Schede film discussi insieme 2009

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Schede film discussi insieme 2009
realtà non avviene ma che sarebbe stata possibile tra Selma e la
moglie del ministro della difesa israeliano per l’empatia che nasce
tra loro. Si guardano, si studiano, si comprendono, anche se da lontano e scavalcano il traliccio divisorio entrambe, si avvicinano. Due
donne a confronto: una rimane con le piante di limoni monche e
l’altra lascia il marito. Mi ha colpita anche l’immagine del marito di
Selma onnipresente: controlla sia rispettata la sua onorabilità anche
dall’oltretomba? Film stupendo, fatto soprattutto di sguardi. Molto
bella e intensa l’interpretazione di Hiam Abbass/Selma.
OTTIMO
protagonista. “Il giardino di limoni” è un bel film che si segue con
partecipazione, nel quale stona un po’ solo il finale forse troppo
duro, in contrasto con la linea lieve e minimalistica del contesto. Ma
si sa, solo i film americani indulgono al lieto fine...
I
dino di limoni
MARIAGRAZIA GORNI Ben diretto e recitato, il film ci offre uno
spaccato inconsueto dello scontro tra Palestinesi ed Ebrei ed è un
appello alla concordia e all’uso del “buon senso”. Splendida la figura
di Salma, forse in po’ meno riuscita quella della moglie del ministro.
Qualche lentezza di troppo e qualche sbavatura nella sceneggiatura
(vedi episodio dell’attentato non ben chiarito) non compromettono
comunque la positività dell’insieme.
GIOVANNA OGGIONI Un film sull’amore.
TULLIO MARAGNOLI Andreotti diceva che il potere logora chi non
ce l’ha. Dopo questo film si può aggiungere che il potere rimbambisce chi ce l’ha e non se lo merita. Quel ministro di un Paese sempre
sotto attacco che si fa la casa a tre metri da un confine notoriamente caldo e che resiste a oltranza in giudizio ben sapendo che il suo
stesso governo sta per erigergli un alto muro fra i limoni e il suo
naso: c’è da preoccuparsi?
PIERFRANCO STEFFENINI È significativo come un Paese fortemente militarizzato, impegnato in un pluridecennale conflitto senza
esclusione di colpi con avversari interni ed esterni, possa dar vita a
una produzione cinematografica antibellicista, tollerante, aperta al
dialogo. Dopo film come “Sotto le bombe”, “Valzer con Bashir”, “La
banda”, ecco che un regista israeliano ci offre “Il giardino di limoni”,
che racconta una “favola realista”, che si schiera decisamente dalla
parte dell’altro, nella persona di una donna palestinese, che si batte
per la conservazione della sua antica limonaia, destinata allo sradicamento per garantire la sicurezza alla vicina abitazione del ministro della Difesa israeliano. Non manca nello schieramento opposto
qualcuno che si mostra attento ai problemi della protagonista ed è
la moglie del ministro. In effetti, mentre le donne nel film spiccano
per spirito di indipendenza, sensibilità e determinazione, sono gli
uomini ad apparire rozzi, ottusi e carrieristi, in primis il ministro,
ma anche gli esponenti palestinesi e soprattutto l’avvocato della
Il giardino
di limoni
116 FILM
DISCUSSI
INSIEME
BUONO
CARLA CASALINI Bella metafora di una situazione umana, sociale, politica - quella d’Israele - che produce per entrambe le parti
in causa, ogni giorno, incomprensione, solitudine, dolore. Alla fine
sono tutti vittime e tutti soli i protagonisti di questa vicenda emblematica: compreso l’imperturbabile ministro della Difesa israeliano.
Il fatto, però, che proprio un ministro della Difesa israeliano abbia
voluto e potuto andare ad abitare proprio lì, in quella isolata casa di
ERAN RIKLIS
fotografia
RAINER KLAUSMANN
montaggio
TROVA ASHER
interpreti
HIAM ABBASS - DORON TAVORY - ALI SULIMAN TARIK SOPTY - RONA LIPAZ-MICHAEL
GRAZIA AGOSTONI Come favola, ottime le idee e la recitazione.
Ma è una favola...
CATERINA PARMIGIANI Montale, frequentatore solitario di orti, si
rasserena quando vede i limoni e sente il loro profumo; la palestinese Selma non conosce altra serenità che in mezzo ai suoi limoni che rappresentano per lei sia il sostentamento economico sia le
radici familiari, il lavoro e la continuità degli affetti. È sola perché
vedova e con i figli lontano. Si confronta con lei la nuova vicina,
la moglie del ministro della difesa israeliano, altrettanto sola, pur
circondata da molte persone; dapprima spiandola, poi guardandola
apertamente, ne impara ad apprezzare il coraggio e la dignità e la
prenderà ad esempio per recuperare la forza d’animo di un tempo.
