EDB - Olir

Transcript

EDB - Olir
REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 4
quindicinale di attualità e documenti
2011
ITALIANO
SUSSIDIO AL CATECHISMO DELLA CHIESA CAT TOLICA
PER I GIOVANI
14
Attualità
SCARICA L’APPLICAZIONE
SUL TUO SMARTPHONE
www.cittanuova.it
Premessa di papa Benedetto XVI
433
438
452
457
486
Cosa fanno i laici in parrocchia
L’incerta primavera araba
La Spagna divisa è unita sul papa
Una valigia di libri e di idee
Studio del Mese
Tornare al Vangelo
Pintor e Semeraro sugli Orientamenti pastorali
«Studiate il catechismo! Questo è il mio vivo desiderio. Studiatelo nel
silenzio della vostra stanza, leggetelo con un amico, con gruppi di studio
e networks, condividetelo con gli altri su internet».
VIA0IEVE4ORINAs2/-!sTELsDIFFUSIONE
CITTANUOVAIT
Anno LVI - N. 1105 - 15 luglio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 4
quindicinale di attualità e documenti
2011
ITALIANO
SUSSIDIO AL CATECHISMO DELLA CHIESA CAT TOLICA
PER I GIOVANI
14
Attualità
SCARICA L’APPLICAZIONE
SUL TUO SMARTPHONE
www.cittanuova.it
Premessa di papa Benedetto XVI
433
438
452
457
486
Cosa fanno i laici in parrocchia
L’incerta primavera araba
La Spagna divisa è unita sul papa
Una valigia di libri e di idee
Studio del Mese
Tornare al Vangelo
Pintor e Semeraro sugli Orientamenti pastorali
«Studiate il catechismo! Questo è il mio vivo desiderio. Studiatelo nel
silenzio della vostra stanza, leggetelo con un amico, con gruppi di studio
e networks, condividetelo con gli altri su internet».
VIA0IEVE4ORINAs2/-!sTELsDIFFUSIONE
CITTANUOVAIT
Anno LVI - N. 1105 - 15 luglio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 2
quindicinale di attualità e documenti
A
A CURA DI ANDREA
ttualità
15.7.2011 - n. 14 (1105)
Caro lettore,
anche quest’anno offriamo ai lettori
non abbonati, in coincidenza con il
tempo del riposo estivo, la possibilità
di consultare gratuitamente la rivista e
il suo archivio online, all’indirizzo
www.ilregno.it. È la promozione Il
Regno d’estate, riguarda i numeri dal
12 al 15 e durerà per i mesi di
luglio, agosto e settembre.
Agli abbonati chiediamo di aiutarci
ad ampliare il novero degli amici
della rivista segnalando questa
opportunità, legata ai mesi estivi, a
quanti potrebbero essere interessati: o
direttamente, o suggerendo alla nostra
segreteria ([email protected]) gli
eventuali nominativi.
R
Carlo Rocchetta
Teologia
della famiglia
Fondamenti e prospettive
I
l volume offre una visione d’insieme
sulla teologia della famiglia, che aiuti
a passare dalla considerazione del matrimonio come atto sacramentale alla
visione del matrimonio come stato di
vita. Da vero specialista della materia,
l’autore delinea le linee-guida di una
fondazione teologica della pastorale
familiare.
«Nuovi saggi teologici - Series Maior»
pp. 632 - € 48,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
433 (G. Villata)
Italia - Vita pastorale:
i laici in parrocchia
{ Una ricerca e alcune riflessioni }
437 (D. S.)
Germania - Vescovi e società
Libertà, idea della fede
437 (M. B.)
Francia - Patrimonio artistico
La notte bianca delle chiese
438 (M.E. Gandolfi)
Primavera araba:
tra le righe del nuovo
{ Convegno internazionale
della Fondazione Oasis }
441 (M.E. Gandolfi)
Africa - Sud Sudan: scommettere
sull’indipendenza
{ Il 9 luglio è nato il Sud Sudan }
442 (C. Mazzolari)
La preghiera di mons. Mazzolari
Questa nostra Gerusalemme
444 (G. Brunelli)
Santa Sede - Nomine
Nel segno del pontificato
445 (B. Petrà)
Ortodossi - Tra Grecia
e Costantinopoli: il patriarca
difende Volos
{ La visita della delegazione
dell’Accademia teologica
a Bartolomeo }
447 (D. S.)
Chiese cristiane - Missione
Un codice di condotta
447 (D. S.)
Germania - Kirchentag
Il cuore cristiano
448 (M. B.)
Francia - Islam
Consiglio del culto: è crisi
449 (P. Stefani)
Dialogo interreligioso - Dibattito:
teologia cristiana delle religioni
{ Come pensare alla pluralità
partendo dall’unità }
452 (G. Brunelli)
Chiesa in Spagna - Verso la GMG:
divisi
{ La Spagna tra laicismo
e nazional-cattolicesimo }
455 (D. Sala)
Austria - Chiesa
La disobbedienza e l’unità
456 (G. Brunelli)
Santa Sede - Repubblica popolare
cinese
Lo scontro
Libri del mese
457 (F. Ruggiero)
Patristica come stile
{ I padri della Chiesa
nei documenti del Vaticano II }
460 (M. Campedelli)
Non per profitto
{ Martha Nussbaum e il ruolo
della cultura umanistica
nella ridefinizione del welfare }
464
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
Segnalazioni
474 (P. Boschini)
P. CABRI, Sulla difficile arte d’amare
475 (M. Bernardoni)
M. MURGIA, Ave Mary
476 (G. Bendinelli)
G. COCCOLINI, Alla ricerca
di un ethos politico
477 (D. Pizzuti)
Libri contro le mafie
478 (A. Deoriti)
Eleonora Fonseca Pimentel
{ Colta, idealista, impolitica }
TESSAROLO
Lezionario
Meditato
NUOVA EDIZIONE
> con la nuova traduzione CEI della Bibbia
8 VOLUMI
pp. 640/840
€ 21,00/27,00 cad.
481 (F. Strazzari)
Bolivia - Evo Morales:
il cocalero presidente
{ I rapporti con la Chiesa dopo il
secondo mandato }
483 (M. Castagnaro)
USA - 35 anni dopo
L’American Catholic Council
484 (D. Sala)
Diario ecumenico
485 (L. Accattoli)
Agenda vaticana
Studio del mese
{ Orientamenti pastorali CEI.
Leggendo Paolo }
486 (S. Pintor)
Torniamo al Vangelo
492 (M. Semeraro)
Gli Orientamenti e la catechesi
La vita buona del Vangelo
499 (P. Stefani)
Parole delle religioni
I sangui di Abele
501
I lettori ci scrivono
503 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
L’accanimento medico…
Colophon a p. 500
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
www.dehoniane.it
433-436 art_laici:Layout 2
CHIESA
I
IN
25-07-2011
16:04
I TA L I A
i
l Centro di orientamento pastorale (COP) di Roma, tramite il
Centro studi e documentazione
della diocesi di Torino e la preziosa collaborazione del Servizio
informatico della CEI, ha realizzato da
novembre 2010 a maggio 2011 un sondaggio sul laicato nelle parrocchie italiane. Qui presentiamo i risultati essenziali avvertendo che si tratta di un
sondaggio e cioè di un’indagine su un
campione casuale, rispettoso della varietà degli interlocutori impegnati nella
pastorale della parrocchia. Dunque non
s’intende «fotografare» la realtà, ma
portare a conoscenza alcune linee di
tendenza. Ci si è avvalsi del questionario, meglio, di tre questionari. Uno riservato ai presbiteri e ai diaconi permanenti; un secondo ai laici; un terzo –
del tutto simile al primo – destinato ai
consacrati che operano in parrocchia o
nelle nuove forme di comunità fra parrocchie.1
Il campione
Ai tre questionari hanno risposto
389 laici, 89 sacerdoti e diaconi permanenti e 38 consacrati per un totale di
516 persone. I laici rappresentano il
75% del totale di risposte, i sacerdoti e
i diaconi permanenti il 18%, i consacrati il 7%. Tra i laici prevale leggermente la percentuale degli uomini;
mentre il numero dei consacrati è diviso
perfettamente a metà fra uomini e
donne. Per quanto riguarda l’occupazione dei laici: il 45% è laureato e insegna o è libero professionista, il 25% ha
un diploma di scuola media superiore.
Il 15% ha un diploma di scuola media
Pagina 433
Vita pastorale
laici in parrocchia
Linee di tendenza. Una ricerca e alcune riflessioni
inferiore. Il rimanente 15% comprende
casalinghe, operai, pensionati e pensionate e altre professioni non meglio identificate. Infine sono gli aggregati a prevalere: l’85% versus il 15% dei laici
singoli. Il 56%, infatti, dichiara di operare in parrocchia da 20 o 30 anni. Fra
i ministri ordinati, il 50% sono parroci
(con uno o più incarichi), il 10% vicari
parrocchiali, il 15% sacerdoti con incarichi diocesani, il rimanente 25% diaconi permanenti.
Chi sono e cosa fanno
Cosa fanno i laici in parrocchia? Possiamo concentrare le risposte dei laici e
poi quelle dei ministri ordinati e dei consacrati attorno a quattro punti: a) i fondamentali della pastorale; b) la vita interna della comunità; c) i servizi attinenti
alla logistica; d) pastorale del territorio.
I laici (82%) affermano che si ritrovano
impegnati soprattutto nei fondamentali
della pastorale: catechesi (39%), liturgia
(33%), servizio della carità (10%). L’impegno maggiore della pastorale si dirige
verso: ragazzi (29%), giovani (21%), adolescenti (19%), famiglie (22%), oratorio
(15%), corsi in preparazione al matrimonio (14%), gruppi culturali in parrocchia (7%), giovani coppie (7%), terza
età (5%); cioè nella vita interna della
parrocchia. Il cosiddetto servizio logistico
(apertura e chiusura della chiesa, pulizia
e amministrazione) vede complessivamente impegnato il 20% del laicato.
Dall’incrocio dei dati con il sesso risulta
che prevalgono le donne nell’apertura e
chiusura della chiesa (5% versus il 3%
degli uomini), nella pulizia della chiesa
(9% versus il 4% degli uomini), ma so-
prattutto in campo amministrativo (15%
versus 2%). L’impegno sul territorio è vivace nelle università, in politica, nel
mondo dell’emarginazione, nei centri di
aiuto alla vita, raggruppa il 22% del laicato e vede la prevalenza delle donne.
Queste differenze, anche se esigue, sono
comunque significative: indicano che le
donne si stanno smarcando da un’identità femminile limitata alla cura della famiglia o della casa, appannaggio soprattutto del Sud.
Qui sorge però una domanda: i laici
sono considerati semplici esecutori o responsabili in prima persona? Il 29%
delle risposte al sondaggio segnala che
ai laici sono affidate responsabilità dirette nei fondamentali della pastorale e
il 23% nel coordinamento di attività
interne alla vita della parrocchia. È anche interessante il dato sulla rappresentatività della comunità sul territorio
(12%). In sintesi: i laici sono apprezzati
decisamente più come esecutori-dipendenti che come soggetti responsabili e
capaci di decisioni autonome, in linea
con il progetto pastorale e in spirito di
comunione. Si è anche chiesto a entrambi i campioni qual è il motivo per
cui non si riesce ad affidare ai laici il
compito desiderato.
Le cause principali risultano: impreparazione (50%), scarsa motivazione
dei laici stessi (30%), oltre all’eccessiva
esposizione del clero che impedisce anche un’appropriata valorizzazione del
laicato (lo affermano il 34% dei consacrati versus il 30% dei ministri ordinati). Nessuna aprioristica preclusione
emerge nei confronti della donna nella
pastorale parrocchiale. Anzi, è chiara la
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
433
433-436 art_laici:Layout 2
25-07-2011
16:04
tesi, soprattutto da parte dei consacrati
(l’82% sostiene di no versus il 67% dei
ministri ordinati), che non esiste una
ministerialità di genere. Nonostante
permanga, in percentuale bassissima,
qualche stereotipo di genere. Per approfondire il problema si è indagato sui
ruoli e sui compiti che, di fatto, vengono
affidati alle donne. Sono pervenute le
seguenti risposte dai ministri ordinati e
dai consacrati: pulizia della chiesa (71%
per entrambi); coordinamento di settori di pastorale (28% dei ministri ordinati versus 37% dei consacrati); segreteria delle parrocchie (46% dei ministri
ordinati versus 37% dei consacrati). Nel
consiglio per gli affari economici il 46%
dei ministri ordinati e il 37% dei consacrati attesta la presenza delle donne.
La questione vera non è tanto la valorizzazione della donna in qualche servizio, quanto la sua valorizzazione in
quei servizi che meglio estrinsecano la
sua specifica sensibilità; che non ricalcano cioè l’idea dell’immaginario comune di donna tutta casa e chiesa, madre e moglie silenziosa e dedicata.
Perché si impegnano
Per quali motivi i laici si impegnano
in parrocchia? I laici mettono in primo
piano le motivazioni di tipo empatico
tra cui come contribuire a costruire la
comunità cristiana (65%), trasferire
nella parrocchia l’esperienza maturata
nell’associazione o movimento di riferimento (49%), la consapevolezza di ricevere dalla comunità molto di più di
quanto le si dia con il proprio servizio
(19%) e l’esistenza di un buon clima relazionale (5%). Quanto alle motivazioni
di tipo teologico: anzitutto l’identità battesimale che costituisce la connotazione
di pari dignità del laicato (50%) su cui
si fonda il diritto-dovere di mettersi a
servizio del Vangelo nella Chiesa e nella
società; poi la consapevolezza che la
parrocchia è luogo di educazione alla
fede e che, in quanto tale, va sostenuta
(19%). Le motivazioni di tipo funzionale
hanno scarse adesioni. Se si sommano
le percentuali dei cinque item si raggiunge il 14% del campione.
Da parte dei ministri ordinati e dei
consacrati emergono globalmente queste motivazioni, che essi pensano che i
laici debbano maturare, sia la necessità
di essere sostenuti nel vivere da cristiani
la quotidianità (rispettivamente 36% e
434
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Pagina 434
37%), sia l’orientamento all’impegno
sociale e politico (rispettivamente 28%
e 29%). Non invece le motivazioni di
tipo funzionale quali la diminuzione
crescente dei preti e dei diaconi (8% e
5%) o il fatto di essere pensionati che
vogliono occupare bene il loro tempo
(5% e 18%). I laici sentono dunque più
dei ministri ordinati e dei consacrati le
motivazioni empatiche. I ministri ordinati auspicano per i laici minore adesione a motivazioni di tipo empatico e
– soprattutto i presbiteri parroci – maggior acquisizione di motivazioni teologiche e di indole progettuale.
Le relazioni
Quali rapporti tra laici, ministri ordinati, consacrati in parrocchia? L’83%
dei laici afferma di essere più che soddisfatto dei rapporti con il clero. Poiché
si tratta di relazioni umane, qualche
problema è inevitabile. Questi i principali: clima scarsamente collaborativo
(12%), assenza del laicato dai luoghi in
cui si determinano le scelte pastorali
(10% in entrambi i casi) e il sentirsi più
esecutori che cooperatori (7%). Ma
l’identità che ai laici viene attribuita dal
clero coincide con quella che essi stessi sentono come propria? Le loro risposte a
una specifica domanda denotano che la
piena realizzazione dell’identità laicale
consiste non tanto nell’avere buoni od
ottimi rapporti con tutti, quanto nell’essere riconosciuti come persone capaci di assumere responsabilità (57%) e
nell’essere aiutati a vivere la specifica
vocazione di laico fra Chiesa e mondo
(49%). Questa è l’opinione di circa la
metà degli interpellati. Almeno il 58%
dei sacerdoti e diaconi permanenti dichiarano che i laici sono più cooperatori
che collaboratori.
Sul Consiglio pastorale parrocchiale
(CPP) le risposte fornite dai laici esprimono due alternative: la sostanziale
condivisione di questo strumento e la
sua importante funzione per alcuni,
l’inutilità per altri. Sul primo fronte si
attesta il 37% dei laici, che nel CPP
vede un organismo in grado di costruire
la pastorale della comunità e di verificare l’effettiva sua incidenza evangelizzatrice. Altri indicatori di minor peso attestano l’identità e l’estensione di questa
posizione: il CPP è percepito come
luogo in cui si vivono la relazione fra
ministero e Chiesa (17%), l’articola-
zione fra ministeri (8%) e in cui si impara a vivere e ad agire con mentalità
ecclesiale (19%).
Sul secondo si propongono coloro
che ne affermano l’inutilità sia perché,
di fatto, a comandare è solo il clero
(19%) sia perché il laico non ha alcun
potere decisionale, essendo l’organismo
consultivo (17%).
La formazione e la pastorale
La formazione: che cosa si fa e che
cosa si vorrebbe fare? Il 95% dei ministri
ordinati dichiara che nel 45% delle parrocchie in cui operano, ci sono stabili percorsi (chiamiamoli genericamente così)
formativi; nel 39% esistono in parte e
solo nell’11% non esistono per nulla.
Sulle modalità di attuazione di tali percorsi, metà circa del campione non risponde. L’altra metà indica percorsi (non
solo episodi) formativi contraddistinti da:
valorizzazione dell’esperienza delle persone (36%), momenti in cui si formano
insieme laici e ministri ordinati (31%)
senza che siano del tutto eliminati momenti di ascolto dei contenuti (34%). Il
sondaggio lascia dunque intravedere la
coesistenza di almeno due percorsi: quello
tradizionale, in cui prevale l’attenzione
ai contenuti oggettivi più che alle persone e alla loro storia personale e pastorale, e quello più innovativo, che raccoglie
anche più adesioni, ispirato alla pedagogia moderna. Persiste, minoritaria, ma
non trascurabile, la tendenza più tradizionalista secondo la quale il laico impara e il ministro ordinato insegna (12%
di sì versus 1% di no, 12% di in parte e
75% di no).
Quale Chiesa e quale pastorale?
Laici, ministri ordinati e consacrati sostanzialmente convergono su due immagini di Chiesa con buone percentuali di
consenso e con minor gradimento su una
terza. Le prime due sono: Chiesa sinodale
in cui ognuno porta il proprio mattone e
insieme si decide nel rispetto delle diversità di ministeri, doni e carismi (41% dei
laici e dei ministri ordinati e il 50% dei
consacrati); Chiesa compagna di cammino dell’uomo che cerca i punti di innesto del Vangelo nella cultura, convinta
di dare ma anche di ricevere dal mondo
che vuole evangelizzare, lo critica per
correggerne le storture e lavora per renderne evangelici i valori esistenti nella
cultura (56% dei ministri ordinati versus
45% dei laici e 29% dei consacrati). La
433-436 art_laici:Layout 2
25-07-2011
terza è l’immagine di Chiesa-piramide,
nella quale il clero sta al vertice e decide
e i laici, alla base, eseguono (25% dei laici
versus il 13% dei ministri ordinati e il
23% dei consacrati). I dati ancora una
volta attestano la compresenza di visioni
diversificate e anche opposte.
Su alcuni tratti della pastorale le risposte denotano perplessità. Solo il 10%
dei laici è d’accordo sull’affermazione
che il vescovo è il referente unico e non
sostituibile della pastorale; il 27% non
lo è, e il 9% lo è solo in parte. Il 54%
non ha risposto. Concordano – seppure
con percentuali diverse – i ministri ordinati (31% di sì versus 33% di no) e i
consacrati (10% di sì versus 28% di no).
Il 23% dei ministri ordinati e il 9% dei
consacrati si dimostra in parte d’accordo. Sulla consapevolezza di sentirsi
impegnati in prima persona nel dialogo
tra Chiesa e mondo, convengono decisamente il 26% dei laici, il 72% dei ministri ordinati e il 26% dei consacrati.
Alte sono le percentuali di non risposte
dei laici e dei consacrati (55%); poco significative quelle dei ministri ordinati
(11%). Netta però appare la diversità di
valutazione tra i laici associati e non e i
ministri ordinati, soprattutto, nell’indicare la scarsa comunione come causa
del mal funzionamento dei CPP.
Alcune linee di tendenza
Quali linee di tendenza? Si possono esplicitare seguendo la traccia
delle ipotesi che il sondaggio si è proposto di verificare.
1. La prima poneva la questione
del riconoscimento in parrocchia della
peculiare caratteristica del laicato e
cioè del suo carattere «secolare». Le risposte indicano chiaramente che tale
riconoscimento c’è, a livello quanto
meno di dichiarazioni di principio da
parte sia dei ministri ordinati sia dei
consacrati; un po’ meno tra i laici
stessi. Per quanto riguarda la prassi
pastorale, la situazione risulta piuttosto
articolata: per la maggior parte i laici
decisamente vengono impegnati nei
fondamentali della pastorale e soprattutto nella pastorale con e per i soggetti
più giovani; meno con gli adulti, le famiglie, sul territorio. Solo un terzo
circa di loro viene valorizzato come figura di connessione fra Chiesa e società e, in quanto tale, orientato verso
l’impegno nel sociale, nella cultura e,
16:04
Pagina 435
assai di meno, in politica. Permangono, espresse in particolare dai religiosi, visioni preconciliari del laicato: i
laici come persone di riserva, risorse
secondarie, funzionali alla mancanza
del clero. Dunque il riconoscimento
nei fatti della connotazione secolare
propria del laicato ha ancora bisogno
di essere estesa e rafforzata, anche
come mentalità che informa tutte le
attività laicali in parrocchia. Lo si desume anche dallo scarso sviluppo di
forme ministeriali nuove proiettate «oltre le mura» della parrocchia e nel dialogo con il mondo. Il laico è sempre
tale, sia che operi all’interno della comunità che all’esterno. Non c’è il laico
parrocchiale e quello mondano. La limitata promozione dell’identità laicale
nella prospettiva conciliare ricade anche sulla maturazione dell’identità
delle altre presenze ministeriali, in particolare dei presbiteri.2
2. La seconda ipotesi intende verificare direttamente con i laici la loro
identità. Anche qui occorre distinguere
le dichiarazioni di principio dai fatti.
Nelle prime i dati indicano due principali tendenze: consapevolezza chiara
dell’identità conciliare da un lato; adeguamento senza problemi alla situazione pastorale, dall’altro. Sono tendenze entrambe piuttosto nette, vissute
senza polarizzazioni né eccessivi disagi. Sembra che la questione fondamentale che preoccupa una buona
parte del laicato sia conservare buoni
rapporti con tutti, rinunziando anche
a quella sana dialettica che permette
un confronto virtuoso fra diversità. Si
fa fatica però non pensare che a prevalere sia il «piccolo cabotaggio», la
scarsa intenzione a mettersi in discussione, l’appagamento derivante da rapporti soddisfacenti e da qualche successo pastorale.
Questo atteggiamento, pur non tipico di una parte considerevole del laicato, è tuttavia corrisposto dalla maggioranza dei ministri ordinati e dei
consacrati. La consapevolezza cioè
della propria identità da parte dei laici
e l’impegno concreto da parte dei ministri ordinati di favorirne l’acquisizione sembrano piuttosto limitati, fatte
alcune lodevoli eccezioni.
I risultati del sondaggio indicano
anche alcune cause di tale situazione,
altalenante fra desideri un po’ sopiti e
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
435
realtà. La prima è la scarsa attenzione
che nella parrocchia trovano i problemi della vita quotidiana dei laici: la
preoccupazione delle molte cose da
fare riduce tempi e modi per il rapporto tra persone. La seconda riguarda
la gerarchia, troppo spesso presente in
prima persona anche in scenari pubblici nei quali potrebbe benissimo essere il laicato a sostenere le posizioni
della Chiesa. La terza è la carenza formativa nella maturazione dell’identità
cristiana: sembra che la preoccupazione principale dei formatori sia la
funzionalità al compito da svolgere.
3. La terza ipotesi riguarda i consigli pastorali parrocchiali, ai quali soltanto il sondaggio si riferisce. Emerge
con chiarezza da parte sia dei laici sia
della maggioranza dei ministri ordinati e dei consacrati, il mancato o assai limitato decollo del Consiglio pastorale parrocchiale. Anche in questo
caso non si può generalizzare; tuttavia
non si può fare a meno di notare che
pochissimi riconoscono la validità e
l’attuale adeguatezza di questo strumento di partecipazione. Il dato ripro-
Martin McKeever
Giuseppe Quaranta
Voglio, dunque sono
La teologia morale di Giuseppe Angelini
Con un saggio di Stefano Zamboni
Postfazione di Giuseppe Angelini
G
iuseppe Angelini è uno dei più
noti rappresentati della «scuola»
teologica milanese. Il testo raccoglie
i frutti della sua più che trentennale
attività di studio e di insegnamento
della disciplina. I due saggi di apertura tentano di offrire una versione
abbreviata del suo progetto teologico e una sua valutazione critica. La
seconda parte del volume rilegge
alcuni dei principali temi della morale fondamentale in confronto con il
pensiero di Angelini.
«Etica teologica oggi»
pp. 256 - € 22,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
433-436 art_laici:Layout 2
25-07-2011
16:04
pone il tema della cooperazione fra risorse pastorali, tema che si riscontra
chiaramente anche nelle nuove forme
di comunità fra parrocchie in cui è
netta la tendenza alla collaborazione a
detrimento della cooperazione.3 Proprio per quanto è stato appena messo
in evidenza, i dati non escludono che,
attraverso queste forme di partecipazione, non si corra il rischio (non esplicitamente voluto) della «trasformazione della comunità parrocchiale nel
gruppo dei collaboratori del prete, sino
a confondere “popolo di Dio” e “operatori” pastorali».4
4. La quarta ipotesi è relativa all’esistenza o meno in parrocchia di percorsi formativi adeguati ai laici. Per essere comprensivi si è attribuita la
titolarità di «percorso» formativo a tutte
le iniziative presenti in parrocchia, dunque anche a quelle episodiche. I dati acquisiti non possono entrare in profondità nella questione, che è complessa. A
livello di tendenza, emerge chiaramente
che la parrocchia da sola non ce la fa a
formare un laicato adeguato alle necessità pastorali odierne, capace di mettersi
al servizio della parrocchia e insieme di
elaborare modelli adeguati alle sfide del
tempo e coerenti con le istanze della
missione. Sarà la cooperazione tra diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti a essere la carta vincente. I ministri ordinati hanno capito la situazione
e sono consapevoli della necessità di
cambiare i sistemi formativi, ma si trovano a constatare che non hanno strumenti adeguati. In questa prospettiva il
sondaggio evidenza la peculiare funzione di associazioni quali l’Azione cattolica (AC).
5. La quinta è relativa al rapporto
fra laici aggregati e singoli. Qualche
persistente schermaglia non turba il
buon clima relazionale fra le diverse
espressioni laicali presenti in parrocchia e nelle nuove forme di comunità
fra parrocchie. Lo affermano i laici
stessi e lo confermano anche i ministri
ordinati e i consacrati; i preconcetti
sembrano superati. Il dubbio semmai è
se si tratti di un segno di accresciuta comunione o piuttosto di una scelta di
quieto vivere.
6. La sesta pone la questione della
presenza di associazioni dedicate in
parrocchia con riferimento specifico
all’AC. Complessivamente emerge che
436
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Pagina 436
essa svolge compiti importanti nei fondamentali della pastorale, soprattutto
con e per soggetti giovani e adulti,
nella pastorale della cultura e del territorio e in campo formativo. A questi
dati, e come ulteriore motivo di stima
per l’AC, va aggiunto che i ministri
ordinati riconoscono la qualità della
formazione (spirituale e cristiana) degli
associati e auspicano di valorizzarla
nel servizio formativo ai laici che operano in parrocchia, in modo da superare quella che chiamiamo formazione
«personalizzata» ossia troppo legata
alle persone o ai gruppi che la propongono e da esse dipendente. Qualche giudizio riguarda la capacità degli
appartenenti all’AC di adeguarsi pienamente alle necessità pastorali della
parrocchia.
7. La settima riguarda la questione
della donna in parrocchia. Se la spina
dorsale della pastorale della parrocchia è costituita dal laicato, la spinta vitale viene in realtà dalle donne; dal
punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Oggi la situazione della donna
nella Chiesa non è più riconducibile
del tutto o quasi allo status di «agenzia
di pulizia», anche se i dati affermano
che molte donne si prestano volontariamente anche per questo servizio. A
esse in effetti sono affidati compiti diversi e più consoni all’essenza femminile, anche di diretta responsabilità. Ci
si augura che a poco a poco esse possano finalmente assumere un ruolo decisionale anche in ambito pastorale.
Tuttavia rimane chiara l’impressione
che, se esse in molte attività sono valorizzate perché più degli uomini si appassionano e danno il meglio di sé,
questo avviene in quanto meglio rispondono ai bisogni, e non in quanto,
come donne, sono e possono dare a livello di intelligenza e sensibilità femminile. L’acritico loro adattamento alla
situazione certamente non è di stimolo
a un auspicabile cambio di mentalità.
Vitalità e stanchezza
Che ne è dunque di quella «splendida teoria» di cui Giovanni Paolo II
parlava riferendosi al dettato conciliare
sul laicato? Ha trovato capacità e autonomia per smuovere la prassi delle parrocchie? Le risposte del sondaggio non
consentono una conclusione inequivocabile. I dati che abbiamo raccolto in-
dicano chiaramente la presenza contemporanea, in parrocchia, di figure di
laici (ma anche di ministri ordinati) tuttora ancorate al passato, accanto ad altre (laici singoli e aggregati nonché ministri ordinati) più proiettate verso la
maturazione dell’identità conciliare, e
quindi attestano anche la compresenza
delle corrispettive ecclesiologie: di «dipendenza» e di «comunione». Tutte
queste figure, attive nella vita della parrocchia, non sempre sono valutate
come meriterebbero: quali cooperatori
e quindi partner a tutti gli effetti, non
solo come esecutori o collaboratori occasionali.
Il laicato, dunque, nella Chiesa italiana c’è ed è vitale, anche se in alcune
diocesi viene lamentata una diminuzione numerica, una certa stanchezza e
un’inadeguatezza ad esprimere al meglio la propria identità. Ciò che preoccupa, e non poco, è la situazione di
apatia o di mancanza di crescita o di insoddisfazione di chi pur si impegna, anche generosamente, insieme al fatto che
non si è riusciti in questi anni ad attuare
«un affondo deciso, sul piano teologico,
della specificità dell’essere laico nella
Chiesa».5
Giovanni Villata
1
I dati completi del sondaggio saranno proposti nel volume degli Atti della settimana di
prossima pubblicazione dalle Edizioni dehoniane
di Bologna.Visto lo spazio necessariamente limitato di questo articolo non sono proposti i dati
relativi ai vari incroci e alle tematiche quali l’associazionismo in parrocchia, la presenza dell’Azione cattolica italiana (AC), i ministeri laicali
che pure sono stati oggetto di ricerca. Le linee di
tendenza che saranno presentate al termine, dunque, non potranno trovare tutti i riscontri probanti nei risultati che qui sono presentati.
2
«Il rinnovamento della comunità cristiana
è qualificato dal cambiamento di mentalità del
pastore, la “conversione pastorale” passa attraverso la “conversione ministeriale” e con essa
anche di tutto il popolo di Dio. Questo è il punto
su cui cade o sta il rinnovamento della parrocchia»: F. G. BRAMBILLA, Essere preti oggi e domani:
Teologi pastorale e spiritualità, Milano, Glossa
2008.
3
G. VILLATA, «Dalla necessità alla progettualità». Ricerca sulle forme di comunità fra parrocchie, in CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE, Nuove forme di comunità cristiana. Le
relazioni pastorali fra clero, religioni, laici e territorio, EDB, Bologna, 2010, 46-47.
4
L. DIOTALLEVI, «Tra individualismo e voglia di comunità. La difficile transizione del cattolicesimo oltre le state society», in La Rivista del
clero italiano, 92(2011) 3, 218.
5
P. SEQUERI, «Rileggendo l’Apostolicam actuositatem», in Regno-ann. 2007,142-143.
437 info ger+francia:Layout 2
25-07-2011
16:05
Pagina 437
Germania
Ve scov i - S o c i e t à
e aiuti ai genitori di bambini disabili; l’invito
agli istituti educativi cattolici a promuovere
l’integrazione di bambini di altre culture;
una maggiore perequazione fiscale anche
attraverso una tassazione dei grandi patrimoni; nessun salario minimo garantito, che
rischia di essere una misura assistenziale.
Libertà,
idea della fede
N
ella Germania di oggi «molte persone non hanno la possibilità di
usare la loro libertà. Così la società
si divide tra quanti possono guardare avanti
con fiducia e ottimismo e cogliere occasioni e possibilità, e quanti invece sono esitanti e timorosi, spesso arrivano a rassegnarsi e si ritirano ai margini della comunità
o finiscono per trovarvisi senza loro colpa.
Hanno la sensazione che non vi sia giustizia,
e dubitano che in questa società tutti siano
necessari e abbiano un posto», e questo
nonostante il paese abbia attraversato relativamente bene la crisi economica e finanziaria attuale. Viceversa «tutte le persone
devono essere messe in condizione di far
fruttare i loro talenti, dando il proprio contributo unico e insostituibile. Ciascuno deve
avere l’opportunità di usare il potenziale di
libertà nella nostra società anche personalmente».
Così scrive il card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Freising e presidente
della Commissione per i problemi sociali
della Conferenza dei vescovi cattolici tedeschi, nella prefazione del documento intitolato Una società delle pari opportunità,
modello per un ordine liberale, presentato
a Berlino lo scorso 27 giugno.
La libertà secondo i vescovi tedeschi
è un’idea centrale della fede e della dottrina
sociale cristiana, e dev’essere declinata eticamente nel senso sia della responsabilità
individuale sia della solidarietà sociale. Il documento vuole porsi come stimolo per l’avvio di un dibattito pubblico che porti a un
rinnovamento della società tedesca in senso
liberale, e contiene anche alcuni suggerimenti politici, anche se una dimensione più
propositiva è rimandata a un passo successivo. Le prospettive individuate a titolo
d’esempio riguardano l’ambito dell’educazione, del lavoro e della giustizia inter-generazionale. Tra le indicazioni, misure a sostegno della famiglia, come asili nido gratuiti
Tra le prime reazioni c’è stata, il giorno
successivo, quella di quattro teologi moralisti – Bernhard Emunds, Karl Gabriel, Hermann-Josef Große Kracht, Matthias Möhring-Hesse –, i quali hanno diffuso un testo
che in dieci tesi critica l’impianto di fondo
del documento episcopale. Con il documento, secondo loro, la Commissione assume una posizione neoliberale, cautamente stemperata in senso socialdemocratico. Si limita a confermare l’impostazione
delle attuali forze di governo, e difficilmente
quindi potrà dare un qualche segnale politico o ancor meno uno stimolo programmatico; sembra non aver imparato nulla dalla
recente crisi finanziaria mondiale, né reca
traccia della richiesta di una regolamenta-
zione dei mercati; benedice i tagli allo stato
sociale, ritornando indietro rispetto a livelli
di previdenza raggiunti decenni fa grazie all’apporto delle forze politiche ispirate alla
dottrina sociale cristiana.
Secondo i moralisti, i vertici della
Chiesa cattolica con questo testo sanciscono definitivamente, dopo il primo passo
compiuto nel 2003 con Ripensare il sociale
(cf. Regno-doc. 3,2004,90), il loro allontanamento dalla dottrina sociale delle Chiese
evangelica e cattolica. Esse si erano espresse
insieme nel 1997 a favore di un’«economia
sociale di mercato impegnata in senso sociale, ecologico e globale» e sostenuta da
una «cultura della misericordia» nel documento Per un futuro di solidarietà e giustizia, al termine di un ampio processo di consultazione avviato nel 1994, che aveva
impegnato le due Chiese nell’elaborazione
di due stesure successive e di 25.000 pagine di contributi (cf. Regno-att. 6,1997,148ss;
Regno-doc. 9,1997,288).
D. S.
Francia
Patrimonio artistico
La notte bianca
delle chiese
L
o scorso 2 luglio, in tutta la Francia,
si è tenuta la prima edizione de «La
notte delle chiese», durante la quale
i luoghi di culto (circa 100.000 sul territorio
nazionale, di cui 45.000 chiese parrocchiali)
erano invitati a tenere le porte aperte per
accogliere tutti coloro che si sarebbero presentati, come spiegava una nota della Conferenza episcopale francese.
L’evento – che si rifà alla più famosa
«Notte delle cattedrali», iniziativa giunta
quest’anno alla V edizione – è stato organizzato dalla rivista «bi-media» Narthex
(www.narthex.fr) del Servizio nazionale di
pastorale e liturgia sacramentale. Lo scopo
era far conoscere e valorizzare la dimensione culturale e il ricco patrimonio degli
edifici religiosi presenti sul territorio francese.
La natura dell’iniziativa era in realtà duplice. A livello «culturale», si voleva valorizzare chiese o cappelle che appartengono al
patrimonio artistico nazionale e che, in alcuni casi, sono chiuse ormai da tempo (soprattutto nei villaggi e nelle piccole città).
Si intendeva aiutare le comunità locali a
riappropriarsi di una parte della loro identità, prendendosi cura dei propri luoghi di
culto e offrendo a tutti la possibilità di entrarvi e «gustarne» la bellezza, anche al di
fuori del momento celebrativo. Primi beneficiari dell’iniziativa sono stati proprio i cristiani, i quali, dallo studente liceale al pensionato, hanno avuto occasione di riscoprire
la storia, la bellezza e l’«anima» delle loro
chiese, talvolta attraverso corsi predisposti
per formare all’accoglienza e alla guida dei
visitatori.
Insieme alla valorizzazione del patrimonio artistico, l’accento è stato posto sul
valore dell’accoglienza come stile da vivere
e testimoniare, sollecitando in tal senso le
comunità locali. I cristiani devono ritrovare
il gusto di «pregare quotidianamente nelle
chiese dei loro villaggi»; lo ha dichiarato
mons. Jean Legrez, arcivescovo di Albi e organizzatore dell’evento, il quale ha concluso: «Per fare questo non c’è bisogno di
preti» (La Croix 30.6.2011).
M. B.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
437
438-440 art oasis:Layout 2
25-07-2011
16:06
Pagina 438
Primavera araba
I TA L I A
t
ra le righe del nuovo
C o n v e g n o i n t e r n a z i o n a l e d e l l a Fo n d a z i o n e O a s i s
U
na delle ultime uscite
pubbliche da patriarca
di Venezia del card.
Scola è stata in occasione del convegno del
Comitato scientifico della Fondazione
Oasis, che si è tenuto a Venezia, presso
l’isola di S. Servolo, dal 20 al 22 giugno
sul tema «Medio Oriente verso dove?
Nuova laicità e imprevisto nordafricano».1 Fondata da lui nel 2004 come
«rete internazionale di rapporti che
promuove la conoscenza e l’incontro
tra cristiani e musulmani» in risposta
agli avvenimenti legati all’11 settembre 2001, Oasis si è sin qui proposta
come un’attività attorno a tre poli – si
legge nell’homepage del sito Internet –
che ne denotano anche uno stile: «il
meticciato di civiltà e culture»; l’incontro personale e concreto con i cristiani delle Chiese orientali come modalità che superi «l’intellettualismo che
endemicamente affligge l’Occidente»
e ridia ai cristiani orientali un ruolo da
protagonisti; «l’interpretazione culturale degli islam».2
Uno dei maggiori pregi dell’attività
della fondazione è l’aver dato corpo all’intuizione di poter creare un luogo
d’incontro, una vivace community formata da protagonisti del mondo religioso e culturale dell’area mediorientale
che a cadenza annuale si ritrova per riflettere in un clima di piena libertà assieme a studiosi di fama internazionale
sui principali temi emersi dall’attualità
di quella complessa regione. Non necessariamente con sistematicità; d’altra
parte quest’anno la materia era assolutamente sovrabbondante.
438
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Tunisia: campo Shushah al confine con la Libia. La tenda dove si celebra la messa per i profughi cattolici.
Generazione giovani
Due termini hanno costituito i poli
d’attrazione attorno ai quali le relazioni
e gli interventi hanno ruotato: «l’imprevisto» e la «laicità». Nessun altro
convegno di pari livello avrebbe utilizzato un termine così poco accademico
come «imprevisto» per indicare il fatto
che la nascita dei movimenti di protesta
a partire dalla Tunisia abbia colto tutti
di sorpresa.
Questa irritualità ha tuttavia reso
efficacemente il sentimento che protagonisti e non hanno vissuto nei confronti dei movimenti di rivolta che dal
Nord Africa al Medio Oriente hanno
toccato con gradi diversi popolazioni e
regimi diversi (cf. Regno-att. 2,2011,12;
4,2011,85; 6,2011,152; 8,2011,227;
12,2011,381). «Dalla rivoluzione tuni-
sina – scrive l’arcivescovo di Tunisi nella
lettera pastorale datata 24 luglio che
ha presentato al convegno (il testo italiano sul prossimo numero di Regnodoc.) – impariamo che i piccoli sono all’origine del rinnovamento, proprio
quelli che erano considerati senza saggezza, senza ideologia, ma che hanno
una grande sete di conoscere, di aprirsi
e un grande desiderio di spiritualità personale. È sicuramente una prima volta
nel mondo arabo musulmano».
Così, anche il presidente degli Stati
Uniti B. Obama, nel suo secondo discorso rivolto al Medio Oriente (Washington, 19.5.2011), ha ammesso di
«dover procedere con un sentimento
d’umiltà. Non è l’America che ha portato la gente nelle strade di Tunisi o del
Cairo».
438-440 art oasis:Layout 2
25-07-2011
Ma «imprevisto» ha anche descritto
efficacemente il sentimento di «contrattempo» vissuto dalle società della
sponda Nord del Mediterraneo – Italia
in primis – di fronte alle ondate d’immigrati in arrivo e in transito dalle coste nordafricane. E questo anche se in
termini numerici (M. Lahham) vi era
una sproporzione netta tra i 20.000 arrivi dalla Tunisia in Italia e i 200.000 arrivati in Tunisia a seguito della guerra in
Libia (cf. anche Regno-att. 8,2011,224).
Ma è possibile farsi cogliere impreparati da un afflusso di persone che vive
a poche miglia di mare dalle nostre coste con un livello di vita incomparabilmente inferiore? Realisticamente – ha
detto il card. Scola – non si può «continuare senza intervenire radicalmente
sull’attuale sistema economico. Non è
soltanto una questione etica (…) è proprio un’impossibilità pratica». Così è
stato quando si è pensato che la crisi
economica scoppiata nel 2008 fosse solo
una parentesi in un sistema tutto sommato funzionale e soprattutto impermeabile – ma solo in entrata – rispetto
al resto del mondo. Così è per gli immigrati che provengono – e forse continueranno massicciamente a provenire –
dall’Africa subsahariana, «che non di
rado versano in condizioni di vita insopportabili». Sarà «inevitabile parlare
in Europa di un vero e proprio meticciato», ha sottolineato Scola, rifacendosi a un’espressione a lui cara che si
contrappone idealmente allo «scontro
di civiltà».
Ecco quindi la prima declinazione
dell’imprevista primavera araba: una
16:06
Pagina 439
formidabile spinta socio-demografica
di generazioni giovanili che, in aperta
rottura con il modello culturale e politico arabo degli anni Cinquanta, dopo
aver conseguito titoli di studio elevati,
caratterizzati da forte mobilità, si sono
trovati di fronte a una situazione priva
di sbocchi lavorativi e sociali. È una generazione che rifiuta il patriarcalismo di
cui è figlia, che chiede libertà e rivendica diritti a titolo individuale. Lo ha
detto O. Roy, la cui relazione ha costituito il riferimento, anche dialettico, nel
dibattito successivo. La tabella sotto evidenzia la forza percentuale delle coorti
generazionali giovanili sul resto della
popolazione nei paesi lambiti dalle rivolte e i tassi di fertilità molto simili a
quelli europei: quello tunisino, in particolare è più basso di quello francese, ha
ribadito Roy.
Una generazione fortemente connotata dall’individualismo – termine
che ha acceso qualche campanello
d’allarme in una parte del pubblico
presente – anche sul versante politico:
la richiesta dei giovani tunisini o di
piazza Tahir in Egitto era formulata
come «una domanda individuale di
cittadinanza», veicolata dai social media, priva di riferimenti ideologici
forti. Non si chiedeva «onore», ma
«dignità»; slogan di tipo religioso, con
riferimenti al panarabismo e alla
causa palestinese, erano del tutto assenti. Per questo i partiti politici
hanno tentato invano d’imbrigliare la
protesta nel suo nascere: i diritti individuali stanno stretti nelle formazioni
politiche classiche.
Democrazia fugace
In secondo luogo, la definizione storico-politica dell’«imprevisto» a fronte di
una clamorosa «assenza» e «paralisi» dei
governi occidentali (V.E. Parsi). Spesso ci
si è riferiti a questi avvenimenti come a
una rivoluzione. A Venezia è stato precisato che si dovrebbe più correttamente
parlare di «rivolte», che necessitano di
tempi ancora lunghi per dare vita a vere
e proprie rivoluzioni e pertanto sembrano
molto distanti dagli avvenimenti del 1989
dell’Est europeo (N. Lobkowicz). Forse si
è più vicini alla categoria del Sessantotto.
È vero, infatti, che il momento della «fugitive democracy» («democrazia fugace») –
ha detto M. Zeghal citando S. Wolin – è
il tempo in cui si può pensare al futuro
come «riconfigurabile», aperto «a cambi
radicali» e «rotture col passato»; tuttavia
esso è molto limitato nella sua durata.
«La pretesa romantica» di una sorta
di «rivoluzione permanente» (Zeghal) è
più che altro il segno del lavorio faticoso
del farsi di una mediazione politica nuova
che dia senso e stabilità alla rottura. In
Tunisia ciò è visibile nel dibattito sul ruolo
dei partiti d’ispirazione religiosa. In
Egitto, è evidente che la primavera difficilmente potrà essere più di una – necessaria – riforma tutta interna all’esercito,
vera struttura portante dello stato (T. Aclimandos); nonostante il fatto che la piazza
cerchi di mantenersi autoconvocata. In
altri casi, addirittura, come in Arabia
Saudita, la protesta è «rimasta digitale»,
una sorta di «cyber-utopia» (M. al-Rasheed) smorzata sul nascere da qualche
concessione di tipo economico.
