università degli studi di macerata dipartimento di studi sullo

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università degli studi di macerata dipartimento di studi sullo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI STUDI SULLO SVILUPPO ECONOMICO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
LA TRADIZIONE EUROPEA DEL PENSIERO ECONOMICO
CICLO XXIII
TITOLO DELLA TESI
LE RISORSE NATURALI ED I MEZZI DI PAGAMENTO NELLE MATRICI DI CONTABILITÀ SOCIALE:
RAPPRESENTAZIONE ANALITICA E RIFERIMENTI STORICI
TUTOR
Chiar.mo Prof. MAURIZIO CIASCHINI
DOTTORANDO
Dott. GIOVANNI PALMIERI
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. STEFANO PERRI
ANNO 2010
Cut through the boosterism and hysterics, and
growth means simply "spending more money."
It makes no difference where the money goes,
and why. As long as the people spend more of
it, the economy is said to "grow."
(Jonathan Rowe & Judith Silverstein, The GDP
myth: why “growth” isn’t always a good thing)
Indice
Premessa…...............................................................................................
1
CAPITOLO PRIMO
LE RISORSE NATURALI: RAPPRESENTAZIONE
CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI
Introduzione.............................................................................................
2
La monetizzazione dell’ambiente e l’approccio delle spese difensive…
3
Le spese difensive in un quadro input-ouput………………………….
4
L’aspetto materiale dell’attività economica……………………………
6
Confronto tra i diversi metodi…………………………………………
8
Excursus storico………………………………………………………..
11
Osservazioni conclusive………………………………………………...
47
Bibliografia……………………………………………………………..
50
CAPITOLO SECONDO
TRANSAZIONI E MEZZI DI PAGAMENTO:
RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E RIFERIMENTI
STORICI
Introduzione…………………………………………………………….
52
L’uguaglianza risparmio-investimento………………………………...
55
I servizi di intermediazione indirettamente misurati…………………..
57
La Flow-Of-Funds matrix (FOF) e la Full-Integration Matrix (FIM)
60
La Quadruple Entry Bookkeeping (QEB)……………………………..
64
Excursus storico………………………………………………………..
66
Osservazioni conclusive………………………………………………...
101
Bibliografia……………………………………………………………..
103
I
Indice di tabelle e figure
CAPITOLO I
Tabella 1: tavola supply-use semplificata……………………………….
5
Tabella 2: tavola supply-use con servizi ambientali…………………….
5
Tabella 3: tavola supply-use con risorse non prodotte e residui………...
7
Figura 1: matrice di Geddes…………………………………………….
20
CAPITOLO II
Tabella 1: SAM semplificata……………………………………………
56
Tabella 2: SAM con evidenziazione dei SIFIM………………………...
58
Tabella 3a: aggiunta settore fittizio……………………………………..
59
Tabella 3b: riallocazione settoriale dei SIFIM………………………….
59
Tabella 4: matrice FOF semplificata……………………………………
60
Tabella 5: FIM semplificata…………………………………………….
62
Tabella 6: registrazione QEB dell’emissione di titoli di stato acquistati
dalla banca centrale……………………………………………………..
64
Tabella 7: registrazione QEB di un acquisto intersettoriale con ricorso
al prestito bancario……………………………………………………...
65
Figura 1: Matrice tridimensionale degli scambi 3x3x3…………………
65
Tabella 8: TFM con monetizzazione del debito pubblico………………
96
Tabella 9: TFM con la prima fase del circuito monetario, in presenza di
moneta privata endogena………………………………………………..
96
Tabella 10: TFM del circuito monetario (fasi successive alla prima)
con moneta privata endogena…………………………………………...
97
Tabella 11: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dalla banca
centrale………………………………………………………………….
99
Tabella 12: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dal sistema
bancario privato…………………………………………………………
99
Tabella 13: TFM con spesa pubblica finanziata a debito dal sistema
bancario privato…………………………………………………………
100
II
Premessa
Il presente lavoro verte su due temi relativamente trascurati – o
quantomeno affrontati con schemi piuttosto riduttivi – dalla scienza
economica, almeno fino a qualche decennio fa.
Il primo riguarda il ruolo assunto dalle risorse non prodotte e dall’ambiente
naturale, nelle sue funzioni di fornitore di input, di contenitore dell’output che
dal sistema economico fuoriesce in forma di residuo, e di oikos dove l’attività
economica si svolge concretamente.
Il secondo è incentrato sui flussi di mezzi di pagamento che regolano gli
scambi aventi luogo in un sistema economico; usare mezzi di pagamento in
luogo di moneta permette di essere sufficientemente generici e ricondurre
all’interno delle transazioni analizzate anche modalità alternative di scambio:
sebbene gli esempi proposti siano espressione di economie di mercato
fortemente monetizzate, le modalità scelte per la loro rappresentazione sono
utilizzabili anche per economie non monetarie, informali o di baratto. Sono
cioè valide per tutti i rapporti economici configurabili come scambio di
equivalenti.
L’ottica scelta è sistemica, e privilegia dunque gli strumenti dell’analisi
input-output: interdipendenza e interrelazione tra gruppi di agenti economici
opportunamente classificati. La disposizione in forma di matrice permette
inoltre di estendere l’analisi ogniqualvolta si rendano disponibili nuovi dati o
si ritenga opportuno effettuare riclassificazioni.
Mentre gli strumenti utilizzati per analizzare i suddetti temi e la loro
struttura espositiva sono comuni, la loro natura e la loro presenza nella storia
del pensiero economico li rende del tutto indipendenti l’uno dall’altro, ed è
infatti così che vengono presentati, ciascuno con i propri riferimenti letterari e
con le proprie considerazioni conclusive.
Avvertenza
Le citazioni sono riportate in italiano, anche quando provengono da testi in altre lingue, pertanto
lo scrivente è responsabile per la loro traduzione.
1
CAPITOLO PRIMO
LE RISORSE NATURALI: RAPPRESENTAZIONE
CONTABILE E RIFERIMENTI STORICI
Introduzione
L’analisi input-output costituisce uno strumento per analizzare l’economia
in senso sistemico, e dunque, oltre a cogliere le interrelazioni tra i soggetti che
la compongono, la interpreta come un sistema aperto, in interscambio con
l’esterno: nel linguaggio economico, le economie aperte sono definite in senso
nazionale, così come la contabilità. D’altra parte, la scienza economica si
impone come disciplina autonoma interrogandosi sulla ricchezza delle nazioni.
Un sistema economico aperto intrattiene però tutta un’altra serie di scambi,
che soltanto in parte possono essere presi in considerazione nella contabilità:
una matrice input-output può tenere conto di queste relazioni tanto in entrata,
stimando le risorse non prodotte (resource function), quanto in uscita,
valutando i prodotti di scarto e le emissioni dovute ai processi di
trasformazione (sink function); vi è inoltre una funzione dell’ambiente naturale
che difficilmente può essere valutata, a meno di non incorrere in astrazioni o
forzature ideologiche, ed è quella di habitat (service function, a sua volta), a
sua volta disaggregabile grosso modo in uso vitale (survival function) e di
godimento (amenity function). Se non si terrà conto esplicitamente di questo
ruolo nel resto della trattazione, è più per rifuggire da arbitrarietà, piuttosto
che per l’inadeguatezza degli strumenti contabili volti ad implementarlo.1
Limitandoci dunque alle prime due funzioni e adottando un’ottica
multisettoriale, si amplierebbe la SAM affiancandovi una sottomatrice
“ambientale” o “naturale”, che registri gli scambi intercorrenti tra economia e
ambiente. Emerge però il problema dell’unità di misura: le relazioni interne al
1
Si veda a tale proposito il concetto di Conti Ambientali Patrimoniali (Falcitelli F., Falocco S. [a cura
di], Contabilità Ambientale, Il Mulino, 2008, pp.168 e segg.)
2
sistema economico sono misurate in termini monetari, tutte le altre devono
essere espresse in termini materiali (fisici).
La duttilità del calcolo matriciale ci permette come al solito di scegliere tra
diverse alternative: stimare gli scambi fisici in termini monetari o esprimere
l’attività economica in termini materiali. Ovviamente, la prima opzione è più
semplice e vanta diversi tentativi di applicazione, mentre la seconda richiede
basi di dati più complesse e un approccio differente. Le direttive contabili
elaborate dalle Nazioni Unite intendono percorrere entrambe queste
alternative, per mezzo di quelli che sono detti “conti satellite” (System of
National Accounts, 20082), ulteriormente distinguibili in interni/funzionali –
risultato di riclassificazioni e deconsolidamento di poste già esistenti – ed
esterni/integrati – derivanti da nuove osservazioni.
La monetizzazione dell’ambiente e l’approccio delle spese difensive
La scelta di esprimere in moneta le transazioni direttamente legate
all’ambiente naturale in cui si svolge l’attività economica ha il vantaggio di
non dover armonizzare le poste contabili già esistenti. Esistono almeno due
alternative a quest’approccio, di cui si parlerà più avanti, ma per limitare le
ipotesi e la necessità di inferenza che da esse deriva si adotterà in questa sede
il metodo delle spese difensive3.
Il modo più semplice per implementare dette spese in un quadro inputoutput consiste nell’aggiungere alla lista dei beni e servizi prodotti una merce
chiamata “servizi ambientali”, che costituisce un input per i settori
dell’economia, compreso il settore pubblico. Il principale fornitore di questa
“merce” sarà il settore pubblico, ma nulla esclude che questo ruolo sia svolto
anche da alcuni settori tradizionali qualora fossero disponibili dati accurati.
Concettualmente, non si esclude che parte del valore dei servizi ambientali
possa costituire una voce di domanda finale, tuttavia considerare tali spese
2
http://unstats.un.org/unsd/nationalaccount/docs/SNA2008.pdf, consultato il 25/08/2011
Esistono ovviamente spese che non sono interamente ambientali, tuttavia si tratta di una
complicazione di tipo statistico che può o meno essere presa in considerazione, secondo la
disponibilità di dati e la ragionevolezza dei procedimenti adottati per separare le diverse componenti.
Ai fini della presente trattazione, è sufficiente esaminare le spese riguardanti esclusivamente
l’ambiente.
3
3
come un’aggiunta alla ricchezza solleva qualche perplessità, trattandosi di
costi dipendenti dalla struttura produttiva: in altre parole, quanto più la
produzione richiede risorse naturali e quanto più la divisione del lavoro è
accentuata, tanto più alte risulteranno le spese per servizi ambientali. Questa
ambiguità non è una caratteristica tipica delle spese difensive ambientali,
risultando invece una problematica costante nella definizione di valore
aggiunto (o PIL) dell’economia.
Infine, analogamente a tutte le altre merci, anche i servizi ambientali
possono costituire un investimento, sebbene ciò strida con la convenzionale
definizione di “servizi”: è possibile destinare delle risorse per beni che siano in
grado di fornire questi servizi in più periodi; è possibile anche esportare o
importare i servizi ambientali (si pensi ad esempio al trattamento dei rifiuti).
L’approccio delle spese difensive non impedisce di continuare a valutare il
prelievo di materie prime secondo il loro mero valore monetario, senza
preoccuparsi dell’esauribilità delle stesse. Infatti, il procedimento adottato
considera solo spese effettivamente avvenute, mentre per valutare lo stock di
risorse naturali non prodotte si deve necessariamente ricorrere ad
un’imputazione di valore, che risulterebbe più arbitraria di quanto desiderabile
per i nostri scopi.
Le spese difensive in un quadro input-output
Consideriamo un’economia semplificata in cui sono presenti le attività
economiche, l’insieme delle merci (beni e servizi) prodotte, le famiglie, il
settore pubblico, il conto capitale e il resto del mondo (ROW).
La struttura di relazioni che la descrive è rappresentata secondo lo schema
supply-use, ricordando che ogni riga rappresenta una risorsa e ogni colonna un
impiego, come esemplificato attraverso le voci “Produzione” e “Consumo
intermedio”:
4
Tabella 1: tavola supply-use semplificata
Imprese
Imprese
Merci
Merci
Produzione
Pubblico
Famiglie
Investimento
ROW
Totale
Consumo
intermedio
Pubblico
Famiglie
Risparmio
ROW
Totale
Aggiungiamo adesso la merce servizi ambientali (AMB) accanto ai beni e
servizi (BS), ed evidenziamo le transazioni in cui è coinvolta:
Tabella 2: tavola supply-use con servizi ambientali
Imprese
Imprese
Merci BS
AMB
Pubblico
Famiglie
Risparmio
ROW
Totale
Merci
BS AMB
Y
CI
Pubblico
Famiglie
Investimento
ROW
CI
DF
DF
DF
Totale
Y
Le celle situate sulla riga AMB rappresentano la domanda dei servizi
ambientali in senso economico e funzionale, distinguendo cioè tra soggetti che
utilizzano questa merce quale input intermedio (CI) e bene di consumo finale
(DF); inoltre si distingue tra spesa corrente e in conto capitale (Investimento).
Le celle sottostanti la colonna AMB rappresentano invece l’offerta dei servizi
ambientali, attribuita alle attività produttive ed al settore pubblico.
A questo primo livello di analisi, si riscontrano alcune differenze
sostanziali rispetto al metodo convenzionale di valutazione della produzione:
in primo luogo, seguendo la tassonomia proposta da Eurostat4 (SERIEE, conto
satellite EPEA), vi è uno slittamento di poste contabili anche considerevoli dal
valore aggiunto al consumo intermedio. Ragionando in termini consueti, tale
spostamento può risultare elevato in quanto ogni unità monetaria che si muove
in questa direzione provoca una contrazione di valore doppio nel PIL: un euro
impiegato nelle spese difensive va sottratto dal computo del valore aggiunto e
4
http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/environmental_accounts/documents/KS-RA-07012-EN.pdf, consultato il 30/07/2011
5
si somma al consumo intermedio, che come sappiamo è una componente da
detrarre dal valore totale della produzione per ottenere il PIL.
In secondo luogo, il settore pubblico si inserisce a pieno titolo nella
struttura di interdipendenze che caratterizza l’economia, risultando fornitore di
un bene non più generico e autoreferenziale come era il caso dei servizi
pubblici – pratica invalsa da tempo nelle tabelle di contabilità nazionale –
bensì di un input necessario alla produzione.
Rimane aperta la questione della domanda finale, legata a quella del
finanziamento delle spese difensive ambientali: per non rischiare eccessiva
arbitrarietà nell’attribuire alle famiglie parte del valore delle spese difensive, si
potrebbe semplicemente imporre una condizione di equilibrio generale,
secondo la quale la parte della fiscalità prelevata come contributo allo
smaltimento dei rifiuti e attività consimili rappresenta la domanda privata
finale per questi servizi. La procedura così descritta presenta meno
discrezionalità rispetto alle alternative disponibili, tuttavia difetta di realismo:
esiste infatti una gamma di spese non classificate come difensive, ma che sono
effettivamente sostenute dalle famiglie in vista di una mitigazione del degrado
ambientale. Si ritiene più opportuno però rimandare quest’aspetto della
contabilità nazionale all’annosa questione dei beni durevoli, che non trovano
accoglienza nei conti attuali, perché la famiglia è definita come un’unità
funzionale al consumo, e dunque non investe né produce5.
L’aspetto materiale dell’attività economica
La seconda modalità di analisi consiste nell’esprimere i flussi intercorrenti
tra i diversi soggetti economici in altrettanti flussi fisici. Ogni sistema
economico, indipendentemente dal suo stadio di sviluppo, fa uso di risorse non
prodotte e genera residui, grandezze che possono essere espresse in termini di
massa o in unità energetiche: la seconda opzione è molto più complessa da
implementare in un sistema di conti, mentre per la prima esistono già modalità
5
Un’eccezione è rappresentata dall’investimento immobiliare, che genera il flusso di reddito
denominato “affitti imputati”, vale a dire il costo che le famiglie avrebbero sostenuto se l’abitazione
non fosse stata di proprietà.
6
di registrazione e di presentazione ben definite, che ne rendono agevole
l’esposizione nel presente lavoro.
Contrariamente al caso delle spese difensive, la presentazione dei flussi
materiali affianca la valutazione monetaria delle transazioni economiche,
costituendo quindi parte di un modello duale di rappresentazione matriciale.
Si tratta sempre di aggiungere righe e colonne alla supply-use matrix, ma in
maniera asimmetrica: questo perché le risorse non prodotte sono soltanto
utilizzate (per definizione) dalle attività economiche e dalle famiglie, oltre ad
essere esportate o accumulate, mentre i residui sono risultati dell’attività
economica che possono essere destinati ad usi finali (cioè stoccati, smaltiti o
esportati) oppure ad usi intermedi (riciclati e/o reimmessi nel processo
produttivo).
Il fatto che tali conti aggiuntivi non siano espressi in moneta permette di
non alterare il modulo delle relazioni economiche.
Tabella 3: tavola supply-use con risorse non prodotte e residui
Imprese
Imprese
Merci
Pubblico
Famiglie
Risparmio
ROW
Totale
Risorse
non
prodotte
Residui
Merci
Pubblico
Famiglie
Investimento
ROW
Totale
Residui
Y
Y
Y
Y
CI
CI
CI
CI
DF
DF
DF
DF
DF
Ovviamente, la voce Investimento relativa ai residui sta a rappresentare la
loro destinazione, e non considera certo la loro accumulazione in maniera
analoga alla formazione di capitale fisico.
La modalità di registrazione di queste voci contabili vanta una tradizione
ormai consolidata, perlomeno a livello di intera economia, più recenti sono
invece gli sviluppi che hanno portato alla dimensione multisettoriale: il
sistema NAMEA6, elaborato dalle Nazioni Unite e gradualmente uniformato
su scala internazionale, permette un’analisi approfondita dell’utilizzo delle
6
http://unstats.un.org/unsd/envAccounting/seea2003.pdf, consultato il 30/07/2011
7
risorse dal lato degli input e della generazione di emissioni da quello
dell’output, così come dei loro legami con il risultato dell’attività produttiva. È
possibile cioè stabilire una relazione diretta tra generazione di valore
economico, consumo di materie prime e produzione di residui per ciascun
settore, e dunque di valutare se e quanto la crescita economica si accompagni a
pressioni sull’ambiente naturale, che svolge una duplice funzione, stock di
risorse e deposito di scarti.
Tuttavia, l’elevato grado di dematerializzazione di molte economie
terziarizzate potrebbe condurre alla conclusione che le nazioni più avanzate
presentino un minore grado di sfruttamento dell’ambiente per unità di valore
aggiunto; si può ovviare a questa evidente incongruenza attraverso la
costruzione di uno schema input-output energetico, perché ogni attività non fa
uso soltanto di materia, ma anche e soprattutto di energia, al fine di
trasformarla in beni e servizi dotati di valore economico. Le transazioni
sarebbero così espresse in termini di energia utilizzata e dissipata, e si
perverrebbe ad una nuova misura dell’attività economica, la quale farebbe
risaltare il diverso impatto delle tecnologie a disposizione. I sistemi economici
si confronterebbero attraverso gli impieghi energetici per unità di prodotto, ma
questa doppia unità di misura presenterebbe più complicazioni del bilancio
materiale di tipo NAMEA, per motivi che analizzeremo di seguito.
Confronto tra i diversi metodi
Il metodo delle spese difensive ha il grande vantaggio di permettere una
valutazione immediata delle risorse destinate al mantenimento dell’ambiente e
mostra come una crescita significativa del livello di produzione sia sempre
collegata con un aumento delle risorse spese in senso conservativo.
Il progresso tecnico ha certamente ridotto il consumo di risorse per unità di
prodotto, tanto in termini quantitativi quanto monetari, ma è innegabile come
l’industrializzazione e la meccanizzazione, che ne è il riflesso principale,
abbiano al contrario accresciuto il livello di consumo: in breve, un aumento
assoluto nell’uso di risorse si è accompagnato ad una sua diminuzione relativa.
8
Un’altra buona ragione per limitarsi a monetizzare soltanto quanto
effettivamente speso nasce dalla considerazione che l’ambiente è un fondo di
risorse cui attingere per svolgere attività economica, fondo che ha alcune
caratteristiche peculiari:
-
la sua ricostituzione avviene completamente solo in rari casi, e a costi
molto elevati (si pensi alle depurazione dell’aria e dell’acqua e al
ripristino delle proprietà del terreno);
-
anche qualora la ricostituzione fosse completa, spesso la tecnologia non
può accelerarne il processo: per la maggior parte delle risorse, la
rapidità con cui viene effettuato il prelievo è migliaia di volte superiore
ai tempi biologici di riproduzione (combustibili fossili, metalli e altre
materie di estrazione);
-
i prezzi di mercato, risultanti da domanda ed offerta, non sono un buon
segnale della quantità di risorse disponibili o utilizzabili, perché per
alcune non esiste nemmeno un mercato in senso stretto, per altre le
schede di domanda ed offerta si limitano ai consumi presenti e non
tengono in alcun conto le quantità future, che dipendono in maniera
cruciale dalle quantità “scambiate” attualmente (un tasso di sconto
intertemporale che esprima la preferenza tra il consumo presente e
quello futuro non ha senso, in quanto il periodo su cui scontare i flussi
di reddito o di utilità è troppo lungo);
-
il consumo di risorse naturali è in qualche misura incomprimibile, e la
sostituzione tra esse e il capitale fisico o il lavoro è possibile solo in
maniera molto limitata e soltanto in termini di valore, non certo in
termini materiali. Affermare il contrario sarebbe come sostenere che si
possono produrre più pizze con la stessa quantità di ingredienti,
aumentando la dimensione del forno e il numero dei pizzaioli.
Tutte queste difficoltà di valutazione delle risorse naturali portano a
concludere che la moneta non è una misura coerente e affidabile, e quindi
invitano a farne un utilizzo parco e limitato.
Discorso diverso per quanto riguarda la presentazione simultanea dei flussi
materiali
ed
economici,
propria
del
modello
NAMEA.
Questa
9
rappresentazione non altera l’analisi economica né quella fisico-biologica, ma
mette direttamente a confronto la crescita del prodotto con la crescita di input
naturali e output di scarto: la misurazione di questi ultimi può anche essere
confrontata con le spese difensive, delle quali sono causa primaria.
Infine, è doverosa una critica all’approccio meramente energetico, che non
presenta solo evidenti difficoltà di raccolta dei dati necessari, la complicazione
principale risiedendo piuttosto nella corretta attribuzione dei flussi: qual è il
grado di arbitrarietà insito nella suddivisione tra consumo intermedio e
domanda finale, o tra soggetti residenti ed esteri?
L’attività economica si concretizza infatti in beni e servizi, per ottenere i
quali viene domandata ed utilizzata una determinata quantità di energia; questa
ha un valore monetario espresso dalle transazioni tra il settore fornitore e tutti
gli altri agenti. Dal momento che questi scambi monetari riguardano dei
prodotti, ciò che realmente si perviene a misurare sarebbe l’energia
incorporata in essi.
La valutazione energetica delle transazioni economiche non può affiancarsi
agevolmente
alla
dimensione
economica,
costituendone
piuttosto
un’alternativa. Ci troveremmo in un modello dove i prezzi monetari sarebbero
sostituiti completamente dai coefficienti energetici, non saremmo più
nell’ambito dell’analisi economica, ma entreremmo nel campo biologico,
fisico e chimico. Il ruolo svolto dai soggetti economici sarebbe puramente
tecnico, esaurendosi nella produzione e nella scelta delle tecnologie atte alla
trasformazione della materia per mezzo dell’energia libera utilizzabile. Gran
parte degli strumenti di analisi economica, quali i concetti di mercato,
domanda, offerta e prezzi verrebbero tout court estromessi dal campo di
indagine, così come le relazioni tra agenti: una siffatta visione del mondo si
presterebbe a critiche di riduzionismo ancora più radicali di quanto non lo
siano quelle rivolte alla scienza economica dominante, secondo le quali il
denaro e l’utilità soggettiva costituiscono un feticcio, un ostacolo sulla strada
di una maggiore conoscenza della realtà e dell’attività umana in generale.
10
Excursus storico
Ripercorrendo la storia del pensiero economico, l’economia è stata
contemporaneamente trattata come disciplina morale, storica e sociale, e come
scienza quantitativa della ricchezza. Tale ambivalenza epistemologica è
riscontrabile tanto nella moderna distinzione tra economia normativa e
positiva quanto nell’adozione di metodi riconducibili alla fisica uniti ad una
teoria completamente soggettiva del valore: quest’ultimo esempio si riferisce
in particolare al periodo di sviluppo dell’economia come disciplina autonoma,
durante il quale il valore – l’oggetto di studio dell’economia – è definito
secondo
un
criterio
idealista
(cartesiano
o
kantiano)
mentre
la
rappresentazione dell’economia come flusso circolare di merci, fattori e
moneta viene mutuata dalle scienze sperimentali, particolarmente dalla fisica.
Con il contributo del metodo assiomatico, l’economia ha consolidato la sua
visione “pre-analitica” senza possedere il carattere sperimentale della fisica e
procedendo ad una serie di astrazioni sul comportamento umano.
In questo contesto, se l’uomo è la fonte del valore, la natura e le sue risorse
sono considerate solo in quanto richieste e sfruttate da uno o più individui, che
a vario titolo ne dispongono: la teoria della rendita è stata per lungo tempo
l’unico riferimento alle risorse naturali, fattore limitato ma sostanzialmente
improduttivo, se considerato isolatamente.
Inoltre, lo strumento del flusso circolare chiuso di merci e moneta implica
una reversibilità dei processi che non è dato riscontrare nell’attività economica
osservabile.
Entrambe queste rappresentazioni stabiliscono un livello di astrazione tale
che i progressi di discipline quali la biologia, la fisica e la chimica non sono
stati tenuti in considerazione, aumentando il rischio di incorrere in quella che
A.N.Whitehead definiva la fallacia della concretezza mal posta, vale a dire
confondere il modello con l’entità concreta che deve descrivere.
Nonostante queste difficoltà, che hanno reso spesso sporadica e
approssimativa la trattazione delle risorse naturali, è utile evidenziare come il
tema sia ad ogni modo presente nella storia del pensiero economico.
11
Petty è con ogni probabilità il primo autore a mettere in risalto che la
natura genera valore: la terra (land) è la “madre” del valore, mentre il lavoro
ne è il “padre”, essendo entrambi fattori non prodotti7. Non è agevole
esprimere entrambi nella stessa unità di misura, data la loro eterogeneità,
infatti la proposta di utilizzare la sussistenza in termini di cibo lascia molto a
desiderare8.
Cantillon, un secolo dopo, ribadirà la duplice origine del valore – terra e
lavoro – ma proverà ad adottare la terra come unica unità di misura,
equiparando dapprima la quantità di lavoro al salario corrisposto, e
convertendo quest’ultimo in termini di terra impiegata per produrlo.
Insoddisfatto del risultato, concluderà che per spiegare la questione del valore
è molto più semplice ricorrere alla contrattazione tra domanda ed offerta, e
cessare di cercare il valore intrinseco.
Nello stesso periodo la scuola fisiocratica approfondisce ed elabora l’idea
che la terra sia all’origine del valore: Mirabeau definisce la fisiocrazia –
letteralmente “governo della natura” – come “scienza delle sussistenze”,
considerando la ricchezza in senso materiale.
