Untitled - Aldo Pavan

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Untitled - Aldo Pavan
Aldo Pavan
Nella pagina precedente,
incenso in vendita al mercato
di Salalah in Oman.
Nelle pagine successive,
il villaggio di Al Hajir
in Oman, si presenta come
un’oasi con il palmeto
e i campi coltivati.
Le vie dell’incenso attraverso
la Penisola Arabica,
tracciate su una mappa
custodita al Museo
archeologico ed etnografico
dell’Oasi di al-Ula.
L A V I A D E L L’ I N C E N S O
Sulle tracce delle antiche carovane
attraverso la Penisola Arabica
In tro du z io n e
I
O m an
8
15
D o ve n a sc e la m itic a re sin a
II
Y e m en 89
Attra ve rso l’ a n tic a Ara b i a Fe li x
III
A r a b ia S a u di t a 129
G io r dania 185
ISRAELE
231
L a pro spe rità de l de se rto
IV
D a Pe tra c ro c e via de i c o m m e r ci
V
Ve rso i po rti de l M e dite rra n e o
È la via sacra dei profumi. Un’antica autostrada attraverso deserti e montagne, trac-
ciata per il commercio di una resina speciale: l’incenso. Con tanto di pedaggi e dazi. E disavventure quasi sempre garantite da predoni e briganti, oltre che dalle maledette tempeste di
sabbia, dalla mancanza di acqua e dalle difficoltà di orientamento. Una via così importante e
battuta da fare del sud dell’Arabia un regno florido e ricco, appunto un paese felice, l’Arabia
Felix. La via dell’incenso non è una semplice pista, una linea sulla carta geografica. Non ha
solo caratteri topografici. È molto di più. È una delle arterie lungo le quali è passata la storia
dell’uomo. Attraverso questo cammino sono venuti in contatto mondi lontanissimi e diversi.
Si sono toccate Europa e India, oltre che Arabia e Africa. Sono transitate merci, ma anche
scienza, cultura e leggenda. La via dell’incenso è legata a doppio filo al mito. La tradizione
orale parla di un misterioso Paese di Punt, terra verso la quale gli egizi effettuarono diverse
spedizioni militari con l’intento di impadronirsi delle enormi fonti di ricchezza costituite
appunto dai luoghi di produzione dell’incenso. Famosa è l’impresa organizzata attorno al
1500 a.C. dalla regina Hatschepsut che riportò in patria numerose navi stipate di incenso,
come testimonia un affresco nella sua tomba di Luxor. Ma per la verità ben poco si sapeva
dell’origine della famosa resina. Su di essa favoleggiarono letterati e storici. Ne parla Erodoto
nel 430 a.C. spiegando che «gli alberi che producono l’incenso sono guardati da serpenti
alati di piccola taglia e di vari colori, appesi a ogni albero». I Magi, provenienti dall’Oriente,
portarono a Gesù, oltre all’oro e alla mirra, l’incenso. Forse anch’essi percorsero l’antica via
dell’incenso come testimoniano i loro doni. Il commercio dell’incenso apportava ricchezze
incalcolabili ai mercanti arabi che ne detenevano il monopolio. Richiestissimo, veniva pagato
in oro. Era usato come medicinale, nella cosmesi, per le imbalsamazioni ma soprattutto nelle
funzioni sacre. Ovunque, nell’area del bacino del Mar Mediterraneo, come in Mesopotamia
e in India, l’incenso serviva a fini devozionali. L’uso liturgico nasceva dal convincimento che
gli dei potessero gradire i profumi prodotti dall’olocausto delle vittime sacrificali ma anche
dai prodotti vegetali come l’incenso. E infatti il suo nome scientifico è Bosweilla sacra. La
pianta da cui si ricava è un alberello, per la verità abbastanza modesto, per niente frondoso,
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Incisioni sulla pietra
arenaria alle porte dell’oasi
di Jubbah in Arabia Saudita.
Raffigurano carovane
di dromedari.
con molti rami e poche foglie, che nasce esclusivamente sulle rive del Mar Arabico. E qui sta
la sua forza: un’essenza endemica che non si può coltivare altrove.
Se avessimo uno stradario antico, una sorta di guida pratica, sapremmo che tutta la via dell’incenso si può percorrere teoricamente in due mesi. Sempre se tutto va bene. Sono da coprire
circa 2400 chilometri da suddividere più o meno in 65 tappe. Così racconta lo storico Plinio il
Una antica miniatura
raffigurante una carovana,
opera di Yahya ibn Mahmud
al-Wasiti del 1237, custodita
alla Bibliothèque nationale
de France.
