attività/passività finanziarie; 20 Copeland auspica anche una maggiore disaggregazione del settore pubblico, trattando cioè separatamente ciascun livello in cui si articolano le istituzioni governative. 21 Nel sistema NIPA (National Income and Product Account) la chiusura avviene tramite l’identità Risparmio-Investimento in termini reali. 82 - la disaggregazione delle transazioni finanziarie su basi lorde: con questo approccio i MF possono essere anche molto maggiori del reddito nazionale. Tutto questo apparato contabile presuppone però un elevato grado di armonizzazione e di standardizzazione che non dipende solo dalla raffinatezza statistica, in quanto “spesso è necessario stimare una voce di debito ricavandola da una voce di credito. Esistono tre tipi di discrepanze che vanno tenute in conto: 1. quelle dovute al momento in cui entrano nei conti; 2. quelle dovute alla valutazione dei fondi mutuabili; 3. quelle dovute alla classificazione contabile.” Rimangono dunque insormontabili problemi di valutazione soggettiva – e perciò spesso non simmetrica per i soggetti coinvolti – di poste contabili relative alla concessione di credito o altri titoli diversi dalla cessione di moneta contante. Quanto al ruolo degli intermediari finanziari, Copeland rifiuta di considerare le banche creatrici di moneta per il sistema complessivamente inteso, e quindi generatrici di inflazione, tuttavia esse “partecipano in misura rilevante ai flussi monetari che passano da un settore non bancario ad un altro. Infatti, sembra opportuno dire che le banche sono il tramite per una parte sostanziale di tali flussi”. Effettivamente, i vincoli contabili che valgono per l’intera economia non riguardano ciascun agente economico singolarmente considerato, il quale “ha più o meno discrezionalità non solo nell’espandere le sue spese consuete, ma anche nel ridurle ed aggiungerle al suo saldo netto mutuabile.” È proprio a Copeland che dobbiamo la distinzione tra agenti “orsi” (accumulatori, tesaurizzatori), “tori” (inclini all’indebitamento come fonte di finanziamento) e “pecore” (passivi): l’autore si serve di questa 83 terminologia per suddividere i settori economici secondo la loro posizione finanziaria netta, e tramite questa si propone di analizzare il ciclo economico22. Mentre il contributo di Copeland meriterà diversi riconoscimenti – seppur tardivi – fino a costituire un’indispensabile base concettuale per l’architettura contabile utilizzata dall’International Monetary Fund, decisamente più nell’ombra rimane invece l’elaborazione della cosiddetta “scuola scandinava”23, che muove i suoi primi passi con Ragnar Frisch in Norvegia ed Erik Lindahl in Svezia. Gli autori che man mano verranno annoverati in questa scuola si contraddistinguono per il loro sforzo di elaborare un dettagliato quadro contabile delle nazioni al fine di supportare decisioni di politica economica in tempo di pace, a differenza di quanto avvenuto nel mondo anglosassone, dove l’elaborazione contabile e statistica era finalizzata al supporto dello sforzo bellico prima e alla riconversione poi. Frisch, attivo fin dal 1920, tuttavia poco tradotto ed apprezzato al di fuori del suo paese, spingeva per un’assiomatizzazione dei concetti utilizzati nella contabilità nazionale; ciò che conta, per Frisch, sono le relazioni tra le variabili: una volta stabilita la struttura logica, l’attribuzione dei dati ad una posta contabile piuttosto che ad un’altra è del tutto marginale. In secondo luogo, proponeva una netta separazione tra circolazione reale e finanziaria, in relazione alla natura dei flussi: gli oggetti reali sono quelli che avrebbero un’importanza economica anche qualora non esistessero diritti di proprietà, gli oggetti finanziari possono invece essere definiti solo se coinvolgono un debitore ed un creditore. Questa distinzione è rilevante anche relativamente ai beni capitale, che vengono in tal modo distinti dai diritti di proprietà su di essi. Infine, Frisch sottolineava che “una transazione (micro-fenomeni, microflussi) è qualcosa che accade ad un oggetto economico. […] I flussi (macroflussi) sono insiemi di transazioni”. Vedremo come questo legame micromacro sarà un tema dei successivi dibattiti di contabilità nazionale. 22 Copeland aveva in precedenza condotto uno studio per la Federal Reserve seguendo i dettami di Irving Fisher, successivamente fu influenzato dal lavoro di Mitchell all’NBER, e dunque la riflessione teorica prima e statistica poi erano ben differenti dal milieu keynesiano dominante in quegli anni. 23 Si veda Aukrust, O., The Scandinavian Contribution to National Accounting, in Kenessey, Z. [ed.] (1994), The Accounts of Nations, IOS Press 84 Frisch ci ha anche fornito uno schema di flusso circolare (Eco-circ graph) in cui i flussi reali rimangono ben distinti da quelli finanziari, schema che tuttavia non è intersettoriale, in quanto mancavano dati sufficienti alla sua stesura. Erik Lindahl è invece stato definito da Hicks “il padre della contabilità sociale”, per via del suo impegno profuso nella raccolta, elaborazione e compilazione dei dati di contabilità nazionale relativi alla Svezia. In questa sede interessa principalmente la sua distinzione funzionale tra “imprese”, che svolgono funzioni produttive e detengono il capitale reale, e “famiglie”, che possiedono le imprese, nel senso che ne detengono il capitale finanziario: dunque una parte del loro reddito deriva dalla cessione di lavoro, e un’altra consistente parte – che si presenta principalmente sotto forma di interessi e dividendi – è dovuta al capitale finanziario, al fatto