È ragionevole aspettarsi (Roy) che alle
MONDO ARABO: LA FORZA DELLA DEMOGRAFIA
Algeria
Arabia Saudita
Bahrein
Egitto
Giordania
Libano
Libia
Marocco
Oman
Qatar
Siria
Tunisia
Yemen
Popolazione
Figli/Donna
% 0-14 anni
34.459.729
24.807.273
650.604
77.775.247
5.980.000
3.759.136
5.673.031
30.847.000
3.173.917
1.696.563
20.367.000
10.432.500
22.492.035
1,75
2,46
2,79
2,80
3,50
2,21
3,08
2,21
2,86
2,40
3,12
2,05
5,00
27,20
30,80
21,10
31,70
37,20
27,60
33,00
29,10
32,10
13,70
36,40
25,90
43,90
% 15-29 anni % 30-44 anni % 45-59 anni
32,10
30,70
29,10
31,30
28,90
27,10
28,60
28,60
32,20
31,30
30,70
30,10
29,80
21,80
24,30
31,70
18,50
20,70
21,70
21,90
21,00
22,00
40,20
18,10
22,10
14,40
% 60 e oltre
% totale
7,00
4,40
3,80
6,10
5,00
10,00
6,40
8,20
4,60
1,70
5,40
8,70
4,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
11,90
9,80
14,30
12,40
8,20
13,60
10,10
13,10
9,10
13,10
9,40
13,20
7,90
Nostra elaborazione da Britannica 2011 Book of the year.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
439
438-440 art oasis:Layout 2
25-07-2011
16:06
prossime elezioni le forze politiche più
conservatrici, i cosiddetti «partiti dell’ordine» (esercito, partiti islamici), si affermino. Ciò non significa un ritorno allo
statu quo ante: la questione delle riforme
sociali una volta innescata farà comunque
il suo corso e – ha aggiunto Roy – su questo punto i movimenti politici di matrice
islamica hanno dato prova di saper prendere il potere ma risposte soddisfacenti.
In linea di principio tutti i relatori
concordavano sul fatto che la normalizzazione delle formazioni islamiche all’interno di un gioco politico aperto – oggi
ancora sulla carta per ciò che concerne
ad esempio i Fratelli musulmani in Egitto
(A. Elshobaki) – sia inevitabile. Sulla tempistica e quindi su come sarà il prossimo
futuro, comunque non esente da conflitti,
non c’è stata invece unanimità di pareri,
ma – ragionevolmente – si sono espressi
molti timori.
Le molte laicità
Sin qui potrebbe sembrare che la
parte da protagonista sia stata lasciata a
Egitto e Tunisia, modelli di riferimento
anche per le altre rivolte del mondo
arabo. Man mano altri relatori e il successivo dibattito hanno invece sottolineato la pluralità di retaggi storici che
hanno costruito differenze incomparabili
tra paese e paese e che spiegano il perché
del diverso evolversi di fatti apparentemente simili. Questo è tanto più vero se
si considera il livello di discussione che si
è innescato in tutti i paesi sul rapporto
tra istituzioni di governo e istanze religiose, sulla cosiddetta «laicità».
Si è così configurata una congerie di
specificità tra loro non componibili: in
Tunisia il termine «laicité» è ancora carico delle ambiguità derivate dal colonialismo francese (Zeghal) che lo stesso partito islamico Al-Nahda non sembra per il
momento intenzionato a sciogliere, volendo raccogliere il maggior numero di
consensi alle prossime elezioni. Dalla
composita esperienza libanese è stato
fatto notare come i diversi termini arabi
– layykî, ‘almânî, dunyawî, madanî, dahrî –, che traducono altrettanti aspetti
della laicità, siano tutti intessuti dai fili di
una storia che ha per protagonisti principali i cristiani arabi che lì vivono (D.
Avon) e che rivendicano la possibilità di
una propria specifica elaborazione (H.
Nehmé), al di fuori dell’idea «occidentale» di una laicità appiattita sulla neu-
440
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Pagina 440
tralità. Dalla storia turca è stato infine ricordato (M. Movsesian) che il momento
dell’applicazione dell’idea di laicità –
«Tanzimat» – ha coinciso con una delle
più drammatiche persecuzioni verso la
minoranza cristiana degli armeni.
Il convegno quindi da un lato ha indicato la necessità di un’autonoma elaborazione del mondo arabo che dia
corpo a un’idea di laicità che non sia una
mera trasposizione di modelli elaborati altrove e che sappia rispondere in maniera
adeguata alle istanze dei diritti individuali
– anche religiosi – che sembrano soppiantare quelli «di gruppo», familiare, etnico, nazionale.
E dall’altro ha indicato l’interesse
verso questo laboratorio come luogo da
cui il mondo occidentale, nelle secche di
una laicità che lo costringe a continui interventi legislativi per regolare minuzie
del comportamento religioso da cui si
sente minacciato, ha da imparare e non
da temere. «Paradossalmente i fatti nordafricani mostrano (...) che l’accento posto sulla necessità di una nuova laicità o
sulla laicità positiva (cui anche Benedetto
XVI ha dedicato più di un intervento)
non è uno stratagemma verbale escogi-
tato da alcuni per evitare di parlare di laicità tout court, ma una necessità imposta
dai fatti», ha detto il card. Scola.
Di qui emerge un impegno su cui
l’Occidente e segnatamente l’Europa –
facendo così compiere un ulteriore balzo
in avanti all’Unione – dovrebbe investire:
farsi garante della possibilità che le comunità civili e religiose del mondo arabo
compiano un’autonoma ancorché faticosa elaborazione sui fondamenti del loro
futuro, che sempre più è parte del futuro
di tutti. Difficilmente ciò avverrà se ci si limiterà a interventi manu militari o a meri
sostegni di tipo economico privi di una visione politica complessiva sull’intero bacino del Mediterraneo.
Il convegno – e con esso numerose altre iniziative che stanno emergendo in
contesti accademici, culturali e religiosi –
3
ha certamente svolto il proprio: tenere
doverosamente accesa l’attenzione su tutti
i soggetti e su tutti gli aspetti coinvolti, sia
dove la primavera araba è sbocciata sia
laddove sembra interrotta, come in Palestina, o addirittura gelata da un precoce
inverno, come in Siria.
1
Sono intervenuti lunedì 20 giugno: il card. Angelo
Scola, «Un progetto stabile di vita buona. L’imprevisto nord-africano e la nuova laicità»; Olivier Roy,
«Une génération post-islamiste? Réflexions sur les
nouvelles subjectivités religieuses et politiques au
Moyen Orient»; Malika Zeghal, «After the Revolutions: Political and Religious Institutions in the Middle East»; Nikolaus Lobkowicz, «The collapse of a
system: ’89 as an historic paradigm?»; Hoda Nehmé,
«Difficile laïcité dans la société arabe et islamique
contemporaine»; mons. Maroun Lahham, «Tunisia
tra rivoluzione e migranti»; card. Antonios Naguib,
«Relations islamo-chrétiennes en Egypte suite à la
Révolution de février»; Amr Elshobaki, «Les Frères
Musulmans dans le nouveau Egypte»; Tewfik Aclimandos, «Révolution, coup d’Etat ou reforme? Le
rôle de l’armée en Egypte»; Vittorio Emanuele Parsi,
«Politiche occidentali e mutamenti mediorientali».
Martedì 21 giugno: Madawi al-Rasheed, «Saudi
Arabia and the Euphoria of Arab Spring: Religion
at the Service of Royal Power»; Dominique Avon,
«La laïcité en débat dans le Liban contemporain»;
Mark Movsesian, «Ottoman Secularization in the
Nineteenth Century: the Tanzimat and Christian
Minorities».
2
Il testo prosegue: «Il metodo di comunione
con i cristiani orientali ha per contenuto l’interpretazione culturale degli islam. Le religioni, infatti,
sono assunte dai soggetti che le praticano dentro una
specifica interpretazione culturale. Essa traduce la
scelta di fede attuata da ogni credente in concrete implicazioni culturali e sociali. Il lavoro di Oasis pertanto non si concentra su aspetti particolari, seppur
fondamentali, quali il dialogo interreligioso, la teologia comparata o alcune questioni di diritto e politica, ma è di carattere sintetico e globale. Tale lavoro
può, ed in un certo senso deve, attraversare tutti
questi territori, ma il suo intento è misurarsi con l’in-
terpretazione culturale degli islam. In questa chiave,
Oasis ritiene prioritario il confronto con gli islam di
popolo, categoria che, volendo superare la dicotomia
islam moderato/islam radicale, punta al confronto
con l’esperienza religiosa concreta della maggior
parte dei credenti musulmani».
3
A pochi giorni dall’incontro di Oasis, si è tenuto a Tunisi un seminario organizzato dalla cattedra UNESCO di studi comparativi delle religioni
dell’Università (presieduta da M. Haddad) e la Konrad Adenauer Stiftung su «Le religioni nelle democrazie» (25-26 giugno). Mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, e il rev. Rowan Williams,
arcivescovo di Canterbury, hanno organizzato a
Lambeth Palace il 18 e il 19 luglio una conferenza
internazionale su «Cristiani in Terra santa».
Anche Il Regno avviò una riflessione all’indomani dei tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001
dedicandovi alcuni dei seminari di studio di Camaldoli (AR); da uno di essi nacque anche l’idea del
volume di T. PADOA SCHIOPPA, Dodici settembre. Il
mondo non è al punto zero, Rizzoli, Milano 2002,
sull’auspicabile ruolo politico internazionale dell’Unione Europea. Nei seminari del 2003 e del
2004, poi, fu particolarmente insistita l’idea d’evitare l’identificare cristianesimo e Occidente ma di
dare invece spazio «a un governo dei processi di
mondializzazione ispirati alla salvaguardia del pluralismo, della libertà e della pace. (…) A fondamento di ciò – si diceva – vi è anzitutto il riconoscimento che il confronto è in primo luogo tra
“Occidenti” e “cristianesimi”, cioè tra forme culturali diversificate, non solo storicamente, che tendono a un nuovo universalismo, l’unico in grado di
pensare il pluralismo quale unità normativa»: G.
BRUNELLI, «Introduzione», in Nel suo Nome. Conflitti, riconoscimento, convivenza delle religioni,
EDB, Bologna 2005, 5.
Maria Elisabetta Gandolfi
441-443 art sudan:Layout 2
25-07-2011
17:13
Pagina 441
Sud Sudan
AFRICA
s
commettere sull’indipendenza
B
andiera e inno erano pronti
da tempo e in tutto il territorio si sono imbiancate le
case e pulite e addobbate le
strade per preparare la festa che il 9 luglio ha sancito la nascita
del 54o stato africano, il Sud Sudan.
Esito naturale del referendum che il 9
gennaio scorso ha detto «sì» in maniera
massiccia alla separazione, a sua volta
frutto dell’accordo di pace che nel 2005
ha messo fine a un conflitto che da
quasi due secoli oppone Sud e Nord
del più esteso paese africano, l’independence day del Sud non risolverà automaticamente i conflitti che nel tempo si
sono assommati senza aver trovato soluzione (cf. Regno-att. 2,2011,14). Gli
scontri tra maggio e giugno al confine
Nord-Sud sono un campanello d’allarme molto chiaro.
Procedendo dalla zona meridionale
a quella settentrionale, ecco l’elenco dei
nodi irrisolti che gravano sul futuro dei
due Sudan.
– Negli stati della provincia dell’Equatoria, al confine con Centrafrica,
Congo e Uganda, sono tuttora attivi
gruppi armati del Lord Resistance
Army, la guerriglia capeggiata da J.
Kony e finanziata da Khartoum che
dopo aver chiuso il fronte nord-ugandese nel 2009 si è installata in questa
sorta di terra di nessuno, compiendo
raid contro i civili.
– I conflitti interetnici sud-sudanesi
tra popolazioni nomadi e gruppi di
agricoltori sono non solo strumentalizzati da Khartoum ma anche esacerbati
dal fatto che Juba, la capitale del Sud,
ha consentito vendite di terreni coltiva-
Il 9 luglio è nato il Sud Sudan,
54° stato del continente africano
bili a non sudanesi a prezzi convenienti
per rimpinguare le esigue casse statali.
– Risalendo verso Est, c’è la partita
della trattativa con l’Etiopia, ricca d’acqua e di dighe, ma estremamente dipendente dal petrolio sudanese, che costituisce l’85% del suo fabbisogno (cf. il
rapporto reso noto dal centro studi
Chatman House a firma di H. VERHOEVEN, Black Gold for Blue Gold? Sudan’s Oil, Ethiopia’s Water and Regional
Integration, Londra, giugno 2011). Non
è improbabile un accordo che scambi
oro nero contro oro blu; tuttavia è
prima necessario definire lo status del
Blue Nile.
Petrolio «nelle nuove
circostanze»
– La titolarità dei territori che contengono giacimenti petroliferi, che si
trovano sul confine dei due stati, non è
stata ancora definita: è il caso del distretto di Abyei: secondo la ricostruzione
effettuata dall’ONG italiana Campagna Sudan, dopo aver lasciato in sospeso il referendum per l’attribuzione
del territorio – i dinka, popolazione sedentaria, avrebbe optato per il Sud,
mentre i missiria per il Nord – il 21
maggio è scoppiato un conflitto. L’esercito di Khartoum, prendendo a pretesto
una scaramuccia con le forze armate
del Sud, ha occupato la zona, provocando un centinaio di morti, decine di
migliaia di sfollati, razzie e incendi. Il 27
giugno il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato una risoluzione che
prevede il dispiegamento di 4.200 caschi
blu etiopici.
Ma è anche e soprattutto il caso del-
l’intero Kordofan meridionale (oltre che
del Blue Nile): qui vi sono comunità non
arabe e cristiane che, in base agli accordi
di pace del 2005, dovrebbero diventare
cittadini del Nord pur avendo militato
nell’esercito di liberazione del Sud; ma
vi sono anche comunità arabe che
hanno combattuto per il Nord. Dopo le
recenti e contestate elezioni che hanno
visto la vittoria a governatore del candidato di Khartoum nonché ricercato –
assieme ad Omar al Bashir – dalla Corte
penale internazionale per crimini contro
l’umanità compiuti in Darfur, domenica
5 giugno l’esercito ha occupato la capitale Kadugli, spingendo le truppe del
Sud a spostarsi ai piedi dei monti Nuba
a motivo dello scadere dell’ultimatum
stabilito dal Nord per il loro ritiro da
quei territori: questione delicata visto
che per queste truppe si trattava del
suolo natio, mentre gli accordi prendevano tempo con la costituzione di una
forza militare «mista» senza definire
come si sarebbe poi suddivisa a partire
dal 9 luglio.
L’attacco ha provocato 10.000 sfollati; testimonianze di operatori umanitari dell’ONU arrivate fortunosamente
sulle scrivanie di alcuni quotidiani anglofoni hanno riferito di un vero e proprio assedio contro il campo della Missione ONU di Kadugli, essendo state
tagliate la linea elettrica e quella telefonica; di bombardamenti aerei sconfinati
fino allo stato di Unity; di uccisioni di civili per sgozzamento: le violenze contro
i civili secondo l’ONU sono a opera di
entrambe le parti. La chiusura poi delle
vie di comunicazione con il Sud, che
ha patito scarsità di viveri e di carbu-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
441
441-443 art sudan:Layout 2
LA
25-07-2011
17:13
PREGHIERA DI MONS.
Pagina 442
MAZZOLARI
Questa nostra Gerusalemme
L
e celebrazioni che hanno sancito la nascita del Sud Sudan (9 luglio)
si sono tenute in contemporanea in tutti e 10 gli stati che attualmente lo compongono. A Rumbek la cerimonia ufficiale è stata
accompagnata anche da una preghiera d’invocazione pronunciata dal
vescovo cattolico mons. Cesare Mazzolari. Mons. Mazzolari è morto improvvisamente di infarto il 16 luglio scorso. Questa preghiera ne è in
certo modo il testamento spirituale (ndr).
Onorevoli responsabili di governo, membri del corpo diplomatico, cari visitatori e tutti voi miei fratelli e sorelle,
raccogliamo i cuori in preghiera.
Preghiamo. Dio misericordioso, in questo giorno dell’indipendenza
della nuova Repubblica del Sud Sudan noi umilmente eleviamo a te la
forte supplica del salmo 51, cantata tanto tempo fa dalla guida eletta
del tuo popolo, il re Davide. Ascolta con bontà, Signore, le sue e le nostre suppliche:
Pietà di noi, Signore, nel tuo amore. Dona segni di guarigione alla
nostra nazione perché tu non sei un Dio che gradisce sacrifici ma piuttosto un Dio che chiama noi tuo popolo ad avere un cuore contrito e
affranto, che chiama noi tuo popolo ad ascoltare e a obbedire alla
tua parola.
Dio di misericordia, nella tua bontà rimani con noi e rendici capaci di ricostruire le mura di questa nostra Gerusalemme che è la nostra nuova Repubblica del Sud Sudan.
Innanzitutto ti supplichiamo con Davide tuo re e con tutti i martiri, i patrioti e gli eroi sudanesi: Signore, tu non sei un Dio che gradisce
sacrifici. Sì, o Signore, abbiamo avuto troppi sacrifici e sangue effuso
sulla nostra terra: due milioni di sudanesi uccisi in una guerra durata 22
anni, centinaia e migliaia di eroi, patrioti e martiri il cui sangue oggi eleviamo a te.
Dio misericordioso, fa’ che questo sacrificio abbia fine. Tu non vuoi
sacrifici, ma nella nostra terra oggi si continua a morire, c’è ancora la
fame, ci sono persone senza casa ed enormi atrocità che causano dolore a uomini e donne.
Basta con le sofferenze e i sacrifici. Come nell’Antico Testamento
tu, nostro Dio, hai visto la sofferenza del tuo popolo e hai avuto pietà
di lui, così oggi ancora una volta, abbi pietà del tuo popolo sudanese e
poni fine alle nostre sofferenze.
E ora, Signore, affidiamo a te i nostri cuori contriti. Ci pentiamo
sinceramente d’essere un popolo in conflitto, diviso dall’avidità, dall’egoismo, dalla vendetta e dalla violenza nei confronti del tuo dono
della vita. Ti preghiamo, tocca i nostri spiriti con la tua mano divina e
compassionevole perché i nostri cuori si trasformino da cuori di pietra
in cuori di carne; rendici capaci di perdonare, così come tuo Figlio ci ha
perdonati; per poter così diventare un popolo di riconciliazione, perché
una nazione divisa non può durare. Riunisci il nostro popolo sudanese
in un’unica nazione da ogni lingua, tribù e popolo (cf. Ap 11,9).
rante, ha bloccato l’intervento delle
agenzie umanitarie in favore dei 70.000
sfollati, ha dichiarato Caritas internationalis.
C’è da augurarsi che possa almeno
fare da paciere la Cina, che salomonicamente ha dichiarato alla vigilia dell’indipendenza sud-sudanese che in
cambio di petrolio fornirà aiuti a en-
442
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Con cuore umile e contrito la nostra nazione oggi s’impegna ad
ascoltare e a obbedire alla tua Parola cosicché il governo dei nostri leader, le parole e lo spirito della nostra Costituzione così come la voce
della coscienza di ciascun sudanese riconosca, rispetti e adempia la tua
divina legge nella nostra nazione.
Imprimi nel profondo dei nostri cuori le parole del tuo figlio Gesù
poiché noi desideriamo obbedire al suo comando: «Misericordia io voglio» (Mt 12,7) e non vendetta perché «mia sarà la vendetta» (Dt 32,35).
«Non rendete male per male…, ma rispondete augurando il bene» (1Pt
3,9). E soprattutto perdonatevi l’un l’altro come lui vi ha perdonati. E così
possiamo diventare capaci di conquistare la pace, la libertà, la prosperità per la nostra nazione.
E ora Signore, guarda alla nostra promessa. Con gioia ti ringraziamo
per questa Giornata dell’indipendenza, per la grazia di una nuova nazione e per questa meravigliosa madrepatria. Uniamo le nostre mani a
te, Padre nostro, e l’un l’altro per ricostruire le mura di quella Gerusalemme che è il nostro Sud Sudan.
Noi crediamo che «se il Signore non costruisce la casa, invano si
affaticano i costruttori» (Sal 127,1) e pertanto noi auspichiamo di costruire
la nostra nuova nazione con la più totale fiducia in te, nostro Dio. Allo
stesso tempo siamo consapevoli che tu hai affidato il Sud Sudan al lavoro delle nostre mani.
Pertanto, fa’ che amiamo il nostro paese così come lo hanno amato
i nostri patrioti che hanno dato la vita per lui. Donaci il coraggio e la saggezza di lavorare onestamente e duramente. Rendici capaci di collaborare con le altre nazioni del mondo in una reale solidarietà per la nostra
maggior crescita.
Siamo davvero grati per ciò che gli altri popoli e nazioni faranno
per noi. Tuttavia radica nel profondo del nostro animo sudanese che
ciò che conta davvero per la nascita di una nuova nazione è ciò che noi
– ciascun singolo sudanese –, faremo per il nostro paese. Così non dovremo chiedere che cosa gli altri fanno per noi, ma che cosa noi, sudsudanesi, faremo per il Sud Sudan.
Così non dovremo dipendere da ciò che gli altri faranno per noi, ma
dipenderemo dal duro lavoro delle nostre mani, dei nostri cuori e delle
nostre menti per provvedere il necessario alla nostra famiglia e il bene
comune della nostra nazione.
Così le parole profetiche del salmo 85 si avvereranno anche qui
in Sud Sudan: prosperità sarà nella nostra terra. «Giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo.
Certo il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto»
(Sal 85,11-13). La prosperità camminerà davanti al Signore e la buona
sorte lo seguirà.
trambi gli stati, senza fare differenze tra
giacimenti. Secondo il ministro degli
esteri cinese che ha accolto a fine giugno
Omar al Bashir la Cina intende infatti
«consolidare un’amicizia tradizionale
nelle nuove circostanze» (corsivo nostro;
ndr).
– Non è avviata a soluzione la questione del Darfur, dove c’è un accordo
Amen.
✠ Cesare Mazzolari
tra Khartoum con solo uno dei tre
gruppi in armi, il Movimento per la giustizia e la liberazione: il referendum per
l’autodeterminazione si terrà un anno
dopo la firma di un definitivo accordo di
pace, per il momento non alle viste.
– Infine il futuro assetto del National Congress Party, il partito al governo
guidato da al Bashir, nonché i suoi rap-
441-443 art sudan:Layout 2
25-07-2011
porti con l’esercito: un lato meno noto
alle cronache internazionali e tuttavia
cruciale per il futuro di entrambi i paesi.
Il potere – secondo l’analisi dell’International Crisis Group – è «sempre più
centralizzato nelle mani di un piccolo
gruppo attorno al presidente Bashir.
Tuttavia questa centralizzazione non è
pari nelle forze armate», tenute assieme
da un sistema di «lealtà personali e di fedeltà tribali», dove hanno facile gioco la
corruzione e la nomina dei governatori
degli stati ripagate con la fedeltà a Khartoum. Non è detto che questo sistema
regga tutte le aree di conflitto e che
possa continuare ad attingere al patrimonio simbolico arabo-islamico per
mantenere l’unità nazionale.
In questo panorama si trovano a
operare le Chiese e le ONG a esse legate.
17:13
Pagina 443
Innanzitutto sul versante umanitario, in
particolare per la gestione dell’improvviso flusso delle minoranze religiose cristiane che, rifugiatesi a Khartoum durante i lunghi anni della guerra, si sono
messe in marcia per ritornare, anche in
seguito alle minacce del presidente d’applicare indistintamente la sharia. Ma arrivate al Sud, spesso non trovano né lavoro né cibo né casa.
Le Chiese hanno così investito le
proprie risorse nell’avvenimento. La
Chiesa cattolica ha partecipato alla cerimonia con il nunzio, mons. Leo Boccardi, con il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, in qualità d’inviato del
papa, con i rappresentanti degli episcopati dell’Africa orientale, con il neo-presidente di Caritas internationalis, Michel Roy. Vi era poi il pastore Samuel
Kobia in rappresentanza del Consiglio
ecumenico delle Chiese, l’organismo che
ha accompagnato con il proprio sostegno il lavoro dei due Consigli ecumenici
sudanesi (quello del Nord e quello del
Sud) e che sin dai primi anni Settanta
aveva cercato mediazioni per porre fine
al conflitto.
Come azioni di preparazione di
questa fatidica data, a Juba la diocesi
cattolica ha organizzato nei 40 giorni
precedenti momenti di preghiera e iniziative di riconciliazione; a livello ecumenico si è tenuto il Reconciliation Day
con preghiere e ascolto di testimonianze.
Vicino a Rumbek è nato un centro di
formazione per insegnanti della scuola
primaria, progetto fortemente voluto dal
vescovo mons. Cesare Mazzolari (cf. box
qui a fianco). La diocesi inoltre ha realizzato un’iniziativa denominata «Ten
Steps to Unity in South Sudan» («Dieci
passi verso l’unità nel Sud Sudan»): nelle
10 settimane precedenti il 9 luglio un
percorso di formazione in altrettante
tappe (nell’omelia domenicale dei sacerdoti e con incontri parrocchiali) su temi
fondamentali per consolidare la pace, tra
cui: riconciliazione, dignità umana, solidarietà, bene comune, diritti e doveri dei
cittadini, partecipazione, opzione per i
poveri, sviluppo integrale, sussidiarietà,
giustizia, pace, riconciliazione e integrità
del creato.
A Tombura – Yambio si è puntato
su conferenze per la riconciliazione in
collaborazione con il governo e su corsi
d’educazione civica; alla vigilia dell’indipendenza si è tenuta una veglia ecumenica nonché una cerimonia (cf. C.
Andreola su www.cittanuova.org) definita «riconciliazione generale», in cui i
membri di diversi gruppi etnici e di
credo religiosi diversi si sono lavati reciprocamente i piedi.
Per tutti si pone la sfida dello sviluppo, che significa strade, scuole, ospedali ma anche il riavvio delle attività
economiche e la modernizzazione dell’agricoltura. Come ha detto mons.
Eduardo Hiiboro, «se vogliamo costruire il Sud Sudan, la gente deve vedere la differenza tra la guerra e la pace.
E pace significa sviluppo»: secondo l’indice di sviluppo umano, infatti, il Sudan
è al 154o posto su 169 paesi.
Maria Elisabetta Gandolfi
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
443
444 box nomine:Layout 2
S
A N TA
26-07-2011
14:53
SEDE - Nomine
Pagina 456
I
l segno del pontificato
D
iverse, importanti nomine nelle ultime settimane hanno
come approfondito i cambiamenti in atto nella Santa Sede
e in alcuni paesi considerati decisivi, come l’Italia e la Germania. Alcune rispondono ai desiderata del segretario di
stato, card. Bertone. Altre rispondono ad atti dovuti. Altre ancora
recano il segno più diretto di Benedetto XVI.
Senza sorprese, il 10 maggio scorso Benedetto XVI accetta le
dimissioni presentate per ragioni di età e di salute dal cardinale indiano Ivan Dias da prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide). La sua sostituzione avviene
attraverso la promozione del sostituto per gli affari generali della
Segreteria di stato, mons. Fernando Filoni, in quel ruolo dal 2007.
Filoni sale ora al vertice di un dicastero tradizionalmente influente della Santa Sede, cui fanno capo un migliaio di diocesi tra
Asia, Africa e America Latina, e dotato di un cospicuo patrimonio
di beni immobili e finanziari attraverso i quali sostiene le giovani
Chiese. Di recente Propaganda fide è entrata nell’indagine per corruzione promossa dalla Corte dei conti e che ha coinvolto il costruttore Diego Anemone, i vertici del Consiglio superiore dei lavori
pubblici e l’allora prefetto della Congregazione card. Crescenzio
Sepe, oggi arcivescovo di Napoli. Filoni ha dunque il compito di rimettere ordine e di fare chiarezza, se ce ne fosse bisogno. La svolta
a Propaganda fide è completata dalla nomina del nuovo segretario,
il cinese Savio Hon Tai-Fai, salesiano, esponente di quella linea intransigente che oggi caratterizza le relazioni tra Vaticano e Pechino
(cf. in questo numero a p. 456).
A sostituire Filoni, il card. Bertone vuole mons. Giovanni Angelo Becciu, 63 anni, sassarese, in servizio diplomatico dal 1984, già
primo nunzio in Angola, ma soprattutto, dal 2009, a Cuba. È qui che
cresce la considerazione nei suoi confronti da parte del segretario
di stato, che ha potuto sperimentare personalmente le capacità diplomatiche di mons. Becciu e il successo della sua impostazione
del rapporto col regime castrista in questi anni di transizione politica. Di tutte, in prospettiva, questa è la nomina più importante.
Il nuovo Pontificio consiglio per la promozione della nuova
evangelizzazione diviene definitivamente operativo con il completamento delle nomine interne. A giugno infatti il papa ha provveduto alla nomina del segretario: mons. José Octavio Ruiz Arenas,
arcivescovo emerito di Villavicencio (Colombia), finora vicepresidente della Pontificia commissione per l’America Latina; del sottosegretario: mons. Graham Bell, finora coordinatore di segreteria
della Pontificia accademia per la vita; e di tutti i consultori.
Il nuovo organismo assume dunque un profilo fortemente internazionale e non legato esclusivamente all’Europa, come in un
primo tempo si era detto. Il riordino e la trasparenza della gestione
finanziaria, tema particolarmente caro a Benedetto XVI, che ha voluto che la Santa Sede si adeguasse alle norme internazionali in materia di prevenzione e contrasto delle attività illegali in campo
finanziario e monetario (cf. Regno doc. 3,2011,74) ha comportato la
creazione dell’Autorità d’informazione finanziaria (AIF). A presiedere il nuovo organismo il papa ha voluto, il 7 luglio, il card. Attilio
Nicora (74 anni), già presidente dell’Amministrazione del patrimonio
della sede apostolica (APSA). Nicora non poteva restare a lungo in
entrambe le cariche per l’oggettiva incompatibilità dei due ruoli:
quello di controllore e di controllato.
A sostituire Nicora all’APSA va, senza sorprese, il genovese
mons. Calcagno, già segretario e molto vicino, fin dai tempi del ser-
456
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
vizio negli uffici della CEI, a Bertone. Al posto di Calcagno giunge
l’ambrosiano mons. Luigi Mistò, finora direttore dell’Istituto superiore di studi religiosi e della Fondazione ambrosiana Paolo VI, e responsabile del Servizio dell’arcidiocesi di Milano per la promozione
del sostegno economico alla Chiesa.
Alcuni vaticanisti hanno collegato l’avvicendamento all’APSA
alle operazioni in atto da parte della Segreteria di stato per ottenere il controllo dell’Istituto Giuseppe Toniolo, la «cassaforte» dell’Università cattolica del Sacro Cuore, al centro di un confronto teso
tra il card. Bertone e l’arcivescovo uscente di Milano, Dionigi Tettamanzi. Un’operazione fortemente voluta da Bertone, ma piuttosto
complessa da realizzare per le resistenze ambrosiane e per le stesse
regole imposte dallo statuto. Appare pertanto concreta la possibilità che venga costituita una speciale commissione per la revisione
e la riformulazione degli statuti del Toniolo e della stessa Università
cattolica, operazione finalizzata a portare sotto il diretto controllo
vaticano l’ateneo fondato da padre Gemelli.
Ma per definire la situazione milanese occorrerà aspettare il parere
del nuovo arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola, patriarca di Venezia, nominato il 28 giugno. Una nomina piuttosto faticosa, inusuale
(lo spostamento di un patriarca), che ha visto un consenso non unanime in CEI, in Vaticano e a Milano (cosa di cui il cardinale è pienamente consapevole), ma che papa Ratzinger ha voluto personalmente.
I rapporti tra Roma e Milano non sono mai stati del tutto collimanti. La diocesi ambrosiana gode di una tradizionale autonomia
che la rende di fatto protagonista in Italia e rispetto allo stesso pontificato. Se si guarda alla storia anche recente, dal card. Ferrari a oggi
sono stati pochissimi i momenti di totale coincidenza di visione tra
la sede ambrosiana e la sede apostolica. Il precedente più significativo è quello della relazione personale tra Paolo VI e il card. Colombo. Ma Paolo VI era stato eletto papa da arcivescovo di Milano.
Recentemente, con l’episcopato del card. Martini è parso crescere il protagonismo milanese, fino a essere rappresentato dai
media come «alternativo» alla linea di Giovanni Paolo II. Certo una
caricatura. Ma non c’è dubbio che Martini e in parte, dopo di lui, lo
stesso Tettamanzi, abbiano rappresentato ed espresso una sensibilità ecclesiale diversa. Nella successione a Martini, prima di convergere su Tettamanzi, la Santa Sede aveva preso in considerazione
anche l’ipotesi di smembrare la diocesi ambrosiana.
La nomina di Scola rappresenta da questo punto di vista un riallineamento tra la figura del nuovo arcivescovo e l’attuale pontificato. Ma non è detto che l’allineamento dottrinale non avvenga
difendendo alcune delle tradizionali prerogative della diocesi ambrosiana, anche nei confronti della Segreteria di stato.
Espressione della volontà diretta del papa è anche la nomina
del nuovo arcivescovo di Berlino, mons. Rainer Maria Woelki. Dopo
la lunga malattia del card. Georg Sterzinsky e all’indomani della sua
morte (30 giugno) il papa, ascoltando esclusivamente il parere del
fidato card. Joachim Meisner, ha nominato mons. Woelki (55 anni),
già segretario personale dello stesso Meisner (1990-1997) e sinora
vescovo titolare di Scampa e ausiliare di Colonia.
La portata di questa nomina non è comparabile alla precedente.
Scola rappresenta un interprete autorevole e creativo del pontificato. Woelki, un fedele esecutore. Segnala tuttavia la volontà del
papa di riallineare anche la Germania a Roma.
Gianfranco Brunelli
445-446 art_ortodossi:Layout 2
25-07-2011
ORTODOSSI
I
i
l pomeriggio del 5 luglio 2011 il
patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha ricevuto la visita di una delegazione
dell’Accademia per gli studi teologici di Volos (Grecia).1 È stata una visita
molto solenne. Guidata dal metropolita di
Demetriade (Volos), Ignazio, e dal direttore dell’Accademia, Pantelis Kalaitzidis,
la delegazione era composta da alcuni autorevoli membri del consiglio direttivo: p.
Gregorios Papathomas (Facoltà teologica
di Atene; Istituto San Sergio di Parigi; presidente del Foro europeo delle facoltà teologiche ortodosse), p. Demetrios Bathrellos
(lecturer, Hellenic Open University; visiting lecturer, Istituto ortodosso di Cambridge), p. Christos Chachamidis (sacerdote della metropoli di Demetriade), sig.
Stavros Zoumboulakis (direttore della rivista Nea Hestia e presidente della Fondazione «Artos Zois»). Erano presenti anche numerosi membri dell’équipe scientifica dell’Accademia, tra i quali la teologa Eleni Kasselouri-Hatzivassiliadis, oltre a un membro della segreteria. Il patriarca era accompagnato da membri del
santo Sinodo di Costantinopoli, tra i quali
il metropolita di Pergamo, I. Zizioulas.
Una visita solenne, dunque, alla quale l’Accademia ha voluto dare una pronta e ampia eco.2
Una visita non di routine
In effetti, non si è trattato di una visita
di routine o di cortesia e neppure solo di un
devoto pellegrinaggio alla Grande Chiesa
di Costantinopoli, sorgente storica dell’ortodossia: l’Accademia, oggetto di violenti attacchi da parte di alcuni metropoliti greci e
continuamente sotto il tiro del fanatismo or-
16:08
Pagina 445
Tra G re c i a e Co s t a n t i n o p o l i
l patriarca difende Volos
La visita della delegazione
dell’Accademia teologica a Bartolomeo
todosso greco (stampa, siti web ma anche
contestazioni pubbliche del metropolita
Ignazio), è andata a Costantinopoli per mostrare con chiarezza la propria autenticità
ortodossa e per ricevere un riconoscimento
ufficiale della propria attività al servizio dell’ortodossia e della sua missione nel mondo.
Lo hanno detto chiaramente tanto il
metropolita Ignazio quanto P. Kalaitzidis.
Il metropolita nel suo saluto iniziale
ha tra l’altro affermato: «La presenza di
una delegazione dell’Accademia per gli
studi teologici di Volos qui oggi, in questo
santo e crocifisso centro dell’ortodossia, è
un grande onore e ha un particolare significato, prima di tutto perché non solo la
Chiesa di Grecia ma anche l’intera Chiesa
ortodossa raccoglie i frutti dell’attività
scientifica dell’Accademia, come sua santità ha messo in rilievo nel suo messaggio
inviato all’inizio della recente Conferenza
internazionale dell’Accademia sui cristiani
in Medio Oriente;3 in secondo luogo, perché la nostra Accademia serve il dialogo e
la riconciliazione in Cristo, dialogo nel
quale il nostro Patriarcato Ecumenico
opera come pioniere sotto la guida ispiratrice e carismatica di sua santità».
Il nodo è la modernità
Ancor più chiaro ed esplicito è stato P.
Kalaitzidis nel suo ampio e documentato
indirizzo. Egli ha rivendicato il ruolo svolto
dall’Accademia per l’intera ortodossia in
una sintesi che vale la pena di ricordare in
parte: «Ha rimesso al centro della discussione teologica l’identità escatologica della
Chiesa; ha cercato, forse per la prima volta
nel mondo ortodosso, un dialogo sistematico con la modernità, considerandola non
sulla base di criteri protologici ma nella
luce di una teologia escatologicamente
orientata; la stessa prospettiva teologica ha
inoltre ispirato il tentativo di discutere i
punti del rinnovamento e della riforma dell’ortodossia; si è impegnata intorno alle
questioni di genere e della teologia politica, richiamando la natura profondamente
cristologica, non secolare o puramente sociale, di questo impegno; ha anche messo in
luce le trappole di un approccio astorico alla
Tradizione e ai padri e ha posto la questione della loro lettura contestuale; ha cercato di formulare una critica sistematica
sia del nazionalismo ecclesiastico che del
fondamentalismo religioso, illuminandone
teologicamente le vie senza uscita; ha intrapreso un confronto critico con la generazione teologica degli anni Sessanta, che è
stata così importante in ambiente greco;
ha mostrato la via sbarrata dell’antioccidentalismo e si è avventurata in un approccio nuovo e sobrio al rapporto tra ortodossia e illuminismo; ha iniziato un
dialogo con l’islam, così come con le altre
tradizioni cristiane, diventando in tal modo
un obiettivo frequente dei gruppi zeloti e
fondamentalisti estremisti di Grecia, che
rifiutano il dialogo con il mondo contemporaneo e che vedono solo un’ortodossia introversa, assediata e continuamente sulla
difensiva, una visione che non trova nessuna base nei testi dell’ortodossia, nella Tradizione o nella pratica delle Chiese ortodosse in tutto il mondo. Riflettendo l’apertura che è sua propria, santità, l’Accademia
di Volos ha cercato ed è riuscita a cooperare
con decine d’istituzioni dentro e fuori di
Grecia, e invero dall’anno accademico
2009-2010 ha organizzato anche conferenze ed eventi fuori dell’ambito greco
(Francia, Romania, Bulgaria ecc.), atte-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
445
445-446 art_ortodossi:Layout 2
25-07-2011
stando così la vitalità e il rinnovato dinamismo della teologia di lingua greca». La
conclusione dell’indirizzo poi è particolarmente significativa: «Ci rallegriamo e ci
sentiamo particolarmente onorati e benedetti, santità, poiché l’accoglienza odierna
dell’Accademia presso il Patriarcato Ecumenico, al Fanar, dimostra che ella apprezza la sua opera e il suo contributo, e che
avverte il bisogno di una teologia radicata
nella tradizione e insieme capace di ringiovanirsi e di aprirsi alle sfide dei tempi».
Il sostegno di Bar tolomeo
Le parole del patriarca non solo non
hanno smentito questa interpretazione
della visita; l’hanno confermata ampiamente e in modo molto chiaro, quasi a voler fugare ogni dubbio. Nella sua risposta infatti il patriarca ha detto tra l’altro: «Ho
seguito con grande interesse, attenzione ed
emozione gli indirizzi di saluto del metropolita di Demetriade e del sig. Kalaitzidis e
sono grato per il loro contenuto, per i messaggi e la speranza che offrono per il futuro.
Sono grato anche per la visita di tutti coloro
che formano il consiglio direttivo, i membri,
i ricercatori dell’Accademia per gli studi
teologici di Volos che, come avete del tutto
correttamente affermato, il nostro Patriarcato Ecumenico e io personalmente circondiamo di amore, fiducia e buone speranze. Voi incarnate e rappresentate un’istituzione originata dall’amore che il nostro
fratello, il metropolita di Demetriade, ha
per la Chiesa e la sua teologia e che congiunge ottimamente la vita della Chiesa
con la sua teologia. La prova del successo e
della fruttuosità di ciò sta nelle attività dell’Accademia fino a oggi, come i vari convegni, le pubblicazioni, l’autentico pensiero
teologico ortodosso, le prospettive che avete
aperto: tutto ciò costituisce motivo di conforto e di consolazione per la nostra Chiesa
e teologia. Noi sappiamo che siete attaccati
da alcune parti e da alcuni organi per quel
che fate – per la vostra apertura – e che tuttavia voi continuate senza abbattervi, con
umiltà. E questo ancor più vi valorizza. Il
Patriarcato Ecumenico ha collaborato e
collabora con l’Accademia di Volos per
tutti questi anni, sia attraverso la partecipazione di rappresentanti – il più significativo, il metropolita di Pergamo – alle attività
dell’Accademia o inviando messaggi patriarcali o attraverso una buona parola che
il patriarca ecumenico ha sempre da dire
sull’Accademia di Volos e la sua opera
quando si dà l’opportunità.
446
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
16:08
Pagina 446
L’opera dell’Accademia non è solo teologica ma anche ecclesiastica, poiché contribuisce al riavvicinamento e alla cooperazione delle Chiese ortodosse locali
attraverso i loro membri che partecipano ai
lavori dell’Accademia e così possono conoscersi meglio reciprocamente, respirare la
stessa aria, lavorare insieme, pensare insieme, e questo lavoro dell’Accademia, dal
nostro punto di vista, è un contributo all’avanzamento dell’unità e alla cooperazione panortodosse. Per tutte queste ragioni, riaffermo l’espressione del compiacimento e della fiducia patriarcali con cui
circondiamo le vostre persone, l’Accademia di Volos come istituzione, ed esprimiamo a nome della Chiesa madre la nostra disponibilità e il nostro desiderio che
continui la nostra collaborazione per il bene
della teologia e della Chiesa».
Il Patriarca poi ha formalmente ringraziato l’Accademia per aver organizzato
la Conferenza sui cristiani nel Medio
Oriente, auspicando una futura collaborazione tra la Scuola teologica di Chalki (della
quale spera prossima l’apertura) e l’Accademia. Ha poi colto l’occasione per rivendicare con grande lucidità il ruolo della
sede ecumenica nel contesto delle Chiese
ortodosse e per rendere omaggio al metropolita di Pergamo, I. Zizioulas, ringraziando l’Accademia di aver pensato a organizzare per l’ottobre prossimo un
convegno internazionale sulla sua teologia.
La chiamata storica
dell’or todossia
L’ultimo a parlare in questa occasione
è stato proprio il metropolita di Pergamo
con alcune considerazioni di grande rilievo:
egli infatti ha collocato tutto nell’orizzonte
della chiamata storica dell’ortodossia, una
chiamata che esige anche una sua rinnovata
capacità teologica. «Voglio ricordare le parole di S. Runciman, che ha detto che il
XXI secolo sarà il secolo dell’ortodossia.
Temo tuttavia che ciò non avverrà se l’ortodossia non si apre e non si impegna nel
dialogo con il mondo. E sfortunatamente ci
sono nell’ortodossia tendenze all’introversione che impediscono questo dialogo. Perciò è molto importante che la Chiesa e la
teologia abbiano cominciato un dialogo serio con il mondo contemporaneo in una
metropoli della Chiesa di Grecia – una
delle più eminenti e delle più capaci di sostenere tali iniziative – grazie a un vescovo
con la mente aperta e con il cuore aperto,
che pensa all’ortodossia come Chiesa cat-
tolica e non come una confessione, come
l’hanno ridotta alcuni circoli. Considero
questo, santità, un evento storico. E sicuramente la storia ecclesiastica lo registrerà
come tale. L’opera dell’Accademia di Volos
può essere combattuta, proprio come molte
delle opere che portano frutto sono combattute, ma sopravviverà. Forse sarà la sola
che sopravviverà. Ed è perciò che è così importante – direi addirittura che non potrebbe essere diversamente – che tutto questo sforzo si volga con amore verso il
Patriarcato Ecumenico, che è l’espressione
dell’universalità, l’espressione della cattolicità. Il Patriarcato Ecumenico vive con il
dialogo perché questa è la sua natura e
conseguentemente il Patriarcato Ecuemenico e l’Accademia di Volos condividono il
terreno comune dell’universalità, della cattolicità e di un’ortodossia in dialogo. Ed io
credo che Dio benedirà e rafforzerà questi
sforzi perchè possano portare frutto».
Se l’Accademia di Volos cercava un’investitura ufficiale del proprio (prezioso) lavoro l’ha certamente ricevuta: il Patriarcato accetta di tutelarla spiritualmente e
teologicamente. Sicuramente è una grande
consolazione per il metropolita Ignazio, che
molto ha sofferto per il suo impegno nell’Accademia, così come per tutti i valentissimi suoi collaboratori a cominciare da P.
Kalaitzidis. È anche un segno positivo per
tutti coloro che sperano in un’ortodossia
più capace d’attingere alle proprie radici di
ecumenicità e apertura. Tuttavia, questa
visita al Fanar e la conseguente investitura
patriarcale dell’Accademia difficilmente attenuerà i toni della polemica, probabilmente li alzerà e forse li radicalizzerà, investendo direttamente lo stesso Patriarcato.
Da tal punto di vista, il convegno di ottobre
sulla teologia di Zizioulas potrebbe diventare un’occasione di scontro pubblico, che
non farebbe bene alla Chiesa greca. Si può
solo sperare che la saggezza e la misura,
parte non disprezzabile del patrimonio culturale greco, prevalgano.
Basilio Petrà
1
Per ulteriori informazioni sull’Accademia si
veda quanto da me scritto in «Teologia ortodossa Nuove vie. Oltre la neopatristica» in Regno-att.
16,2010,508-511.
2
Utilizziamo prevalentemente il testo greco,
mettendo subito a disposizione sul sito web www.acadimia.gr i testi di tutti i discorsi ufficiali pronunciati
nell’occasione, tanto in greco quanto in inglese, inviandoli al contempo a tutti gli intestatari della mailing list.