Vecchio. E infatti i cammelli, o meglio i dromedari, riescono a percorrere circa 40 chilometri
al giorno. L’incenso veniva raccolto tra l’Hadramawt e il Dhofar, aree montuose a ridosso del
deserto, tra gli attuali Yemen e Oman. Oggi la Bosweilla sacra vive solo nel wadi Dowkah in
Oman. Preziosa e rara, è stata messa sotto tutela dall’unesco per garantirne la sopravvivenza, dopo che negli ultimi decenni il mercato è stato invaso dall’incenso sintetico, che in
parte ha sostituito quello naturale. Dai luoghi di raccolta l’incenso veniva convogliato nelle
città dell’interno, oggi sparite dalla carta geografica. Tra queste c’era Shabwah, nell’attuale
Yemen. Proseguiva poi lungo una rotta terrestre che passava per San’a-, da sud puntava verso
Medina e da qui si dirigeva su Petra per arrivare, attraverso l’attuale Giordania, in Palestina
fino ai porti del Mediterraneo. Il principale era Gaza. Da qui il prezioso carico di incenso, che
nel frattempo era salito al prezzo esorbitante di 688 denari per 100 chili, veniva spedito via
mare ad Atene, Alessandria e nelle altre città dell’impero romano, prima fra tutte Roma che
ne era grandissima consumatrice. Si racconta che il solo Nerone nel 65 a.C. bruciò un’intera
produzione annua, pari a 3000 tonnellate, in occasione dei funerali di Poppea, facendone in
questo modo salire il prezzo alle stelle. Con l’incenso viaggiava anche la mirra, altra famosa
resina arabica. Non solo: ai porti arabi giungeva dall’India e dall’Africa un’infinità di merci
diverse che proseguivano poi via terra. C’erano le spezie, come pepe, cinnamomo, zenzero,
cannella, oppure tessuti preziosi e sete imbarcati nei lontani porti del Malabar. Oltre a perle,
avorio, piume, pelli di animali e oro, caricati lungo la costa orientale africana che già allora
era sotto il controllo dei mercanti arabi. Con le merci si riempivano grandi contenitori di
paglia intrecciata dal peso di circa 50 chilogrammi. Un dromedario era in grado di trasportarne due sulla propria gobba.
Tribù di nomadi e cammellieri si ergevano a guida delle carovane che per circa cinque secoli
hanno attraversato la Penisola Arabica. Erano loro a contribuire al grande commercio e far sì
che si creasse l’epica leggenda dell’Arabia ricca e opulenta ricordata nelle fonti greche e romane.
Tra questi popoli vi furono i nabatei che per primi imposero un ferreo controllo sulle carovane
e che fecero della loro capitale Petra una delle più importanti città del mondo antico, grande
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la via dell’incenso
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snodo di traffico. Ma non ci fu solo Petra sull’atlante dei nabatei. Ad essa va aggiunta la splendida Hegra, con le misteriose facciate delle sue solitarie tombe rupestri che si innalzano nel
deserto. Oggi è una città morta nel deserto dell’Hegiaz, in Arabia Saudita, 900 chilometri a sud
di Petra. La visitò anche Maometto che ne parla nella XV Sura del Corano. Abbandonata verso
il 70 d.C. ha segnato la decadenza della via dell’incenso, quando i romani iniziarono a preferire
la via marittima lungo il Mar Rosso alle peripezie e ai rischi di quella terrestre.
Nel suo prezioso portolano intitolato Periplus Maris Erythraei, l’ignoto navigatore del I secolo d.C. spiega che «vi è una baia chiamata Sakalites coperta da spesse nubi d’aria e vapori
emanati dagli alberi alti e sottili stillanti gocce d’incenso dalla corteccia». E infatti la nebbia
non è una rarità in estate sulla costa arabica meridionale. Sono le sue particolari condizioni
climatiche che favoriscono la crescita della Bosweilla sacra. In quest’area il monsone estivo
si abbatte con pesanti piogge che fanno scendere la temperatura fino ai 25 gradi, metà della
temperatura che si registra appena oltre la catena montuosa del Dhofar, dove la colonnina di
mercurio raggiunge anche i 50 gradi, annunciando il temibile deserto dell’interno. All’inizio
di aprile, quando la temperatura inizia a salire, la corteccia della Bosweilla sacra viene incisa
con tagli lunghi circa 10 centimetri dai quali esce una linfa lattiginosa bianca. Dopo qualche
giorno, al contatto con l’aria, la resina si rapprende e assume un colore giallastro. Una volta
essiccata viene raccolta. L’operazione si ripete un paio di volte nella stagione umida. L’incenso
di secondo taglio però non è più della stessa qualità del primo e al mercato viene venduto a
un prezzo inferiore. Un albero è in grado di produrre 10 chili di incenso a stagione.
Anche noi ora cerchiamo di percorrere l’antichissima via, ma sappiamo già che non esistono
più evidenti tracce se non nei resti archeologici delle antiche città, molte delle quali sommerse dalle sabbie del deserto. Si può solo immaginare quale fosse il fasto della civiltà che
l’incenso ha favorito e contribuito a far crescere. Oasi e centri abitati dove per secoli fecero
tappa migliaia di uomini e altrettante migliaia di cammelli. Oggi si calpestano muri abbattuti
o antiche fondamenta. Si rincorre il rumore del vento. Sembra di ascoltare voci lontane che
arrivano da chissà dove. I cammelli sono sempre meno. Tutto è cambiato. Noi usiamo il fuoristrada e in Arabia Saudita voliamo sull’asfalto liscio che segna come un nastro nero il giallo
delle sabbie del deserto. Oggi non sono più le stelle a orientarci nel cammino, bensì i moderni gps. Ma nonostante la modernità, la via dell’incenso vive ancora. Fa parte della memoria
collettiva dei popoli che hanno legato il loro destino alla sua leggenda. E in qualche modo è
nel cuore della storia dell’umanità.
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Incenso in vendita
presso il mercato della
città saudita di At Taif.