E` più bello insieme di Angelo Moretti Cari amici, prima di chiudere

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E` più bello insieme di Angelo Moretti Cari amici, prima di chiudere
E' più bello insieme
di Angelo Moretti
Cari amici,
prima di chiudere questo giorno così rievocativo per noi, consentitemi una lettera aperta, un piccolo
racconto. Dedicato a voi che avete portato avanti un anno di lavoro straordinario al Centro E' più bello
insieme, a Vivere Dentro, alla Fattoria Sociale, al caffè dell’Orto, in Caritas, in Casa Famiglia, alla Fattoria La
Cinta, in uno sportello Advocacy, in Banca Etica, in Fics, nelle Sentinelle della Carità, nella Congregazione.
Il 06 agosto 2001 nasceva il Centro E' più bello insieme. 11 anni fa nessuno di noi aveva idea di ciò che stava
accadendo davanti ai propri occhi, nelle nostre vite. Sembrava solo un’azione “furtiva”. Era l’ultimo mese
nella storia della città di Benevento in cui si poteva cogliere l’occasione di utilizzare la grande struttura delle
Figlie della Carità che, di lì a poco, precisamente agli inizi di settembre, cessava di essere la casa della
Congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli e, di conseguenza, la sede del volontariato
vincenziano cittadino, per divenire una scuola privata. Non doveva accadere. Sembrava non dovesse. Per
l’estate del 2001 la casa doveva essere già trasformata in un Centro Medico ma, all’ultimo momento, i
promittenti inquilini si tirarono indietro. E così si generò l’occasione. La struttura, già sgombra di tutto,
rimase qualche mese lì, inerte, al centro di una città così particolare come Benevento, senza arte né parte.
E prima ancora che un altro offerente si facesse avanti, la chiedemmo in prestito alle Suore, all’epoca ero
vice-responsabile regionale dei giovani vincenziani. Ufficialmente i motivi del prestito erano due: un campo
servizio regionale nel quartiere Capodimonte ( dalla fine di luglio fino al 5 agosto, per due settimane) ed un
altro campo servizio, non meglio precisato, a favore delle persone con sofferenza psichiatrica, che non
sapevamo nemmeno come chiamare: amici, fratelli, pazienti, sofferenti psichici, persone disabili. Per noi
erano due nomi, due storie che ci avevano particolarmente colpito: Pino e Walter. Entrambi senza una casa
per le loro giornate, senza un ristoro per il girovagare di Walter, senza una meta per l’immobilismo di Pino.
Il secondo campo doveva durare dal 6 al 13 agosto. Ed invece è ancora aperto. E penso avrà vita molto
lunga!
La casa era perfetta per lo scopo: ampi spazi esterni ed interni. Sale da pranzo e laboratori a decine. Una
grande cucina al secondo piano. Posti letto per oltre venti persone. Sapevamo solo che stava chiudendo,
che la stavamo perdendo, per cui prendemmo un po’ di idee non chiare sull’accoglienza ed aprimmo i
battenti il 06 agosto pomeriggio, alle ore 15.00. Gli psichiatri del Dipartimento di salute Mentale ( che
avevo non poco innervosito con qualche articolo di giornale in prima pagina su Il Sannio Quotidiano circa
l’inefficienza del dipartimento e le lamentele delle famiglie ) mi avevano dato gli indirizzi dei “pazienti” da
andare a prendere a casa loro, avevano avvisato essi stessi le famiglie che conoscevano da anni,
assicurando che eravamo bravi ragazzi, che potevano fidarsi. Il mezzo lo misero a disposizione ancora una
volta le suore. Era un Wolkswagen 17 cavalli, di quelli utilizzati dagli Hippie negli anni ’60, che aveva già
visto l’Albania e che adesso avrebbe dovuto un meritato riposo in Italia. Fu il mezzo che ci accompagnò di lì
in poi in tutte le gite, nelle vacanze in montagna ed al mare, ad Ischia, fino al 2004, quando la modernità ed
i problemi assicurativi dovettero prendere il suo posto. Era il mezzo che scese dal Taburno senza freni
portandoci tutti indenni a valle, perché, in fondo, la sua lentezza e robustezza era animata da profonda
saggezza. Con quel mezzo, guidato con una mano sul volante e l’altra mano che riprendeva i passeggeri che
via via salivano a bordo, tutto ebbe inizio.