Film gradevole ma fragile nella sceneggiatura, ben recitato dalle due
protagoniste.
regia
nazione
ISRAELE - GERMANIA - FRANCIA
distribuzione
TEODORA
durata
106’
ERAN RIKLIS
1954 - Gerusalemme (Israele)
2008
2005
Il giardino di limoni
La sposa siriana
Il giardino di limoni 113
La storia
Selma Zidane è una vedova palestinese che vive in Cisgiordania in
una casa con un grande giardino di limoni, ereditato dal padre e
sua unica fonte di sostentamento. Quando il ministro della difesa
israeliano si trasferisce con la moglie in una grande villa, proprio
sul confine e a pochi metri dal frutteto di Selma, i servizi segreti
lanciano l’allarme, individuando nel limoneto un perfetto nascondiglio per i terroristi, in caso di attentati contro il ministro. Decidono
quindi, di informare la proprietaria che, per cause di forza maggiore,
saranno costretti prima a recintare il giardino, poi ad abbattere tutti
gli alberi, in cambio di un risarcimento economico. Selma si oppone
con tutte le sue forze, perché il frutteto ha per lei un significato
profondo, rappresenta le sue radici e la sua storia. Così, sostenuta
da un giovane avvocato palestinese, è fortemente determinata a
non cedere e impugna la causa, prima davanti al tribunale militare
e poi alla Corte Suprema di Gerusalemme. Il coraggio e la dignità
di Selma colpiscono anche la moglie del ministro della difesa che
a volte la osserva affascinata, comunicandole con lo sguardo una
solidarietà che con le parole non le è concesso esprimere. Alla fine,
la Corte dichiara che non è più necessario sradicare i limoni, ma
basterà potarli a un’altezza di trenta centimetri. Nessuno ha vinto.
Selma si aggira desolata nel suo giardino pieno di moncherini. Un
muro grigio, lungo la linea di confine, protegge la casa del ministro,
rimasto solo dopo che la moglie ha deciso di lasciarlo.
La critica
La fiera vedova palestinese (l’intensa Abbass) coltiva i suoi limoni in
una solatia striscia della Cisgiordania. Quando il ministro della Difesa
israeliano diventa il suo vicino di casa, comincia una disputa che si
trasforma in una questione di Stato. Semplice e non retorica, la novella è un sommesso invito alla comprensione fra i popoli in guerra.
Claudio Carabba, Il Corriere della Sera Magazine, 18 dicembre 2008
Poche piante di limoni possono avere un immenso valore. Sono il ricordo del padre, il legame con il passato, le radici nella propria terra.
Ed è proprio un giardino di limoni a essere al centro dell’omonimo
film dell’israeliano Eran Riklis. Anzi, fin troppo “al centro”: si trova
tra due case, quella della proprietaria palestinese e quella in cui abita il ministro della Difesa ebraico. Da una parte le ragioni di chi possiede quel terreno da tempo immemorabile; dall’altra le esigenze di
sicurezza,che esigono l’immediato sradicamento del frutteto. Ma la
donna non cede: aiutata da un giovane avvocato, fa opposizione all’ingiunzione del Tribunale militare, arrivando fino alla Corte suprema.
Non conta come andrà a finire: contano gli sguardi che s’incrociano tra la palestinesee la moglie del ministro, che la osserva
mentre coltiva con amore i suoi limoni. Contando i sussurri, le
paure, il desiderio di farla finita con una situazione intollerabile.
Luigi Paini, Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 2009
Un film non fa miracoli, specialmente nei Territori Occupati. Ma se
arriva al cuore e alla comprensione di tutti forse non è inutile. Il
regista Eran Riklis de “La sposa siriana” e l’attrice Hiam Abbass de
“L’ospite inatteso” ci riescono con “Il giardino di limoni”. Che misura
abissi e contiguità tra una questione apparentemente insolubile e la
vita comune in cui sembra a portata di mano un punto di incontro.
E mostra la coesistenza tra regime di occupazione e garanzie democratiche. Si tratta di quanto accade alla vedova palestinese Salma
Zidane quando il ministro della difesa di Israele viene ad abitare
nella villa confinante con l’agrumeto che significa tutto per lei: sostentamento e radici. Ritenendolo pericoloso, la Sicurezza impone
che sia raso al suolo. Aiutata da un avvocato che subisce il fascino
del suo coraggio - i figli sono lontani e la comunità araba diffida
di una donna con troppa iniziativa - Selma fa ricorso alla Corte
Suprema sollevando un caso mediatico imbarazzante. Né vittoria
né sconfitta alla fine ma una lezione di dignità. Che porta la moglie del ministro - del cui turbamento il film non approfitta: le due
donne non si parlano mai - a lasciare marito e prigione di lusso.
Paolo D’Agostini, La Repubblica, 12 dicembre 2008
Al di là della scontata identità di «israeliano democratico», Eran
Riklis è un cineasta completo (si produce i film da sé) e un ottimo
Il giardino
di limoni
114 FILM
DISCUSSI
INSIEME
direttore di attori. Già convincente con «La sposa siriana», infatti,
firma in accattivante scioltezza «Il giardino di limoni», fiaba gentile
sul sogno di coesistenza pacifica tra israeliani e palestinesi impreziosita dalla prova di Hiam Abbas. La matura e credibile attrice vi
interpreta il ruolo di una vedova che vive in Cisgiordania ed è legatissima alla sua splendida e redditizia limonaia. Un brutto giorno
il ministro della Difesa israeliano decide di costruirsi una villa al
limite della frontiera, esattamente ai bordi dell’agrumeto: facile immaginare come i militari decidano d’intervenire drasticamente sul
quell’angolo incantato che potrebbe favorire gli assalti terroristici...
