Heidegger, genio razzista impenitente

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Heidegger, genio razzista impenitente
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Corriere della Sera Giovedì 3 Maggio 2012
Cultura
Ritrovata cartolina del Führer del ’16
«Reduce da una visita al dentista, ma pronto a ritornare
al fronte immediatamente»: questo il contenuto — non
esente da alcuni errori di ortografia — di una cartolina
inviata dall’allora soldato Adolf Hitler (foto) a un
commilitone nel dicembre 1916. La cartolina fa parte di oltre
45 mila documenti per la maggior parte inediti sulle «storie
di guerra personali» raccolti grazie al progetto «Europeana».
Il caso Un saggio riapre la polemica sul filosofo tedesco filohitleriano, accusato di antisemitismo e «apologia dello sterminio»
Heidegger, genio razzista impenitente
di ARMANDO TORNO
H
eidegger è uno dei filosofi contemporanei
di riferimento. Più di ogni altro suscita
discussioni e continue prese di posizione.
In Italia la traduzione degli scritti
continua e un editore come Adelphi ha in catalogo
una ventina dei suoi libri. Da poco sono usciti altri
due titoli. Christian Marinotti ha pubblicato La
storia dell’essere (pp. 206, e 22), un volume che
contiene pagine risalenti agli anni 1938-40; mentre
Quodlibet ha appena edito la Fenomenologia
dell’intuizione e dell’espressione (pp. 192, e 24),
vale a dire il corso del semestre estivo che il
filosofo ha tenuto a Friburgo nel 1922. Ma c’è un
terzo libro che riguarda Heidegger: è il volume che
ha fatto discutere nel 2005 e che oggi esce tradotto
anche in italiano. Si tratta del saggio di Emmanuel
Faye, professore di filosofia moderna e
contemporanea a Rouen, dal titolo Heidegger,
l’introduzione del nazismo nella filosofia. Lo
pubblica l’editrice «L’asino d’oro» di Roma ed è
stato curato da Livia Profeti (pp. 544, e 30). Della
prefazione al testo italiano dello stesso Emmanuel
Faye (da lui scritta lo scorso marzo), di una ventina
di pagine, viene qui dato uno stralcio che ben
illustra il contenuto del saggio. L’autore ribadisce
tra l’altro, in questo suo contributo, il razzismo del
celebre pensatore nei corsi dal 1927 al 1934; dedica
un paragrafo all’«apologia dello sterminio
nell’autunno del 1941», analizza le responsabilità
dello stesso
Heidegger per la
Confessioni
diffusione del
nazismo e si
L’autore si sofferma
sulle lettere
sulle lettere rivelatrici sofferma
alla futura moglie
indirizzate alla futura Elfride. Sin dal 1916,
moglie Elfride
sottolinea Faye, ci
sono prove del suo
antisemitismo. La
curatrice, Livia Profeti, chiarisce nella sua nota le
ragioni dell’edizione de «L’asino d’oro». Tra esse,
ricorda, «si è voluto offrire ai lettori la possibilità
di ritrovare facilmente quelle affermazioni razziste
e pro-naziste anche nelle traduzioni italiane delle
opere di Heidegger, dove spesso il loro reale
significato è difficilmente riconoscibile». Nota, per
esempio, che il termine Vernichtung è stato reso
con annientamento; invece Zucht e Züchtung, già
presenti in Nietzsche e da lui utilizzati in senso
allegorico, sono stati intesi rispettivamente come
ammaestramento e selezione, giacché in
Heidegger «non c’è alcuna opposizione tra
biologia ed educazione». Del saggio di Faye è stata
tradotta la seconda edizione, uscita in Francia nel
2007. Le modifiche, per lo più riguardanti un
aggiornamento inevitabile per le continue
pubblicazioni di e su Heidegger, sono state
concordate con l’autore, che a sua volta è
intervenuto tra le edizioni del libro. Quella italiana,
in particolare, ha tralasciato solo due paragrafi
non riguardanti direttamente il filosofo tedesco.
Non mancano comunque le pagine con
osservazioni puntute su Carl Schmitt, Alfred
Baeumler, Erik Wolff, Ernst Jünger.