cioè di possedere giuridicamente le imprese produttive. Questa tassonomia si estende anche agli investimenti diretti esteri, considerati in ogni caso come capitale finanziario24. Un sistematico tentativo di sintesi di tutti questi contributi è rinvenibile in Aukrust, secondo il quale “per attività reali, o capitale reale, intendiamo edifici, macchinari, stock di materie prime, oro, ecc., decidendo convenzionalmente in quale misura includervi beni personali (vestiario, mobilio, ecc.) e i beni pubblici (parchi, armamenti, ecc.). Attività reali e servizi (nel senso consueto del termine), insieme considerati, saranno definiti oggetti reali. Per attività finanziarie, o oggetti finanziari, intendiamo obbligazioni e diritti di proprietà di qualunque tipo, inclusi in un documento o meno. Quindi, banconote, depositi bancari, bond, mutui immobiliari, obblighi fiscali, promesse di pagamento, sono tutti oggetti finanziari”, azioni incluse. La distinzione tra capitale reale e diritti su di esso non è banale, in quanto permette “di descrivere un attività reale come se appartenesse continuativamente ad un settore, mentre la corrispondente attività finanziaria può essere trasferito da un settore all’altro”. 24 Ohlsson si spingerà più avanti, considerando il salario non come remunerazione del lavoro, piuttosto come un trasferimento di valore aggiunto sotto forma di potere d’acquisto, esattamente come Lindahl attribuiva i flussi di reddito di capitale alla titolarità di quest’ultimo. 85 A sua volta, la definizione di “settore” fornitaci dall’autore passa attraverso “un elenco di oggetti reali e finanziari detenuti e la descrizione delle attività di produzione e consumo che avvengono al suo interno, elencando altresì i fattori di produzione”, risultando quindi più ampia e generale di quella proposta da Stone (“aggregazione di unità contabili”), se non altro perché quest’ultima si scontra con la molteplicità di attività economiche che ciascuna componente del settore può svolgere25. Gli oggetti servono a definire anche le transazioni, essendo “spostamenti di un oggetto reale o finanziario da un settore all’altro”, e quindi saranno anch’esse distinte in reali e finanziarie. Inoltre, raggruppando le transazioni che riguardano lo stesso tipo di oggetto avremo dei flussi, che saranno intersettoriali o intrasettoriali, a seconda che abbiano luogo rispettivamente tra due settori o all’interno del medesimo. Infine, se ad una transazione (o il relativo flusso) ne corrisponde un’altra in direzione opposta essa è “requited” (reciproca, bilaterale), altrimenti siamo in presenza di un trasferimento: le prime possono essere entrambi reali (baratto), miste (compravendita di merce contro moneta) o finanziarie (compravendita di titoli), mentre per quanto riguarda le seconde è interessante notare come “i pagamenti di interessi e dividendi sono sempre trasferimenti, dal momento che non vi sono pagamenti per servizi in direzione opposta.”26 Diversamente da Frisch, che aveva tentato di tracciare una perfetta corrispondenza tra circolazione reale e finanziaria, Aukrust ammette la sostanziale diversità tra le due sfere, che si possono raccordare soltanto con l’adozione della QEB, la partita quadrupla, derivante dalla considerazione simultanea delle registrazioni tenute da ciascun settore, in relazione alla stessa 25 È il problema della produzione congiunta affrontato da Leontief col definire l’attività principale, secondaria e ausiliaria di ciascun settore 26 “Si ritiene che i pagamenti di salari, interessi, rendite e dividendi esprimano quale parte del reddito nazionale possa essere attribuita al lavoro, al capitale, alla terra ed al rischio. […] Ciò, tuttavia, per quanto posso intuire, è errato. Il punto è particolarmente chiaro nel caso dell’interesse. Ciò che la teoria economica ha in mente quando si parla di capitale come fattore produttivo e di interesse come remunerazione di tale fattore, è chiaramente il capitale reale e il tasso d’interesse naturale. Questi esisterebbero anche in assenza di prestiti, vale a dire anche in assenza di moneta. I pagamenti di interessi, come li intendiamo, non hanno nulla a che fare con, e dunque non possono misurare, il costo del fattore capitale reale. […] Chiaramente, l’idea del “costo dei fattori”, come misurata dai flussi monetari, non regge.” 86 transazione. In questo modo, un credito reale di un settore trova la sua controparte nel debito finanziario di un altro, mentre ad un trasferimento corrispondono due variazioni nel conto del reddito, identiche e di segno opposto27. Il lavoro classificatorio di Aukrust non si limita alle definizioni, ma mira soprattutto a fornire una roadmap con la quale organizzare un sistema di contabilità: “primo, dobbiamo decidere come l’economia nazionale debba essere divisa in settori. Secondo, dobbiamo decidere il modo con cui le singole transazioni dovrebbero essere raggruppate in flussi. L’ultimo problema presenta due aspetti: le transazioni dovrebbero essere innanzitutto aggregate secondo il tipo di oggetto che movimentano […], ma in aggiunta […] secondo la loro natura – o caratteristica – economica”. Riguardo l’ultimo punto, si introduce una distinzione eziologica delle transazioni, che possono costituire una vendita, un pagamento, un’imposta e così via. Pur raccomandando di rimanere vicini alle teorie economiche e di tenere conto dei dati disponibili, l’autore riconosce che il rispetto di questi criteri può condurre ad una pluralità di schemi contabili. Un ultimo accenno ai saldi di ogni settore, che, analogamente agli aggregati nazionali, ricalcano