Dalla stipula di un contratto di assunzione avente per oggetto un

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Dalla stipula di un contratto di assunzione avente per oggetto un
DE FUSCO
FUSCO LABOUR
LABOUR LAW
LAW
DE
DICEMBRE 2013
N. 34
SETTIMANALE DI INFORMAZIONE
TECNICA PER IL MONDO DEL LAVORO
A CURA DI DE FUSCO LABOUR LAW,
UN’ ASSOCIAZIONE DEL
GRUPPO DE FUSCO & PARTNERS
Dalla stipula di un contratto di
assunzione avente per oggetto un
rapporto di lavoro c.d. agevolato,
non
sempre ne consegue
l’automatica fruizione del beneficio ad essa associato. Ciò in quanto accade sovente che la norma
introduttiva di un determinata
agevolazione contributiva, ne
subordina la relativa operatività
all’emanazione di ulteriori norme
attuative, poi seguite dai relativi
chiarimenti Ministeriali o da parte
degli Istituti Previdenziali. Tuttavia, non sempre tali disposizioni
vengono emanate entro i termini
previsti. Un esempio emblematico
è dato dalle agevolazioni previste
per l’assunzione di donne con
contratti di inserimento, tipologia
abrogata dalla Riforma Fornero a
partire dal 1 Gennaio 2013. Solo
in data 10 aprile 2013 infatti, è
stato emanato il Decreto Ministeriale contenente le aree geografiche per le quali è ammessa la
fruizione delle agevolazioni in
misura superiore al 25 % in relazione ai contratti di inserimento
stipulati dal 2009 al 2012 con
donne di qualsiasi età ivi residenti
ed ivi svolgenti attività lavorativa
(per le assunzioni a partire dal 14
Maggio 2011 ai sensi dell’ Art.8
c.1 lettera a) del D.L. 70/2011, si
aggiunge l’ulteriore requisito della
mancanza di un impiego regolarmente retribuito dal almeno 6
mesi).
Il Decreto non ha tuttavia comportato l’immediata possibilità di
recupero o eventuale restituzione
delle relative agevolazioni, in
quanto l’INPS ha fornito le relative istruzioni operative solo in data
05.12.2013 con circolare n.166.
Nella circolare l’Istituto ricorda
inoltre che:
1) alle assunzioni di donne effettuate su tutto il territorio nazionale
trova applicazione l’agevolazione
contributiva “base” del 25 %;
2) Ulteriori condizioni per la
fruizione delle agevolazioni superiori al 25 % sono quelle previste
dal
Regolamento
(CE)
n.
800/2008, ovvero:
- L’ammontare del beneficio non
deve superare il 50% dei costi
salariali relativi ai 12 mesi successivi all’assunzione;
- L’assunzione deve determinare
un incremento netto del numero
dei dipendenti;
- Il contratto deve avere una durata minima pari a 12 mesi.
In allegato le tabelle con le aree
stabilite dal Decreto e un riepilogo delle agevolazioni previste.