Martin Heidegger (contrassegnato dalla croce) tra i rettori nazisti recatisi a porgere il loro sostegno a Hitler al Congresso di Lipsia, nel 1933
I testi
] Martin
Heidegger
(1889-1976)
è autore di
«Essere e
tempo»
(1927),
«Segnavia»
(1967),
«Contributi
alla filosofia»
(postumo,
1989)
] Il saggio di
Faye, con una
prefazione del
marzo 2012, è
pubblicato da
«L’asino
d’oro» nella
collana «Le
gerle». La casa
editrice è stata
fondata da
Matteo Fago e
Lorenzo Fagioli
nel 2009
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«Così pubblicò i suoi corsi
per celebrare il nazismo»
Li fece inserire dopo il ’53 nell’Opera integrale
di EMMANUEL FAYE
D
opo la sconfitta del III Reich, una
commissione di professori di Friburgo incaricata di giudicare i casi
più gravi chiama Heidegger a rispondere dei «danni tremendi» causati all’università e del suo «antisemitismo». Gli
sarà vietato di insegnare e di partecipare a
qualsiasi attività universitaria, divieto che sarà mantenuto fino al 1951. La commissione
seguì le raccomandazioni di Karl Jaspers,
che aveva consigliato caldamente, visto in
particolare il «modo di pensare heideggeriano non libero, dittatoriale e scarsamente comunicativo», di sospenderlo dall’insegnamento per alcuni anni, ma di favorire comunque il suo «lavoro». Ebbene, Heidegger
si è molto abilmente servito di questa illusoria dissociazione tra insegnamento e «ope-
ra» per pubblicare i suoi corsi nazisti appunto per mezzo della sua «opera». Infatti, a
partire dal 1953, egli ha iniziato a pubblicare
i corsi e gli scritti in cui celebra il dominio e
la «grandezza» del movimento nazionalsocialista. E una volta assicurata la propria fama ha programmato la pubblicazione, postuma, della sua «opera integrale» (Gesamtausgabe), includendovi i corsi più apertamente nazisti e reintegrando negli scritti
degli anni 1930 e 1940 i passaggi dapprima
soppressi perché giudicati troppo compromettenti. Che cosa nasconde questo doppio
gioco? Qual è la sua strategia? Chi è dunque
Heidegger veramente?
È necessario fare oggi piena luce su queste domande. È necessario anche rivalutare
la sua responsabilità, non solo nell’adesione
dei tedeschi a Hitler nel 1933, dove l’influenza dei discorsi del rettore Heidegger è accer-
La tesi
«Occorre
rivalutare
la sua
responsabilità
nel preparare
le menti alla
politica di
eliminazione
degli ebrei»
tata da lunga data, ma anche nella preparazione delle menti al processo che condurrà
alla politica di espansione militare del nazismo e allo sterminio degli ebrei d’Europa
(...).
Sappiamo da poco tempo con quale
precocità si è espressa l’intensità del razzismo e dell’antisemitismo di Heidegger. Sin
dal 1916, scrive alla fidanzata Elfride: «La giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università è in effetti spaventosa, e ritengo che la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie interiori per emergere». Lo
stesso tema e lo stesso vocabolario si ritrovano nella penna di Hitler, che parla nel Mein
Kampf delle «università giudaizzate». E le
lettere di Heidegger a Elfride sono infarcite
di odiose osservazioni antisemite, come ad
esempio quando scrive, il 12 agosto 1920,
che «gli ebrei e i profittatori sono ormai
un’invasione», o quando, il 19 marzo 1933,
deplora il fatto che Jaspers, un uomo «puro
tedesco, con l’istinto più genuino, che sente
la più alta sfida del nostro destino e individua i compiti, resti vincolato dalla moglie»,
che è ebrea. Prosegue poi rimproverando a
Jaspers di pensare «in maniera troppo "legata all’essere umano"». Per Heidegger, dunque, essere «puro tedesco» implica rompere qualsiasi legame con gli ebrei, anche se si
tratta della propria moglie, e respingere
ogni riferimento all’umanità.
Tuttavia, invece che militare apertamente
come Hitler alla testa di un partito, Heidegger prepara in modo sotterraneo la conquista delle menti. Sin dal 1922 predispone con
la moglie Elfride il suo rifugio di Todtnauberg, in cui, dalla Hütte (capanna, baita) annidata tra le alture accanto a un ostello della
gioventù, invita i suoi studenti a veglie e passeggiate, delegando a Elfride — come rivela
la testimonianza di Günther Anders — il
compito di attirarli nei movimenti giovanili
nazionalsocialisti. Nel 1930 Elfride metterà
il Mein Kampf di Hitler sul tavolo della
Hütte, ordinando all’allievo di Heidegger,
Herman Mörchen: «Lo devi leggere!». Ed è
a Todtnauberg che, nell’ottobre del 1933, il
rettore Heidegger organizza il suo primo
campo di indottrinamento (con marcia da
Friburgo in uniforme delle SA o delle SS),
dove fa tenere corsi di dottrina razziale e
procede egli stesso alla selezione dei più idonei.