È con il Tableau di Quesnay che la terra diventa l’unica fonte del valore, e
l’agricoltura, di conseguenza, l’unico settore produttivo, gli altri limitandosi a
trasformare il prodotto della terra, chiamato “prodotto netto”, che serve ad
alimentare le altre attività, oltre a ricostituire quanto impiegato nel processo,
ossia spese per il mantenimento del terreno (avances foncières), per il capitale
fisso (avances primitives) e correnti (avances annuelles). L’innovazione di
Quesnay consiste nel rappresentare l’economia come un sistema e la ricchezza
come un flusso circolare, sulla scorta delle conoscenze mediche possedute: la
circolazione del sangue nel corpo umano è analoga alla circolazione della
ricchezza nel “corpo sociale”. Si può affermare che il Tableau sia il primo
modello economico, caratterizzato da interdipendenze tra classi sociali definite
in senso funzionale, per il quale si evidenziano le condizioni di stabilità, o per
dirla in termini marxiani, di riproduzione semplice.
7
8
A Treatise of Taxes and Contributions, 1662
Political Anatomy of Ireland, 1672, pubblicato postumo nel 1691
12
La critica dei contemporanei di Quesnay avrà gioco facile nel demolire le
tesi che la terra sia l’unica origine del valore, e che le classi artigiane siano
improduttive, poiché sarà l’industrializzazione stessa a contraddirle. L’idea
che la produttività della terra determini il sovrappiù non viene però intaccata, e
si ritrova tanto nel Saggio sulla popolazione di Malthus quanto nei Principles
di Ricardo, in quella che è la teoria della rendita fondiaria: la terra è in quantità
finita e si presenta con diversi gradi di fertilità, dunque all’aumentare del
bisogno di sussistenze si metteranno a coltura terre sempre meno produttive.
L’esito di questo processo sarà per Malthus la stabilizzazione demografica,
per Ricardo l’erosione del saggio di profitto. La produzione non agricola può
in via teorica crescere indefinitamente, ma troverà un ostacolo insuperabile
nella finitezza dell’ambiente.
Il destino dell’uomo sembra essere dunque lo stato stazionario, per evitare
il quale Ricardo suggerisce l’apertura commerciale verso l’estero, Malthus
conclude invece che una tale situazione si accompagnerebbe ad una crescente
miseria; al contrario, alcuni anni dopo J.S. Mill vedrà nella staticità un “lieto
fine”: quand’anche popolazione e capitale accumulato cessino di crescere, una
migliore distribuzione del prodotto esistente sarebbe più che sufficiente per
garantire comunque una crescita dello sviluppo umano, riferendosi con ciò alle
arti, alle opere dell’ingegno, al godimento dell’ozio e della natura. Lo stato
stazionario è in qualche misura inevitabile, quindi meglio adeguarvisi
volontariamente piuttosto che costretti dalla necessità.
I nuovi metodi produttivi industriali che si affermano durante il XIX secolo
pongono diversi problemi, riguardanti molteplici discipline. L’economia si
preoccupa soprattutto di stabilire le condizioni di allocazione del capitale
fisico e misurarne il contributo alla produzione. L’affermarsi di nuove teorie
economiche, nelle quali si ipotizza la soggettività del valore e si definisce
l’equilibrio generale, non oscura le problematiche manifestatesi in quel
periodo, relative alle risorse naturali.
Jevons, il padre del marginalismo inglese, ritiene che il carbone svolga la
medesima funzione che la terra svolge nel pensiero ricardiano e matlhusiano,
che sia cioè il fattore limitante. L’autore affronta questo problema senza il
13
supporto dell’analisi marginale, ricorrendo principalmente alla statistica e
prevedendo a breve il raggiungimento di un picco estrattivo, in prossimità del
quale inizierà la scarsità a causa di domanda e costi crescenti. Essendo il
carbone una risorsa esistente in quantità limitata, il prelievo crescente porrà
presto dei limiti alla crescita e segnerà il declino della potenza economica
inglese. Le proiezioni a lunghissimo termine risulteranno però lontane dalla
realtà, in quanto Jevons svolge la sua analisi escludendo che in futuro vi
possano essere altre materie prime in grado di sostituire il carbone come
principale fonte di energia, mentre ammette che vi siano opportunità di
sfruttare l’idrogeno e le “energie rinnovabili”, per usare l’espressione odierna.
Nella stessa opera è contenuta anche l’enunciazione del paradosso di
Jevons, secondo il quale un aumento dell’efficienza energetica e tecnica
provoca una crescita del consumo di risorse, non una riduzione. In termini
moderni, equivale ad affermare che il saggio di crescita è maggiore del saggio
di progresso tecnico o – che è lo stesso – del saggio al quale diminuisce
l’utilizzo di input per unità di prodotto.
Un tema che emerge con forza negli stessi anni è proprio quello energetico,
sulla spinta della termodinamica, branca della fisica che si viene sviluppando
dopo l’introduzione delle macchine termiche nei processi di trasformazione.
Le sue leggi stabiliscono tra l’altro che la quantità di energia in un sistema
chiuso è costante e che qualunque sua trasformazione comporta una
dissipazione.
Tra le diverse ma equivalenti formulazioni, la più rilevante per la presente
trattazione stabilisce che è impossibile trasformare tutto il calore in lavoro,
quindi una macchina termica il cui rendimento sia il 100% è impossibile da
realizzare, anche in via teorica. Il concetto di entropia entra nel linguaggio
scientifico, ma gli economisti non se ne curano, sebbene ricorrano a postulati
ed analogie derivanti dalla fisica e nonostante la scarsità di risorse sia alla base
della definizione di economia che essi stessi adottano.
Due esempi di questo disinteresse sono collegati ai nomi di Sergej
Podolinskij e Patrick Geddes: il primo instaura una breve corrispondenza con
Marx ed Engels, il secondo con Walras.
14
Podolinskij è un socialista ucraino che formula una teoria del valoreenergia, secondo la quale “nulla può essere creato dal lavoro e […], di
conseguenza, l’utilità del lavoro, il suo scopo, non può essere che la
trasformazione di certe quantità di forze”; l’energia è dunque la misura
dell’attività economica e la categoria marxiana del pluslavoro viene convertita
– per così dire – in “plusenergia”: “il lavoro umano accumula nei suoi prodotti
una quantità di energia maggiore di quella che è stata spesa per produrre la
forza lavoro dei lavoratori”. Il processo attraverso il quale il lavoro umano
riesce ad accumulare energia trova dei limiti insormontabili nella finitezza
dell’energia disponibile nell’universo e della dissipazione progressiva di tale
quantità, riassunte nei due principi di Clausius: l’energia dell’universo è
costante, l’entropia dell’universo tende ad un massimo. L’autore esplicita
inoltre la distinzione tra stock e flusso di energia, evidenziandone la comune
origine dall’energia solare: lo stock di energia convertibile dipende cioè
dall’accumulazione di energia solare passata, mentre il flusso è per definizione
la quantità di energia solare irradiata direttamente sulla terra.
Diversamente da Jevons, Podolinskij ritiene che “il pericolo che un giorno
vengano a mancare sulla superficie terrestre forze convertibili è ancora molto
remoto; al tempo stesso, osservando la cosa più da vicino, constatiamo che la
distribuzione di queste forze non è sempre la più vantaggiosa per le esigenze
del mondo organico in generale e per quelle del genere umano in particolare.
Crediamo però che l’umanità abbia, fino ad un certo punto, il potere di
modificare questa distribuzione dell’energia totale, così da accrescerne la
frazione disponibile per gli uomini”. Quindi è la distribuzione dell’energia ciò
che interessa realmente all’autore, analogamente all’approccio marxista della
distribuzione del reddito. A questo proposito, egli ritiene, in singolare analogia
con i fisiocratici, che l’agricoltura sia l’unico settore realmente produttivo,
essendo in grado di trattenere gran parte del flusso energetico solare sulla
superficie terrestre. Tale affermazione non è apodittica, ma risulta da una
complessa stima dell’energia effettivamente irradiata da un lato, e dell’energia
necessaria alla soddisfazione dei bisogni fondamentali dall’altro.
15
Tuttavia “invece di accrescere l’accumulazione di energia sulla Terra, oggi
le macchine spesso accrescono l’inutile dissipazione delle forze di lavoro
disponibili in quanto, a seguito della sovrapproduzione, espellono dalla stessa
produzione una parte dei proletari. È invece necessario che ad ogni
perfezionamento meccanico o di altro tipo faccia seguito immediatamente una
riduzione generale dell’orario di lavoro che offra agli operai tempo libero per
una nuova produzione e la formazione intellettuale, artistica ecc. Un livello
superiore e una distribuzione più equa della quantità e della qualità dei beni
alimentari comporterebbero inevitabilmente un accrescimento della forza
muscolare e nervosa dell’umanità. Ne seguirebbe un ulteriore aumento della
produzione e una maggiore accumulazione di energia sulla superficie del
globo”. Dalla quantità di energia che si riesce a non disperdere dipende
dunque la capacità demografica del nostro pianeta, e dalla sua distribuzione
dipende la qualità della vita della popolazione.
Il modo di produzione capitalistico fa sì che “una statistica accurata e
scrupolosa, i cui dati non siano nascosti o falsificati, sarebbe il mezzo naturale
per evitare il lavoro superfluo che viene sprecato dall’attuale anarchia”. È su
questo terreno che Podolinskij vorrebbe confrontarsi con Marx, tentativo
vanificato dalla stroncatura che Engels riserva alla teoria del valore-energia:
nel suo lavoro il pensatore ucraino avrebbe soltanto ribadito che il surplus
agricolo è condizione essenziale allo sviluppo industriale, mentre il calcolo
della produttività del lavoro umano basato sulla trasformazione del flusso
attuale di energia non terrebbe conto della quantità di energia accumulata nel
passato, di cui le attività estrattive sono l’espressione corrente.
Leggendo oggi l’articolo di Podolinskij, tale bocciatura sembra piuttosto
frettolosa, sebbene non fosse lecito attendersi molto di più, in quanto Marx
morirà due anni dopo il primo contatto epistolare con l’ucraino. Certamente
Podolinskij conosceva gli schemi di riproduzione marxiani, tanto da riproporli
in chiave energetica, tuttavia vi sono altri passaggi delle opere di Marx in cui
si fa riferimento ai temi sollevati in questa sede.
Il primo riferimento alle risorse naturali è contenuto nei Manoscritti
Economico-Filosofici (1844), in cui la natura è sia “un mezzo immediato di
16
sussistenza, sia la materia, l'oggetto e lo strumento della sua attività vitale”,
legando l’estraniamento del lavoro all’allontanamento dalla natura stessa.
Nel primo libro de Il Capitale, si ribadisce questo concetto, aggiungendo
che “con l’eccedenza sempre più notevole della popolazione di città
agglomerata in grandi centri, la produzione capitalistica […] si intromette nel
ricambio materiale tra uomo e terra, cioè nel ritorno a quest’ultima dei suoi
elementi costitutivi che l’uomo ha consumato sotto forma di mezzi di
nutrizione e di abbigliamento, sconvolgendo con questo l’imperitura
condizione naturale di una costante fertilità della terra. […] Così ogni
progresso compiuto dall’agricoltura capitalistica equivale a un progresso non
solo nell’arte di derubare l’operaio, ma anche in quella di spogliare la terra,
ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale
a un progresso nella distruzione delle costanti sorgenti di tale fertilità.” Di tale
consapevolezza Marx da credito a Liebig, individuando infine negli Stati Uniti
di metà 1800 il perfetto esempio del legame esistente tra centralità della
grande industria e devastazione ambientale, i costi della quale ricadono in
misura predominante sulle classi lavoratrici.
Nel terzo libro troviamo altre riflessioni, tanto sulle fasi a monte, quanto a
valle del processo produttivo: per quanto riguarda la questione delle materie
prime, i cui prezzi influenzano quelli delle merci direttamente e/o
indirettamente, tramite le macchine che contribuiscono a produrli, e quindi il
saggio di profitto, “donde si vede tra l’altro quale importanza abbia per i paesi
industriali il basso prezzo della materia prima, [… perché] il valore delle
materie prime ed ausiliarie si trasmette del tutto ed in un sol colpo nel valore
del prodotto per il quale esse vennero utilizzate”. Considerazione molto
importante è che, anche in assenza di variazioni nei salari e nelle condizioni di
domanda ed offerta del prodotto, detta influenza sul profitto sussiste,
connotandosi come rendita assoluta, la quale si manifesta sotto due condizioni:
una bassa composizione organica del capitale e la separazione tra proprietari e
17
capitalisti9. Marx reputa che tale rendita sia massima nella proprietà terriera
che ingloba risorse idriche, forestali, minerarie.
Relativamente ai residui del processo produttivo, Marx mostra un
atteggiamento ambivalente: si è già visto come i problemi legati all’esistenza
di residui gravino quasi totalmente sui lavoratori, ed è vero che “le spese10
dovute agli scarti mutano in ragione diretta delle fluttuazioni del prezzo della
materia prima”, tuttavia “con il modo di produzione capitalistico aumentano le
possibilità di utilizzare i residui della produzione e del consumo”, derivanti da
alcune peculiarità del sistema industriale, quali “presenza dei residui in grande
quantità, […] perfezionamento del macchinario, […] progresso della scienza”.
Su questo versante scriverà più diffusamente Engels (Antidühring, 1878),
il quale enuncia chiaramente la pesante eredità dello sviluppo industriale che
non armonizza la crescita delle città con le peculiarità delle aree rurali, in
termini – diremmo oggi – di “spese difensive”11.
In sintesi Marx, pur avendo affermato che “la natura è la fonte dei valori
d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva !)” (Critica del Programma di
Gotha, 1875), non ha inserito conseguentemente le risorse naturali nei suoi
schemi di riproduzione, ma a giudicare dai frammenti che compaiono nel libro
terzo, sembra che il tema non potesse essere facilmente eluso.
Negli stessi anni anche un biologo scozzese, Patrick Geddes, definisce la
società come una molteplicità di esseri viventi in un determinato spaziotempo, i quali modificano la natura attraverso l’uso combinato di materia ed
energia, allo scopo di supportare le proprie funzioni biologiche. Materia che si
presenta in sostanze animali, vegetali e minerali, mentre l’energia viene
distinta in chimica, tecnica (interna alla terra), rotativa (cinetica) e solare, che
è sì attiva ma latente. Geddes considera il prelievo, l’utilizzo, e soprattutto la
dissipazione di materia ed energia, la quale ha luogo durante tutte le fasi dei
9
Si ricordi che la rendita differenziale non influisce sui prezzi dei prodotti, in quanto mera
redistribuzione di plusvalore
10
“Spese” nel senso di “Maggiori costi per il capitalista”
11
“Solo con la fusione fra città e campagna può essere eliminato l'attuale avvelenamento di acqua,
aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in una
condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie. La civiltà ci ha
senza dubbio lasciato nelle grandi città un'eredità la cui eliminazione costerà molto tempo e molta
fatica.”
18
processi di trasformazione innescati dall’uomo: estrazione di risorse naturali,
sfruttamento, manifattura, trasporto, scambio, consumo finale e remedial
effort, ossia le risorse impiegate per il contenimento dei danni. Gli agenti che
provocano la dissipazione possono essere fisici (eventi naturali), biologici
(dovuti ad organismi viventi) o sociali, come ad esempio la guerra e il crimine.
Geddes non crede che la classificazione statistica contenga elementi di
novità, tuttavia essa costituisce uno strumento adattabile e capace di
rappresentare correttamente ogni elemento della società, al limite anche
l’individuo. La terra che fornisce materia ed energia, la manifattura e il
commercio che le trasformano sono in continuità con l’opera di Quesnay, che
Geddes definisce “the leader of economic Reinassance”: le “scienze
preliminari” (biologia, fisica, chimica) e la classificazione statistica
contribuiscono a fare dell’economia una scienza perfettamente integrata nel
complesso epistemologico, e non più un ambito isolato.
Due anni dopo questa pubblicazione, Geddes intraprende un infruttuoso
carteggio con Walras, prima di pubblicare An Analysis of the Principles of
Economics, nel 1884.
In questo lavoro i produttori vengono definiti automata che acquisiscono
materia ed energia, mentre i consumatori le utilizzano. Il processo produttivo
viene semplificato in tre fasi, estrazione, manifattura e scambio (trasporto e
commercio): in breve, prima che inizi il processo si ha potential product,
materia ed energia utilizzate nelle varie fasi sono il mediate product, e
l’ultimate product è ciò che rimane dopo la trasformazione e la dissipazione
avvenute in ciascuna delle tre fasi. Il surplus è dato dalla differenza tra
prodotto finale e input (usati più dissipati), ed è ulteriormente suddiviso in uso
permanente e transitorio: solo quest’ultimo dovrebbe essere propriamente
denominato “consumption”, ed è composto da tutto ciò che si esaurisce con
l’utilizzo (cibo, vestiario ecc.), mentre ciò che permane costituisce uno stock,
sottoposto comunque a dissipazione e perdita di valore, ma più gradualmente.
Ne consegue che massimizzare il consumo equivale a minimizzare il
“permanent product”, e dunque a dissipare più velocemente materia ed
energia.
19
La rappresentazione di questo processo è condensata nella tabella seguente,
ed è una sorprendente anticipazione di un quadro input-output con saldi
sequenziali: nella parte superiore della tabella, ogni stadio usa materia ed
energia nelle quantità delineate dall’area bianca più in alto, ne dissipa un’altra
parte (quella scura) e cede il restante alla fase successiva, processo che si
ripete fino al consumo, dove si esaurisce il prodotto finale suddividendolo in
transitorio e permanente.
Nella parte inferiore all’intestazione dei conti troviamo invece dettagli
circa la produzione e il consumo in termini di valore economico.
Figura 1: Matrice di Geddes
Mentre il problema energetico è abbastanza ben delineato, e consiste in
“(1) stimare la quantità totale di energia immagazzinata a nostra disposizione;
(2) la quantità lorda e netta utilizzata per unità di tempo; (3) i dettagli del suo
utilizzo e della sua dissipazione”, il surplus totale e il suo impiego non
possono essere comprensibili con un bilancio materiale ed energetico: Geddes
afferma che, sebbene i bisogni fondamentali possano essere simili per tutti gli
esseri umani, tuttavia il valore economico ed il consumo dipendono
crucialmente da considerazioni estetiche, psicologiche e sociali. Ben conscio
di ciò, l’autore ritiene l’approccio material-energetico una critica delle
contemporanee teorie del valore, e non un paradigma alternativo. Le questioni
distributive, collettive ed individuali, possono essere risolte dalla scienza
economica solo se questa si accompagna ad altre scienze e ne interiorizza il
contributo.
20
La questione delle basi materiali ed energetiche su cui si innesta l’attività
economica viene ripresa nei primi decenni del 1900 da Frederick Soddy,
premio Nobel per la chimica nel 1919, il quale, in due lezioni tenute ad
Oxford, partendo dal presupposto che l’unica fonte di energia rinnovabile
capace di garantire un flusso nel tempo è il sole, mentre il capitale e le materie
prime utilizzate sono fondi, cioè flussi energetici accumulati in passato,
suddivide gli input energetici a seconda del loro utilizzo in processi metabolici
(life-use) o in processi lavorativi (labour-use), e conclude che, mentre l’uso
vitale dell’energia non differisce molto da individuo a individuo e nel corso
del tempo, il suo utilizzo nei processi produttivi è grandemente variato,
aumentando
notevolmente
a
partire
dalla
meccanizzazione
e
dall’industrializzazione. Ora, l’energia contenuta nelle merci prodotte si va
decumulando, e se queste merci sono beni-capitali un flusso di energia
supplementare dovrà essere impiegato per il loro mantenimento in efficienza.
Dato che la disponibilità di fondi è limitata, ne consegue che l’aumento di
ricchezza derivante dall’intensificazione della produzione si è reso possibile
soltanto tramite il prelievo di quanto accumulato nei secoli sotto forma di
energia latente. La ricchezza reale è per Soddy derivante soltanto dal sole e
dalla fotosintesi, perché rinnovata continuamente nel tempo (flusso), e non
può quindi essere “risparmiata”, nel senso che gli economisti danno a questa
parola. Allo stesso modo, non è pensabile che un sistema economico possa
crescere indefinitamente, essendo sottoposto ai vincoli energetici di cui si è
detto: da questa considerazione deriva la critica all’interesse composto e al
debito, che sono “irragionevoli convenzioni sociali”.
Sebbene praticamente sconosciuto come economista, Soddy dovrebbe
essere ricordato proprio per due concetti che verranno proficuamente ripresi
nella seconda metà del Novecento: la critica della crescita e la distinzione tra
flussi e fondi.
Mentre Podolinskij, Geddes e Soddy descrivono principalmente le
condizioni tecniche e fisiche grazie alle quali i sistemi economici utilizzano e
trasformano risorse naturali, Pigou inaugura una tradizione che si rivelerà
21
dominante per quasi tutto il XX secolo: valutare col metro monetario tanto gli
input non prodotti quanto le conseguenze dell’agire economico.
Nel 1920 viene pubblicato Economics of Welfare, testo in cui, sebbene
venga preso a riferimento per quella che in letteratura sarà poi conosciuta col
nome di “imposta pigouviana”, si trova la definizione di prodotto netto sociale
marginale e la sua comparazione col prodotto netto privato marginale: questi
due aggregati possono differire in valore anche notevolmente, in presenza di
beni e servizi di cui possono usufruire (o subirne le conseguenze) più soggetti.
Nella stessa opera vi è anche un riferimento puntuale alle considerazioni extra
economiche di cui si deve tener conto ogniqualvolta si intende ridurre gli
effetti esterni, oltre alla considerazione che molto spesso le misure devono
essere monetarie ed imposte per legge, affinché possano avere qualche
efficacia.
Mentre la teoria economica svilupperà copiosamente queste intuizioni e le
unirà al surplus del consumatore per individuare profili fiscali o compensativi
che riguardano la fase “a valle” del processo produttivo (la produzione di
residui), poco si curerà di un'altra opera di Pigou, The Economics of Stationary
States, in cui l’autore si occupa del ruolo delle risorse naturali come fattori di
produzione, in un’ottica di equilibrio generale e di contabilità del reddito.
Innanzitutto, egli enumera tre gradi di stato stazionario: nel primo, il
sistema industriale nel suo complesso è stazionario, ma i settori rimangono
dinamici; nel secondo, anche i settori sono in movimento, ma le singole
imprese permangono stazionarie; nel terzo, infine, tutti gli agenti economici
sono statici. Subito dopo, Pigou richiama la definizione ricardiana di “terra”,
per
estenderla
al
complesso
delle
risorse
naturali
e
assumerla
quantitativamente limitata: tale finitezza implica rendimenti decrescenti e
quindi l’esistenza di una situazione di equilibrio, verso cui però non è detto
che si converga, e quindi tantomeno che si raggiunga. Tale equivoco – tra
esistenza e raggiungimento dell’equilibrio – può essere evitato facendo ricorso
alla terminologia usata in fisica, e cioè distinguendo tra processi irreversibili e
reversibili: mentre la tesi che oscillazioni intorno all’equilibrio debbano ridursi
col tempo, fino a convergere verso di esso, appartiene all’ultima categoria di
22
processi, l’esistenza di fattori produttivi in stock limitati o comunque
ricostituibili in un grande lasso di tempo sembra appartenere alla classe dei
processi irreversibili.
Pigou passa poi a definire il “real income”, ottenuto detraendo dal prodotto
lordo sia il deprezzamento del capitale, sia delle risorse non prodotte
consumate durante il processo produttivo. Il reddito reale è composto di
materia, la quale esiste in quantità data, dunque “la produzione è, in realtà, un
riarrangiamento della materia, e il consumo un secondo riarrangiamento.”
L’attività economica consiste in successive trasformazioni della materia verso
forme via via meno sfruttabili di essa: seppure tale termine non compaia in
questa opera, la definizione così fornita ha molto in comune col concetto di
entropia.
Veniamo infine ai fattori, dal cui impiego dipende il livello di reddito
reale: essi possono essere suddivisi – come di consueto – in fattore umano,
fattore naturale (gifts of Nature), fattore prodotto (capitale materiale ed
immateriale), ma la loro varietà è più marcata all’interno di questi gruppi,
piuttosto che tra i gruppi; infine, Pigou introduce il concetto di maintenance
price, ossia il costo sostenuto per mantenere invariata la funzionalità dello
stock di un fattore, nelle condizioni in cui si trova. Se ammettiamo che
effettivamente esiste un siffatto prezzo per ogni sub-fattore, questi formeranno
un sistema di interrelazioni, all’interno del quale (e lì solo) è ammissibile
ipotizzare in qualche misura la sostituibilità tra di essi. Pigou tuttavia, quando
fa riferimento alla sostituibilità, non si riferisce mai al fattore naturale, bensì
sempre a capitale e lavoro.
Sebbene ancora nel 1935 un economista “mainstream”, diremmo oggi,
come Pigou si occupi del ruolo e della contabilità delle risorse naturali, e
quindi dei limiti imposti alla produzione ed alla crescita economica, tuttavia a
partire dallo stesso periodo si apre una lunga parentesi nella quale la scienza
economica
“risolve”
tale
questione
attraverso
l’equilibrio
generale
concorrenziale. Le ragioni di questa tendenza si possono ricercare tanto nella
crisi del 1929, la quale sposta l’attenzione sui meccanismi di domanda ed
offerta di merci e moneta, quanto nella situazione europea – e, di riflesso,
23
mondiale – che fa da preludio al secondo conflitto mondiale. Gli economisti si
dedicheranno quindi al supporto delle decisioni produttive volte a sostenere lo
sforzo bellico prima e la ricostruzione “mercatistica” in funzione
anticomunista poi, e collateralmente si occuperanno dei meccanismi monetari
e finanziari in grado di agevolarne la realizzazione.
Per capire meglio quale sia il punto di vista di questa corrente, seguiamo
dapprima Harold Hotelling, che in un articolo del 1931 ammette da un lato che
le risorse assolutamente non rimpiazzabili dovrebbero essere gestite
nell’interesse collettivo, per evitare sprechi e imprevedibilità nelle varie fasi
(scoperta, sfruttamento, immagazzinamento, distribuzione), e dall’altro che le
decisioni pubbliche al riguardo dovrebbero basarsi sul tasso d’interesse di
mercato, dal momento che questo è il risultato di molteplici influenze, anche
meta-economiche, e costituisce perciò un criterio semplice e ragionevole: il
valore sociale di un giacimento è il flusso scontato delle merci producibili
grazie al suo sfruttamento, ed è con questa stima che andrebbe contabilizzato.
L’analisi marginale con elementi di dinamica è poi lo strumento attraverso il
quale si definisce il tasso ottimo di sfruttamento, il prezzo ottimale e l’equità
intergenerazionale.
Se Hotelling si occupa della fase “a monte”, Coase analizza gli effetti “a
valle” del processo produttivo, sempre con il metro del mercato
concorrenziale: comparare situazioni sociali alternative altro non è che
comparare i corrispondenti livelli di prodotto sociale. Inoltre, per Coase
eventuali effetti esterni negativi non sono necessariamente anti-sociali, come
ventilava Pigou. Auspicando che i problemi dell’economia del benessere
“debbano infine dissolversi nello studio dell’estetica e della morale”, Coase
limita il problema economico al valore di mercato della produzione, potendosi
dunque concepire esternalità negative che hanno un risultato netto positivo sul
valore della produzione, e che perciò non andrebbero ostacolate o mitigate.