3
La conferenza si è tenuta a Volos dal 19 al 23
giugno2011 per iniziativa del Consiglio ecumenico
delle Chiese e dell’Accademia di Volos.
447 info kirch-ginevra:Layout 2
25-07-2011
16:09
Pagina 447
Chiese cristiane
Missione
Un codice
di condotta
T
estimonianza cristiana in un mondo
multi-religioso. Raccomandazioni di
condotta: sono le linee guida per il
comportamento che le Chiese cristiane devono tenere nel professare e testimoniare
la loro fede in un contesto dove convivono
altre religioni, coerentemente con i principi
del Vangelo, il pieno rispetto e l’amore per
tutti gli esseri umani, e sono state presentate il 28 giugno a Ginevra dai rappresentanti del Pontificio consiglio per il dialogo
interreligioso, card. Jean-Louis Tauran, del
Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC),
Olav Fykse Tveit, e dell’Alleanza evangelicale
mondiale (AEM) Geoff Tunnicliffe.
Consapevoli delle tensioni che spesso
insorgono tra individui e tra comunità a
causa delle diverse convinzioni religiose, da
un lato, e dall’altro consci delle differenti
concezioni che contraddistinguono le tradizioni cristiane riguardo alla testimonianza
e alla missione, i tre soggetti – su iniziativa
del CEC e del dicastero vaticano, e gli evangelicali su invito del CEC – hanno lavorato
per 5 anni per raggiungere un accordo su alcune questioni pratiche connesse alla missione in un mondo multi-religioso.
Germania
Kirchentag
Il fatto è molto significativo se si considerano i promotori: si tratta infatti della
maggiore «unione fraterna» di Chiese cristiane protestanti e ortodosse (il CEC), di
un dicastero della Chiesa di Roma (il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso) e dell’associazione che rappresenta
il ramo cristiano maggiormente diffuso nel
Sud del mondo e in forte crescita, quello
evangelicale (l’AEM). Complessivamente è
dunque rappresentato il 90% dei cristiani
nel mondo. È noto che in alcuni paesi il
proselitismo aggressivo di taluni gruppi
evangelicali è preso a pretesto per emanare leggi restrittive della libertà religiosa,
o talvolta per vere e proprie ritorsioni e
atti di violenza nei confronti dei cristiani.
Il testo, sintetico, delinea 12 principi e 6
raccomandazioni. Tra i primi, il rifiuto di ogni
forma di violenza, anche psicologica o sociale, e di ogni abuso di potere nella testimonianza; la libertà di professare pubblicamente,
praticare, predicare o cambiare la propria religione; il rispetto per le altre religioni e per la
libertà di coscienza; l’impegno a coltivare relazioni di rispetto e fiducia con le persone di
altre religioni. Le raccomandazioni puntano a
garantire a livello locale un percorso – possibilmente ecumenico – di recezione dei principi concordati, a permettere ai cristiani di
fare azione comune sui governi per il rispetto
della libertà religiosa, e inoltre a favorire
un’opera di pressione congiunta, insieme alle
altre comunità religiose, per la giustizia e una
comune solidarietà con quanti si trovano in
situazioni di conflitto.
D. S.
Card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso; Olav Fykse
Tveit, segretario generale del CEC; Geoff Tunnicliffe, segretario generale dell'Alleanza evangelicale
mondiale (foto WCC/Peter Williams).
Il cuore
cristiano
L
a 33a edizione del Kirchentag evangelico, il meeting organizzato ogni due
anni dalle Chiese protestanti tedesche con numerosi eventi d’interesse religioso e culturale, si svolge dal 1° al 5 giugno
a Dresda, per la prima volta dopo la riunificazione in una città dell’ex Repubblica
democratica tedesca e con una partecipazione particolarmente alta: 120.000 persone. Il tema, «… là sarà anche il tuo cuore»,
viene coniugato in chiave politica da Angela Merkel con una relazione su «Verso un
nuovo ordine mondiale?» e dal presidente
del Parlamento europeo Jerzy Buzek; in
chiave ecumenica dai presidenti dei vescovi delle tre principali confessioni cristiane Nikolaus Schneider (evangelico), Robert Zollitsch (cattolico) e Augoustinos
(ortodosso), e dal segretario generale del
Consiglio ecumenico delle Chiese Olav
Tveit.
All’interno della declinazione su tre
ambiti (fede, società, mondo) trova spazio
la riflessione sui rapporti interreligiosi con
l’islam, sui problemi dell’immigrazione,
sulla crisi economica, la «primavera araba»,
i cristiani in Medio Oriente, l’ambiente. La
presidente del Kirchentag Katrin GöringEckardt, che è anche deputata dei Verdi,
vicepresidente del Parlamento e presidente del Sinodo della Chiesa evangelica
tedesca, ha descritto questa edizione
come «un Kirchentag in cui si è scoperta
una nuova cultura di partecipazione democratica», e nel suo discorso finale fa appello ai cristiani a non contrapporre la dimensione politica e quella spirituale del
cristianesimo, a non lasciarsi convincere
di dover scegliere se diventare «più politici
o più devoti»: «Siamo entrambi, e dobbiamo rimanerlo». Come messaggio del
Kirchentag, la Göring-Eckardt individua un
invito alla com-passione «per il creato, perché non sopporta tutto», per gli stranieri e
i richiedenti asilo, i credenti di altre religioni, ma anche per noi stessi: «date spazio
a Dio nel vostro cuore».
Un culto ecumenico sulle rive dell’Elba
ha concluso l’evento. La prossima edizione
si terrà dal 1° al 5 maggio 2013 ad Amburgo.
D. S.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
447
448 info francia_culto:Layout 2
25-07-2011
16:10
Pagina 448
Francia - Islam
Consiglio
del culto: è crisi
J
ean-Pierre Chevènement l’aveva sognato; Nicolas Sarkozy si è vantato
d’averlo realizzato. Ma oggi la macchina si è inceppata» (www.leparisien.fr
5.6.2011). La macchina di cui si parla è il
Consiglio francese del culto musulmano
(CFCM), organismo voluto da Chevènement all’epoca in cui era ministro dell’Interno del governo Jospin. A mettere in
pratica la sua idea di creare un’organizzazione rappresentativa di tutti i fedeli musulmani in Francia, che fosse interlocutore
unico dello stato per le questioni riguardanti l’islam, è stato però il suo successore,
Sarkozy, nel 2003. Il CFCM, che riunisce 25
Consigli regionali del culto musulmano
(CRCM) sparsi sul territorio francese, risponde – secondo il sito ufficiale – al «bisogno prioritario di dialogo tra i fedeli musulmani e il potere pubblico (…) per
difendere la dignità e gli interessi della
fede musulmana in Francia. Esso ha anche
lo scopo di facilitare il dialogo interno tra
le diverse scuole di pensiero musulmano»
(www.lecfcm.fr).
Una crisi senza precedenti
Dopo otto anni di vita, il CFCM – e
con esso l’idea di «promuovere» un «islam
di Francia» accordato sui valori della République – attraversa un momento critico. La crisi si è palesata nel giugno
scorso in occasione delle elezioni per il
rinnovo del Consiglio d’amministrazione
(5.6.2011) e del presidente (19.6.2011), che
hanno confermato Mohamed Moussaoui
– presidente uscente e candidato dell’Assemblea dei musulmani di Francia
(RFM) – alla guida del CFCM per un altro
triennio.
Moussaoui era però l’unico candidato
alla sua successione, dopo che alcune
delle federazioni musulmane tra le più
importanti – come la Federazione nazionale della Grande moschea di Parigi
(GMP), e l’Unione delle organizzazioni
islamiche francesi (UOIF) – hanno scelto
di boicottare le elezioni, determinando
una spaccatura interna al CFCM e una seria «crisi di credibilità» della stessa istitu-
448
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
zione (oggi dominata di fatto da una sola
delle grandi federazioni, la RFM).
I motivi dichiarati del boicottaggio
sono stati due. Il primo, è il criterio di
scelta del numero dei rappresentanti per
federazione, ancora legato alla superficie
fisica dei luoghi di culto. Un fattore, questo, che non tiene conto «della frequenza
dei fedeli e del radicamento territoriale di
ciascun luogo di culto, legato alle sue attività caritative e di formazione» (La Croix
31.5.2011). Sono state le grandi moschee a
non sentirsi adeguatamente rappresentate
sulla base dell’attuale sistema elettorale (definito «iniquo, ingiusto e non rappresentativo»; www.leparisien.fr 5.6.2011), e ad aver
domandato, invano, una sua riforma dopo
le elezioni del 2008.
Il secondo motivo riguarda il «magro
bilancio» dell’attività svolta finora dal
CFCM. La formazione degli imam, il finanziamento per la costruzione delle moschee, la carta nazionale per la certificazione halal, sono alcuni tra gli obiettivi
ritenuti fondamentali, ma ancora piuttosto lontani da una definizione accettabile e condivisa in seno al Consiglio.
Vi è però una terza ragione, «meno
esplicitata», dietro il boicottaggio, che
spiega in parte anche le difficoltà di consenso interne al CFCM: le pressioni dei
paesi di provenienza. La Croix scriveva,
prima del loro svolgimento, che le elezioni non sarebbero state libere per via di
«un clima di forte pressione esercitato dai
governi di Rabat e Algeri» (30.5.2011). Marocco e Algeria, infatti, sono interessate a
influenzare, attraverso le federazioni islamiche a loro vicine (rispettivamente la
GMP all’Algeria e la RMF al Marocco), lo
sviluppo dell’«islam di Francia». «Questi
paesi – riportava ancora La Croix – sanno
che la definizione di un islam di Francia
avrà delle ripercussioni anche da loro; è
dunque nel loro interesse vigilare sulla
forma che esso prenderà».
La formazione diser tata
Un altro colpo all’«islam di Francia» è
venuto, nei giorni delle elezioni, da un articolo apparso su Le Monde. Il diploma
universitario di «Formazione alla laicità e ai
valori della Repubblica», iniziativa rivolta
alle associazioni islamiche (agli imam e ai
responsabili delle cappellanie in particolare), presentata finora come simbolo dell’integrazione dell’islam in Francia, mostra
chiari segni di difficoltà.
Una ventina di iscritti l’anno scorso, di
cui solo sei giunti alla fine del percorso.
Una manciata di iscrizioni per il prossimo
anno. Difficoltà per il livello dei corsi e per
la conoscenza della lingua francese.
«La formazione è in crisi», ammette
Olivier Bobineau, sociologo delle religioni
e docente nei corsi che sono organizzati
dal Ministero dell’interno. «Gli studenti
non vengono più, perché hanno capito
che questa formazione non ha alcuno
sbocco. Quello che essi vogliono è un lavoro!» (Le Monde 19-20.6.2011). I corsi sono
gratuiti, ma si tengono la sera e nei fine
settimana; essi richiedono «un forte investimento personale di cui non si vedono i
frutti», a giudizio degli studenti.
«Per rilanciare la formazione – continua Bobineau – sarebbe necessario assegnare dei posti alla fine. Gli sbocchi, infatti,
esistono nelle cappellanie ospedaliere, militari e carcerarie o sul terreno della mediazione interculturale». In effetti, il rafforzamento delle cappellanie musulmane
in ospedale e nelle carceri è «ufficialmente
all’ordine del giorno del governo», ma esso
si scontra coi problemi economici dello
stato, cui spetta finanziare le cappellanie,
e con «la difficoltà di ridistribuire i posti
esistenti secondo i culti in funzione della
realtà dei nuovi bisogni» (Le Monde 1920.6.2011).
I motivi politici
Esistono però altri motivi, di natura
più politica, che spiegano il disinteresse
verso la formazione. Il primo, è il recente
dibattito sull’islam e la laicità (cf. Regnoatt. 8,2011,239), «che ha fatto del male alla
gente e scoraggiato gli studenti», secondo
i partecipanti al corso. Lo stesso Bobineau
ritiene che l’iniziativa sia stata una sorta di
boomerang: «Additare pubblicamente i
musulmani chiedendo loro di formarsi ai
valori repubblicani non ha certo aggiustato le cose». I corsi, inoltre, hanno il
doppio handicap – agli occhi delle federazioni musulmane – di essere organizzati
dal Ministero dell’interno e di svolgersi all’Institut catholique, tanto da far cadere
sui partecipanti il sospetto «di essere “manipolati” o recuperati come i “buoni musulmani” della Repubblica» (Le Monde 1920.6.2011).
La crisi interna al CFCM, lo scacco che
ancora insiste sulla questione del finanziamento dei luoghi di culto e le difficoltà
emerse nel cantiere della formazione alla
laicità, non offrono certo un quadro incoraggiante al governo. Ma questa crisi evidenzia anche le difficoltà interne al
mondo islamico di Francia, nel quale le federazioni sembrano mostrare una cronica
incapacità di mettere in campo azioni d’interesse generale, privilegiando gli interessi
di parte.
M. B.
449-451 art dibattito:Layout 2
DIALOGO
25-07-2011
INTERRELIGIOSO
È
t
sentire comune che la
pluralità delle religioni si
presenti, per la Chiesa,
come un problema tanto
ineludibile quanto arduo
da declinare. Al riguardo il card. Etchegaray, dopo aver richiamato alla memoria il fatto che il cantiere teologico
delle religioni è appena aperto, considera questo problema una sfida, probabilmente, più grande di quella che
proviene dall’ateismo (cf. Regno-att.
10,2011,347). I diversi modi di concepire i legami umani con Dio (o, più genericamente, con la sfera del divino o
del sacro) rappresenterebbero, perciò,
un nodo più difficile da sciogliere di
quello del puro rifiuto.
L’ateismo è un caso più facile
In termini più astratti, è dato di affermare che il pluralismo inquieta
maggiormente della negazione. Quest’ultima si presenta, infatti, come relativa. Il confronto, dunque, vi è inscritto in modo costitutivo. L’ateo, per
negare, deve rapportarsi sia, in senso
lato, con l’ipotesi dell’esistenza di un
Principio primo, sia, in senso più specifico, con l’idea del Dio uno e trino
della tradizione cristiana. Da qui il
pungolo avvertito dai credenti nel
chiedersi se l’ateismo, almeno in
parte, non derivi dal loro aver trasmesso immagini inadeguate di Dio.
L’ateismo, per più versi, si presenta
perciò come una negazione di visioni
teologiche inadeguate le quali, dunque, hanno bisogno, a propria volta,
di venir purificate dalle proprie distorsioni.
16:10
Pagina 449
Dibattito
eologia cristiana delle religioni
Come pensare alla pluralità partendo dall’unità
Ovviamente diverso è il caso di religioni che sussistono in modo prevalentemente autonomo rispetto al cristianesimo. In questo caso la loro nascita non
si presenta come una negazione relativa. Nessuna di esse si definisce attraverso un alfa privativo. In questo secondo caso, però, il pluralismo diviene
un problema di ardua soluzione solo là
dove è posto in correlazione con un polo
che si prospetta come unico. In altri termini, la questione insorge in maniera
prepotente quando de facto ci sono i
molti, mentre in linea di principio si dovrebbe dare una reductio ad unum.
Da sempre il riferimento alle lingue
è stato colto come un buon terreno
esemplificativo del problema multireligioso. Un conto è, infatti, affermare il
mito di una primigenia e unitaria lingua
perduta che tutti accomunava, tutt’altro
è, invece, sostenere l’esistenza di un sottofondo comune che non si identifica
con nessuna lingua parlata, pur essendo
base indispensabile perché si dia una
traducibilità reciproca. Per quanto esistano le lingue madri, una persona può
apprenderne altre. Ciò facendo è in
grado di porsi come mediatore culturale tra diversi universi linguistici. Molti
– e in prima fila tra essi Jan Assmann
(cf. Regno-att. 12,2011,410) – hanno sostenuto che le religioni cosmoteistiche
sono paragonabili a lingue reciprocamente traducibili.
Al riguardo si potrebbe pensare a
quanto affermato da Simmaco in polemica con Ambrogio: Dio (nel paragone,
la struttura linguistica che ci accomuna
e che nessuno parla) è un mistero
troppo grande per essere raggiunto per
una sola via1 (è necessario che esistano
molte lingue parlate). Di contro, per
Assmann, il monoteismo costituirebbe
un ostacolo insormontabile alla traducibilità. Per le religioni monoteistiche il
pluralismo costituirebbe, quindi, una
sfida superabile solo in virtù di una violenta reductio ad unum.
Quanto di vero e di santo vi è
Si può sostenere che, anche quando
i monoteisti sono disposti ad accettare la
pluralità religiosa, ciò avvenga solo per
tentare di giustificare un dato di fatto
che si cerca di tenere sotto controllo attraverso una traducibilità parziale e gerarchizzata.
Per continuare a proporre l’immagine delle lingue, è come se ogni religione monoteistica provasse un cocente
rammarico nel prendere atto che non
tutti parlano l’unitaria lingua delle origini. Ciò le induce a presentarsi come le
sole fedeli custodi di quell’unità perduta. Nella forma più esclusivista (o, in
subordine, inclusivista) l’analogia sostiene che è come se i fedeli proseguissero effettivamente a parlare la lingua
primigenia mentre, nelle forme meno
rigide, ci si sforza di porre in luce le
non poche affinità esistenti tra la lingua
parlata dai credenti nel Dio unico e le
altre.
Una posizione consona a quest’ultimo paragone la si trova nel n. 2 della dichiarazione Nostra aetate del Vaticano
II, là dove si afferma, in primo luogo, che
la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto
di vero e di santo vi è nelle altre religioni
(dunque in esse vi è qualcosa che può essere qualificato in termini alti e positivi),
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
449
449-451 art dibattito:Layout 2
25-07-2011
16:10
Pagina 450
Custodia di Torah in legno scolpito laccato e dorato
del XVII secolo (Venezia, Museo di arte ebraica).
mentre, in secondo luogo, si
dichiara di guardare con rispetto anche alle dottrine e ai
precetti che, per quanto differiscano dai propri, non raramente riflettono un raggio di
quella Verità che illumina tutti
gli uomini. Infine la Nostra aetate proclama che la Chiesa è
«però» tenuta ad annunciare
in modo incessante Cristo che
è «“la via, la verità e la vita”
(Gv 14,6), in cui gli uomini
trovano la pienezza della vita
religiosa e nel quale Dio ha
riconciliato a sé tutte le cose
(cf. 2Cor 5,18-19)» (EV
1/857).
Il non felice aggettivo
«religioso» usato dal Concilio introduce, di fatto, un
confronto gerarchico tra le
forme di fede e di vita presenti nella Chiesa e quelle
proprie di altre comunità
religiose. Qui, implicitamente, il cristianesimo è
presentato come una religione tra religioni. D’altra parte, se si prendono le
mosse dall’unità, è un problema di
grande difficoltà intellettuale pensare a
pluralità traducibili anche se reciprocamente irriducibili.
Per quanto non risolutivo, è opportuno, quindi, esaminare come, a partire
da una forte ed esplicita rivendicazione
di unità, in certi strati della Bibbia
ebraica si siano legittimate alcune
forme di alterità e di pluralità religiose.
Si tratta, è ovvio, di un approccio né
simmetrico, né dialogico. Esso è infatti
imperniato sulla convinzione che,
espressa in modo semplice, può ricondurci a questi parametri: il Dio unico è
Dio anche degli «altri».
Il Dio unico e di tut ti
Il Deuteronomio è il libro della Torah (Pentateuco) più radicale nel prospettare, oltre all’unicità del Signore
(cf. Dt 6,4), anche quella del popolo
d’Israele, della sua terra e del suo luogo
di culto (cf. la riforma di re Giosia in
2Re 23). Nessun altro testo esalta tanto
l’unicità. Questo radicale primato
dell’«uno» – vale a dire una concezione assoluta di Dio che non può essere messa in discussione – è corredato da una serie di ricadute, almeno
450
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
simbolicamente, violente. Come nel tempio non ci deve essere
spazio per altre divinità, così sulla terra di
Canaan non possono
sussistere i popoli che
incarnano l’idolatria
(cf. i sette popoli votati
allo sterminio in Dt
7,1-6).
Questo accento posto
sull’uno trae con sé alcune conseguenze non
prive di risvolti paradossali, sia pure tra
loro di segno antitetico. Il primo è
il rischio di introdurre una dinamica di frattura interna al popolo
stesso. L’estremizzazione dell’unità
porta con sé l’insorgere di una divisione interna al
popolo tra i fedeli e gli «empi». Questa
diversità è contrastata al punto da riservare alle città ebraiche prede dell’idolatria lo stesso trattamento a cui
sono soggetti i sette popoli (cf. Dt 13,719). Secoli dopo, l’esasperazione dell’unità dottrinale avrebbe, del resto,
avuto come sua ombra cupa la sedicente necessità di lottare contro le eresie. In ogni caso si è dominati dalla volontà di estirpare il male (identificato
con il malvagio) che si trova in mezzo
a sé (cf. Dt 13,6; 1Cor 5,13).
Accanto a questo lato drammatico,
non bisogna dimenticare che nel Deuteronomio vi è anche un aspetto di altro segno legato all’unità. Esso è volto
a instaurare una dualità (se non proprio una pluralità). Il fatto che il Dio
d’Israele sia unico induce strutturalmente a pensarlo anche come Dio di
tutti gli altri popoli. Questi ultimi possono non saper nulla dell’unico Dio
d’Israele, tuttavia non vale il contrario.
Il discorso, però, non si limita a riferirsi
a un Dio che, proprio perché unico,
deve preoccuparsi di tutte le sue creature. Altrettanto basilare è affermare
che l’unicità del popolo ebraico è relativa e non già assoluta. Essa, cioè, avviene per differenza. Quello ebraico
non è il solo popolo, ma è il popolo
unico in quanto diverso dagli altri.
Non ci si può quindi sottrarre all’obbligo del confronto inscritto in ogni
pluralità.
In quest’ultimo contesto la proibizione dell’idolatria diviene uno specifico dell’unicità relativa a Israele. Anzi,
questo divieto sembra orientato a stabilire per gli ebrei una particolare
forma di «alienazione» dal cosmo che
tutti ci accomuna. Il Signore all’Oreb
(il modo in cui nel Deuteronomio si
chiama il Sinai) si rivelò con la voce
senza che ci fosse alcuna figura. Egli
annunciò la sua alleanza e comandò di
osservare i suoi comandamenti. La
proibizione dell’idolatria deriva appunto dalla condanna di ogni tentativo
di raffigurare il Dio che si è rivelato soltanto con la voce (cf. Dt 4,12). Ciò è
proprio solo d’Israele; il Signore, infatti, ha concesso che altri popoli colgano nella visibilità del cosmo un’immagine adeguata del divino: «Quando
alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la
luna, le stelle e tutto l’esercito del cielo,
tu non lasciarti indurre a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che
il Signore, tuo Dio, ha dato in sorte a
tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli»
(Dt 4,19). Il Signore, invece, attraverso
l’esodo dall’Egitto – si aggiunge subito
dopo – ha costituito Israele come suo
popolo particolare (segullah).
La proibizione dell’idolatria è propria di chi è già nell’alleanza, vale a
dire di colui che è soggetto alla tentazione di trasformare il proprio Dio in
idolo (non già di rendere dèi i propri
idoli). Per gli altri popoli le cose stanno
diversamente; è il Signore stesso che ha
prospettato per loro altre vie. In questo
passo del Deuteronomio non è detto
che gli idoli delle genti sono «argento
e oro, opera delle mani dell’uomo» (cf.
Sal 135,15), si afferma piuttosto che il
cosmo parla di Dio là dove il Signore
invisibile non ha fatto udire la propria
voce (un pensiero che, in modo più
complesso e drammatico, è in qualche
modo presente anche nella Lettera ai
Romani 1,20).
Qualche risonanza di questa impostazione, sia pure in tono più polemico, si sarebbe conservata anche all’interno della successiva letteratura
rabbinica. In un passo del trattato talmudico dedicato al «culto estraneo»
(b. Avodah Zarah 54b), per esempio, si
449-451 art dibattito:Layout 2
25-07-2011
prendono le mosse da una supposta
obiezione di alcuni filosofi relativa al
perché il Dio d’Israele non distrugga
l’idolatria e si risponde che non lo fa
perché compiere un simile atto comporterebbe distruggere il mondo
creato; starà, poi, agli idolatri rendere
conto dell’uso improprio da loro compiuto degli elementi naturali.
Pluralità per differenza
L’aspetto più significativo di questo
argomentare sta nel fatto che la pluralità si crea, per differenza, all’interno di un orizzonte che presenta se stesso come unico e
definitivo. In quest’ambito è
esclusa ogni bilateralità paritetica; tuttavia è ugualmente dato
di compiere operazioni che legittimano, parzialmente, la differenza degli «altri». Ciò avviene
nel momento in cui all’unicità
assoluta e definitiva di Dio corrisponde quella relativa al popolo
a cui è comandato di proclamare
(perché prima ha ascoltato; cf.
Dt 6,4) che il Signore è uno. In
conclusione, il Dio d’Israele è il
Dio di tutti senza che tutti siano
chiamati a diventare Israele.
Le considerazioni fin qui
svolte possono fornire un contributo non irrilevante alla visione
cristiana del pluralismo religioso.
Se vuole essere fedele a se stessa,
la fede cristiana è obbligata a
pensare in modo definitivo la
persona e l’opera di Gesù Cristo.
La via da percorrere non è tanto
attenuare o relativizzare questa
convinzione, quanto comprendere che
quell’unicità sia a un tempo assoluta in
Gesù Cristo e relativa poiché connessa,
in modo costitutivo, all’esistenza del
popolo d’Israele e alle promesse e rivelazioni a lui date. Ciò non significa
affatto sostenere, come a volte si è
detto, che il rapporto tra Chiesa e
Israele, la cui elezione non è mai stata
revocata (cf. Rm 11,29), formi il paradigma delle relazioni tra la Chiesa e le
religioni mondiali. Anzi è vero proprio
il contrario.
L’affermazione secondo cui «partendo dall’irriducibilità d’Israele, cioè
dalla sua elezione gratuita da parte di
Dio, si può cercare di pensare l’irriducibilità delle grandi religioni mondiali»2
16:10
Pagina 451
è infatti giusta solo nella misura in cui il
rapporto tra Chiesa e Israele si pone in
modo del tutto diverso da quello che
sussiste tra essa e le altre religioni del
mondo (cf. Regno-att 4,2011,126).3
L’atto di dichiarare permanente
l’elezione d’Israele comporta la duratura validità della distinzione teologica
tra la «stirpe di Abramo» (cf. Nostra aetate, n. 4) e gli altri popoli. Vale a dire,
qui si è di fronte a una forma di pluralità – quella che sussiste tra Israele e
genti – non annullata dalla Chiesa, la
La seconda Parusia, Musée Condé, Chantilly.
quale, proprio in quanto testimone dell’unicità dell’opera di salvezza in Gesù
Cristo, è tenuta ad annunciare il mistero dell’unità escatologica, e non già
storica, che sussiste tra Israele e genti
(cf. Ef 2,14). Da ciò consegue che anche per la Chiesa il riconoscimento
dell’unità salvifica in Gesù Cristo non
implica, sic et simpliciter, che tutti siano
chiamati, storicamente, a entrare nel
suo seno.
Dio, tut to in tut ti
Forse la parola più alta pronunciata
da Paolo a proposito del compimento
escatologico è che Dio sarà tutto in tutti
(1Cor 15,28). Allora ci sarà il miracolo
della molteplicità che si sposa con
l’unità. Tutto in tutti, non tutti assorbiti
nel Tutto. In questo senso la relativa
unicità teologica di Israele è un presupposto integrante della salvezza escatologica che, attraverso Gesù Cristo, si
compie in Dio (1Cor 15,27). Questa
speranza comporta che nel tempo della
storia sussista una dinamica per alcuni
versi simile e per altri opposta a quella
propria della fede ebraica nel Dio unico.
Il Deuteronomio prospetta un popolo di Dio diviso al suo interno
proprio a motivo di quella fede.
Analogamente anche Gesù Cristo
si presenta come segno di contraddizione in Israele (cf Lc 1,34).
Fin qui l’analogia; l’antitesi tra i
due procedimenti si trova invece
nel fatto che, in virtù dell’elezione, «tutto Isarele sarà salvato»
(Rm 11,26). Qui è cessato ogni
appello allo «sterminio» o all’eliminazione del malvagio. Anche la
negazione è riassorbita nella salvezza. Ma per affermare ciò occorre dichiarare che l’azione universale di salvezza in Gesù Cristo
è tale non già nonostante l’elezione d’Israele; al contrario, lo è
proprio grazie a essa.
Da questa convinzione consegue, tra l’altro, l’opportunità di
prendere le distanze dalla cosiddetta «teologia delle due vie»
stando alla quale il popolo
ebraico si salva solo in virtù della
Torah, mentre i gentili si salvano
attraverso Gesù Cristo. È una
strada apparentemente facile da
declinare in termini di buon vicinato e
persino di dialogo; in realtà essa, attribuendo a Israele un’ingiustificabile unicità assoluta, sfocia in un atteggiamento
imperialistico nei confronti delle genti.
Piero Stefani
1
«Uno itinere non potest pervenire ad tam
grande secretum».
2
C. GEFFRÈ, «Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto di Dio. Fondamento
biblico e teologico», in M. CROCIATA (a cura di),
Teologia delle religioni la questione del metodo,
Città Nuova - Facoltà teologica di Sicilia, RomaPalermo 2006, 233.
3
Cf. J. RATZINGER, La Chiesa, Isarele e le religioni del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2000 (cf. Regno-att. 16,2000,547). Il testo è
stato riedito nel 2007 dalla stessa casa editrice
con il titolo Molte religioni un’unica alleanza.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
451
452-454_art spagna:Layout 2
CHIESA
27-07-2011
IN
9:50
Pagina 452
Ve r so la G M G
S PAG N A
u
n paese diviso
T
Tr a l a i c i s m o e n a z i o n a l - c a t t o l i c e s i m o
attende il papa
Madrid, giugno 2011.
ornare a parlare della
Chiesa in Spagna, alla
vigilia della visita di Benedetto XVI, che si terrà
in occasione della Giornata mondiale della gioventù (GMG),
dal 16 al 21 agosto, significa tornare a
fare un quadro generale della sua presenza pubblica, dei suoi rapporti istituzionali, e delle sue relazioni interne.
Per concludere che qualcosa è cambiato dall’inizio dell’era Zapatero tra
la Chiesa e il governo. Molto meno tra
la Chiesa e il paese. Quasi nulla all’interno della Chiesa stessa.
La tesi di fondo con cui sia la
Chiesa, sia il governo intendono presentarsi al papa a metà agosto è paradossalmente la stessa. La Chiesa in
Spagna è ancora relativamente forte e
vitale, dirà il confermato presidente
della Conferenza episcopale spagnola,
l’arcivescovo di Madrid Rouco Varela.
Mentre Zapatero sottolineerà che la
Spagna è ancora un paese accogliente
per i cattolici.
Quello che oggi la Chiesa ha di
fronte è un governo più debole politicamente, ideologicamente snervato, in
caduta libera sul piano dei consensi,
come hanno indicato le ultime elezioni amministrative, soprattutto a
motivo della grave crisi economica,
che fa della Spagna il paese europeo
col più alto tasso di disoccupazione (il
20%), in gran parte giovanile.
Ben altra cosa furono gli esordi,
nella precedente legislatura. Zapatero,
vincendo le elezioni nel marzo del
2004, era arrivato al governo con un
programma sociale radicale: dai ma-
452
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
trimoni omosessuali, alla legge sull’aborto, alla legge sulla scuola e sulla
libertà religiosa. Un attacco frontale
alla Chiesa che generò un inasprimento delle posizioni. Fino alle proteste di piazza da parte dei vescovi del
giugno del 2005. Tanto da far sì che
proprio il Vaticano, spaventato, intervenisse direttamente con una visita del
segretario di stato, card. Bertone. E si
rendesse necessaria, da entrambe le
parti, la comparsa di figure di mediazione. Poi le posizioni si raffreddarono.
Ora la crisi ha ridimensionato
tutto. Comprese le velleità ideologiche della izquierda e dei suoi governi.
D’altro lato, rilassare le relazioni con
la Chiesa significa per il PSOE evitare
di fornire armi al Partito popolare
(PP), dato per vincitore alle elezioni
del prossimo anno, alle quali Zapatero ha dichiarato di non volersi ripresentare. La Chiesa non sarà più il
problema per Zapatero.
La priorità è divenuta l’economia.
Questo fa sì, per esempio, che una
legge annunciata quasi all’inizio della
legislatura come la riforma sulla libertà religiosa, che la Chiesa vedeva
con preoccupazione, venga accantonata. E la stessa legge sul fine vita viri
piuttosto sul modello tedesco della
«buona morte», che su una implicita
ricerca di elementi eutanasici. Le questioni pendenti con la Chiesa cattolica vengono progressivamente congelate. Allo stesso tempo, la Chiesa
non ha voluto sfruttare la crisi economica e le difficoltà del governo. C’è
persino chi sostiene che alla gerarchia
ecclesiastica conviene avere come in-
terlocutore una sinistra in difficoltà,
senza alcun progetto culturale e alcuna politica verso la Chiesa e il cattolicesimo, piuttosto che un PP con al
proprio interno diverse opzioni cattoliche.
L’età dell’individualismo
Forte dell’indebolimento del governo e della sinistra, la Chiesa non è
tuttavia in se stessa più forte. Così
come le altre Chiese in Europa, anche
quella spagnola soffre le conseguenze
di una dura secolarizzazione. La società spagnola, pur considerandosi in
maggioranza cattolica, nel modo di vivere in realtà non lo è più o lo è in
forme eterogenee. Le indagini sociologiche concordano su una frequenza
domenicale ferma al 14%. Le sue radici sono ancora cattoliche, ma la società è permeata da un individualismo
lontano dall’interpretazione e dall’insegnamento dottrinale del magistero e
della morale cattolica.
La Chiesa spagnola che ha nelle
manifestazioni di carità la sua immagine migliore e più accettata nella società – lo si vede oggi dall’interno di
una crisi economica che è diventata
crisi sociale –, tuttavia continua a non
sapere parlare in modo credibile di
fronte a quella stessa società. E d’altra
parte, paga anche il fatto che la società spagnola ha radicalizzato il proprio senso della libertà e parla un linguaggio diverso e per molti tratti
incomunicabile con quello dell’istituzione ecclesiastica.
La particolarità della Spagna è che
l’ondata laicista emersa negli anni
452-454_art spagna:Layout 2
27-07-2011
della democrazia, faceva seguito a un
quarantennio di forte interconnessione
e quasi di connaturalità tra la Chiesa e
il regime franchista. È vero che la
Chiesa negli ultimi anni del regime
franchista aiutò molto la transizione
politica verso la democrazia (sembrano quelli gli anni più creativi) e che
vi è stata anche una transizione importante dentro la vita stessa della
Chiesa nel dopo Concilio (basti pensare alla rinascita della teologia spagnola). Ma i nodi fondamentali non
sono stati risolti.
Così quando al governo giungono
le formazioni di sinistra sembra che
inevitabilmente si scatenino i fantasmi
della guerra civile e pare che i partiti
socialisti abbiano voglia di rinchiudere
di nuovo i cattolici nelle sacrestie; la
Chiesa dall’altra parte si sente a disagio perché crede che si voglia estirpare la radice cattolica della società
spagnola. Da un lato un laicismo
grezzo ed escludente, che non trova le
ragioni culturali e storiche di un proprio autosuperamento. Dall’altro, le
tesi confessionaliste del nazional-cattolicesimo, che immaginano nell’alleanza organica con il potere politico la
sola risposta efficace alle derive della
modernizzazione. Entrambe le posizioni hanno il difetto culturale d’immaginare l’uso dello stato in chiave
antiliberale, più che come garante,
strumento attivo per affermare le proprie idee e realizzare i propri progetti.
L’apocalisse laicista
Bisognerebbe forse tornare alla storia per capire cosa è successo e succede alla Spagna. Al fallimento nel
post-concilio e nel post-franchismo
della stagione riformatrice più grande
e culturalmente più raffinata che la
Chiesa in Spagna abbia conosciuto,
quella del card. Enrique y Tarancón
(arcivescovo di Madrid dal 1971 al
1983), accompagnata per un certo
tratto dallo stesso Paolo VI, poi velocemente accantonata da Giovanni
Paolo II; al tentativo di nuovo Concordato tra la Santa Sede e il regime;
alle promesse tradite dai primi governi
socialisti in materia legislativa che minarono agli occhi dell’istituzione ecclesiastica l’ipotesi stessa di una convivenza con la sinistra e una equidistanza della Chiesa dalle forze poli-
9:50
Pagina 453
tiche e alimentarono nei settori tradizionalisti spagnoli presenti anche in
Vaticano la convinzione della volontà
positiva di quella forze di distruggere
la Chiesa. Poi progressivamente alla
stagione della restaurazione della
Chiesa con il sopravvento dei nuovi
movimenti, il crollo del vecchio associazionismo e lo svuotamento delle
parrocchie, che ha rinverdito la prospettiva integralista come l’unica che
sappia conservare alla Chiesa una dignità sociale.
La prima vittoria elettorale del
PSOE coincise con la prima visita di
Giovanni Paolo II in Spagna e con il
cambio ai vertici della Conferenza episcopale. Tra il 1983 e il 1984 la linea
politico-pastorale dei vescovi è già ridefinita. Gli uomini del nuovo corso
sono il nunzio apostolico a Madrid
Tagliaferri (1985-1995), il nuovo arcivescovo di Madrid Suquía Goicoechea
e Martínez Somalo (sostituto alla Segreteria di stato dal 1979 al 1988, poi
prefetto in varie congregazioni).
Si passa in breve da una posizione
condivisa come quella espressa da
mons. Merchán, che ritiene non esservi alcuna predisposizione contraria
dei vescovi nei confronti della sinistra
al governo, a una tesi che imputa alla
sinistra il disegno positivo di voler implementare un «umanesimo agnostico
e separato dal patrimonio culturale e
morale del popolo spagnolo». Questa
tesi farà strada anche in figure moderate dell’episcopato come mons. Fernando Sebastián (arcivescovo di Pamplona), tra gli intellettuali più lucidi
della Conferenza episcopale, fino a
configurarsi nei documenti ufficiali degli anni Novanta come una forma di
laicismo che impone una concezione
della vita ispirata «all’agnosticismo, al
materialismo e al permissivismo morale» (cf. La verità vi farà liberi, 1990;
Regno-doc. 9,1991,287).
La Santa Sede soprattutto nel periodo tra la fine degli anni Ottanta e
per tutti gli anni Novanta guarda con
grande attenzione il conflitto interno
spagnolo considerando la Spagna un
campo di prova importante per la realizzazione del progetto di Giovanni
Paolo II nei paesi cattolici dell’America Latina e per gli effetti che il consolidamento della politica socialista
poteva avere in aree sensibili per la
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
453
a cura di
Carla Busato Barbaglio - Alfio Filippi
Immagini dell’uomo
immagini di Dio
C
hi è l’uomo con cui abbiamo a
che fare oggi? Quale Dio insegue, se ne cerca uno? Di quale Dio
ha bisogno? E che cosa propone
oggi la narrazione biblica, fatta da
uomini di un determinato tempo?
Il testo offre i risultati del terzo convegno di studi in memoria del biblista G. Barbaglio, chiudendo la
trilogia inaugurata dai volumi I mille
volti di Gesù (2009) e L’attualità del
pensare di Paolo (2010).
Biblica - sez. Scritti di Giuseppe Barbaglio
pp. 160 - € 14,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
a cura di Antonio Autiero
Marinella Perroni
Anatemi di ieri
sfide di oggi
Contrappunti di genere
nella rilettura
del concilio di Trento
Q
uali effetti ha avuto il concilio
di Trento sulla considerazione
delle donne nella vita religiosa, nella
prassi di Chiesa, nel lavoro teologico? Una rilettura di questo aspetto
è un dovere nei confronti della storia e contribuisce a una migliore
comprensione della genesi e della
valenza del concilio stesso.
«Scienze religiose»
pp. 304 - € 23,70
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
452-454_art spagna:Layout 2
27-07-2011
9:50
Chiesa. Del resto già nel 1982, all’aeroporto di Barajas, Giovanni Paolo II
aveva salutato gli spagnoli dicendo che
«la maggior parte della Chiesa di Cristo prega Dio in spagnolo».
Le critiche dei vescovi alla cultura
della sinistra spagnola sono realistiche. Il problema è che la società spagnola in quella direzione ci stava andando per proprio conto. Semmai
alla sinistra e alla sua cultura arcaica,
priva di una visione del ruolo del fattore religioso nella società moderna, si
poteva e si può rimproverare, nel rincorrere quel processo, di accelerarlo,
invece di cercare di governarlo.
Le distinzioni tardive introdotte da
Felipe Gonzales (2004) tra l’ideologia
del PSOE e l’azione di governo non
hanno avuto seguito.
Con Rouco quella dinamica di
scristianizzazione diviene «apostasia
silenziosa» (2005); per Cañizares «vi è
una attitudine totalitaria nel governo»
(2006). Ma siamo già in epoca Zapatero. E lo scontro con la Chiesa è stato
certamente più duro.
Lo scontro a sinistra e «l’apocalisse
del laicismo» hanno finito con lo strumentalizzare anche le relazioni con
l’altra componente politica: il PP. Dall’altra parte il rapporto della Chiesa col
PP non è sempre stato facile. Il PP non
ha varato leggi sfavorevoli alla Chiesa,
ma non ha neppure modificato quelle
non del tutto gradite. Così fortemente
concentrato nella ricerca di una identità nazionale per dare una risposta ai
diversi autonomismi regionali ha cercato nella Chiesa una sponda nazionalitaria e il collante per un blocco sociale moderato. Il rischio progressivo,
in parte necessitato per la Chiesa, sembra essere stato quello di trasformarsi
progressivamente da istituzione della
società a gruppo sociale particolare,
posizione dalla quale risulta difficile
rivendicare una nuova egemonia morale cattolica sulla società
L’impressione è quella di una
Chiesa pastoralmente paralizzata, ripiegata nel suo senso di pericolo, arroccata nella domanda: cos’altro potevamo fare? Il tema torna a essere
quello del rapporto con la democrazia
e col pluralismo valoriale della società
moderna. L’arcaismo culturale della
sinistra è un’ottima giustificazione ma
non risolve il problema. Neppure
454
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Pagina 454
quello della necessaria trasformazione
di metà della politica spagnola: quella
espressa dalla sinistra.
L’età di Rouco
L’ultimo protagonista di questa stagione restauratrice è stato certamente il
card. Antonio M. Rouco Varela, arcivescovo di Madrid dal 1994 in sostituzione del card. Suquía. Nel marzo
scorso egli è stato nuovamente eletto
presidente della Conferenza episcopale
spagnola. Era già stato presidente per
due volte consecutivamente durante gli
anni 1999-2005. Dopo una pausa di
tre anni, con la nomina di mons. Ricardo Blázquez, è stato eletto di nuovo
nel 2008 e quindi ora accede alla carica
per la quarta volta. La sua elezione è
stata molto contrastata e di fatto ha diviso a metà l’assemblea episcopale. La
sua conferma avviene per un solo voto.
Come vicepresidente l’assemblea gli ha
affiancato mons. Ricardo Blázquez, arcivescovo di Valladolid.
La forzatura della sua nomina consiste nel fatto che proprio durante le celebrazioni della Giornata mondiale della
gioventù, che saranno presiedute da Benedetto XVI, il cardinale Rouco compirà, il 20 agosto, 75 anni. La sua riconferma significa di fatto una esigita proroga
di altri due o tre anni del suo incarico episcopale. Se le dimissioni per raggiunti limiti di età dovessero essere accettate
prima si dovrebbe procedere a una
nuova, anticipata elezione del presidente
della Conferenza episcopale. L’esempio
di Rouco è stato seguito in Portogallo anche dall’arcivescovo di Lisbona.
Un riconoscimento a priori, che
certo forza la regola, e mette in una situazione complicata il papa, il quale
può prorogare il mandato, ma non è né
obbligato né abituato a farlo. La rielezione di Rouco Varela è una conferma
della forza in Spagna e a Roma del personaggio. Del resto Rouco è stato il solo
vero interlocutore del Vaticano dal 1999
per le relazioni istituzionali tra Chiesa
e stato, per le nomine episcopali, per
l’equilibrio nelle relazioni con i nuovi
movimenti. Una interlocuzione che col
nuovo papa si è rafforzata, essendovi
tra Ratzinger e Rouco una antica frequentazione, legata agli anni dei suoi
studi in Germania.
Persino la parentesi della presidenza
Blázquez (2005-2008) non ha modificato
i rapporti di forza interni alla Conferenza
episcopale e neppure le relazioni di potere
con le istituzioni spagnole.
La nuova fase di restaurazione
passa, secondo Rouco, dall’impulso ulteriore da conferire ai nuovi movimenti
e alla loro presenza in tutti i punti salienti della società: dalla politica alla finanza; e nella contro-riforma della vita
religiosa. Perché ritiene che lì, nella vita
religiosa, si nascondano le resistenze
più dure post-conciliari. Perché immagina che la nuova relazione tra i vescovi e i religiosi passi attraverso una
fase diversa, meno legata all’elaborazione teologica e più vicina alla riscoperta della dimensione esclusivamente
interiore.
Il papa di fronte
Di fatto, la Chiesa che attende il
papa è una Chiesa divisa tra il neo-conservatorismo ecclesiastico di Rouco e
la moderazione pastorale di Blázquez.
La vera novità, la Chiesa spagnola
l’attende dal papa. Già nel suo primo
viaggio a Valencia, nel giugno del 2006,
in occasione dell’Incontro mondiale
delle famiglie, Benedetto XVI aveva stupito molti. Nel pieno dello scontro tra la
Chiesa e Zapatero, egli non aveva rinunciato a ribadire in una sintesi perfetta il magistero della Chiesa sul matrimonio, la famiglia, la pari dignità e
complementarietà tra uomo e donna, la
responsabilità dei padri nei confronti
dell’educazione dei figli, il rispetto per la
libertà di tutti e della Chiesa nella sua
predicazione e nell’azione nella società.
Ma lo aveva fatto senza scivolare mai in
una sola frase polemica. Aveva scelto la
strada di un annuncio positivo dell’insegnamento della Chiesa. Più che un’abile
mossa diplomatica fu soprattutto l’indicazione di uno stile ecclesiale.