le equazioni keynesiane, con l’ovvia distinzione tra reddito, conto reale e conto finanziario (questi ultimi due ulteriormente disaggregati al loro interno in conto corrente e conto capitale). Sebbene proponga questi indicatori riassuntivi del sistema economico, Aukrust non crede che attraverso gli aggregati contabili sia possibile trarre conclusioni generali sulla ricchezza e tantomeno sul benessere di una società, in contrasto marcato con Hicks: ritiene, al contrario, che “la nostra attenzione dovrebbe essere meno concentrata sui totali, che non possono essere né statisticamente misurati né logicamente interpretati, e più sui flussi economici correnti ed osservabili. In altri termini, ciò di cui abbiamo bisogno e che possiamo ottenere non sono i totali, indicanti l’andamento del benessere sociale o della 27 Nell’ottica di un singolo settore, una transazione bilaterale non può variare la ricchezza detenuta, trattandosi di mera riallocazione, al contrario di un trasferimento. 87 produttività nazionale, ma aggregati che ci consentano di dimostrare le relazioni tra voci che possono essere statisticamente osservate.” Nelle sue conclusioni, Aukrust pensa che il sistema così delineato combini insieme i vantaggi del modello di Leontief, centrato sui flussi reali, e della rappresentazione di Frisch citata in precedenza, con però il vantaggio di esprimere tutte le transazioni in termini di MF, e quindi – per così dire – di “tradurla” e renderla comprensibile all’approccio anglosassone. L’impianto contabile di Copeland avrà – come si è detto – molta più fortuna della proposta di Aukrust, e troverà una prima concretizzazione nel modello Flow-of-Funds (FOF), il quale si serve di una quadro settoretransazione decisamente diverso da quello in uso nel modello input-output e nel sistema NIPA: infatti il problema principale nell’elaborazione dei flussi è quello dell’integrazione (o riconciliazione) con il sistema dei conti nazionali. Stanley Sigel28 ne fornirà probabilmente la versione più avanzata, individuando i settori (consumatori, imprese finanziarie e non finanziarie, governo, resto del mondo) dotandoli di due conti (debito/credito) e classificando le appropriazione e transazioni in macrogruppi: di questi, produzione, acquisti correnti costituiscono il conto corrente, mentre l’accumulazione di capitale tangibile ed il conto finanziario sono movimenti in conto capitale, con il secondo avente carattere residuale, dunque a fungere da “chiusura” e saldo netto29. Tale impostazione deve molto ad uno di quegli “schemi in cerca di teoria”, proposto qualche anno prima da Hicks nella sua definizione di reddito come somma di consumo ed accumulazione, e direttamente mutuato dalla contabilità privata, nella quale è sempre valida la relazione Attività = Passività – Patrimonio Netto Lo schema FOF guiderà la raccolta dati e la sistemazione statistica negli ani a venire, sarà raffinato e perfezionato dallo sforzo della Federal Reserve e 28 An Approach to the Integration of Income and Product and Flow-of-Funds National Accounting Systems: A Progress Report, in The Flow-of-Funds Approach to Social Accounting, AA.VV. (1962) 29 “In assenza di discrepanze, l’avanzo non finanziario è identico al deficit finanziario. Possono inoltre manifestarsi altre voci relative alle rivalutazioni (perdite o guadagni in conto capitale)” 88 dell’NBER, e si affiancherà ai modelli empirici di contabilità sociale come la SAM, spesso a scopo inferenziale: nei paesi in via di sviluppo mancavano spesso dati affidabili, quindi l’incrocio tra le stime dei conti nazionali e finanziari permetteva spesso di colmare lacune e discrepanze anche consistenti. Ad ogni modo, non si è mai raggiunta una completa sintesi o una perfetta corrispondenza tra conti reali e finanziari, a causa dei presupposti che informano i due sistemi contabili e che ne condizionano decisivamente la rappresentazione, per quanto – come già detto – il SNA68 li abbia resi in qualche misura “permeabili”. Postner (1988) richiama l’analisi di Copeland, focalizzandosi sulle cause soggettive di discrepanza nel valutare le transazioni, e ritiene possibile approfondirne l’analisi attraverso i micro/macro linkages (MML), raccordando cioè l’ottica del singolo agente con quella del sistema. I MML possono essere evidenziati in una forma “debole”, nella quale ogni macrosettore viene consolidato ed è dunque rappresentato come un’unità compatta che intrattiene relazioni solo con l’esterno: ciò può realizzarsi soltanto se le microunità che costituiscono il settore presentano classificazioni contabili uniformi; se invece dai conti settoriali consolidati è possibile ricavare la contabilità di ogni unità economica e contemporaneamente tenere separate le transazioni intra-gruppo da quelle extra-gruppo, saremo allora in presenza di MML “forti”. La tesi di fondo dell’autore è che “una QEB (contabilità quadrupla) coerente garantisce la forma debole dei MML”: utilizzando lo schema FOF, e dunque attribuendo a ciascuna unità economica un colonna con debiti ed una con crediti, sono elencate una serie di transazioni, ciascuna delle quali movimenta due conti per ciascun agente. Per Postner la contabilità nazionale, ed in particolare la rappresentazione sotto forma di SAM, assume che i soggetti coinvolti nelle transazioni valutino lo scambio nella stessa maniera, altrimenti verrebbe meno la possibilità di esprimerlo sinteticamente in un’entrata della matrice. Questo caso, che costituisce comunque la generalità delle transazioni, implica che adottando la QEB tutte le quattro entrate hanno identico valore, sono cioè consistenti. 