L’idea di valutare gli effetti negativi (oggi li chiameremmo “spese difensive”)
in senso risarcitorio o collettivo è fallace, secondo Coase, perché poggia su
un’errata definizione di fattore produttivo: questi non sarebbe un’entità
tangibile, bensì “un diritto di compiere certe azioni (in senso fisico)” o di
24
escludere altri dal poterle compiere. In questo modo, “come possiamo usare un
pezzo di terra in modo da impedire a qualcun altro di calpestarlo,
parcheggiarci o costruirci casa, così possiamo usare [il diritto di inquinare
l’aria con fumi, rumori, odori] per negare ad altri la visuale, o un’aria pulita o
la quiete”.
In questi due autori si nota come le considerazioni tecniche, fisiche e
biologiche vengano considerate estranee al campo di analisi e di indagine
economica, che si limita ad analizzare i prezzi, le preferenze e il livello di
produzione. In tal senso, non vi è alcun riguardo per una contabilizzazione
differente da quella che considera le risorse naturali gratuite e fonte di
guadagno per chi le estrae, guadagno che può essere valutato con l’analisi
marginale, in termini di contributo alla produzione e tasso d’interesse; e
dall’altro lato, non vi è la necessità di detrarre dalla ricchezza eventuali effetti
negativi, nemmeno se manifestatisi in forma monetaria: seguendo il
ragionamento di Coase, la spesa per mitigare i danni derivanti dall’esercizio
del diritto ad emettere fumi è parte del prodotto sociale.
Per concludere, va detto che in letteratura le prospettive del Pigou
“benesserista” e del contrattualismo à la Coase non sono ritenute antagoniste,
in quanto quest’ultima sarebbe soltanto la versione micro o meso-economica
dell’imposta (o sussidio) alle esternalità: l’idea di un accordo di tipo giuridicocontrattuale è infatti ritenuta praticabile soltanto in presenza di risorse
condivise da un gruppo delimitato di soggetti, mentre l’aspetto impositivo – e
in qualche misura coercitivo – della ricetta pigouviana meglio si attaglierebbe
a macroesternalità.
Un analogo filone interpretativo riguarda i beni pubblici (commons), la
fornitura da parte dell’autorità e il loro finanziamento. Per illustrare in sintesi
le prospettive prevalenti, si è scelto da un lato il contributo di Samuelson,
dall’altro le fosche analisi di Hardin.
Samuelson intende generalizzare l’equilibrio di Lindahl in presenza di beni
pubblici, per i quali esisterebbe uno pseudo-mercato, e la domanda dei quali
dipende dal sistema dei prezzi e dal reddito disponibile. Secondo Samuelson,
una redistribuzione del reddito condurrebbe ad un equilibrio di first best e
25
market clearing: vale a dire che ciascun consumatore paga esattamente ciò che
è disposto a pagare, mentre l’autorità produce esattamente la quantità di bene
pubblico domandata, e l’utilità marginale del reddito di ogni consumatore è
identica, se ponderata col peso che ciascuno ha nella funzione di benessere
collettivo adottata dal governo. La condizione perché questo equilibrio sia
possibile è che il decisore pubblico sia onnisciente e benevolente, in quanto il
problema del free riding va risolto a monte della decisione di fornitura, non
durante la contrattazione.
Hardin condivide la necessità di un soggetto pubblico che con una
coercizione quanto più possibile condivisa sulla disciplina dei beni pubblici,
ma il focus è sulla popolazione: in società con densità demografiche
relativamente
basse
ha
senso
avere
molti
“commons”,
mentre
la
concentrazione e l’urbanizzazione riducono gli spazi comuni e di conseguenza
le libertà potenziali di cui ciascun individuo può godere, oltre ad aumentare
l’inquinamento. Pertanto, l’autore ne deduce che anche la dimensione della
famiglia non sia un fatto meramente privato, lasciato alla libera
determinazione dei singoli: il laissez-faire non funziona nemmeno in
demografia, perché è impossibile massimizzare contemporaneamente due
variabili, l’energia destinata alla sussistenza e quella utilizzata per il lavoro.
L’aumento della popolazione implica la riduzione di tutte quelle attività non
direttamente
legate
alla
sopravvivenza
fisica;
anche
qualora
l’approvvigionamento energetico divenisse illimitato, rimarrebbe il problema
dell’accresciuta dissipazione e dei costi correlati all’inquinamento.
Nonostante la scienza economica si accontentasse dei meccanismi di
mercato, tendendo ad assiomatizzarli – si pensi all’equilibrio di Arrow-Debreu
– ed universalizzarli, nello stesso tempo iniziavano ad essere evidenti i limiti
dinamici di un modello di concorrenza perfetta, perfetta informazione e
completa razionalità.
Già nel 1960 era comparso Silent Spring, di Rachel Carson, che oggi viene
considerato la pietra miliare dell’ambientalismo. L’imponente crescita
economica verificatasi nell’immediato dopoguerra, unita all’affacciarsi di
26
paesi recentemente diventati indipendenti, sposta gradualmente l’attenzione
verso la reale possibilità di una crescita illimitata e dei costi che essa avrebbe.
L’analisi di queste tematiche è grandemente facilitata dal consolidamento
del modello input-output, ideato e descritto da Wassily Leontief quasi
trent’anni prima: la duttilità di questo schema interpretativo consente tanto un
approccio analitico quanto statistico alla questione delle risorse energetiche e
materiali da un lato, e della produzione di residui dall’altro.
Nel 1966 Kenneth Boulding pubblica The Economics of the Coming
Spaceship Earth, nel quale traccia la differenza tra un sistema chiuso ed uno
aperto. Quest’ultimo è definito ”economia del cowboy”, dotata di enormi
risorse non sfruttate, dove il consumo e la produzione sono comunque positivi,
mentre il primo, detto “economia della navicella”, possiede limitate capacità di
rigenerare le risorse necessarie, e quindi ciò che conta è mantenere quanto più
possibile inalterato lo stock esistente – ad esempio, evitando di stabilire un
tasso di sconto intertemporale, esempio di miopia e di intollerabile disfatta
morale a supporto di decisioni reazionarie, o allungando la durata dei prodotti,
obiettivo per il quale non basterà il mercato né tantomeno un meccanismo
fiscale, essendo il sistema dei prezzi insufficiente al riguardo.
Ma anche adottando la prospettiva del sistema aperto, il cui livello di
produzione e consumo è misurato dal PIL, si dovrebbe poter distinguere tra
input provenienti da risorse rinnovabili e non, oppure separare la parte di
consumo che può ritornare ad essere input da quella che invece costituisce un
residuo.
Boulding definisce l’econosfera come un sistema aperto, ma in gradi di
apertura
molto
differente
nelle
sue
componenti
(materia,
energia,
informazione): per quanto riguarda la materia, gli input passano dall’esterno
all’interno del sistema di produzione e scambio, mentre gli output escono sotto
forma di residuo o scarto; l’energia, proveniente da fonti rinnovabili e non,
viene invece assorbita nel sistema economico, con una parte dissipata, dispersa
sotto forma di calore; l’informazione (o conoscenza) è il fattore cruciale per
l’evoluzione dell’uomo, in quanto egli è in grado di accrescerne lo stock
27
tramite nascite ed educazione, e di converso capace di ridurlo con
l’invecchiamento e la morte.
Orbene, tutti e tre gli ambiti sopra delineati sono soggetti ad entropia, cioè
a dispersione dello stock disponibile: ovviamente in campo energetico tale
assunzione è ormai consolidata (II legge della termodinamica). Anche la
materia sembra sottoposta ad entropia crescente bilanciabile da processi antientropici (fissazione dell’idrogeno, desalinizzazione delle acque), tuttavia
questi richiedono molta energia, e quindi aumentano l’entropia altrove.
Quanto alla sfera della conoscenza (“noosfera”), non appare esservi
degradazione complessiva, anche se i meccanismi che differenziano le società
nei periodi espansivi non sono ben chiari e determinabili attraverso modelli.
La riflessione metodologica, unita alla dimestichezza con i modelli inputoutput, inizia nello stesso periodo a tradursi in modelli operativi, analitici e
statistici insieme. Qui ne prenderemo in esame due, uno materiale ed uno
ambientale.
Il primo è del 1969, gli autori sono Kneese e D’Arge, e si pone nell’ottica
di equilibrio generale – bilancio dei materiali. Il modello è specificato come
segue:
rM = vettore di M risorse e servizi
VM = vettore dei prezzi associati a risorse e servizi
XN = vettore di N prodotti
PN = vettore dei prezzi dei prodotti
YN = vettore delle domande finali
Nell’ipotesi che non vi sia sostituibilità tra fattori e processi e che non vi sia
produzione congiunta (numero di prodotti identico al numero dei settori), tutte
le relazioni sono mediate da matrici di tipo leontieviano a coefficienti fissi:
(1)
rM = AMN XN,
dove AMN = [ajk] indica l’impiego della j-esima risorsa nel k-esimo settore;
(2)
XM = ANN YN,
28
con ANN = [I – C]-1, dove I è la matrice unitaria e C la nota matrice di
produzione di Leontief;
La (1) mette in relazione le risorse con i prodotti, mentre la (2) i prodotti
con la domanda finale; combinando insieme le due espressioni, si può stabilire
il legame tra risorse e domanda finale, sia dal lato quantitativo (3) che da
quello dei prezzi (4):
(3)
rM = AMN ANN YN
(4)
PN = VM AMN ANN
Poiché l’obiettivo è di analizzare l’equilibrio in senso materiale, le quantità
dei fattori produttivi e dei prodotti devono uguagliarsi: a questo scopo,
vengono introdotti due ulteriori settori, “ambiente” e “consumo finale”, i cui
livelli di produzione in termini fisici sono rispettivamente Xθ e Xf.
Successivamente, le risorse vengono suddivise in L materie prime (rm) e P
servizi (rs), e solo le prime possono essere valutate in termini fisici, i secondi
dovendosi necessariamente esprimere in unità di tempo o monetarie.
Focalizzandosi dunque sui flussi materiali, la condizione di equilibrio si può
esprimere come
(5)
(6)
N
L
L
k =1
j =1
j =1
N
N
k =1
k =1
∑ Cθk X k = ∑ rjm = ∑
N
L
k =1
j =1
∑ a mjk X k , che implica Cθ k = ∑ a mjk
∑ Cθ k X k = ∑ Ckθ X θ + C f θ X θ
La (5) esprime l’equilibrio dei flussi materiali in entrata (dall’ambiente ai
settori), la (6) in uscita: la somma dei flussi di materie prime è identica alla
somma dei flussi di ritorno, sotto forma di rifiuti e residui. Tale condizione di
equilibrio vale anche per il settore finale:
(7)
N
N
k =1
k =1
∑ Ckf X f = ∑ C fk X k + C f θ X θ ,
dove il primo termine indica tutti i beni finali prodotti, il secondo i materiali
reimmessi nel sistema (riciclo) e il terzo i rifiuti.
29
N
Esprimendo la domanda finale come X f = ∑ Y j e ricordando la relazione (1) si
j =1
può stabilire una relazione tra i flussi di rifiuti e la domanda finale, utilizzando
i coefficienti tecnici leontieviani:
N
(8)
N
C f θ X θ = ∑∑ (C jf − C fj Ajk )Yk
k =1 j =1
Il modello in questione presenta due condizioni molto restrittive, la
completa insostituibilità dei fattori e l’assenza di produzione congiunta (un
settore – un prodotto – un processo), tuttavia è utile per gettare luce su delle
relazioni generalmente trascurate: per l’analisi dell’attività economica non
rilevano soltanto i coefficienti di produzione e di consumo intermedio,
necessari per stabilire un legame tra risorse utilizzate e prodotti finiti – vedi
(3) – ma anche i coefficienti “di scarto” (Cfθ) e “di riciclo” (Cfk). Partendo dal
presupposto che la materia è in quantità finita, la crescita del prodotto non è
positiva in sé, ma dipende dalla capacità di utilizzare meno input e generare
meno rifiuti (dispersione di materia). Permangono tutte le difficoltà di
misurazione in termini economici, come si nota dall’accenno sommario – e
non approfondito – della relazione tra prezzi delle risorse e dei prodotti, è però
innegabile l’ineludibilità e la necessità di considerazioni fisiche e materiali
nell’analisi economica.
Leontief, da parte sua, non tarda ad offrire il suo contributo: partendo dalla
constatazione che “l’inquinamento e gli altri effetti esterni desiderabili o
indesiderabili delle attività di produzione e di consumo debbono essere
considerati, a tutti i fini pratici, come parte del sistema economico”, l’autore
colloca la determinazione della quantità di agenti inquinanti generata dalle
attività produttive in posizione preliminare all’analisi economica, in quanto da
un lato dipende da dati tecnici (chimici, fisici, biologici), dall’altro perché
notoriamente il sistema di contabilità nazionale non si occupa delle transazioni
che non passano per il mercato.
Tuttavia, lungi dal ritenerla meramente una questione extra-economica,
Leontief sostiene che “qualsiasi diminuzione o aumento nel livello di
30
produzione di agenti inquinanti, può essere dovuto tanto a un cambiamento
nella domanda finale […] quanto a cambiamenti nella struttura tecnologica”,
come si è già visto nel modello di Kneese e D’Arge relativamente ai flussi da
e verso l’ambiente.
Discorso diverso invece per lo smaltimento – totale o parziale – di tale
quantità di inquinamento, che può agevolmente essere analizzato e misurato in
termini economici, ossia in transazioni monetarie; in maniera molto semplice,
si ipotizza che una parte di agenti inquinanti sia smaltita da un settore antiinquinamento, che opera con propri coefficienti tecnici e utilizza lavoro,
un’altra parte sia eliminata direttamente dal settore che lo genera, mentre una
quota non sia smaltita e quindi attribuita contabilmente alla domanda finale.
Il classico sistema input-output viene riarrangiato come segue:
A11 = [aij], input del bene i per unità di output del bene j (prodotto dal settore
j), ovvero coefficienti tecnici di produzione;
A21 = [agi], unità di agente inquinante g per unità di output i (prodotto dal
settore i), “coefficienti tecnici di inquinamento”;
A12 = [aig], input di i per unità di g eliminata (dal settore g), “coefficienti
tecnici anti-inquinamento”;
A22 = [agk], output di inquinante g per unità di inquinante eliminato k
(eliminato dal settore k );
X1 = [xi], output totale del bene i;
X2 = [xg], quantità totale di g eliminata;
Y1 = [yi], domanda finale del bene i;
Y2 = [yg], quantità di g non smaltita e attribuita alla domanda finale;
In termini fisici, la condizione di equilibrio generale è espressa da:
(9)
 I − A11 M
− A12   X 1   Y1 

   
LLL L LLL   L  =  L 
 A
M − I + A22   X 2   Y2 
21

31
Infine, si può considerare anche l’eventuale quota d’inquinamento generata
direttamente dal settore di consumo finale (“Famiglie”), attraverso la matrice
Ay = [agy,(i)], dove i coefficienti indicano l’output dell’agente inquinante g
prodotto dal consumo di un’unità della merce i: in questo caso, il vettore Y2 va
sostituito da Y2 – Ay Y1.
Il sistema dei prezzi è leggermente più complesso e necessita di ulteriori
specificazioni:
Q21 = [qgi] = [rgi agi], dove rgi è la quota di inquinante g eliminata direttamente
dal settore i in cui è stata generata;
Q22 = [qgk] = [rgk agk], dove rgk è la quota di inquinante g eliminata
direttamente dal settore k (anti-inquinante) in cui è stata generata;
P1 = [pi], prezzi dei beni;
P2 = [pg], costo di eliminazione dell’agente inquinante g;
V1 = [vi], valore aggiunto per unità di bene i prodotta del settore i;
V2 = [vg], valore aggiunto del settore anti-inquinamento g per ogni unità di g
smaltita;
(10)
 I − A'11 M
−Q '21   P1   V1 

   
LLL L LLL  L  = L 
 A'
M I − Q '22   P2   V2 
12

In conclusione, nel sistema leontieviano il settore disinquinante genera
valore aggiunto analogamente agli altri – dipende cioè dai coefficienti tecnici
e dal costo dei fattori utilizzati – e quindi si somma al prodotto netto del
sistema economico. Tuttavia, l’autore riconosce apertamente che il
disinquinamento è un costo, il quale ricade principalmente sui consumatori
finali, dal momento che se tale costo viene sostenuto dal pubblico sarà
finanziato dalla fiscalità generale, mentre se si imponesse in via normativa lo
smaltimento ai settori che producono agenti inquinanti, i relativi costi
verrebbero incorporati nei prezzi. Ad ogni modo, “una volta che sono stati
elaborati appropriati insiemi di coefficienti tecnici di produzione, la
generazione o l’eliminazione di tutte le varie specie di agenti di inquinamento
32
può essere analizzata, così come in realtà è, come parte integrante del processo
economico”.
La trattazione forse più completa e rigorosa degli aspetti materiali relativi
ai processi economici si deve a Nicholas Georgescu-Roegen, il quale affronta
l’argomento in un’opera organica e complessa, e non in un breve articolo,
come si è visto finora. L’analisi economica è concentrata negli ultimi capitoli,
ed è a essi che si farà riferimento.
Preliminarmente, l’autore definisce e delimita il concetto di processo,
attraverso due dimensioni: la frontiera con il suo ambiente circostante (in
senso figurato, non meramente spaziale) e la durata. Analiticamente,
“possiamo descrivere ogni elemento che attraversa la frontiera dall’ambiente
al processo come un input e ogni elemento che la attraversa all’inverso come
un output”, ovvero, ad ogni elemento Ci associamo una funzione di input Fi(t)
ed una di output Gi(t), entrambe definite sull’intervallo [0,T], indicante la
durata del processo. È possibile inoltre rappresentare ciascun elemento con il
saldo Ei(t) = Gi(t) – Fi(t), che conduce a distinguere tra diversi casi: se Gi(t) è
nullo, l’elemento è un input puro (ad esempio, l’energia solare), viceversa se
Fi(t) =0, C è un output puro (i rifiuti non riciclabili); prendendo spunto dal
modello ricardiano, il grano è invece tanto input quanto output; una terza
categoria, infine, è più complicata, poiché composta di elementi che durante il
processo subiscono cambiamenti qualitativi – è il caso dei lavoratori e degli
utensili: i primi “entrano riposati ed escono stanchi”, i secondi “possono
essere nuovi quando entrano nel processo ma usati quando ne escono”. Questa
trasformazione è una forma con cui si presenta – e influisce sull’attività
economica – l’entropia.
Georgescu non è però soddisfatto dei modelli statici di Leontief e di Von
Neumann, in quanto osservano semplicemente i flussi che attraversano la
frontiera tra ambiente e processo, senza nulla dire riguardo la situazione
preesistente e quella finale, al punto che, se la quantità di prodotto fosse
uguale in due diversi istanti osservati, non sapremmo distinguere tra
stazionarietà – situazione in cui qualcosa accade – e stasi. Risulta altresì
limitativa la celebre distinzione di Fisher, secondo la quale “lo stock si
33
riferisce ad un istante di tempo, il flusso ad un intervallo”, potendosi dare il
caso in cui il discrimine non sia esclusivamente temporale – vale a dire che un
flusso non necessariamente proviene da uno stock e si dirige verso un altro
stock – bensì sostanziale: flussi e stock possono cioè essere composti di
sostanze differenti.
Da parte loro, gli input necessari allo svolgimento di un processo possono
essere usati o consumati: nel primo caso, prima di annullarsi richiedono un
certo intervallo di tempo, mentre nel secondo si annullano nel momento stesso
in cui superano la frontiera tra ambiente e processo: “in relazione ad un dato
processo, un input è solamente usato (ma non consumato) se può essere
associato ad un elemento di output perché è della stessa sostanza – come i
semi di trifoglio nel produrre semi di trifoglio – o perché è rimasto invariato –
come la scala per il pittore”.
L’esistenza di input durevoli conduce l’autore alla ricerca di un termine più
appropriato per definire il capitale fisico, che viene “decumulato” non nel
senso che viene attribuito ad uno stock: “quando ‘decumuliamo’ una macchina
non la dividiamo in parti e ne usiamo una alla volta finché tutte non vengono
consumate. Al contrario, la macchina è via via usata in una sequenza
temporale di operazioni fino al punto in cui diventa inutilizzabile e viene
gettata. Una macchina è uno stock materiale, ma non nel senso che la parola
assume in ‘uno stock di carbone’. Se vogliamo mantenere la terminologia,
potremmo dire che la macchina è uno stock di servizi (usi). Ma un modo
distinto (e quindi più corretto) di descrivere una macchina è definirla come un
fondo di servizi”.
Uno stock si può decumulare istantaneamente, un fondo no: ad esempio,
una lampadina con 500 ore di vita non può illuminare 500 stanze per un’ora
contemporaneamente. Le unità di misura riassunte in tabelle illustrano meglio
la differenza concettuale:
34
Concetto
Flusso
Saggio di flusso
Servizio
Saggio di servizio
Unità di misura
Sostanza
Sostanza
Tempo
Sostanza ⋅ Tempo
Sostanza ⋅ Tempo
= Sostanza
Tempo
È rimarchevole notare come flusso e saggio di servizio siano misurati
entrambi attraverso la “sostanza” (in senso lato), poiché “il saggio di servizio è
semplicemente l’ampiezza del fondo che fornisce quel servizio”. L’autore si
richiama al capitale costante di marxiana definizione, il quale partecipa al
processo produttivo, ma rimane praticamente inalterato; Georgescu si limita ad
aggiungere che un fondo soddisfa questa condizione – esce dal processo nelle
medesime condizioni in cui vi è entrato – fatte salve le spese per evitarne il
degrado e mantenerne quindi l’efficienza iniziale. L’azione entropica espressa
dal secondo principio della termodinamica impedisce però ad alcuni fondi di
essere sempre e comunque ricostituiti tramite adeguati flussi energetici di
mantenimento – si vedrà tra poco questo concetto – mentre il consumo da un
lato e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti dall’altro non fanno altro che
aumentare l’uso di materia o – per dirla in un altro modo – diminuire la
resilienza del sistema economico, ossia la sua capacità di mantenere la
struttura organizzativa in presenza di perturbazioni. Georgescu riassumeva
questa considerazione con la frase “matter matters, too” e la usava come base
per quella che ha definito ironicamente la “quarta legge della termodinamica”,
secondo la quale la Terra è un sistema aperto dal lato energetico, ma chiuso da
quello materiale, cosicché la degradazione della materia impedisce
definitivamente il riciclaggio completo.
Con questa tassonomia, è possibile enucleare ora il modello flussi-fondi, in
cui entrambi i termini costituiscono fattori di produzione, con i flussi come
soggetti passivi e i fondi quali agenti – o soggetti attivi – dei processi
economici.
Ciascun flusso continua ad essere rappresentato con Ei(t), gli elementi di
fondo (Cα) contribuiscono al processo con un ammontare di servizi Sα(t).
35
Naturalmente, lo stesso elemento può essere un flusso od un fondo – “il
martello utilizzato per produrre altri martelli” – e ciò dipenderà dalla durata
del processo: un’automobile può durare un tempo molto lungo, se le sue
componenti vengono via via sostituite; nel lungo periodo, tuttavia, il costo e
l’obsolescenza renderanno più conveniente rimpiazzarla tout-court, mentre nel
lunghissimo periodo sarà l’inesorabile legge di entropia che impedirà al fondo
di fornire ancora servizi.
Per quanto riguarda la classificazione, l’autore annovera tra i fondi i tre
classici “fattori di produzione” terra ricardiana (L), capitale (K) e lavoro (H),
mentre i flussi sono composti da risorse naturali (R) – energia solare, acqua,
carbone ecc. – input materiali destinati alla trasformazione (I), input necessari
al mantenimento del capitale (M), output (Q) e rifiuti (W). Un processo può
essere quindi rappresentato da
T
T
T
T
T
T
T
 T

R
(
t
),
I
(
t
),
M
(
t
),
Q
(
t
),
W
(
t
);
L
(
t
),
K
(
t
),
H
(t ) 
 0
0
0
0
0
0
0
0 
Tale rappresentazione conduce l’autore a due critiche nei confronti della
teoria neoclassica della produzione: da un lato, la funzione di produzione à la
Wicksteed è una funzione puntuale, associa cioè un livello quantitativo di
produzione con una combinazione di certe quantità di input; dall’altro, non
includendo esplicitamente il tempo, una tale relazione equivale ad assumere
un “sistema di fabbrica” composto da processi in linea nei quali i fattori non
sono mai inoperosi, e generano quindi elementi di flusso continui: R(t) = rt,
M(t) = mt, e così via.
Se ai fondi fin qui enumerati se ne aggiungono altri due, le scorte S e i
semilavorati  (elementi propri del sistema di produzione in serie), la funzione
di produzione neoclassica si può esprimere come q = F (r , i, m, w; L, K , S ,  , H ) ,
la quale “non ci dice ciò il sistema fa, ma solo cosa può fare”.
Georgescu-Roegen suggerisce invece di considerare la funzione come un
funzionale, ossia una “funzione di funzioni”, del tipo rappresentato di seguito:
T
T
T
T
T
T
T
 T

Q (t ) = ℑ  R (t ), I (t ), M (t ),W (t ); L(t ), K (t ), H (t ) 
0
0
0
0
0
0
0 
 0
36
Un’altra annotazione riguarda il grado di sostituibilità tra fondi e la teoria
distributiva basata sulla produttività marginale: in sintesi, è molto più
verosimile che esista un certo grado di sostituibilità tra qualità diverse dello
stesso fondo piuttosto che tra fondi distinti; ad esempio, K e H possono essere
resi omogenei, e quindi in parte sostituti, solo misurandoli in termini di valore,
ma è pur vero che generalmente parlare di capitale (o lavoro) omogeneo è una
comoda quanto semplicistica astrazione matematica, esattamente come lo era
l’assumere processi in linea ininterrotti, senza inoperosità dei fondi.
Infine, non bisogna dimenticare che in un sistema non stazionario la
“produzione” non consiste solo di merci, ma anche di processi, quindi ogni
modello input-output dinamico dovrebbe includere un ritardo che tenga conto
del tempo necessario ad accumulare i fondi necessari a creare il nuovo
processo che produrrà il nuovo flusso.
Non volendo entrare nel formalismo matematico proposto da GeorgescuRoegen, è sufficiente puntualizzare come in realtà lo schema dei flussi
coincida con il modello input-output leontieviano, con due aggiunte: le risorse
naturali – potremmo dire “non prodotte” – e i rifiuti.
Il dibattito ecologico cui si è accennato in queste pagine è stato affrontato
anche con altri metodi e ipotesi, di cui è bene rendere conto, da un lato per
completezza di trattazione, dall’altro per evidenziare la rilevanza dei temi
sollevati e la loro accettazione da parte degli economisti.
Il punto di vista dell’economia neoclassica riguardo il tema delle risorse
esauribili è ben compendiato in due articoli di Solow: nel primo (1974a) si
ribadisce che il sistema di mercato è sufficiente per fronteggiare l’eventuale
esaurimento di un input, poiché la scarsità ne farà aumentare il prezzo e quindi
per un verso renderà profittevole ricorrere a riserve più costose e difficili da
sfruttare, mentre allo stesso tempo spingerà verso la ricerca di fonti
alternative. È importante per Solow il ruolo chiave delle spese in ricerca e
sviluppo, le quali, se si traducono in innovazioni applicabili, sono in grado di
mantenere un accettabile e sostenuto livello di crescita endogena, permettendo
un certo grado di sostituibilità sia tra diverse risorse naturali sia tra queste e il
37
capitale fisico utilizzato: nel primo caso, una risorsa in esaurimento viene
gradualmente rimpiazzata con un’altra emergente, nel secondo diminuisce
l’utilizzo di una risorsa non prodotta mentre aumenta quello di capitale.