Quello stile potrebbe essere ripreso
anche all’interno della comunione ecclesiale, rifuggendo dalla tentazione di
rinchiudere la Chiesa nella pura dimensione istituzionale. In quell’allargamento del campo visivo interiore è
certamente meglio riconoscibile la polifonia intraecclesiale e l’esperienza plurale del cristianesimo. Del resto il papa
qui parlerà ai giovani, alla molteplicità
delle loro vite.
Gianfranco Brunelli
Francesco Strazzari
455 box austria:Layout 2
A
USTRIA
È
25-07-2011
- Chiesa
16:11
L
Pagina 455
a disobbedienza e l’unità
un Appello alla disobbedienza quello lanciato il 19 giugno,
domenica della Trinità, da un gruppo di circa 300 parroci austriaci e 50 diaconi, radunati dal 2006 sotto la sigla «Iniziativa
dei parroci» e schierati su posizioni vicine a quelle della piattaforma «Noi siamo Chiesa», nata nei paesi di lingua tedesca nel 1995
e poi diffusasi in tutta Europa (cf. Regno-doc. 17,1995,572; Regnoatt. 2,1996,24). Le tesi espresse nel manifesto dei parroci disobbedienti richiamano in effetti quelle affermate in altre occasioni,
mentre l’elemento nuovo e dirompente è l’invito esplicito alla disobbedienza.
A causa della chiusura e dell’indisponibilità dei vescovi e di
Roma a promuovere la necessaria riforma della Chiesa – scrivono i
disobbedienti –, essi si sentono tenuti a seguire la loro coscienza,
e d’ora in avanti porranno in essere i seguenti segni, per la gran parte
non ammessi dalla vigente disciplina ecclesiastica della Chiesa cattolica: a ogni messa faranno una preghiera per la riforma della
Chiesa; ammetteranno alla comunione chiunque ne faccia richiesta,
anche divorziati risposati, membri di altre Chiese cristiane e persone uscite dalla Chiesa (in Austria questo è un atto formale, che
viene sancito dall’uscita dalla tassa ecclesiastica, cf. Regno-att.
6,2011,156); non copriranno più i bisogni delle parrocchie senza prete,
«meglio una liturgia della Parola autogestita delle tournée liturgiche»; chiameranno «celebrazioni eucaristiche senza prete» le liturgie della Parola con distribuzione della comunione; faranno tenere
l’omelia a laici e laiche competenti; nomineranno per ciascuna parrocchia un direttore, uomo o donna; coglieranno ogni occasione
per esprimersi pubblicamente a favore dell’ordinazione delle donne
e degli uomini sposati al sacerdozio.
«Infine – concludono il breve documento – siamo solidali con
i colleghi che a causa del matrimonio non possono più svolgere il
loro ministero, ma anche con quelli che nonostante una relazione
portano avanti il loro servizio come preti. Entrambi i gruppi con la
loro scelta seguono la loro coscienza, così come facciamo noi con
la nostra protesta».
I vescovi: siamo Chiesa
Le profonde trasformazioni in atto nella Chiesa austriaca, a livello sia delle figure istituzionali sia della vita comunitaria, sono
note da tempo grazie a una lunga serie di ricerche che hanno dimostrato quanto il desiderio di riforme sia tra le richieste fondamentali e più diffuse, tra i membri dei consigli pastorali parrocchiali
e tra i parroci. Un anno fa l’indagine del teologo pastoralista P.-M.
Zulehner presentata su queste pagine metteva in evidenza come
si fosse prodotta in pochi anni una spiccata individualizzazione della
forma di vita dei preti cattolici e una progressiva autonomizzazione
dai presupposti istituzionali (cf. Regno-att. 12,2010,421). Il timore
della Chiesa di Roma ad accettare un dialogo aperto su una serie di
problemi pastorali e disciplinari non ha favorito una inversione di
tendenza. E questo – occorre dire – a discapito delle stesse posizioni più disposte al confronto e a un governo responsabile della
transizione che le forme della vita ecclesiale stanno vivendo. Le posizioni appaiono oggi inconciliabili. Le petizioni dei disobbedienti
difficilmente possono rientrare o essere accettate. Sintomatico e
inevitabile l’atteggiamento dei vescovi.
La prima risposta all’appello dei parroci è stata quella di mons.
Egon Kapellari, vescovo di Graz e vicepresidente della Conferenza
episcopale austriaca, apprezzato ed equilibrato sostenitore della
necessità di dialogo e riforme nella Chiesa. «All’invito alla disobbedienza nella Chiesa cattolica – dice il suo comunicato stampa del 28
giugno – io mi pongo chiaramente e decisamente contro. Le necessità pastorali della Chiesa devono essere da noi affrontate senza
rimozioni. La situazione è nota tanto ai vescovi quanto al papa, da
tempo se ne discute e lo si continuerà a fare. Uno sguardo più
obiettivo all’insieme della Chiesa e della società non fa razionalmente emergere per la Chiesa austriaca la necessità di prendere una
propria strada autonoma dalla Chiesa universale. Il collegamento
con la Chiesa universale e con il papa appartiene alla nostra identità irrinunciabile. (…) La percezione selettiva dell’attuale situazione
della Chiesa in Austria e le conseguenti richieste certo sembreranno
plausibili a molti, ma mettono seriamente a rischio l’identità e
l’unità della Chiesa cattolica».
La reazione del card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna
e presidente dei vescovi, che aprì la sua stagione episcopale a Vienna
con il «Dialogo per l’Austria» nel 1997 (cf. Regno-doc. 18,1998,593;
18,2010,605), si è fatta attendere fino al 7 luglio, ed è apparsa con il titolo «Appello all’unità» su Thema Kirche, periodico della diocesi di
Vienna. «Ho aspettato a replicare, non volevo che la mia risposta fosse
dettata dalla rabbia e dal dispiacere che questo appello ha suscitato in
me. Ma questo Appello alla disobbedienza mi ha atterrito».
Il richiamo del cardinale è innanzitutto al significato dell’obbedienza: «Nel momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza costrizione, nelle mani del vescovo
“rispetto e obbedienza”, a voce alta e chiara abbiamo detto davanti a
tutta la comunità dei fedeli: “Sì, lo prometto”. (…) Questa disponibilità
[di accettare la volontà di Dio] si concretizza inoltre attraverso l’obbedienza ecclesiastica verso il papa e il vescovo. E a volte può richiedere
uno sforzo doloroso».
Chi – afferma il card. Schönborn – «in piena e provata coscienza
e convinzione pensa che Roma abbia imboccato una strada sbagliata,
che contraddice gravemente la volontà del Signore, dovrebbe trarne
nel caso estremo le conseguenze estreme, e cioè non percorrere più
la via della Chiesa romana. Credo e spero però che questo caso
estremo non si verifichi». «Non è necessario – continua – essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito
disciplinare; ed è anche lecito augurarsi in alcuni casi decisioni diverse
da parte dei vertici ecclesiali. Ma quando il papa ripetutamente indica
chiare linee guida (…) allora l’Appello alla disobbedienza mette di fatto
in discussione la comunità ecclesiale nel suo insieme. (…) Chi dichiara
nullo il principio dell’obbedienza, dissolve l’unità».
Appena possibile, afferma, s’incontrerà con i rappresentanti
dell’«Iniziativa dei parroci» per un confronto costruttivo. «Il compito
del vescovo è quello dell’unità: l’unità nella propria diocesi, l’unità con
il papa, l’unità con la Chiesa. E io assolvo questo compito con grande
felicità. Vivo molti momenti belli, ma anche momenti di dolorose ferite. Una di queste ferite è l’Appello alla disobbedienza. Io faccio invece appello all’unità, quell’unità chiesta da Gesù Cristo al Padre, e per
la quale Gesù fu disposto a sacrificare la vita».
Daniela Sala
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
455
456 box cina:Layout 2
S
A N TA
25-07-2011
16:15
Pagina 456
SEDE - Repubblica popolare cinese
L
o scontro
L
a data non è casuale. La provocazione evidente. Il gesto in sé
grave. Il 29 giugno scorso si è ripetuta l’ordinazione episcopale di un vescovo cinese appartenente all’Associazione patriottica, senza il mandato apostolico. Si tratta del rev. Paolo
Lei Shiyin, ordinato vescovo della diocesi di Leshan (provincia di Sichuan, nella Cina continentale) da sette vescovi in comunione con
Roma. La tecnica è sempre la stessa: far ordinare vescovi non accetti
a Roma da vescovi in comunione con Roma. Le autorità cinesi prelevano i vescovi legittimi e li trattengono finché non acconsentono
all’ordinazione. È la nuova linea assunta dalle autorità cinesi, che ha
ulteriormente approfondito lo scontro tra Roma e Pechino (cf.
Regno-att. 8,2011,237).
A questa nomina il Vaticano ha reagito il 4 luglio con una dichiarazione ufficiale nella quale si dichiara per Lei Shiyin la scomunica latae sententiae. Questa la nota vaticana.
«Il rev. Lei Shiyin, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana, e la Santa Sede non lo riconosce come il vescovo
della diocesi di Leshan. Restano fermi gli effetti della sanzione in cui
egli è incorso per la violazione della norma del canone 1382 del Codice di diritto canonico. Lo stesso rev. Lei Shiyin era stato informato
da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come
candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi
(ha una relazione stabile con una donna dalla quale ha avuto un figlio; ndr). I vescovi consacranti si sono esposti alle gravi sanzioni canoniche, previste dalla legge della Chiesa (in particolare dal canone
1382 del Codice di diritto canonico; cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI
LEGISLATIVI, Dichiarazione 6.6.2011; Regno-doc. 13,2011,393). Un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente
al ruolo spirituale del sommo pontefice e danneggia l’unità della
Chiesa. L’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina. La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa
possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è
affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece
è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica,
si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa».
Trascorsa appena una decina di giorni dalla scomunica di Lei, le
autorità cinesi hanno provveduto a ordinare nello stesso modo un
altro vescovo. Si tratta questa volta di Giuseppe Huang Bingzhang,
nominato vescovo di Shantou. L’ordinazione è avvenuta il 14 luglio.
All’ordinazione illecita di Giuseppe Huang Bingzhang hanno partecipato – naturalmente costretti – otto vescovi in comunione col
papa. Questa volta per il «no» di Roma non ci sono gravi motivi morali che rendono inadatto il candidato, ma il fatto che la diocesi
abbia già un suo vescovo legittimo, riconosciuto da Roma. Obbligata anche in questo caso la risposta vaticana.
Il 16 luglio giunge la dichiarazione della Santa Sede: «Il rev. Giuseppe Huang Bingzhang, ordinato senza mandato pontificio e
quindi illegittimamente, è incorso nelle sanzioni previste dal canone 1382 del Codice di diritto canonico. Di conseguenza, la Santa
Sede non lo riconosce come vescovo della diocesi di Shantou, ed
egli è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana. Il rev. Huang Bingzhang era stato informato da tempo che non
poteva essere approvato dalla Santa Sede come candidato episcopale, dato che la diocesi di Shantou ha già un vescovo legittimo;
più volte al rev. Huang era stato richiesto di non accettare l’ordina-
456
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
zione episcopale. Da varie fonti di informazione la Santa Sede era
al corrente che alcuni dei vescovi, contattati dalle autorità civili,
avevano manifestato la propria volontà di non partecipare a un’ordinazione illegittima, mettendo in atto anche forme di resistenza:
nonostante ciò, i presuli sarebbero stati obbligati a prendervi parte.
In merito alla loro resistenza è bene rilevare che tale atto rimane
meritorio davanti a Dio e suscita apprezzamento in tutta la Chiesa.
Uguale apprezzamento va anche a quei sacerdoti, a quelle persone
consacrate e a quei fedeli che hanno difeso i propri pastori, accompagnandoli in questo difficile momento con la preghiera e condividendone l’intima sofferenza. La Santa Sede riafferma il diritto
dei cattolici cinesi di poter agire liberamente, seguendo la propria
coscienza e rimanendo fedeli al successore di Pietro e in comunione con la Chiesa universale».
Ne seguiranno altri
In Vaticano – ha sottolineato p. Federico Lombardi, direttore
della Sala stampa – questo avvenimento «viene seguito e visto con
dolore e preoccupazione». «La posizione e i sentimenti della Santa
Sede e del papa sono stati già espressi recentemente nelle precedenti circostanze» (ad esempio, all’udienza generale del 18 maggio),
e nascono dal rammarico per «un atto contrario all’unità della
Chiesa universale».
Dal novembre scorso la Cina ha deciso di procedere all’elezione
e all’ordinazione di candidati vescovi senza attendere il mandato
del pontefice: Guo Jincai a Chengde (novembre 2010); Paolo Lei
Shiyin a Leshan (29.6.2011); e ora Giuseppe Huang Bingzhang a Shantou; ma il portavoce dell’Associazione patriottica, Antonio Liu Bainian, aveva ufficializzato il 14 maggio scorso l’esistenza di 10
candidati all’episcopato in attesa di nomina governativa, mentre il
responsabile dell’Amministrazione di stato per gli affari religiosi,
Wang Zouen, nel corso di un incontro a Pechino il 18-19 giugno ha
espresso la necessità di procedere rapidamente da parte del governo alla nomina dei vescovi per le diocesi vacanti: una quarantina
su 97. Se il governo cinese dovesse davvero procedere in questa direzione e non potendo il Vaticano retrocedere dalla sanzione della
scomunica, che ne sarebbe di una Chiesa cattolica con quasi la metà
dei suoi vescovi scomunicati? Salterebbe ogni equilibrio pastorale,
compreso quello faticosamente descritto dal papa nella sua lettera
del 2007 (cf. Regno-doc. 13,2007,393).
Che cosa abbia portato a questo esito, dopo un periodo di timide ancorché incerte aperture, è difficile dire. La nuova linea vaticana, certamente più ruvida e decisa, non sembra avere
conseguito l’obiettivo desiderato. In questo clima appaiono problematiche e intempestive le parole dette dal nuovo segretario di
Propaganda fide, il cinese mons. Savio Hon, nel corso di una sua intervista a Fides (17.6.2011), nel corso della quale egli ha fatto riferimento a «una teologia in America e in Europa che sta penetrando
anche nella Chiesa cinese. Questa teologia rivendica proprio l’autonomia nella scelta dei vescovi e l’indipendenza dalla Santa Sede.
E così vi sono persone in America e in Europa che spingono i vescovi
cinesi a comportarsi così. “Se riuscite voi – dicono – noi poi vi seguiamo”. Come si vede, fino a poco tempo fa i problemi di “indipendenza” e “autonomia” erano solo a livello del rapporto col
governo. Adesso sono anche a livello teologico». Di quale teologia
e di quali personaggi si tratti, mons. Hon non lo ha specificato.
Gianfranco Brunelli
L
457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2
25-07-2011
16:15
Pagina CXVII
L ibri del mese
Patristica come stile
I padri della Chiesa nei documenti del Vaticano II
schema de Ecclesia, che porteranno infine
all’approvazione della costituzione Lumen gentium, sono da questo punto di vista emblematiche della faticosa recezione
da parte del Concilio di quel «ritorno alle
fonti» che specie a partire dagli anni Quaranta del Novecento era divenuto, in particolare in Francia, la parola d’ordine
delle correnti teologiche progressiste.
P
uò in effetti stupire, ma
l’immensa ricerca storicoteologica sul Vaticano II
colma solo con il volume
di Daniele Gianotti1 una
lacuna rimarchevole, vale a dire l’assenza
di un’indagine sistematica sull’utilizzazione dei padri della Chiesa nei lavori del
Concilio, o, per essere più precisi, sulla coscienza e la sensibilità dei padri conciliari
CXVII
intorno alla rilevanza del ritorno alle fonti
patristiche. Non quindi uno studio sulle citazioni dei padri in sé, ma l’approfondita
ricostruzione e il proposito di una corretta interpretazione di un clima di luci e
ombre, di accordi taciti e aspri scontri
che prepara il terreno all’evento conciliare
e prosegue durante lo svolgimento dello
stesso.
Le lunghe e complesse vicende dello
«Nouvelle théologie»
e modernismo
La ricerca di Gianotti, che si segnala
anche per chiarezza espositiva, è dunque
insieme storica e teologica: nella prima
parte prende le mosse dal ressourcement,
di cui analizza le vicende e il significato
per la teologia e la vita della Chiesa, per
poi spingersi sino alla fase antepreparatoria del Concilio (cc. 1-3); nella seconda
parte considera l’evento conciliare nella
prospettiva dell’elaborazione del de Ecclesia, esaminato sotto l’aspetto precipuo
delle sue fonti patristiche, sino all’approvazione definitiva della Lumen gentium
(cc. 4-7); infine nella terza parte si propone di valutare sia il posto che il Concilio ha inteso assegnare alla testimonianza
dei padri nella Lumen gentium sia, più in
generale, pregi e limiti del ricorso ai padri
da parte del Vaticano II (cc. 8-9). Una serie di appendici, un’amplissima bibliografia e due indici, tematico e dei nomi,
chiudono questo significativo lavoro.
Malgrado alcune grandi figure del
pensiero cattolico ottocentesco avessero
già compreso che passando per i padri
della Chiesa fosse possibile realizzare un
autentico rinnovamento della teologia e
un recupero della categoria della storia,
nei seminari e nelle accademie teologiche
sino alla prima metà del secolo scorso i
padri saranno ancora citati soprattutto in
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
457
457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2
L
16:15
Pagina CXVIII
ibri del mese
prospettiva apologetica, come pura riserva di prove.
Semmai tra fine Ottocento e inizio
Novecento si ha un intensificarsi degli
studi specialistici e scientifici, mentre si
stempera e quasi si dissolve la conoscenza
esplicita dei padri nella loro fecondità teologica e spirituale. A tutto ciò si aggiunga
da un lato la scarsa attenzione per l’esegesi patristica e dall’altro la preoccupazione di servirsi di analisi storico-filologiche che possano anche solo lontanamente
determinare accuse di modernismo.
Bisogna in effetti arrivare agli anni
Quaranta del XX secolo per assistere a un
nuovo slancio e a nuove prospettive: rileggere i padri nel contesto storico e filologico che è loro proprio, sottraendoli alla
mortificazione dei manuali scolastici. L’interesse si concentra su quanto c’è d’originale negli scritti dei padri, ossia un senso
eccezionale della sintesi cristiana e del
nesso dei misteri nell’insieme del disegno
divino, unitamente a una percezione viva
del carattere storico di questo disegno,
per cui la rivelazione non è teoria intorno
a Dio ma storia santa, storia della salvezza portata da Dio agli uomini.
Ciò che sta anzitutto a cuore diventa
il messaggio dei padri in quanto esperienza spirituale che si presta a essere riconsegnata all’odierna comunità cristiana.
Questo nuovo approccio evidentemente
esprime un’insofferenza marcata verso un
tomismo costruito «a uso delle scuole, una
specie di razionalismo che soddisfa il genere di deismo che, in fondo, molti desiderano insegnare» (così E. Gilson in una
lettera a H. de Lubac). Ma una cosa sono
la scolastica barocca e la neoscolastica dei
manuali, altra è la grande scolastica medievale, che tanto è debitrice della lezione
dei padri.
Naturalmente questo nuovo corso,
che riprende in mano le fonti (non solo
patristiche, ma anche bibliche e liturgiche)
per esplorare strade nuove per la riflessione teologica, è destinato a scontrarsi
con una visione del lavoro teologico profondamente diversa e non disposta a lasciarsi mettere facilmente in questione,
tanto più che il ricorso all’accusa di modernismo è tutt’altro che superato.
Così, nell’arco di una dozzina d’anni
o poco più, la querelle conoscerà tre punti
principali di contesa: il progetto teologico
elaborato nella scuola domenicana del
Saulchoir e presentato da uno scritto, poi
458
25-07-2011
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
messo all’Indice, del domenicano M.-D.
Chenu; l’avvio della pubblicazione delle
«Sources chrétiennes» per fondamentale
iniziativa dei gesuiti H. de Lubac e J. Daniélou; e in stretto legame con queste, infine, la controversia sulla cosidetta «nouvelle théologie».
Nella prospettiva dei padri della
Chiesa, significative sono comunque soprattutto le vicende connesse col progetto
della più nota collezione di testi patristici
ancor oggi in attività. Essa conosce la sua
gestazione nell’ambiente dello scolasticato dei gesuiti di Fourvière, a Lione, in
cui risiedono, tra gli altri e a vario titolo:
H. de Lubac, J. Daniélou, C. Mondésert,
L. Doutreleau.
Da grandi specialisti ne è stata già
narrata in più sedi per filo e per segno la
complessa storia. Qui basta ricordare che
sin dall’inizio l’inclinazione, specie di Daniélou, è per gli autori greci e i testi spirituali: una linea fortemente mistica ed ecumenica, coraggiosa per il contesto
ecclesiastico dell’epoca.
La categoria di lettori cui ci si vuole rivolgere è in prima istanza quella dei cristiani, laici o chierici che siano, desiderosi
di conoscere una spiritualità radicata in
una solida teologia e integrata in una visione cattolica del mondo; in seconda
istanza l’ambiente accademico più sensibile alla letteratura cristiana antica; infine,
il circuito degli artisti e dei poeti, interessati a confrontarsi con la ricchezza simbolica e spirituale offerta dai padri nell’interpretare la Scrittura e il mondo.
Le stesse introduzioni ai testi proposti
in traduzione intendono essere di taglio
culturale in senso ampio e non puramente
scientifiche, proponendosi di collocare gli
scritti nel loro mondo intellettuale e spirituale. Ma questi intenti programmatici,
destinati di lì a poco a incontrare ostilità
presso gli ambienti teologici conservatori,
saranno presto modificati, come emblematicamente mostra la seconda edizione
(pubblicata nel 1955: la prima era uscita
nel 1942) della Vita di Mosè di Gregorio
di Nissa con introduzione sempre di Daniélou.
Questo ritorno comunque alle fonti
patristiche e alla teologia dei padri, che
viene salutato con entusiasmo dal domenicano Y. Congar del Saulchoir, non è invece visto con favore da altri ambienti
dello stesso ordine, in particolare da M.M. Labourdette dello Studio domenicano
di Saint-Maximin, che con una propria
lettera aprirà di fatto la controversia sulla
cosiddetta «nouvelle théologie», destinata
a non chiudersi con l’enciclica Humani
generis di Pio XII ma a farsi sentire ancora all’interno del dibattito conciliare.
Già nei vota della fase antepreparatoria, tale controversia porta numerosi
vescovi a pensare che la «nouvelle théologie» sia una sorta di riproposizione di tesi
moderniste, capace dunque di compromettere, grazie alle ricerche storico-teologiche che promuove, l’immutabilità del
dogma.
Nel cammino verso il Concilio, soltanto una netta minoranza dell’episcopato mondiale percepisce come necessario il «ritorno alle fonti». Non è questione
esclusivamente di contenuti, ma previamente di stile e linguaggio, come in più
occasioni rileva il tedesco mons. Lorenz
Jaeger, arcivescovo di Paderborn, nel
senso che il Concilio deve rifarsi alla modalità secondo cui la sacra Scrittura e i padri della Chiesa esprimono le verità di
fede, con grande attenzione per la dimensione ecumenica.
Da questo punto di vista, l’autore
mostra bene come la sensibilità per il
ressourcement fosse molto più presente
nei romani pontefici che guidarono il
Concilio: Giovanni, che da giovane sacerdote aveva insegnato patrologia sia a
Bergamo sia a Roma e da nunzio aveva
conosciuto da vicino prima l’Oriente cristiano e poi i fermenti del cattolicesimo
francese, era provvisto di una cultura
formata «attraverso la lunga, fedele, insistente macinazione (...) delle supreme
fonti della tradizione cristiana: la Scrittura, la liturgia, i padri ...» (G. Lercaro),
mentre Paolo, sin da giovane grande conoscitore della cultura francese e innamorato di Agostino, in età matura vescovo ambrosiano di Milano, era stato
uno dei presuli che già all’inizio della
stagione conciliare aveva rilevato le insufficienze dei documenti preparatori.
Preoccupati solo
della solidità
La seconda parte del ponderoso volume di Gianotti è la più estesa e costituisce il nucleo centrale della ricerca. La
cornice è l’evento conciliare e l’oggetto
d’indagine è il tipo d’elaborazione conosciuto dallo schema de Ecclesia sotto
l’aspetto precipuo delle sue fonti patristi-
CXVIII
457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2
che sino all’approvazione definitiva nella
forma della costituzione Lumen gentium.
Si tratta di una parte densa di dati, in
cui si rivela inoltre tutto il rigore metodologico di cui è provvisto l’autore, che propone una suddivisione cronologica della
materia lungo quattro capitoli. Ciascuno
di essi affronta un momento saliente dell’intricata e avvincente storia del documento. Va senz’altro riconosciuto allo studioso il merito d’essere riuscito a tenere
sempre insieme, nella sua indagine storico-teologica, il quadro storiografico
complessivo e il tema specifico del ressourcement. Questa sezione dell’opera, indubbiamente originale, per l’abbondanza
di informazioni, che pagina dopo pagina
offre, risulta molto utile oltre che per la
lettura anche per la consultazione.
Le tappe dell’elaborazione dello
schema de Ecclesia da parte della Commissione centrale preparatoria sono ormai tanto note agli specialisti, che lo stesso
Gianotti vi accenna giustamente in modo
sintetico nel quarto capitolo. Nella prospettiva dell’utilizzazione delle fonti, che
qui ci interessa, il tenore è, per riprendere
il giudizio di Acerbi, quello dei manuali di
ecclesiologia fioriti tra il Vaticano I e il Vaticano II: lo stile è scolastico e giuridico,
più che biblico e kerygmatico, e la struttura portante dello schema è costituita in
special modo dal magistero papale degli
ultimi cento anni, cui è subordinato il
pensiero in materia della Scrittura e dei
padri della Chiesa.
Il riferimento ai padri greci, così importante in chiave ecumenica, è del tutto
marginale. Congar e de Lubac, chiamati
a seguire i lavori della Commissione centrale preparatoria come consultori, ed essi
stessi protagonisti del ressourcement teologico, hanno lasciato appunti di diario in
cui concordemente denunciano questo
clima teologico romano in massima parte
scolastico e immobilista, incurante di
quanto si accumula da decenni, preoccupato solo della solidità (in realtà ormai
evanescente) del proprio bastione.
Nel capitolo successivo il lettore si
trova nel vivo delle discussioni conciliari
del primo periodo sul de Ecclesia. L’autore, che studia le figure più autorevoli e
avvertite di quel dibattito (Döpfner,
Frings, Hakim, Khoury, Maximos IV, per
ricordare qui solo qualche nome), mostra
come solo a poco a poco l’assemblea conciliare sia pervenuta a una più attenta
CXIX
25-07-2011
16:15
Pagina CXIX
considerazione della questione del ricorso
alle fonti patristiche nell’elaborazione
dello schema, una questione nel complesso non adeguatamente affrontata nei
dibattiti della Commissione centrale preparatoria, sebbene qualche suo componente ne avesse colto la rilevanza.
Alla fine del capitolo, si fa riferimento
all’adozione dello «schema Philips» come
base della nuova redazione del de Ecclesia.
Il sesto capitolo esamina il dibattito del secondo periodo conciliare. Con l’invio ai
vescovi dello schema de Ecclesia rivisto, si
ponevano le basi per la fase di lavoro più
ampia e complessa, che avrebbe avuto
come risultato la Lumen gentium. Frattanto la consapevolezza dei padri conciliari era cresciuta: essi scorgevano ormai
i problemi suscitati dalla fase preparatoria
e, in particolare, l’indifferenza nei confronti della Scrittura, dei padri e della
Chiesa orientale.
Il copioso materiale da loro trasmesso
si sarebbe rivelato determinante per il lavoro successivo. Nel settimo capitolo, consacrato all’elaborazione definitiva dello
schema, Gianotti osserva come sia passata
quasi inosservata, tanto all’interno della
Commissione dottrinale quanto nelle ricerche degli storici, l’eventualità suggerita da Philips, il quale nel secondo periodo dei lavori conciliari svolse un ruolo
decisivo, di costituire una sottocommissione «de re patristica», gemella della sottocommissione biblica, al fine di sottoporre a esame critico tutte le citazioni
patristiche e di proporre eventualmente
citazioni più adatte. Il 21 novembre 1964,
l’iter del de Ecclesia era finalmente concluso: la costituzione Lumen gentium veniva promulgata.
Verso un’ecclesiologia
patristica?
Se nelle prime due parti del volume lo
studioso aveva proceduto secondo l’asse
cronologico, ora, nella terza e ultima
parte, rappresentata dai capitoli 8 e 9,
egli si propone di tracciare una visione più
sincronica, incentrata su due fondamentali questioni: come si presenta il contributo della dottrina patristica nella Lumen
gentium e che cosa hanno significato i padri della Chiesa per il Vaticano II.
Si tratta, evidentemente, di tentare
un bilancio, raccogliendo elementi diversi
tra loro, ma accomunati dalla prospettiva
del ressourcement patristico del Novecento.
Gianotti, attraverso un serrato esame metodologico e contenutistico di tutte le strategie d’utilizzazione dei padri nella Lumen gentium, riconsidera i principali loci
theologici della tradizione ecclesiologica
conciliare per verificarne le diverse funzioni assunte.
Da quest’esame emerge con evidenza
la ricchezza del contributo offerto dalla riflessione patristica alla Lumen gentium,
tanto che forse non è esagerato parlare
della sua ecclesiologia in termini d’ecclesiologia patristica, malgrado una certa distanza tra l’insegnamento conciliare e la
dottrina dei padri su taluni punti, tra cui
la collegialità, il peccato nella Chiesa, la
necessità della Chiesa per la salvezza, il
popolo di Dio.
Resta comunque vero che, grazie al
Vaticano II, i padri della Chiesa non sono
stati ridotti a una serie – per quanto ricca
e appropriata – di citazioni, ma hanno
potuto essere conosciuti dai fedeli nella
loro più profonda e complessiva fisionomia.
A ciò si aggiunga il modus patristicus
loquendi del Concilio che, come ha mostrato O’Malley, è una questione a un
tempo retorica e teologica, perché è per lo
«stile pastorale» complessivo dei testi del
Vaticano II che si ha quel rinnovamento
ecclesiale che gli viene universalmente riconosciuto. I concili precedenti erano viceversa per lo più assemblee legislative, le
cui decisioni determinavano la vita della
Chiesa negli ambiti della fede e dei costumi.
In questo senso il Vaticano II è stato
un evento linguistico che ha fortemente
beneficiato degli sforzi che, da decenni, si
facevano in Germania, in Belgio, ma soprattutto in Francia, per trovare, attraverso il ressourcement patristico, linguaggi
persuasivi alternativi alla rigidezza dello
stile neoscolastico dominante.
In conclusione, il lettore troverà questo libro di Gianotti sobrio e appassionato, scientifico e militante, volto non al
semplice recupero archeologico della figura dei padri negli atti e nei documenti
del Concilio, ma a una riappropriazione
della loro conoscenza attraverso l’ascolto
della loro viva vox.
Fabio Ruggiero
1
D. GIANOTTI, I padri della Chiesa al concilio Vaticano II. La teologia patristica nella Lumen
gentium, EDB, Bologna 2010, pp. 530, € 42,00.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
459
L
460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2
25-07-2011
16:16
Pagina CXX
L ibri del mese
Non per profitto
M
Martha Nussbaum e il ruolo della cultura umanistica
nella ridefinizione del welfare
artha Nussbaum è
una delle più apprezzate e vivaci filosofe del panorama
contemporaneo.
Nominata due volte tra le cento figure
di intellettuali più influenti al mondo
dalla rivista Foreign Policy, la Nussbaum
ha esordito come studiosa di filosofia
greca, prima di estendere i propri interessi a tematiche di filosofia morale, politica ed etica.
A metà degli anni Ottanta si è imposta sul panorama filosofico internazionale con un libro dal titolo emblematico, La fragilità del bene (Il Mulino,
Bologna 2004). È membro dello Human
Rights Program delle Nazioni Unite, col
quale ha collaborato a definire e implementare alcuni programmi di sviluppo,
riferiti in particolare alla condizione di
genere, in diverse parti del mondo. Attualmente, dopo esperienze di docenza
ad Harward e alla Brown University, è
Ernst Freund Distinguished Service Professor di diritto ed etica presso l’Università di Chicago. Numerose le sue pubblicazioni tradotte in lingua italiana;1
rilevanti anche le frequentazioni della filosofa col mondo accademico del nostro
paese, nel quale ha stretto amicizie e collaborazioni significative.
Il paradigma
delle capacità
Proprio un suo recente viaggio in
Italia, nello scorso mese di giugno, è
stato per lei occasione di diversi incontri pubblici, tra i quali una conferenza
tenuta a Bologna per la presentazione
del suo recente saggio Non per profitto.
Perché le democrazie hanno bisogno di
cultura umanistica, pubblicato nella pri-
460
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
mavera scorsa dalla casa editrice bolognese Il Mulino.2
Considerata, insieme al premio Nobel per l’economia Amartya Sen, ideatrice del capability approach per lo sviluppo economico e sociale, a lei fanno
tuttora riferimento moltissimi studiosi
che attingono dalla sua opera chiavi interpretative adeguate per valutare l’evoluzione dei sistemi di welfare e immaginarne sviluppi coerenti con l’istanza
universalistica-cosmopolita di cui il pensiero della filosofa americana è «capace». Molte di queste chiavi interpretative sono riconducibili alla teoria delle
«capacità centrali» – e al decalogo riassuntivo che le sintetizza – concepite
dalla Nussbaum «come lo spazio rilevante all’interno del quale fare confronti
sulla qualità della vita nelle società, e
(…) come parametro decisivo per chiedersi se una data società ha distribuito
un livello minimale di giustizia fra i suoi
cittadini» (Le nuove frontiere della giustizia, Il Mulino, Bologna 2007, 91).
È facile cogliere come quasi nessuno
dei temi spinosi che dettano oggi
l’agenda per la riforma del nostro sistema di welfare – ma sarebbe meglio
parlare al plurale, vista la differenziazione presente al suo interno – può dirsi
estraneo a un tale confronto con
l’istanza etica che dovrebbe sostenere
l’idea di cittadinanza democratica.
Si pensi, ad esempio, alla discussione sui livelli essenziali di assistenza
(nel suo saggio la Nussbaum parla di
«livelli di opportunità accettabili»; Non
per profitto, 41), tema nevralgico del
profilo che verrà ad assumere il nostro
modello federalista determinato dalla
riforma costituzionale del 2001 e attualmente in corso di attuazione attra-
verso la normativa fiscale e finanziaria
(coi decreti che implementano la legge
42/2009). Si pensi ancora al tentativo,
in corso anche nel nostro paese grazie
all’ISTAT e al CNEL, di superare quel
«sistema rozzo» (la definizione è della
stessa Nussbaum) che attualmente si utilizza per misurare il benessere di una società denominato PIL pro-capite.
Nel suo Non per profitto, la Nussbaum si dilunga ampiamente a spiegare le differenze sostanziali tra il paradigma della «crescita economica» – che
trova appunto nel PIL il suo indicatore
– e il paradigma dello «sviluppo umano», centrato sul concetto di «capacità».
Essi sottendono modelli societari, visioni antropologiche, sistemi morali,
modelli pedagogici se non contrapposti, quantomeno alternativi. Pensiamo, per non indicare che tre delle
dicotomie desumibili da questa lettura,
alle contrapposizioni gerarchia-democrazia; disgusto proiettivo3 e comportamento stigmatizzante-accettazione di sé
e solidarietà tra gli umani; discriminazione di genere-riconoscimento della
complementarietà.
Esistono inoltre processi più o meno
latenti di vecchia e nuova discriminazione, segregazione e istituzionalizzazione, su cui è necessario tenere viva
l’attenzione. In essi il contenimento fisico, simbolico e farmacologico è oggi
meno visibile, ma non per questo meno
grave per le popolazioni coinvolte e assolutamente indicativo delle dinamiche
societarie in atto. Sommando impropriamente le persone recluse in carcere,
quelle ricoverate in strutture per condizioni croniche (dalle demenze alle schizofrenie), i minori in condizione di forte
disagio ospitati in comunità, i rom e
CXX
460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2
25-07-2011
16:16
Pagina CXXI
New York City. Harlem. 110a strada.
sinti che vivono nelle nostre enclave urbane, e gli utilizzatori di psicofarmaci,
possiamo stimare per difetto (vista la
sostanziale inattendibilità e vetustà dei
dati disponibili) non meno di 600.000
persone coinvolte, ovvero più o meno
l’1% della popolazione italiana. Dentro
questo quadro, tutt’altro che chiaro e sicuramente incompleto, la lista delle «capacità centrali» si rivela – anche dal
punto di vista concettuale –, una matrice analitica che permette di descrivere se, quanto e per chi è in atto una
negazione sistematica delle libertà.
Le assonanze con Ardigò
Il recente saggio della Nussbaum
accenna a molte di queste problematiche. Esso, in particolare, vuole essere
un libro di «denuncia» (Non per profitto,
135) del rischio che corrono le nostre
democrazie quando, come di questi
tempi, dimenticano o negano l’importanza della formazione umanistica integrale. Essa è giustamente considerata
alimento/allenamento della capacità di
rigenerazione e di arricchimento delle
nostre società nei cambiamenti che le
attraversano.
Detto altrimenti, le nostre democrazie se vogliono essere sistemi di li-
CXXI
bertà per le persone – «democrazie
umane, fatte di sensibilità verso l’altro,
intese a garantire a ognuno le giuste
opportunità di vita, libertà e ricerca
della felicità» (Non per profitto, 42) –
hanno bisogno di generare uomini e
donne capaci di fare della propria vita
una pratica/esperienza di democrazia.
Pensiero critico, sensibilità empatica, visione cosmopolita, competenze immaginifiche normativamente selettive, sono
alcuni dei tratti fondamentali di questo
essere chiamato all’universale che è il/la
«cittadino/a del mondo». Dentro il perimetro così tracciato, in cui si circoscrive l’educazione alla cittadinanza democratica in un contesto globalizzato,
sono almeno due gli approfondimenti
che si possono tentare valorizzando l’attualità degli argomenti portati dalla
Nussbaum.4
Un primo approfondimento. La lettura di Non per profitto ci rimanda alla
memoria di Achille Ardigò, docente all’Università di Bologna, partigiano con
Giuseppe Dossetti, cattolico-democratico e riferimento per molte generazioni
di sociologi italiani. Trent’anni fa, a seguito della crisi innestatasi con lo shock
petrolifero degli anni Settanta, indicò
nell’idea di transizione verso nuove tran-
sazioni il carattere della nuova fase storica che si apriva per il nostro paese e
per il mondo cosiddetto sviluppato. In
tale idea erano riassunte sia l’analisi sia
la proposta.
Per garantire la governabilità, ovvero la tenuta del sistema politico-amministrativo (lo stato, le sue articolazioni, i processi decisionali) non era
sufficiente la sua riforma (dalla rappresentanza democratica, all’efficienza ed
efficacia delle prestazioni, all’equità dell’accesso ai servizi ecc.); bisognava altresì occuparsi dei «mondi vitali», ovvero delle relazioni quotidiane rigeneratrici di senso (dalle famiglie, al volontariato, alle dimensioni comunitarie)
e stabilire nuovi rapporti «virtuosi» tra
queste dimensioni. In termini teoretici,
si trattava di mettere in tensione dialettica la sociologia di taglio fenomenologico di Husserl, Schutz, Luckmann e
Berger con l’approccio sociologico sistemico che accomuna Habermas e
Luhmann, che poi si distinguono su altri aspetti.
Trent’anni sono un tempo lunghissimo e quanto è successo è andato ben
oltre le previsioni di allora, come lo
stesso Ardigò ha sottolineato in alcuni
suoi scritti successivi. La globalizzazione-finanziarizzazione dell’economia
non era arrivata agli onori della cronaca; a Berlino il muro era ancora solido e la Cina rappresentava una sfida
ideologica, non certo economica; la
questione ambientale era agli inizi; pochissimi avevano intuito l’importanza
del mondo musulmano nella geopolitica mondiale; col termine immigrazione si pensava soltanto ai lavoratori
italiani che partivano o vivevano all’estero. In altri termini, davanti alla
crisi del sistema politico amministrativo
(dello stato), il sistema economico-finanziario-globalizzato si è imposto con
le sue logiche non certo democratiche,
che la Nussbaum definisce il «vortice
della concorrenza». La denuncia di Non
per profitto trova in queste logiche una
delle sue radici.
Empatia e fragilità
La ricerca di Ardigò è poi proseguita,
tra l’altro, sul terreno dell’«empatia»,
che è uno dei temi fondamentali intorno
a cui si articola il pensiero della filosofa
americana. Facendo pubblicare a metà
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
461
460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2
L
25-07-2011
Pagina CXXII
ibri del mese
degli anni Ottanta (1986), nella collana
di studi sociologici da lui diretta,5 la
prima opera sull’argomento scritta (nel
1917) dalla più giovane allieva di Husserl
– Edith Stein, filosofa di origini ebraiche,
poi diventata monaca carmelitana e
morta ad Auschwitz nel 1942 – Ardigò
rimarcava, accentuandole, alcune sue intuizioni già espresse in precedenza.
La prima riguardava l’idea di empatia come «una sorta di prima grammatica elementare del conoscere umano:
dalla percezione esterna, all’appercezione empatica all’introspezione mentale e spirituale». La seconda era quella
di promuovere, davanti alle teorie autoreferenziali di sistema sociale alla Luhmann, la «strada di teorie anche sociologiche di sistemi aperti» al fine di
fondare «una teoria delle relazioni empatiche tra sistema sociale e ambiente
umano interno, come tra scienza dei macrosistemi sociali e scienza del mondo
della vita».
La terza sosteneva che l’esperire empatico rinvia a elementi di intenzionalità,
a cura di Roland Meynet
Jacek Oniszczuk
Retorica biblica
e semitica 2
Atti del secondo convegno RBS
I
l secondo convegno della Società
internazionale per lo studio della
Retorica Biblica e Semitica (Roma
27-29.9.2010) ha inteso ampliare i
confini del proprio ambito specifico,
comprendendo non solo il campo
biblico, ma anche quelli delle altre
letterature semitiche, contemporanee, precedenti e successive alla
Bibbia. Il volume rende disponibili
le conferenze e le comunicazioni ivi
presentate.
«Retorica biblica»
pp. 328 - € 23,00
EDB
16:16
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
ovvero di volontà e di morale, considerando «la morale come comprensiva di
quei vincoli umani che sono stati interiorizzati anche per empatia (…) e che è
premessa della “simpatia”». La quarta
intuizione, infine, fu quella che il concetto di empatia poteva essere «una discriminante ricca di sviluppo all’interno
delle scienze computazionali cognitive,
specie alle ricerche (mediante programmi e linguaggi di intelligenze artificiali) sull’introspezione, sui sistemi aperti,
sui linguaggi naturali».
Tutto questo, alla luce degli sviluppi
successivi, acquista ancora più valore se
si tiene conto che Ardigò scriveva 25
anni fa. Le assonanze tra le sue idee, pur
in presenza di differenze non secondarie
(come il riferimento alla psicologia sperimentale), e il pensiero della filosofa
americana sono davvero notevoli.
Una prima la si trova in Non per profitto. Nel terzo capitolo («Formare cittadini: i sentimenti morali e anti-morali»),
la Nussbaum definisce l’empatia come
«capacità di pensiero posizionale, cioè
l’attitudine a vedere il mondo dal punto
di vista di un’altra creatura». Ma l’empatia da sola non basta, «anche se è di
grande aiuto nella formazione di sentimenti simpatetici che, a loro volta, sono
correlati al comportamento di aiuto»
(53). Per essere «più» sicuri che si sviluppi
una capacità empatica è necessario che
la scuola e la famiglia educhino il soggetto a misurarsi con gli «altri», ma anche a riconoscere e fare i conti con le personali inadeguatezze e fragilità, sviluppando insieme un pensiero critico e il
coraggio di assumere posizioni dissenzienti.
In tal senso, l’orientamento a privilegiare la formazione tecnico-scientifica,
a ridurre le risorse per le materie umanistiche, insieme a una pedagogia depersonalizzante, sono fattori che minacciano la buona maturazione di una
personalità empatica. A questi se ne deve
aggiungere almeno un altro, che interviene in modo interdipendente: le condizioni relazionali tra allievi e adulti,
punto prospettico con cui leggere le dinamiche societarie tra generazioni.
Qui sono implicati molti aspetti: di
tipo sistemico, come la formazione e selezione del corpo insegnante; di tipo culturale, come la rappresentazione che il
mondo adulto ha di se stesso e la visione
462
IL REGNO -
AT T UA L I T À
che il mondo dei giovani ha degli adulti;
di tipo relazionale, come l’autorevolezza
(o meno) riconosciuta alla figura dell’adulto; infine, l’allocazione più o meno
equa delle risorse pubbliche e la rilevanza data ai differenti bisogni generazionali. Solo per citarne alcuni.
La cura parla della giustizia
Sulla base di queste considerazioni,
la «denuncia» della Nussbaum, «attraverso la scuola», diventa «denuncia» dell’ambiente sistemico della scuola stessa e
delle perversioni in atto nelle «relazioni
empatiche» tra il sottosistema sociale scolastico, il sistema sociale nel suo insieme
e l’ambiente umano interno, per usare il
linguaggio di Ardigò.
Rimarcare questo aspetto, soprattutto per riferimento alla situazione della
scuola e dell’Università italiane, pilastri
insieme alla sanità dell’universalismo dei
diritti di cittadinanza, che non godono
certo di buona salute, ci aiuta a comprendere la pertinenza della critica e
delle preoccupazioni espresse dalla Nussbaum anche per il nostro paese. Il fatto
che in Italia il 18,5% dei giovani tra i 15
e i 24 anni, secondo i dati dell’OCSE
(2011), sia disoccupato o «scoraggiato»,
ovvero che non cerchi più un lavoro e al
contempo non consideri neppure la possibilità di inserirsi in un percorso formativo, è un dato che la dice lunga.
Una seconda assonanza tra il pensiero di Ardigò e le posizioni della Nussbaum rinvia a pagine di particolare intensità (Le nuove frontiere della giustizia,
Il Mulino, Bologna 2007), nelle quali la
filosofa americana mette in discussione
«dall’interno» i presupposti del contrattualismo di Rawls, e pone al centro della
propria teoria della giustizia la condizione di persone che non potranno mai
essere «libere, uguali, indipendenti». Ella
parla di Sesha, figlia di una collega colpita da paralisi cerebrale e ritardo mentale; di Arthur, nipote colpito dalle sindromi di Asperger e di Tourette; Jamie,
colpito dalla sindrome di Down. Parla
dei caregiver familiari, cioè di chi si
prende quotidianamente cura di loro, e
parla di noi tutti, perché tutti abbiamo
bisogno, per un tempo più o meno lungo
della nostra vita, di qualcuno che abbia
cura di noi.