Carmelina, Anna, Silvana, Pamela, Luigi, Gianni, Vincenzo, Adriano, Carmela, Orazio, Graziano, Renato,
Angela, Nicola, Elisa, Carmine, Alessandro e tanti altri di cui oggi ricordo i volti ma non sono sicuro dei nomi.
Aderirono all’iniziativa senza se e senza ma. Salivano a bordo come se tutto fosse già chiaro. Mentre a me
nulla era più nebuloso del cosa fare una volta arrivati alla struttura. Neanche il nome al campo era definito.
Quello appena conclusosi, era stato una missione popolare al quartiere Capodimonte. Tutto era chiaro: una
missione in un quartiere. Animazione, ascolto, preghiera condivisa, aggregazione giovanile. Il nome era
semplice: missione popolare. Questo campo che iniziava un giorno dopo era ancora senza nome. Il nome
venne fuori proprio nel momento in cui mi trovai costretto a cercarlo.
Accompagnati i nuovi amici nella struttura, feci ciò che si dava per scontato facessi: ci mettemmo in cerchio
ed ognuno di noi si presentò. I volontari erano abbastanza, provenivano da tutta la regione, la maggior
parte di loro era convinta di aver aderito ad una missione popolare…ed invece si erano trovati in un cerchio,
che la missione era già finita un giorno prima e quella che si apriva era una nuova settimana, una nuova
esperienza, diversa. Già quell’inizio fu magico. Tutti sapevano cosa fare: si presentavano l’un l’altro. Due
ore dopo ero in redazione a scrivere il pezzo “e’ iniziato il campo…”, improvvisamente fu chiaro “E’ più bello
insieme”! non ero io a dare il nome, era quel nome che mi chiamava. Ed era una canzone, era la fiducia. La
fiducia di una persona che durante quegli anni pazzi di volontariato mi stava sempre affianco, in Albania,
nelle riunioni, nelle organizzazioni varie, nei campi estivi. Era la canzone preferita di Marialaura, le piaceva
tanto e sapevo che scegliendo quel nome avrei avuto certamente un suo sorriso. Ed allora fu immediato:
“E’ più bello insieme”. Un anno dopo durante il Master di Progettazione Sociale il mio professore mi diede
per scontato una connotazione per me niente affatto scontata: nel concetto di “bello” entra in gioco anche
tutto ciò che è “sacro”, per cui quel nome che mi sembrava semplicemente semplice, quasi sempliciotto, si
vestì di una grande dignità e pregnanza di significato, trascendentale e non più sogno adolescenziale. Un
programma di vita per una struttura sociale che in quelle quattro parole nasconde il suo segreto più
profondo, la promessa da non tradire, la sua storia ed il suo futuro. In una parola: la sua identità, come
deve essere proprio per i nomi.
Sul giornale il giorno dopo usci un paginone su “E’ più bello insieme, l’altro come diverso da amare” e da
allora a tutti fu chiaro che era iniziato un nuovo campo. Che il campo aveva un nome. Che il campo aveva
un luogo: la casa delle suore e non la strada come eravamo abituati. Che il campo aveva un cammino ed
una meta: l’altro. L’altro nella sua fragilità. L’altro nella sua diversità. L’altro nel suo dolore. L’altro nella sua
mente, psiche, e nel suo cuore.
Una volta imbarcati i passeggeri, aperti i battenti, fatte le presentazioni, bisognava lavorare. Su che cosa?