Tale visione fiduciosa nel progresso tecnologico viene confermata e
rafforzata in un altro lavoro (1974b), nel quale la prospettiva neoclassica si
legittima anche “moralmente”: è possibile continuare a perseguire l’obiettivo
di massimizzare il consumo pro-capite vincolato all’esistenza di risorse
esauribili e all’indisponibilità del capitale futuro, a condizione che ad ogni
maggiore prelievo odierno di risorse corrisponda un incremento dell’intensità
capitalistica – dunque della quantità di capitale fisico rapportata all’input di
lavoro – lasciata in dote alle generazioni successive. Sebbene questo articolo
faccia riferimento a problemi di lungo periodo, in realtà è sulle ipotesi iniziali
che sorge qualche perplessità: in primo luogo, viene ribadita la sostituibilità tra
fattori non prodotti e capitale fisico, il che equivale – per usare le parole di
Mauro Bonaiuti – ad ipotizzare che per produrre una maggiore quantità di
pizza basti impiegare più forni e più pizzaioli, lasciando invariata la quantità
di ingredienti; secondariamente, viene assunto un progresso tecnico di tipo
Hicks-neutral, vale a dire che a variare è la produttività totale dei fattori, non
quella di un singolo input; inoltre, si stabilisce che il tasso di prelievo ottimale
è quello che equipara i rendimenti del capitale fisico a quelli ottenibili
dall’utilizzo di risorse naturali, confondendo l’efficienza tecnica con quella
economica; infine, si assume che l’output sia più elastico rispetto al capitale
che alle risorse esauribili, il che rafforza certamente la fiducia riposta nel
progresso tecnico, ma questa convinzione andrebbe dimostrata, non assunta a
priori.
Il secondo approccio è antitetico rispetto a quello “economicista” di Solow,
e possiamo considerarlo in parte come una radicalizzazione dell’opera di
Podolinskij,
descritta
in
precedenza.
Partendo
dai
progressi
della
termodinamica e dalle caratteristiche dell’energia – misurabilità, additività,
convertibilità – Eugene e Howard Odum elaborano la teoria “emergetica”,
contrazione di embodied energy, la variabile che tutti gli ecosistemi, e dunque
tutti i sistemi economici, tendono a massimizzare sotto il vincolo di
38
disponibilità energetica limitata. La produzione e lo scambio di beni e servizi
vengono così ricondotti all’utilizzo e al trasferimento di energia incorporata, in
una prospettiva olistica che condivide la cornice input-output. Seguendo
queste premesse, la ricchezza e la possibilità di una crescita durevole dipende
crucialmente dalla quantità di energia disponibile che un sistema riesce ad
incorporare.
Si è già detto di come questo secondo approccio risulti riduzionista, non
tenendo in alcun conto l’agire dei singoli soggetti economici e non
considerando un altro importante aspetto, la materia, inserito invece nel
modello di Georgescu-Roegen, mentre per Solow valgono considerazioni
opposte, poiché subordina al valore economico ogni altra considerazione
tecnica.
In sintesi, si può dire senza esagerare che la prospettiva degli ecologisti à la
Odum è sistemica, ma non economica, mentre gli economisti neoclassici sono
scarsamente sistemici, sebbene colgano meglio le dinamiche prettamente
economiche.
Dunque, alla fine del decennio 1970, le problematiche ambientali, tanto dal
lato delle risorse quanto da quello dei residui, sono entrate a pieno titolo nel
discorso economico, e hanno interessato anche la scuola neoclassica, come
dimostra il contributo di Solow.
Nel decennio successivo è possibile rinvenire almeno tre approcci, che si
concentrano meno su questioni analitiche pure, piuttosto cercano di integrare
coerentemente – quantificandolo – il ruolo giocato dalle limitazioni ambientali
nell’attività economica: il primo, prettamente mainstream, prosegue nell’alveo
“contrattualistico”, e intende definire un vero e proprio mercato dei diritti ad
inquinare o ad utilizzare le risorse comuni. Tale corrente può essere ricondotta
inizialmente a John Dales, fino ad arrivare alle estreme conseguenze, espresse
da Larry Summers al Financial Times il 10 febbraio 1992: “I Paesi dell’Africa
scarsamente popolati sono molto meno inquinanti della media. In tali paesi la
qualità dell’aria è inutilmente molto migliore di quella di Los Angeles.
Bisogna incoraggiare una migrazione più sostanziosa delle industrie inquinanti
verso i paesi meno avanzati, e preoccuparsi di più dei rischi di cancro alla
39
prostata che si corrono in un paese in cui si invecchia abbastanza per contrarlo,
piuttosto che in un paese dove duecento bambini su mille muoiono prima dei
cinque anni. Penso che la logica economica secondo la quale masse di rifiuti
tossici devono essere scaricate là dove i salari sono più bassi, sia
inconfutabile”.
Il secondo approccio è perfettamente inserito nel quadro NIPA (National
Income and Production Accounts) e consiste da un lato nell’aggiunta di voci
trascurate dalla contabilità nazionale, dall’altro nel cambiare di segno molte
voci positive del PNL, considerandole cioè consumo intermedio invece che
contributi al reddito nazionale. Daly e Cobb, ripercorrendo i recenti sviluppi
della contabilità nazionale, partono da una definizione “hicksiana”12 del
reddito:
RH = PNL – SP – (ACF + ACN),
nella quale il reddito effettivo di un sistema economico si ottiene detraendo dal
prodotto nazionale lordo le spese difensive (SP) e due componenti di
ammortamento, relative al capitale fisico (ACF) e a quello naturale (ACN),
seguendo “una definizione funzionale di capitale come uno stock che produce
un flusso di risorse e servizi naturali”. Gli autori tengono anche conto della
possibilità di sostituzione tra capitale fisico e risorse naturali, e definiscono
“sostenibilità debole” l’ottimistica visione neoclassica, adottando la quale
“sarebbe tuttavia necessario mantenere intatto il capitale totale (sia quello
creato dall’uomo sia quello naturale) per rispettare la definizione hicksiana di
reddito. Il logoramento del capitale naturale dovrebbe quindi essere
compensato da un’accumulazione equivalente di capitale creato dall’uomo”.
La proposta operativa è molto articolata, comprendendo stime del lavoro
domestico, lo storno dei beni durevoli acquistati dalle famiglie dal consumo
all’accumulazione, la detrazione delle spese pubblicitarie, ma ciò che interessa
12
“Lo scopo del calcolo del reddito nelle situazioni concrete è di dare alle persone un’indicazione
dell’ammontare che possono consumare senza diventare più poveri. Sviluppando questo concetto, si
può giungere a definire il reddito di una persona come il massimo valore che può consumare nel corso
di una settimana con l’obiettivo di arrivare alla fine della stessa tanto ricco quanto lo era all’inizio”
(Value and Capital, 1948)
40
in questa sede sono le spese difensive, in una doppia accezione, sociale ed
ambientale. Vediamole in breve:
-
spese private: si ipotizza che la metà della crescita delle spese sanitarie
sia di tipo difensivo, ossia generata dalle deteriorate condizioni
ambientali urbane ed industriali;
-
costi diretti del pendolarismo: quota delle spese per trasporti pubblici e
dei costi di acquisto, ammortamento ed uso di veicoli privati,;
-
costo dell’urbanizzazione: valore del terreno in rapporto al valore totale
delle proprietà (terreno + fabbricati) moltiplicato per le spese di
alloggio;
-
costo degli incidenti stradali;
-
perdita di terreni agricoli;
-
costi del deterioramento di aria, acqua, risorse naturali: stime
presuntive;
-
danni ambientali a lungo termine: stima proporzionale al consumo di
energia da fonti non rinnovabili.
È bene precisare che lo scopo ultimo di queste modifiche al sistema
contabile consiste nella creazione di un indice alternativo al PNL (l’Index of
Sustainable Economic Welfare), e che i procedimenti di stima sommariamente
descritti non possono essere integrati facilmente in un quadro input-output:
infatti, se perfino a livello nazionale si sono dovute condurre delle stime, la
disaggregazione settoriale imporrebbe un ulteriore inferenza potenzialmente
letale per il valore esplicativo dell’analisi condotta da Daly e Cobb.
Pur con queste limitazioni, peraltro sottolineate dagli stessi autori, il
tentativo di quantificare e ridefinire alcune poste contabili legate all’ambiente
entro cui si svolge l’attività economica è inedito, comprensibile e agevolmente
migliorabile. Certamente, definire consumo intermedio tanto le spese
pubblicitarie quanto lo smaltimento di rifiuti può ritenersi discutibile o
ideologico, così come scindere le spese sanitarie e di istruzione in una quota
“positiva” ed una “difensiva” è un procedimento arbitrario, di esclusiva
responsabilità degli autori.
41
La terza modalità di inclusione dell’ambiente nella contabilità nazionale è
una variante della proposta di Daly & Cobb, differente in quanto valuta
soltanto le spese effettivamente sostenute per “eliminare, mitigare,
neutralizzare o anticipare ed evitare i danni e il degrado che le società
industriali hanno causato alle condizioni ambientali, di vita e di lavoro”: in
uno studio empirico sulla Germania Ovest, Leipert conferma quello che
abbiamo visto essere un doppio bias della contabilità nazionale, omettendo i
costi dovuti al degrado dell’ambiente e ponendo alcune spese difensive come
componenti positive di reddito.
I costi ambientali sono in costante aumento per la “voracità” della struttura
economica, caratterizzata da un processo di crescita incontrollato e dal
perseguimento del minimo costo, sfruttando i fattori gratuiti, vale a dire
disponibili in natura.
La concentrazione urbana ed industriale genera quattro diverse categorie di
costi, ambientali e sociali: “spese difensive compensatorie”, pensioni e
assistenza sanitaria, perdite di risorse, danni ad individui e ambiente.
Potrebbero essere inserite anche, come visto in Daly e Cobb, le spese per
trasporti individuali, per gli affitti e per la sicurezza.
Di queste, “le spese compensatorie sono imprescindibili necessità, lo scopo
delle quali è compensare per passati danni ambientali o di altro tipo, o
prevenire il loro verificarsi nel futuro”, e sono anche le uniche di cui si tiene
conto in un quadro di contabilità nazionale.
Nel caso dell’allora Germania Ovest, nel quindicennio 1970-1985 il 20%
della crescita economica è dovuto all’aumento delle spese difensive –
nell’accezione ristretta – mentre all’inizio del decennio 1980 esse ammontano
a circa il 10% del PNL. Tali numeri portano l’autore a concludere che
“l’indicatore ufficiale di crescita trasforma un fallimento in un successo”, e
che
“l’unico
ruolo
ragionevolmente
attribuibile
alla
misurazione
convenzionale della crescita sia di sintetizzare passivamente i risultati
monetari dell’attività economica”.
Molti di questi spunti saranno poi implementati nella contabilità ambientale
dell’Eurostat, pur con tutte le difficoltà – tuttora presenti – nel trasformare il
42
quadro aggregato in un quadro intersettoriale: ad esempio, tra le spese
difensive ve ne sono alcune riconducibili interamente alla protezione
dell’ambiente, altre che invece sono ambientali soltanto in parte, ed è spesso
difficile separare nettamente le diverse componenti.
Constatare che una rilevante parte della crescita dipende dalle spese
sostenute per ovviare ai problemi che la stessa crescita comporta è la base per
la teoria della decrescita, sviluppatasi agli inizi del decennio 1990, ma che ha
prodromi individuabili in lavori leggermente anteriori: per citarne solo due, da
un lato il rapporto Meadows, focalizzato sulle condizioni materiali, che
mostrava scenari futuri mondiali alternativi e quasi tutti insostenibili, se non
modificando radicalmente le modalità operative dell’attività economica;
dall’altro si situa il coevo The Social Limits to Growth, di Fred Hirsch,
centrato sulla competizione posizionale nelle società economicamente
avanzate, processo tendenzialmente escludente e generatore di disuguaglianza.
Tuttavia, in questa sede ci si limiterà a sintetizzare il rapporto Meadows, in
quanto relativo a limiti fisici, e non meramente sociali.
Quale che sia lo scenario ipotizzato – anche il più ottimistico – tutto lascia
presagire che entro un secolo dalla pubblicazione dell’opera l’umanità avrà
raggiunto i limiti superiori alla crescita economica.
Innanzitutto, “una disponibilità immediata di risorse […] non sembra
rappresentare la soluzione per mantenere lo sviluppo del sistema mondiale. La
rapida espansione economica che la disponibilità di tali risorse consentirebbe
dovrebbe accompagnarsi a misure di controllo dell’inquinamento, per evitare
la crisi del sistema mondiale.” In altri termini, risolvere il problema a monte
non è sufficiente, bisogna agire anche sull’output del sistema economico.
In secondo luogo, esiste una sorta di “paradosso di Jevons” anche per
l’inquinamento, in quanto, anche simulando una riduzione ad un quarto di
ogni genere di emissione inquinante, l’aumento del livello di attività più che
compenserebbe tale miglioramento, aumentando cioè il livello assoluto di
inquinamento.
Ancora, non è sufficiente nemmeno l’ottimismo tecnologico à la Solow,
poiché “qualunque società che si sforzi di oltrepassare i limiti posti dalla
43
natura facendo ricorso a nuove tecniche si trova a un certo punto di fronte a
una scelta fondamentale: è preferibile adattarsi a vivere all’interno di tali
limiti, accettando una regolazione autoimposta del processo di sviluppo e di
crescita, oppure continuare sulla via dello sviluppo, fino al manifestarsi di
qualche ostacolo naturale, sperando che nel frattempo i progressi della tecnica
consentiranno di rimuoverlo?” Gli autori, pur riconoscendo che la seconda
opzione è stata praticata con successo negli ultimi due secoli, rimangono
nondimeno della convinzione, suffragata dalle loro simulazioni, che
“l’ottimismo tecnologico rappresenta la più comune e pericolosa reazione alle
nostre conclusioni sull’esame del modello mondiale”.
La possibile via d’uscita proposta dagli autori richiama lo stato stazionario
di John Stuart Mill, espresso però in termini analitici e contabili. Si parte dal
presupposto che la crescita economica è il risultato dell’interazione tra tassi di
segno opposto che agiscono su diversi aggregati:
AGGREGATO
Popolazione
Capitale fisico
Produzione
VARIAZIONI
POSITIVE
Tasso di natalità
Investimento
Beni, servizi e residui
VARIAZIONI
NEGATIVE
Tasso di mortalità
Deprezzamento
Risorse naturali
Ciò significa che – ad esempio – un saldo netto positivo tra natalità e
mortalità comporta un aumento della popolazione, che si traduce in un
maggiore fabbisogno di beni e servizi, il quale a sua volta è accompagnato da
una maggiore quantità di residui (inquinamento), da un maggiore livello di
accumulazione e da una riduzione delle risorse naturali, sottoposte a maggiore
sfruttamento. Qualora il livello di benessere raggiunto permetta una riduzione
della mortalità – come è avvenuto con le trasformazioni economiche passate –
il processo potrebbe autoalimentarsi all’infinito, prima di trovare variazioni
negative in grado di controbilanciarne la forza. Quanto esposto è un anello di
retroazione positivo, per usare la terminologia degli autori, e nell’esempio
sopra citato si può interrompere attraverso la riduzione della natalità, un
maggiore deprezzamento del capitale fisico, la riduzione delle risorse naturali
disponibili o una combinazione di questi tre elementi.
44
Un sistema così strutturato presenta quindi delle condizioni di stabilità ben
precise, che devono rispettare due requisiti: non è infatti sufficiente che le
variazioni negative bilancino quelle positive (“equilibrio significa ‘condizione
determinata dall’azione simultanea di forze uguali ed opposte’”), ma è
necessario che tale condizione di uguaglianza abbia luogo in corrispondenza di
bassi tassi di variazione. La popolazione ed il capitale possono rimanere
costanti nel tempo a fronte di alta natalità ed alto investimento, ma ciò
equivale ad assumere mortalità e deprezzamento altrettanto elevati, con tutte le
spiacevoli conseguenze che ciò comporterebbe.
Gli autori auspicano dunque che le oscillazioni di capitale e popolazione
vengano minimizzate, per offrire le migliori condizioni alle generazioni future,
sebbene non si spingano a prescrivere le stesse condizioni per quanto riguarda
il terzo aggregato, ammettendo che nel 1972 – anno della pubblicazione – non
vi erano informazioni coerenti e adeguate per descrivere la quantità di
inquinamento e il suo legame con la crescita economica. La riduzione della
produzione di nuovi beni e servizi – che si traduce in un allungamento del
ciclo di vita dei prodotti, una riduzione dei residui da smaltire e del prelievo di
risorse naturali – costituisce il nodo centrale della proposta eterodossa dei
teorici della decrescita (Gorz, Latouche, Illich) e la base per le critiche al PIL,
sviluppatesi nel primo decennio 2000, con proposte alternative volte a
misurare il benessere sociale.
Per finire la carrellata storica, è opportuno dar conto degli sviluppi dei
modelli nati recentemente sulla scia di Von Neumann e Sraffa, e che si
possono trovare sintetizzati in un botta e risposta apparso su Metroeconomica
del 2001.
Il primo lavoro si basa su una ripresa, da parte di Bidard ed Erreygers, del
modello di Hotelling, compiuta utilizzando gli strumenti analitici neoricardiani: si parte da un modello semplice, con un solo bene (il classico
“grano”), una sola risorsa esauribile (il guano) estratta senza costi e due
tecniche produttive, una che utilizza guano e lavoro ed una che utilizza solo
lavoro. L’analisi parte dal confutare la possibilità di trattare le risorse non
rinnovabili allo stesso modo della “terra” ricardiana, con il pretesto della loro
45
estrema lentezza nell’esaurirsi; inoltre, si rigetta la praticabilità della soluzione
competitiva, in quanto presuppone la perfetta conoscenza degli eventi futuri.
(11)
1( guano) → 1( guano)
a1 (corn) ⊕ 1( guano) ⊕ l1 (labour ) → 1(corn)
a2 (corn) ⊕ l2 (labour ) → 1(corn)
Seguendo la regola di Hotelling, “il prezzo corrente zt di una risorsa
esauribile cresce nel tempo ad una velocità pari al tasso di interesse rt” (o tasso
di profitto). D’altra parte, il prezzo del guano influisce su quello del grano, e
“in presenza di prezzi variabili un’ulteriore difficoltà […] riguarda la misura
del profitto”. Gli autori propongono di utilizzare come numerario un paniere
(d, e, f) composto rispettivamente da un vettore di beni finali, un vettore di
risorse non rinnovabili e uno scalare di input di lavoro; il tasso di interesse
reale sarebbe quindi espresso in termini di questo paniere, che gli autori
assumono – per semplicità – essere composto da solo grano. Si ipotizza inoltre
di conoscere esattamente l’istante T in cui il guano sarà definitivamente
esaurito, solo la tecnica composta da grano e lavoro sarà in uso e quindi si
ritornerà al classico modello-grano.
Grazie a questa ipotesi, gli autori possono enunciare il translation principle:
la sequenza dei prezzi della risorsa esauribile non è influenzata da variazioni
della domanda finale né dallo stock della risorsa stessa. La dinamica del
modello implica che “il metodo con guano è usato fino all’esaurimento, il
metodo con solo lavoro dopo l’esaurimento, entrambi i metodi durante il
periodo di esaurimento. In questo istante (T) la royalty sulla risorsa raggiunge
il suo picco ed è dunque identica alla rendita differenziale tra le due tecniche”.
In un regime di variazione dei prezzi, non è inoltre sufficiente scegliere la
tecnica e fissare una variabile distributiva (in questo caso il profitto) per
determinare automaticamente l’altra, come nel modello sraffiano.
La critica a questo approccio ed alle sue conclusioni arriva da Kurz e
Salvadori, e verte inizialmente sulla definizione stessa di tasso di interesse
reale, il quale, nel lavoro di Bidard ed Erreygers, rappresenta la sequenza di
tassi di profitto nominali che rende costanti i prezzi del grano, ma questo è
46
soltanto uno dei casi possibili, e non ha alcuna valenza euristica particolare,
come invece avrebbe se fosse l’own rate of return, così come definito da
Sraffa13 e Wicksell14, questo sì “reale”, perché espresso negli stessi termini
dell’input. Le proprietà di un sistema economico non dovrebbero variare a
seconda del numerario scelto.
In secondo luogo, la regola di Hotelling presuppone che la risorsa sia
omogenea e disponibile in quantità nota, e dipendente dallo stock non ancora
estratto: ciò equivale ad assumere che lo scenario “fine del mondo” non sia
possibile, e ne da conferma l’esistenza di una tecnica che prescinde
dall’utilizzo di guano.
In una nota ancora non pubblicata15, Sraffa tratta esplicitamente la
questione delle risorse naturali, distinguendo tra costi fisici reali e valorelavoro: nei primi è incluso l’ammontare di risorse esauribili utilizzate nel
processo produttivo, nel secondo no. I casi possibili sono essenzialmente tre:
questi input possono essere riprodotti dal lavoro, sostituiti dal lavoro, oppure
nessuno dei due casi precedenti. Se tali risorse non possono essere riprodotte
né sostituite, l’esito finale sarà ovviamente la distruzione della società intera, e
i modelli dinamici che non tengono conto di questa possibilità giungono a
conclusioni assurde.
Osservazioni conclusive
Nella nostra panoramica storica, si è visto come nel corso del tempo i
problemi al centro della riflessione economica siano variati, spostandosi –
lentamente ma costantemente – da un approccio meramente produttivistico
all’analisi del problema distributivo, fino ad includere le risorse non prodotte,
l’ecosistema e dunque la sfera esterna all’economia.
Naturalmente, queste fasi non si sono mai escluse a vicenda, potendosi
proporre e riproporre a seconda dei luoghi e dei tempi: ad esempio, il
13
“I prestiti nel mondo reale sono generalmente elargiti in termini di ogni merce per la quale esiste un
mercato di contratti futuri” (Dr. Hayek on Money and Capital, 1932)
14
“Colui che cede beni presenti per ottenere, in un modo o nell’altro, beni futuri dello stesso tipo,
compie realmente uno scambio tra due utilizzi dello stesso bene” (Value, Capital and Rent, 1954,
prima ed. 1893)
15
Sraffa’s Papers, D3/12/42:33, nota del 25/03/1946)
47
problema distributivo, che sembrava essersi affievolito dopo la grande
attenzione marxiana, si è riproposto su più vasta scala nel secondo dopoguerra,
in occasione della decolonizzazione; in contemporanea, però, nelle accademie
più prestigiose del mondo occidentale dominavano teorie neoclassiche
matematicamente eleganti, analiticamente coerenti e politicamente solide, che
estendevano la loro influenza anche laddove le teorie del sottosviluppo
avevano naturalmente attecchito, in quanto espressione concreta dell’hic et
nunc.
Se si escludono alcuni spesso oscuri o ignorati precursori che li hanno
considerati centrali, i temi ambientali sono una “scoperta” recente del pensiero
economico, dettata dalla crescente competizione internazionale per le risorse
esauribili e dagli evidenti dissesti che fino a poco tempo fa erano ritenuti
fenomeni naturali, ma che il progredire delle conoscenze hanno identificato
inequivocabilmente come prodotti dell’antropizzazione.
La tesi che mi sembra più appropriata è riassumibile in due grandi temi,
legati all’uso che si intende fare della contabilità sociale:
1. ipotizziamo che si voglia mantenere l’attuale approccio alla valutazione
della ricchezza prodotta da un sistema economico. In questo caso
a. le risorse naturali utilizzate come input produttivi (idrocarburi,
minerali, acqua ecc.) continuano ad essere contabilizzate al loro
prezzo di mercato, dunque non si fa ricorso a nessuna
imputazione o valutazione presuntiva, potendo distinguere al
massimo tra costo di estrazione, trasformazione, distribuzione,
come per quasi tutti gli altri prodotti; le stime sul probabile
esaurimento delle risorse non rinnovabili sono importanti, ma
non rilevano ai fini della ricchezza del sistema economico, così
come non ha alcuna valenza l’ipotesi di sostituibilità tra risorse
prodotte e non prodotte, a meno che tale grado di sostituzione
non sia misurato in termini monetari, quindi ex post, una volta
cioè che si sono formati i prezzi.
b. diverso discorso per i costi di smaltimento e mantenimento
dell’ecosistema, i quali vanno senza dubbio sottratti al reddito,
48
come viene oggi contabilizzato: per quanto riguarda i residui
dell’attività antropica, sia produttiva che di consumo, i settori
che forniscono i servizi in oggetto possono essere sì produttivi di
valore aggiunto, ma solo nella misura in cui distribuiscono
redditi ai fattori produttivi utilizzati, mentre a livello dell’intero
sistema economico operano semplicemente una redistribuzione
della ricchezza, anche qualora fossero compresi nella categoria
di spesa pubblica. Relativamente alle spese di mantenimento del
sistema ambientale (dragaggi, piantumazione, consolidamento
ecc.), vale un discorso analogo all’ammortamento del capitale
fisico: infatti, un ammontare di risorse viene costantemente
impiegato per mantenere lo stesso livello di efficienza e
produttività, e non può essere considerato investimento, tanto
più che l’ambiente, una volta reso improduttivo o non più
utilizzabile, difficilmente può essere ricostituito, vuoi per ragioni
tecniche (costi troppo elevati), vuoi per ragioni fisiche (ad
esempio,
una
cava
di
materiali
pietrosi
distrugge
irreversibilmente il territorio su cui è sita).
2. se si vuole valutare l’aspetto materiale dell’attività economica, è
opportuno “convertire” gli scambi in termini di energia e materia,
prescindendo
dunque
dal
metro
monetario
e
focalizzandosi
esclusivamente sulle condizioni tecniche di produzione prevalenti. Un
problema di questo approccio è – tra gli altri – il riduzionismo derivante
da una visione esclusivamente “ingegneristica” dell’azione economica,
tenendo conto in particolare dell’elevato grado di immaterialità della
produzione raggiunto dalle economie occidentali. Qualora infatti si
volesse stimare l’utilizzo di risorse per unità di valore aggiunto si
perverrebbe giocoforza a conclusioni distorte sul grado di sfruttamento
della natura da parte dei diversi settori, rimanendo pur sempre
l’economia legata alla variabile umana, che è politica, sociale, spesso
casuale e ben lontana dalla razionalità di quasi tutti i modelli
comportamentali attualmente in auge. Tuttavia, conoscere anche
49
soltanto approssimativamente il fabbisogno materiale dei nostri sistemi
economici ha dei riflessi notevoli sulla definizione di ricchezza e
fornisce utilissime indicazioni circa la riproducibilità e la resilienza
delle società.
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51
CAPITOLO SECONDO
TRANSAZIONI E MEZZI DI PAGAMENTO:
RAPPRESENTAZIONE CONTABILE E
RIFERIMENTI STORICI
Introduzione
Lo studio di un sistema economico dipende sostanzialmente dalla struttura
degli scambi che avvengono al suo interno. La natura delle transazioni era
chiara fin dai tempi di Aristotele, che distingueva tra crematistica (l’abilità di
produrre ricchezza) ed economia (la saggia amministrazione e destinazione
delle ricchezze), ricalcando in gran parte la distinzione odierna tra produzione
e distribuzione del reddito. La crematistica comprende anche la capacità di
generare un guadagno dallo scambio di beni, guadagno che sarà generalmente
di tipo monetario – poiché la moneta nasce per facilitare le transazioni – ma
non necessariamente.