Sostiene, al riguardo, che «il fallimento nell’occuparsi adeguatamente dei
14/2011
CXXII
460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2
25-07-2011
bisogni dei cittadini con menomazioni e
disabilità è un grave difetto di quelle teorie, e che questa mancanza va in profondità, colpendo, più in generale, la loro
adeguatezza in quanto teorie di umana
giustizia» (Le nuove frontiere della giustizia, 116). Sono parole importanti per chi
si trova a dover immaginare strategie per
affrontare e contenere/ridurre la crisi
economica e contestuali necessari cambiamenti nei sistemi di welfare volendo
tenere come riferimento l’idea di giustizia.
Un primo livello riguarda l’atteggiamento con cui pensiamo e discutiamo di
questi problemi. In essi l’empatia, per
così dire, fa pensare bene e per il bene (parafrasando un’espressione cara all’economista Stefano Zamagni). Un secondo
livello è quello del metodo. Se «ciò che
importa è la condizione della persona
media e non, per esempio, come se la cavano i meno fortunati» (Non per profitto,
39) non potremo mai comprendere lo
scarto tra ciò che affermiamo e ciò che
pratichiamo, ovvero se effettivamente
vengono riconosciuti i diritti fondamentali alle persone e alle popolazioni di cui
si ha responsabilità. Si può sintetizzare
tale posizione (riprendendo Gianni Tognoni, direttore del Consorzio Mario
Negri Sud) dicendo che in termini epidemiologici sono le «code» che misurano l’affidabilità delle «medie». In termini democratici, sono le condizioni
delle «minoranze» che legittimano le
«maggioranze»; in termini epistemologici, sono le diversità che fanno avanzare
le conoscenze.
Formazione umana
integrale
Tornando all’educazione alla cittadinanza democratica, un secondo approfondimento suggerito dalla conferenza della docente americana è immediatamente collegato a quanto appena
detto. Parafrasando la Nussbaum (Non
per profitto, 26), l’egemonia della formazione tecnico-scientifica, e la riduzione
nozionistica, quando viene fatta, di
quella umanistica, non solo negano la
formazione delle «capacità essenziali»
per la salute delle democrazie – saper pensare criticamente, saper trascendere i localismi e affrontare i problemi mondiali
come cittadini del mondo, raffigurarsi
simpateticamente la categoria dell’altro –
CXXIII
16:16
Pagina CXXIII
ma mettono a rischio pure le «capacità
essenziali» per la salute e il benessere nelle
democrazie. Il gioco di parole permette di
evidenziare una dimensione imprescindibile per la qualità ed equità dei sistemi
di welfare: la formazione di base, specialistica e permanente, degli operatori che
vi lavorano.
Il mondo degli operatori nei sistemi
di welfare è un contesto di non facile rappresentazione, dove la frammentazione
dei profili, delle denominazioni, degli inquadramenti, delle titolarità formative
(universitarie o regionali) ecc. – e la conseguente disuguaglianza nei trattamenti
contrattuali e di carriera – presenta variabilità rilevanti a seconda delle figure
professionali. Logiche corporative sedimentatesi nel tempo si mescolano a legittime esigenze di riconoscimento e di
supporto. Crescenti pressioni per il contenimento della spesa impongono criteri, codici comunicativi, priorità, sempre
più orientati all’economicità e, paradossalmente, sempre meno all’efficienza e
ancor meno all’efficacia.
Gli operatori del sistema di welfare si
trovano oggi ad abitare questo scenario
e ad agire comportamenti, condivisi o
meno, che spaziano da un’accettazione
passiva della situazione alla ricerca di
conciliazioni sempre più complesse, alla
tenace volontà di individuare vie d’uscita
e di libertà, per sé e per le persone che incontrano.
La difficile situazione presente sta
determinando, ad esempio, un rischio
specifico di assenza dell’umano come
materia-sguardo principale di interesse
nella formazione in «scienze mediche».
Si è ammessi alle facoltà di medicina (cf.
il grande dibattito in corso su riviste
come Lancet, New England Journal of
Medicine, Annals of Internal Medicine
ecc.) con domande selettive che privilegiano la capacità di valutazione di ciò
che è scientifico (ovvero produce conoscenza) perché fa parte delle scienze «oggettive» (ovvero non umanistiche quindi,
paradossalmente, «non-umane») come
la biologia, la chimica … Si privilegia
sempre più il criterio di scelta degli interventi finalizzabili-sostenibili (livelli essenziali di assistenza) solo su base sperimentale (evidence based medicine), che
esclude, quasi per definizione, il riferimento alle concrete condizioni di vita,
alle «code», alle diverse capacità.
La domanda allora diventa: quanto
la formazione di cui dispongono gli ope-
ratori del sistema di welfare – formazione
prettamente tecnico-scientifica, prestazionale, sempre più gestionale, ma poco
integrale e «umanizzante» – risulta adeguata a sostenere, nelle molteplici e differenziate situazioni odierne, la responsabilità e la relazionalità costitutive della
loro professionalità? Infatti, queste figure
professionali non «soltanto» sono cittadini, ma hanno la responsabilità di promuovere, tutelare, rendere effettiva la
cittadinanza di tante altre persone. Preoccuparsi di loro è dunque un modo per
preoccuparsi del futuro delle nostre democrazie.
Massimo Campedelli
1
Tra i titoli di M. Nussbaum pubblicati in
lingua italiana si segnalano: Il giudizio del poeta.
Immaginazione letteraria e civile, Feltrinelli, Milano
1996; La fragilità del bene, Il Mulino, Bologna
1996; Terapia del desiderio, Teoria e pratica nell’etica ellenistica, Vita e pensiero, Milano 1998; Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Il
Mulino, Bologna 2001; Giustizia sociale e dignità
umana, Il Mulino, Bologna 2002; Capacità personale e democrazia sociale, Diabasis, Reggio Emilia
2003; L’intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004; Coltivare l’umanità, Carrocci, Roma
2006; Nascondere l’umanità: il disgusto, la vergogna e la legge, Carrocci, Roma 2007; Le nuove
frontiere della giustizia, Il Mulino, Bologna 2007;
Lo scontro dentro le civiltà, Il Mulino, Bologna
2009; Non per profitto. Perché le democrazie hanno
bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011; Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano
2011; pubblica con una certa regolarità sul periodico Internazionale.
2
L’evento, che si è tenuto martedì 7 giugno
nella sede della Regione Emilia Romagna, era organizzato dall’Agenzia sociale e sanitaria regionale, diretta da Roberto Grilli, in collaborazione
con la casa editrice Il Mulino. È stato occasione
per parlare del futuro del welfare regionale a partire dalla filosofia morale grazie agli stimoli offerti
da Martha Nussbaum. Al suo intervento è seguito
un lungo dibattito – moderato dallo scrivente e da
Luigino Bruni – che ha coinvolto gli oltre 300
partecipanti; dibattito «intenso e non scontato nei
contenuti», come ha sottolineato in conclusione
l’assessore regionale alle politiche sociali Teresa
Marzocchi.
3
Il tema è stato ulteriormente sviluppato dalla
Nussbaum, dal punto di vista del costituzionalismo
americano, in un altro saggio di recente pubblicazione: Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di
fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano 2011.
4
Ce ne sarebbe un terzo riguardante le identità politiche nazionaliste e xenofobe, su cui la
Nussbaum si è molto concentrata evidenziandone
tutta la pericolosità. Anche Il Regno vi ha più volte
insistito; cf. da ultimo P. SEGATTI, «La nascita
della Lega. Una storia che ci appartiene», in Regno-att. 8,2011,220.
5
Si tratta de «Il prisma», una collana sociologica dell’editrice Franco Angeli.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
463
L
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
Pagina CXXIV
L ibri del mese / schede
I Libri del mese si possono ordinare indicando
il numero ISBN a 13 cifre:
per telefono, chiamando lo 049.8805313;
per fax, scrivendo allo 049.686168;
per e-mail, all’indirizzo [email protected]
per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano,
via Nosadella 6, 40123 Bologna.
Sacra Scrittura, Teologia
BARBAGLIO BUSATO C., FILIPPI A., Immagini dell’uomo, immagini di Dio,
EDB, Bologna 2011, pp. 160, € 14,00. 9788810221570
il 3° vol. in memoria del biblista Giuseppe Barbaglio, frutto di un conÈ
vegno di studi organizzato in suo onore. A differenza dei primi due incontri, che avevano il testo biblico come punto di partenza, in quest’ultimo ci si è interrogati su chi sia l’uomo d’oggi, quale Dio insegua, o di quale Dio abbia bisogno, e che cosa la narrazione biblica, fatta da uomini di
un determinato tempo, oggi proponga. L’intento è capire l’uomo d’oggi e
comprendere anche le possibilità, le ricerche e gli studi che possono aiutare a rendere elastica la comprensione e la lettura del reale. Per domandare poi perché occuparsi di Dio ai nostri giorni e che senso può avere la costruzione della Bibbia, oggi, sia che si creda sia che non si creda.
Vittorio Ianari (ed.)
Cristiani e musulmani in dialogo
Il futuro insieme
pp. 184, € 15,00
Amos Luzzatto
Chi era Qohelet?
Postfazione di Salvatore Natoli
pp. 104, € 10,00
Paolo De Benedetti
L’alfabeto ebraico
Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi
BOUCHARD G., Il Signore è veramente risorto. Testimonianze tra rivelazione e storia, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 156, € 12,00.
9788874026807
na confessione di fede, che «rende ragione della speranza che è in noi».
U
Il libro ripercorre l’idea di una vita dopo la morte dal mondo greco al
mondo ebraico per poi sviluppare ampiamente il tema della risurrezione nel
Nuovo Testamento. L’a. mette in evidenza le differenze fra la risurrezione cristiana, l’idea greca di sopravvivenza o d’immortalità dell’anima e la fede
ebraica in una risurrezione dei giusti associata all’evento messianico. Ma, in
ogni caso, la verità della risurrezione di Cristo resta oggetto della fede. Una
particolare attenzione è dedicata alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse letta come libro di speranza e non calcolo della fine del mondo.
DAL COVOLO E., MARITANO M. (a cura di), Omelie sul Vangelo di
Luca. Lettura origeniana, LAS, Roma 2011, pp. 142, € 10,00.
9788821307805
al 1996 la Pontificia università salesiana pubblica e commenta le opeD
re di Origene con un taglio introduttivo per il più ampio pubblico. Il
vol. affronta alcune delle 39 omelie (33 commentano in maniera continua
i primi 4 cc., le altre per singoli brani il resto del Vangelo di Luca) nell’intento d’indicare alcuni punti geniali e problematici degli scritti origeniani.
Sono otto saggi, di altrettanti aa., in cui emerge, fra altri temi, quello fondamentale dei sensi spirituali. Il Vangelo narra della presenza di Gesù come corpo, visibile, ascoltabile, palpabile, ma per Origene il credente è
chiamato a cogliere un’altra presenza, intellegibile e percepibile solo attraverso i sensi spirituali. Il vedere Gesù non è solo sforzo dell’uomo, ma
si radica nell’incontro tra libertà del divino e libertà dell’umano.
DI CESARE D., Grammatica dei tempi messianici, Giuntina, Firenze
2011, pp. 76, € 8,00. 9788880574026
episodio biblico della torre di Babele – come «mito ebraico», senza eroi o
L’
eroine, ma con «una comunità senza nome che vuol farsi un nome» – è
assunto come punto di partenza per un’interpretazione che ridia ascolto alle
domande che su quei complessi versetti di Bereshit 11,1-9 si è posta l’ermeneutica ebraica, dai maestri del Talmud fino ai qabbalisti. «Nella tradizione
ebraica, aniconica e incentrata sulla parola, come il nome di Dio costituisce il
suo potere, così il nome che gli uomini si sono fatti, si sono imposti e apposti
autonomamente, costituisce il loro potere indirizzato contro Dio». E qui sta
l’idolatria, in una ricerca di fama e di gloria ma anche di centralismo totalizzante e concentrazionario. Nel bellissimo percorso attraverso l’ermeneutica e
la teoria della traduzione – perché la diversità delle lingue è nel disegno di Dio
per il bene dell’umanità – si costruisce pian piano una riflessione sul significato della dispersione ebraica e del compimento messianico.
FRICKER D., SIFFER N., La fonte Q. Il “vangelo” ritrovato di Gesù,
Figlio dell’uomo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 212,
€ 23,00. 9788821570025
a cura di Gabriella Caramore
pp. 112, € 10,00
ggetto dello studio è una delle ipotesi più interessanti e longeve nelO
l’ambito delle scienze bibliche: l’esistenza, tra le fonti dei Vangeli di
Matteo e Luca, della cosiddetta «fonte Q». Delineato il quadro storico del-
Alberto Anelli
la redazione dei Sinottici, gli aa. presentano la ricostruzione del documento Q fatta emergere dalla composizione finale dei due Vangeli. «Ne risulta un testo restituito a contorni talora non nitidi o esitanti, ma il cui andamento generale custodisce una struttura coerente e un contenuto ricco
e caratterizzato, trasmesso essenzialmente sotto forma di parole e di discorsi di Gesù». Il vol. non manca di interrogare il contenuto cristologico
e teologico della stessa fonte.
Heidegger e la teologia
pp. 152, € 12,50
Nicoletta Cusano
Emanuele Severino
Oltre il nichilismo
pp. 544, € 38,00
KLAUCK H.-J., La lettera antica e il Nuovo Testamento, Paideia, Brescia
2011, pp. 471, € 47,50. 9788839407924
l genere letterario della «lettera antica» è stato analizzato dalla critiIpostali),
ca letteraria in tutti i suoi aspetti: quello materiale (la carta e sistemi
le forme non letterarie (diplomatica) e letterarie (poesia e filo-
Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605
www.morcelliana.com
464
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
CXXIV
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
Pagina CXXV
CICLO DI LICENZA
BIENNIO DI SPECIALIZZAZIONE IN
TEOLOGIA PASTORALE
sofia), la tecnica compositiva (epistolografia e retorica). Il vol. nasce
dall’esperienza dell’a., docente universitario di NT e Letteratura cristiana antica, che ha inteso offrire un’introduzione alle lettere del NT.
Il testo presenta prima il tema in modo sistematico, servendosi di numerosi studi critici, anche tra i più recenti, per giungere poi a delineare il ruolo avuto dal genere lettera sia nel giudaismo antico sia nel cristianesimo delle origini.
MIDALI M., Teologia pratica. 5. Per un’attuale configurazione
scientifica, LAS, Roma 2011, pp. 192, € 13,00. 9788821307959
el V vol. dedicato alla Teologia pratica, l’a. si occupa dello statuto
N
epistemologico della disciplina e delle relazioni (interdisciplinari e
transdisciplinari) con le altre scienze umane e le altre discipline teologiche (dogmatica, morale e teologia spirituale). Vengono affrontate
questioni che vanno dall’oggetto materiale (la prassi religiosa e cristiana), all’oggetto formale (il tipo di riflessione); dalla difesa del carattere
scientifico e teologico, all’articolazione interna in discipline settoriali
(catechetica, omiletica, pastorale giovanile ecc.) di un sapere che «si
configura come scienza di confine tra le altre discipline teologiche e le
scienze umane».
CORSI
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
P
RIMO sSEMESTRE
EMESTRE
PRIMO
• Bibbia e morale. Analisi etico-teologica di alcuni testi del
•
•
•
•
•
•
nuovo testamento (PROF. G. TRENTIN)
Racconti di iniziazione negli Atti degli Apostoli
(PROF. A. BARBI)
Psicologia pastorale (PROF. A. PERUFFO)
Seminario - Iniziazione cristiana: la comunità educa alla
fede (PROFF. D. VIVIAN / E. FALAVEGNA)
Metodologia della ricerca (PROF. R. TOMMASI)
L’agire comunicativo della Chiesa (PROF. A. TONIOLO)
Carità ‘faticosa’: dal dono alla giustizia – dalla perfezione
all’edificazione (PROF. M. PASINATO)
«Rivestitevi del Signore Gesù Cristo» (Rm 13,14).
La qualità pratica della vita cristiana (PROF. B. SEVESO)
Catechesi e agiografia (PROF. G. GIACOMETTI)
MINARDO A., La potenza di Dio. Studio storico-tipologico su un attributo divino, Cittadella, Assisi 2011, pp. 408, € 22,00. 9788830811263
•
hi mai avrebbe «il coraggio umile e quasi disperato di parlare di quelC
l’attributo e di quella realtà che la teologia osa soprannominare “onnipotenza divina”?» (dalla prefazione di E. Salmann). È quanto si propo-
•
ne l’a., che ha dedicato la sua ricerca dottorale allo scavo di «uno degli attributi divini più discussi e problematici». Il Dio che emerge lentamente
dalla trama del presente studio, focalizzato sul II millennio dell’era cristiana, «non è un tiranno, una chimera da fiaba, un mostro proiettato dalle
nostre angosce (…); si rivela, invece, una presenza che si compiace della vita, crescita e libertà altrui, del mondo; è questa la sua essenza, potenza,
possibilità». Testo di studio.
SECONDO SEMESTRE
RAVASI G., Gli Atti degli apostoli. Cinque conferenze tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano, EDB, Bologna 2011, CD, € 17,40.
EAN 8033576840222
• I criteri antropologici di una educazione sessuale
•
•
•
•
Pastorale, Catechesi, Liturgia
BIEMMI E., Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB,
Bologna 2011, pp. 108, € 9,00. 9788810621462
on il «secondo annuncio» la Chiesa si rivolge a quegli adulti che
hanno ricevuto una prima educazione cristiana nell’infanzia ma che
in seguito si sono allontanati dalla fede o dalla pratica. Il vol. ha come finalità non di dire l’ultima parola sul tema, ma di stimolare i primi passi
per una conversione missionaria della pastorale e della catechesi nelle
parrocchie.
C
BISAGNI G., ZAGO P., Tra il dire e il fare. I discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo, Città nuova, Roma 2010, pp. 171, € 12,50. 9788831144322
•
•
•
•
•
(PROF. G. MAZZOCATO)
Amore e matrimonio: teologia, pastorale e spiritualità
(PROF. O. SVANERA)
L’azione pastorale della Chiesa nell’epoca del Grande
Disciplinamento (PROF. C. CENTA)
Seminario – Iniziazione cristiana: la comunità educa alla
fede (PROFF. D. VIVIAN / E. FALAVEGNA)
La messa come “sacrificio propiziatorio”
(PROF. M. GALZIGNATO)
Teologia della fede ed esperienza spirituale
(PROF. G. TRABUCCO)
La partecipazione alla “cura pastorale”
(PROF. L. TONELLO)
Metodologia teologico-pratica
(PROFF. L. FANIN / R. TOMMASI / A. TONIOLO)
L’iniziazione cristiana degli adulti: prospettiva liturgica
(PROF. A. DI DONNA)
Pastorale della salute e counseling pastorale con i malati
(PROF. A. BRUSCO)
Pedagogia della relazione (PROFF. P. MILANI / M. IUS)
er rispondere all’esigenza di tradurre e incarnare nella vita concreta
P
l’esempio e le parole di Gesù, gli aa. hanno trasformato l’esperienza
del cammino sulla Parola della comunità di san Leone Magno di Milano
•
in un libro che risulta strumento utile per la catechesi. Nella I parte i cinque grandi discorsi del Vangelo di Matteo (quello della Montagna, quello missionario, quello parabolico, quello ecclesiologico e quello escatologico) vengono ampiamente commentati e spiegati; mentre nella II vengono riportate delle linee guida per costruire una lectio su quegli stessi discorsi.
La Facoltà mette a disposizione delle Borse di studio per
la prosecuzione degli studi con il Dottorato di ricerca.
CXXV
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
465
SEDE: Via del Seminario 29 - 35122 PADOVA
Tel. 049 664116 - Fax 049 8785144
E-mail: [email protected] – Sito: www.fttr.it
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
www.edizionimessaggero.it
Pagina CXXVI
L
ibri del mese / schede
CIPOLLONE E., GALLOTTI N., GALLOTTI M., In cammino verso l’amore.
La comunità cristiana accoglie e accompagna i fidanzati alle
nozze, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 206, € 13,00. 9788874026487
l vol. raccoglie alcune relazioni e proposte della Consulta regionale di
Ivegno
pastorale familiare abruzzese-molisana nate in occasione del XII Conper operatori di pastorale familiare. L’intento è quello di offrire uno
strumento che faccia riflettere e che interpelli la comunità cristiana chiamata ad accogliere e accompagnare i fidanzati verso il matrimonio come
«un cammino verso l’Amore».
COLOMBO S., Maria. Figlia, sorella, madre, Monti, Saronno (VA)
2010, pp. 63, € 15,00. 9788884771728
vol. contiene i testi di 11 canzoni originali e le immagini pittoriche reIrellative
a ciascuna di esse, realizzate dall’a., sacerdote e artista, per cantala vergine Maria, accompagnate da preghiere composte da una clarissa
del monastero di Milano.
FRÈRE ALOIS DI TAIZÉ, Osare credere. Il cammino della fiducia nelle feste cristiane, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 110, € 10,00.
9788801047813
Dan Bahat
Atlante di Gerusalemme
pag. 184 - € 59,00
Un Atlante riccamente illustrato, con oltre 400 immagini
a colori, che ripercorre la storia della città di Gerusalemme
con cartine, disegni e foto.
possibile credere in Dio nel nostro mondo moderno?». È questa la
«È
domanda da cui parte frère Alois, priore della Fraternità ecumenica di Taizé, nello scrivere questo libro. «La fede si presenta oggi più come
un rischio, il rischio della fiducia»: la bellezza di questo cammino rischioso ma riconciliante è descritta attraverso l’avvicendamento delle feste cristiane, a ognuna delle quali l’a. dedica una riflessione e una preghiera,
condividendo la grande sensibilità con la quale esse si celebrano a Taizé.
GARBERO G., MIGNANI P., Ho udito il grido del mio popolo. Libro di
preghiera con i giovani popolari, lavoratori, della formazione
professionale, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 283, € 15,00.
9788874025442
ttraverso salmi, brani dell’Antico e Nuovo Testamento, documenti del
A
magistero, note pastorali dei vescovi, commenti, spunti di riflessione,
esperienze di vita, il libro vuole far scoprire oggi il senso della preghiera,
soprattutto ai giovani. «Bisogna ripartire dalle domande fondamentali dell’uomo, per incontrare “l’uomo nuovo”, Gesù, colui che è venuto a rivelarci il volto di Dio».
MATTHEEUWS A., Guidati dallo Spirito Santo. Introduzione alla direzione spirituale, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 119, € 12,00.
9788801045369
irigere l’uomo è l’arte delle arti e la scienza delle scienze». L’a. fa
«D
sue le parole di Gregorio di Nazianzo per introdurre il lettore a un
vol. nel quale raccoglie, in modo sintetico, la sua esperienza di direttore
Domenico Cravero
La pastorale centrata sull’affetto
pag. 424 - € 33,00
Un’accurata analisi del cambiamento delle relazioni
affettive, familiari e sociali e la proposta di un percorso
pastorale innovativo e concreto per dare centralità
alla pastorale matrimoniale.
spirituale. Dopo un c. dedicato alle questioni generali (si può trovare Dio
da soli? a cosa serve un accompagnatore spirituale? come sceglierlo? di cosa si deve parlare e con quale atteggiamento? ecc.), si passa più specificamente all’esame della figura dell’«accompagnatore» e della «direzione spirituale», letta secondo tre categorie: «cammino, direzione, missione». Testo introduttivo al tema, accessibile e ordinato.
PAPPALARDO M., SCOLARI L., Per me tu prepari una mensa. Sussidio
per la preparazione dei fanciulli alla prima comunione, EDB,
Bologna 2011, pp. 154, € 10,00. 9788810613559
itinerario guida i bambini, i catechisti e i genitori nella preparazione alL’
la prima comunione, culmine e paradigma della vita cristiana; l’obiettivo è invitarli ad accostarsi a Dio e al suo amore per gli uomini. Ciascuna delle 8 tappe lancia uno sguardo su tutte le dimensioni d’ogni percorso di catechesi: teologica, esistenziale, ecclesiale, pedagogica. Ogni tappa offre materiali di formazione per i catechisti, schede operative con temi e attività per i
bambini, una celebrazione comunitaria; inoltre meditazioni, spunti, preghiere e semplici impegni di vita per i genitori e la famiglia. Completano l’opera
le schede Tutti al cinema! con indicazioni di film a tema.
466
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
CXXVI
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
Pagina CXXVII
Brunetto Salvarani
RUGOLOTTO C., Prime parole su Dio. Itinerario di catechesi
per genitori e figli. I anno, EDB, Bologna 2011, pp. 88, € 5,50.
9788810613566
Il dialogo è finito?
RUGOLOTTO C., Chi è Gesù? Itinerario di catechesi per genitori e
figli. II anno. Quaderno per bambini, EDB, Bologna 2011, pp. 64,
€ 4,50. 9788810613580
Ripensare la Chiesa
nel tempo del pluralismo
e del cristianesimo globale
RUGOLOTTO C., Chi è Gesù? Itinerario di catechesi per genitori e
figli. II anno. Testo per genitori e catechisti, EDB, Bologna 2011,
pp. 192, € 13,50. 9788810613573
propongono un itinerario di catechesi per bambini e famiglie, preIti (davoll.
visto in 5 anni. Esso si rivolge principalmente ai genitori, in quanto adulsoli o in coppia), invitati ad assimilare i contenuti biblici e catechistici, tramite incontri in parrocchia, ed elaborarli tramite la lettura, a casa.
Saranno poi gli adulti a trasmetterli ai propri figli, tramite appositi incontri e attività da svolgere in famiglia. A partire dal 2° anno, per i bambini
sono previsti anche incontri in parrocchia con i catechisti. Tratti peculiari
del progetto sono, da un lato, la semplicità dei testi e dall’altro, l’attenzione alla maturazione cristiana dei genitori in quanto adulti; infine, la scelta
di fornire in ogni tappa spunti per la vita quotidiana, per la catechesi occasionale in famiglia e per la preghiera quotidiana, che possono essere raccolti a formare una sorta di manuale per l’educazione alla fede in famiglia.
Spiritualità
FONTANA S., Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Cantagalli, Siena 2010, pp. 165, € 11,50. 9788882725242
uesto piccolo libro ha una grande pretesa. Vorrebbe indicare (…)
«Q
il principale problema dell’uomo di oggi (…). Si propone di metterlo a fuoco come problema della vocazione e poi affrontarlo dal punto di
vista fenomenologico, ossia esaminandone le manifestazioni nella nostra
vita, poi antropologico e infine politico. Lo scopo è soprattutto di segnalare la strada per un’inversione di tendenza, perché l’uomo sordo alla vocazione non sa dove andare». Questo il dichiarato intento dell’a., che auspica soprattutto a dare ragione della questione politica come questione teologica fondata sulla vocazione, perché «il problema vero è il posto di Dio
nel mondo», dal quale dipende tutto il resto.
LUISIER G., Diario del figliol prodigo. Vent’anni dopo, San Paolo,
Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 117, € 10,00. 9788821569401
originale idea dell’a. è quella di narrare i personaggi e i rapporti faL’
miliari del racconto evangelico del figliol prodigo, immaginati vent’anni dopo il ritorno del figlio minore, esemplare immagine dell’uomo
sofferente che si allontana da Dio ma poi sa ritornare a casa, al cui punto
di vista è affidata la narrazione. Con uno stile denso di suggestioni e immagini bibliche, il libro racconta il rapporto complesso tra i figli e il Padre,
proponendo alcune riflessioni sulla difficoltà di accettare un passato doloroso e sul mistero dello sguardo amorevole del Padre.
MONTAGNA D. M., Stupore. Tutte le poesie edite e inedite (19572000) a cura di Ermes Ronchi e Girolamo Carraro, Servitium,
Sotto il Monte (BG) 2010, pp. 595, € 22,00. 9788881663149
mpotente è il mio pregare/ incessante/ alla tua presenza muta,/ men«I
tre le parole si spengono/ in breve cerchio/ senza eco./ Almeno lasciami credere,/ o invisibile Amato,/ che la tua impercettibile/ vicinanza
sta rinsaldando/ senza tregua/ il destino della mia esistenza», («Impotente
il pregare»), sono i versi di un poeta, frate dell’ordine dei Servi di Maria,
che seppe tradurre in poesia quanto disse Gregorio di Nissa: «I concetti
creano idoli, solo lo stupore coglie qualcosa». Frammenti, squarci di luce
che trovano nei trovadori e nei laudesi i loro medievali archetipi nel lodare
nostra Signora, l’eternità, i millenni. Poesia cortese di un contemporaneo
che seppe, in un panorama di poesia sterilmente dispersa in labirinti poetici d’avanguardia a uso, abuso e consumo di pochi addetti ai lavori, far casto dono di paesaggi, di cieli notturni, di volti di donne. Imperdibile.
CXXVII
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
467
O
biettivo del volume è rendere ragione delle
attuali fatiche del dialogo ecumenico e interreligioso, ma anche rintracciare piste che aiutino
a uscire dallo stallo. E questo, in un momento
ricco di anniversari: i 25 anni dallo storico incontro interreligioso di Assisi (27.10.1986), e i 10
anni dalla proclamazione della Charta Oecumenica
delle Chiese europee (Strasburgo, 22.4.2001). Un
tempo in cui, più che da festeggiare, c’è molto da
riflettere.
«Oggi e domani»
pp. 200 - € 17,50
Dello stesso autore:
Vocabolario minimo
del dialogo interreligioso
Per un’educazione all’incontro tra le fedi
pp. 120 - € 11,60
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
L
25-07-2011
16:17
Pagina CXXVIII
ibri del mese / schede
NOCELLA V., L’amore dall’inizio. Osservazioni in forma di poesia
sul prologo del Vangelo di San Giovanni, Servitium, Sotto il Monte
(BG) 2010, pp. 186, € 16,00. 9788881663101
iscrivere il prologo del Vangelo di Giovanni sotto forma di pensieri
R
poetici è un’impresa particolare e ardita, ma leggere queste pagine «fa
bene al cuore» perché sono frutto evidente di «lunghe meditazioni e preghiere» (p. B. Sorge). A ogni parola o espressione del prologo, significativa
per l’a., corrisponde una riflessione poetica.
QUINZÀ LLEÓ X., Le porte della felicità. Le Beatitudini: benedizione di chi sa scegliere, Paoline, Milano 2011, pp. 180, € 13,00.
9788831538626
a un’esperienza personale, di scampato pericolo, l’a. si trova a riflettere sul dono e la fugacità della vita e in particolare, sulle fragilità come porte aperte «che dobbiamo attraversare per essere felici». Infatti, «se
non vogliamo passare per questa porta stretta, come ci consiglia Gesù nel
Vangelo, perderemo l’occasione e dovremo rassegnarci a vivere malamente fino alla prossima volta che la vita tornerà a svegliarci». Ecco l’intento
del libro: un invito al lettore ad anticipare la felicità di domani attraverso
le Beatitudini.
D
SURIN J.-J., Un Dio da gustare. Pagine di mistica quotidiana dalle
Lettere, Paoline, Milano 2011, pp. 547, € 40,00. 9788831539692
Surin (1600-1665) è figura straordinaria e controversa.
Jdunean-Joseph
Coinvolto nei fenomeni di possessione diabolica delle orsoline di Lou(Francia) ha conosciuto una lunga stagione d’oscurità, di mancato
equilibrio se non di vera e propria pazzia. E tuttavia, la sua lenta ripresa a
partire dal 1650 ha svelato un uomo spirituale di statura fuori del comu-
Giuseppe Sovernigo
Làsciati riconciliare
Esercizi per un laboratorio di formazione spirituale integrata
1. Riconciliàti per riconciliare
2. Gli ostacoli alla riconciliazione
ne. Autore di una decina di opere teologiche e spirituali S. ha affidato alle
lettere l’immediata comunicazione della sua concezione mistica di Dio, del
rapporto diretto con lui da parte dell’anima del credente. Difensore dei
doni e delle grazie straordinarie, viene accusato da alcuni di diffondere
una spiritualità nuova e pericolosa. Ma il tempo e le indagini successive
hanno reso giustizia alla sua intelligenza spirituale. La scelta delle 116 lettere, ordinate in sei sezioni tematiche, attinge al lavoro fondamentale di
Michel de Certeau che nel 1966 pubblicò l’intero epistolario formato da
594 lettere. Un classico.
Storia della Chiesa
AUTIERO A., PERRONI M., Anatemi di ieri, sfide di oggi. Contrappunti di genere nella rilettura del concilio di Trento, EDB, Bologna
2011, pp. 303, € 23,70. 9788810415238
l 450° anniversario della chiusura del concilio di Trento, nel prossimo
Ichiave
2013, stimola ad aprire una finestra di approfondimenti e di ricerca in
storica e teologica. Un taglio non consueto è quello che porta a interrogarsi sugli effetti che il Concilio ha avuto riguardo alla considerazione sulla natura e sul ruolo delle donne nella vita religiosa, nella prassi di
Chiesa, nel lavoro teologico. Una rilettura teologica di questo fenomeno
contribuisce a una migliore comprensione della genesi e della valenza di
quanto il Concilio ha detto e fatto. Il vol. scandisce i momenti e le tappe
di un simile intreccio, facendone risaltare i nodi problematici, ma evidenziando anche gli spunti originali e promettenti per successivi approfondimenti.
DOTTA G., Leonardo Murialdo. Infanzia, giovinezza e primi ministeri sacerdotali (1928-1866), Libreria editrice vaticana, Città del
Vaticano 2011, pp. 347, € 36,00. 9788820984922
acerdote torinese, educatore, fondatore della Congregazione di San
S
Giuseppe, san Leonardo Murialdo è una figura ascrivibile alla schiera
dei santi sociali dell’Ottocento. La biografia degli anni della giovinezza è
stesa sulla base di un ampio e minuzioso ricorso a fonti d’archivio, a colmare una lacuna sinora avvertita nella ricostruzione storica della vita del
fondatore dei «Giuseppini del Murialdo».
SAN BERNARDINO DA SIENA, Antologia delle prediche volgari. Economia civile e cura pastorale nei sermoni di san Bernardino da
Siena, Cantagalli, Siena 2010, pp. 230, € 14,00. 9788882725877
e erano già stati studiati gli insegnamenti economici di Bernardino da
S
Siena, tanto da farlo annoverare tra i maggiori pensatori economici del
Medioevo, le analisi erano sinora state condotte sui soli sermoni latini, indirizzati dal santo ai giovani francescani studenti di teologia. La presente
opera trova ulteriori elementi utili sul pensiero economico e sociale di san
Bernardino all’interno delle prediche volgari, destinate alla folla riunita nel
Corso (1425) e poi in piazza del Campo (1427). Esse tratteggiano il delinearsi di una nuova dottrina civile che dà spessore all’idea di valore economico, alla fraternità umana e alla relazione sociale in aggiunta ai tradizionali valori d’uso e di scambio (l’economia di comunione ha radici lontane).
n che cosa consiste il processo di riconciliazione? Che cosa
Ipercorso,
lo facilita? Quali sono le fratture ricorrenti che lo bloccano? Il
in 4 volumi, offre esercizi per un laboratorio di crescita personale e di gruppo.
«Genitori-figli e formazione»
pp. 80 cad. - € 6,00 cad.
Di prossima uscita i volumi successivi:
3. Gli alleati nel processo di riconciliazione
4. Itinerari per un processo di riconciliazione
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
VACCARO L., ZEKIYAN B. L., Storia religiosa dell’Armenia. Una cristianità di frontiera tra fedeltà al passato e sfide del presente,
ITL, Milano 2010, pp. 476, € 20,00. 9788880257547
er il popolo armeno la fede cristiana e l’identità nazionale sono stretP
tamente associate, con il riferimento centrale della Chiesa apostolica
armena che ha rappresentato per secoli, e ancor più intensamente nel tragico Novecento del genocidio e della deportazione, il punto d’incontro e
di unità. Il vol. raccoglie i contributi presentati all’omonima XXIII Settimana europea organizzata nel 2001 dalla Fondazione ambrosiana Paolo
VI in occasione del 1700° anniversario della conversione al cristianesimo
del re armeno Tiridate III insieme al suo popolo, nel 301. La qualità in-
468
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
CXXVIII
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
dubbia dei contributi si somma alla qualità della collana («Europa ricerche»), che nel corso degli anni ha formato un corpus di voll. sulla storia religiosa di numerosi paesi europei di notevole interesse.
Pagina CXXIX
lano-Bicocca, che si definisce un non credente «che, come tanti uomini e
tante donne, non ha mai cessato d’interrogarsi sul mistero di esistere»,
espone i motivi che gli impediscono di credere e i sentimenti che prova per
l’esperienza religiosa.
INTROVIGNE M., ZOCCATELLI P., La messa è finita? Pratica cattolica
e minoranze religiose nella Sicilia centrale, Salvatore Sciascia
editore, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 270, € 20,00. 9788882413385
Attualità ecclesiale
APRILE B., Dialogo tra le culture. Ebraismo – cristianesimo – islam,
EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 391, € 30,00.
9788825023749
rutto dell’attività della «Cattedra di dialogo tra le culture», promossa
F
dalla Facoltà teologica «San Bonaventura» di Roma (frati minori conventuali) insieme all’Istituto teologico ibleo «San Giovanni Battista» di Ragusa, il vol. propone i contributi del primo ciclo d’incontri su «Ebraismo –
cristianesimo – islam» nel 2008-2009. L’impianto privilegia soprattutto la
dimensione culturale, più che religiosa, del dialogo, secondo l’impostazione preferita da Benedetto XVI, e dunque il piano sapienziale che permette alle diverse culture di educare l’uomo ai valori che stanno alla base dell’umanità stessa.
CAMPANINI G., Un uomo nella Chiesa. Don Primo Mazzolari,
Morcelliana, Brescia 2011, pp. 266, € 20,00. 9788837224387
dati presentati in questa ricerca di sociologia religiosa intendono
Iquenza
spiegare l’ampia indagine dal titolo «Credere e appartenere. La freai riti religiosi nella Sicilia centrale» promossa nel 2009 dal
Centro studi sulle nuove religioni (CESNUR) in collaborazione con la
diocesi di Piazza Armerina. Una ricerca che può essere utile agli
«“operatori pastorali” per monitorare la situazione religiosa dei vari
paesi in vista di una programmazione pastorale organica che parta dall’analisi della realtà per puntare a una “nuova evangelizzazione” che si
apra al dialogo ecumenico e tenga presente il “giorno del Signore” e
dei sacramenti» (dalla prefazione di mons. Michele Pennisi, vescovo
della diocesi).
RIOLI M.C., Guarigione di popoli. Chiese e comunità cristiane nelle commissioni per la verità e la riconciliazione in Sudafrica e
Sierra Leone, EMI, Bologna 2009, pp. 255, € 13,00. 9788830718555
sistono già ora «dei segnali di consolazione» in Africa, in particolaa bontà è un’altra cosa. Essa viene davanti e si fa strada nel cuo«L
re con un senso di pietà che abbraccia ogni creatura e che t’im- Ere in Sierra Leone e in Sudafrica, paesi molto diversi fra loro, ma
pedisce di giudicare, perché tu stesso ti senti spaccato dalla tua stessa che l’a. ha voluto «accostare per la scelta di ambedue di istituire, dopo
povertà, che è poi la povertà di ognuno»: sono parole di don Mazzolari
(1890-1959) scritte nel 1955 e commentate con benevolente simpatia
dall’allora patriarca di Venezia, Roncalli (poi Giovanni XXIII). L’incontro di Mazzolari con alcuni dei protagonisti della Chiesa della seconda metà del Novecento è l’ultima parte di un libro che rappresenta
per l’a. una sorta di sintesi di studi a lungo coltivati. Si parte dal racconto dell’inizio pastorale del giovane prete e delle sfide che si profilano
ben oltre i confini della parrocchia; si passa poi al tema della ricerca di
nuove vie di testimonianza (il rapporto con la politica, il modernismo, i
lontani, la rivista Adesso); s’affronta la questione della profezia della pace, per poi arrivare al c. dedicato agli incontri con Bonomelli, Rossi,
Bernstein, Fanfani, La Pira, Roncalli, Dossetti.
le tragedie dell’apartheid e della guerra civile, una Commissione per la
verità e la riconciliazione... con l’obiettivo di raggiungere una forma di
giustizia restaurativa che adotti come caso serio la testimonianza delle
Renzo Lavatori
Lo Spirito Santo:
persona e missione
CENSIS, CEI, Spiritualità e operosità delle donne imprenditrici. Risultati di un’inchiesta e testimonianze, Franco Angeli, Milano
2010, pp. 156, € 19,00. 9788856824711
razie alla riflessione promossa dal gruppo di lavoro «Quando la
G
donna è imprenditore» dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, nel 2007 è stata commissionata al Censis una ricerca sul tema «Spiritualità e operosità delle donne imprenditrici: le
tendenze in atto» che ha prodotto numerosi commenti e dibattiti sfociati in questo vol. La presentazione è di mons. A. Casile, direttore dell’Ufficio CEI, che sottolinea le implicazioni pastorali dei risultati della
ricerca e l’introduzione a quattro mani è fatta dalla teologa M. Perroni
e dalla storica economica V. Negri Zamagni. Chiudono il vol. nove testimonianze per valutare i risultati della ricerca rispetto alla loro esperienza di vita.
DEMETRIO D., La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 158, € 11,00.
9788825029093
invito lanciato da Benedetto XVI nel 2010 sotto il nome di «Cortile
L’
dei gentili» – perché la Chiesa apra un dialogo «con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo
almeno come Sconosciuto» (Regno-doc. 1,2010,11) – viene raccolta dall’omonima collana di Messaggero, che conta a oggi 5 titoli. In questo volumetto l’a., docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Mi-
CXXIX
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
469
C
hi è e che cosa fa lo Spirito Santo?
Con impianto chiaro ed essenziale,
il testo delinea alcuni sprazzi luminosi
della dottrina sulla terza Persona della
Santissima Trinità. I vari aspetti teologici e pastorali sono raccolti attorno a
due nuclei fondamentali: l’identità personale del Paraclito, e la sua azione
nella vita della Chiesa e dei cristiani.
«Bibbia e catechesi»
pp. 272 - € 19,80
Dello stesso autore:
Gesù visto da vicino
pp. 256 - € 19,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
Pagina CXXX
L
ibri del mese / schede
Roberto Palazzo
La figura di Pietro
nella narrazione
degli Atti degli apostoli
N
egli anni recenti e non, gli studi
su Pietro sono stati numerosissimi e si possono raccogliere attorno a
tre centri d’interesse: esegetico-dottrinale, ecumenico, esegetico-teologico.
All’interno di quest’ultimo campo, lo
studio verifica con l’ausilio dell’analisi
narrativa com’è caratterizzato il personaggio di Simon Pietro negli Atti
degli apostoli, prendendo in considerazione sia i singoli passi e brani,
sia il libro nel suo complesso.
«Supplementi alla Rivista Biblica»
pp. 160 - € 15,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
vittime, la riconciliazione e la guarigione delle ferite del passato, il ristabilimento e la ricostruzione di relazioni, piuttosto che la paura e la
semplice condanna penale dei responsabili di crimini» (dalla prefazione di B. Salvarani).
ACCORNERO P.G., Papa Wojtyla. Un grande santo. La Sindone, i
viaggi, i santi in Piemonte, Editrice Il Punto – Piemonte in bancarella,
Torino 2011, pp. 221, s.i.p. 9788888552743
GRANA F.A. (a cura di), Santo padre. Le omelie di Benedetto XVI per
Giovanni Paolo II, L’Orientale editrice, Napoli 2011, pp. 124, € 20,00.
9788887466720
Filosofia
CALABRÒ P., Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne, Diabasis, Reggio Emilia 2011, pp. 150, € 15,00. 9788881037537
n viaggio coraggioso nel quale ci s’interroga sulla compatibilità tra la
U
filosofia di P. e il pensiero scientifico moderno. Le riflessioni di alcuni
scienziati sui fondamenti filosofici della loro attività (Heisenberg, Planck,
Bohr, Einstein tra gli altri), permettono all’a. di mostrare un’inattesa compatibilità di posizioni col pensiero di P. su temi come l’oggettività e l’universalità della scienza, l’esistenza della cosa in sé e della «materia inanimata». Il vol. intende «presentare l’esistenza di una filosofia, la metafisica
cosmoteandrica, grazie alla quale è possibile dissolvere alcune contraddizioni tipiche delle idee di cosa in sé e di oggettività».
CURCI S., La nascita dell’ateismo. Dai clandestini a Kant, LAS, Roma
2011, pp. 192, € 12,00. 9788821307744
a «nefasta separazione»: è questa l’espressione usata da Giovanni PaoL
lo II per indicare quella traiettoria che di fronte alla giusta distinzione
tra teologia e filosofia ha preteso di separare quest’ultima dalla prima. Ta-
Davide D’Alessio
Una comunità
di uomini liberi
Sui passi del Vangelo di Giovanni
I
l quarto Vangelo, a differenza dei
sinottici, si concentra su alcuni
momenti della vita di Gesù, ricostruendoli con molti dettagli. Quei
momenti hanno infatti aperto gli occhi a Giovanni sulla verità del Figlio
di Dio. Seguendo il metodo della lectio divina, le riflessioni del volume
declinano quattro passaggi successivi: ascoltare la Parola, farsi discepoli, conoscere la verità e diventare
uomini liberi.
«Lettura pastorale della Bibbia - sez. Bibbia e spiritualità»
pp. 176 - € 16,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
le frattura determinatasi nel tardo Medioevo diviene, dopo la speculazione cartesiana, classico modo di vedere Dio come concetto che perde la sua
centralità per divenire tutt’al più garante di un sistema deduttivo come è
nel caso dei razionalisti, oppure, come afferma l’empirismo, neanche più
questo. L’a. con una disamina rigorosa, lucida, chiara raccoglie i vari tasselli di un mosaico non sempre facile da afferrare. Con tale quadro d’insieme permette di far capire le linee «ufficiali» e «clandestine», vale a dire
una pista indiretta e una più esplicita tramite le quali si può penetrare il fenomeno dell’ateismo che nella divisione tra teologia, filosofia e scienze positive trova la sua ragion d’essere.