89 Esistono però casi in cui le inconsistenze sono evidenti e significative, e non possono essere emendate da riclassificazioni o correzioni; tali casi dipendono da almeno due fattori: uno è l’ottica adottata dal compilatore dei conti, il quale può privilegiare la forma legale della transazione oppure la natura economica, l’altro è la complessità delle transazioni da analizzare e rappresentare. Per quanto concerne il primo aspetto, Postner sottolinea che “il SNA delle Nazioni Unite adotta il punto di vista della forma legale. Ciò è in contrasto con l’ottica della contabilità aziendale, che è orientata alla natura economica. Lo scrivente sostiene l’ottica della natura economica contro la forma legale, e auspica che il SNA sia corretto in tal senso. Resta tuttavia vero che il concetto di natura economica non è sempre chiaro ed è passibile di valutazioni soggettive. La forma legale è meno equivoca, ma economicamente irrilevante”. Quanto alla seconda fonte di discrepanze, “la valutazione soggettiva della complessità economica si riflette naturalmente in registrazioni contabili inconsistenti. […] L’avere a che fare con transazioni economiche via via più complesse e sofisticate può modificare la direzione della contabilità nazionale”. L’attuale funzionamento dei mercati finanziari sembra aver dato ragione all’autore. Un caso concreto in cui questi fattori agiscono è ad esempio quello dell’acquisto di beni capitale in leasing, dove i soggetti coinvolti sono almeno tre (cedente, cessionario e intermediario) e uno dei tre potrebbe agevolmente non valutare la transazione in conto capitale, bensì in conto corrente, oppure il canone periodico potrebbe essere valutato come costo invece che come quota capitale. La proposta operativa di Postner consiste nel lasciare in disequilibrio i totali contabili relativi ad ogni transazione, nella convinzione che discrepanze contabili correnti in partita quadrupla saranno nel tempo controbilanciate – fino ad essere annullate – da altre di segno opposto: a questa modalità di rappresentazione l’autore attribuisce il nome di “conti perennemente sbilanciati” (perpetual imbalancing accounting, PIA). Al contrario, i totali 90 relativi agli agenti economici rimarrebbero generalmente in equilibrio, nel senso che in un dato istante la somma delle discrepanze settoriali sarebbe nulla, ma solo a condizione che tutti gli agenti pratichino la registrazione in partita doppia30. In sintesi, i gruppi di transazioni possono essere sbilanciati non solo individualmente, ma anche nel loro complesso, presentare cioè un saldo netto complessivo non nullo, mentre gli agenti economici non sono sbilanciati nel loro insieme, equivalendo il totale dei debiti al totale dei crediti alla fine di ogni periodo di osservazione. La differenza tra PIA ed equilibrio generale è che “in quest’ultima teoria, quando ad esempio c’è eccesso di domanda per una merce, il meccanismo di prezzo opera per eliminare l’eccesso di domanda in un periodo successivo. Con i PIA quando siamo in una situazione in cui il totale dei debiti per una categoria di transazioni è maggiore del totale dei crediti (vale a dire inconsistenza), il meccanismo contabile innesca una serie di reazioni, volte non ad eliminare l’inconsistenza, ma a generarne una uguale e di segno opposto in un periodo futuro.” Postner si occupa anche di ricostruire una parte di storia della contabilità nazionale, in particolare ricostruisce la comparsa e l’uso del concetto di QEB, strettamente legato alla sua interpretazione dei MML: sembra che il primo ad usare la perifrasi, quasi simultaneamente a Copeland, sia stato Ruggles31, mentre Sigel32 è scettico sul reale rispetto non solo della QEB, ma anche della DEB, nella contabilità NIPA ed input-output, pur ritenendo le voci di saldo – inserite per ovviare all’esclusione degli aspetti monetari e finanziari – un notevole passo in avanti. Per quanto riguarda invece i saldi finali delle transazioni e degli agenti, Schelling33 ritiene che nemmeno i conti relativi agli agenti debbano essere in equilibrio, nel senso che anch’essi possono 30 Per questo motivo Postner avvertirà che il modello PIA prende spunto dal settore produttivo privato, e che necessiterà di notevole raffinamento, prima di potersi estendere a tutti i soggetti economici. 31 Ruggles, R. (1949) – An Introduction to National Income and Income Analysis – McGraw-Hill 32 Sigel, S. (1955) – A Comparison of the Structures of Three Social Accounting Systems – in “InputOutput Analysis: An Appraisal”, Studies in Income and Wealth, vol.18, NBER 33 Schelling, T. (1958) – Design of the Accounts – in “A Critique of the United States Income and Product Account”, Studies in Income and Wealth, vol.24, NBER 91 presentare un saldo finale complessivo non nullo, esattamente come Postner ammette sia possibile per ciascuna categoria di transazioni. Pur criticando alcune premesse teoriche della contabilità nazionale, Postner riconosce l’utilità – se non proprio l’indispensabilità – della presentazione in forma di matrice, tanto da riassumere i criteri affinché la QEB sia rispettata in due vincoli matriciali: “supponiamo che ci siano m settori comprendenti l’ intera economia nazionale, e n tipi di transazioni. È dunque possibile descrivere una matrice bidimensionale à la Stone, […] ma è notevolmente più semplice visualizzare l’analisi in termini di […] una matrice tridimensionale. […] Vi sono m righe, m colonne e n piani bidimensionali. L’elemento-tipo di questa matrice può essere rappresentato dalla notazione sijk, che denota un credito per