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La tabella A allegata al D.M. 24
ottobre 2007 contiene la previsione di una serie di violazioni (sicurezza lavoro, orario lavoro, omicidio, lesioni colpose ecc.) che
comportano la pena del mancato
rilascio del DURC per un determinato periodo (variabile dai 3 ai
24 mesi). In questo arco temporale l'impresa non può fruire dei
benefici normativi e contributivi in
materia di lavoro e legislazione
sociale. Tuttavia, se l'impresa è già
in possesso di un DURC, lo stop
dei benefici opererà dalla scadenza del periodo di validità di tale
documento (120 giorni dal rilascio). Lo chiarisce, tra l'altro, il
Ministero del Lavoro che, nell'interpello n. 33/2013, ha risposto
all’istanza del Consiglio Nazionale
dell’Ordine dei Consulenti del
Lavoro, presentata per avere delucidazioni sulla corretta interpretazione del predetto Decreto, in
merito all'individuazione dell'arco
temporale di riferimento di inibizione al rilascio del DURC in
presenza delle cause ostative. La
decorrenza di questi periodi, spiega il Ministero, ha inizio dal momento in cui gli illeciti sono accertati in via definitiva. Una volta
esaurito tale intervallo di tempo,
l’impresa potrà tornare a usufruire
di benefici normativi e contributivi, compresi quei benefici non
legati a particolari vincoli temporali. Quindi, sarà possibile godere di
eventuali agevolazioni legate alla
corresponsione di “premi di risultato” laddove il termine per
l’effettiva erogazione, deciso dal
datore di lavoro e, pertanto, non
soggetto a decadenze, ricada in un
periodo di assenza di una causa
ostativa al rilascio del DURC. Di
converso, non sarà possibile usufruire per tutto il periodo di inibizione al rilascio del DURC di
benefici
concernenti
l’abbattimento degli oneri contributivi nei confronti dell’INPS, nel
caso in cui gli stessi vengano assolti
in base a scadenze legali mensili,
in quanto si tratta di agevolazioni
correlate a un preciso termine di
fruizione.
L’azienda aveva intimato un primo
licenziamento e, in pendenza del
giudizio di impugnazione, aveva
disposto, nei mesi successivi, una
seconda sanzione espulsiva per
giustificato motivo soggettivo.
Il Tribunale e la Corte di Appello,
ritenevano illegittimo il primo
licenziamento per violazione del
principio di immediatezza della
contestazione, ritenevano, invece,
valido ed efficace il secondo recesso.
Entrambe le parti ricorrevano in
Cassazione.
Il lavoratore contestava la legittimità del secondo recesso, sostenendo che, in pendenza del giudizio
di impugnazione sul primo, il
nuovo licenziamento andava a
incidere su un rapporto inesistente, poiché non ancora ricostituito
dalla sentenza di annullamento.
L’azienda contestava, invece, la
dichiarazione di illegittimità del
primo recesso, affermando che la
tardività
della
contestazione
avrebbe dovuto comportare la sola
conversione del licenziamento, da
giusta causa a giustificato motivo
soggettivo, senza incidere sulla sua
legittimità. La Cassazione, rigettando entrambi i ricorsi, ha affermato che il licenziamento illegittimo, intimato ai lavoratori ai quali
sia applicabile la tutela reale, non
è idoneo ad estinguere il rapporto
al momento in cui è stato intimato,
crea solo un’interruzione di fatto
del rapporto di lavoro, ma, non va
ad incidere sulla sua continuità e
permanenza.
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Sulla possibile conversione del
primo licenziamento, poi, la Suprema Corte ha chiarito che il
ritardo nella contestazione disciplinare rende sempre illegittimo il
licenziamento.
Infatti, il requisito dell'immediatezza della contestazione è un
elemento costitutivo del diritto di
recesso che riguarda indifferentemente entrambe le forme di licenziamento.
Pertanto, l'azienda che non ha
rispettato i tempi non può sperare
di sanare un recesso per giusta
causa, dichiarato illegittimo, convertendolo in uno per giustificato
motivo soggettivo.
impugnava il contratto chiedendo
al Tribunale di dichiararne la
conversione in contratto a tempo
indeterminato,
sostenendo
l’illegittimità dell’apposizione del
termine anche sull’assunto che
non ci fosse una perfetta sovrapposizione temporale fra la durata
del contratto e il periodo di assenza della lavoratrice sostituita.
La decisione: la Cassazione ha
disposto il rigetto del ricorso sostenendo che, una volta verificata
l’effettiva sussistenza della ragione
sostitutiva, ai fini della validità del
contratto, non è necessario che la
durata del negozio copra l’intero
periodo di astensione, poiché
rientra fra i poteri del datore di
lavoro sopperire all’assenza della
dipendente sostituita, attuando
altre opzioni organizzative (conf.