FORNI ROSA G., La filosofia cristiana. Alla società francese di filosofia 1927-1933, Marietti, Milano 2011, pp. 124, € 18,00. 9788821175497
a questione della cosiddetta «filosofia cristiana» fu dibattuta in FranL
cia tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Nella Chiesa era
in corso la lotta al modernismo e alle istanze storicistiche del pensiero
moderno. Il vol. presenta, nella I parte, il tentativo «di dare un volto nuovo alla filosofia all’interno del cattolicesimo» a cavallo fra il XIX e il XX
secolo. Nella II, l’a. riporta il successivo dibattito alla Società francese di
filosofia (1927-1933) che, «sotto l’attento controllo dell’autorità ecclesiastica», vide contrapporsi gli alfieri del ritorno al tomismo, Maritain e Gilson, e i sostenitori della moderna «via dell’immanenza», Blondel e Bréhier.
GRONDIN J., Introduzione alla filosofia della religione, Queriniana,
Brescia 2011, pp. 165, € 14,00. 9788839908506
a un senso questa vita? Vi è in essa un’origine, una direzione, uno
H
scopo? La religione è, nell’esperienza umana, una risposta alla questione del senso tra le «più forti, più antiche e più credute». Compito di
una filosofia della religione è «meditare sul senso di questa risposta e sul
470
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
CXXX
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
posto che essa si assume nell’esistenza umana sia individuale sia collettiva». Il vol., agile introduzione alla filosofia della religione, esibisce un
impianto insolitamente «rovesciato»: dalle questioni più attuali e sistematiche, come la sfida della scienza moderna al religioso, all’analisi storica, che ripercorre le questioni fondamentali della disciplina dal mondo greco ad Heidegger.
JASPERS K., Il male radicale in Kant, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 77,
€ 8,00. 9788837224820
a svolta dalla radicalità alla banalità del male di una sua ex allieva,
L
Hannah Arendt, provocò Jaspers a misurarsi nella maturità con la
questione dell’inseità del male e a tornare sull’idea kantiana di «male radicale». Il filosofo aveva già affrontato il tema in un saggio del 1935, che
il vol. propone per la prima volta in traduzione italiana. La questione
abissale del male, che sospinge il pensiero fino al baratro del «non sapere», offre a Jaspers l’occasione di evidenziare la forza della filosofia trascendentale: «La forza di Kant sta dove egli, nella pura formalità, suscita il moto che illumina l’origine (…) con una purità raramente raggiunta da altri pensatori».
Storia, Saggistica
AOUN S., Parole-chiave dell’islam, EMP - Edizioni Messaggero, Padova
2011, pp. 179, € 18,00. 9788825022650
ipartiti per ambiti (termini giuridici, politici, economici e sociali, filoR
sofici e mistici, del dogma e del rituale, personalità celebri), sono proposti in questo glossario i concetti principali che possono costituire una
Pagina CXXXI
re del proprio corpo e a determinare le proprie scelte riproduttive. Ma
se ascolterà fino in fondo ciò che queste scelte portano dentro di sé, vedrà che non parlano soltanto delle donne, ma parlano di lui, del suo
rapporto col proprio corpo, con la sua identità di uomo, e che contengono una domanda che va oltre la disponibilità alla cessione di spazi di
potere o la condanna di forme di violenza e di oppressione. Ascoltare
quella domanda è forse un’opportunità, per costruire un percorso di libertà e una ricchezza per la sua vita» (16-17). Il testo ripercorre l’esperienza dell’associazione nazionale Maschile plurale, sorta nel 2007, e le
riflessioni svolte sino a oggi. Un filone di pensiero innovativo.
CIGNELLI L., PIERRI R., Sintassi di greco biblico. (LXX e NT), Edizioni
Terra Santa, Milano 2010, pp. 140, € 14,00. 9788862401005
ai corsi di greco biblico tenuti presso lo Studium biblicum franD
ciscanum di Gerusalemme, i due aa. propongono – dopo il Quaderno I.A sulle concordanze, edito nella serie «Analecta», n. 61 –
un’approfondita trattazione di un argomento centrale per l’interpretazione dei testi, qual è l’uso delle diatesi verbali (la varietà di disposizione del soggetto nei confronti del processo verbale inteso come attivo, passivo o medio), una caratteristica della lingua greca ricca di
possibilità espressive non sempre adeguatamente analizzate. Lo studio rileva quanto nel verbo greco l’opposizione tra soggettività e oggettività sia molto più estesa rispetto a quanto di solito osservato negli studi. I due aa., il primo dei quali scomparso nel 2010, propendono per non accreditare per il greco biblico un uso delle diatesi influenzato dalle lingue semitiche. Sono in preparazione i quaderni sull’articolo (I.B), i casi (I.C), le preposizioni (I.D), i tempi e i modi (II.B),
l’infinito e il participio (II.C).
primissima introduzione alla cultura musulmana: stato delle riflessioni, interpretazioni e controversie. L’a. è un politologo che insegna all’Università di Sherbrooke, Québec.
CASTELVETRO L., Filologia ed eresia. Scritti religiosi, Morcelliana,
Brescia 2011, pp. 363, € 25,00. 9788837224455
Gianfranco Ravasi
e opere qui raccolte del filologo, umanista e critico letterario moL
denese vissuto nel XVI secolo – morto in esilio dopo essere sfuggito a un processo inquisitoriale e del quale sinora non sono stati trovati
Gli Atti
degli apostoli
scritti di contenuto teologico – sono i testi di attribuzione certa e utili a
illuminare il suo pensiero religioso, questione centrale nella definizione
del suo profilo complessivo e tuttavia rimasta marginale. Si tratta di alcune opere ancora inedite e di altre ormai di difficile reperibilità, compresi i volgarizzamenti di scritti di Filippo Melantone ed Egidio Foscherari, vescovo di Modena. Una figura meno nota, ma molto rappresentativa dell’ambiente culturale del secolo della Riforma e della
Controriforma.
CHALIER C., Le lettere della creazione. L’alfabeto ebraico, Giuntina,
Firenze 2011, pp. 117, € 10,00. 9788880574095
a., filosofa, allieva e interprete originale di Levinas, che in varie
L’
opere ha esplorato i legami tra filosofia e tradizione ebraica (cf. anche Regno-att. 10,2002,331 su Le Matriarche e l’intervista su Regno-att.
22,2002,721), indaga sulla funzione delle lettere in una creazione che
deve tutto alla parola, ispirandosi tanto alla grafia quanto alle suggestioni del Talmud e dello Zohar in una scrittura piena di simbolismo e
radicamento nella tradizione ebraica.
CICCONE S., Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier,
Torino 2009, pp. 252, € 18,00. 9788878850750
n uomo può schierarsi per la parità dei sessi nell’accesso al po«U
tere o al reddito, può battersi contro la violenza sulle donne o
la mercificazione dei loro corpi, può affermare il loro diritto a decide-
CXXXI
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
471
Cinque conferenze
tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano
I
n un CD formato MP3 vengono
proposte le cinque conferenze del
card. Ravasi, che commentano il libro
degli Atti degli apostoli. Uno strumento adeguato al pubblico di oggi
e molto apprezzato per la chiarezza
espositiva e la profondità di analisi
del noto biblista.
«Lettura della Bibbia»
Cofanetto CD/MP3 - € 17,40
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
Pagina CXXXII
L
ibri del mese / schede
Alfio Mariano Pappalardo
Chi non è ospitale
non è degno di vivere
Suggestioni per una spiritualità
dell’accoglienza
L’
ospitalità chiama necessariamente
in causa la propria visione di Dio, il
modo di rapportarsi con lui, con se
stessi e con gli altri. L’autore disegna
la mappa di una spiritualità dell’accoglienza, a partire dai testi biblici. In un
tempo in cui spesso atteggiamenti xenofobi tradiscono la paura del diverso,
ripercorrere il vangelo dell’accoglienza
significa dire una parola di umanità e di
fede al cuore e alla mente dei cristiani.
«Itinerari»
pp. 224 - € 19,50
Dello stesso autore:
L’Eucaristia sorgente della Chiesa?
pp. 128 - € 11,50
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
CORUZZI R., SALETNICH E., Distanze ravvicinate. Alcune amicizie,
San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 198, € 12,50. 9788821568701
a scrittura è sempre stato un mezzo eccellente per esplorare e racconL
tare sé stessi e comunicare con gli altri, anche quando lontani. Questo
rimane valido a maggior ragione oggi che ci si può avvalere di nuove tecnologie. Così una studentessa universitaria disabile col progetto di diventare scrittrice e un professionista romano quarantenne, coniugato, decidono di conoscersi e scrivere un libro attraverso uno scambio epistolare via
e-mail, in cui parlano di sé stessi e delle proprie passioni, superando distanze geografiche e di vita.
DE PADOVA M., In corpore meo, Aculmine, Alessandria 2011, pp. 101,
€ 16,00.
a prigionia dei giorni, le trappole del proprio corpo, le infermità
L
dell’anima: forse nient’altro che una poesia che scava nel dato quotidiano con uno stile che non cede di un’unghia ai giri armonici delle
parole o delle facili allitterazioni. Una poesia spoglia, ma al tempo stesso pudica che sa farsi, a tratti, invocazione a un «dio ignoto» eppure da
sempre presente nel periferico, nel fioco, nella rimanente certezza di essere: «Ombre a convergere noi siamo,/ procedendo a puntate/ sopra
de claritate,/ io e Dio che non si mostra/ oh vieni allo scoperto;/ insomma parla se/ io sono residuale/ marginale/rispetto al resto universale/ ma tutto s’aggroviglia, s’abbuia/ e m’impaura/ lo stallo/ oltremisura».
FIGHERA G., «Amor che move il sole e l’altre stelle». L’uomo, l’amore, l’infinito, Ares, Milano 2010, pp. 283, € 18,00. 9788881555055
erzo libro dell’a. che, dopo la felicità e la bellezza, si focalizza sul
T
tema dell’amore, inteso come agape più che eros, intrecciando le
proprie riflessioni con citazioni tratte dalla tradizione classica e moderna, spesso con una certa spregiudicatezza per avvalorare le proprie tesi.
Innocenzo Gargano
«Lectio divina»
su il Vangelo di Matteo/5
«Coraggio, sono io!» (cc. 13,53–18,35)
P
rosegue l’apprezzata lectio divina
dell’autore sul Vangelo di Matteo.
Il testo commentato appartiene a uno
dei cinque grandi discorsi di Gesù, il
«discorso ecclesiastico», e alla sezione
narrativa che lo introduce. Non mancano eventi, episodi, miracoli, situazioni
personali di Gesù e dei suoi discepoli
sui quali Matteo sollecita la particolare
attenzione dei lettori.
«Conversazioni bibliche»
pp. 160 - € 13,50
«Lectio divina»
su il Vangelo di Matteo/1, 2, 3 e 4
EDB
9788830719590
li aa. formulano al termine del vol. la «proposta di un’ora di
G
storia delle religioni curricolare per le scuole di ogni ordine e grado» (235ss). Partendo dalla duplice costatazione che da un lato «l’Italia è una culla degli studi storici sulle religioni» (12) e dall’altro che
l’ora di religione prevista dal concordato tra stato e Chiesa cattolica serve a «far conoscere la religione cristiana cattolica a chi viene da
lontano» (13), c’è uno spazio ulteriore e non escludente il precedente per un insegnamento che con un taglio storico-scientifico sia incentrato sulle religioni con cui il mondo globalizzato viene ogni giorno sempre più a contatto. La prassi e il dibattito europei stanno da
tempo esplorando questi territori e anche di questi esempi ragiona
il vol., presentando nell’ultima parte alcuni casi. Il tema è stato trattato anche nel numero monografico del 2009 di Studi e materiali
di storia delle religioni – «L’insegnamento della storia delle religioni in Europa tra scuola e università» – pubblicato da Morcelliana
nel 2009.
Politica, Economia, Società
In libreria i volumi precedenti:
pp. 128/184 - € 13,50 cad.
Edizioni
Dehoniane
Bologna
GIORDA M., SAGGIORO A., La materia invisibile. Storia delle religioni a scuola. Una proposta, EMI, Bologna 2011, pp. 239, € 14,00.
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
BAZZICHI O., Il paradosso francescano tra povertà e società di mercato.
Dai Monti di Pietà alle nuove frontiere etico-sociali del credito,
Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 175, € 15,00. 9788874026654
sembrare paradossale legare la spiritualità francescana con la
Puòscienza
economica. Invece con questo studio, l’a. analizza l’emer-
472
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
CXXXII
464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2
25-07-2011
16:17
gere di una dottrina economica e sociale nella Scuola francescana
medievale e tardo-medievale, fino all’istituzione dei Monti di Pietà,
dei quali viene evidenziata la radice teologica e antropologica. La riflessione finale sul difficile concetto di gratuità viene proposta con la
prospettiva di trovare, nella presente stagione di crisi economico-finanziaria e antropologico-relazionale, «suggestioni e spunti per immaginare un modello di sviluppo diverso».
CAMPIGLIO L., ZAMAGNI S., Crisi economica, crisi antropologica.
L’uomo al centro del lavoro e dell’impresa: come il credito può
favorire lo sviluppo. Rimini, 31 gennaio 2009, Il Cerchio
iniziative editoriali, Rimini 2010, pp. 53, € 6,00. 9788884742278
tti del convegno organizzato dalla Fondazione internazionale
A
Giovanni Paolo II per il magistero sociale della Chiesa insieme alla Unione provinciale cooperative di Rimini e a cinque banche di credito cooperativo sul tema della crisi economica, partendo dalla comune sensibilità di questi enti rispetto alla dottrina sociale della Chiesa. La riflessione su questo tema, con il contributo dei due studiosi
Campiglio e Zamagni, ha portato a interpretare quella attuale «come
una crisi fondamentalmente di tipo antropologico, quindi una crisi
della concezione dell’uomo, della vita e del lavoro».
CAPRARA G.V., SCABINI E., SCHWARTZ S.H., I valori nell’Italia
contemporanea, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 364, € 32,00.
Pagina CXXXIII
Pedagogia, Psicologia
ACETI E., Amarsi e capirsi. Per un’educazione alla reciprocità,
Monti, Saronno (VA) 22010, pp. 100, € 8,00. 9788884772138
a nostra è l’epoca dei legami spezzati, ma anche dei legami ricerL
cati». Di fronte ai reiterati rapporti sulla crisi della famiglia, è necessario riconoscere che la sua importanza rimane ancora fondamentale per la nostra società. Nel tentare di leggere la crisi della coppia e
della famiglia nella sua dimensione psicologica, l’a. sottolinea la necessità d’investire nella cura dei legami, affinché essi possano durare e approfondirsi nel tempo, e arriva a fare una proposta coraggiosa: «rendere obbligatorio in tutti i comuni l’organizzazione di corsi per la formazione al matrimonio».
AJROLDI M., Dimensione casa. Cultura e cura della vita domestica,
Ares, Milano 2011, pp. 198, € 12,00. 9788881555239
l vol. propone un itinerario fatto di riflessioni e sentimenti, ognuno inIderna,
trodotto da un’immagine poetica tratta dalla letteratura antica o mosull’«essere e il fare famiglia», per arrivare infine a scoprire «l’orizzonte di riferimento unitario» che è la fede cristiana. L’a. si rivolge in particolare alla donna, interpretando il ruolo femminile come principale custode di una «cultura della cura» che si esprime specialmente nella dimensione della casa.
9788856834475
l tema dei valori, una «costante della riflessione etica e filosofica nella storia delle idee», si è rivelato – con lo sviluppo delle scienze dell’uomo – un «punto di incontro tra scienziati sociali di diversa provenienza disciplinare». I contributi raccolti nel vol., tutti
«corredati da una gran mole di dati raccolti nell’ambito di un’estesa
indagine nazionale, condotta tra il 2004 e il 2005», si occupano del
variegato «universo dei valori» e del loro ruolo a livello individuale
(per il benessere psicologico, l’orientamento ideologico e le scelte politiche) e sociale (volontariato, relazioni familiari, relazioni in adolescenza).
I
MORIN E., La mia sinistra. Rigenerare la speranza, Erickson,
Gardolo (TN) 2011, pp. 252, € 18,50. 9788861377509
ome costruire una cultura politica a partire da esigenze improcrastinabili quali la crisi di un’economia capitalistica, l’emergenza della degradazione della biosfera, la marea montante dei razzismi
sempre più evidente: da queste premesse muove il saggio di uno dei
maestri del Novecento europeo. Per M. la barbarie che viene dal fondo dei tempi con il suo carico di crudeltà, di odio, di disprezzo resi
immanenti dalla logica della tecnica e del profitto potrà essere contenuta solo a patto di radicali trasformazioni in grado di conservare intatti i tesori delle culture. Appartenenza al mondo, speranza nell’improbabile, aspirazione all’umano non per instaurare il regno di Dio
sulla terra, ma per migliorare un poco la convivenza degli uomini. Da
leggere.
C
ZANOTELLI A., I poveri non ci lasceranno dormire. Da Korogocho
al Rione Sanità, Monti, Saronno (VA) 32011, pp. 109, € 9,50.
9788884772053
a
BRIGUGLIA A., SAVAGNONE G., Scienza e fede. La pazienza del dialogo, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 207, € 14,00. 9788801045918
a collana cui il vol. appartiene intende offrire a operatori pastorali, caL
techisti e insegnanti uno strumento di formazione su temi oggi difficilmente aggirabili, con uno stile accessibile anche ai «non addetti ai lavori».
È possibile credere nell’era della scienza? Uno scienziato può essere credente? Si possono accettare insieme l’ipotesi del Big Bang e l’idea di creazione? L’evoluzione e l’anima spirituale? Sono queste alcune tra le domande alle quali gli aa., entrambi docenti con esperienza nei licei e in
scuole superiori di specializzazione, intendono offrire una risposta. La scelta apprezzabile della «prospettiva dialogica» nel rapporto tra scienza e fede appare rispettosa sia della complessità del reale sia dell’unità interiore
dell’uomo.
CARMAGNANI R., DANIELI M., Itinerari di coppia per il terzo millennio, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2010, pp. 206, € 12,00.
9788873575122
ato dal racconto di vita di alcune coppie, il libro guarda alla vita
N
coniugale come a un «progetto di vita a due» nel quale riconoscere «la parte migliore l’uno dell’altra»; al «tempo» in cui far nascere, coltivare e attuare tale progetto di vita, definito dagli aa. «il noviziato dell’amore»; e all’esigenza di un’educazione all’amore, togliendosi dalla
testa il concetto che l’amore è un sentimento innato che non necessita
di particolari approfondimenti. Nell’affrontare questi temi gli aa. scelgono tre approcci che si completano a vicenda: psicologico, pastorale e
pedagogico.
CESARI LUSSO V., È intelligente ma non si applica. Come gestire i colloqui scuola-famiglia, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 174, € 15,00.
9788861376656
a
a 3 edizione aggiornata del famoso libro (1 edizione nel 1996) di Alex
anuale sulla comunicazione docenti-genitori articolato in tre parti: la
L
Zanotelli – dove il padre comboniano racconta vita, esperienze e ri- MI presenta alcuni fenomeni delle moderne società e le loro ricadute
flessioni maturate in una delle baraccopoli di Nairobi, Korogocho – s’ar- sulla relazione scuola-famiglia nonché alcuni fattori chiave che caratterizricchisce di una nuova prefazione, scritta dall’attore M. Paolini, ma soprattutto di un’appendice che raccoglie tre lettere di Zanotelli e un articolo del Corriere della sera, dove si raccontano il suo impegno civile e sociale
e la sua testimonianza religiosa nel rione Sanità della città di Napoli, dove
vive dal 2002.
CXXXIII
zano i processi relazionali e comunicativi. La II presenta un ampio ventaglio di situazioni concrete, precedute da un «siparietto» e da un commento che evidenzia i processi affettivi e relazionali in gioco. La III propone
alcune condizioni generali che favoriscono la buona riuscita dei colloqui
docenti-genitori.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
473
L
474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2
25-07-2011
17:13
Pagina CXXXIV
L ibri del mese / segnalazioni
P. CABRI,
SULLA DIFFICILE
ARTE D’AMARE.
Con Lévinas,
oltre Lévinas,
EDB, Bologna
2011, pp. 359,
€ 30,00.
9788810408278
L’
amore deve sempre sorvegliare la giustizia». In questa frase tratta da Filosofia, giustizia, amore si può condensare
lo sforzo interpretativo ad ampio raggio condotto dall’autore sull’opera di Lévinas. L’amore
detta le condizioni dell’essere con gli altri. Ne
controlla l’attuazione nell’agire sociale e politico. E finisce per decretare l’insufficienza delle
istituzioni umane nel dare attuazione al primo
comandamento dell’etica: «Tu non ucciderai».
Il mondo in cui l’umanità vive è fatto di sproporzioni: l’amore è troppo grande per essere
realizzato; ma anche troppo piccolo e quotidiano per essere ignorato. È quel di più che decreta la relatività dello stato e della sua giustizia. Ma è anche quel di meno che obbliga la
politica a sottomettersi, abbassandosi, alla
legge della prossimità. Innervata dall’amore,
che è l’esperienza etica fondamentale, la politica vive inquieta i propri limiti e custodisce
dentro di sé «il desiderio di una giustizia maggiore», che però non può attuare senza il soffio potente e originario dell’etica (283).
A partire da questo paradosso levinasiano,
che pone il duale e il molteplice all’origine
della realtà umana, Cabri evidenzia il valore
profondo che ha la socialità nel pensiero del filosofo lituano-francese. Anche se talvolta si ha
l’impressione che il nostro autore dedichi tanta
attenzione a questo tema per scagionare Lévinas dall’accusa secondo cui il suo pensiero
etico-politico è pieno di banalità, perché l’etica
della relazione e della reciprocità offre un fondamento non idoneo a pensare i problemi
etico-politici nell’età della globalizzazione e
delle migrazioni, della multiculturalità e della
fine dello stato-nazione (Sibony).
L’interpretazione convincente di Cabri evidenzia come in Lévinas ciò che nella vita quotidiana sembra banale nasconde invece un
dramma: viviamo in un mondo in cui non
siamo i primi venuti. Non siamo noi a dettare
le regole. Questo vale non solo nella relazione
a due (etica), ma anche in quella con il nostro
mondo-ambiente (politica). Ma c’è un dramma
nel dramma: nel mondo c’è sempre un terzo
che spezza ogni polarizzazione io-tu e apre la
relazione verso l’indefinito. L’apertura della società agli altri, ai tanti è il dramma eticamente
474
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
più inquietante, perché l’umano si trova a dover rispondere a imperativi contrastanti. C’è
una via d’uscita, o la società umana è condannata a essere un eterno paradosso, il regno
eternamente incompiuto dell’assurdo? La cultura francese del secondo Novecento – da
Sartre a Foucault – propendeva per questa seconda soluzione. La risposta di Lévinas consiste invece nell’imboccare la via di un’etica di
«negoziazione» (Derrida), in cui il primato assoluto dell’altro viene sacrificato a vantaggio
della validità generale della legge (279). È la via
del realismo etico, ma non quella della Realpolitik. Il nostro vivere sociale implica inevitabilmente una certa dose di spersonalizzazione
delle relazioni interpersonali e un sostanziale
disincantamento di ogni assoluto.
Questo processo è la prima e fondamentale violenza che la vita sociale deve subire
quando appare «il terzo», colui che non è né
me, né te (276). In questa reminiscenza della
teoria weberiana dello stato, che ha il monopolio dell’uso legittimo della forza, bisogna
ravvisare l’alto grado di drammaticità dell’etica
politica lévinasiana. Lévinas stesso conosce
l’inadeguatezza del suo pensiero a interpretare
con precisione i processi sociali e culturali in
atto nelle istituzioni politiche contemporanee. Turbato dalla inevitabilità della ragione
politica e dalla sua fredda strumentalità, non
fugge da questi problemi, ma si arresta prima.
Non troveremo in lui le soluzioni, ma soltanto
le enunciazioni dei principi, che dovranno guidare la ricerca di concrete vie d’uscita. È un
atto di profonda onestà intellettuale.
Il primo di questi principi etici riguarda lo
stato. L’analisi fenomenologica consente di ridurre la storia politica a due fondamentali
forme di stato: lo «stato di Cesare», che si
identifica con l’onnipotenza del diritto in
quanto unica forza capace di regolamentare e
gestire la natura conflittuale delle relazioni sociali; lo «stato di Davide», il quale prende vita
dal riconoscimento delle relazioni di prossimità
fraterna che lo precedono (280). Nell’alternativa: o Roma o Gerusalemme, si annuncia il
dilemma dell’etica moderna, divisa tra una soggettività totalizzante e un’altra relazionale. A
seconda della soggettività scelta, dipende una
politica dell’ordine e della sicurezza, oppure
una politica della libertà e della partecipazione. La preferenza di Lévinas va a Gerusalemme: non per ragioni di campanilismo etnico-religioso, ma perché solo a Gerusalemme
si contempla la possibilità che la misericordia
scenda in campo a difendere l’umanità e i suoi
diritti inviolabili (281).
Il secondo principio riguarda il contenuto
etico principale della vita civile. A Gerusalemme il nemico (hostis) si trasforma in ospite
(hospes). L’altro non smette di essere un separato, un diverso. Ma nello stato di Davide egli
acquista la parola e il diritto di esercitarla. Que-
sto fatto inusitato rovescia la relazione di accoglienza. Il primo sì lo dice l’ultimo arrivato, lo
straniero: attraversando la frontiera, egli si dispone ad accogliere gli abitanti della terra
nuova che ora egli occupa. Così l’ospitalità è
sempre solo una risposta, che io rendo all’altro,
predisponendomi ad accoglierlo in modo smisurato, senza se e senza ma (292). Così strutturata, l’ospitalità è un problema impolitico
(304), che precede e rende possibile la fissazione di regole politiche. Se i due «sì» non s’incrociano nella reciprocità di un dono gratuito
e senza limiti, porre regole e divieti all’ospitalità è privo di senso. Allo stesso modo è priva
d’efficacia la prassi politica che ne consegue:
non importa se restrittiva o permissiva, se localistica e identitaria oppure cosmopolita e
multiculturale. Essa serve solo a nascondere
ipocritamente la «cattiva coscienza dell’europeo» e la «barbarie dell’essere» che la ispira
(307).
Proprio perché è un principio impolitico,
l’ospitalità è quella condizione fondamentale
della relazione con altri, che apre alla comprensione più profonda della realtà. L’irriducibilità della separazione che divide ospitato e
ospitante, la continua intercambiabilità dei
loro ruoli disvelano la «vera struttura dell’essere», che è la molteplicità (290). Qui il pensiero di Lévinas si fa più metafisico e complesso: il suo linguaggio specialistico vuole
smantellare la filosofia dell’identità, che da
Parmenide a Hegel ha gonfiato d’orgoglio l’Occidente e spesso gli ha impedito di riconoscere l’essere nella pluralità delle voci che provenivano dai mondi altri. In principio c’è il
molteplice, ciò che è irriducibilmente altro e
straniero. Per questo ogni ospitalità è un atto
di apertura (293), che è espressione del «desiderio metafisico che tende all’assolutamente
altro» (290).
L’ospitalità apre al divino e, nello stesso
tempo, lo materializza negli atti dell’accoglienza e dell’affetto come l’abbraccio e la carezza, i quali rivelano il volto sensibile e fragile
di Dio. Nel misto di vicinanza e irraggiungibilità,
di cui parlano i gesti dell’ospitalità, si manifesta l’ «ospitalità della ragione» (293), ovvero la
capacità tutta umana di coniugare il già e il non
ancora, il finito e l’infinito (295).
Proprio misurandosi con la politica e con la
sua radicale insufficienza, Lévinas approda a
quella dimensione dell’impolitico – l’ospitalità
– da cui si dischiude il cammino della teologia.
Qui il cammino si fa più impervio e l’interpretazione deve passare dall’esegesi all’immaginazione.
Da queste annotazioni che abbiamo ricavato dallo studio di Cabri emerge la «straordinaria efficacia di pensiero» (273) che caratterizza l’opera di Lévinas: essa rivela la sua
fecondità proprio nel confronto con problemi
che il filosofo francese ha solo intravisto (28).
CXXXIV
474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2
A questa lettura in obliquo di Lévinas si riferisce anche la questione epistemologica che ha
ispirato questa articolata ricostruzione del
pensiero levinasiano: che cosa Lévinas ha da
dire alla teologia di oggi? Convengo con Salvarani che si debbano cambiare le parole di Cabri, sostituendo l’irenico «può dire» con un
polemico e deciso «deve dire» (9). Per una
comprensibile prudenza ermeneutica del nostro autore, manca nel suo saggio un capitolo
dedicato a questo tema. Mi permetto di tratteggiarne qui una sorta di indice ragionato,
sperando di poter avviare con lui e con altri
una feconda discussione su questo tema.
Lévinas obbliga la teologia che assuma le
sue categorie di pensiero a rovesciare il proprio
punto di partenza, cominciando dal basso,
dalla relazione quotidiana d’alterità. La rivelazione del Volto è la condizione antropologica
di ogni altra rivelazione: senza il riconoscimento e la dedizione al volto d’altri (con la «a»
minuscola) al sapere della fede resterà impossibile riconoscere il volto d’Altro (con la «a»
maiuscola). La questione è ancora più radicale:
la teologia può avere un differente punto di
partenza, che non sia l’esperienza etica dell’alterità? Sostiene Lévinas che nessun sapere, il
quale voglia essere degno di questo nome,
oggi può prescindere dal presupporre il primato della relazione disinteressata e responsabile (313).
Ma il teologo cattolico medio odierno
prende le distanze da questa affermazione e
risponde: certo che c’è un altro punto di partenza per la teologia ed è ben più autentico di
quello etico! La Bibbia e la tradizione della
Chiesa sono i presupposti necessari di una
teologia che voglia essere teo-logica dalla
prima all’ultima parola. Ma che cos’è la Bibbia
– ribatte Lévinas in questa discussione immaginaria – se non «kerygma etico»? Per questo
è «l’archetipo di ogni linguaggio» umano (314).
E per lo stesso motivo la teologia prende vita
dalla ragione dell’ospitalità, che realizza il primato cognitivo della ricettività.
Smettendo i panni del sapere dogmatico
e autoreferenziale, la teologia che s’ispira a
Lévinas diventa un sapere capace di superare
il logocentrismo occidentale, ovvero si lascia
dietro le spalle la visione astratta della verità
che permane immutabile nel tempo e nelle
culture, eternamente identica a se stessa. Riscrivendo il proprio patrimonio spirituale e
concettuale nel linguaggio dell’ospitalità, la
teologia si trasforma nel sapere dell’inquietudine e del sospetto (198-199), per usare un binomio caro a Derrida. Riscopre la storicità delle
proprie conoscenze e, consapevole della propria relatività che si svela nella relazione del
proprio fondamento incondizionato, sa essere
relazionista senza diventare relativista, per citare Mannheim.
Certa teologia cattolica odierna subisce il
CXXXV
25-07-2011
17:13
Pagina CXXXV
fascino della certezza apodittica, del principio
non negoziabile, della verità priva di presupposti storico-culturali. Continuando il nostro
dibattito immaginario, è a essa che Lévinas
racconta la «parabola della luna che si fa piccola» (315). Per evitare che la pari grandezza del
sole e della luna degeneri in una guerra cosmica tra i grandi luminari, Dio non rimpicciolisce la luna con la forza, ma si rivolge alla sua
intelligenza e le comanda di manifestare la
propria grandezza rimpicciolendosi. Questo è
il percorso che Lévinas indica a tutta la teologia cristiana odierna, se essa vorrà riconquistare il proprio ruolo di sapere archetipico,
che il cogito del razionalismo moderno ha più
volte messo in discussione.
In questo modo potrà recuperare anche il
suo compito di sapere critico, questo sì riconquistato durante la vicenda della modernità e
recentemente rimesso in discussione da un
inusitato ritorno del principio di autorità e da
quello di carisma (che spesso si fondono a
formare una lega rigida e inossidabile). La teologia come sapere critico è prima di tutto un
sapere che critica se stesso e usa le risorse
della razionalità per rimpicciolirsi come la luna.
Ma è anche un sapere che sa criticare la realtà
in cui vive, esercitando l’arte divinatoria di chi
è ospite del mondo ideale, il mondo del dover-essere. Una teologia critica è così nello
stesso momento un sapere utopico, che nel
volto d’altri scorge la «traccia» del mondo che
dovrà venire, e un sapere profetico, che esercita la sua umiltà kenotica «anche nell’umiliazione della grandezza» umana, religiosa, politica (316).
Come l’arte d’amare da cui prende avvio e
di cui la sua razionalità ospitante è un frutto
prezioso, anche la teologia con e oltre Lévinas,
è «difficile perché esigente» (273). Ma è forse
l’unico antidoto contro la trasformazione del
logocentrismo in logolatria.
Paolo Boschini
M. MURGIA,
AVE MARY.
E la Chiesa
inventò
la donna,
Einaudi, Torino
2011, pp. 166,
€ 16,00.
9788806201340
U
na sera fredda, d’inverno. Un piccolo
paese della Sardegna. Un convegno
dal titolo provocatorio: «Donne e
Chiesa: un risarcimento possibile?» La sala
piena di donne «compostamente in attesa».
Delle tre relatrici invitate, due sono teologhe
di professione. La terza non fa la teologa,
anche se ha fatto studi di teologia. Nel suo
intervento, «di carattere piuttosto pratico»,
ella racconta la sua «esperienza diretta di
donna cristiana e di animatrice parrocchiale
di lungo servizio (…) nelle file di Azione cattolica». La reazione delle donne presenti in
sala è sorprendente: «Fummo noi alla fine –
scrive la Murgia – a dire basta, e confesso che
almeno io lo feci con l’intento di dare qualche sollievo al povero parroco, visibilmente
prostrato dalla piega che aveva preso la serata.
(…) Questo libro è nato quella sera» (6).
Il saggio della giovane scrittrice sarda, che
occupa da settimane i vertici delle classifiche
di vendita, è intelligente, graffiante, arrabbiato.
A tratti forse troppo. Sollecitata e seguita nella
stesura dalle due amiche teologhe (Marinella
Perroni e Cristina Simonelli), la Murgia riflette,
a partire dalla propria storia, sul ruolo della
donna nella Chiesa affrontando la questione
in modo panoramico, da diverse angolature.
«Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito
spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti
di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di
Nazaret» (7).
La tesi è chiara. «Qui interessano soprattutto le ferite che (le false narrazioni su Dio)
hanno causato e continuano a causare alle
donne (…): dobbiamo capire le storie che
hanno generato mondi dove tutte abbiamo
dovuto prendere cittadinanza» (123). Al processo di creazione di un immaginario femminile funzionale a una cultura patriarcale –
ovvero l’immagine della donna come sposa e
madre; angelo del focolare; «ammortizzatore
sociale» (49); Mater dolorosa; figura fondamentale, ma essenzialmente consacrata «all’annullamento sacrificale di sé» (45) – non è
affatto estranea la tradizione cristiana.
Nel cristianesimo la costruzione di un tale
immaginario deriva, secondo l’autrice, da due
passaggi fondamentali. Da un lato, l’interpretazione «patriarcale» dei capitoli 2-3 del Genesi, che ha generato nella predicazione la
figura di Eva – «archetipo primo del genere
femminile» (21) – come creata per seconda e
prima responsabile della situazione di morte,
fatica e limite propria dell’esperienza umana
(inferiorità ontica ed etica della donna). Dall’altro, la costruzione di un modello archetipico femminile positivo sostanzialmente
unico, quello della «madre di Gesù», mediante
un «processo mistificatorio» che ha trasformato Maria «da ragazza libera e coraggiosa in
pia donna, docile e muta» (133), «modello ferreo per la femminilità di quasi venti secoli» (33).
«Il senso di colpa insito nella consapevolezza di essere figlie della responsabile per
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
475
L
474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2
25-07-2011
17:13
Pagina CXXXVI
L ibri del mese / segnalazioni
eccellenza» (45), e l’identificazione richiesta
alla donna credente con questa figura di
Maria, avrebbero favorito e sostenuto nei secoli una condizione di sottomissione femminile tuttora non riscattata nella nostra
cultura: «Attraverso la costruzione fittizia di
una specie di via del sì alla santità, la struttura patriarcale trovava nella religione cattolica una formidabile alleata per continuare a
esigere la muta sudditanza femminile» (114).
«Che il silenzio-assenso femminile sia la condizione fondamentale perché questo modello di mondo continui a reggersi non c’è il
minimo dubbio» (74).
I temi affrontati e le tesi proposte non
sono una novità. Il saggio è debitore in larga
parte alla riflessione sviluppata nell’ambito
della cosiddetta «teologia femminista», movimento nato nel mondo anglosassone e nordamericano in confronto critico con le
istanze del femminismo moderno, che ha inteso sviluppare una teologia fatta da donne
impegnate nei «movimenti di liberazione»
degli anni Sessanta e Settanta del Novecento
(una «teologia della liberazione in prospettiva
femminista», secondo la definizione di Letty
Russell).
I temi ci sono quasi tutti: la distinzione tra
il valore teologico di un testo biblico e la sua
enunciazione storicamente condizionata; la
questione del concetto di «Dio Padre» e del
«femminile in Dio»; la maschilità del Cristo, il
salvatore universale; una mariologia che, subordinata al trattato cristologico, ha favorito –
nel gioco delle identificazioni archetipiche –
la subordinazione del principio femminile; e
infine, la necessità di valorizzare la riflessione
teologica delle donne.
L’esistenza di una «questione femminile»
nella Chiesa è difficilmente negabile. La necessità di una seria riflessione e di un’urgente
revisione delle pratiche ecclesiali per riferimento a tale questione lo è altrettanto. L’intervento del teologo francese J. Moingt,
ospitato sulle pagine della nostra rivista (cf.
Regno-att. 4,2011,76), è un esempio di riflessione sul tema tra i più recenti e originali. La
forza di Ave Mary – che non è e non vuole
essere un saggio teologico – è quella di divulgare con uno stile accattivante una serie di
problematiche reali. Come denuncia scritta
da una donna «pensando alle donne» può risultare efficace. Tuttavia, il testo non riesce a
liberarsi – nel linguaggio e nelle argomentazioni – da un orientamento ideologico che finisce per semplificare le questioni con analisi
che risultano più risentite che critiche. La
stessa teologia femminista ha maturato riflessioni ulteriori che nel libro non sono considerate.
Il cristianesimo ne esce, quasi senza appello e senza speranza, come sistema nel
quale è stata elaborata una visione del fem-
476
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
minile funzionale a una struttura sociale iniqua
e violenta («una colossale struttura di dominio» [115]), imposta sotto «minaccia dell’esclusione dal piano della salvezza» (159). La
«questione femminile» nella Chiesa va affrontata. Occorre però aprire un dibattito che troverà accoglienza solo se si riconosce e si
rispetta tutta la complessità delle questioni in
gioco.
Marco Bernardoni
G. COCCOLINI,
ALLA RICERCA
DI UN ETHOS
POLITICO.
La relazione
tra teologia
e politica in
Joseph Ratzinger
Il pozzo
di Giacobbe,
Trapani 2011,
pp. 212, € 20,00.
9788861242517
Il discorso sul ruolo di una «teologia politica» diviene una questione di sempre più urgente attualità in questi frangenti storici (…). I
tempi presenti non sono più «i favolosi anni
Sessanta», in cui il mito di un progresso ritenuto
senza limiti e la speranza di una società più giusta spingevano, credenti e non, sul fronte di
utopie economiche e sociali di vasta scala. Gli
anni successivi, il crollo del muro di Berlino e
l’undici settembre, hanno segnato una brusca
rottura con questo paradiso di sogni fantastici
e ricondotto le coscienze a misurarsi con la
dura realtà di una società sempre più difficile e
complessa, perché sempre più multireligiosa, i
cui spazi risultavano cioè sempre più occupati
da gruppi estranei al sentire e ai valori tradizionali del nostro Occidente.
Questa inedita situazione imponeva un
nuovo compito, che non era più quello della
«questione sociale» (colmare il gap economico
tra le classi sociali), ma quello della legittimazione dei fondamenti, ovvero la giustificazione dei presupposti teoretici delle istituzioni
statuali (…).
Ecco però che proprio nel momento in cui
è stato posto di fronte a questa nuova sfida il
mondo politico e culturale (…) ha risposto a
ciò in forme abbastanza contraddittorie, individuandone la risposta semplicemente nella
volontà di rimuovere ogni traccia della bimillenaria tradizione cristiana e ogni riferimento
alla trascendenza dai principali testi giuridici
(come il dibattito sulla Costituzione europea
ebbe modo di mostrare).
Alle prese con così miopi e distruttive po-
sizioni ovviamente l’impegno dei cristiani non
poteva essere che lo sforzo di riaffermare il
ruolo costitutivo che la rivelazione biblica ha
rappresentato per la formazione dell’identità
culturale dell’Occidente e quindi il necessario
riconoscimento delle radici cristiane come
conditio sine qua non alla legittimazione degli
stessi ordinamenti politici.
È muovendo da queste premesse che diviene allora significativo il lavoro svolto dallo
studioso Giacomo Coccolini (…) Lo sforzo di
questo lavoro è consistito nell’individuazione
di un filo conduttore nella produzione teologica di Joseph Ratzinger, mostrandone la radicazione nella più limpida tradizione del
pensiero cristiano, la non comune capacità di
confronto con le problematiche emergenti,
assieme a una sostanziale estraneità a ogni inclinazione di stampo integralista. Ne è risultato un lavoro di tutto rispetto a cui va
ascritto il merito di aiutare il comune lettore a
familiarizzarsi con un progetto teologico di
ampio respiro (…).
Chi scrive è ben cosciente di come non
sarà certo la lucida e penetrante analisi di questi fenomeni che J. Ratzinger ha portato avanti
in questi anni a produrre una conversione in
quei vasti settore del pensiero e dell’opinione
pubblica, per le quali l’affermazione dell’assoluta autonomia dello stato nei confronti della
religione, costituisce dogma intoccabile. O almeno si è consapevoli che il dibattito culturale non può sostituirsi a ciò che per un
credente consiste nell’incontro con Cristo e
quindi nella scelta a cambiar vita.
Chi scrive però è ancor più convinto del
fatto che la familiarizzazione al pensiero
teologico-politico di J. Ratzinger, sia scelta
qualificante e per certi versi obbligata invece
per i tanti cristiani, a volte incerti nel leggere
in profondità i fatti culturali di cui sono spettatori e a volte incapaci di comprendere sino
in fondo le ragioni di un dibattito spesso
aspro, ai loro occhi scarsamente significativo
per la vita cristiana di tutti i giorni. È particolarmente importante invece che gli uomini di Chiesa si rendano conto che nello
snodo della teologia politica «ne va della
loro fede» e quindi abbiano il coraggio di
uscire allo scoperto, rinunciando alla privatizzazione della vita religiosa e si assumano il
rischio di questo confronto, dalla cui soluzione dipenderà non solo la presenza cristiana nelle nostre società negli anni a venire,
ma anche le possibilità di una testimonianza
libera e incondizionata (…).
Guido Bendinelli
* Guido Bendinelli op è preside della Facoltà
teologica dell’Emilia Romagna. Il testo che qui riproduciamo è tratto dalla presentazione del volume.
CXXXVI
477 libri_segnalazioni_box_R137:Layout 2
25-07-2011
16:18
Pagina CXXXVII
Libri contro mafie
T
rame. Festival dei libri sulle mafie», è il titolo della kermesse svoltasi a Lamezia Terme nei giorni 2226 giugno, per iniziativa di Tano Grasso,
assessore alla cultura del comune calabrese. Essa merita attenzione per l’originalità dell’iniziativa riguardante la presentazione e discussione della produzione libraria recente sulle mafie: un
evento che ha raccolto voci plurali su
questo variegato fenomeno criminale,
per le diverse chiavi di lettura dei fenomeni mafiosi e le numerose esperienze
di antimafia nel nostro paese. E anche
per il fatto che ciò sia avvenuto nel contesto di un comune sciolto due volte in
un decennio per infiltrazioni mafiose
(1991 e 2001).
Fare politica culturale in un comune
della Calabria, terra di mafie, secondo
Tano Grasso, deve coincidere con una
strategia d’opposizione alla ’ndrangheta,
e la cultura deve diventare lo strumento
più potente contro l’omertà e quella
mentalità che da decenni assicura consenso e sostegno alle mafie del nostro
paese.
Questo insolito evento nel panorama dei tanti festival letterari intendeva porre all’attenzione il potere della
parola e della cultura nel contrasto alle
mafie e la crescita di una coscienza di legalità e responsabilità, nel presentare e
aprire i libri dedicati allo studio delle varie realtà mafiose.
O più precisamente, a nostro avviso, dei gruppi della criminalità organizzata egemoni nelle tre regioni meridionali (mafia o Cosa nostra in Sicilia,
’ndrangheta in Calabria, camorra in Campania) e diversi per storia, organizzazione, metamorfosi, attività e radicamento sociale e culturale. Come altrettanto diversificate nel tempo sono le
mobilitazioni antimafia e l’associazionismo anti-racket nelle regioni meridionali, che sono cresciuti assieme all’interesse specialmente da parte dei giovani lettori verso i libri sul tema «legalità».
La produzione libraria recente sulle
mafie era allineata nei gazebo del Corso
Numistrano, presidiati da giovani calabresi di associazioni e cooperative antimafia. Questa esposizione era specchio
CXXXVII
di un’aggiornata documentazione, narrazione e ricerca sulle varie organizzazioni criminali a cui attraverso l’oggettivazione dello studio viene tolta
ogni rimozione, mitizzazione, velo e copertura a opera di giornalisti, esperti,
studiosi, magistrati, uomini di Chiesa.
Il serrato programma del festival ha
consentito, nelle serate dei quattro
giorni svoltesi nei cortili di palazzi storici, di presentare 53 volumi da parte di
130 relatori, grazie anche ai 73 giovani
volontari, calabresi e non, che hanno
reso possibile un buon afflusso di pubblico. Quasi assente la copertura dell’evento da parte della TV regionale, secondo gli organizzatori.
L’apertura della kermesse libraria è
stata dedicata al tema cruciale «Informare in Calabria» e ha avuto luogo nel
cortile del Palazzo Nicotera – a destra
del cui cortile s’individua la Biblioteca
comunale ricca di circa 25.000 volumi e
a sinistra la Casa del libro antico –, dove
un pubblico scelto e interessato ha
ascoltato don Luigi Ciotti e il giornalista
Lirio Abbate che hanno messo in evidenza le difficoltà e le responsabilità
nel produrre informazione in maniera
trasparente.