Il film gioca le sue carte in abile equilibrio tra umorismo e rabbia,
neorealismo e allegoria, cronaca ed ecologia. Potrebbe disturbare
l’innegabile prevedibilità del racconto, fortunatamente la protagonista schiva le trappole buoniste e riesce a illuminare lo schermo
non solo grazie alle parole e ai gesti, ma soprattutto grazie ai silenzi.
Alberto Castellano, Il Mattino, 13 dicembre 2008
Tutte le volte che vediamo un film ambientato in Palestina o Israele
ci chiediamo come si sia riusciti a costruire nel tempo la mitologia di
una terra promessa florida e ricca, quando siamo sempre di fronte
a luoghi di un’aridità fisico-geografica oggettivamente spaventosa.
L’israeliano Eran Riklis con Il giardino dei limoni, senza scomodare la favola dei giardini di Babilonia, una risposta a questo dubbio
che parrebbe fuori tema ce la dà. Gli alberi di limoni che appartengono a Selma (Hiam Abbass), una vedova di un villaggio della
Cisgiordania, sono la rappresentazione simbolica di una naturale e
super partes forma di vita in mezzo all’acrimonia, all’astio, all’odio
socio-religioso che investe quel contesto mediorientale da decenni.
Nel film di Riklis tutto nasce dal fatto che il ministro della difesa
israeliano diventa il nuovo vicino di casa di Selma. Per motivi di
sicurezza le decine di alberi di limoni, che da anni crescono rigogliosamente in quel campo dando sostentamento a Selma e figli,
dovranno essere abbattuti. L’alta rete di plastica a maglie larghe
che il ministro fa costruire attorno a casa, si sovrappone al muro
separatore di cemento che lo stesso sta facendo costruire tra Israele
e Cisgiordania. Una metafora proveniente da una cinematografia
produttivamente povera, che per una volta non mescola le carte
sostituendo mancanza di idee con mancanza di mezzi. “Il giardino
dei limoni” procede spedito, con tono lieve e risoluto da commedia,
sulla strada della ribellione orgogliosa e decisa di Selma, dell’appoggio di un giovane avvocato palestinese che con la donna porterà lo stato d’Israele in tribunale e di un supporto inaspettato alla
causa proveniente dall’altra parte della barricata. La messa in scena
di Riklis è magmaticamente in divenire, un rimpiattino continuo di
sguardi intrecciati tra protagonisti a dimostrazione delle vibrazioni impercettibili delle loro anime. La fluidità e sincerità di sguardo
cancella possibili ridondanze e patetismi che negli accennati rapporti Selma/avvocato, Selma/moglie del ministro si potevano facilmente sviluppare. Il gioco visivo di svelamenti, muri che coprono,
tapparelle che scorrono, di profondità di campo continuamente
obnubilate dall’artificio del risentimento politico piuttosto che da
comuni elementi naturali del territorio che dovrebbero unire, sfociano in un the end duro e difficile da digerire. In fondo, come dice
l’avvocato, «pare che solo nei film americani ci sia un finale felice».
Davide Turrini, Liberazione, 12 dicembre 2008
I commenti del pubblico
DA PREMIO
MIRELLA ISAJA Film splendido. Pieno di sentimento. Fa molto riflettere. Forse se governassero le donne molte cose potrebbero essere risolte.
ROSA LUIGIA MALASPINA Assurdo! Muro separatorio che impedisce di vedere tutto, molto più di una limonaia e alberi potati a
trenta centimetri da terra, in una desolazione assoluta! Questo è il
risultato dell’arroganza del potere israeliano contro il valore enorme
di una vita dedicata alla cura del giardino di limoni, che significa ricordi, radici. Nessuno vince, tutti perdono: il sopraffattore e la
vittima, Israele e la Palestina: la pacifica convivenza tra Israeliani e
Arabi rimane un sogno. Possibile che non ci si possa sedere accanto
in santa pace, senza problemi di “diversità”? Il manifesto presenta
in primo piano due braccia allungate, una stretta di mano che in
Il giardino di limoni 115
La storia
Selma Zidane è una vedova palestinese che vive in Cisgiordania in
una casa con un grande giardino di limoni, ereditato dal padre e
sua unica fonte di sostentamento. Quando il ministro della difesa
israeliano si trasferisce con la moglie in una grande villa, proprio
sul confine e a pochi metri dal frutteto di Selma, i servizi segreti
lanciano l’allarme, individuando nel limoneto un perfetto nascondiglio per i terroristi, in caso di attentati contro il ministro. Decidono
quindi, di informare la proprietaria che, per cause di forza maggiore,
saranno costretti prima a recintare il giardino, poi ad abbattere tutti
gli alberi, in cambio di un risarcimento economico. Selma si oppone
con tutte le sue forze, perché il frutteto ha per lei un significato
profondo, rappresenta le sue radici e la sua storia. Così, sostenuta
da un giovane avvocato palestinese, è fortemente determinata a
non cedere e impugna la causa, prima davanti al tribunale militare
e poi alla Corte Suprema di Gerusalemme. Il coraggio e la dignità
di Selma colpiscono anche la moglie del ministro della difesa che
a volte la osserva affascinata, comunicandole con lo sguardo una
solidarietà che con le parole non le è concesso esprimere. Alla fine,
la Corte dichiara che non è più necessario sradicare i limoni, ma
basterà potarli a un’altezza di trenta centimetri. Nessuno ha vinto.