il settore i e un debito per il settore j, voci entrambe relative al kesimo tipo di transazione.” Il vincolo classico, relativo alla partita doppia ed anche alla SAM, è di tipo settoriale: ∑ ∑ k s = ∑k ∑ j ijk j s jik Esso indica che il totale dei crediti dell’i-esimo settore è identico al totale dei suoi debiti; la QEB è rispettata e consistente se vale anche il secondo vincolo, relativo alle transazioni: ∑ ∑ i s = ∑i j ijk ∑ j s jik Detto vincolo impone l’uguaglianza tra il valore dei flussi attivi e passivi classificati nel k-esimo gruppo di transazioni. In sintesi, registrazioni in QEB e microfondazione dei dati macro sono i temi sollevati da Postner e ripresi spesso non solo nel dibattito su moneta e finanza, ma anche in quello statistico-contabile: basti citare qui la riflessione di Gorter e Shrestha, del Fondo Monetario Internazionale, i quali richiamano la distinzione tra rappresentazione verticale ed orizzontale dei conti: la prima è di derivazione medievale, adotta l’ottica del singolo agente (micro) e si presenta nella forma a T (T-accounts), con le attività finanziarie poste nella 92 colonna di sinistra e le passività in quella di destra, mentre – per quanto riguarda il sistema NIPA – le risorse sono situate a destra e gli impieghi a sinistra; la seconda invece mostra le relazioni tra due agenti (macro), relazioni che dovrebbero essere simmetriche, vale a dire di identico importo, ma di segno opposto. Dalla combinazione di questi due livelli concettuali, presentati senza inconsistenze, deriverebbe la QEB; le fonti di discrepanza nelle transazioni – e dunque di inconsistenza – sono come sempre di tre categorie: quelle legate alla valutazione del loro importo, quelle legate al tempo di registrazione e quelle relative alla natura degli strumenti. A queste problematiche ne va aggiunta una di carattere eminentemente statistico-descrittiva: la contabilità privata tende a consolidare i conti, mentre quella nazionale in genere no34. Tuttavia, per i due autori un sistema QEB non può essere derivato semplicemente dall’aggregazione di micro-dati con saldi netti non nulli compensati nel tempo, come suggeriva Postner: oltre a non permettere la derivazione di un totale che funga anche da indice, come ad esempio il PIL, i dati contabili delle imprese private sono comunque esposti ad una distorsione di tipo soggettivo, essendo “influenzati dalle convenzioni contabili, dalle imposte e da regole amministrative, così come da manipolazione da parte delle stesse imprese”; infine – ma di questo era conscio anche Postner – difficilmente le poste contabili relative alle famiglie potranno essere ricavate da micro-dati analoghi, dal momento che esse non tengono certo una contabilità codificata. Per ovviare a questi inconvenienti, sarebbe utile recuperare una proposta elaborata in Francia principalmente da André Vanoli, il quale definisce dei conti intermedi, di raccordo tra micro e macrodati: in questa fase i dati provenienti dalle unità economiche vengono riclassificati, resi compatibili e aggregati con criteri uniformi, misurando al contempo la dispersione intragruppo. 34 Eccezioni a questa regola sono costituite – tra l’altro – dalle imposte, nette dei sussidi, dall’output, valutato al netto delle perdite, dalla formazione del capitale fisico, netta delle dismissioni 93 Recentemente è stato anche ripreso il tema della forma legale degli scambi, con un interessante interpretazione fornitaci da Tsujimura. Gli autori fanno risalire il sistema di contabilità sociale direttamente al diritto romano – in quanto derivato dal sistema di partita doppia di Pacioli – ed al suo concetto di jus in rem: “Dal momento che jus significa legge, in questo caso jus in rem è traducibile come la legge degli oggetti fisici ed astratti. Il tratto comune tra oggetti fisici ed astratti è che entrambi sono attivi di valore economico. È questa branca del diritto che regola creazione, trasferimento ed utilizzo degli attivi economici – della proprietà in senso lato. Per usare termini giuridici, la legge degli oggetti include tutti quei diritti passibili di essere valutati in termini monetari, di modo che spesso la perifrasi francese droit économique viene considerata la traduzione più appropriata di jus in rem.”35 A sua volta, il diritto si suddivide in jus proprietatis, jus obligationis e jus successionis, quest’ultimo non rilevante, in quanto non ha valore economico a sé, ma è una modalità con cui acquisire i primi due. Problematiche importanti per un sistema di conti sono - il rispetto della QEB: la DEB verticale assicura la coerenza a livello del singolo agente, mostrandone lo stock (conto capitale) di attività e passività, la DEB orizzontale evidenzia invece l’equilibrio tra due soggetti, registrando i flussi (conto corrente) corrispondenti al conto profitti e perdite36; - il tempo di registrazione: nel caso di contratti bilaterali, dove cioè le parti obbligate sono due, si può tener conto del momento della stipula (criterio di competenza), del perfezionamento da parte del cedente (vendita/cessione), o da parte del cessionario (criterio di cassa)37; 35 Nel SNA93 l’oggetto della contabilità nazionale è la registrazione del “valore economico” (economic value) in tutte le sue manifestazioni: creazione, trasformazione, scambio, trasferimento ed eliminazione. 36 Vi è qui una corrispondenza diretta tra il dualismo stock-flow proposto da Hicks (The Social Framework , 1942) e la distinzione stato patrimoniale – conto economico, propria della contabilità aziendale. 