Cass. 19.03.2013 n. 6787)
Il caso: un lavoratore veniva assunto con contratto di lavoro a
tempo determinato allo scopo di
sostituire una lavoratrice assente a
titolo di maternità obbligatoria; al
termine del rapporto, il lavoratore
l’opportunità di approfondire il
tema delle condizioni che autorizzano il datore di lavoro a sanzionare i medesimi fatti con distinti
provvedimenti sanzionatori.
Come noto, infatti, il datore di
lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei
confronti del prestatore di lavoro
in relazione a determinati fatti
costituenti infrazioni disciplinari,
non può esercitare una seconda
volta, per quegli stessi fatti, il detto
potere oramai consumato.
Nei mesi passati, però, alcune
corti di merito, con interessanti
aperture, avevano affrontavano la
questione arrivando a sostenere
che non vi è duplicazione
dell’esercizio del potere disciplinare ove tale potere inerisca a fatti
che, pur connessi a quelli già sanzionati, si presentino però per
spettro, natura ed obiettiva consistenza sostanzialmente diversi da
quelli oggetto di precedente procedura disciplinare.
Il precedente in commento offre
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In tal senso La Corte di appello di
Bologna (con la sentenza n.
11647/2013), ha confermato il
licenziamento intimato ad un
lavoratore, già sanzionato con
sospensione dal lavoro e dalla
retribuzione per la mancata giustificazione di alcuni giorni di malattia ma poi licenziato poiché utilizzava il predetto periodo non già
per il accadimenti connessi allo
stato morboso, ma per effettuare
un viaggio all’estero.
Incidentalmente, la Corte di Appello afferma anche che è pienamente sindacabile in sede giudiziale il certificato medico, sia sotto il
profilo della coerenza dei suoi
contenuti diagnostici, prognostici e
terapeutici, sia sotto il profilo della
idoneità della patologia certificata
a giustificare l'astensione dal lavoro, sia sotto il profilo della eventuale incongruenza dei contenuti
diagnostici con le circostanze di
fatto appurate successivamente.
Conformemente la Cassazione
risolve una vicenda molto complessa ma con medesimi presup-
posti.
Il caso in esame trae origine da
licenziamento di un lavoratore
perché questi aveva istallato un
noto programma di scambio file
sul computer aziendale (caso, per
altro esaminato nella Week Lab n.
32 del 02.12.2013). L’atto risolutivo del rapporto, tuttavia, motiva il
recesso affermando genericamente
un danno potenziale per l’azienda,
non circostanziando i fatti. La
cassazione, pertanto, ritenendo
insufficiente la motivazione offerta
dal datore, dichiarava illegittimo il
recesso.
Successivamente l’azienda operava
sul computer del dipendente attente analisi in forza delle quali
emergeva l’istallazione e l’utilizzo
sistematico del predetto programma per fini personali e tale
condotta era una espressa violazione di una precisa policy aziendale.
Pertanto l’azienda irrogava un
nuovo licenziamento motivando il
recesso in forza delle nuove risultanze istruttorie e specificando
chiaramente il comportamento
che si intendeva sanzionare (ovvero la violazione della richiamata
policy), di cui si diveniva consapevoli solo all’esito della perizia fatta
sul computer del lavoratore.
Questi, al contrario, sosteneva che
gli stessi fatti fossero già stati sanzionati con il precedente licenziamento. La Cassazione, rigettando
le istanze del lavoratore, rileva che
i fatti posti a base del secondo
licenziamento risultano nuovi e
diversi rispetto al precedente atto
risolutivo e conferma il secondo
licenziamento irrogato, esprimendo, così, un’assoluta vicinanza
rispetto ai canoni individuati dalla
giurisprudenza di merito per
l’esercizio del potere disciplinare.
Non può quindi parlarsi di duplicazione di esercizio del potere
disciplinare quando il procedimento sanzionatorio riguardi fatti
che, pur vicini o connessi a quelli
già sanzionati, si presentino però
sostanzialmente diversi da quelli
oggetto di precedente procedura
disciplinare.
 FINE
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