Selma si aggira desolata nel suo giardino pieno di moncherini. Un
muro grigio, lungo la linea di confine, protegge la casa del ministro,
rimasto solo dopo che la moglie ha deciso di lasciarlo.
La critica
La fiera vedova palestinese (l’intensa Abbass) coltiva i suoi limoni in
una solatia striscia della Cisgiordania. Quando il ministro della Difesa
israeliano diventa il suo vicino di casa, comincia una disputa che si
trasforma in una questione di Stato. Semplice e non retorica, la novella è un sommesso invito alla comprensione fra i popoli in guerra.
Claudio Carabba, Il Corriere della Sera Magazine, 18 dicembre 2008
Poche piante di limoni possono avere un immenso valore. Sono il ricordo del padre, il legame con il passato, le radici nella propria terra.
Ed è proprio un giardino di limoni a essere al centro dell’omonimo
film dell’israeliano Eran Riklis. Anzi, fin troppo “al centro”: si trova
tra due case, quella della proprietaria palestinese e quella in cui abita il ministro della Difesa ebraico. Da una parte le ragioni di chi possiede quel terreno da tempo immemorabile; dall’altra le esigenze di
sicurezza,che esigono l’immediato sradicamento del frutteto. Ma la
donna non cede: aiutata da un giovane avvocato, fa opposizione all’ingiunzione del Tribunale militare, arrivando fino alla Corte suprema.
Non conta come andrà a finire: contano gli sguardi che s’incrociano tra la palestinesee la moglie del ministro, che la osserva
mentre coltiva con amore i suoi limoni. Contando i sussurri, le
paure, il desiderio di farla finita con una situazione intollerabile.
Luigi Paini, Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 2009
Un film non fa miracoli, specialmente nei Territori Occupati. Ma se
arriva al cuore e alla comprensione di tutti forse non è inutile. Il
regista Eran Riklis de “La sposa siriana” e l’attrice Hiam Abbass de
“L’ospite inatteso” ci riescono con “Il giardino di limoni”. Che misura
abissi e contiguità tra una questione apparentemente insolubile e la
vita comune in cui sembra a portata di mano un punto di incontro.
E mostra la coesistenza tra regime di occupazione e garanzie democratiche. Si tratta di quanto accade alla vedova palestinese Salma
Zidane quando il ministro della difesa di Israele viene ad abitare
nella villa confinante con l’agrumeto che significa tutto per lei: sostentamento e radici. Ritenendolo pericoloso, la Sicurezza impone
che sia raso al suolo. Aiutata da un avvocato che subisce il fascino
del suo coraggio - i figli sono lontani e la comunità araba diffida
di una donna con troppa iniziativa - Selma fa ricorso alla Corte
Suprema sollevando un caso mediatico imbarazzante. Né vittoria
né sconfitta alla fine ma una lezione di dignità. Che porta la moglie del ministro - del cui turbamento il film non approfitta: le due
donne non si parlano mai - a lasciare marito e prigione di lusso.
Paolo D’Agostini, La Repubblica, 12 dicembre 2008
Al di là della scontata identità di «israeliano democratico», Eran
Riklis è un cineasta completo (si produce i film da sé) e un ottimo
Il giardino
di limoni
114 FILM
DISCUSSI
INSIEME
direttore di attori. Già convincente con «La sposa siriana», infatti,
firma in accattivante scioltezza «Il giardino di limoni», fiaba gentile
sul sogno di coesistenza pacifica tra israeliani e palestinesi impreziosita dalla prova di Hiam Abbas. La matura e credibile attrice vi
interpreta il ruolo di una vedova che vive in Cisgiordania ed è legatissima alla sua splendida e redditizia limonaia. Un brutto giorno
il ministro della Difesa israeliano decide di costruirsi una villa al
limite della frontiera, esattamente ai bordi dell’agrumeto: facile immaginare come i militari decidano d’intervenire drasticamente sul
quell’angolo incantato che potrebbe favorire gli assalti terroristici...
Il film gioca le sue carte in abile equilibrio tra umorismo e rabbia,
neorealismo e allegoria, cronaca ed ecologia. Potrebbe disturbare
l’innegabile prevedibilità del racconto, fortunatamente la protagonista schiva le trappole buoniste e riesce a illuminare lo schermo
non solo grazie alle parole e ai gesti, ma soprattutto grazie ai silenzi.
Alberto Castellano, Il Mattino, 13 dicembre 2008
Tutte le volte che vediamo un film ambientato in Palestina o Israele
ci chiediamo come si sia riusciti a costruire nel tempo la mitologia di
una terra promessa florida e ricca, quando siamo sempre di fronte
a luoghi di un’aridità fisico-geografica oggettivamente spaventosa.
L’israeliano Eran Riklis con Il giardino dei limoni, senza scomodare la favola dei giardini di Babilonia, una risposta a questo dubbio
che parrebbe fuori tema ce la dà. Gli alberi di limoni che appartengono a Selma (Hiam Abbass), una vedova di un villaggio della
Cisgiordania, sono la rappresentazione simbolica di una naturale e
super partes forma di vita in mezzo all’acrimonia, all’astio, all’odio
socio-religioso che investe quel contesto mediorientale da decenni.