Nella successione dei vari libri e autori si sono alternati due modi d’accostare il fenomeno: uno di carattere narrativo, documentativo, evocativo (come
ad esempio Saviano) perché non si
perda la memoria di fatti e misfatti delle
mafie; l’altro di carattere scientifico fondato su una rigorosa metodologia di ricerca che porta a risultati conoscitivi
attendibili sulle attività e sull’organizzazione dei gruppi criminali organizzata
nelle varie regioni meridionali (ma non
solo).
Com’è noto, il fenomeno della mafia siciliana registra un primato sia temporale sia quantitativo quanto a studi e
approfondimenti, cui seguono nei decenni più vicini a noi la camorra campana
e la ’ndrangheta calabrese, che si è particolarmente distinta nelle cronache per
la diffusione sul territorio nazionale e
nei traffici internazionali di stupefacenti.
La chiave di lettura del Festival dei
libri sulle mafie è che esiste una forma
d’antimafia culturale – per così dire –,
impegnata contro il riprodursi di modelli mafiosi, che non è compito di magistrati e poliziotti, ma frontiera propria
e specifica di amministrazioni locali, società civile, imprenditori, associazioni e
delle stesse comunità religiose del territorio.
Rispetto alle ambivalenze di un
contesto sociale in cui convivono modernità culturale e civile ma anche tradizionalismo di stampo religioso, sono
illuminanti le parole di Tano Grasso
nella brochure del Festival da lui ideato.
In riferimento alle resistenze di una
parte della comunità all’intervento culturale del Comune sull’onda di spinte e
movimenti della società civile, a partire dall’associazionismo anti-racket, egli
afferma che «il punto è un altro, è riconoscere quelle relazioni economiche e
sociali da un lato, quell’area di complicità e collusione da un altro lato, quella
dimensione di consenso e condivisione
di valori e modelli culturali da un altro
lato ancora; e questo riconoscimento è
indispensabile per contrastare efficacemente tutti questi livelli che rendono
la ’ndrangheta così forte e così radicata».
Perciò, a nostro avviso, l’evento è
stato unico e significativo non solo perché ha aperto i libri sulla criminalità organizzata a firma di studiosi, ricercatori,
magistrati, scrittori, giornalisti che si
sono alternati sul palco, ma perché ha
segnalato la presenza di giovani volontari, rappresentanti delle generazioni più
giovani del Sud impegnate nelle diverse
associazioni e movimenti il cui nome era
riportato nelle colorate t-shirt che indossavano.
L’idea del festival è d’organizzare
ogni anno un momento di confronto e
di verifica sulle numerose pubblicazioni
riguardanti le varie organizzazioni criminali e le esperienze d’antimafia, tema
che non interessa più soltanto il meridione d’Italia perché è ormai assodato
che anche in altre regioni del paese, oltre che nei traffici internazionali, i gruppi
della criminalità organizzata si sono infiltrati nel tessuto economico, finanziario, amministrativo e politico.
Domenico Pizzuti
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
477
L
478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2
25-07-2011
16:18
Pagina CXXXVIII
L ibri del mese
Eleonora Fonseca Pimentel
Colta, idealista, impolitica
N
ella storia, è grandissima
quella che potrebbe dirsi
l’efficacia dell’esperimento non riuscito, specie
quando vi si aggiunga la consacrazione
di un’eroica caduta».*
Non fosse morta così tragicamente,
appesa a una forca tra il dileggio della
plebe napoletana, unica donna tra i giustiziati del 20 agosto 1799, forse la fama
di Eleonora Fonseca Pimentel sarebbe ancora più esile di quanto non sia. Mediocre
ma precoce verseggiatrice di componimenti d’occasione tanto in voga ai suoi
tempi, elogiati senza troppa convinzione
dal Metastasio; membro dell’accademia
locale dell’Arcadia col nome di Altidora
Esperetusa; di intelletto vivace e pieghevole in diversi campi del sapere, dalle
scienze matematiche alla botanica, ella
rispecchia quello spirito curioso e quell’idea enciclopedica della conoscenza che
appaiono assai diffusi nel colto Settecento,
anche fra le donne dei ceti più elevati: sicché sarebbe eccessivo riconoscerle una levatura particolare a questo livello, a confronto con altre gentildonne della buona
società napoletana, fra tutte la principessa
Faustina Pignatelli.
Società che non dev’essere giudicata
unicamente al filtro della spietata repressione borbonica che colpì i patrioti giacobini, facendo leva anche sugli istinti più
primitivi e sfrenati dei sanfedisti: ancora
negli anni in cui la «grande paura» della
tempesta rivoluzionaria raggiungeva le
corti d’Europa più lontane da Parigi, non
era del tutto svanita a Napoli la memoria
e l’eredità positiva di quella alleanza potere-cultura tesa a promuovere sviluppo
civile mediante provvedimenti amministrativi, fiscali, giurisdizionali che aveva
trovato in Carlo III di Borbone, re di Na-
478
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
poli e Sicilia (1734-1759) poi asceso al
trono di Spagna, una promettente seppur
timida realizzazione.
Il fallimento
del riformismo moderato
La prima fase del lungo regno di Ferdinando IV, che durerà fino al 1825, è ancora abbastanza aperta a questi fermenti,
e muove alcuni passi nella direzione del
contrasto ai privilegi ecclesiastici e baronali, anche se la mancanza di una forte
classe media rappresenta, a confronto con
altre aree d’Italia e d’Europa, un elemento di strutturale arretratezza del Meridione, come ben videro intellettuali del
calibro di Ferdinando Galiani e Antonio
Genovesi. È però significativo che quest’ultimo, titolare della prima cattedra di
economia politica istituita in Italia, abbia
dato fiducia alla dinastia borbonica, non
meno di altri intellettuali riformatori: così
non stupisce di trovare, fra i versi della Pimentel pre-giacobina, sonetti o cantate
di omaggio ai sovrani, Ferdinando e Maria Carolina (figlia di Maria Teresa d’Austria e sorella di Maria Antonietta di Francia), da questi sposata nel 1768.
Si veda in particolare il sonetto scritto
in occasione dell’istituzione della colonia
di S. Leucio: in sostanza, «una manifattura reale privilegiata», come la definisce
B. Croce, ma anche una sorta di esperimento sociale in piena regola volto a realizzare una di quelle comunità-modello,
armoniose e ben regolate da saggi statuti
che tanto suggestionano l’immaginario
sette-ottocentesco, fino al socialismo utopistico di Owen e Fourier.
Il progetto riceve all’epoca molti apprezzamenti, anche da altri uomini di cultura che ritroveremo fra i democratici
della Repubblica partenopea, come Cle-
mente Filomarino e Antonio Jerocades:
ciò conferma che è stato il fallimento del
riformismo moderato a spingere molti
verso la metamorfosi rivoluzionaria, una
volta preso atto che l’aspirazione a una società più giusta e progredita non viene
esaudita dall’illusoria interazione fra il
«despota illuminato» e le menti migliori
che lo consigliano a governare secondo i
principi della ragione.
Eppure quest’illusione è dura a morire: come si è detto, Ferdinando e la
stessa Maria Carolina, figlia di tanta madre e ben conscia dei provvedimenti del
riformismo asburgico, non sono alieni da
un’impronta modernizzatrice: ma si tratta
di interventi parziali e disorganici, ben al
di sotto di quell’idea complessiva di riforma dello stato che Genovesi, Filangieri, Galiani andavano proponendo:
l’azione più incisiva a livello fiscale, cioè
l’istituzione di un catasto moderno in base
al quale far pagare ai proprietari un’imposta proporzionale ai beni posseduti, resta a Napoli nel novero dei tentativi abortiti e non più ripresi.
Passano invece, anche per influsso
delle decisioni maturate nelle altre corti
borboniche e nel solco delle teorie giurisdizionaliste, alcune scelte di politica ecclesiastica ulteriori rispetto alle restrizioni
già introdotte da Carlo di Borbone allo
status privilegiato della Chiesa (diritto di
foro, diritto di asilo, privilegi fiscali):
l’espulsione dei gesuiti e l’abolizione della
vetusta soggezione feudale al papato: l’offerta al pontefice di un’ingente somma di
denaro e di un cavallo bianco. Quest’ultimo provvedimento cade nel l788.
Eleonora ne è evidentemente colpita
se, entrando come altre volte nel brusio
degli intellettuali su questo o quell’accadimento di attualità, non si limita a un en-
CXXXVIII
478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2
25-07-2011
comio di circostanza con corredo di versi
eruditi, ma si presenta nella veste credibile
e seria di una studiosa che traduce e glossa
un’opera altrui meritevole di essere riproposta per l’occasione: la dissertazione
storico-legale di Nicolò Caravita dal titolo
Nullum ius pontificis maximi in regno neapolitano, edita nel 1707 (Niun diritto compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli).
Eleonora possiede una sicura conoscenza del latino, si è detto, ma questo lavoro non di pura traduzione pare dimostri anche una sua discreta competenza
del diritto pubblico; nell’ampia prefazione
che ripercorre la storia dalla quale prese
origine il vassallaggio del regno di Napoli, ella dichiara e dimostra non solo di
ammirare, ma di conoscere da vicino la
grande opera di Pietro Giannone, Storia
civile del Regno di Napoli (1723): e che
questo autore compaia in una posizione
di assoluto rilievo rispetto ad altri minori
che pure si erano occupati della questione,
prova che la Pimentel è ora capace di
soppesare e discernere il valore delle sue
fonti, e di scegliersi i migliori maestri. Il
saggio esce nel 1790, con dedica – ancora
– al re Ferdinando, che la gratificherà di
un premio e di una «annua munificentia»
(CROCE, «La Rivoluzione napoletana del
1799», 40-42).
Eleonora donna sola,
determinata, imprudente
Eleonora ha ormai 38 anni: ha alle
spalle un matrimonio mal riuscito con un
ufficiale dell’esercito napoletano dal quale
si separa nel l785, e la morte dell’unico figlio di soli due anni, al cui ricordo scrive
cinque delicati sonetti. Non molto altro si
conosce della sua vita privata, mentre è
abbastanza documentata la sua rinomanza e la sua corrispondenza con vari
letterati e studiosi, compreso il più celebre
Vincenzo Cuoco; è circa di questo periodo la noterella dello svizzero Gorani,
segnalata da Croce, che parla di lei come
di «une dame qui rassemble chez elle à Naples une société de gens de lettres, grande
amie de tous les illustres de cette capitale»
(39).
Si allarga intanto in ogni angolo d’Europa la risonanza della Rivoluzione francese, le cui vicende sono ovunque seguite
con attenzione, ora speranzosa ora preoccupata, e il cui contagio, prima ancora
della sua esportazione per mezzo delle
CXXXIX
16:19
Pagina CXXXIX
campagne napoleoniche, accelera e radicalizza gli impulsi al rinnovamento già
presenti, pur con diverse accentuazioni e
varianti locali, in gran parte delle società
occidentali, specialmente ma non esclusivamente negli strati più colti ed evoluti.
Si moltiplicano allora quei club, società o gruppi che saranno genericamente
definiti «giacobini» a motivo della simpatia con cui guardano agli avvenimenti di
Francia, benché fra gli adepti si trovino sia
accesi rivoluzionari, sia spiriti più moderati. Anche a Napoli, probabilmente sul
tronco della società massonica, sorge, intorno al 1792, la Società patriottica, cui
fanno seguito due Club (Romo e Lomo),
rispettivamente di impronta democratica
o repubblicana il primo, moderata e disponibile ad accordi con la monarchia il
secondo: in gran parte professori e studenti, saranno processati e condannati
nel 1794 come rei di congiura e di lesa
maestà.
Non pare che Eleonora vi fosse direttamente implicata, ma è verosimile che in
questi anni il suo nome fosse già fra i sospetti, a motivo delle sue frequentazioni e,
stando al tagliente giudizio del segretario
dell’ambasciata portoghese a Napoli, anche a causa della sua propensione naturale a parlare troppo: a «questa donna
quanto dotta altrettanto pazza, imprudente e sciocca» pare sia inutile fare raccomandazioni di maggior cautela (47). È
un parere da prendersi con le pinze, se
non altro perché chi lo esprime sta giustificandosi con il suo superiore per essere
stato in cordiale relazione con la Pimentel, al pari di altri portoghesi dell’ambasciata; però in quel binomio «dotta...
sciocca» potrebbe annidarsi un’intuizione
giusta, anche se espressa in modo ingeneroso.
Il sapere di Eleonora – e lo si vede
principalmente nella sua breve e fervida
esperienza di giornalista, bruciata nei pochi mesi della Repubblica partenopea –
non è pura dottrina o cultura astratta; e se
da giovane ha ceduto alla vanità di esibire
le sue doti letterarie in contesti salottieri o
accademici, sempre più la sua maturazione intellettuale e politica la spinge a
dare a quel sapere uno sbocco «utile»,
un’impronta militante e laicamente missionaria, al servizio di quegli ideali di libertà e umanità nei quali volentieri impegna la mente e il cuore. Idealista,
Eleonora: così la definisce anche Croce,
nel breve saggio biografico a lei dedicato
(44): che è una maniera più elegante e affettuosa per esprimere quanto il De Souza
intendeva con «sciocca».
Sicuramente quello di Eleonora non è
un sapere scaltro, che la metta al riparo da
esiti prevedibili, né timido, tale da farla
esitare – nel momento in cui approda a
ferme convinzioni – nell’esternare i suoi
pensieri. Arretrano intanto, spaventate
dalla deriva rivoluzionaria francese, le
idee illuministe, umanitarie e progressiste
che avevano sorretto la felice stagione del
riformismo settecentesco, e in tutti gli stati
europei si riannoda l’alleanza fra le corti
e le classi più conservatrici delle società,
come pure fra trono e altare; anche nel
Regno di Napoli, molto rapidamente, si
annuncia un clima politico pesante e poliziesco, attizzato non poco dalla regina
Maria Carolina che, dopo la morte sulla
ghigliottina del cognato e della sorella,
diviene la più convinta fautrice della reazione: «rediviva Poppea», la ribattezzerà
Eleonora.
L’esperienza rivoluzionaria
Non si conoscono esattamente le circostanze dell’arresto della Pimentel, ai
primi di ottobre del 1798, e tutte le carte
processuali relative ai giacobini napoletani, salvo minuzzoli, sono state distrutte
per ordine di re Ferdinando nel 1803. Ma
possiamo immaginare, con qualche libertà, che ella – imprudente, ingenua,
idealista – non abbia saputo trattenersi dal
manifestare sgomento e riprovazione per
quell’inversione di rotta. O forse, la conversione rivoluzionaria era già pienamente avvenuta e l’idealismo di Eleonora,
analogamente ad altri patrioti in quella e
in altre parti d’Italia, si era ormai infiammato per la «sublimità dei principi repubblicani» (LAUBERG, in CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, 245) e per
il «nobile disegno di abbattere la tirannia»
(ivi). Comunque sia, è una cittadina conquistata senza riserve all’ideale repubblicano, la Pimentel che esce dalle prigioni
della Vicaria nel gennaio 1799, dopo la
fuga del re il 23 dicembre e la vittoriosa
avanzata dei francesi sulla città.
Mischiata al gruppo dei patrioti che
dal castello di S. Elmo danno come possono sostegno alle truppe del gen. Championnet, mentre per tre giorni infuria
l’anarchia plebea dei «lazzaroni», Eleonora assiste all’atto di nascita della Re-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
479
478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2
L
25-07-2011
Pagina CXL
ibri del mese
pubblica napoletana «una e indivisibile»
e saluta con gli altri il simbolo dell’albero
della libertà, piantato per la prima volta
nella piazza del castello, declamando
l’«Inno alla libertà» da lei composto in
quei giorni.
Da questo esaltante momento, e per
la breve ma intensa durata dell’esperienza
rivoluzionaria, interrotta nel giugno 1799
dal card. Fabrizio Ruffo, Eleonora assume
realmente un ruolo di primo piano, dedicandosi anima e corpo all’impresa del
Monitore napoletano, il primo e il più illustre giornale della Repubblica partenopea: è l’esordio della stampa politica, che
sorge contestualmente all’impianto delle
repubbliche «sorelle» in Italia. Anche nei
territori della repubblica napoletana la
ventata di libertà, la passione politica, i
grandi fatti che si succedono in quei pochi mesi e i rapporti non sempre facili
con i protettori-occupanti francesi, favoriscono l’attività editoriale e, in specie,
giornalistica; ma il Monitore napoletano, il
cui primo numero esce il 2 febbraio 1799
(14 piovoso) e l’ultimo dei 35 totali l’8
giugno (20 pratile), ha la particolarità di
essere, per quanto si sappia, interamente
ed esclusivamente realizzato dalla Pimentel, anche se in esso sono inseriti di
quando in quando resoconti provenienti
da altri comuni, decreti del governo repubblicano o delle autorità francesi, proposte di legge che vengono avanzate e discusse, resoconti dei dibattiti che si
tengono nella «Sala d’istruzione pubblica» aperta il 10 febbraio presso l’Università degli studi. Uscendo regolarmente
due volte per settimana, le quattro fitte
pagine del Monitore, con alcuni supplementi, costituiscono un insostituibile osservatorio e un appassionato, infine accorato, commento sugli avvenimenti
maggiori e minimi di quella generosa e
fallimentare esperienza politica, schiacciata dall’abbandono dei francesi, dalle
contraddizioni interne, penalizzata da ultimo col gratuito massacro degli «infami
giacobini» che erano in realtà il fior fiore
della cultura napoletana, animati nel loro
insieme da un’elevata e tollerante concezione del consorzio civile. Scrive di essi
Lucio Villari: «Nei cinque mesi del loro
governo, i borghesi e gli aristocratici repubblicani non avevano torto un capello
a nessuno né avevano mostrato alcuna
inclinazione al terrorismo rivoluzionario»:1 a riprova di ciò si potrebbero citare
480
16:19
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
diversi passi del Monitore nei quali Eleonora, anche a nome dei compatrioti, lamenta come controproducenti le spietate
repressioni attuate dai francesi contro gli
«insorgenti», cioè gli antigiacobini. Alle
loro atrocità non si deve rispondere con
altrettanta atrocità («Ma qual sarà il rimedio a tanto e sì terribile male? Brugiar
le comunità, fucilar chiunque porti le
armi? No». n. 5, 28 piovoso, 16 febbraio),
ma, considerando le circostanze attenuanti, promuovere azioni di pace, concedere il perdono «alle comuni che rientreranno nell’obbedienza», dare prova,
con buone leggi, che il governo repubblicano è sollecito del bene del popolo. È soprattutto necessario evitare di far crescere
«nel cuor della nostra plebe delle provincie un seme di dispetto e di risentimento,
che per quella tenacità con cui ogni plebe,
e più quella delle campagne, ritiene le
impressioni ricevute con qualche forza,
può in lei propagarsi da generazione in
generazione, e tenendola sempre divisa e
indispettita col resto de’ cittadini, preparare lunga e rinascente serie di privati delitti e pubbliche disgrazie» (Ivi, cf. nn.
6,7,33, in CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, 60-63).
Quest’ultimo bel passo mostra che la
redattrice, alla quale solitamente si accredita il pregio di riportare notizie vivaci e
puntuali e il difetto di una certa trasfigurazione emotiva dell’esperienza repubblicana, priva della lucidità interpretativa
di altri autori, possiede in realtà le chiavi
di un’analisi affatto banale della gente del
Sud, del suo rapporto con le novità importate a forza dal di fuori, delle dinamiche profonde e durature che possono pregiudicarne la piena emancipazione civile.
Sicuramente, in confronto al classico e
fondamentale saggio di Vincenzo Cuoco,
appare minore la robustezza di pensiero
di Eleonora; ma le è anche mancato
quello stacco, quella distanza di spazio e
di tempo dagli eventi descritti, che hanno
permesso a Cuoco di rielaborare criticamente, e in rapporto a un più vasto orizzonte futuro, i problemi e il necessario
scacco della rivoluzione «passiva».
Cauce nfacce a la libber tà
Eleonora muore, come si è detto,
poco dopo la morte della Repubblica, che
ha visto con angoscia annunciarsi sempre
più chiara man mano che la risalita di
Ruffo dalle Calabrie da lenta si fa più ra-
pida e sicura, anche grazie al disimpegno dei francesi che lasciano i patrioti napoletani in balia di loro stessi (cf. n. 28, 23
fiorile, 14 maggio e n. 34, 17 pratile, 5 giugno, in CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, 72-73). La condanna alla
pena capitale la colpisce, con un centinaio
di altri patrioti, dopo un processo-farsa e
la violazione, da parte del re, degli accordi
della capitolazione conclusa dal card.
Ruffo, propenso, dopo la vittoria e l’esibizione di ferocia delle bande sanfediste di
cui si era avvalso, a usare clemenza verso
gli sconfitti: ma pare che questa tardiva
resipiscenza urtasse contro la determinazione della coppia reale e di Nelson a
comminare loro una punizione esemplare.
Quel popolo «fanciullo» e figlio di
ataviche ignoranze, le cui crudeltà e bassezze Eleonora avrebbe perdonato, e che
ingenuamente avrebbe continuato a cercare di educare con ogni mezzo, sapendo
che «la plebe diffida de’ patrioti, perché
non gl’intende», espunge festante da sé il
bubbone giacobino – equivalente ai suoi
occhi alle «giamberghe», i borghesi esterofili, di cui diffidare.
«Fatte cchiù, fatte cchiù llà, / cauce
nfacce a la Libbertà», scandiscono i lazzaroni salutando il ritorno di re Ferdinando. Perché mai la libertà riempiva la
bocca dei giacobini, e che senso ha questa parola – simbolo per «lu popolo bascio»? E dinanzi al corpo di Eleonora lasciato per l’intera giornata penzolare dal
patibolo, sembra che la vena beffarda e
canora del popolo basso che tira calci in
faccia alla libertà abbia commentato così:
«A signora donna Lianora (o Dianora) /
che cantava ncopp’o triato, / mo abballa
mmiezo o Mercato», «Viva viva u papa
santo, / c’ha mannato i cannuncini, / pe
scaccià li giacubini!», «Viva a forca e Mastro Donato (il boia), / sant’Antonio sia
priato!» (CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, 59.79).
Alessandra Deoriti
* La frase è di BENEDETTO CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, Bibliopolis, Napoli
1998, 12. Il vol. raccoglie saggi diversi, composti tra
il 1897 e il 1942, fra cui il profilo biografico di
Eleonora De Fonseca Pimentel (25-102). Cf. anche:
E. DE FONSECA PIMENTEL, Il Monitore napoletano
del 1799, ristampa anastatica, Il Mulino, Bologna
2000.
l
L. VILLARI, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 2009, 16.
CXL
481-482_ art bolivia:Layout 2
25-07-2011
BOLIVIA
I
i
16:19
Pagina 481
Evo Morales
l cocalero presidente
I rapporti con la Chiesa
dopo il secondo mandato
La Paz, giugno 2011.
l giornalista Ariel Beramendi ha
chiesto al card. Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz, che cosa
pensa del suo compatriota Evo
Morales.1 È noto che tra i due i
rapporti non sono idilliaci. La risposta:
«Il signor presidente ha molte qualità,
per esempio sa parlare al popolo e dire
al popolo ciò che il popolo vuole ascoltare. (…). È un uomo di molte inquietudini e credo che egli onestamente
desideri il cambiamento del paese; ora,
le forme e le maniere a volte non gli rendono giustizia perché i processi di cambiamento non si generano dalla sera alla
mattina, richiedono tempo, pazienza e,
soprattutto, ore e ore per spiegare che
l’obiettivo non è un capriccio, ma potenziare la capacità dei nostri popoli. (…)
La sua semplicità era maggiore all’inizio; ed è più difficile da mantenere
viva, pertanto penso sia necessaria la capacità di “chiudere gli orecchi” per non
ascoltare troppi elogi, lodi o applausi. È
necessario saper dire: “Sto facendo un
servizio che richiede l’ascolto degli altri”.
Sono del parere che dovrebbe ascoltare
di più gli altri e non solo coloro che gli
sono vicino.
Profonde radici indigene
Credo che il presidente stia giocando
il ruolo che gli altri dicono che abbia:
quello del salvatore del mondo indigeno.
Si presenta come colui che salverà gli indigeni di tutto il mondo e sostiene di
avere una personalità quasi della stessa
levatura degli altri leader religiosi. (…)
Potrebbe essere un modello per l’America Latina se sapesse rispettare le differenze, traendo profitto da tutti i valori
culturali senza mescolare ideologie che
vengono dal di fuori».2
Evo Morales (il nome esteso è Juan
Evo Morales Ayma) governa un paese di
oltre 10 milioni di abitanti, il 60% dei
quali sono indigeni aymara e urus che vivono nelle terre alte del paese, che si
estende per oltre un milione di chilometri quadrati di superficie. Ha una biografia sorprendente. È nato il 26 ottobre
1959, nel dipartimento di Oruro, sull’altopiano boliviano, da una famiglia molto
povera. Fu messo a lavorare la terra il
giorno stesso in cui incominciò a camminare. Ricevette un’educazione aymara
condensata in tre regole di condotta: ama
sua (non rubare), ama quella (non essere
molle) e ama llula (non dire bugie). Più
tardi Evo se ne diede una quarta: ama
llunk (non essere servile).
Nel 1978 si arruolò nel reggimento di
cavalleria, poi, trasferitosi con la famiglia
nella zona tropicale di Chapare, nel centro del paese, iniziò l’attività di sindacalista al tempo della feroce dittatura del
generale Luis García Meza, al potere
dopo il golpe del luglio 1980. Venne eletto
segretario generale del sindacato «San
Francesco» (1982-1983) e successivamente segretario di altre confederazioni.
Buttatosi a capofitto nella difesa dei
coltivatori di foglia di coca – movimento
che aveva per motto: «Per la vita, la coca
e la sovranità nazionale» – fu arrestato e
detenuto con l’accusa di sedizione. Organizzò la clamorosa marcia di 600 chilometri da Cochabamba fino a La Paz
durata ventidue giorni. Dopo alcuni guai
con la giustizia si ritirò in Argentina, dove
conobbe il teologo brasiliano Frei Betto,
il comandante nicaraguense Omar Ca-
bezas, la scrittrice e sociologa cilena Martha Harnecker e alcuni scrittori argentini.
Nel 1995 fu candidato al premio Nobel, mentre l’anno successivo nacque il
suo partito politico, il Movimento al socialismo (MAS), col quale Morales diventò
il leader dell’opposizione, stringendo alleanze con le organizzazioni indigene. Instancabile viaggiatore, ha percorso tutto il
paese con la sua leggendaria Nissan.
Nel 2005 vinse le presidenziali, trasformandosi da dirigente cocalero in leader nazionale. Il 22 gennaio 2006 – quattro anni dopo essere stato espulso dal
Parlamento – s’insediò come presidente.
Incorrotto, carismatico e combattivo, anche se con scarsa preparazione culturale,
visto che i suoi studi si sono fermati
quando aveva 14 anni.
Giurò col pugno sinistro alzato, pronunciando uno dei suoi migliori discorsi
che iniziò chiedendo un minuto di silenzio per i fratelli caduti, i cocaleros. Citò,
tra gli altri, Che Guevara e Luís Espinal,
il gesuita spagnolo sequestrato e ucciso in
Bolivia a causa del suo impegno per la difesa dei poveri.
Da presidente diede inizio alla sua
azione rivoluzionaria, statalista dal
punto di vista economico e comunitaria
da quello politico. Nazionalizzò i pozzi
di gas e petrolio, stabilendo che allo
stato boliviano andasse circa l’80% dei
profitti.
Ma Morales dovette fare i conti anche con l’altra Bolivia: il cosiddetto
Oriente, caratterizzato da una spiccata
modernità, dalla libera impresa, dal mercato. Mentre la parte occidentale del
paese è sinonimo di arretratezza, indios,
sinistra radicale, isolamento, quella orien-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
481
481-482_ art bolivia:Layout 2
25-07-2011
16:19
tale è un arcipelago di dipartimenti guidati da quello di Santa Cruz, il più ricco,
dove viene coltivata la soia, si estraggono
gas e petrolio e le temperature sono miti.
L’Occidente, il cui centro simbolico è La
Paz, si estende su un altopiano freddo e
poco produttivo.
Il 10 dicembre 2007 l’assemblea costituente approvò la nuova Costituzione,
che definisce la Bolivia stato «plurinazionale, comunitario e sociale di diritto».
Non vi è riferimento al socialismo, in
contrapposizione con la retorica dell’amico Chavez. Stabilisce la separazione
tra stato e Chiesa; garantisce le autonomie regionali con competenze ridotte includendo le «autonomie indigene»;
permette la rielezione del presidente e
proibisce l’installazione di basi militari
straniere. L’elettorato boliviano si disse
favorevole a questa Costituzione, con alcune modifiche, il 25 gennaio 2009 con il
61,43% dei voti.
Alle elezioni presidenziali del 6 dicembre 2009, Evo Morales venne rieletto
con il 64,22% dei voti superando il rivale,
Manfred Reyes Villa, uomo della destra.
Alle contemporanee elezioni legislative si
rafforzò il MAS, che dovette però continuamente fare i conti con le spinte separatiste delle ricche regioni petrolifere del
Sud-est, Santa Cruz in testa, che non
condividevano l’orientamento di Morales e del suo partito.
Il 24 giugno 2010 venne promulgata
la Ley indigena, che concede ampie autonomie a 36 comunità locali. In Bolivia,
infatti, come in tutti i paesi delle Ande, accanto ai partiti politici, vi sono varie organizzazioni indigene, ben strutturate,
che si battono per il pieno riconoscimento
dei diritti delle minoranze indigene dagli
anni Novanta. Le loro rivendicazioni ben
s’inquadrano nell’orientamento programmatico del presidente Morales, il
quale è impegnato nella lotta contro le oligarchie dominanti, visto che, secondo i
parametri delle Nazioni Unite, il 58,6%
della popolazione boliviana è considerato povero.
Morales e lo spazio pubblico
della Chiesa
Ma dal 2008-2009 il paese sta attraversando una congiuntura economica
sfavorevole dovuta al calo del prezzo
degli idrocarburi. Prosegue la politica governativa di nazionalizzazione dell’energia con il passaggio di imprese private
482
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Pagina 482
alla compagnia pubblica Empresa nacional de electricidad.
Non v’è dubbio: Morales, primo presidente indigeno, ha un grande fascino
per la popolazione. Gli va dato merito di
aver realizzato una serie di programmi
sociali destinati ai bambini, agli anziani,
alle donne.
Il 4 agosto 2010 la Conferenza episcopale boliviana, intervenendo sulle sorti
del paese, non aveva mancato di rilevare
che il momento storico era carico di progetti e desideri in vista della costruzione
di una società più egualitaria, dando
segni di riconoscimento della diversità e
della ricchezza culturale dei popoli boliviani e proseguendo il processo d’inclusione degli indigeni.
Tuttavia i presuli rilevavano che si
erano anche vissuti momenti di tensione
e di scontri sociali, con violazioni dei diritti umani. Lamentavano poi un clima
di paura e di sfiducia imposto da chi non
accetta la diversità e propugna il pensiero
unico, che esclude ogni forma di dialogo,
criminalizza e disprezza i valori altrui.
«Si constata – osservavano i vescovi –
l’aumento dei flagelli della corruzione e
del narcotraffico, che travalicano i confini del paese, coinvolgendo cartelli internazionali. Ne sono vittime soprattutto i
giovani e gli adolescenti».
Nella Lettera per la Quaresima 2011,
i vescovi hanno fatto il punto sulla situazione del paese, apprezzando il processo
in atto d’inclusione e partecipazione dei
popoli indigeni in tutti gli ambiti della società, ma puntualizzando che l’inclusione
di alcuni gruppi non deve provocare
l’esclusione di altri.
Persiste, secondo i presuli, un forte divario tra ricchi e poveri, tra ambiente rurale e cittadino. Essi sono preoccupati per
l’insicurezza alimentare e per il vertiginoso aumento dei prezzi, così come per
la lotta contro il narcotraffico che deve
essere una priorità dello stato, con la partecipazione di tutti i settori sociali.
Merita di essere segnalato un episodio che indica il livello critico dei rapporti
tra Chiesa e presidente Morales. Nel novembre 2010 le sei Federazioni del tropico di Cochabamba hanno dichiarato
persona «non gradita» mons. Tito Solari,
arcivescovo di Cochabamba, salesiano
d’origine friulana, perché aveva espresso
la sua preoccupazione per il crescere
della piaga del narcotraffico, che utilizza
adolescenti come corrieri della cocaina.
Solari è stato duramente attaccato e
il governo gli ha chiesto le prove, che
certamente il vescovo aveva. Per non
aumentare le tensioni ha ritenuto però
opportuno rimanere in silenzio; gli è
stato imposto di fare una processione di
penitenza. Un episodio che evidenzia
un clima di violenza e di mancanza di
rispetto, ha denunciato il card. Terrazas.
Che la «sana cooperazione Chiesastato» sia tutt’altro che facile lo lascia intendere la stessa Lettera. È sempre in
agguato un atteggiamento «laicista» che
i vescovi denunciano: «Nessuno può negare che gran parte della popolazione
boliviana è cristiana cattolica, cosa che
non può essere ignorata dallo stato laico
in virtù del pluralismo religioso» (n. 131).
Anche l’arcivescovo di La Paz, mons. Edmundo Luis Flavio Abastoflor Montero,
che ho incontrato nel palazzo arcivescovile della capitale, non è soddisfatto dei
rapporti con Morales, perché, a suo dire,
limita gli spazi della Chiesa, soprattutto
in campo educativo.
All’inizio del suo mandato molti consideravano il presidente una sorta di
«messia», a motivo della profonda crisi
del sistema politico boliviano che difendeva i privilegi di un’oligarchia. Davanti
all’inefficacia sia dell’esecutivo sia del
Parlamento, i movimenti sociali e distinti
settori della popolazione non legati al
MAS videro nel programma di Evo
un’alternativa al modello politico tradizionale.
Il suo carisma in quanto leader e l’audacia nel conseguire l’appoggio di settori
diversi lo hanno dipinto come l’uomo
giusto. Con il passare degli anni, soprattutto a partire dal secondo mandato, la
mancata soluzione di alcuni problemi generali ha prodotto disillusione in chi lo ha
sostenuto.
Di fronte a politiche che ripetono
schemi del passato neoliberale, contro il
quale si erano dirette le battaglie del
MAS; di fronte alla retorica propagandistica; di fronte alla corruzione, all’impunità e al narcotraffico, rimaste piaghe
endemiche del paese, ci si rende conto
che il cambiamento deve ancora venire.
Francesco Strazzari
1
Cf. A. BERAMENDI, Coloquios con el cardenal
Julio Terrazas «servidor de todos», Grupo Editorial
Kipus, Cochabamba (Bolivia) 2011.
2
Ivi, 28-29.
483 info usa:Layout 2
25-07-2011
16:20
Pagina 483
USA
35 anni dopo
L’American
Catholic Council
N
el 1976 il Cobo Center di Detroit
ospitò «Call to action», il grande congresso di 1.350 delegati delle diocesi
statunitensi (tra cui oltre 100 vescovi) convocato dalla Conferenza nazionale dei vescovi
cattolici (nel quadro delle celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza degli Stati Uniti
e al termine di un’inedita consultazione che
nei due anni precedenti aveva coinvolto
800.000 persone), sotto gli auspici dell’arcivescovo locale di allora, il card. John Daerden, per
fare il punto sul primo decennio di applicazione del Vaticano II, in particolare sulla scia
del Sinodo dei vescovi sulla «Giustizia nel
mondo» tenutosi nel 1971. Alla fine di tre giorni
d’intenso dibattito, l’assemblea dichiarò che la
Chiesa doveva contrastare il razzismo, il sessismo, il militarismo e la povertà della società
moderna e per farlo in modo credibile doveva
rivedere le proprie posizioni su questioni
come l’obbligo del celibato per i preti, l’accesso al ministero ordinato riservato ai maschi,
il rifiuto dei metodi contraccettivi artificiali e
la condanna dell’omosessualità, coinvolgendo
tutte le componenti ecclesiali nelle decisioni
più importanti.
Un’altra storia
Trentacinque anni dopo, nello stesso
luogo, una coalizione di organizzazioni progressiste – tra cui alcune, come la storica associazione dei preti sposati statunitensi Corps
of Reserved Priests United for Service (CORPUS), erano state coinvolte nel 1976, mentre altre sono sorte dopo, come Voice of the faithful, nata nel 2002 in seguito agli scandali per
le violenze sessuali compiute da membri del
clero su minori – ha promosso il 10-12 giugno,
come culmine di un centinaio di assemblee
che nell’ultimo triennio hanno interpellato
circa 5.000 persone in tutto il paese, l’American Catholic Council (ACC), cui hanno preso
parte 2.000 cattolici.
Questa volta, tuttavia, non solo i vescovi
erano del tutto assenti, ma l’ordinario della capitale del Michigan, mons. Allen Vigneron, ha
diffidato i fedeli dal parteciparvi e minacciato
di sospensione a divinis qualunque prete della
sua arcidiocesi fosse intervenuto alla messa
conclusiva.
Se questa diversità non riassume certo la
parabola del cattolicesimo statunitense, che
secondo l’autorevole Pew Research Center’s
Forum on Religion & Public Life avrebbe intanto perso circa un terzo dei propri membri,
tuttavia ne mette in luce un aspetto non trascurabile: la crescente distanza tra l’episcopato e un settore, seppur marginale e problematico, significativo della Chiesa locale,
composto da un numero consistente di religiosi e laici, spesso con un elevato grado di
formazione religiosa, che avevano partecipato da protagonisti alla prima stagione postconciliare.
La messa è stata comunque alla fine celebrata dal settantottenne benedettino p.
Robert Wurm. Il portavoce dell’arcidiocesi,
Ned McGrath, l’ha giudicata viziata da «gravi
abusi liturgici», senza però precisare quali; e
l’omelia è stata pronunciata da Janet Houter,
una laica del gruppo promotore. «È stata una
bella celebrazione, non solo conforme alla
legge, ma a ciò che la rende efficace», ha invece dichiarato l’anziano prete, secondo cui il
divieto del vescovo a parteciparvi «è stato un
grande errore». D’altro canto mons. Vigneron
ha sostenuto di non «aver ricevuto risposta ai
miei tentativi di instaurare un dialogo», un’accusa che gli organizzatori hanno ribaltato sull’ordinario.
Al di là di questa controversia, l’evento,
pur non riunendo tutte le organizzazioni statunitensi di cattolici riformatori, è stato uno
dei più partecipati degli ultimi anni, caratterizzandosi per un senso di appartenenza ecclesiale pari alla critica per «l’involuzione delle
gerarchie» e per l’appello al varo di riforme per
rispondere alla «delusione e all’abbandono di
molti cattolici», anche se ha mostrato come
queste istanze mobilitino soprattutto cattolici bianchi, di età medio-alta e di elevato livello di istruzione.
La relazione in assemblea plenaria ha soprattutto cercato di approfondire le ragioni di
fondo che motivano le tradizionali domande
di riforma: dopo che Hans Küng, in un’intervista filmata, ha fatto appello a una «rivoluzione pacifica» contro «l’assolutismo papale»,
Jeannette Rodriguez, teologa femminista docente all’Università di Seattle di origine ecuadoregne, ha evidenziato come i latinos, destinati a diventare maggioranza nel cattolicesimo statunitense, stiano elaborando una
propria riflessione di fede che trae spunto
dalla teologia della liberazione. Anthony Padovano, già primo presidente di CORPUS e visiting professor in molte Università statunitensi, citando il beato card. Jonh Henry
Newman, ha invece approfondito il valore del
sensum fidelium nella formazione della dottrina della Chiesa, mentre lo scrittore James
Carroll, columnist del National Catholic Reporter, ha riflettuto sulle ragioni per essere
cattolici oggi. Infine l’ex domenicano Matthew Fox si è soffermato sulla necessità di
«rivendicare la gioia del popolo di Dio» e la
suora benedettina Joan Chittister, tra le più influenti autrici di spiritualità del paese, ha sottolineato il ruolo dei laici, e delle donne in particolare, per favorire cambiamenti nella Chiesa.
Numeri rilevanti
Nei gruppi di studio, dedicati ad approfondire un’ampia gamma di temi (dal sistema
di finanziamento delle diocesi al linguaggio
«non inclusivo» del messale in lingua inglese,
dai nuovi modelli di ministero ai meccanismi
di nomina dei vescovi, dal ruolo della donna
nella Chiesa alle sfide della società «globale»)
e a progettare possibili iniziative concrete, ha
trovato invece forte eco un fenomeno poco
conosciuto, ma che mostra somiglianze evidenti, al di là della diversità dei nomi usati per
definirle, con esperienze in crescita nel centro
dell’Europa: il diffondersi delle Intentional eucharistic communities, cioè gruppi di cattolici
che – a volte reagendo alla soppressione della
propria parrocchia decisa dall’autorità ecclesiastica per la mancanza di clero – si autorganizzano in piccole comunità, spesso ospitate
nelle case, celebrando l’eucaristia con l’accompagnamento di un presbitero privato dell’esercizio del ministero perché sposatosi o di
una delle «donne prete» (un’ottantina negli
Stati Uniti) ordinate nell’ultimo decennio dal
movimento Roman Catholic Womenpriests
e scomunicate da Roma.
Se a ciò si aggiungono i 230.000 membri
delle circa 250 «Chiese cattoliche indipendenti o autocefale» presenti nel paese (tra gli
stand a Detroit c’era per esempio quello della
Chiesa cattolica ecumenica di Cristo, fondata
nel 1998 a Miami, che oggi dichiara 400.000
membri nel mondo e comunità sparse in tutti
i continenti).
Mauro Castagnaro
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
483
484 diario ecumenico:Layout 2
25-07-2011
16:21
Pagina 484
diario ecumenico
GIUGNO
Dialogo ortodosso-luterano. La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Federazione luterana mondiale (FLM) si riunisce a Wittenberg (Germania)
dal 31 maggio al 7 giugno, per la sua 15a sessione di dialogo dalla fondazione nel 1981. Attualmente presieduta da D. McCoid (Chiesa
evangelica luterana in America) e dal metropolita Gennadios Limouris, si confronta sul nodo più spinoso che ha raffreddato le relazioni tra protestanti e ortodossi, ossia le «serie implicazioni per il
dialogo suscitate dalla diffusa pratica luterana di ordinare donne e,
più recentemente, dalle decisioni prese da alcune Chiese luterane
circa persone con relazioni omosessuali». Ciononostante l’impegno
al dialogo viene riaffermato e si porta a conclusione il lavoro su una
dichiarazione comune su Il mistero della Chiesa: natura, attributi e
missione della Chiesa. Ai problemi teologici sollevati dagli sviluppi
delle suddette tendenze in seno al protestantesimo saranno dedicati i prossimi incontri.
Dresda – Kirchentag. La 33a edizione del Kirchentag evangelico, il meeting organizzato ogni due anni dalle Chiese protestanti tedesche con numerosi eventi d’interesse religioso e culturale, si
svolge dal 1° al 5 giugno a Dresda. Cf. in questo numero a p. 447.
FLM – Verso il giubileo della Riforma. Il piano strategico
2012-2017, anno in cui si celebreranno i 500 anni della Riforma protestante avviata da Martin Lutero, è al centro della riunione del Consiglio della FLM (Ginevra, 9-14 giugno), la prima dopo l’assemblea
generale del 2010 che lo ha eletto e con il nuovo presidente Younan
della Chiesa evangelica luterana di Giordania e Terra santa e il nuovo
segretario Junge, cileno. Viene anche approvata la fondazione di una
commissione trilaterale di dialogo con la Chiesa cattolica e i mennoniti. Un elemento di preoccupazione è rappresentato dalla situazione finanziaria dell’organizzazione, colpita da fattori come la crisi
finanziaria globale, la debolezza dell’euro e del dollaro rispetto al
franco svizzero e la riduzione dei contributi da parte dei membri
dell’emisfero Sud.
Dialogo cattolici-pentecostali. Dal 10 al 16 giugno s’incontrano a Roma i membri del Dialogo internazionale pentecostale - cattolico romano, che si svolge dal 1972 tra la Chiesa
cattolica (Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani) e alcune Chiese pentecostali classiche (cattolici e pentecostali, insieme ai carismatici, costituiscono circa il 75% di tutti i
cristiani). Il dialogo si trova attualmente nella sua sesta fase, dedicata a «I carismi nella Chiesa: il loro significato spirituale, discernimento e implicazioni pastorali»; l’incontro di giugno ha
avuto a tema «I carismi nella Chiesa: il nostro terreno comune».
L’anno prossimo si affronterà il discernimento, nel 2013 la salvezza
e nel 2014 la profezia. La sesta fase di dialogo terminerà nel 2015
con un rapporto finale.
USA – Futuro ordinariato anglicano. Circa 100 preti e
2.000 fedeli ex anglicani verranno accolti nell’ordinariato che sarà
probabilmente istituito in autunno negli Stati Uniti sul modello di
quello di Nostra Signora di Walsingham in Inghilterra. Lo ha annunciato l’arcivescovo di Washington, card. Donald Wuerl, all’assemblea
generale della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti il 17
giugno.
484
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Dialogo anglicano-luterano. La terza Commissione internazionale anglicano-luterana, che porta avanti il dialogo ufficiale tra
la Comunione anglicana e la FLM dal 1970, conclude il proprio mandato incontrandosi a Gerusalemme dal 18 al 25 giugno con un rapporto finale su Servire e amare il Signore.
UE – Alleanza per la domenica. Il 20 giugno, nell’ambito
della conferenza su «Il valore aggiunto di un tempo libero sincronizzato» presso la sede del Comitato economico e sociale europeo, viene presentata l’Alleanza europea per una domenica
libera dal lavoro, una nuova federazione che mette in collegamento a livello europeo organizzazioni e associazioni interessate
a fare pressione sulle istituzioni europee per promuovere e difendere il giorno festivo domenicale e orari di lavoro dignitosi
(con l’esclusione del lavoro in tarda serata, notturno, nelle festività comandate e di domenica). Ne fanno parte le analoghe alleanze locali nate già da alcuni anni nei paesi di lingua tedesca, la
Conferenza delle Chiese europee (KEK), alcuni sindacati come Solidarnosc (Polonia), FILCAM-CGIL (Italia), UNIA (Svizzera), Katholische Arbeitnehmer-Bewegung e Katholische Betriebsseelsorge
(Germania), mentre come sostenitori figurano anche la Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE), la
Chiesa evangelica tedesca, il Jesuit European Office e il Comitato
centrale dei cattolici tedeschi. Il sito ufficiale è www.europeansundayalliance, la dichiarazione fondativa dell’organizzazione è
disponibile anche in italiano.