Gli economisti hanno affrontato con notevole impegno le questioni relative
alla moneta, alla sua quantità ed alla sua circolazione, mentre – tenendo a
mente le caratteristiche delle economie moderne – la riflessione sulla
generalità dei mezzi transattivi è molto più recente.
Giova ricordare infatti che le definizioni moderne di moneta – si pensi agli
aggregati monetari – sono decisamente differenti dalla concezione classica di
moneta, rientrando più compiutamente nella definizione di credito. Non è
soltanto una questione di complessità economica e finanziaria, ma anche e
soprattutto eziologica: la moneta circolante nelle nostre società è
completamente fiduciaria, essendo venuto meno ormai da 40 anni il
“sottostante”, vale a dire il riferimento esterno alla moneta stessa, che nel
corso dei secoli è stato rappresentato perlopiù da materiali rari e non
riproducibili (conchiglie, oro, argento, bronzo, rame ecc.).
52
L’ ”invenzione” del credito è dovuta, nella sua forma moderna, ai
banchieri italiani del Rinascimento, i quali, sebbene facessero sempre
riferimento ad una quantità di metalli preziosi a garanzia delle lettere di
cambio, poterono in questo modo condurre i loro affari con minori impieghi e
rischi di perdite, furti e svilimenti della moneta stessa.
Naturalmente, non c’è solo la prassi commerciale dietro queste
innovazioni: Leonardo Pisano, detto Fibonacci, introdusse la numerazione
araba nel 1200 allo scopo di tenere dei conti, mentre la prima trattazione
organica di quella che oggi è chiamata “partita doppia” si deve a Luca Pacioli,
un religioso e matematico aretino, attivo verso la fine del ‘400. L’idea che
dietro ogni transazione vi siano due distinte registrazioni da tenere, poiché due
sono generalmente i soggetti coinvolti (controparti), è alla base anche delle
moderne Social Accounting Matrices, oltre che della contabilità commerciale:
infatti, sebbene non espressa in un conto a T, ogni voce della SAM costituisce
una risorsa per l’agente posto in riga ed un impiego per quello posto in
colonna.
I meccanismi del credito commerciale prima e finanziario poi sono però
rimasti ai margini del dibattito economico, anche quando si erano verificate
delle crisi del tutto simili a quelle odierne (la bolla dei tulipani, il crack di John
Law, la nascita del debito delle case reali), sembrando sufficiente regolare la
quantità o il valore della moneta metallica in circolazione.
Vi è anche un altro aspetto delle transazioni, che riguarda simultaneamente
il tempo in cui avvengono e gli strumenti utilizzati per completarle: in termini
contabili, si parla di criterio di competenza e di cassa, per distinguere il
momento in cui nasce un’obbligazione verso la controparte transante dal
momento in cui lo scambio si completa, ossia quando entrambi i flussi –
equivalenti e in direzioni opposte – hanno avuto luogo. In maniera
semplicistica, si potrebbe dire che il primo momento corrisponde alla vendita,
il secondo al pagamento. Per una gran parte degli scambi, questi momenti
sono coincidenti o poco distanti nel tempo, mentre per altri, molto spesso di
elevato valore, i momenti sono separati da un notevole intervallo, e gli
53
strumenti usati risultano molto più complessi della semplice carta moneta o
del prelievo dal deposito bancario.
Se la partita doppia è molto utile per evidenziare l’ottica di un agente
economico, non è più sufficiente quando si intende analizzare gli scambi che
coinvolgono almeno due soggetti, in quanto la valutazione, la tempistica e la
classificazione degli scambi potrebbe variare secondo l’ottica adottata dal
singolo agente coinvolto nella transazione. Vedremo dunque che in realtà gli
scambi aventi luogo in un sistema economico complesso assumono una
maggiore comprensibilità in un quadro contabile di partita quadrupla
(Quadruple Entry Bookkeeping, in breve QEB), nel quale ogni singolo
scambio movimenta quattro conti, due per il cessionario e altrettanti per il
cedente. Tale architettura statistico-concettuale, per quanto difficile da
implementare con i dati esistenti, potrebbe mettere fine alla dicotomia
reale/finanziario che spesso ha impedito il progredire dell’analisi economica e
della comprensione del funzionamento delle economie.
Un’ultima considerazione su moneta e credito: in questa sede si privilegerà
il secondo termine, rovesciando in parte gli approcci che vogliono la moneta
quale prius logico, dalla quale discende la capacità di erogare credito; in realtà
il credito può ben esistere anche in un sistema demonetizzato, ad esempio nel
baratto: immaginiamo che un individuo ceda una certa quantità di merce A cui
corrisponde la promessa di ottenere un altrettanto certo quantitativo di merce
B da parte di un secondo soggetto, una volta trascorso un determinato lasso di
tempo. In questo tipo di scambio non vi è la moneta come numerario, cioè
misura del valore di entrambe le merci scambiate, tuttavia la transazione si è
effettuata ugualmente.
È evidente come il credito sia esposto a due tipi di alea: il primo, che
potremmo definire morale o giuridico, perché se non esistesse una qualche
forma di obbligazione da parte del soggetto B (auto o eteroimposta) a cedere
quanto pattuito, non saremmo in presenza di uno scambio, ma di un
trasferimento; la seconda fonte di incertezza è invece da sempre costitutiva
delle attività economiche, anche le più elementari. Non è infatti detto che al
tempo pattuito il secondo soggetto sia realmente in grado di cedere la merce B,
54
vuoi perché ne abbia persa la disponibilità (ad esempio, nel caso di un raccolto
agricolo distrutto dopo la raccolta) o perché non l’ha mai avuta (nel caso di un
raccolto andato male).
Da queste considerazioni emerge che i mezzi di pagamento e di scambio
possono essere creati direttamente nello scambio, purché le parti sanciscano il
loro comune accordo di transare. Tale conclusione, come vedremo, influenza
anche le modalità con cui rappresentiamo gli scambi di un sistema economico,
e riduce notevolmente l’enfasi posta sulle definizioni di “autorità” e
“sovranità” monetarie, concetti spesso fonte di equivoci o interpretazioni
dogmatiche.
L’uguaglianza risparmio-investimento
La prima modalità di “chiusura”1 del sistema economico è la classica
uguaglianza tra risparmio e investimento reale. Indipendentemente dalle
ipotesi comportamentali che contraddistinguono le varie correnti di pensiero,
questa identità contabile è necessaria per garantire coerenza ai conti
economici, corrente e di accumulazione: il primo si suddivide ulteriormente in
-
conto della produzione (valore aggiunto come differenza tra ricavi e
consumi intermedi);
-
conto della distribuzione primaria del reddito tra fattori produttivi (di
solito salari e profitti, remunerazioni rispettivamente di lavoro e
capitale);
-
conto della distribuzione secondaria del reddito (ripartizione tra
consumo e risparmio, quest’ultimo valutato in maniera residuale),
mentre il secondo distribuisce il risparmio tra investimento in termini reali e
variazione delle scorte, presentando a saldo la capacità o la necessità di
finanziamento esterno, nel caso di economie aperte.
Adottando le convenzioni tipiche della Social Accounting Matrix (d’ora in
avanti SAM), secondo le quali ogni cella rappresenta un uso per il conto in
1
Si usa questo termine, preferendolo ad “equilibrio”, nella stessa accezione della contabilità
commerciale, ad indicare l’uguaglianza fra entrate ed uscite.
55
colonna ed una risorsa per il conto in riga, il sistema economico può essere
sinteticamente descritto come segue:
Tabella 1: SAM semplificata
Imprese Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale
Imprese
I
Famiglie
Governo
Risparmio
Ti
Sk
Sf
Sg
Sx
Resto del mondo
Mi
Totale
Itot
Stot
I: investimento, risultante dalla somma formazione di capitale fisso +
variazione degli stock;
Ti: imposte indirette dovute per l’acquisizione di beni d’investimento;
Sk: risparmio delle imprese;
Sf: risparmio delle famiglie;
Sg: risparmio della pubblica amministrazione;
Sx: saldo esterno corrente, equivalente al risparmio del resto del mondo;
Mi: importazioni di beni d’investimento;
Come si può notare, il risparmio complessivo deriva dall’aggregazione del
risparmio di famiglie, imprese e pubblica amministrazione, mentre
l’investimento è il risultato dell’acquisizione di beni capitale prodotti
internamente ed importati, cui si devono aggiungere le imposte pagate su
queste acquisizioni. Condensare la disposizione del reddito in una sola posta
contabile garantisce coerenza interna, vale a dire l’eguaglianza tra il valore
delle transazioni in entrata e il valore di quelle in uscita per ogni macro-agente
economico, e anche esterna, nel senso che il totale delle risorse è uguale al
totale degli impieghi per ogni categoria di transazione; tuttavia, in un tale
schema non vi è alcun cenno ai flussi attraverso i quali il risparmio giunge
all’investimento, mancando del tutto il canale finanziario e la distinzione tra
attività e passività (asset e liabilities). Vedremo che questa non è una
dimenticanza, ma il frutto di una scelta ben precisa.
56
Infine, bisogna precisare che la SAM proposta è soltanto una
rappresentazione del periodo in corso – tipicamente l’anno – ma non presenta
alcun riferimento allo stock di ricchezza accumulata nel passato, quindi non è
possibile trarne indicazioni circa la potenzialità del sistema economico di
investire risorse superiori a quanto risparmiato correntemente.
I servizi di intermediazione indirettamente misurati
Sempre in un’ottica intersettoriale, si può evidenziare il ruolo degli
intermediari finanziari, definiti come “assuntori di rischi per conto proprio”, i
quali acquistano beni e servizi come qualsiasi altro settore, e presentano un
autonomo valore della produzione: quest’ultimo, seguendo le convenzioni
contabili, può essere distinto in valore dei servizi misurabili direttamente, in
quanto esposti esplicitamente nei bilanci delle unità istituzionali, e i cosiddetti
SIFIM (Servizi di Intermediazione Finanziaria Indirettamente Misurati): se
non si inferisse l’ammontare di questi ultimi, il valore aggiunto del settore
intermediario sarebbe quasi sempre negativo. In precedenza questa posta
contabile era calcolata in aggregato come differenza tra redditi di capitale
degli intermediari e interessi passivi creditori, e successivamente considerata
come parte dei consumi intermedi di un settore fittizio, costruito ad hoc.
Attualmente, dopo le revisioni del SNA93, dell’OCSE e dell’UE, i SIFIM
vengono calcolati sulla base dei soli prestiti e depositi – escludendo quindi gli
impieghi di capitale proprio – e su base settoriale (bottom-up), secondo la
formula
SIFIM = ∑ j ( I j (C j ) − I j ( D j )) − r * ∑ j (C j − D j )
dove j indica il singolo settore, I (C) è l’interesse pagato sui crediti, I (D)
quello ricevuto sui depositi, r* il tasso di riferimento2, C e D rispettivamente
lo stock di crediti e depositi.
2
La metodologia adottata dall’ISTAT calcola un tasso “interno” ed uno “esterno”, distinguendo
secondo la residenza degli operatori finanziari. I due tassi sono una media ponderata dei tassi effettivi
applicati su operazioni interbancarie, vale a dire il rapporto tra la somma degli interessi (attivi e
passivi) e la somma di crediti e depositi.
57
Contestualmente, dato che i prestiti sono principalmente richiesti dalle
imprese e che i depositi sono prevalentemente detenuti dalle famiglie, si è
riallocato il valore dei SIFIM dal consumo intermedio alla domanda finale:
questo spostamento ha consentito una maggiore comparabilità internazionale,
indicando la destinazione di tali servizi – tanto più importante quanto più è
“finanziarizzato” il sistema economico – mentre non ha inciso in maniera
significativa sul PIL reale (in Italia la stima è dello 0,05% nel periodo 19802005).
La SAM derivante dalla riclassificazione dei SIFIM è illustrata di seguito:
Tabella 2: SAM con evidenziazione dei SIFIM
Imprese Intermediari Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale
Finanziari
Imprese
Intermediari
finanziari
SIFIMci
SIFIMci SIFIMdf
SIFIMdf
SIFIM
Famiglie
Governo
Risparmio
Resto del mondo
Totale
È importante sottolineare esplicitamente almeno tre aspetti:
-
alle famiglie è attribuita una quota di SIFIM che non si cumula alla
domanda finale, ma ai consumi intermedi: tale quota rappresenta i
prestiti per acquisto, manutenzione, ristrutturazione di abitazioni di
proprietà; in realtà, la contabilità nazionale classifica questi servizi
come produzione del settore fittizio “servizi della locazione”,
analogamente a quanto avviene per il conto “affitti imputati”, che
costituisce una stima del reddito derivante dal possesso e dall’utilizzo
di un’abitazione da parte di una famiglia, valutandolo come l’affitto che
avrebbe percepito qualora l’avesse locata a terzi. La matrice verrebbe
ridefinita con un ulteriore passaggio, come segue:
58
Tabella 3a: aggiunta settore fittizio
Servizi alla locazione
Intermediari
finanziari
SIFIM
Tabella 3b: riallocazione settoriale dei SIFIM
Imprese Intermediari Famiglie Governo Investimento Resto del mondo Totale
finanziari
Servizi alla
locazione
SIFIMci
SIFIMci SIFIMdf
SIFIMdf
SIFIM
Tale trattamento statistico-contabile ricalca a sua volta l’autoconsumo
da parte delle imprese non finanziarie:
-
dato che i SIFIM sono calcolati sulla base dei tassi di riferimento, la
moneta creata dalla Banca Centrale genererebbe un SIFIM molto alto,
dal momento che non vi è interesse corrisposto sulla moneta: includerla
nel
novero
degli
strumenti
finanziari
che
generano
SIFIM
comporterebbe un notevole aumento del PIL, se si pensa che viene
detenuta principalmente dalle famiglie a scopo di consumo immediato
o leggermente differito3. Il motivo per cui viene generalmente esclusa è
che generalmente la “produzione” della Banca Centrale viene
interamente “consumata” dal settore degli intermediari finanziari e che
quindi non costituisca altro che una partita di giro. Ancora più estremo
sarebbe invece il caso in cui la Banca Centrale finanziasse il debito
pubblico, in quanto si potrebbe dare il caso di SIFIM negativi, un
nonsense economico;
-
accanto ai SIFIM ci sono naturalmente tutti i servizi di intermediazione
che presentano un valore contrattuale ben definito e sono agevolmente
attribuibili a coloro che ne usufruiscono.
3
(Bournay et al., (1996) Financial Intermediation Services Indirectly Measured, Review of Income
and Wealth, v.42-i.4, pp. 453-472)
59
La Flow-Of-Funds matrix (FOF) e la Full-Integration Matrix (FIM)4
Quelli descritti in precedenza sono quadri intersettoriali – o, per meglio
dire, “interistituzionali” –
perché le transazioni avvengono tra agenti
economici e nulla si può evincere circa gli strumenti utilizzati per completare
tali scambi.
Tuttavia, è possibile esprimere la posizione finanziaria di ogni singolo
attore attraverso uno schema di tipo supply-use, come esemplificato di
seguito5:
Tabella 4: matrice FOF semplificata
Imprese
Salari
– Wnfb
Intermediari
finanziari
– Wfb
Profitti
+ FDnfb
– FUnfb
+ FDfb
– FUfb
+ Fhhs
Interessi
+ DINTnfb
+ BINTnfb
– LINTnfb
+ ∆Enfb
+ ∆Lnfb
+ LINTfb
+ BINTfb
– DINTfb
+ ∆Dfb
+ ∆Efb
– ∆Mfb
– ∆Bfb
– ∆Lfb
0
+ DINThhs
+ BINThhs
– LINThhs
+ ∆Lhhs
– ∆Mhhs
– ∆Dhhs
– ∆Bhhs
– ∆Ehhs
0
Variazioni
Totale
0
Famiglie
Governo
Totale
+ Whhs
– Wgov
0
0
– BINTgov
0
+ ∆Bgov
0
0
0
I pedici stanno ad indicare i soggetti cui vengono attribuite le voci:
nfb: imprese non finanziarie;
fb: intermediari finanziari;
hhs: famiglie;
gov: pubblica amministrazione;
mentre le lettere maiuscole rappresentano le tipologie di flussi:
W: salari;
FD: profitti distribuiti;
FU: profitti non distribuiti (autofinanziamento);
4
Questa sezione prende come riferimento il lavoro di Lavoie e Godley (cit.), di cui si renderà
pienamente conto più avanti
5
In realtà, la classificazione adottata è molto più complessa, come si può evincere dalla FOF della
Federal Reserve, la quale presenta il saldo attività/passività per ciascun agente:
http://www.federalreserve.gov/releases/z1/current/accessible/assets.htm, consultata il 9 dicembre 2011
60
DINT: interessi su depositi bancari;
LINT: interessi su prestiti bancari;
BINT: interessi su titoli di debito pubblico;
L: prestiti bancari;
D: depositi bancari;
E: titoli rappresentanti quote di imprese;
M: moneta;
B: titoli di debito pubblico
Il primo tratto distintivo di questa matrice è la presenza dei segni nelle
transazioni: infatti, per coerenza contabile ogni impiego di risorse finanziarie
presenta un segno negativo, mentre una fonte è contraddistinta da un segno
positivo. Questa convenzione non è tuttavia intuitiva, in quanto un aumento
delle attività finanziarie (ad esempio l’acquisto di titoli) è presentato con un
segno negativo: l’apparente contraddizione si dipana ricordando che in questa
esposizione ciò che realmente conta è distinguere tra resources e uses, vale a
dire tra origine e destinazione degli strumenti finanziari.
La seconda particolarità della FOF consiste nell’annullamento di tutti i
totali; mentre nella classificazione precedente (agenti in riga ed in colonna)
tale risultato sarebbe stato privo di senso, in questo caso in riga si pone
l’accento sul tipo di strumento utilizzato, e quindi risulta perfettamente
coerente assumere che durante un certo periodo di osservazione l’uso e la
destinazione di ciascuno strumento siano perfettamente equivalenti, e che il
saldo sia nullo: ad esempio, se in un anno sono stati acquistati beni in contanti
per 100€, vi saranno 100€ in meno nella disponibilità delle famiglie e 100€ in
più a disposizione delle imprese, che a loro volta possono averli depositati
presso le proprie banche o utilizzate per ripagare i propri fornitori, e dunque
distribuite nei vari settori. Tale ragionamento si estende anche ai totali delle
colonne, che rappresentano i vincoli di bilancio dei singoli agenti economici.
È necessario infine porsi il problema della valutazione di alcune poste
contabili particolarmente delicate, quali ad esempio il capitale fisico (che verrà
trattato più avanti), i titoli azionari, obbligazionari, derivati, e i crediti iscritti a
61
bilancio: in questa sede si opta per valutare il capitale tangibile al prezzo di
sostituzione e le attività finanziarie al prezzo di mercato. Per quanto concerne i
crediti – in particolare quelli commerciali – la questione è molto più
complessa, in quanto la valutazione è fondamentalmente soggettiva: un credito
può essere giudicato inesigibile dal creditore e quindi espunto, mentre
potrebbe sussistere ancora integro nel bilancio del debitore. Non è un caso che
nell’integrare tabelle di contabilità nazionale del reddito e dei flussi finanziari
compaiano delle voci di riconciliazione e di discrepanza statistica. Ad ogni
modo, quale che sia il grado di dettaglio raggiunto dai dati, esisterà sempre
una notevole area di incertezza e di approssimazione, anche nei mercati
finanziari, che pure dovrebbero essere i più monitorati, data la loro crescente
informatizzazione.
La FOF così congegnata manca però dei saldi di apertura e di chiusura,
elementi chiave, senza i quali sarebbe semplicemente un’identità contabile.
Analogamente ai bilanci privatistici, la situazione finanziaria va integrata con i
valori di inizio e fine periodo di osservazione, portando dunque ad una matrice
integrata del tipo stock-flow:
Tabella 5: FIM semplificata
Imprese
Intermediari
finanziari
NWfb-1
Famiglie
Governo
Totale
NWhhs-1
NWgov-1
K-1
– ∆Lhhs
+ ∆Mhhs
+ ∆Dhhs
+ ∆Ehhs
+ ∆Khhs
+ ∆Bhhs
+ CGEhhs
+ CGKhhs
NWhhs
– ∆Bgov
0
Saldo di chiusura
periodo precedente
Variazioni
da transazioni
NWnfb-1
– ∆Enfb
– ∆Lnfb
+ ∆Knfb
+ ∆Lfb
+ ∆Mfb
– ∆Dfb
– ∆Efb
+ ∆Bfb
Variazioni
da rivalutazioni
Saldo di chiusura
periodo corrente
– CGEnfb
+ CGKnfb
NWnfb
– CGEfb
NWfb
CGK
NWgov
K
Oltre alle voci già descritte nella precedente tabella, si aggiungono
NW: posizione finanziaria netta;
K: capitale tangibile;
CGE: rivalutazione del capitale finanziario;
CGK: rivalutazione del capitale tangibile;
62
La prima differenza fondamentale riguarda l’inversione dei segni: se
nell’ottica dei flussi un aumento dei prestiti contratti dalle famiglie risulta
essere una fonte di attività finanziarie e quindi presenta un segno positivo,
nell’ottica degli stock (o della ricchezza) non può che essere negativo, in
quanto incrementa le passività finanziarie. Ciò non è incoerente, dato che nel
primo caso adottiamo la prospettiva risorse/usi, nel secondo il discrimine è tra
attivo e passivo.
In secondo luogo, questa tabella rispetta sempre il principio della partita
doppia, ma da un altro punto di vista: mentre nella matrice input-output
intersettoriale – e di conseguenza anche nella SAM illustrata in precedenza –
le “entrate” e le “uscite” sono riferite al singolo agente economico (settore,
istituzione), nella FOF e nella FIM tale vincolo riguarda gli strumenti con i
quali vengono poste in essere le transazioni. Tuttavia, il capitale tangibile, pur
essendo un asset, non presenta una doppia entrata di identico valore e segno
opposto, in quanto viene considerato come l’unico saldo netto (net worth) del
sistema economico, considerato nel suo complesso. Si deve altresì sottolineare
che l’accumulazione di capitale tangibile non è più circoscritta alle imprese,
ma si estende anche alle famiglie, che investono tipicamente in immobili.
Infine, si deve precisare che nella voce “capitale tangibile” sono incluse
anche le scorte; queste ultime costituiscono un’eccezione, in quanto,
diversamente dal capitale tangibile che dovrebbe essere valutato al prezzo di
sostituzione, si presentano al costo di sostituzione: la valutazione di capitale e
titoli può essere fatta cioè ai reali valori di mercato, mentre le scorte, essendo
un insieme composito di semilavorati, materie prime e prodotti finiti, non
hanno una valutazione di mercato omogenea e ci si deve riferire al loro costo
complessivo.
Tutte le variazioni di ricchezza fin qui descritte avvengono tramite
transazioni, ma esiste al loro fianco anche una componente di rivalutazione,
che rende immediato comprendere la scelta del prezzo di mercato come
criterio valutativo; quest’ultimo infatti può determinare un cambiamento della
posizione finanziaria netta anche quando non accompagnato da una variazione
63
reale delle voci contabili: ad esempio, è il caso in cui il prezzo di azioni od
obbligazioni aumenta o diminuisce senza che vi sia stata un’emissione, quindi
a parità di quantità flottanti sul mercato. Ovviamente, questo discorso vale
anche per il capitale tangibile, come le bolle immobiliari hanno efficacemente
mostrato.
La Quadruple Entry Bookkeeping (QEB)
Gli schemi contabili esaminati finora poggiano sul principio della partita
doppia, e dunque adottano l’ottica del singolo agente economico, col suo
bilancio fatto di attività e passività. Ance qualora si analizzassero i saldi non
secondo il soggetto coinvolto negli scambi, bensì sul valore della transazione,
la conclusione non cambierebbe: tante transazioni attive, tante passive.
I sistemi economici analizzati però sotto un’ottica macroeconomica vedono
coinvolti una pluralità molto elevata di agenti; solitamente però le transazioni
avvengono tra due di essi, anche qualora siano coinvolti degli intermediari. Ne
consegue che ogni singola transazione – con pochissime eccezioni –
movimenta in realtà due conti della parte cedente e due conti della parte
cessionaria. Per questo durante i primi passi verso l’elaborazione della
moderna contabilità nazionale ha fatto capolino l’approccio della partita
quadrupla6 (QEB d’ora in avanti).
Esistono sostanzialmente due modalità espositive di questo quadro
contabile: la prima ricalca le tabelle di tipo FOF e FIM, mentre la seconda è
più complessa e difficile da rappresentare, a causa del suo quadro
intersettoriale (o interistituzionale).
Tabella 6: registrazione QEB dell’emissione di titoli di stato acquistati dalla banca centrale
Governo
Moneta
– ∆Mgov
Banca
Centrale
+ ∆Mcb
Titoli di Stato
+ ∆Bgov
– ∆Bcb
In questa tabella è rappresentata l’emissione di titoli di debito pubblico da
parte dello stato ed acquistati dalla banca centrale: come si nota, la transazione
6
La terminologia si deve a Copeland (1949)
64
riguarda titoli contro moneta, e da appunto luogo a quatto entrate contabili di
ammontare perfettamente identico.
Il sistema è in equilibrio contabile, perché ogni soggetto ed ogni strumento
utilizzato nella transazione presentano saldi nulli. Ciascun ulteriore scambio,
che può coinvolgere altri soggetti, darà luogo a quadruple entrate similari7.
La seconda modalità è sempre di tipo matriciale, ma a differenza delle
SAM e delle input-output dovrebbe essere tridimensionale, ossia presentare in
riga e in colonna gli stessi soggetti, ma suddividersi all’interno di ogni cella a
seconda del tipo di strumento transattivo:
Tabella 7: registrazione QEB di un acquisto intersettoriale con ricorso al prestito bancario
Settore primario
Settore primario
Settore
secondario
Banca
Settore
secondario
Qg
Banca
+ Lss (– Db)
M
Qs
In questa tabella è descritto sinteticamente il seguente processo: il settore
secondario acquista beni dal settore primario (Qg), e contemporaneamente
chiede un prestito alla banca (Lss), la quale lo concede, riducendo di un
identico ammontare i depositi (– Db), cedendo moneta (M) al settore primario
e fornendo al settore secondario il servizio di anticipo commerciale (Qs).
Naturalmente, per esprimere transazioni più complesse sarà più opportuno
ricorrere ad una matrice tridimensionale, del tipo riportato di seguito8:
Figura 1: Matrice tridimensionale degli scambi 3x3x3
7
Si veda Lavoie & Godley (2007), pp.52 e segg.
La notazione è mutuata da Postner, H. (1994) – A Historical Note on Quadruple-Entry Bookkeeping
– in Kenessey, Z. [ed.], “The Accounts of Nations”, IOS Press
8
65
Nell’esempio vi sono tre righe, tre colonne e tre piani: le prime e le
seconde si riferiscono ai settori, gli ultimi invece alle categorie di transazioni.
Un generico elemento sijk indica dunque una transazione di tipo k avvenuta tra
il settore creditore i e il settore debitore j.
A differenza della matrice in figura, è ragionevole supporre che molti
blocchi presentino entrate nulle, posto che il numero dei settori e delle
transazioni sia sufficientemente elevato – in altri termini, che vi sia una
discreta disaggregazione del sistema economico.