Nel film di Riklis tutto nasce dal fatto che il ministro della difesa
israeliano diventa il nuovo vicino di casa di Selma. Per motivi di
sicurezza le decine di alberi di limoni, che da anni crescono rigogliosamente in quel campo dando sostentamento a Selma e figli,
dovranno essere abbattuti. L’alta rete di plastica a maglie larghe
che il ministro fa costruire attorno a casa, si sovrappone al muro
separatore di cemento che lo stesso sta facendo costruire tra Israele
e Cisgiordania. Una metafora proveniente da una cinematografia
produttivamente povera, che per una volta non mescola le carte
sostituendo mancanza di idee con mancanza di mezzi. “Il giardino
dei limoni” procede spedito, con tono lieve e risoluto da commedia,
sulla strada della ribellione orgogliosa e decisa di Selma, dell’appoggio di un giovane avvocato palestinese che con la donna porterà lo stato d’Israele in tribunale e di un supporto inaspettato alla
causa proveniente dall’altra parte della barricata. La messa in scena
di Riklis è magmaticamente in divenire, un rimpiattino continuo di
sguardi intrecciati tra protagonisti a dimostrazione delle vibrazioni impercettibili delle loro anime. La fluidità e sincerità di sguardo
cancella possibili ridondanze e patetismi che negli accennati rapporti Selma/avvocato, Selma/moglie del ministro si potevano facilmente sviluppare. Il gioco visivo di svelamenti, muri che coprono,
tapparelle che scorrono, di profondità di campo continuamente
obnubilate dall’artificio del risentimento politico piuttosto che da
comuni elementi naturali del territorio che dovrebbero unire, sfociano in un the end duro e difficile da digerire. In fondo, come dice
l’avvocato, «pare che solo nei film americani ci sia un finale felice».
Davide Turrini, Liberazione, 12 dicembre 2008
I commenti del pubblico
DA PREMIO
MIRELLA ISAJA Film splendido. Pieno di sentimento. Fa molto riflettere. Forse se governassero le donne molte cose potrebbero essere risolte.
ROSA LUIGIA MALASPINA Assurdo! Muro separatorio che impedisce di vedere tutto, molto più di una limonaia e alberi potati a
trenta centimetri da terra, in una desolazione assoluta! Questo è il
risultato dell’arroganza del potere israeliano contro il valore enorme
di una vita dedicata alla cura del giardino di limoni, che significa ricordi, radici. Nessuno vince, tutti perdono: il sopraffattore e la
vittima, Israele e la Palestina: la pacifica convivenza tra Israeliani e
Arabi rimane un sogno. Possibile che non ci si possa sedere accanto
in santa pace, senza problemi di “diversità”? Il manifesto presenta
in primo piano due braccia allungate, una stretta di mano che in
Il giardino di limoni 115
realtà non avviene ma che sarebbe stata possibile tra Selma e la
moglie del ministro della difesa israeliano per l’empatia che nasce
tra loro. Si guardano, si studiano, si comprendono, anche se da lontano e scavalcano il traliccio divisorio entrambe, si avvicinano. Due
donne a confronto: una rimane con le piante di limoni monche e
l’altra lascia il marito. Mi ha colpita anche l’immagine del marito di
Selma onnipresente: controlla sia rispettata la sua onorabilità anche
dall’oltretomba? Film stupendo, fatto soprattutto di sguardi. Molto
bella e intensa l’interpretazione di Hiam Abbass/Selma.
OTTIMO
protagonista. “Il giardino di limoni” è un bel film che si segue con
partecipazione, nel quale stona un po’ solo il finale forse troppo
duro, in contrasto con la linea lieve e minimalistica del contesto. Ma
si sa, solo i film americani indulgono al lieto fine...
I
dino di limoni
MARIAGRAZIA GORNI Ben diretto e recitato, il film ci offre uno
spaccato inconsueto dello scontro tra Palestinesi ed Ebrei ed è un
appello alla concordia e all’uso del “buon senso”. Splendida la figura
di Salma, forse in po’ meno riuscita quella della moglie del ministro.
Qualche lentezza di troppo e qualche sbavatura nella sceneggiatura
(vedi episodio dell’attentato non ben chiarito) non compromettono
comunque la positività dell’insieme.
GIOVANNA OGGIONI Un film sull’amore.
TULLIO MARAGNOLI Andreotti diceva che il potere logora chi non
ce l’ha. Dopo questo film si può aggiungere che il potere rimbambisce chi ce l’ha e non se lo merita. Quel ministro di un Paese sempre
sotto attacco che si fa la casa a tre metri da un confine notoriamente caldo e che resiste a oltranza in giudizio ben sapendo che il suo
stesso governo sta per erigergli un alto muro fra i limoni e il suo
naso: c’è da preoccuparsi?