Nel frattempo, Heidegger ha perseguito
la sua ascesa universitaria: dopo aver corteggiato il filosofo Husserl, non esita a rompere con lui due mesi dopo aver ottenuto la
sua cattedra a Friburgo. Nello stesso anno
1928 tenta invano di imporre, come proprio
successore all’Università di Marburgo, Alfred Baeumler, suo compagno di strada nei
primi anni del nazismo. Nel maggio del
1933 quest’ultimo, insieme a Goebbels, farà
da maestro di cerimonia nel grande rogo di
libri a Berlino.
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Architettura Presentata da Baratta l’edizione diretta da Chipperfield: 103 partecipanti, 55 Paesi
Biennale, Padiglione Italia in cerca di curatore
di PAOLO CONTI
N
on è più tempo di capricci
per le archistar, quelle protagoniste della cosmo-architettura da esporre sui piedistalli come i profumi ai duty free degli aeroporti. Anzi, c’è una notizia che
contraddice molti luoghi comuni.
I grandi nomi dell’architettura contemporanea «sono in contatto,
condividono preoccupazioni comuni, svelano reciproche influenze». Parola del britannico Sir David Chipperfield, a sua volta protagonista dell’architettura contemporanea (un’opera per tutte: il rinnovamento del Neues Museum di
Berlino) che ieri ha presentato a
Roma la «sua» 13ma Mostra internazionale di architettura della
Biennale di Venezia di cui è curatore. Il presidente Paolo Baratta con-
ferma con ironia: «Stavolta gli architetti lasceranno Narciso a casa...»
Il mondo cambia, la crisi si avverte (ancora Baratta: «L’architettura non è più strumento di enfatizzazione delle conquiste e delle vittorie del committente, molti progetti faraonici si sono arrestati») e
l’architettura ripensa a se stessa e
al proprio ruolo (stavolta è Chipperfield) riflettendo «più sulle preoccupazioni che sulle proprie glorie ma senza abbandonare le proprie ambizioni», quindi non cedendo a un quadro globale assai
poco rassicurante. Il titolo della
rassegna è «Common Ground»,
un «terreno comune» sul quale individuare, dice Sir David, «idee differenti riunite in una storia comune, in contesti e ideali collettivi».
Certo, ci sono i grandi nomi (an-
che Norman Foster, o Zaha Hadid
che racconterà le influenze ricevute dal mondo dell’ingegneria) ma
per il resto i 103 partecipanti parleranno di vita quotidiana, di spazio
sociale nel tentativo di «ricomporre l’identità dell’architetto di fronte all’uso spresso scomposto che si
è fatto della sua arte».
I Paesi presenti saranno 55 (esordio per Angola, Kosovo, Kuwait,
Perù, Turchia). Grande impegno
per «Biennale Sessions», un vasto
progetto didattico per le università. Apertura il 29 agosto, chiusura
il 25 novembre. Baratta ha poi posto un problema che riguarda solo
e direttamente l’Italia: «Viviamo
una grave discrasia, con la Biennale abbiamo la più importante mostra internazionale di architettura,
ma non sappiamo esprimere in
questo settore una domanda di
Illustrazioni
A sinistra: una immagine proposta
dall’Aga Khan Development Network in
«AKDN Historic Cities Programme».
Sopra: Zaha Hadid, l’Heydar Aliyev
Cultural Center di Baku, in Azerbaijan
(Foto Helene Binet)
qualità, così come avviene con il
buon mangiare, il buon vestire,
l’arredamento, il design. Non abbiamo capacità di domandare uno
spazio adeguato al nostro vivere.
Siamo un Paese nel quale i costruttori si vantano di non spendere
nulla per la progettazione».
Sarà forse per questa ragione se
incredibilmente il Padiglione italiano è ancora senza curatore. Al
ministero dei Beni culturali si sta
tuttora procedendo, con una tempistica a dir poco singolare, alla selezione di dieci proposte a inviti. E
così ieri, alla presentazione italiana della Biennale Architettura (seguiranno conferenze stampa in
molti Paesi) mancava ancora l’interlocutore nostrano, cioè del Paese della Biennale di Venezia. Il nome verrà reso noto «nei prossimi
giorni», ha annunciato Paolo Baratta. L’Angola, per la cronaca, ha
già nominato il suo da tempo. Così, tanto per dire.
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