Excursus storico
Come si è più volte sottolineato, l’ottica matriciale adottata impone di
valutare ed attribuire correttamente gli scambi che avvengono in un certo
sistema economico, suddiviso in settori o agenti ben distinti che interagiscono
tra di essi. In questo schema la moneta funge ovviamente da unità di conto, in
quanto tutte le transazioni vengono misurate col metro monetario, ma
soprattutto è lo standard di riferimento per i pagamenti differiti: questo è
l’aspetto che distingue in sostanza le economie moderne – e i relativi dibattiti
– dai classici problemi della circolazione monetaria e della quantità di moneta
legata alle riserve di metalli preziosi. Si usa una moneta non per le sue
caratteristiche esogene, ma perché si sa – o si ritiene con ragionevole certezza
– che sarà accettata in scambi successivi, dunque distanti nel tempo. Non vi è
dunque un tentativo di stabilire una teoria del valore, ma solo la necessità di
dotarsi di un misuratore della ricchezza.
È altrettanto vero che nella storia del pensiero economico la riflessione
sulla moneta, anche quando discuteva di modelli astratti, ha fatto riferimento
in prevalenza a concrete modalità operative dei coevi sistemi istituzionali.
Questo è il motivo per cui gli schemi rappresentativi sopra citati non hanno
precedenti illustri tra gli autori economici “classici”: questi ultimi facevano
riferimento al periodo in cui vivevano, presentavano analisi, proposte e
soluzioni relative al meccanismo monetario della loro epoca e difficilmente
66
potevano immaginare quali e quante trasformazioni avrebbero mostrato in
seguito i mezzi di pagamento.
Per molto tempo, nonostante i vantaggi della carta moneta fossero già
evidenti e le cambiali venissero ampiamente utilizzate, chi si è occupato di
economia – si veda ad esempio Hume – non ha quasi mai messo in discussione
la necessità di avere un solido riferimento aureo, dunque esterno, alla moneta.
Accumulare moneta sotto questa forma era spesso considerato lo scopo ultimo
dell’attività economica e misura principe del benessere e della potenza di una
nazione.
Una prima critica al mercantilismo – che in questa sede coincide col
“metallismo” – è rinvenibile nell’apprezzamento di Adam Smith per la carta
moneta (“i biglietti circolanti delle banche e dei banchieri”), la quale
“sostituisce uno strumento di commercio molto costoso con un altro che lo è
molto meno e che a volte è altrettanto conveniente”.
Esaminando il funzionamento dell’economia scozzese, Smith notava che
grazie ai cash accounts (oggi diremmo “credito bancario allo scoperto”), ma
soprattutto alla prudenza di entrambe le parti – banca e debitore – si riduceva
il fabbisogno di metalli preziosi, tanto nella circolazione quanto nella riserva
bancaria necessaria a garantire il credito. La quantità di oro e di argento non
più necessarie per gli scambi potevano dunque essere impiegate per scopi
produttivi o altre finalità.
In ossequio al principio di prudenza, Smith elaborò quella che fu definita
real bills doctrine, ossia la necessità di emettere cambiali o biglietti bancari
solo se aventi rispettivamente merci e metalli preziosi come sottostanti, per
non svilire la moneta circolante e ingenerare crisi finanziarie.
Qualche anno dopo in Inghilterra si sospese temporaneamente la
convertibilità delle banconote, e di riflesso si innescò prima la famosa bullion
controversy e in seguito il dibattito tra currency school e banking school9.
In breve, la prima controversia smentiva la smithiana “teoria delle cambiali
reali”, sostenendo che la svalutazione delle banconote emesse dalla Bank of
9
Ingrao, B., Ranchetti F. (1996) – Il mercato nel pensiero economico : storia e analisi di un idea
dall'illuminismo alla teoria dei giochi – Hoepli
67
England fosse legata al tasso di sconto irrisorio, piuttosto che alla
sovraemissione, mentre Ricardo proponeva un ritorno alla convertibilità,
seppur in lingotti, invece che in moneta coniata, ma ipotizzava che, una volta
stabilito il tasso di conversione, sarebbe stato possibile utilizzare soltanto carta
moneta per gli scambi.
Nella seconda diatriba, anche questa poggiante sullo status giuridico delle
banche di emissione e del loro controllo, si trovano due posizioni innovative
su entrambi i fronti: in quello “metallista” Robert Torrens, seppur legato ad
una visione quantitativa ante litteram – banconote in rapporto alle riserve
auree e alla bilancia dei pagamenti – suggeriva di separare l’attività creditizia
da quella di emissione; dall’altra parte, Thomas Tooke e gli altri della scuola
“bancaria” adottavano una definizione molto ampia di “moneta”, arrivando ad
un abbozzo della definizione di moneta endogena, vale a dire la teoria secondo
cui la quantità di mezzi di pagamento in circolazione si adatta al livello dei
prezzi.
Una riflessione più articolata sul tema del credito e dei suoi meccanismi di
funzionamento si deve a Marx, che nel libro III10 del Capitale – in verità una
raccolta di scritti faticosamente riordinata da Engels – mostra una notevole
comprensione delle trasformazioni in atto nei mezzi monetari, assente invece
nel libro II, dove presupponeva che il denaro necessario alla circolazione delle
merci esistesse in forma monetaria nelle mani dei capitalisti, non
differenziandosi in questo da Quesnay, per il quale l’inizio del processo
circolatorio derivava dalle avances, ossia una generica disponibilità di capitale
anticipato, propedeutico al processo riproduttivo del sistema.
Bisogna però precisare che la sua prospettiva è pur sempre quella di un
uomo dell’Ottocento, perciò il denaro che può essere prestato trova
necessariamente un limite nel risparmio accumulato in precedenza; tuttavia,
nei suoi scritti vi sono alcune feconde intuizioni.
La prima è il riconoscimento che “la moneta, qualora venga ceduta in
prestito per ampliare, accelerare, modificare il processo produttivo, è in realtà
10
V sezione, Suddivisione del Profitto in Interesse e guadagno d’imprenditore. Il capitale produttivo
di interesse
68
capitale monetario, che produce un flusso di interessi per il detentore che lo
cede in prestito, flusso derivante dal possesso della moneta ceduta: il denaro in
tale sua prerogativa è già valore che in potenza si valorizza e che in questa
qualità viene dato in prestito, giacché il prestito rappresenta la forma di
vendita per quella particolare merce. Esattamente come la proprietà di un pero
è quella di produrre pere, così la proprietà del denaro è di produrre valore, di
dare interesse”. Tuttavia “cessione e rimborso del capitale prestato appaiono
come movimenti arbitrari, mediati da operazioni giuridiche che avvengono
prima e dopo l’effettivo movimento del capitale e non hanno con lo stesso
nulla a che fare”, rendendo il processo D-D’ un “feticcio automatico” e
l’interesse “una forma del tutto irrazionale del prezzo”. L’esistenza
dell’interesse spinge Marx ad illustrare il caso in cui un imprenditore senza
alcun capitale proprio ottiene in prestito l’ammontare dell’intero investimento:
in questa situazione il rapporto intercorre “tra due specie di capitalisti, il
capitalista monetario e il capitalista industriale o commerciale”; il flusso di
interessi richiesto dal capitalista monetario va dedotto dal plusvalore, e ciò che
ne rimane costituisce il reddito dell’imprenditore/commerciante, che in questo
caso estremo può essere assimilato verso il reddito da lavoro, almeno per la
comune natura: infatti esso dipende dall’attività concretamente svolta nel
processo produttivo, e dunque dall’aver prima di tutto reso capitale
effettivamente operante (“capitale reale”) ciò che altrimenti sarebbe stata
soltanto moneta, e infine dal fatto che “con il suo riflusso – trascorso il
termine – esso cessa di avere la sua funzione di capitale. Ma, come capitale
che non è più operante, deve essere nuovamente restituito a [colui] che non ha
mai cessato di esserne il proprietario dal punto di vista giuridico”.
In secondo luogo, Marx distingue nettamente credito commerciale e
credito bancario, ricorrendo anche ad una pletora di esempi coevi. Il credito
commerciale è quello in cui “il denaro funziona unicamente come mezzo di
pagamento, ovvero la merce non è venduta per denaro, ma dietro l’impegno
scritto di pagare ad una scadenza stabilita. […] Esattamente come questi
reciproci anticipi dei produttori e dei commercianti formano il fondamento
effettivo del credito, così il loro strumento di circolazione, la cambiale,
69
rappresenta la base per la reale moneta di credito, le banconote, ecc.”. In
questi passi riecheggia la dottrina delle cambiali reali, ma emerge il carattere
fiduciario della moneta-credito, che costituisce condizione necessaria e
sufficiente per il suo utilizzo come mezzo di circolazione. È nell’esaminare il
credito bancario che Marx illumina alcuni punti salienti – anche con
indicazioni contabili – dell’intermediazione finanziaria: scrive infatti che
“l’altro aspetto della natura del credito è legato allo sviluppo del commercio di
denaro, che nella produzione capitalistica procede naturalmente in maniera
parallela allo sviluppo del commercio di merci. […] Una banca da un lato
rappresenta la concentrazione del capitale monetario, ovvero di coloro che
concedono in prestito, dall’altro la concentrazione di quelli che prendono a
prestito. Il suo profitto sta in genere nel fatto che essa prende a prestito a un
tasso meno alto di quello con cui da in prestito”
11
. Non discostandosi
dall’identità tra risparmio e capitale prestabile, per Marx la concentrazione del
sistema bancario ha due conseguenze: da un lato “una massa minore di denaro
o di segni monetari compie lo stesso servizio”, dall’altro “il credito accelera la
metamorfosi delle merci e quindi la velocità della circolazione monetaria”.
Con questa identificazione tra concentrazione bancaria e velocità di
circolazione Marx sembra inserirsi nell’alveo della futura teoria quantitativa
della moneta, anche se va sottolineato che nello stesso libro III egli considera
il capitale monetario e quello industriale a volte complementari, a volte
sostituti, segno evidente della provvisorietà dei manoscritti. Per questo non si
approfondirà la questione, che verrà ripresa da Hilferding e Wicksell.
La terza questione su cui Marx fornisce forse le più interessanti e
lungimiranti analisi riguarda il mercato dei titoli di credito. Oltre a fornire un
elenco molto dettagliato delle modalità con cui si estrinsecavano già allora la
concessione e il godimento del credito, Marx mette l’accento sulla natura
fittizia, speculativa e meramente redistributiva delle loro variazioni di prezzo:
“questi titoli di proprietà, non solo valori statali, ma anche azioni, fanno sì con
il movimento autonomo del loro valore che sembrino rappresentare un capitale
11
Il differenziale secco tra interessi debitori e creditori è contenuto nella definizione contabile dei
SIFIM
70
effettivo insieme al capitale o al diritto sul capitale di cui sono appunto un
titolo giuridico. […] Il loro valore di mercato è differente dal loro valore
nominale, a prescindere dal mutamento di valore del capitale reale. […]
Essendo la diminuzione o l’aumento di valore di tali titoli indipendente dal
movimento di valore del capitale effettivo da essi rappresentato, la ricchezza
di un paese non cambia in seguito a questa diminuzione o aumento. […] Tutti
questi titoli in effetti sono soltanto una accumulazione di diritti, titoli giuridici,
sulla produzione futura, e il loro valore monetario, o valore capitale, non
rappresenta capitale, come per esempio trattandosi del debito pubblico, oppure
viene determinato in maniera affatto indipendente dal valore del capitale
effettivo da essi rappresentato.” Accanto alla distinzione tra capitale reale e
monetario ed alla natura giuridica del credito – di cui si è già dato conto –
emerge lo iato tra prezzo nominale e di mercato, quest’ultimo determinato
spesso dalle condizioni soggettive degli agenti che intendono scambiarlo. Tra
questi titoli troviamo anche quelli del debito pubblico, il quale “resta un
capitale solo immaginario, e allorché questi titoli di credito divenissero
invendibili verrebbe meno anche l’apparenza di esso”. Tutti questi titoli sono
al di fuori delle teorie del valore, essendo irrilevanti tanto il contenuto di
lavoro quanto il valore d’uso (l’utilità marginale, per usare termini
neoclassici), quest’ultimo proprio invece delle merci con le quali i titoli
possono essere scambiati, ma sulla base dei prezzi correnti e sul presupposto
fiduciario.
Ricordando poi l’accentramento delle funzioni di intermediazione
finanziaria in mano alle grandi banche, Marx conclude che la maggior parte
delle operazioni creditizie sono in realtà semplici partite di giro (giroconti) di
moneta-credito del tutto fittizia, funzionando le banche stesse come delle
clearing houses dove crediti e debiti si compensano reciprocamente, anche se
può accadere che detta compensazione non avvenga completamente oppure
abbia luogo con un notevole ritardo: le fluttuazioni delle attività commerciali e
industriali sarebbero quindi il frutto di variazioni speculative dei prezzi dei
titoli e di conseguenza delle aspettative circa i prezzi delle merci ancora non
prodotte, le quali fungono da sottostante per molti di questi titoli.
71
Riassumendo i limiti dell’esposizione e dell’argomentazione marxiana, è
degno di nota l’uso della perifrasi “segni monetari” quale “voce dal sen
fuggita”, in cui il rimando al cartalismo è evidente e sintomatico, e tuttavia
affiancato dall’idea che una quantità eccessiva di carta moneta implichi un suo
minor valore, e dunque rimandi alla moneta-merce.
L’avvento del marginalismo e del concetto di equilibrio in un mercato
pieno di agenti razionali massimizzanti lascerà alla moneta un ruolo
puramente neutrale, potendo essa influire soltanto sui prezzi. A questo
proposito, basterà citare Marshall12, con la sua proposta di separare la funzione
di scambio da quella di riferimento per pagamenti differiti: quest’ultima
sarebbe stata assolta da “uno standard ufficiale del potere d’acquisto
indipendente dalla valuta”, ossia un indice statistico dei prezzi stabilito da
un’autorità pubblica, da usare come base per contratti indicizzati, scopo dei
quali fosse quello di mantenere inalterato il potere d’acquisto ed evitare le
spiacevoli fluttuazioni legate alla speculazione sull’andamento futuro dei
prezzi; con terminologia moderna, un indice dei prezzi riferito ad un anno
base.
Alla fine dell’Ottocento arriva da Knut Wicksell la prima radicale critica
alla teoria quantitativa della moneta e alla sua presunta neutralità, contenuta
nel capitolo IX di Geldzins und Güterpreise (Interesse Monetario e Prezzi,
1898).
L’autore descrive un sistema ideale, dove gli imprenditori devono prendere
a prestito l’intera somma da anticipare per il processo produttivo13 da
intermediari – le banche – che svolgono la funzione di accentrare le
disponibilità monetarie in eccesso detenute dai capitalisti-risparmiatori: se
anche il risultato della produzione transitasse sui conti accesi dalle banche, il
complesso delle loro attività equivarrebbe a quello delle passività, perché la
cessione di un input intermedio sarebbe un’uscita dalla banca dell’acquirente
12
Remedies for Fluctuations of General Prices (1887); in questo articolo Marshall ripropone una
versione del Tabular Standard, che era stata oggetto delle riflessioni prima di Jevons e
successivamente di Fisher
13
È un espediente che richiama la teoria del fondo-salari, in cui il capitalista produttore deve
anticipare i mezzi di sussistenza per garantirsi le prestazioni della forza-lavoro e per procurarsi gli altri
input necessari alla produzione
72
ed un’entrata nella banca del fornitore. Di questi aggregati contabili farebbero
parte anche il profitto d’impresa (aleatorio) ed il flusso di interesse
(contrattualmente stabilito). Tutti gli scambi intercorrenti nel sistema
economico ideale diverrebbero così dei semplici giroconti, tali che al limite la
moneta metallica potrebbe non intervenire affatto: “nel caso estremo, si può
supporre che le banche aprano un credito di ammontare K all’imprenditore;
che l’imprenditore paghi i lavoratori ecc., tramite prelievi dal proprio conto
corrente; che detti prelievi servano anche per pagare merci, e che quindi
finiscano nelle mani dei capitalisti venditori; e che infine ritornino alle banche,
incrementando i relativi crediti dei capitalisti nei loro confronti”.
La teoria quantitativa della moneta viene considerata quindi un caso
particolare, in cui “se si usa soltanto moneta metallica, le banche non sono in
grado – in condizioni normali – di concedere in qualunque momento l’intero
ammontare di moneta richiesto”. In presenza di credito, invece, la moneta “è
elastica nel suo ammontare. La sua quantità può essere aggiustata – e in un
sistema di credito completamente sviluppato l’aggiustamento è totale – a
qualsiasi livello della domanda”.
Ci troviamo dunque di fronte ad un rovesciamento della prospettiva
monetaria prevalente, in cui l’unico limite alla creazione di moneta-credito è la
solvibilità del mutuatario. Nella realtà, e cioè in sistemi dove moneta metallica
e credito convivono, la velocità di circolazione e il lasso di tempo
intercorrente tra due pagamenti successivi sono inversamente correlati, dunque
utilizzare una minima quantità di moneta per effettuare una considerevole
quantità di transazioni permette di ottenere quei vantaggi che già Smith aveva
evidenziato nella sua descrizione del sistema scozzese, fermo restando che una
parte di liquidità sarà sempre detenuta dagli agenti economici,
vuoi per
regolare pagamenti differiti, vuoi per costituire un fondo contro i rischi
derivanti da imprevisti.
Inoltre, per Wicksell il credito può ben esistere anche in assenza di moneta,
vale a dire in un sistema di baratto: si ipotizza che le merci-capitale con cui si
inizia il processo produttivo vengano prese in prestito e che output ed input
siano omogenei, in modo da definire il tasso di interesse naturale come quello
73
che non modificherebbe i prezzi, nel caso si passasse ad un’economia
monetaria. In realtà il tasso di interessa naturale misura l’eccedenza di
prodotto sull’input, rapportata all’input stesso, grandezze entrambe misurate in
termini fisici, mentre il tasso risulterebbe un numero puro14.
Il resto dell’analisi intende illustrare gli effetti dell’interesse – e soprattutto
delle discrepanze tra tasso naturale e monetario – sui prezzi e sulle variabili
distributive, e dunque in questa sede interessa meno, mentre invece risultano
importantissime due considerazioni: in primo luogo, il processo economico è
sequenziale, si svolge cioè nel tempo, e la sua dinamica è scandita dai flussi
monetari che intercorrono tra i suoi agenti; secondariamente, il credito è un
catalizzatore degli scambi logicamente anteriore alla moneta perché ha a che
fare con il profilo temporale dei pagamenti, prima ancora che con il loro
valore; tuttavia, se esiste anche la moneta, allora essa diventa il metro con cui
il credito e anche il saggio di interesse vengono misurati.
Wicksell ha anche fornito una spiegazione del legame che intercorre tra
credito e disequilibrio, con argomentazioni che in parte verranno riprese nella
teoria austriaca dell’interesse: una maggiore disponibilità di credito induce un
più alto livello di investimenti, cui segue un aumento del processo produttivo e
quindi diverse alterazioni dei rapporti tra beni di consumo e beni capitale,
compreso un aumento dei prezzi dei fattori usati dai settori più “a monte” del
sistema economico. Tuttavia, tale teoria manca di solide basi empiriche –
inevitabili, dato il carattere esplicativo impressole – oltre che di alcune
limitazioni: una sottolineata da Sraffa, il quale obietta che, seguendo la teoria
austriaca, un aumento del credito viene in realtà assorbito dai maggiori
investimenti e dalla dinamica inflativa nei fattori utilizzati nei settori più
lontani dal consumo finale, quindi non è chiaro da dove arriverebbe
l’incremento salariale a sostegno della domanda e dunque a chiusura del ciclo;
la seconda di Blaug, che ritiene il processo descritto dalla scuola austriaca
verificato solo in assenza di qualunque progresso tecnico, perché in caso
14
Questa ipotesi semplificatrice è però gravida di conseguenze, infatti Sraffa ne utilizzerà una molto
simile sia nella sua critica ad Hayek (il commodity rate of interest) sia in Produzione di merci a mezzo
di merci al fine di esprimere il saggio di sovrappiù come un numero puro e utilizzare la merce-tipo
come numerario
74
contrario il valore non dipenderebbe principalmente dal tempo di produzione,
bensì dal modo.
Un’opera ricca invece di dettagli ed analisi puntuali sui meccanismi del
credito e delle loro conseguenze sul capitalismo, oltre che di dettagli ed
indicazioni contabili, è Das Finanzkapital (Il Capitale Finanziario, 1910) di
Rudolf Hilferding, uomo politico ed economista tedesco che ci ha lasciato una
teoria monetaria molto approssimativa – ispirata alle teorie marxiste – e
duramente criticata dai marxisti stessi, ma una descrizione della prassi
finanziaria lungimirante e sufficientemente precisa.. Hilferding parte
constatando che la funzione di numerario della moneta è in realtà meno
importante di quella circolatoria, negli scambi infatti “il venditore diventa
creditore, il compratore debitore. Il denaro, da questa dissociazione tra vendita
e pagamento, riceve una nuova funzione: diventa mezzo di pagamento […] Il
venditore ha dato la sua merce senza essersi assicurato il suo equivalente
socialmente valido, il denaro, o altra merce di uguale valore, che avrebbe reso
superfluo il denaro in quell’atto di scambio. […] Contrariamente alla carta
moneta a corso forzoso, che nasce come prodotto sociale della circolazione, il
denaro creditizio è garantito non dalla società, ma da privati, e deve perciò
essere sempre tramutabile in denaro. […] Su questo dato di fatto, che la
cambiale obbliga solo privati, mentre i biglietti di stato obbligano la società,
poggia la diversa possibilità di svalutazione. […] La somma dei biglietti di
stato […] può essere svalutata o sopravvalutata solo nella sua totalità, e una
sua svalutazione riguarda allo stesso modo tutti i membri della società. […]
Una cambiale può anche diventare assolutamente priva di valore, ma priva di
valore può divenire solo la cambiale del singolo, e la svalutazione colpisce
sempre e soltanto un altro singolo, le cui obbligazioni non vengono, ad ogni
modo, alterate”.
In questo primo passaggio vanno sottolineati due aspetti: in primo luogo, la
funzione sociale del denaro deriva da connessioni sociali già esistenti, senza le
quali non si potrebbe estrinsecare; secondo, si nota la diversa natura del
credito commerciale e della moneta fiat, che rimanda alle diatribe
ottocentesche sul signoraggio e lo svilimento monetario, ma da una
75
prospettiva del tutto moderna, nella quale sussiste un impegno di tipo giuridico
– un’obbligazione – che coinvolge tutta la società che adotta quella particolare
moneta, società che risulta danneggiata o beneficiata nel suo complesso. È per
questo che secondo Hilferding i biglietti di stato possono subire un effetto di
contagio, mentre le cambiali no: su questo punto l’autore non immagina – e
come potrebbe? – che un elevato grado di interdipendenza finanziaria può
causare svalutazioni generalizzate delle tratte, pur vivendo in un periodo molto
simile all’attuale “globalizzazione”.
Il credito commerciale rimane dunque un’obbligazione bilaterale, o
comunque non universale, e “le banche intervengono nel caso in cui la vendita
delle merci, condizione della circolazione cambiaria, ristagni per una qualsiasi
ragione. […] In questo caso, le banche non fanno che integrare e perfezionare
il credito bancario”. La distinzione tra credito bancario e commerciale rimanda
direttamente a Marx, ma non solo, in quanto anche in tema di concentrazione
del denaro disponibile Hilferding si ritrova sulle stesse posizioni: “con la
concentrazione dei pagamenti in uno stesso luogo si sviluppano naturalmente
particolare strutture e metodi per il loro saldo. Tali, ad esempio, i Virements
nella Lione medievale. Le richieste di credito hanno solo bisogno di venir
confrontate fra loro per neutralizzarsi a vicenda, entro un certo limite, come
grandezze positive e negative. In tal modo resta da saldare solo una bilancia
del credito”. Qui l’autore descrive con un esempio una clearing house nella
quale il fabbisogno di moneta è drasticamente ridotto, dovendosi monetizzare
soltanto i saldi risultanti, ma di seguito avverte che “con lo sviluppo del
sistema bancario, che comporta l’afflusso nelle banche di tutto il denaro
inutilizzato, il credito bancario si sostituisce al credito commerciale, nel senso
che le cambiali circolano […] nella loro nuova forma di banconota. Le
compensazioni della bilancia monetaria avvengono ora nella sfera e sotto il
controllo delle banche, il che costituisce una facilitazione tecnica che consente
l’ampliamento della cerchia dei possibili clearings e riduce ulteriormente la
quantità di denaro contante richiesta”.
Si badi bene che il credito bancario viene qui indicato come sostituto del
credito commerciale, ma precedentemente è stato indicato come complemento
76
o catalizzatore: vale a dire che la funzione delle banche dipende dalle
trasformazioni in atto nel sistema economico; il successivo passo descritto da
Hilferding è descritto come segue: “Il credito industriale in conto corrente è la
pietra angolare di tutti gli affari tra banca e industria. Attività di fondazione e
di emissione della banca, sua compartecipazione diretta a imprese industriali e
partecipazione – mediante rappresentanza nel Consiglio di Amministrazione –
alla direzione di aziende industriali sono in stretto rapporto di causa ed effetto
con il credito bancario.”
E continua: “L’industria contemporanea si regge, in altre parole, su un
capitale molto maggiore del capitale complessivo di proprietà dei capitalisti
industriali. […] La subordinazione dell’industria alle banche è quindi
conseguenza dei rapporti di proprietà. Una parte sempre crescente del capitale
dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a
disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i
proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare
nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi
quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel
capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal
modo, effettivamente trasformato in capitale industriale.”
La banca amplifica il credito tanto sincronicamente (rendendolo
disponibile per più soggetti) che diacronicamente (dilatandone il tempo di
restituzione), ma per fare ciò “le banche che hanno la funzione della vera e
propria concessione di credito, a differenza delle semplici banche-depositi
debbono disporre di ingenti capitali”15.
Un’ulteriore constatazione circa il credito industriale concerne quello che
oggi chiameremmo il merito di credito: “Nel processo Denaro – Mezzi di
produzione […] il credito può avere una più vasta funzione: i mezzi di
produzione acquistati sono destinati ad essere valorizzati; il denaro speso per
acquistarli è stato solo anticipato dal capitalista; esso deve tornare a lui, alla
fine del periodo di circolazione, e a lui torna infatti, aumentato, ove il decorso
15
L’autore porta ad esempio due banche inglesi con rapporto tra capitale proprio e massa fiduciaria
pari al 4.38 %
77
sia normale. […] Questo è il presupposto del credito di produzione: il denaro
viene prestato soltanto a chi lo spende al fine di recuperarlo.”16 C’è da dire che
l’autore prevede un sempre maggiore coinvolgimento delle banche nel capitale
industriale, nonostante questo sia estremamente più rischioso della
speculazione sui mercati borsistici: in ciò è probabilmente guidato dalla
conoscenza dell’esperienza tedesca, con la banca a fungere da incubatrice per
tutti i settori industriali.