PIERFRANCO STEFFENINI È significativo come un Paese fortemente militarizzato, impegnato in un pluridecennale conflitto senza
esclusione di colpi con avversari interni ed esterni, possa dar vita a
una produzione cinematografica antibellicista, tollerante, aperta al
dialogo. Dopo film come “Sotto le bombe”, “Valzer con Bashir”, “La
banda”, ecco che un regista israeliano ci offre “Il giardino di limoni”,
che racconta una “favola realista”, che si schiera decisamente dalla
parte dell’altro, nella persona di una donna palestinese, che si batte
per la conservazione della sua antica limonaia, destinata allo sradicamento per garantire la sicurezza alla vicina abitazione del ministro della Difesa israeliano. Non manca nello schieramento opposto
qualcuno che si mostra attento ai problemi della protagonista ed è
la moglie del ministro. In effetti, mentre le donne nel film spiccano
per spirito di indipendenza, sensibilità e determinazione, sono gli
uomini ad apparire rozzi, ottusi e carrieristi, in primis il ministro,
ma anche gli esponenti palestinesi e soprattutto l’avvocato della
Il giardino
di limoni
116 FILM
DISCUSSI
INSIEME
BUONO
CARLA CASALINI Bella metafora di una situazione umana, sociale, politica - quella d’Israele - che produce per entrambe le parti
in causa, ogni giorno, incomprensione, solitudine, dolore. Alla fine
sono tutti vittime e tutti soli i protagonisti di questa vicenda emblematica: compreso l’imperturbabile ministro della Difesa israeliano.
Il fatto, però, che proprio un ministro della Difesa israeliano abbia
voluto e potuto andare ad abitare proprio lì, in quella isolata casa di
ERAN RIKLIS
fotografia
RAINER KLAUSMANN
montaggio
TROVA ASHER
interpreti
HIAM ABBASS - DORON TAVORY - ALI SULIMAN TARIK SOPTY - RONA LIPAZ-MICHAEL
GRAZIA AGOSTONI Come favola, ottime le idee e la recitazione.
Ma è una favola...
CATERINA PARMIGIANI Montale, frequentatore solitario di orti, si
rasserena quando vede i limoni e sente il loro profumo; la palestinese Selma non conosce altra serenità che in mezzo ai suoi limoni che rappresentano per lei sia il sostentamento economico sia le
radici familiari, il lavoro e la continuità degli affetti. È sola perché
vedova e con i figli lontano. Si confronta con lei la nuova vicina,
la moglie del ministro della difesa israeliano, altrettanto sola, pur
circondata da molte persone; dapprima spiandola, poi guardandola
apertamente, ne impara ad apprezzare il coraggio e la dignità e la
prenderà ad esempio per recuperare la forza d’animo di un tempo.
Film gradevole ma fragile nella sceneggiatura, ben recitato dalle due
protagoniste.
regia
nazione
ISRAELE - GERMANIA - FRANCIA
distribuzione
TEODORA
durata
106’
ERAN RIKLIS
1954 - Gerusalemme (Israele)
2008
2005
Il giardino di limoni
La sposa siriana
Il giardino di limoni 113
La storia
Lorna è una giovane immigrata albanese che vive a Liegi. Per riuscire a ottenere la cittadinanza acconsente a prendere parte al piano
architettato da Fabio, un tassista privo di scrupoli che collabora con
la mafia albanese e traffica in permessi di soggiorno: dovrà sposare
Claudy, un ragazzo tossicodipendente, sapendo già che – divenuta
belga a tutti gli effetti – rimarrà presto vedova, perché il marito
verrà ucciso simulando un’overdose. L’obbiettivo finale di Fabio, in
realtà, è far sposare Lorna a un mafioso russo per regolarizzarlo,
in cambio di un lauto compenso. Per dare credibilità all’unione, in
caso di controlli delle autorità, la ragazza convive con Claudy. In
realtà il suo sogno è mettere da parte i soldi per aprire un bar con
il fidanzato Sokol. Il giovane marito tossicodipendente, però, s’innamora di lei, tanto da chiedere a Lorna di aiutarlo a smettere con
la droga. La ragazza inizia a vacillare, a perdere il pieno controllo
della situazione e a provare pietà per Claudy. Decide allora di lottare
per ottenere il divorzio, così da salvargli la vita. E lo ottiene; ma
purtroppo Fabio, non rispettando le promesse, procura a Claudy –
nel frattempo disintossicato – una maxidose fatale di eroina. Lorna
si rende conto, allora, che il prezzo da pagare per realizzare i suoi
desideri è troppo alto e il crescente e insopprimibile senso di colpa
finisce col convincerla di aspettare un bambino da Claudy. La gravidanza non viene mai confermata dal medico, ma ormai Lorna ha
comunicato la notizia del bebè a Fabio e, così vanno a monte sia il
matrimonio con il russo, sia la sua relazione con Sokol. La ragazza
ora sa di non servire più e comincia a sospettare che la banda di
malavitosi voglia sbarazzarsi di lei. Fugge nella campagna appena
fuori città e si nasconde in una capanna di legno per proteggere
il suo bambino immaginario (la speranza in un futuro migliore?) e
ricominciare forse, dall’indomani, una nuova vita.