37 Su questo punto gli autori addebitano allo SNA93 un’incoerenza, in quanto esso prende come riferimento il momento della cessione, ma lo definisce accrual basis, vale a dire criterio di competenza. 94 - la valutazione degli oggetti: oltre alla coerenza di ogni singolo agente e tra due agenti, è necessaria anche la coerenza intertemporale, che sarebbe garantita solo adottando il costo storico come criterio di valutazione; mentre il SNA93 impone la valutazione a prezzi correnti, gli standard contabili privati (IASB) applicano questa modalità solo agli strumenti finanziari scambiati sul mercato secondario, prezzando gli altri oggetti al costo storico. Gli autori suggeriscono dunque di colmare questo iato con l’aggiunta del conto di rivalutazione – in cui sono presenti profitti e perdite in conto capitale solo se effettivamente realizzati – il quale ai fini del reddito risulta mera redistribuzione38. In definitiva, l’adozione della QEB e del costo storico (più rivalutazioni, rese ora endogene) garantirebbero una completa integrazione dei conti reali e finanziari all’interno del SNA: il problema del tempo di registrazione verrebbe infatti superato dalla condizione di coerenza intertemporale, riconoscendo come caso particolare la simultaneità delle variazioni correnti e in conto capitale all’interno di un sistema che al contrario si propone di registrare separatamente il sorgere di un’obbligazione e lo scambio di contropartite tra le parti obbligate (stipula-cessione-pagamento). Per concludere la panoramica sui sistemi di registrazione dei flussi di mezzi di pagamento, è opportuno riprendere il già citato lavoro di Lavoie e Godley, al fine di sottolineare la duttilità della QEB nel rappresentare sinteticamente diverse teorie monetarie. Adottando l’ottica delle transazioni, ogni impiego di mezzi di pagamento è contraddistinto da un segno negativo, mentre ogni risorsa da uno positivo; la teoria monetarista dell’inflazione può dunque essere rappresentata come segue, in una Transactions Flow Matrix (TFM)39: 38 Sulle possibili definizioni di “reddito” gli autori ritengono sia da emendare il concetto di reddito come prodotto, per ampliarlo usando quello di entrata (come suggeriva Lindahl): per questo, anche la cessione di beni usati verrebbe contabilizzata, allo stesso modo degli scambi di attività finanziarie. Ne consegue che consumo e nuovo investimento non sono più le uniche componenti di reddito, dal lato della spesa. 39 Si ricordi che i totali delle righe e delle colonne sono tutti nulli. 95 Tabella 8: TFM con monetizzazione del debito pubblico Famiglie Profitti Banca centrale Interessi su titoli pubblici Variazioni di contante Variazioni nel monte titoli Intermediari finanziari c/corrente c/capitale Governo Banca centrale c/corrente + Fcb c/capitale − Fcb − rb ( −1) .B( −1) + rb ( −1) .Bcb ( −1) −∆H h −∆H b −∆Bh −∆Bb +∆H +∆B −∆Bcb Si tralasciano le altre transazioni, concentrandosi sul processo di creazione della moneta e del debito pubblico ad essa collegato: si assume che la banca centrale attribuisca il suo profitto ( Fcb ) al governo, il che equivale a dire che essa presenti un saldo netto nullo. In questo caso nel bilancio pubblico compaiono gli interessi su titoli pubblici già esistenti ( rb ( −1) .B( −1) ) e la quantità di nuove emissioni ( ∆B ), necessarie a finanziare un eventuale eccedenza della spesa pubblica sul gettito fiscale (G – T), che per semplicità non compare nella tabella. La banca centrale monetizza il debito acquistando parte dei bond emessi, sui quali percepisce ovviamente i relativi interessi, ( rb ( −1) .Bcb ( −1) ), mentre il resto si suddivide tra banche ( ∆Bb ) e famiglie ( ∆Bh ). La monetizzazione del debito pubblico consiste dunque un aumento del contante in circolazione ( ∆H ), anch’esso suddiviso tra banche ( ∆H b ) e famiglie ( ∆H h ). Cambiando solamente le assunzioni preliminari, è altresì possibile adottare la proposta teorica dei “circuitisti”40 e mostrare in sequenza l’intero circuito monetario: il primo caso è quello di moneta privata endogena Tabella 9: TFM con la prima fase del circuito monetario, in presenza di moneta privata endogena Imprese c/corrente c/capitale Intermediari finanziari c/corrente c/capitale Variazioni nei prestiti +∆L f −∆L Variazioni nei depositi −∆M f +∆M In questa prima fase, le imprese prendono in prestito dei fondi dalle banche e queste ultime riducono di un identico ammontare i loro depositi: “da un 40 Si veda ad esempio Graziani, A. (1994) – La Teoria Monetaria della Produzione – Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio 96 punto di vista FOF, un incremento nei depositi è una risorsa, mentre un incremento dei prestiti è un impiego delle banche. Per alcuni, questa terminologia sembra rafforzare la teoria ortodossa, associata con l’approccio dei fondi mutuabili, e cioè che le banche offrono prestiti solo se hanno le risorse finanziarie per farlo. […] Non verrà qui difesa questa interpretazione. Al contrario, una caratteristica fondamentale del sistema bancario è la sua abilità di creare depositi ex nihilo. Più esattamente, […] i depositi in moneta sono l’origine dei fondi che consentono il ricorso ai prestiti bancari. Ma la causa dell’incremento dei depositi e dei prestiti è la volontà di contrarre un’ulteriore passività e il desiderio del mutuatario, qui l’impresa produttiva, di espandere le proprie spese.” Successivamente, le imprese finanziano investimenti (I) con i prestiti ottenuti (∆Lf), pagano salari (WB) alle famiglie, che li depositano presso gli intermediari finanziari (∆Mh). Lo stesso ammontare di mezzi di pagamento ha così compiuto l’intero circuito del sistema