L’ultimo argomento di cui Hilferding illustra anche aspetti contabili è
l’attività di emissione da parte delle banche, inserita nel più generale tema del
mercato dei titoli: “la banca può collocare buona parte delle sue emissioni
presso i propri clienti […] La richiesta di emissione rivolta alle banche
aumenta di pari passo con lo sviluppo dell’industria. […] I capitali possono
essere messi a disposizione delle imprese solo se si trovano concentrati nelle
banche, alle quali spetta dunque il compito di provvedere a questa raccolta di
distribuzione senza turbare il mercato monetario. Le banche possono svolgere
la loro funzione solo se i capitali che esse cedono rientrano rapidamente,
oppure se le vendite vengono soltanto annotate sui registri, senza intervento di
denaro. Quest’ultimo caso si presenta quando le azioni vengono acquistate
dagli stessi clienti della banca: il denaro che deve essere pagato da costoro
viene sottratto dai loro depositi bancari, riducendo il passivo”.
Anche in questo inciso l’autore ricorda come anche la trasformazione –
apparentemente complessa – della banca in società per azioni possa essere
effettuata senza movimentazione di denaro, poggiando unicamente sui depositi
dei propri clienti, in sostanza con un giroconto tra attività e passività. In tale
fase la banca esprime tutto il suo potenziale, assurgendo a ganglio vitale del
capitalismo, intensificando concentrazione ed internazionalizzazione.
Nelle stesse pagine, si prosegue con un’analisi piuttosto puntuale delle
borse, luoghi dove avviene “un fenomeno puramente economico di
redistribuzione della proprietà privata, senza alcuna influenza sulla produzione
o sulla realizzazione del profitto”, concezione che risulta abbastanza ingenua,
16
Kalecki esprimerà quest’idea con il suo celebre motto “The workers spend what they get, the
capitalists get what they spend”
78
se paragonata alla modernissima descrizione dei meccanismi speculativi, di
leverage e dei conti di compensazione (clearing), questi ultimi ancora una
volta visti come il principale modo per risparmiare denaro e chiudere in
equilibrio gruppi sempre più grandi di transazioni.
Per concludere con Hilferding, si può certamente affermare che le sue
conoscenze non mediate del mercato finanziario ne fanno un attento
osservatore ed anche un raffinato analista, tuttavia la sua opera non assurge
alla completezza teorica che era lecito aspettarsi, ma questo è un limite che
anche Marx non ha saputo superare, e che probabilmente non ha molto a che
fare con l’epoca in cui gli autori sono vissuti, riguardando piuttosto delle
difficoltà oggettive nell’elaborare una “teoria finanziaria” coerente, ben
sapendo che i mercati sono fatti da agenti in carne ed ossa, e che quindi sia
molto difficile prevederne le reazioni. Rimangono tuttavia molto preziose le
indicazioni contabili disseminate in tutta l’opera dell’ex ministro tedesco.
Nei primi anni del Novecento il colonialismo delle potenze europee – con
il tardivo inserimento degli Stati Uniti – perfeziona una sorta di
globalizzazione ante-litteram, vale a dire espande fino al massimo possibile
per l’epoca la dimensione dei commerci e degli scambi finanziari; in breve
tempo le tensioni si acuiscono e scoppia la Prima Guerra Mondiale, seguita in
rapida successione dal dramma delle riparazioni ottusamente imposte alla
Germania (sulle quali Keynes scriverà il pamphlet The economic
consequences of the peace), dalla depressione economica originatasi negli
Stati Uniti, dall’affermarsi dei regimi totalitari, per culminare nel secondo
conflitto mondiale.
Il gold standard e la teoria quantitativa della moneta non sembrano in
grado di interpretare né di emendare quanto sta accadendo, tanto che
emergono – anche in seno al pensiero economico prevalente – delle teorie e
delle proposte pratiche quasi del tutto inedite: tali sono ad esempio la moneta
ad interesse negativo, caldeggiata prima da Silvio Gesell, poi da Irving Fisher,
e anche i MEFO di Hjalmar Schacht, ministro e banchiere centrale del
governo hitleriano. Nel primo caso, si tratta di una versione moderna della
dottrina delle cambiali reali, in quanto la ratio sottostante le proposte è quella
79
di penalizzare la ritenzione di moneta rendendola “deperibile”, allo stesso
modo delle merci che la moneta stessa permette di acquistare, con l’obbligo di
apporvi periodicamente un bollo finalizzato a mantenerne inalterato il valore
facciale. Con questo sistema si ritiene che aumenti la velocità di circolazione
della moneta e quindi ne occorra una quantità inferiore per sostenere gli
scambi.
Per quanto riguarda invece Schacht, i MEFO erano delle cambiali garantite
dallo stato, emesse dalle imprese e dalle altre unità produttive, il cui unico
rischio – analogamente a quello bancario della riserva frazionaria – era che
venissero riscontate massicciamente e contemporaneamente presso la
Reichsbank, cosa che di fatto non avvenne, grazie alla fiducia nutrita dagli
agenti economici verso questi mezzi di pagamento: infatti, i MEFO
circolarono tra gli industriali fungendo da conti di compensazione,
alimentando l’occupazione e impedendo l’innescarsi di dinamiche inflattive,
che sarebbero state inevitabili qualora si fosse stampata moneta o la si fosse
presa in prestito17.
Keynes mostrerà di conoscere bene queste due proposte eterodosse:
riguardo la prima, oggi diremmo che la teoria della preferenza per la liquidità
(moneta come riserva di valore) è un esempio di finanza comportamentale,
perché indaga le motivazioni individuali nella detenzione di moneta, ed è
proprio questo che manca a Gesell, secondo lo stesso Keynes18.
Relativamente a Schacht, Keynes riconosce l’utilità di “rinunciare ad una
moneta con validità internazionale e rimpiazzarla con l’ammontare dello
scambio, non tra individui, bensì tra unità economiche differenti”, e ipotizzerà
un sistema molto simile nella sua proposta di International Clearing Union:
creare una “stanza di compensazione” per gli scambi internazionali, senza
17
Si narra che un banchiere americano in visita in Germania avesse detto: “Signor Schacht, dovreste
venire negli Stati Uniti. Là abbiamo moltissimo denaro, e questo è il vero modo per gestire un sistema
bancario”. E Schacht avrebbe risposto: “Dovreste venire a Berlino. Là non abbiamo denaro, ed è
questo il vero modo di guidare un sistema bancario”.
18
Nella General Theory, Keynes scrive che Gesell “ha costruito solo una semi-teoria del tasso
d’interesse”, e che “se alla moneta viene tolto il premio per la cessione di liquidità dal sistema dei
bolli, una lunga serie di sostituti ne prenderebbe il posto”.
80
utilizzare moneta, ma semplicemente adottando un partitario scritturale, con le
banche centrali nazionali a garantirsi i saldi reciproci19.
A guerra terminata, l’orientamento “produttivista” della contabilità
nazionale non monopolizza più l’elaborazione statistico-economica, come
dimostra l’assoluta disomogeneità delle classificazioni adottate in seno alle
Nazioni Unite da due comitati incaricati di redigere rispettivamente uno
schema di contabilità finanziaria e uno di conti nazionali. Richard Stone, uno
dei “padri” della contabilità nazionale, riconosceva apertamente che
l’evoluzione dei differenti schemi contabili (conti nazionali, input-output,
conti finanziari e stati patrimoniali) era avvenuta in “forme distinte e solo
parzialmente collegate”, tanto da potersi ritenere – in sintonia con Della Torre
(2000) – che lo iato esistente tra conti nazionali e finanziari fosse il risultato di
diverse impostazioni teoriche, non di metodologie o sistemazioni statistiche: il
sistema NIPA (National Income and Product Account) si era sviluppato per
monitorare e programmare lo sforzo bellico, quindi nel calcolo del valore
aggiunto il settore pubblico non produce per il mercato, e l’ammortamento del
capitale fisico non viene tenuto in considerazione, ritenendo potersi rimandare
questo problema alla fine della guerra.
Tuttavia, nell’immediato secondo dopoguerra erano emersi approcci
alternativo alle identità contabili keynesiane, senza che il System of National
Account (d’ora in avanti SNA) del 1953 ne tenesse conto, salvo poi tentare di
incorporare parte di questi contributi qualche anno dopo, nel SNA68:
Meiselman descriveva “una proliferazione di schemi di contabilità finanziaria
in cerca di teoria”, di cui si darà brevemente conto.
Morris Copeland propone di guardare ai sistemi economici con l’ottica dei
Moneyflows (MF), una terminologia mutuata dal memorandum di Richard
Stone alle Nazioni Unite, intendendo dare risposta “a domande come queste:
Quando il totale degli acquisti o del prodotto nazionale aumentano, da dove
proviene la moneta per finanziarli? Quando declinano, cosa accade alla
moneta non spesa? È trattenuta, o cos’altro? Chi possiede ed esercita il potere
19
Una versione leggermente differente dal Piano Schumacher, dove la compensazione dei saldi si
sarebbe realizzata tramite emissione o riacquisto del debito pubblico, e contestuale partecipazione proquota dei paesi in avanzo al National Clearing Fund, l’equivalente dell’ICU keynesiana.
81
discrezionale di aumentare o ridurre la spesa? Che ruolo hanno il contante, le
altre forme di liquidità e i debiti nel ciclico espandersi e contrarsi dei flussi
monetari?”
L’autore sottolinea che “i MF emergono al di fuori delle transazioni”,
dunque possono essere ricostruiti ed analizzati solo se i soggetti coinvolti li
registrano. Qualora ciò venga fatto, si prestano però ad una comoda
presentazione in forma finanziaria (totale entrate = totale uscite): “La
preparazione e l’interpretazione del complesso delle statistiche economiche in
forma finanziaria è una procedura nota come contabilità sociale”.
I MF vengono definiti come “origini e destinazioni della moneta, che sono
esterne alle transazioni e che coinvolgono due soggetti transanti. […] Dal
momento che [i MF] coinvolgono due soggetti transanti, l’approccio della
contabilità sociale poggia non su un sistema di partita doppia, ma di partita
quadrupla”.
La prospettiva contabile proposta continua ad essere intersettoriale20, ma è
differente dalla contabilità del reddito nazionale, in quanto implica
-
l’adozione del principio di cassa: la registrazione avviene in
concomitanza col flusso monetario, con la rilevante eccezione del
credito, che invece è registrato al momento in cui insorge
l’obbligazione. Dovrebbero dunque essere contabilizzati anche i flussi
monetari relativi a compravendite di beni usati, mentre sarebbero
escluse le poste contabili imputate, come svalutazioni, rivalutazioni,
perdite su crediti, ecc.;
-
la rilevazione dei saldi, di apertura e chiusura, tra flussi in entrata e in
uscita21;
-
il raccordo tra conti reali e finanziari: quando i flussi monetari entranti
ed uscenti non si equivalgono, il saldo è capacità (surplus) o
fabbisogno (deficit) in termini finanziari, che chiude i MF ed apre le
attività/passività finanziarie;
20
Copeland auspica anche una maggiore disaggregazione del settore pubblico, trattando cioè
separatamente ciascun livello in cui si articolano le istituzioni governative.
21
Nel sistema NIPA (National Income and Product Account) la chiusura avviene tramite l’identità
Risparmio-Investimento in termini reali.
82
-
la disaggregazione delle transazioni finanziarie su basi lorde: con
questo approccio i MF possono essere anche molto maggiori del reddito
nazionale.
Tutto questo apparato contabile presuppone però un elevato grado di
armonizzazione e di standardizzazione che non dipende solo dalla raffinatezza
statistica, in quanto “spesso è necessario stimare una voce di debito
ricavandola da una voce di credito. Esistono tre tipi di discrepanze che vanno
tenute in conto:
1. quelle dovute al momento in cui entrano nei conti;
2. quelle dovute alla valutazione dei fondi mutuabili;
3. quelle dovute alla classificazione contabile.”
Rimangono dunque insormontabili problemi di valutazione soggettiva – e
perciò spesso non simmetrica per i soggetti coinvolti – di poste contabili
relative alla concessione di credito o altri titoli diversi dalla cessione di moneta
contante.
Quanto al ruolo degli intermediari finanziari, Copeland rifiuta di
considerare le banche creatrici di moneta per il sistema complessivamente
inteso, e quindi generatrici di inflazione, tuttavia esse “partecipano in misura
rilevante ai flussi monetari che passano da un settore non bancario ad un altro.
Infatti, sembra opportuno dire che le banche sono il tramite per una parte
sostanziale di tali flussi”. Effettivamente, i vincoli contabili che valgono per
l’intera economia non riguardano ciascun agente economico singolarmente
considerato, il quale “ha più o meno discrezionalità non solo nell’espandere le
sue spese consuete, ma anche nel ridurle ed aggiungerle al suo saldo netto
mutuabile.” È proprio a Copeland che dobbiamo la distinzione tra agenti
“orsi” (accumulatori, tesaurizzatori), “tori” (inclini all’indebitamento come
fonte di finanziamento) e “pecore” (passivi): l’autore si serve di questa
83
terminologia per suddividere i settori economici secondo la loro posizione
finanziaria netta, e tramite questa si propone di analizzare il ciclo economico22.
Mentre il contributo di Copeland meriterà diversi riconoscimenti – seppur
tardivi – fino a costituire un’indispensabile base concettuale per l’architettura
contabile utilizzata dall’International Monetary Fund, decisamente più
nell’ombra
rimane
invece
l’elaborazione
della
cosiddetta
“scuola
scandinava”23, che muove i suoi primi passi con Ragnar Frisch in Norvegia ed
Erik Lindahl in Svezia. Gli autori che man mano verranno annoverati in questa
scuola si contraddistinguono per il loro sforzo di elaborare un dettagliato
quadro contabile delle nazioni al fine di supportare decisioni di politica
economica in tempo di pace, a differenza di quanto avvenuto nel mondo
anglosassone, dove l’elaborazione contabile e statistica era finalizzata al
supporto dello sforzo bellico prima e alla riconversione poi.
Frisch, attivo fin dal 1920, tuttavia poco tradotto ed apprezzato al di fuori
del suo paese, spingeva per un’assiomatizzazione dei concetti utilizzati nella
contabilità nazionale; ciò che conta, per Frisch, sono le relazioni tra le
variabili: una volta stabilita la struttura logica, l’attribuzione dei dati ad una
posta contabile piuttosto che ad un’altra è del tutto marginale.
In secondo luogo, proponeva una netta separazione tra circolazione reale e
finanziaria, in relazione alla natura dei flussi: gli oggetti reali sono quelli che
avrebbero un’importanza economica anche qualora non esistessero diritti di
proprietà, gli oggetti finanziari possono invece essere definiti solo se
coinvolgono un debitore ed un creditore. Questa distinzione è rilevante anche
relativamente ai beni capitale, che vengono in tal modo distinti dai diritti di
proprietà su di essi.
Infine, Frisch sottolineava che “una transazione (micro-fenomeni, microflussi) è qualcosa che accade ad un oggetto economico. […] I flussi (macroflussi) sono insiemi di transazioni”. Vedremo come questo legame micromacro sarà un tema dei successivi dibattiti di contabilità nazionale.
22
Copeland aveva in precedenza condotto uno studio per la Federal Reserve seguendo i dettami di
Irving Fisher, successivamente fu influenzato dal lavoro di Mitchell all’NBER, e dunque la riflessione
teorica prima e statistica poi erano ben differenti dal milieu keynesiano dominante in quegli anni.
23
Si veda Aukrust, O., The Scandinavian Contribution to National Accounting, in Kenessey, Z. [ed.]
(1994), The Accounts of Nations, IOS Press
84
Frisch ci ha anche fornito uno schema di flusso circolare (Eco-circ graph)
in cui i flussi reali rimangono ben distinti da quelli finanziari, schema che
tuttavia non è intersettoriale, in quanto mancavano dati sufficienti alla sua
stesura.
Erik Lindahl è invece stato definito da Hicks “il padre della contabilità
sociale”, per via del suo impegno profuso nella raccolta, elaborazione e
compilazione dei dati di contabilità nazionale relativi alla Svezia. In questa
sede interessa principalmente la sua distinzione funzionale tra “imprese”, che
svolgono funzioni produttive e detengono il capitale reale, e “famiglie”, che
possiedono le imprese, nel senso che ne detengono il capitale finanziario:
dunque una parte del loro reddito deriva dalla cessione di lavoro, e un’altra
consistente parte – che si presenta principalmente sotto forma di interessi e
dividendi – è dovuta al capitale finanziario, al fatto cioè di possedere
giuridicamente le imprese produttive. Questa tassonomia si estende anche agli
investimenti diretti esteri, considerati in ogni caso come capitale finanziario24.
Un sistematico tentativo di sintesi di tutti questi contributi è rinvenibile in
Aukrust, secondo il quale “per attività reali, o capitale reale, intendiamo
edifici,
macchinari,
stock
di
materie
prime,
oro,
ecc.,
decidendo
convenzionalmente in quale misura includervi beni personali (vestiario,
mobilio, ecc.) e i beni pubblici (parchi, armamenti, ecc.). Attività reali e
servizi (nel senso consueto del termine), insieme considerati, saranno definiti
oggetti reali.
Per attività finanziarie, o oggetti finanziari, intendiamo obbligazioni e
diritti di proprietà di qualunque tipo, inclusi in un documento o meno. Quindi,
banconote, depositi bancari, bond, mutui immobiliari, obblighi fiscali,
promesse di pagamento, sono tutti oggetti finanziari”, azioni incluse. La
distinzione tra capitale reale e diritti su di esso non è banale, in quanto
permette
“di
descrivere
un
attività
reale
come
se
appartenesse
continuativamente ad un settore, mentre la corrispondente attività finanziaria
può essere trasferito da un settore all’altro”.
24
Ohlsson si spingerà più avanti, considerando il salario non come remunerazione del lavoro,
piuttosto come un trasferimento di valore aggiunto sotto forma di potere d’acquisto, esattamente come
Lindahl attribuiva i flussi di reddito di capitale alla titolarità di quest’ultimo.
85
A sua volta, la definizione di “settore” fornitaci dall’autore passa attraverso
“un elenco di oggetti reali e finanziari detenuti e la descrizione delle attività di
produzione e consumo che avvengono al suo interno, elencando altresì i fattori
di produzione”, risultando quindi più ampia e generale di quella proposta da
Stone (“aggregazione di unità contabili”), se non altro perché quest’ultima si
scontra con la molteplicità di attività economiche che ciascuna componente
del settore può svolgere25.
Gli oggetti servono a definire anche le transazioni, essendo “spostamenti
di un oggetto reale o finanziario da un settore all’altro”, e quindi saranno
anch’esse distinte in reali e finanziarie. Inoltre, raggruppando le transazioni
che riguardano lo stesso tipo di oggetto avremo dei flussi, che saranno
intersettoriali o intrasettoriali, a seconda che abbiano luogo rispettivamente
tra due settori o all’interno del medesimo. Infine, se ad una transazione (o il
relativo flusso) ne corrisponde un’altra in direzione opposta essa è “requited”
(reciproca, bilaterale), altrimenti siamo in presenza di un trasferimento: le
prime possono essere entrambi reali (baratto), miste (compravendita di merce
contro moneta) o finanziarie (compravendita di titoli), mentre per quanto
riguarda le seconde è interessante notare come “i pagamenti di interessi e
dividendi sono sempre trasferimenti, dal momento che non vi sono pagamenti
per servizi in direzione opposta.”26
Diversamente da Frisch, che aveva tentato di tracciare una perfetta
corrispondenza tra circolazione reale e finanziaria, Aukrust ammette la
sostanziale diversità tra le due sfere, che si possono raccordare soltanto con
l’adozione della QEB, la partita quadrupla, derivante dalla considerazione
simultanea delle registrazioni tenute da ciascun settore, in relazione alla stessa
25
È il problema della produzione congiunta affrontato da Leontief col definire l’attività principale,
secondaria e ausiliaria di ciascun settore
26
“Si ritiene che i pagamenti di salari, interessi, rendite e dividendi esprimano quale parte del reddito
nazionale possa essere attribuita al lavoro, al capitale, alla terra ed al rischio. […] Ciò, tuttavia, per
quanto posso intuire, è errato. Il punto è particolarmente chiaro nel caso dell’interesse. Ciò che la
teoria economica ha in mente quando si parla di capitale come fattore produttivo e di interesse come
remunerazione di tale fattore, è chiaramente il capitale reale e il tasso d’interesse naturale. Questi
esisterebbero anche in assenza di prestiti, vale a dire anche in assenza di moneta. I pagamenti di
interessi, come li intendiamo, non hanno nulla a che fare con, e dunque non possono misurare, il costo
del fattore capitale reale. […] Chiaramente, l’idea del “costo dei fattori”, come misurata dai flussi
monetari, non regge.”
86
transazione. In questo modo, un credito reale di un settore trova la sua
controparte nel debito finanziario di un altro, mentre ad un trasferimento
corrispondono due variazioni nel conto del reddito, identiche e di segno
opposto27.
Il lavoro classificatorio di Aukrust non si limita alle definizioni, ma mira
soprattutto a fornire una roadmap con la quale organizzare un sistema di
contabilità: “primo, dobbiamo decidere come l’economia nazionale debba
essere divisa in settori. Secondo, dobbiamo decidere il modo con cui le singole
transazioni dovrebbero essere raggruppate in flussi. L’ultimo problema
presenta due aspetti: le transazioni dovrebbero essere innanzitutto aggregate
secondo il tipo di oggetto che movimentano […], ma in aggiunta […] secondo
la loro natura – o caratteristica – economica”. Riguardo l’ultimo punto, si
introduce una distinzione eziologica delle transazioni, che possono costituire
una vendita, un pagamento, un’imposta e così via. Pur raccomandando di
rimanere vicini alle teorie economiche e di tenere conto dei dati disponibili,
l’autore riconosce che il rispetto di questi criteri può condurre ad una pluralità
di schemi contabili.
Un ultimo accenno ai saldi di ogni settore, che, analogamente agli
aggregati nazionali, ricalcano le equazioni keynesiane, con l’ovvia distinzione
tra reddito, conto reale e conto finanziario (questi ultimi due ulteriormente
disaggregati al loro interno in conto corrente e conto capitale). Sebbene
proponga questi indicatori riassuntivi del sistema economico, Aukrust non
crede che attraverso gli aggregati contabili sia possibile trarre conclusioni
generali sulla ricchezza e tantomeno sul benessere di una società, in contrasto
marcato con Hicks: ritiene, al contrario, che “la nostra attenzione dovrebbe
essere meno concentrata sui totali, che non possono essere né statisticamente
misurati né logicamente interpretati, e più sui flussi economici correnti ed
osservabili. In altri termini, ciò di cui abbiamo bisogno e che possiamo
ottenere non sono i totali, indicanti l’andamento del benessere sociale o della
27
Nell’ottica di un singolo settore, una transazione bilaterale non può variare la ricchezza detenuta,
trattandosi di mera riallocazione, al contrario di un trasferimento.
87
produttività nazionale, ma aggregati che ci consentano di dimostrare le
relazioni tra voci che possono essere statisticamente osservate.”
Nelle sue conclusioni, Aukrust pensa che il sistema così delineato combini
insieme i vantaggi del modello di Leontief, centrato sui flussi reali, e della
rappresentazione di Frisch citata in precedenza, con però il vantaggio di
esprimere tutte le transazioni in termini di MF, e quindi – per così dire – di
“tradurla” e renderla comprensibile all’approccio anglosassone.
L’impianto contabile di Copeland avrà – come si è detto – molta più
fortuna della proposta di Aukrust, e troverà una prima concretizzazione nel
modello Flow-of-Funds (FOF), il quale si serve di una quadro settoretransazione decisamente diverso da quello in uso nel modello input-output e
nel sistema NIPA: infatti il problema principale nell’elaborazione dei flussi è
quello dell’integrazione (o riconciliazione) con il sistema dei conti nazionali.
Stanley Sigel28 ne fornirà probabilmente la versione più avanzata,
individuando i settori (consumatori, imprese finanziarie e non finanziarie,
governo, resto del mondo) dotandoli di due conti (debito/credito) e
classificando
le
appropriazione e
transazioni
in
macrogruppi:
di
questi,
produzione,
acquisti correnti costituiscono il conto corrente, mentre
l’accumulazione di capitale tangibile ed il conto finanziario sono movimenti in
conto capitale, con il secondo avente carattere residuale, dunque a fungere da
“chiusura” e saldo netto29.
Tale impostazione deve molto ad uno di quegli “schemi in cerca di teoria”,
proposto qualche anno prima da Hicks nella sua definizione di reddito come
somma di consumo ed accumulazione, e direttamente mutuato dalla contabilità
privata, nella quale è sempre valida la relazione
Attività = Passività – Patrimonio Netto
Lo schema FOF guiderà la raccolta dati e la sistemazione statistica negli
ani a venire, sarà raffinato e perfezionato dallo sforzo della Federal Reserve e
28
An Approach to the Integration of Income and Product and Flow-of-Funds National Accounting
Systems: A Progress Report, in The Flow-of-Funds Approach to Social Accounting, AA.VV. (1962)
29
“In assenza di discrepanze, l’avanzo non finanziario è identico al deficit finanziario. Possono inoltre
manifestarsi altre voci relative alle rivalutazioni (perdite o guadagni in conto capitale)”
88
dell’NBER, e si affiancherà ai modelli empirici di contabilità sociale come la
SAM, spesso a scopo inferenziale: nei paesi in via di sviluppo mancavano
spesso dati affidabili, quindi l’incrocio tra le stime dei conti nazionali e
finanziari permetteva spesso di colmare lacune e discrepanze anche
consistenti.
Ad ogni modo, non si è mai raggiunta una completa sintesi o una perfetta
corrispondenza tra conti reali e finanziari, a causa dei presupposti che
informano i due sistemi contabili e che ne condizionano decisivamente la
rappresentazione, per quanto – come già detto – il SNA68 li abbia resi in
qualche misura “permeabili”.
Postner (1988) richiama l’analisi di Copeland, focalizzandosi sulle cause
soggettive di discrepanza nel valutare le transazioni, e ritiene possibile
approfondirne l’analisi attraverso i micro/macro linkages (MML), raccordando
cioè l’ottica del singolo agente con quella del sistema. I MML possono essere
evidenziati in una forma “debole”, nella quale ogni macrosettore viene
consolidato ed è dunque rappresentato come un’unità compatta che intrattiene
relazioni solo con l’esterno: ciò può realizzarsi soltanto se le microunità che
costituiscono il settore presentano classificazioni contabili uniformi; se invece
dai conti settoriali consolidati è possibile ricavare la contabilità di ogni unità
economica e contemporaneamente tenere separate le transazioni intra-gruppo
da quelle extra-gruppo, saremo allora in presenza di MML “forti”.
La tesi di fondo dell’autore è che “una QEB (contabilità quadrupla)
coerente garantisce la forma debole dei MML”: utilizzando lo schema FOF, e
dunque attribuendo a ciascuna unità economica un colonna con debiti ed una
con crediti, sono elencate una serie di transazioni, ciascuna delle quali
movimenta due conti per ciascun agente.
Per Postner la contabilità nazionale, ed in particolare la rappresentazione
sotto forma di SAM, assume che i soggetti coinvolti nelle transazioni valutino
lo scambio nella stessa maniera, altrimenti verrebbe meno la possibilità di
esprimerlo sinteticamente in un’entrata della matrice. Questo caso, che
costituisce comunque la generalità delle transazioni, implica che adottando la
QEB tutte le quattro entrate hanno identico valore, sono cioè consistenti.
89
Esistono però casi in cui le inconsistenze sono evidenti e significative, e
non possono essere emendate da riclassificazioni o correzioni; tali casi
dipendono da almeno due fattori: uno è l’ottica adottata dal compilatore dei
conti, il quale può privilegiare la forma legale della transazione oppure la
natura economica, l’altro è la complessità delle transazioni da analizzare e
rappresentare.