La critica
I Dardenne, cultori del cinema all’europea, dove i tempi sono quelli
interiori, silenzi, pause e molti primi piani. Cinema che esplora ma
sulla base dei problemi reali di oggi: metti a Bruxelles il traffico delle
Il matrimonio
Lorna
120 FILM
DISCUSSI di
INSIEME
identità (tema esistenziale ma concreto) per cui la nostra Lorna sposa un tossico per avere quella cittadinanza reclamata poi anche da
un amico russo. Ma urge un omicidio. E qui il film spacca il tessuto
narrativo per una soluzione poetica, rinnovando lo stile dei fratelli
registi che qui usano un tocco un poco più costruito ed artefatto
di cinema, meno macchina a mano, più realismo con tocco magico.
Come sempre gli interpreti sono portatori sani di una espressività
sconfinata che ci fa capire il dramma di una civiltà in cui tutto è
in vendita: infatti nella storia i soldi sono presenti e passano di
mano in mano sporcandosi sempre di più citando il gran Bresson
de L’argent.
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 26 settembre 2008
Poche volte abbiamo visto rappresentare con tanta forza sullo
schermo la tragedia dell’immigrazione, il traffico di corpi e identità, la nuova schiavitù che coinvolge tante vittime e tanti carnefici in uno dei peggiori inferni del mondo globalizzato. La giovane
albanese protagonista del “Matrimonio di Lorna” rappresenta una
sintesi degli uni e degli altri. Per conquistare la cittadinanza belga,
si è legata a un equivoco tassista di Liegi che le ha combinato un
matrimonio bianco col tossicomane Claudy; ora si prepara a sposare
un mafioso russo: dalle nozze questi otterrà una nuova nazionalità,
Lorna i soldi per aprire un bar col suo ragazzo albanese. Da chiave di
volta del piano, il fragile Claudy ne diventa l’impedimento da rimuovere. Basta simulare la morte per overdose dell’ingombrante junkie;
ma sarà, Lorna, così dura da tacere ciò che ha già capito? In lei va
affiorando un senso di pietà per il poveretto, tormentato dai crampi
dell’astinenza: quanto basta per offrirgli il proprio corpo come palliativo, forse non abbastanza per proteggerlo dal delinquente con
cui si è associata. Due volte vincitori della Palma d’Oro (per “Rosetta”
e “L’enfant”), quest’anno Jean-Pierre e Luc Dardenne hanno incassato “solo” il premio per la sceneggiatura a Cannes. Va subito detto,
però, che “Il matrimonio di Lorna” è un film molto vicino al capolavoro: forse meno compatto e conchiuso dei precedenti, ma perché
segna una fase di passaggio nello stile dei due fratelli valloni. Se
da una parte, infatti, i cineasti continuano a pedinare gli attori con
una serie di semi-soggettive che ti fanno entrare nella loro pelle (la
vicenda di Lorna è una Via Crucis che lo spettatore patisce assieme
confine, senza preventive valutazioni di sicurezza e di opportunità,
mina alla base, per un motivo banale, la credibilità della storia. Che
importa, se è una metafora? A me importa, perché mi ha impedito di
dimenticare del tutto la simulazione della fiction e di abbandonarmi
pienamente al sacrosanto, realistico messaggio del film: un appello
alla comprensione fra i due popoli in guerra.
RACHELE ROMANÒ Il film semplice e valido, porta a riflettere sul
fatto che c’è qualcosa che non va nella classe che detiene il potere. Sovente capace solo di produrre bruttezza. Riscaldano invece il
cuore, la consapevolezza della bellezza e della sacralità della natura
manifestata dall’umile contadino palestinese; così come il pensiero
retto e il sentimento sereno che pervadono la moglie del ministro e
il soldato israeliano nei confronti di Selma.
LUISA ALBERINI Bello il giardino dei limoni e così carico di vita
che è perino superfluo sottolinearne il fascino. Ma occorre vederne
anche il valore simbolico: in quegli alberi c’è l’attesa e la promessa
di una terra palestinese in pace, senza più soldati al confine e senza
mura o recinti che la rendano “invisibile”. A proteggere il giardino, a
tenerlo in vita solo una donna e un vecchio. Una difesa impossibile.
Da una parte le ragioni di uno stato, dall’altra la ragionevole ostinazione di chi in quel posto ha sempre vissuto. Un finale che non sorprende, ma che disegna con perfetta coerenza dignità e amore ben
saldi ai propri principi. E poi due donne, che appaiono lontanissime
nel tempo, ma che sono egualmente capaci di capirsi e di aiutarsi.
EDOARDO IMODA Come nell’Ospite inatteso anche qui si parla d’integrazione, anche se più difficile, per non dire storicamente impossibile. Anche qui i toni sono soffusi, in compenso rivelano caratteri
forti tutti al femminile, tutti ammantati da una profonda solitudine
che acuisce i rapporti, ma rafforza il reciproco rispetto. Un muro che
divide, ma non serve a nessuno, e anche ciò che da tutti è atteso,
ingannevolmente presentato nel manifesto, la stretta di mano fra le
due protagoniste, non avviene, per scelta del regista, per adesione più
stretta alla realtà, non lo sapremo mai sicuramente. I limoni ricresceranno ma a nessuno dei protagonisti verrà ridato l’incanto della
felicità che potevano condividere ma che di fatto nessuno godrà.