Con cosa? In poche ore organizzammo almeno cinque/sei laboratori. In mente avevo la Comunità
Terapeutica Ali di Aquila di Chieti, dove avevo passato, solo un anno prima, una magnifica estate in
compagnia dei volontari vincenziani, della mia fidanzata e futura moglie, e dei giovani ospiti della comunità.
Avevo in mente una struttura rigida di cose da fare, pensavo ad orari, tempi, regole da rispettare, laboratori
produttivi…tutti ci provammo. Le figlie della Carità presenti furono eccellenti, si misero tutte all’opera chi in
un modo chi nell’altro, tutte in discussione. Chi al Teatro, chi in Cucina, chi al Cucito, chi all’ascolto attento
di tutti e di tutte. I volontari, disorientati, seguivano; io, che dovevo essere alla direzione di tutto,
disorientato, dirigevo. Gli psichiatri ci sostennero, in particolare Franco. Veniva ogni giorno, ci rassicurava, si
fermava con noi e passavamo insieme le giornate. Roberto venne a sostenerci con un computer ed il primo
budget del Centro, del tutto inaspettato: 300,00 euro! Le aspettative di avere un budget erano state
superate del 300% e non sapevo cosa fare prima con quei trecento euro!
Ancora sorrido, quando ricordo il primo pranzo. In comunità terapeutica la sigaretta ha una sua procedura
tutta particolare, se ne fumano in numero consentito. Negli spazi e nei temi consentiti. Al centro “E’ più
bello insieme” al secondo giorno, nello sparecchio tra il primo ed il secondo piatto, ci trovammo solo i
volontari a tavola! Tutti i “pazienti” erano scesi a fumare in cortile!! Imparammo cosa fosse la salute e la
malattia mentale.
Passarono i primi tre giorni ed i volontari erano sempre più sconcertati per il campo in cui si erano trovati. I
“pazienti” cominciavano ad arrivare da soli, già dalle sette del mattino; erano “strani”, sembravano
impenetrabili, “noi non siamo preparati a questo!”, bisognava prepararci per venire in questo campo! Era la
lamentela, giusta e ragionevole, di quasi tutti. Poi in una sera di sconforto totale, fu Renato, l’unico dei
sofferenti psichici a dormire con noi, a prendere la parola. “Voi volontari in questi pochi giorni mi avete
fatto sentire come un accendino.” Tutti attoniti, non capivamo che razza di metafora fosse. “ nel senso che
stando voi tutti attorno a me, è come se esercitasse una pressione su di me che fa uscire la mia luce”.
Boom!
E furono pianti e tanta commozione. Renato aveva trasfigurato il suo volto, si era rivelato per quello che
era, un maestro. Il nostro Maestro. E proprio come accadde sul monte Tabor i volontari quasi non volevano
più lasciare il campo, volevano mettere le tende. Tutti quelli che si erano impegnati per una sola settimana,
rivedevano le proprie vacanze e continuavano a tornare al campo. Emblematica fu la storia di Toni. Grande
animatore della prima settimana. Partì con gioia mista a dispiacere per una sua agognata vacanza con amici
a Lignano Sabbie D’Oro. Lasciò il campo il 13 agosto per tornarci il 14! Una volta arrivato a Lignano gli
avevano rubato tutto, ed allora capì che non c’era posto migliore che tornarsene ad “E’ più bello insieme”.
E lì rimase fino al 24 agosto, giorno in cui il campo ufficialmente terminò, per dare poi inizio al centro “E’
più bello insieme”.