economico, ritornando al punto di partenza, ma presentandosi ogni volta in forme diverse, sia reali che finanziarie: Tabella 10: TFM del circuito monetario (fasi successive alla prima) con moneta privata endogena Famiglie Imprese c/corrente c/capitale +I −WB Investimenti +WB Salari −I Intermediari finanziari c/corrente c/capitale −∆L +∆L f Variazioni nei prestiti Variazioni nei depositi +∆M −∆M h Analizziamo ora concretamente la scansione temporale degli scambi: siamo nella fase in cui l’impresa non ha ancora a disposizione i beni capitale per ottenere i quali ha richiesto prestiti dalle banche, e inoltre non ha ancora venduto quanto prodotto nell’attuale periodo. Tenendo conto che l’investimento è concepito in termini reali, la sua componente positiva (una risorsa) indica dunque l’incremento delle scorte avutosi – dunque entra nel conto corrente – mentre la componente negativa rappresenta la movimentazione del conto capitale. Per coerenza contabile, in questo stadio il 97 valore dei prestiti è uguale a quello degli investimenti programmati, che a sua volta è identico al valore della produzione non venduta e a quello dei salari corrisposti. Saranno poi le decisioni riguardo il consumo a determinare quanta parte della produzione rimarrà invenduta e quanta invece ceduta in cambio di mezzi di pagamento, con i quali le imprese restituiranno tutto o parte dell’ammontare dei prestiti ricevuti. Contemporaneamente, le decisioni di consumo ridurranno parte della moneta circolante, e di conseguenza i prestiti attivi: “Ciascuna serie di transazioni può essere vista come la creazione, la circolazione e la distruzione di moneta”. In un sistema con ulteriori stadi, avranno inoltre notevole rilevanza la composizione del capitale societario e le decisioni pregresse di indebitamento: ad esempio, la distribuzione dell’azionariato o la capacità di emettere titoli obbligazionari. Si può dunque effettuare un’importante “distinzione tra finanziamento iniziale e finale, che è stata sottolineata dai circuitisti. Finanziamento iniziale, che Davidson definisce construction finance, […] è il prestito bancario che le imprese generalmente richiedono per finanziare i primi stadi produttivi, e quindi per finanziare le scorte. Finanziamento finale, o investment funding per Davidson, […] è l’insieme dei mezzi con i quali le spese per investimento vengono finanziate alla fine del periodo di produzione; l’autofinanziamento aziendale ne costituisce la maggior parte.” Un altro esempio mostrato da Lavoie e Godley riguarda il confronto tra spesa pubblica (G) finanziata tramite emissione di titoli di stato che vengono acquistati alternativamente dalla banca centrale ( ∆Bcb ) o dal sistema bancario privato ( ∆Bb ): 98 Tabella 11: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dalla banca centrale Famiglie Intermediari Governo Banca centrale finanziari c/correntec/capitale c/correntec/capitale c/corrente c/capitale +G Spesa pubblica +Y Reddito (PIL) Variazioni di contante Variazioni nei depositi Variazioni nel monte titoli Imprese −G −Y −∆H b (−∆H g ) 41 +∆H +∆M −∆M h +∆B −∆Bcb Come in precedenza, la tabella sopra descrive la situazione del sistema economico prima delle decisioni di spesa delle famiglie, cui per semplicità viene attribuito tutto il reddito generato (Y). Inoltre, gli intermediari finanziari si ritrovano con riserve addizionali ( ∆H b ): “queste […] non significano tuttavia che venga creato un ammontare di depositi multiplo, come nella teoria del moltiplicatore monetario. Se le banche non trovano alcun mutuatario con merito di credito – e il fatto che esse ora detengano riserve aggiuntive non implica affatto che ve ne siano in vista – possono sempre acquistare titoli di debito pubblico”. Quest’ultima opzione può essere esercitata direttamente e previamente, senza l’intervento della banca centrale, come descritto di seguito: Tabella 12: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dal sistema bancario privato Famiglie Imprese Intermediari Governo Banca centrale finanziari c/correntec/capitale c/correntec/capitale c/corrente c/capitale +G Spesa pubblica Reddito (PIL) +Y Variazioni di contante Variazioni nei depositi Variazioni nel monte titoli −∆M h −G −Y +∆M (−∆M g ) 42 −∆Bb +∆B 41 Questa voce rappresenta la moneta fornita dalla banca centrale in cambio dei titoli pubblici, e successivamente utilizzata – dunque annullata – per la spesa pubblica 42 Considerazione analoga alla nota precedente, con la differenza che stavolta i titoli vengono pagati dalle banche con l’apertura di depositi. 99 In linea con i recenti approcci cartalisti, il deficit pubblico deve essere monetizzato, almeno in un primo momento, e “se i titoli pubblici vengono inizialmente acquistati dalle banche private o dalla banca centrale non fa alcuna differenza. […] L’unica quantità di moneta rimasta nel sistema economico sarà detenuta volontariamente, e tale ammontare non dipende affatto dallo schema finanziario utilizzato per finanziare la spesa pubblica.” Tale conclusione è vera anche qualora il settore pubblico non emettesse bond, ma prendesse a prestito le risorse necessarie dalle banche ( ∆Lg ), le quali a loro volta devono finanziarsi tramite la banca centrale, che si limita a fissare il tasso di interesse di riferimento: sarà poi il settore finanziario a stabilire lo spread per garantirsi margini di profitto e restituire le anticipazioni ( ∆A ) effettuate dalla banca centrale:43 Tabella 13: TFM con spesa pubblica finanziata a debito dal sistema bancario privato Famiglie Intermediari Governo Banca centrale finanziari c/corrente c/capitale c/corrente c/capitale c/corrente c/capitale +G Spesa pubblica Reddito (PIL) Imprese +Y −G −Y Variazioni di −∆H h contante Variazioni nei −∆M h depositi Variazioni nei prestiti bancari Variazioni nei prestiti della banca centrale +∆H +∆M (−∆M g ) 44 −∆L +∆Lg +∆A −∆A Da questa panoramica si può concludere che gli schemi contabili QEB non sono soltanto un ottima sintesi statistica dell’effettivo funzionamento dei sistemi economici, ma anche un potente quadro concettuale dove rappresentare, far confluire e confrontare le diverse teorie monetarie, confronto che non implica una valutazione sulla o un ordinamento della capacità euristica di ogni singola teoria, bensì permette la costruzione di una valida cornice sinottica. 