GIUSEPPE GARIO Una metafora non esplicita non giova al film,
anche se va capito il punto di vista Eran Riklis, che sembra tra i non
pochi israeliani che auspicano dagli USA un vero ruolo di arbitro,
nell’interesse di tutti, ma sono restii per il timore di danneggiare il
loro popolo. Israel stabilisce la propria dimora accanto a quella di
Selma (vedova e sola nell’indifferenza quasi ostile dei compatrioti)
con la fissa della sicurezza, ufficialmente della moglie (di stile molto
americano, richiamo al matrimonio tra USA e Israele, centrale nella
politica israeliana). Ma la patria è un canto, e la realtà un muro che
divide e un giardino distrutto. Alla fine, la moglie abbandona Israel
nella prigione che si è costruito da sé. La bravissima Hiam Abbass fa
di Selma una donna libera e forte, forse mettendoci del suo; un modello per tutti, in particolare per la ex-sposa di Israel. Come è scritto
nei titoli finali, se ho letto bene, i limoni sono frutti dolci se curati
con amore, pestiferi se lasciati incolti. Come le persone.
CLARA SCHIAVINA Come già nell’Ospite inatteso anche qui ci troviamo di fronte alla quasi impossibile convivenza tra persone per
motivi che vanno al di là del singolo individuo. Siamo al confine tra
Israele e Palestina e l’arrivo, quale vicino, del ministro della difesa
israeliano pone problemi alla sopravvivenza del bellissimo giardino
di limoni in territorio palestinese. Lì, fra le fitte fronde degli alberi, si
potrebbero nascondere dei terroristi! Le istituzioni sono rigide: i militari devono tutelare la sicurezza del ministro, senza porsi problemi
di sorta. Anche i vicini palestinesi si sentono il dovere di tutelare
quello che per loro è “l’onore” del marito morto, la cui foto campeggia sulla parete con sguardo truce. Ambedue si sentono in diritto di
trattare Selma Zidane con estrema insensibilità e durezza. La moglie
del ministro, diversamente dagli altri, capisce il dramma di Selma
Zidane, ma riesce solo a scambiare con lei qualche sguardo d’intesa.
L’avvocato, figura che non mi è molto chiara, per quasi tutto il film
sembra che accetti di difendere i diritti di Selma per pura simpatia e
senso di giustizia, ma alla fine si fidanza con una ragazza importante e lo si vede seduto nel suo nuovo bell’ufficio.
GIULIO KOCH Un film girato certamente in povertà di mezzi, che
ci parla di due donne cui capita di vivere nei territori occupati da
Israele. L’abilità e l’intento del regista è di farne un film sull’amore
Il giardino di limoni 117
che queste donne danno e vogliono dare come antidoto alla loro
solitudine. Ciascuna nel suo mondo e secondo le sue tradizioni in
modo pressoché parallelo: il punto di incontro avviene solo quando
la moglie del ministro vede Selma piangere, da sola , per il fallimento anche del suo nuovo amore con l’Avvocato, e capisce che anche
Selma è vinta dalla stessa solitudine in cui ella stessa si dibatte (nelle continue telefonate alla figlia si dichiara sempre sola). Il resto è
contorno e descrizione di realtà di vita, in cui le protagoniste sono
costrette a vivere. Lo è il giardino, lo è la festa di inaugurazione della
casa, lo è il muro che inesorabilmente racchiude gli uni e gli altri in
una sorta di prigionia, lo è il processo fino alla Suprema Corte. È
un film su due donne sole che lottano e si incontrano sul comune
terreno dell’amore che vogliono dare e del rispetto che vogliono
ottenere. Modesta la sceneggiatura, discreta la fotografia, grande
la recitazione. Buona la regia, cosi come i contenuti di valori umani.
Un bel film sull’amore che le donne sanno dare in ogni condizione, e
che troppo spesso è considerato dovuto e marginale.
1
rimonio di Lorna
JEAN-PIERRE DARDENNE - LUC DARDENNE
sceneggiatura
JEAN-PIERRE DARDENNE - LUC DARDENNE
fotografia
ALAIN MARCOEN
montaggio
MARIE-HÉLÈNE DOZO
scenografia
IGOR GABRIEL
interpreti
ARTA DOBROSHI - JÉRÉMIE REINER FABRIZIO RONGIONE - ALBAN UKAJ
MEDIOCRE
CARLO CHIESA A parte il fatto che i personaggi mi sembrano - chi
più, chi meno - abbastanza inverosimili (esemplare quel ministro
della Difesa da operetta) penso che bisognerebbe promuovere o
divulgare film che incoraggino la ricerca di una pace fatta di tolleranza e collaborazione. Quegli alberi di limone cinicamente potati
(ma non bastava attendere il completamento della costruzione di
quell’osceno muro?) mi hanno dato una violenta stretta al cuore.
Era questo lo scopo del regista?
regia
JEAN-PIERRE DARDENNE
21.04.1951 - Engis (Belgio)
nazione
FRANCIA - GRAN BRETAGNA - BELGIO
distribuzione
LUCKY RED
durata
106’
1999
1996
Rosetta
La promesse
LUC DARDENNE
10.03.1954 - Awirs (Belgio)
2008
2004
2002
Il giardino
di limoni
118 FILM
DISCUSSI
INSIEME
Il matrimonio di Lorna
L’enfant
Il figlio
Il matrimonio di Lorna 119