Per quanto concerne il primo aspetto, Postner sottolinea che “il SNA delle
Nazioni Unite adotta il punto di vista della forma legale. Ciò è in contrasto con
l’ottica della contabilità aziendale, che è orientata alla natura economica. Lo
scrivente sostiene l’ottica della natura economica contro la forma legale, e
auspica che il SNA sia corretto in tal senso. Resta tuttavia vero che il concetto
di natura economica non è sempre chiaro ed è passibile di valutazioni
soggettive. La forma legale è meno equivoca, ma economicamente
irrilevante”.
Quanto alla seconda fonte di discrepanze, “la valutazione soggettiva della
complessità economica si riflette naturalmente in registrazioni contabili
inconsistenti. […] L’avere a che fare con transazioni economiche via via più
complesse e sofisticate può modificare la direzione della contabilità
nazionale”. L’attuale funzionamento dei mercati finanziari sembra aver dato
ragione all’autore.
Un caso concreto in cui questi fattori agiscono è ad esempio quello
dell’acquisto di beni capitale in leasing, dove i soggetti coinvolti sono almeno
tre (cedente, cessionario e intermediario) e uno dei tre potrebbe agevolmente
non valutare la transazione in conto capitale, bensì in conto corrente, oppure il
canone periodico potrebbe essere valutato come costo invece che come quota
capitale.
La proposta operativa di Postner consiste nel lasciare in disequilibrio i
totali contabili relativi ad ogni transazione, nella convinzione che discrepanze
contabili correnti in partita quadrupla saranno nel tempo controbilanciate –
fino ad essere annullate – da altre di segno opposto: a questa modalità di
rappresentazione l’autore attribuisce il nome di “conti perennemente
sbilanciati” (perpetual imbalancing accounting, PIA). Al contrario, i totali
90
relativi agli agenti economici rimarrebbero generalmente in equilibrio, nel
senso che in un dato istante la somma delle discrepanze settoriali sarebbe
nulla, ma solo a condizione che tutti gli agenti pratichino la registrazione in
partita doppia30. In sintesi, i gruppi di transazioni possono essere sbilanciati
non solo individualmente, ma anche nel loro complesso, presentare cioè un
saldo netto complessivo non nullo, mentre gli agenti economici non sono
sbilanciati nel loro insieme, equivalendo il totale dei debiti al totale dei crediti
alla fine di ogni periodo di osservazione.
La differenza tra PIA ed equilibrio generale è che “in quest’ultima teoria,
quando ad esempio c’è eccesso di domanda per una merce, il meccanismo di
prezzo opera per eliminare l’eccesso di domanda in un periodo successivo.
Con i PIA quando siamo in una situazione in cui il totale dei debiti per una
categoria di transazioni è maggiore del totale dei crediti (vale a dire
inconsistenza), il meccanismo contabile innesca una serie di reazioni, volte
non ad eliminare l’inconsistenza, ma a generarne una uguale e di segno
opposto in un periodo futuro.”
Postner si occupa anche di ricostruire una parte di storia della contabilità
nazionale, in particolare ricostruisce la comparsa e l’uso del concetto di QEB,
strettamente legato alla sua interpretazione dei MML: sembra che il primo ad
usare la perifrasi, quasi simultaneamente a Copeland, sia stato Ruggles31,
mentre Sigel32 è scettico sul reale rispetto non solo della QEB, ma anche della
DEB, nella contabilità NIPA ed input-output, pur ritenendo le voci di saldo –
inserite per ovviare all’esclusione degli aspetti monetari e finanziari – un
notevole passo in avanti. Per quanto riguarda invece i saldi finali delle
transazioni e degli agenti, Schelling33 ritiene che nemmeno i conti relativi agli
agenti debbano essere in equilibrio, nel senso che anch’essi possono
30
Per questo motivo Postner avvertirà che il modello PIA prende spunto dal settore produttivo privato,
e che necessiterà di notevole raffinamento, prima di potersi estendere a tutti i soggetti economici.
31
Ruggles, R. (1949) – An Introduction to National Income and Income Analysis – McGraw-Hill
32
Sigel, S. (1955) – A Comparison of the Structures of Three Social Accounting Systems – in “InputOutput Analysis: An Appraisal”, Studies in Income and Wealth, vol.18, NBER
33
Schelling, T. (1958) – Design of the Accounts – in “A Critique of the United States Income and
Product Account”, Studies in Income and Wealth, vol.24, NBER
91
presentare un saldo finale complessivo non nullo, esattamente come Postner
ammette sia possibile per ciascuna categoria di transazioni.
Pur criticando alcune premesse teoriche della contabilità nazionale, Postner
riconosce l’utilità – se non proprio l’indispensabilità – della presentazione in
forma di matrice, tanto da riassumere i criteri affinché la QEB sia rispettata in
due vincoli matriciali: “supponiamo che ci siano m settori comprendenti l’
intera economia nazionale, e n tipi di transazioni. È dunque possibile
descrivere una matrice bidimensionale à la Stone, […] ma è notevolmente più
semplice visualizzare l’analisi in termini di […] una matrice tridimensionale.
[…] Vi sono m righe, m colonne e n piani bidimensionali. L’elemento-tipo di
questa matrice può essere rappresentato dalla notazione sijk, che denota un
credito per il settore i e un debito per il settore j, voci entrambe relative al kesimo tipo di transazione.”
Il vincolo classico, relativo alla partita doppia ed anche alla SAM, è di tipo
settoriale:
∑ ∑
k
s = ∑k
∑
j ijk
j
s jik
Esso indica che il totale dei crediti dell’i-esimo settore è identico al totale
dei suoi debiti; la QEB è rispettata e consistente se vale anche il secondo
vincolo, relativo alle transazioni:
∑ ∑
i
s = ∑i
j ijk
∑
j
s jik
Detto vincolo impone l’uguaglianza tra il valore dei flussi attivi e passivi
classificati nel k-esimo gruppo di transazioni.
In sintesi, registrazioni in QEB e microfondazione dei dati macro sono i
temi sollevati da Postner e ripresi spesso non solo nel dibattito su moneta e
finanza, ma anche in quello statistico-contabile: basti citare qui la riflessione
di Gorter e Shrestha, del Fondo Monetario Internazionale, i quali richiamano
la distinzione tra rappresentazione verticale ed orizzontale dei conti: la prima
è di derivazione medievale, adotta l’ottica del singolo agente (micro) e si
presenta nella forma a T (T-accounts), con le attività finanziarie poste nella
92
colonna di sinistra e le passività in quella di destra, mentre – per quanto
riguarda il sistema NIPA – le risorse sono situate a destra e gli impieghi a
sinistra; la seconda invece mostra le relazioni tra due agenti (macro), relazioni
che dovrebbero essere simmetriche, vale a dire di identico importo, ma di
segno opposto.
Dalla combinazione di questi due livelli concettuali, presentati senza
inconsistenze, deriverebbe la QEB; le fonti di discrepanza nelle transazioni – e
dunque di inconsistenza – sono come sempre di tre categorie: quelle legate alla
valutazione del loro importo, quelle legate al tempo di registrazione e quelle
relative alla natura degli strumenti. A queste problematiche ne va aggiunta una
di carattere eminentemente statistico-descrittiva: la contabilità privata tende a
consolidare i conti, mentre quella nazionale in genere no34.
Tuttavia, per i due autori un sistema QEB non può essere derivato
semplicemente dall’aggregazione di micro-dati con saldi netti non nulli
compensati nel tempo, come suggeriva Postner: oltre a non permettere la
derivazione di un totale che funga anche da indice, come ad esempio il PIL, i
dati contabili delle imprese private sono comunque esposti ad una distorsione
di tipo soggettivo, essendo “influenzati dalle convenzioni contabili, dalle
imposte e da regole amministrative, così come da manipolazione da parte delle
stesse imprese”; infine – ma di questo era conscio anche Postner –
difficilmente le poste contabili relative alle famiglie potranno essere ricavate
da micro-dati analoghi, dal momento che esse non tengono certo una
contabilità codificata.
Per ovviare a questi inconvenienti, sarebbe utile recuperare una proposta
elaborata in Francia principalmente da André Vanoli, il quale definisce dei
conti intermedi, di raccordo tra micro e macrodati: in questa fase i dati
provenienti dalle unità economiche vengono riclassificati, resi compatibili e
aggregati con criteri uniformi, misurando al contempo la dispersione
intragruppo.
34
Eccezioni a questa regola sono costituite – tra l’altro – dalle imposte, nette dei sussidi, dall’output,
valutato al netto delle perdite, dalla formazione del capitale fisico, netta delle dismissioni
93
Recentemente è stato anche ripreso il tema della forma legale degli scambi,
con un interessante interpretazione fornitaci da Tsujimura. Gli autori fanno
risalire il sistema di contabilità sociale direttamente al diritto romano – in
quanto derivato dal sistema di partita doppia di Pacioli – ed al suo concetto di
jus in rem: “Dal momento che jus significa legge, in questo caso jus in rem è
traducibile come la legge degli oggetti fisici ed astratti. Il tratto comune tra
oggetti fisici ed astratti è che entrambi sono attivi di valore economico. È
questa branca del diritto che regola creazione, trasferimento ed utilizzo degli
attivi economici – della proprietà in senso lato. Per usare termini giuridici, la
legge degli oggetti include tutti quei diritti passibili di essere valutati in
termini monetari, di modo che spesso la perifrasi francese droit économique
viene considerata la traduzione più appropriata di jus in rem.”35 A sua volta, il
diritto si suddivide in jus proprietatis, jus obligationis e jus successionis,
quest’ultimo non rilevante, in quanto non ha valore economico a sé, ma è una
modalità con cui acquisire i primi due.
Problematiche importanti per un sistema di conti sono
-
il rispetto della QEB: la DEB verticale assicura la coerenza a livello del
singolo agente, mostrandone lo stock (conto capitale) di attività e
passività, la DEB orizzontale evidenzia invece l’equilibrio tra due
soggetti, registrando i flussi (conto corrente) corrispondenti al conto
profitti e perdite36;
-
il tempo di registrazione: nel caso di contratti bilaterali, dove cioè le
parti obbligate sono due, si può tener conto del momento della stipula
(criterio di competenza), del perfezionamento da parte del cedente
(vendita/cessione), o da parte del cessionario (criterio di cassa)37;
35
Nel SNA93 l’oggetto della contabilità nazionale è la registrazione del “valore economico”
(economic value) in tutte le sue manifestazioni: creazione, trasformazione, scambio, trasferimento ed
eliminazione.
36
Vi è qui una corrispondenza diretta tra il dualismo stock-flow proposto da Hicks (The Social
Framework , 1942) e la distinzione stato patrimoniale – conto economico, propria della contabilità
aziendale.
37
Su questo punto gli autori addebitano allo SNA93 un’incoerenza, in quanto esso prende come
riferimento il momento della cessione, ma lo definisce accrual basis, vale a dire criterio di
competenza.
94
-
la valutazione degli oggetti: oltre alla coerenza di ogni singolo agente e
tra due agenti, è necessaria anche la coerenza intertemporale, che
sarebbe garantita solo adottando il costo storico come criterio di
valutazione; mentre il SNA93 impone la valutazione a prezzi correnti,
gli standard contabili privati (IASB) applicano questa modalità solo
agli strumenti finanziari scambiati sul mercato secondario, prezzando
gli altri oggetti al costo storico. Gli autori suggeriscono dunque di
colmare questo iato con l’aggiunta del conto di rivalutazione – in cui
sono presenti profitti e perdite in conto capitale solo se effettivamente
realizzati – il quale ai fini del reddito risulta mera redistribuzione38.
In definitiva, l’adozione della QEB e del costo storico (più rivalutazioni,
rese ora endogene) garantirebbero una completa integrazione dei conti reali e
finanziari all’interno del SNA: il problema del tempo di registrazione verrebbe
infatti superato dalla condizione di coerenza intertemporale, riconoscendo
come caso particolare la simultaneità delle variazioni correnti e in conto
capitale all’interno di un sistema che al contrario si propone di registrare
separatamente il sorgere di un’obbligazione e lo scambio di contropartite tra le
parti obbligate (stipula-cessione-pagamento).
Per concludere la panoramica sui sistemi di registrazione dei flussi di
mezzi di pagamento, è opportuno riprendere il già citato lavoro di Lavoie e
Godley, al fine di sottolineare la duttilità della QEB nel rappresentare
sinteticamente diverse teorie monetarie.
Adottando l’ottica delle transazioni, ogni impiego di mezzi di pagamento è
contraddistinto da un segno negativo, mentre ogni risorsa da uno positivo; la
teoria monetarista dell’inflazione può dunque essere rappresentata come
segue, in una Transactions Flow Matrix (TFM)39:
38
Sulle possibili definizioni di “reddito” gli autori ritengono sia da emendare il concetto di reddito
come prodotto, per ampliarlo usando quello di entrata (come suggeriva Lindahl): per questo, anche la
cessione di beni usati verrebbe contabilizzata, allo stesso modo degli scambi di attività finanziarie. Ne
consegue che consumo e nuovo investimento non sono più le uniche componenti di reddito, dal lato
della spesa.
39
Si ricordi che i totali delle righe e delle colonne sono tutti nulli.
95
Tabella 8: TFM con monetizzazione del debito pubblico
Famiglie
Profitti
Banca centrale
Interessi su
titoli pubblici
Variazioni di contante
Variazioni nel monte
titoli
Intermediari
finanziari
c/corrente c/capitale
Governo
Banca centrale
c/corrente
+ Fcb
c/capitale
− Fcb
− rb ( −1) .B( −1) + rb ( −1) .Bcb ( −1)
−∆H h
−∆H b
−∆Bh
−∆Bb
+∆H
+∆B
−∆Bcb
Si tralasciano le altre transazioni, concentrandosi sul processo di creazione
della moneta e del debito pubblico ad essa collegato: si assume che la banca
centrale attribuisca il suo profitto ( Fcb ) al governo, il che equivale a dire che
essa presenti un saldo netto nullo. In questo caso nel bilancio pubblico
compaiono gli interessi su titoli pubblici già esistenti ( rb ( −1) .B( −1) ) e la quantità
di nuove emissioni ( ∆B ), necessarie a finanziare un eventuale eccedenza della
spesa pubblica sul gettito fiscale (G – T), che per semplicità non compare nella
tabella. La banca centrale monetizza il debito acquistando parte dei bond
emessi, sui quali percepisce ovviamente i relativi interessi, ( rb ( −1) .Bcb ( −1) ),
mentre il resto si suddivide tra banche ( ∆Bb ) e famiglie ( ∆Bh ). La
monetizzazione del debito pubblico consiste dunque un aumento del contante
in circolazione ( ∆H ), anch’esso suddiviso tra banche ( ∆H b ) e famiglie ( ∆H h ).
Cambiando solamente le assunzioni preliminari, è altresì possibile adottare
la proposta teorica dei “circuitisti”40 e mostrare in sequenza l’intero circuito
monetario: il primo caso è quello di moneta privata endogena
Tabella 9: TFM con la prima fase del circuito monetario, in presenza di moneta privata endogena
Imprese
c/corrente c/capitale
Intermediari
finanziari
c/corrente c/capitale
Variazioni nei prestiti
+∆L f
−∆L
Variazioni nei depositi
−∆M f
+∆M
In questa prima fase, le imprese prendono in prestito dei fondi dalle banche
e queste ultime riducono di un identico ammontare i loro depositi: “da un
40
Si veda ad esempio Graziani, A. (1994) – La Teoria Monetaria della Produzione – Banca Popolare
dell’Etruria e del Lazio
96
punto di vista FOF, un incremento nei depositi è una risorsa, mentre un
incremento dei prestiti è un impiego delle banche. Per alcuni, questa
terminologia sembra rafforzare la teoria ortodossa, associata con l’approccio
dei fondi mutuabili, e cioè che le banche offrono prestiti solo se hanno le
risorse finanziarie per farlo. […] Non verrà qui difesa questa interpretazione.
Al contrario, una caratteristica fondamentale del sistema bancario è la sua
abilità di creare depositi ex nihilo. Più esattamente, […] i depositi in moneta
sono l’origine dei fondi che consentono il ricorso ai prestiti bancari. Ma la
causa dell’incremento dei depositi e dei prestiti è la volontà di contrarre
un’ulteriore passività e il desiderio del mutuatario, qui l’impresa produttiva, di
espandere le proprie spese.”
Successivamente, le imprese finanziano investimenti (I) con i prestiti
ottenuti (∆Lf), pagano salari (WB) alle famiglie, che li depositano presso gli
intermediari finanziari (∆Mh). Lo stesso ammontare di mezzi di pagamento ha
così compiuto l’intero circuito del sistema economico, ritornando al punto di
partenza, ma presentandosi ogni volta in forme diverse, sia reali che
finanziarie:
Tabella 10: TFM del circuito monetario (fasi successive alla prima) con moneta privata endogena
Famiglie
Imprese
c/corrente c/capitale
+I
−WB
Investimenti
+WB
Salari
−I
Intermediari
finanziari
c/corrente c/capitale
−∆L
+∆L f
Variazioni nei prestiti
Variazioni nei depositi
+∆M
−∆M h
Analizziamo ora concretamente la scansione temporale degli scambi:
siamo nella fase in cui l’impresa non ha ancora a disposizione i beni capitale
per ottenere i quali ha richiesto prestiti dalle banche, e inoltre non ha ancora
venduto
quanto
prodotto
nell’attuale
periodo.
Tenendo
conto
che
l’investimento è concepito in termini reali, la sua componente positiva (una
risorsa) indica dunque l’incremento delle scorte avutosi – dunque entra nel
conto
corrente
–
mentre
la
componente
negativa
rappresenta
la
movimentazione del conto capitale. Per coerenza contabile, in questo stadio il
97
valore dei prestiti è uguale a quello degli investimenti programmati, che a sua
volta è identico al valore della produzione non venduta e a quello dei salari
corrisposti.
Saranno poi le decisioni riguardo il consumo a determinare quanta parte
della produzione rimarrà invenduta e quanta invece ceduta in cambio di mezzi
di pagamento, con i quali le imprese restituiranno tutto o parte dell’ammontare
dei prestiti ricevuti. Contemporaneamente, le decisioni di consumo ridurranno
parte della moneta circolante, e di conseguenza i prestiti attivi: “Ciascuna serie
di transazioni può essere vista come la creazione, la circolazione e la
distruzione di moneta”.
In un sistema con ulteriori stadi, avranno inoltre notevole rilevanza la
composizione del capitale societario e le decisioni pregresse di indebitamento:
ad esempio, la distribuzione dell’azionariato o la capacità di emettere titoli
obbligazionari. Si può dunque effettuare un’importante “distinzione tra
finanziamento iniziale e finale, che è stata sottolineata dai circuitisti.
Finanziamento iniziale, che Davidson definisce construction finance, […] è il
prestito bancario che le imprese generalmente richiedono per finanziare i primi
stadi produttivi, e quindi per finanziare le scorte. Finanziamento finale, o
investment funding per Davidson, […] è l’insieme dei mezzi con i quali le
spese per investimento vengono finanziate alla fine del periodo di produzione;
l’autofinanziamento aziendale ne costituisce la maggior parte.”
Un altro esempio mostrato da Lavoie e Godley riguarda il confronto tra
spesa pubblica (G) finanziata tramite emissione di titoli di stato che vengono
acquistati alternativamente dalla banca centrale ( ∆Bcb ) o dal sistema bancario
privato ( ∆Bb ):
98
Tabella 11: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dalla banca centrale
Famiglie
Intermediari
Governo
Banca centrale
finanziari
c/correntec/capitale c/correntec/capitale
c/corrente c/capitale
+G
Spesa pubblica
+Y
Reddito (PIL)
Variazioni di
contante
Variazioni nei
depositi
Variazioni nel
monte titoli
Imprese
−G
−Y
−∆H b (−∆H g ) 41
+∆H
+∆M
−∆M h
+∆B
−∆Bcb
Come in precedenza, la tabella sopra descrive la situazione del sistema
economico prima delle decisioni di spesa delle famiglie, cui per semplicità
viene attribuito tutto il reddito generato (Y). Inoltre, gli intermediari finanziari
si ritrovano con riserve addizionali ( ∆H b ): “queste […] non significano
tuttavia che venga creato un ammontare di depositi multiplo, come nella teoria
del moltiplicatore monetario. Se le banche non trovano alcun mutuatario con
merito di credito – e il fatto che esse ora detengano riserve aggiuntive non
implica affatto che ve ne siano in vista – possono sempre acquistare titoli di
debito pubblico”.
Quest’ultima opzione può essere esercitata direttamente e previamente,
senza l’intervento della banca centrale, come descritto di seguito:
Tabella 12: TFM con titoli di debito pubblico acquistati dal sistema bancario privato
Famiglie
Imprese
Intermediari
Governo
Banca centrale
finanziari
c/correntec/capitale c/correntec/capitale
c/corrente c/capitale
+G
Spesa pubblica
Reddito (PIL)
+Y
Variazioni di
contante
Variazioni nei
depositi
Variazioni nel
monte titoli
−∆M h
−G
−Y
+∆M (−∆M g ) 42
−∆Bb
+∆B
41
Questa voce rappresenta la moneta fornita dalla banca centrale in cambio dei titoli pubblici, e
successivamente utilizzata – dunque annullata – per la spesa pubblica
42
Considerazione analoga alla nota precedente, con la differenza che stavolta i titoli vengono pagati
dalle banche con l’apertura di depositi.
99
In linea con i recenti approcci cartalisti, il deficit pubblico deve essere
monetizzato, almeno in un primo momento, e “se i titoli pubblici vengono
inizialmente acquistati dalle banche private o dalla banca centrale non fa
alcuna differenza. […] L’unica quantità di moneta rimasta nel sistema
economico sarà detenuta volontariamente, e tale ammontare non dipende
affatto dallo schema finanziario utilizzato per finanziare la spesa pubblica.”
Tale conclusione è vera anche qualora il settore pubblico non emettesse
bond, ma prendesse a prestito le risorse necessarie dalle banche ( ∆Lg ), le quali
a loro volta devono finanziarsi tramite la banca centrale, che si limita a fissare
il tasso di interesse di riferimento: sarà poi il settore finanziario a stabilire lo
spread per garantirsi margini di profitto e restituire le anticipazioni ( ∆A )
effettuate dalla banca centrale:43
Tabella 13: TFM con spesa pubblica finanziata a debito dal sistema bancario privato
Famiglie
Intermediari
Governo
Banca centrale
finanziari
c/corrente c/capitale c/corrente c/capitale
c/corrente c/capitale
+G
Spesa pubblica
Reddito (PIL)
Imprese
+Y
−G
−Y
Variazioni di −∆H
h
contante
Variazioni nei −∆M
h
depositi
Variazioni nei
prestiti bancari
Variazioni nei
prestiti della
banca centrale
+∆H
+∆M
(−∆M g ) 44
−∆L
+∆Lg
+∆A
−∆A
Da questa panoramica si può concludere che gli schemi contabili QEB non
sono soltanto un ottima sintesi statistica dell’effettivo funzionamento dei
sistemi economici, ma anche un potente quadro concettuale dove
rappresentare, far confluire e confrontare le diverse teorie monetarie,
confronto che non implica una valutazione sulla o un ordinamento della
capacità euristica di ogni singola teoria, bensì permette la costruzione di una
valida cornice sinottica.
43
Hicks definiva asset-based il tipo di economia con bond pubblici e overdraft il caso con prestiti da
banche private.
44
Vedi nota 39, in questo caso però il governo contrae prestiti bancari.
100
Osservazioni conclusive
Rimpiazzare il termine “moneta” con la perifrasi “mezzi di pagamento”
non è una mera modifica retorica o tassonomica, bensì la constatazione della
natura – citando Huber e Robertson45 – informazionale della moneta. Quanto
alla definizione,
i mezzi di pagamento non dovrebbero essere confusi con i
metodi di pagamento o i supporti tecnici al pagamento, come
cheque, carte di credito, ecc.
Quanto alla natura della moneta,
è possibile immaginare che nel giro di una generazione o poco
più l’uso del contante potrebbe essere completamente
rimpiazzato dalla moneta elettronica, vale a dire bits. […] Passo
dopo passo distaccata da oggetti di valore materiale, la moneta
ha svelato la sua natura puramente informazionale. Le unità di
moneta in circolazione rappresentano valore economico. La
moneta può essere in relazione con qualsiasi oggetto passibile di
valutazione economica (prezzo) e transazione (scambio). Da qui
la duplice funzione della moneta: come unità di conto, le unità
monetarie servono per misurare il valore economico; come
mezzi di pagamento, servono per effettuare transazioni
trasferendo unità di moneta in cambio degli oggetti acquistati.
Ciò che comunemente viene definita la terza funzione – riserva
di valore – si riferisce al fatto che può essere accantonata come
mezzo di pagamento per un utilizzo differito.
La mia opinione è che l’approccio cartalista sia il più rispondente agli
attuali sistemi di moneta fiduciaria, ormai estesisi a livello mondiale.
Duesenberry46 scriveva al riguardo:
Molti oggetti diversi hanno svolto funzioni monetarie in
un’epoca o nell’altra. Alcuni possedevano un’utilità diretta, altri
invece erano del tutto privi di valore. Un bene qualsiasi può
servire da moneta, purché tutti siano certi che esso venga
accettato come mezzo di pagamento per beni e servizi e, sotto
quest’aspetto, non ha rilevanza se tale sicurezza sia fondata su
una disposizione normativa, sulle abitudini o sul valore
intrinseco degli oggetti che svolgono funzioni monetarie.
Questa prospettiva ha come corollario un accento maggiore sulle
dinamiche della circolazione della moneta, e quindi un ridotto interesse per
qualsivoglia teoria del valore espresso in termini monetari. È necessario
rimpiazzare il monopolio del valore aggiunto, e quindi della nuova produzione
realizzata in un determinato periodo, con la mole di transazioni effettivamente
45
46
http://www.jamesrobertson.com/book/creatingnewmoney.pdf
Money and Credit: Impact and Control (1964), Prentice-Hall
101
avvenuta, e dei relativi mezzi di pagamento utilizzati; è possibile così scoprire,
tra l’altro, che:
-
la massa di strumenti finanziari attualmente circolante nel mondo è un
multiplo del prodotto interno lordo, quindi ridistribuisce ricchezza
accumulata in passato o ipoteca ricchezza potenzialmente producibile
in futuro;
-
la contabilità nazionale basata su indicatori esclude i passaggi intermedi
di merci, quindi difetta di un valido indicatore del ciclo economico47;
-
il profilo temporale col quale un’obbligazione sorge, esiste e si estingue
non coincide con la semplice annotazione di un passaggio di merci
(materiali o meno) da un soggetto ad un altro;
-
anche i trasferimenti di beni usati movimentano mezzi di pagamento, e
forniscono una stima dei conti di rivalutazione (guadagni e perdite in
conto capitale)
Le difficoltà di realizzare un simile quadro contabile non sono – e non
possono nemmeno essere – un valido motivo per proseguire nell’utilizzo
spesso semplicistico di indicatori di sintesi che non colgono il carattere
relazionale-transattivo del moderno agire economico. Del resto, anche
costruire il sistema NIPA sembrava un compito improbo, ma le esigenze
belliche lo hanno reso relativamente agevole.
47
In caso di osservazioni intersettoriali, la sottostima viene meno
102
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104