43 Hicks definiva asset-based il tipo di economia con bond pubblici e overdraft il caso con prestiti da banche private. 44 Vedi nota 39, in questo caso però il governo contrae prestiti bancari. 100 Osservazioni conclusive Rimpiazzare il termine “moneta” con la perifrasi “mezzi di pagamento” non è una mera modifica retorica o tassonomica, bensì la constatazione della natura – citando Huber e Robertson45 – informazionale della moneta. Quanto alla definizione, i mezzi di pagamento non dovrebbero essere confusi con i metodi di pagamento o i supporti tecnici al pagamento, come cheque, carte di credito, ecc. Quanto alla natura della moneta, è possibile immaginare che nel giro di una generazione o poco più l’uso del contante potrebbe essere completamente rimpiazzato dalla moneta elettronica, vale a dire bits. […] Passo dopo passo distaccata da oggetti di valore materiale, la moneta ha svelato la sua natura puramente informazionale. Le unità di moneta in circolazione rappresentano valore economico. La moneta può essere in relazione con qualsiasi oggetto passibile di valutazione economica (prezzo) e transazione (scambio). Da qui la duplice funzione della moneta: come unità di conto, le unità monetarie servono per misurare il valore economico; come mezzi di pagamento, servono per effettuare transazioni trasferendo unità di moneta in cambio degli oggetti acquistati. Ciò che comunemente viene definita la terza funzione – riserva di valore – si riferisce al fatto che può essere accantonata come mezzo di pagamento per un utilizzo differito. La mia opinione è che l’approccio cartalista sia il più rispondente agli attuali sistemi di moneta fiduciaria, ormai estesisi a livello mondiale. Duesenberry46 scriveva al riguardo: Molti oggetti diversi hanno svolto funzioni monetarie in un’epoca o nell’altra. Alcuni possedevano un’utilità diretta, altri invece erano del tutto privi di valore. Un bene qualsiasi può servire da moneta, purché tutti siano certi che esso venga accettato come mezzo di pagamento per beni e servizi e, sotto quest’aspetto, non ha rilevanza se tale sicurezza sia fondata su una disposizione normativa, sulle abitudini o sul valore intrinseco degli oggetti che svolgono funzioni monetarie. Questa prospettiva ha come corollario un accento maggiore sulle dinamiche della circolazione della moneta, e quindi un ridotto interesse per qualsivoglia teoria del valore espresso in termini monetari. È necessario rimpiazzare il monopolio del valore aggiunto, e quindi della nuova produzione realizzata in un determinato periodo, con la mole di transazioni effettivamente 45 46 http://www.jamesrobertson.com/book/creatingnewmoney.pdf Money and Credit: Impact and Control (1964), Prentice-Hall 101 avvenuta, e dei relativi mezzi di pagamento utilizzati; è possibile così scoprire, tra l’altro, che: - la massa di strumenti finanziari attualmente circolante nel mondo è un multiplo del prodotto interno lordo, quindi ridistribuisce ricchezza accumulata in passato o ipoteca ricchezza potenzialmente producibile in futuro; - la contabilità nazionale basata su indicatori esclude i passaggi intermedi di merci, quindi difetta di un valido indicatore del ciclo economico47; - il profilo temporale col quale un’obbligazione sorge, esiste e si estingue non coincide con la semplice annotazione di un passaggio di merci (materiali o meno) da un soggetto ad un altro; - anche i trasferimenti di beni usati movimentano mezzi di pagamento, e forniscono una stima dei conti di rivalutazione (guadagni e perdite in conto capitale) Le difficoltà di realizzare un simile quadro contabile non sono – e non possono nemmeno essere – un valido motivo per proseguire nell’utilizzo spesso semplicistico di indicatori di sintesi che non colgono il carattere relazionale-transattivo del moderno agire economico. Del resto, anche costruire il sistema NIPA sembrava un compito improbo, ma le esigenze belliche lo hanno reso relativamente agevole. 47 In caso di osservazioni intersettoriali, la sottostima viene meno 102 Bibliografia AA.VV. (1962) – The Flow-of-Funds Approach to Social Accounting – Princeton University Press Aukrust, O. (1949) – On the Theory of Social Accounting – Review of Economic Studies, vol.16 n.3 Cantillon, R. (1995) – Essai sur la nature du commerce en général – Cofide Copeland, M.A. (1949) – Social Accounting for Moneyflows – The Accounting Review, vol.24 Dawson, J. [ed.] (1996) – Flow-Of-Funds Analysis: A Handbook for Practitioners – M.E. Sharpe Della Torre, G. (2000) – Le Ragioni Teoriche della Discrasia tra Conti Nazionali e Conti Finanziari – Quaderni del Dipartimento di Economia Politica, Università degli Studi di Siena Fisher, I. (1933) – Stamp Scrip – Adelphi Company Gesell, S. (1929) – The natural economic order – Neo-Verlag Gorter, C.N., Shrestha, M.L. 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