Ed oggi festeggiamo 11 anni. Siamo tutti cambiati, tranne il nome, tranne quell’identità, tranne Carmelina
che è con noi da allora e che ci ha visto cambiare, ma non cambiare affatto. Che ci ha visto crescere,
evolverci, trasformarci, cambiare casa più volte, e cambiare ancora, fino ad arrivare al magnifico staff che
oggi anima il Centro, che quest’oggi ha preparato una torta per gli 11 anni del centro pur non essedo stati lì
il 06 agosto del 2001. Eppure c’erano. Questo staff di oggi che ha chiuso una crisi straordinaria del Centro
perché ripartisse, ritornasse alla sua storica vitalità. Questo staff che ha organizzato un estate fresca in un
caldo torrido, che ha rimesso in piedi una squadra dalla lacerazione che qualcuno aveva provato a
perpetrare a questa storia.
E come nelle riprese che lentamente si allontanano dalla scena, oggi il Centro è stretto da un abbraccio
incredibilmente bello che lo circonda: Casa Betania, la Casa Famiglia, l’Orto, il Caffè, Vivere Dentro, la
finanza di etica di Banca Etica, la Cinta, la Fics, la Caritas. Strutture ed associazioni fatte di persone con nomi
e cognomi, i vostri, che indicano storie incredibili di vita e motivazione e fiducia e speranza. Strutture ed
Associazioni che indicano valori come fratellanza, giustizia sociale, non violenza, etica, fede. Così intrise
l’una dell’altra che oggi possiamo dire che la Banca Etica impegnata per Giovanna sia un po’ Caritas, che
don Santino impegnato per Fulvio sia un po’ Vivere Dentro, che Gabriella che ascolta e si confronta con
Alessandro sia un po’ Orto, che il campo sociale dell’Orto sia un po’ casa Famiglia, che la Cinta che ospita il
corso Daphne sia un po’ Fics, che tutti siamo “E’ più bello insieme”!
Ed aggiungo un ringraziamento particolare a Rita e Don Armando che con l’adorazione eucaristica ed il loro
servizio costante a favore dei senza fissa dimora, fin dalle sei del mattino, ci ricordano ogni giorno il senso e
la fatica di un sacrificio verso l’altro. Con la loro fede ci provocano e ci spingono a fare di più.
Ed oggi il Centro si trova a festeggiare con tre suoi incredibili compagni di viaggio. Il giorno della
Trasfigurazione è infatti il giorno in cui si festeggiano coloro che portano il nome di Salvatore. E noi
festeggiamo, tra gli altri, con Salvatore T., primo utente del Centro E’ più bello insieme e colonna portante
della Fattoria Sociale Orto di Casa Betania, che rappresenta l’opera compiuta dell’integrazione sociale e
lavorativa, la ricerca della dignità e della sana relazionalità che ci eravamo prefissi nel 2001; con Salvatore
Esposito,il presidente della Fics/Mediterraneo Sociale, il primo degli intellettuali e degli uomini impegnati a
tutto campo nel sociale, vent’anni prima di noi, che ha riconosciuto la validità della nostra esistenza,
dell’esistenza del Centro, non per il Centro soltanto, non solo per Benevento, ma per tutto il Mediterraneo,
un amico incontrato ieri e che pare essere da sempre con noi ( e che di fatto lo è, se si pensa che tutta la
strutturazione formale del Centro avvenuta tra il 2006 ed il 2008 l’abbiamo potuta realizzare in questi anni
solo grazie ai regolamenti ed alle leggi che Salvatore da dirigente pubblico ha promosso, nella direzione
della giustizia sociale e della profonda rettitudine etica che lo contraddistinguono).
Con il Salvatore, perché senza di lui questa storia non ci sarebbe stata. Ed oggi ci ricorda la Sua
trasfigurazione per dirci ancora una volta: c’è da camminare. Il mio Volto è nel volto di tutti i poveri, non
basta contemplarlo, bisogna amarlo, nelle sue rughe, nelle sue giornate, nei suoi tempi, e scendere a valle
perché tutti lo vedano.
Auguri a tutti noi da e al Centro “E’ più bello insieme”!
Angelo
NB: Il 27 settembre( memoria di San Vincenzo de’ Paoli) prossimo siete tutti invitati alla benedizione
inaugurale del Caffè dell’Orto!