Chiesa ortodossa russa – Riforma della lingua liturgica. Il russo paleo-slavo o slavonico, sviluppato dai santi Cirillo
e Metodio nel IX secolo e attualmente in uso nella liturgia della
Chiesa ortodossa russa, sarà oggetto di una riforma per rendere
la lingua più comprensibile alla società moderna. Lo afferma il 20
giugno sulla rivista RIA Novosti l’archimandrita Cirillo, un funzionario della Commissione del Patriarcato di Mosca per l’educazione. Un documento provvisorio sul ruolo del paleo-russo nella
vita ecclesiale odierna sta circolando tra le diocesi ed è oggetto
di confronto e discussione.
Milano – Benedizione di una coppia omosessuale. Il 26
giugno, nel corso del culto domenicale, nella chiesa valdese di Milano il pastore Giuseppe Platone insieme alle pastore Dorothee
Mack e Anne Zell benedice l’unione di vita di una coppia omosessuale. È la prima volta, dopo che nel 2010 il Sinodo valdo-metodista
ha deciso di concedere alle Chiese locali la facoltà di procedere a
questo tipo di benedizione laddove esse abbiano raggiunto «un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni» (cf. Regno-att.
16,2010,515). Nello scorso maggio una decisione analoga è stata presa
dalla Chiesa luterana italiana. Il 6 luglio la Federazione delle Chiese
pentecostali, che fa parte come osservatore della Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia, afferma «la sua netta contrarietà sul
piano biblico e teologico al riconoscimento delle unioni di persone
omosessuali».
CEC, Vaticano e Alleanza evangelica: vademecum per
la missione. Un documento elaborato insieme dal Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dall’Alleanza evangelica mondiale viene presentato a
Ginevra il 28 giugno. Cf. in questo numero a p. 447.
Daniela Sala
a
485 agenda:Layout 2
25-07-2011
16:21
Pagina 485
agenda vaticana
GIUGNO 2011
IOR. Il 1° giugno la Procura della Repubblica di Roma «revoca»
il sequestro di 23 milioni di euro depositati presso lo IOR dal Credito
artigiano di Roma, che erano sotto sequestro dal 17 settembre 2010
per sospetta «illiceità» rispetto alle norme antiriciclaggio dell’Unione
Europea, che sono state recepite dall’ordinamento vaticano il 30 dicembre 2010 (cf. Regno-doc. 17,2010,537 e Regno-att. 2,2011,71).
Croazia. Il 4 e il 5 giugno il papa è a Zagabria, Croazia, in coincidenza di un raduno nazionale delle famiglie. Invita a resistere alla
«mentalità secolarizzata» che «propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio» e a «sollecitare
provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di
generare ed educare i figli». Cf. Regno-doc. 13,2011,385ss.
Siria. Così il 9 giugno il papa parla al nuovo ambasciatore siriano
Hussan Edin Aala : «Gli avvenimenti degli ultimi mesi (…) manifestano
il desiderio di un avvenire migliore nell’ambito dell’economia, della
giustizia, della libertà e della partecipazione alla vita pubblica. Questi avvenimenti segnalano anche l’urgente necessità di vere riforme
nella vita politica, economica e sociale. È tuttavia altamente auspicabile che questa evoluzione non si realizzi con metodi intolleranti,
discriminanti e conflittuali, ma nel rispetto assoluto della verità,
della coesistenza, dei legittimi diritti delle persone e delle collettività, nonché della riconciliazione. A tali principi devono ispirarsi le
autorità, tenendo conto delle aspirazioni della società civile nonché
delle istanze internazionali». Sempre il 9 giugno Francia e Germania
presentano al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione di censura della repressione condotta dal governo di Damasco,
scontrandosi con l’opposizione di Russia e Cina.
Nucleare e protezione della natura. «Tutti i governanti devono impegnarsi a proteggere la natura e ad aiutarla a svolgere il suo
ruolo essenziale per la sopravvivenza dell’umanità. Le Nazioni Unite
mi sembrano essere il quadro naturale per una tale riflessione, che
non dovrà essere offuscata da interessi politici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la solidarietà rispetto all’interesse
particolare»: è la parte finale di un appello per «la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del
creato e non comportino pericolo per l’uomo», che il papa formula
parlando il 9 giugno ai nuovi ambasciatori di Moldavia, Guinea, Belize, Siria, Ghana e Nuova Zelanda. Esplicito è il riferimento all’emergenza nucleare giapponese e i media tendono a interpretare
l’appello papale come un’indicazione indiretta per il referendum sul
nucleare per il quale si vota in Italia il 12-13 giugno.
Zingari e rom. L’11 giugno il papa riceve nell’aula Paolo VI i rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom, provenienti da tutta Europa, nella ricorrenza del 75° anniversario del martirio e del 150° della
nascita del beato Zefirino Giménez Malla (1861-1936), gitano di origine spagnola. «Purtroppo – dice loro Benedetto – lungo i secoli
avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta,
della persecuzione, come è avvenuto nella Seconda guerra mondiale:
migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi
nei campi di sterminio (…). La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni,
di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa
della sofferenza altrui».
San Marino e Montefeltro. Il 19 giugno il papa visita la diocesi di San Marino e Montefeltro. «Anche qui come altrove – dice
nell’omelia della celebrazione nello stadio di Serravalle – non
mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità (…). Non vanno poi dimenticate la crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei
coniugi, come pure la fatica sperimentata da non pochi educatori
nell’ottenere continuità formativa nei giovani condizionati da
molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e
della possibilità lavorativa».
Montenegro. Il 24 giugno viene firmato in Vaticano – dal
card. Bertone e dal premier del Montenegro – un Accordo di base
fra la Santa Sede e il Montenegro che «riconosce la personalità giuridica pubblica della Chiesa cattolica e delle sue principali istituzioni».
Scola e Tettamanzi. Il 28 giugno il papa accoglie le dimissioni
del card. Dionigi Tettamanzi (77 anni) da arcivescovo di Milano e nomina a suo successore il card. Angelo Scola (69 anni, nativo di Lecco,
arcidiocesi di Milano), dal 2002 patriarca di Venezia.
News.va. Un nuovo portale multimediale vaticano news.va è
on-line a partire dal 29 giugno. Non sostituisce il sito vatican.va ma
è più ampio e lo ingloba, facilitando al visitatore l’accesso all’insieme
dei messaggi prodotti dalle diverse emittenti della Santa Sede: da
quelli scritti de L’Osservatore romano, della Sala stampa e dell’agenzia Fides a quelli audio della Radio vaticana, ai filmati del
Centro televisivo.
Ratzinger 60° di messa. Con la celebrazione in San Pietro del
29 giugno Benedetto festeggia il 60° di messa: fu ordinato a 24 anni
il 29 giugno 1951, insieme al fratello maggiore Georg e a una quarantina di altri compagni nel duomo di Frisinga, dal card. Michael Faulhaber. Seguono un pranzo con i cardinali a Santa Marta il 1° luglio (cf.
Regno-doc. 13,2011,389) e una mostra intitolata «Lo splendore della
verità, la bellezza della carità» – visitabile nell’atrio dell’aula Paolo VI
dal 5 luglio al 4 settembre – con l’omaggio al papa di 60 artisti su invito del Pontificio consiglio della cultura. Su richiesta della Congregazione per il clero, i vescovi di tutto il mondo promuovono «ore di
adorazione» secondo le intenzioni del papa.
Cina. Il 29 giugno in Cina, a Leshan, viene ordinato vescovo,
senza mandato papale, il reverendo Paolo Lei Shiyin. Una dichiarazione della Sala stampa vaticana segnalerà il 4 luglio che il consacrato
è incorso nella scomunica «per la violazione del canone 1382» del CIC
e che alla stessa sanzione si sono «esposti» i sette vescovi consacranti,
tutti in comunione con Roma, nel caso che la loro partecipazione alla
consacrazione sia stata «spontanea» e non – come parrebbe – forzata dalle autorità di Pechino. Rispetto all’analoga consacrazione illegittima del 20 novembre scorso, la dichiarazione evidenzia un ulteriore elemento di gravità ricordando che «lo stesso reverendo Lei
Shiyin era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale a causa di motivi
comprovati e molto gravi»: cioè per comportamento morale «inaccettabile». Altra circostanza che fa risaltare la gravità della tensione
in atto tra Santa Sede e autorità di Pechino: una nota sulle implicazioni canoniche di ordinazioni senza mandato era stata pubblicata il
10 giugno dal Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Cf. Regno-doc. 13,2011,393 e in questo numero a p. 456.
Luigi Accattoli
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
485
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
S
Pagina 486
studio del mese
Orientamenti
pastorali CEI
Leggendo Paolo
Torniamo
al Vangelo
Che cosa significa in concreto vivere e annunciare
la «vita buona del Vangelo»? I vescovi italiani sono
impegnati in una riflessione che a partire dagli
Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 –
Educare alla vita buona del Vangelo – indirizzi
le comunità cristiane verso prospettive
di rinnovamento pastorale. In proposito,
una suggestione importante ci è qui offerta da
mons. Pintor, che rilegge quegli intenti pastorali
a partire dal nucleo centrale della testimonianza
paolina: l’essenzialità e l’esistenzialità del Vangelo.
Paolo è il testimone innamorato «del Dio che nel suo
Figlio Gesù Cristo si è rivelato il Dio che ama tutti
i popoli»; il «Dio di tutti i poveri e i sofferenti
nel mondo»; il Dio «più forte della morte e di ogni
forma di male che conduce alla morte»; il «Dio
che si svuota per assumere nel Figlio la nostra
condizione di limite, di fragilità, di debolezza».
Analoga concretezza di vita è posta nella riflessione
di mons. Semeraro. «Oggi per la nostra gente,
che per ogni altro verso legge di tutto, occorre una
nuova Biblia pauperum. Potrà e saprà esserlo la vita
delle nostre comunità? Trovare e “vedere” lì Gesù
che prega e lavora, Gesù che predica e sta coi
peccatori, Gesù che guarisce e consola, Gesù
che accoglie e chiama... Nella Chiesa si compie
il mistero del Christus totus».
486
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 487
C
ome ogni celebrazione, anche quella dell’anno paolino, dopo avere suscitato studi,
convegni e vari interessi intorno alla figura
di san Paolo, rischia di essere catalogata
nell’archivio dei «grandi eventi» senza che
si colga la necessità e l’attualità di un confronto permanente con la prassi evangelizzatrice dell’apostolo Paolo da parte dell’agire pastorale delle nostre comunità.
Eppure un riferimento all’azione pastorale e missionaria paolina sembra oggi particolarmente importante, in
un momento in cui si avverte il bisogno di un rilancio e di
un rinnovamento dell’evangelizzazione nel nostro paese
e in Europa.
Un riferimento, inoltre, che può favorire nelle nostre
comunità cristiane e nell’intera Chiesa italiana il lasciarsi
interrogare, a partire da ciascuno di noi e dalle relazioni
intraecclesiali, su che cosa significa in concreto vivere e annunciare la «vita buona del Vangelo», come indicato nel
documento pastorale della CEI per i prossimi dieci anni.
Quali possono essere le caratteristiche e i criteri fondamentali che hanno guidato l’azione pastorale dell’Apostolo, e che sono ancora oggi particolarmente interpellanti
e illuminanti per il servizio al Vangelo svolto dalle nostre
comunità nel contesto attuale?
Senza la pretesa di riassumere – nei limiti imposti dalle
presenti riflessioni – la ricchezza e la complessità del pensiero e della prassi evangelizzatrice di san Paolo, ritengo utile
sottolineare alcuni aspetti e scelte fondamentali – in riferimento a problematiche ed esigenze che vanno emergendo
nella pastorale della Chiesa italiana, in vista di criteri e
prospettive di rinnovamento per la nostra pastorale.
Una prassi organica
Nel contesto di forte cambiamento culturale e di società complessa in cui siamo chiamati, come Chiesa, ad
annunciare e testimoniare il Vangelo, l’azione pastorale
delle nostre comunità viene interpellata da nuove domande ed esigenze.
Certamente, grazie all’azione dello Spirito, non mancano anche oggi segni di speranza, impegni generosi nel
servizio pastorale, testimonianze del Vangelo, sforzi di
rinnovamento. Come non mancano indicazioni pastorali
di estrema attualità a partire dal concilio Vaticano II con
le diverse encicliche che si sono susseguite, in particolare
da Giovanni XXIII a Benedetto XVI. Eppure si ha
l’impressione (ma è molto più che una semplice impressione) che l’azione pastorale a livello di Chiesa italiana
faccia fatica ad aprirsi a un’autentica missionarietà vissuta, con il rischio spesso di essere sordi davanti a nuove
domande, muti davanti a realtà e condizioni che richiederebbero più profezia e, forse, troppo «loquaci», dove
sarebbe richiesto maggiore ascolto, umile e silenzioso discernimento.
Alla base sembrano esserci più elementi: una visione
di Chiesa piuttosto riduttiva, con l’accentuazione unilaterale di un aspetto a scapito di tutti gli altri; la dissociazione degli elementi che entrano in gioco nella comunicazione del Vangelo: fede – vita; verità – amore; carità –
giustizia; potere – servizio; azione pastorale – fede – spiritualità; mistero – visibilità ecclesiale…
Una delle principali cause, probabilmente, è data dalla
mancanza di una visione organica della prassi evangelizzatrice, con al centro un costante riferimento al nucleo
centrale del Vangelo e della fede cristiana, compreso e comunicato in tutta la sua essenzialità ed esistenzialità, attraverso la nostra vita e dentro la vita delle persone nella
loro condizione concreta.
Su questa realtà, appena e parzialmente accennata, mi
pare offra una luce particolare il nostro confrontarci con
l’esperienza evangelizzatrice di san Paolo.
Infatti, la prima caratteristica generale e di fondo della
sua azione pastorale è data da una visione organica e globale del servizio al Vangelo, incentrato sul mistero di Cristo e sulla fede in lui, aperto a tutti gli uomini e incarnato
nelle situazioni concrete di comunità e di persone, con
un’armonizzazione unitaria tra le diverse dimensioni:
teologica, pastorale, spirituale, kerygmatica, antropologica, esistenziale, ecclesiale, sociale, culturale, storica ed
escatologica.
Il nucleo del contenuto del Vangelo che Paolo sa di essere chiamato ad annunciare può essere riassunto in questi termini: Dio nel suo amore gratuito, in un grande disegno salvifico, offre la salvezza a tutti gli uomini: ebrei e
gentili, in Gesù Cristo morto e risorto. Si partecipa al
dono della salvezza unendosi a Cristo attraverso la fede,
morendo con lui al peccato e partecipando con lui alla
forza della sua risurrezione. La salvezza non è ancora
completa, finché egli venga. Intanto colui che in Cristo è
stato redento dal peccato diventa un uomo nuovo per
mezzo dello Spirito ed è chiamato a vivere nella Chiesa,
corpo di Cristo, questa nuova realtà di figlio/a di Dio in
cui dalla fede e dal battesimo è stato introdotto.
L’apostolo stesso, in un passo della Lettera ai Galati,
esprime in un’estrema sintesi l’origine, il contenuto e la
qualità della sua missione evangelizzatrice: «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non segue un modello
umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12).
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
487
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 488
Dio al primo posto
In tutta l’azione evangelizzatrice di Paolo emerge costantemente il primato del disegno di Dio che vuole salvi
tutti gli uomini. Un disegno ispirato da un amore eterno e
gratuito con cui tutti gli uomini sono chiamati ad accogliere
il dono della salvezza (cf. anche 2Ts 2,13 -14; Ef 1,9.11;
3,11; Rm 8,28; 9,11). Tutto procede dall’amore di Dio, il
quale mentre eravamo ancora «nemici» e «peccatori» (cf.
Rm 5,8-10) ci ha amato «nel Cristo» (Rm 8,38), «nel suo
Figlio diletto» (cf. Ef 1,6; Rm 5,8-11; 28-30; Ef 1,3-14).
C’è da chiedersi se tanta nostra azione pastorale oggi
è attenta a questo primato della grazia e della libera iniziativa gratuita di Dio verso ogni persona. Se, in altre parole, mette al primo posto Dio e la sua iniziativa di amore,
se ne va manifestando il volto da lui rivelato: nelle nostre
attività, nel nostro servizio pastorale, nella nostra comunicazione e nell’incontro con le persone. Solo così si può
superare il rischio di una pastorale autoreferenziale e senz’anima, naturalistica da una parte, o il rischio di una pastorale disincarnata e «spiritualistica» dall’altra, perché il
Dio della rivelazione è il Dio della storia e della vita.
Gesù Cristo al centro
È all’interno di questo primato di Dio che meglio si
può comprendere la centralità di Gesù Cristo e della sua
mediazione salvifica come «cuore e nucleo fondamentale
ed essenziale» del nostro annuncio evangelico e di tutta la
nostra prassi pastorale.
Nell’esperienza e nella prassi evangelizzatrice paolina, la
mediazione salvifica di Gesù Cristo appare fortemente collegata con l’iniziativa di amore del Padre, che non offusca
minimamente la centralità di Cristo, ma anzi la esalta: se
Paolo dichiara che il Padre ha inviato il Figlio (cf. Gal 4,6;
Rm 8,3), che lo ha dato per noi (cf. Rm 8,32), afferma insieme che Cristo ha dato se stesso (cf. Gal 1,4; 1Tm 2,6; Tt
2,14), si è dato per amore per noi (cf. Gal 2,20; Ef 5, 2.25).
Nel cuore dell’azione pastorale di Paolo vi è il kerygma di Gesù Cristo, morto e risorto. È attraverso la
morte in croce, seguita dalla risurrezione, che Gesù Cristo ha operato la redenzione, la liberazione, la riconciliazione (cf. 2Cor 5,18-20) e la salvezza: «Noi annunciamo
Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che
greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor
1,23-24).
Le conseguenze e le ricadute di questa centralità di
Cristo – così evidente nell’azione evangelizzatrice paolina
– sono quanto mai importanti e attuali per una verifica e
un rinnovamento dell’azione pastorale nella Chiesa italiana e nelle nostre comunità.
La «centralità di Cristo» come «cuore essenziale e
unificante» della pastorale non può essere semplicemente
affermata a parole o scritta nei documenti. È criterio
normativo, valutativo, correttivo e orientativo di ogni
prassi evangelizzatrice.
La persona e l’azione evangelizzatrice di Gesù, vero
Dio e vero uomo, il suo mistero – per noi come lo è stato
per l’apostolo Paolo – devono essere il fondamento e il criterio illuminante dell’agire pastorale concreto della
Chiesa.
488
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Un agire pastorale – quello della Chiesa in Italia e di
tante nostre comunità – che a mio avviso, al di là di un
grande attivismo e di un’accresciuta visibilità e forza sociale, ha necessità di confrontarsi – con molta umiltà, spirito di parresia e profezia – con questo criterio fondamentale che mai può essere dato per scontato.
Se Dio ci ha salvato attraverso Gesù Cristo, morto e
risorto, nella totalità della sua umanità e della sua divinità,
la stessa umanità di Cristo e la sua scelta di assumere tutta
la nostra debolezza eccetto il peccato vanno considerati
come la grande mediazione e il primo sacramento, di cui
la stessa umanità della Chiesa è chiamata a essere sacramento.
In altre parole non esiste altra via per evangelizzare se
non la via dell’incarnazione; non esiste altro luogo per
evangelizzare se non l’umanità concreta nostra e dell’altro, non esiste altra via da intraprendere se non la via che
è Gesù Cristo stesso: egli «è la via principale della Chiesa.
Egli stesso è la via alla casa del Padre ed è anche la via a
ciascun uomo» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis,
n. 13, in EV 6/1207).
Se la nostra pastorale appare – talvolta o spesso – dispersiva, frammentata, settoriale, spiritualista, oppure naturalista, fredda e formale, distaccata dalla vita, fiduciosa
più su mezzi e poteri umani che sull’assunzione della kenosis, debolezza scelta da Dio e rivelata nel Figlio, scarsamente aperta alla missione, povera di interiorità…Tutto
questo non sarà perché essa non si lascia sufficientemente
e concretamente illuminare, giudicare e convertire dal criterio misterico dell’incarnazione?
In proposito l’azione e la testimonianza dell’apostolo
Paolo sono estremamente eloquenti: Paolo è un innamorato del Dio, che nel suo Figlio Gesù Cristo si è rivelato il
Dio che ama tutti i popoli. «Dio, nostro salvatore (…)
vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo
il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che
ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,3-6).
Paolo è innamorato e testimone del Dio di tutti i popoli, del Dio di tutti i poveri e sofferenti nel mondo; più
forte della morte e di ogni forma di male che conduce alla
morte; del Dio che si svuota per assumere nel Figlio la nostra condizione di limite, di fragilità e di debolezza.
È sufficiente rileggere l’inno a Cristo nella Lettera ai
Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo
Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo, diventando simile
agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una
morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il
nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,5-9).
Si tratta forse di una semplice esortazione, da interpretare e rinchiudere in forme di spiritualità intimistica e
individualistica, o non piuttosto di un criterio normativo
che interpella il nostro agire di discepoli di Cristo, sia
come singoli sia come comunità?
«Abbiate in voi gli stessi sentimenti» che furono in Cristo, perché solo così, dice Paolo, si possono edificare comunità capaci di comunicare il Vangelo nel cuore del-
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 489
l’umanità nostra e di ogni persona, di testimoniarlo come
profezia di speranza e di rispetto dell’uguale dignità in
Cristo di ciascuno in qualunque condizione: «Non fate
nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con
tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello
degli altri» (Fil 2,3-4).
Non ci dice nulla al nostro modo di pensare il Vangelo,
il lasciarci cioè attraversare dal Vangelo nella nostra vita
e nella vita delle nostre comunità, nel nostro agire pastorale? Come le nostre comunità possono assumere nella
loro pastorale a servizio della missione il principio fondamentale dell’incarnazione come assunzione in Cristo di
ogni fragilità umana?
Paolo è innamorato di Gesù Cristo e da lui affascinato.
Fin dal primo momento del suo incontro con il Risorto
sulla via di Damasco, egli s’immedesima e vive le scelte di
Cristo nella sua prassi evangelizzatrice. Ne è dimostrazione la frequenza con cui utilizza nelle sue lettere l’espressione «in Cristo» e «in Cristo nostro Signore» (circa 164
volte). Fino quasi a un’identificazione: «Non vivo più io,
ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).
Forse la nostra pastorale per essere più coraggiosa, significativa, evangelizzatrice e ricca di speranza, anche nel
contesto attuale, ha bisogno di interiorizzare e di vivere
un’autentica spiritualità dell’essere e dell’agire «in Cristo».
Vale la pena chiederci se questo «vivere in Cristo» di
Paolo e la sua passione per Gesù crocifisso e risorto siano
davvero al centro e nel cuore della nostra azione pastorale.
Nella potenza dello Spirito
Ma la centralità dell’annuncio del Cristo crocifisso e
risorto nella prassi evangelizzatrice di Paolo è sempre accompagnata dalla consapevolezza della presenza e dell’azione dello Spirito.
Ai cristiani di Corinto egli scrive: «Anch’io, fratelli,
quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il
mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi
se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi
nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia
parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi
persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse
fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio»
(1Cor 2,1-5).
Del resto nulla dell’agire pastorale delle nostre comunità, della stessa vita cristiana potrebbe essere compreso
e attuato senza il costante riferimento e riconoscimento
della presenza e dell’azione dello Spirito Santo.
È lo Spirito Santo a comunicare l’azione pasquale del
Signore per la salvezza di tutti gli uomini e a unirci come
Chiesa in comunione organica e missionaria.
L’apostolo Paolo sottolinea come sia il dono dello Spirito ad aprirci alla fede, alla relazione filiale con Dio e alla
relazione fraterna (cf. Rm 8,9-17), e da esseri «carnali» ci
renda «esseri spirituali» capaci di portare i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22).
Lo Spirito Santo è inviato alla Chiesa come sorgente
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
489
di ministerialità diversificata e organica, di collaborazione e di unità per l’opera della salvezza e, quindi, per la
missione (cf. Ad gentes, n. 4).
È lo Spirito sorgente della molteplicità dei doni e, insieme, dell’unità del servizio per la missione (cf. 1Cor
12,1-28).
Anche qui c’è da interrogarsi come l’azione pastorale
manifesti o possa manifestare in concreto la presenza e
l’azione dello Spirito. La necessità anzitutto che le nostre
comunità lascino trasparire in quello che sono e nel loro
agire, anche attraverso alcuni lineamenti strutturali, la presenza e il ruolo dello Spirito Santo: l’uguale dignità nella
diversità complementare dei compiti e dei doni, la fraternità, la comunione, la corresponsabilità e la comune
missione, la comunicazione e il dialogo, l’unità nella pluralità dei doni e dei compiti, la missionarietà, un maggior
coraggio profetico…
Ma, soprattutto, una pastorale più incarnata nella
vita delle persone e più attenta al cuore dell’uomo, alle situazioni che la persona vive, alla sua storia, ai suoi doni
e alle sue attese.
Ministero di fede
Alla luce e sulla base dei criteri sopra richiamati intorno
alla prassi evangelizzatrice misterica di san Paolo, si possono
ora brevemente sottolineare alcuni altri tratti conseguenti e
caratterizzanti il suo agire pastorale, utili per riflettere e ripensare il servizio al Vangelo delle nostre comunità.
La visione e l’azione evangelizzatrice di Paolo mette al
Giorgio Campanini
La spiritualità familiare
nell’Italia del ’900
Percorsi profili prospettive
L
a ricerca traccia la storia del movimento di spiritualità familiare in
Italia nel secondo ’900: uno degli aspetti più interessanti e innovativi del postconcilio italiano. A conferma di una
tendenza caratteristica della teologia
italiana, la riflessione sul tema è stata
stimolata anche dai mutamenti culturali in atto, dalle domande concrete
della comunità credente e dall’ascolto
del contesto di vita.
«Teologia viva»
pp. 232 - € 20,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
25-07-2011
17:14
Pagina 490
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
centro la fede. Si pensi allo sviluppo del tema nella Lettera
ai Galati e soprattutto nella Lettera ai Romani. È attraverso
la fede che viene accolto il dono della salvezza.
Se la fede, per san Paolo e per noi oggi, è la risposta personale dell’uomo all’iniziativa di Dio che viene incontro
con la sua parola e i suoi interventi salvifici (cf. Rm 10,14;
Gal 1,11ss); se credere significa accettare come reale e salvifico il fatto della risurrezione di Gesù (cf. Rm 4,24; 10,9;
1Cor 12,3; 15,1-19; 1Ts 4,14; Fil 2,8-11), allora anche tutto
l’agire pastorale, come servizio al Vangelo per la salvezza di
ogni uomo, deve essere visto e praticato come ministero di
fede: di una fede che attraversi le nostre comunità e la vita
degli evangelizzatori e si manifesti attraverso tutta la prassi
pastorale.
Non è un caso che l’enciclica Redemptoris missio affermi
che la missione è sostanzialmente un problema di fede: di
una fede vissuta, testimoniata, contagiosa. Senza una fede
viva, animata dallo Spirito, che attraversi e sostenga la nostra povertà e fragilità personale e comunitaria, l’azione rischia di ridursi a puro attivismo e gli stessi operatori pastorali a semplici funzionari di una società religiosa.
Davvero le nostre relazioni comunitarie ed ecclesiali, le
nostre attività sono attraversate sempre da questa fede?
Colpisce, riflettendo sull’azione evangelizzatrice di san
Paolo, il suo riferirsi sempre a comunità concrete nelle situazioni positive o meno che esse vivono il suo riferirsi a persone concrete e a fatti concreti nell’annunciare il Vangelo. In
altre parole la sua azione è sempre rivolta e attenta alla persona umana, sulla linea della prassi evangelizzatrice di Gesù.
Nell’insegnamento e nell’agire di Paolo la fede s’incarna
nella totalità esistenziale e culturale della persona, rinnovandola attraverso la presenza e l’azione dello Spirito: chi è
«in Cristo», chi mediante la fede entra nell’azione salvatrice
490
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
di Cristo, è «nuova creatura» (cf. 1Cor 5,17; Gal 6,15; Ef
4,24; Col 3,10).
Un messaggio forte che ne deriva per la pastorale delle
nostre comunità può essere la necessità di una maggiore attenzione alle singole persone nella loro identità e dignità,
nelle concrete e diversificate situazioni di vita, nelle loro
molteplici relazioni, nella quotidiana vita dell’esistenza. Se
in forza dell’incarnazione si deve affermare che Cristo è la
via della Chiesa, sempre in forza dell’incarnazione si deve riconoscere che l’uomo in tutta la sua concretezza è la via della
Chiesa e della sua azione pastorale.
Vocazione per la missione
L’incontro di Paolo con il Signore Gesù sulla via di Damasco è alla base di tutto il suo modo di pensare e di praticare il suo servizio al Vangelo – più che di esperienza di semplice «conversione», si può parlare di esperienza di
«vocazione-chiamata» per la missione – sulla via di Damasco.
Paolo, incontrando il Signore risorto, avverte una chiamata avente per contenuto il Cristo Figlio di Dio presente
nella sua Chiesa e come destinatarie tutte le genti.
Nella Lettera ai Galati egli scrive: «Ma quando Dio, che
mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua
grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché
lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere
consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e
poi ritornai a Damasco» (Gal 1,15-16). Nell’incontro con
il Risorto Paolo cambia in profondità la visione di Dio; il
Dio dell’alleanza con Israele è il Dio che vuole stringere
un’alleanza con tutti gli uomini e tutti i popoli. Dio è il Dio
di tutti, degli ebrei come dei pagani. È il Dio che non fa di-
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 491
El Greco, I santi Pietro e Paolo, Barcellona, Museo di arte catalana.
stinzione di persone, ma a tutti offre gratuitamente la sua
salvezza.
A Damasco Paolo è stato afferrato e conquistato da un
amore gratuito che non potrà più tenere per sé, ma si sente
chiamato a comunicarlo a tutti gli altri. È quanto l’Apostolo
esprime nella Prima lettera ai Corinzi, dove ricorda il suo impulso interiore di annunciare il Vangelo, chiamandolo necessità: «Infatti annunziare il Vangelo non è per me un
vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me
se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16).
Come metodo e stile missionario Paolo avrà un atteggiamento di apertura universale e d’inculturazione; di partecipazione alle situazioni di chi è fragile a ogni livello; di disponibilità totale a ogni uomo perché possa incontrare la
forza salvatrice del Vangelo, cioè Gesù Cristo stesso: «Infatti
– scrive l’Apostolo – pur essendo libero da tutti, mi sono fatto
servo di tutti per guadagnarne il maggior numero (…) Mi
sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi
sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe
anch’io» (1Cor 9,19-22).
C’è da chiedersi se alla base di una scarsa missionarietà
nella pastorale delle nostre comunità non vi sia proprio
un’insufficiente consapevolezza di una vocazione cristiana
connaturalmente missionaria, un insufficiente attaccamento
a Cristo e al suo Vangelo del Regno, la mancanza di una passione e di una spinta interiore per comunicare agli altri, senza
esclusione alcuna, il Vangelo dell’amore salvante di Dio.
Testimonianza e dono di sé
Paolo non si sente un «funzionario di Dio», ma un padre e un fratello che genera la comunità nella fede con l’annuncio del Vangelo (cf. 1Cor 4,15). Egli evangelizza non solo
con la parola, ma con l’intera sua persona: nella sua esistenza
traspare il mistero pasquale di Gesù morto e risorto. Mistero
che si manifesta con l’insieme delle sue sofferenze fisiche, morali, spirituali patite per Cristo (cf. 1Cor 4,6-13; 2Cor 4,8-12;
6,4-10; 11,23-33; 2Tm 3,10-11).
Fino all’affermazione «per me infatti il vivere è Cristo»
(Fil 1,21); e «sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più
io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo,
la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19-20).
Un richiamo forte per la nostra azione evangelizzatrice
nel contesto attuale, dove più che mai si ha necessità di testimoni autentici che vivano il Vangelo che proclamano. La
credibilità e l’accoglienza dell’annuncio cristiano dipende in
maniera rilevante dalla testimonianza offerta dalla persona
che evangelizza e dalla comunità cristiana che evangelizza.
Prima e più delle parole che si dicono, è importante la nostra autenticità, il nostro modo di vivere e di impegnarci per
gli altri in nome e a causa del Vangelo.
Per Paolo la redenzione che si acquisisce in Cristo è una
salvezza attuale e presente, ma il cui compimento rimane ancora nell’attesa. «Nella speranza infatti siamo stati salvati»
(Rm 8,24). È certo già che «Dio, nostro salvatore» (1Tt 3,5),
ci ha risuscitati e fatti rivivere con Cristo (cf. Ef 2,5-6). Si
tratta di una salvezza presente, ma la cui pienezza sarà donata alla fine dei tempi, alla manifestazione di Cristo alla fine
della storia.
La pastorale delle nostre comunità ha bisogno di questo
respiro. Vivere il «già» e il «non ancora» in una speranza attiva e testimoniando tutta la bellezza del vivere la «vita
buona del Vangelo».
Nell’azione evangelizzatrice di Paolo risaltano fortemente il senso e le scelte della solidarietà fraterna e di comunità cristiane solidali senza confine. Si pensi alla forza con
cui l’Apostolo denuncia, nella Prima lettera ai cristiani di Corinto (1Cor 11) il sacrilegio e il tradimento della celebrazione
della cena del Signore dato dalla mancata condivisione del
cibo da parte di coloro che hanno molto (i ricchi) nei confronti di coloro che hanno poco (i poveri): «Il vostro non è
più un mangiare la cena del Signore» (1Cor 11,20).
Per Paolo questo comportamento è una grave controtestimonianza: «Volete gettare il disprezzo nella Chiesa di
Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11,22). È indubbio che questo pone domande inquietanti alle eucaristie
che celebriamo e alla formazione cristiana che promuoviamo nelle nostre comunità. Così come interrogano le nostre comunità sulla loro apertura missionaria e la solidarietà
con altre Chiese e comunità più povere economicamente le
«collette» promosse dall’Apostolo a livello internazionale tra
Chiese in situazione economica migliore e altre comunità in
situazione di povertà (cf. 1Cor 16,1-4; 2Cor 8,9).
Ma la sintesi in un certo modo di tutte le indicazioni spirituali e pastorali di Paolo la possiamo trovare nel c. 13
della Prima lettera ai Corinzi (1Cor 13,1-13), dove l’Apostolo, dando le sue istruzioni per la vita e l’azione della comunità, sottolinea come tutti i doni spirituali e tutte le attività, senza il primato della carità e dell’amore, sarebbero
vuote di significato e solo apparenza, magari abbagliante.
Egli parla di una «via» come cammino e tensione continua
per percorrere la stessa via della carità e dell’amore che è Cristo.
In conclusione si può affermare che la qualità dell’azione
pastorale dipende, in definitiva, dalla capacità di far trasparire nella vita delle nostre comunità e nelle diverse realizzazioni pastorali quell’amore di Dio, di cui Paolo parla ed è testimone: un amore «dal cuore grande e aperto» e costruttivo.
È questo amore di Dio che lo ha afferrato e affascinato
nell’incontro con Cristo, che spinge Paolo ad annunciare il
Vangelo. Proprio perché fondate sul primato del mistero di
Dio, sulla fede e sull’amore a noi partecipato in Gesù Cristo morto e risorto e nel dono dello Spirito, la visione e
l’azione pastorale di san Paolo sono cariche di speranza e di
fiducia (vedi in particolare il c. 8 della Lettera ai Romani).
Forse è proprio a partire da queste prospettive e scelte
fondamentali che la pastorale delle nostre comunità potrà
meglio rinnovarsi.
Con una convinzione che attraversa tutta la visione paolina: quella di essere Chiesa in Cristo abitata dallo Spirito,
per essere umile «sacramento», segno e strumento dell’amore salvante di Dio per tutti gli uomini. Solo se le persone faranno esperienza di questo amore che traspare nel diverso agire delle nostre comunità cristiane, potranno
conoscere e accogliere il Dio della vita e dell’amore.
Sergio Pintor*
* Sergio Pintor è vescovo di Ozieri (SS).
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
491
25-07-2011
17:14
Pagina 492
CEI - Gli orientamenti
e la catechesi
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
La vita buona
del Vangelo
È
già da otto mesi che abbiamo fra le
mani gli orientamenti pastorali per il
decennio 2010-2020. Potremmo descriverli come un insieme di «linee pastorali che emergono dalla scelta
dell’educazione come attenzione portante di questo decennio e che s’intrecciano con tutto
l’agire della Chiesa» (Educare alla vita buona del Vangelo,
n. 6; Regno-doc. 19,2010,604). Se poi volessimo sintetizzarne il messaggio potremmo indicare i punti seguenti:
– la vocazione più intima dell’uomo è quella d’incontrare Dio (Presentazione);1
– nell’incontro con Gesù Cristo sperimentiamo «la
forza trasformante del suo amore e della sua verità, in
una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello
buono e vero» (ivi);2
– Gesù, maestro di verità e di vita, ci invita a una relazione personale con lui, da cui è generato un cammino
che, con le sue radicali esigenze, conduce a un sempre
rinnovato incontro con lui (cf. n. 32; nn. 25-26.28);
– l’incontro con Cristo necessita, in ogni caso, di una
mediazione ecclesiale: «In quanto luogo d’incontro con il
Signore Gesù e di comunione tra fratelli, la comunità cristiana alimenta un’autentica relazione con Dio; favorisce
la formazione della coscienza adulta; propone esperienze
di libera e cordiale appartenenza, di servizio e di promozione sociale, di aggregazione e di festa» (n. 39; Regnodoc. 19,2010,616).
Per riassumerli potrà essere utile risentire questo passaggio degli orientamenti, che riecheggia parole di Benedetto XVI: «“Anima dell’educazione, come dell’intera
vita, può essere solo una speranza affidabile”. La sua sorgente è Cristo risuscitato da morte. Dalla fede in lui nasce
una grande speranza per l’uomo, per la sua vita, per la
sua capacità di amare. In questo noi individuiamo il contributo specifico che dalla visione cristiana giunge all’educazione» (Regno-doc. 19,2010,603).
Educare è generare
Prima di entrare in merito all’argomento, infine, penso
sia utile risentire ciò che, riguardo al documento in rapporto alle scelte pastorali nelle nostre Chiese diocesane,
ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI), mons. Mariano Crociata: «Il documento del decennio non costituisce il programma
pastorale delle singole diocesi, ma rappresenta uno strumento pastorale organico di discernimento e di programmazione, un quadro ermeneutico, una cornice di
492
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
compatibilità dei percorsi che le singole Chiese si sentono
chiamate a compiere. Per corrispondere all’identità e alla
missione proprie di ciascuna nelle condizioni in cui vive
e opera».3
C’è negli orientamenti un passaggio che ritengo illuminante: «Esiste un nesso stretto tra educare e generare» (n.
27; Regno-doc. 19,2010,612). Molto si potrebbe dire riguardo a questa dimensione generativa.4 Già il solo richiamo all’etimologia del verbo «educare» ci avverte che
nella lingua latina (e-ducere) ha come primo significato «tirare fuori», «trarre» e «condurre fuori» con sé, persino
«generare». Educit obstetrix…, sentenziava M.T. Varrone.
Tre secoli prima di lui, Socrate amava ripetere che egli
aveva abbandonato il mestiere del padre (era scultore) per
esercitare l’arte della madre, ossia quello di levatrice. La
frase ha un suo profondo significato. Educare, infatti, non
è aggiungere dall’esterno, o travasare da uno spirito in un
altro, quasi che la persona umana fosse vaso da riempire;
si tratta, piuttosto, (potremmo dire, questa volta, con un
riferimento alla maieutica socratica), di fare nascere
l’uomo dall’uomo, aiutare l’uomo a far venire fuori, a fare
nascere la sua verità, la verità di se stesso, chi egli è.5
Nell’autentica «maieutica» educativa c’è sempre il
senso dello stupore. Diversamente dallo scultore, ad
esempio, che mette sempre del suo nella forma che va
plasmando, l’educatore sa di doversi sempre fermare sulla
soglia della libertà del soggetto. Questi potrebbe, di per
sé, anche non accogliere la sua proposta, o modificarla…
L’educatore non conosce in anticipo quale sarà il risultato del suo intervento educativo. Educare è, così, sempre
un lasciarsi sorprendere dal soggetto. L’educazione autentica – c’insegna Romano Guardini – è possibile solo a
partire da un autentico rispetto verso la personalità in formazione. Su ciò s’innesta pure il carattere morale dell’educazione, perché – è sempre R. Guardini che scrive –
educare vuol dire aiutare chi sta crescendo a discernere
nel proprio essere il bene e il male, ciò che fa crescere da
ciò che blocca, ciò che promuove da ciò che danneggia;
lo aiuta a vedere dove stanno le sue più intime contraddizioni e a trovare la via su cui avanzare.6
A lui vorrei unire M.F. Sciacca, un grande esponente
italiano del moderno spiritualismo cristiano († 1975).
Educare, scriveva, è sempre un «atto morale (e in questo
senso altamente sociale, in quanto la socialità è un aspetto
della moralità) e perciò è diverso dal tecnico, dall’utile e
dall’economico; e, se atto morale, il suo soggetto inalienabile è la persona umana... consentire che lo spirito cresca dal di dentro è perciò l’opposto della tecnica anonima
e livellatrice, vacanza del pensiero e dell’impegno di pensare, parsimoniosa al massimo di energie mentali... si
educa traendo dal di dentro e cioè mettendo in atto le
possibilità spirituali».7
Educare, al tempo stesso, è un processo di apertura e,
perciò, anche di liberazione e di libertà. La metafora del
«cammino» è uno dei fili conduttori dell’intero documento CEI.8 Il titolo del n. 26 recita così: «Un incontro
che genera un cammino». Poco più avanti, all’inizio del
n. 28, si legge ancora: «L’immagine del cammino ci fa
comprendere che l’educazione è un processo di crescita
che richiede pazienza. Progredire verso la maturità im-
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 493
pegna la persona in una formazione permanente, caratterizzata da alcuni elementi chiave: il tempo, il coraggio,
la meta... [che] consiste nella perfezione dell’amore. Il
Maestro ci esorta: “Siate perfetti come è perfetto il Padre
vostro celeste” (Mt 5,48)» (Regno-doc. 19,2010,612).
Siamo così collocati nella prospettiva della «vita
buona del Vangelo». L’espressione meriterebbe un approfondimento. Dirò solo che, intervenendo al Convegno
ecclesiale 2011 della diocesi di Roma, Benedetto XVI ne
ha fatto cenno citando sant’Ilario di Poitiers, il quale «ha
scritto di essere diventato credente quando ha compreso,
ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice
erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante
e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo».9 A proposito di questa «vita
buona», poi, dovremmo subito (ancora con R. Guardini)
annotare che «l’uomo dev’essere buono, anzi, secondo la
richiesta del discorso della montagna, “perfetto”: ciò significa volere il bene, volere la volontà di Dio, e avere la
buona intenzione nel momento decisivo, dove comincia
la sfera della libertà».10
Questo, tuttavia, è solo l’inizio del cammino di una
vita buona. Occorreranno, perciò, molti altri passi perché il cammino prosegua e giunga alla sua meta. La
buona intenzione, ad esempio, dovrà necessariamente
immergersi nella contraddittoria e spesso tragica concretezza delle cose; dovrà pervadere tutta la complessa realtà umana poiché all’uomo Dio domanda non
semplicemente di compiere delle cose buone, ma di essere, diventare buono. È, dunque, importante che il discorso cristiano sappia raggiungere tutte le sponde di vita,
che albergano nel cuore dell’uomo e che l’opera educativa deve in ogni caso riuscire a intercettare: il desiderio
di verità, di giustizia, di amore, di felicità.11
L’esperienza di un incontro
Quale, al riguardo, dovrebbe essere il punto di partenza? Trattandosi della «vita buona del Vangelo»,12 comincerei col richiamare quel tipico processo generativo,
che origina l’esistenza cristiana e che, nelle prime righe
della sua lettera enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI
ha descritto così: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è
una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro
con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita
un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».13
Se l’affermazione è vera (e lo è senz’altro), ne segue
logicamente che se un uomo non ha incontrato Cristo,
non è in realtà mai nato alla fede, né potrà mai sentire il
desiderio di conoscerlo, di dialogare con lui, di amarlo.
Uno stesso battezzato, se non giungerà a cogliere l’urgenza e la necessità di vivere la propria vita come vocazione, cioè nella verifica (= rendere vero nella vita)
dell’incontro fatto, non potrà mai sentire il desiderio di
approfondire la conoscenza di lui.
L’incontro con Cristo, dunque, è davvero l’inizio e il
fondamento di tutto ciò che segue, ciò che prestabilisce la
validità di ogni successiva azione e ne condiziona l’esercizio. Diremo, ricorrendo a delle immagini, che questo
«incontro» è, in rapporto a tutto ciò che segue, quello che
per il fiume è la sorgente; oppure, per richiamare una
scena evangelica, ciò che è per l’uomo la nascita (cf. Gv
3,3-8: il dialogo notturno di Gesù con Nicodemo). È l’atto
fondante della vita cristiana. Né potrebbe essere diversamente se, come scrisse Romano Guardini, l’essenza del
cristianesimo è la persona di Cristo. Scriveva: «Il cristianesimo non è una teoria della verità, o un’interpretazione
della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di
Nazaret, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal
suo destino – cioè da una personalità storica».14
Nell’itinerario della vita cristiana, la sua necessità si ripresenta in forma sempre nuova, corrispondente alle età
della vita, alle condizioni interiori ed esteriori, ai mutamenti della storia personale e comunitaria. L’incontro con
Cristo è un continuum nel progressivo approfondimento
cristiano e, oltre a essere lo scopo ultimo della catechesi,
è, in chiave escatologica, la meta della stessa vita cristiana.
Esso, pertanto, deve sempre essere precisato e spiegato, di
volta in volta, in rapporto all’intero processo di maturità
della fede e del progetto di vita cristiano, di cui è parte
integrante. Occorre anche sottolineare che all’educazione
alla fede una comunità ecclesiale deve anche necessariamente unire l’educazione della fede con tutti coloro che
sono in cammino di maturazione.
Con riferimento a quanto scrive il Direttorio generale
per la catechesi ai nn. 69-72, potremmo anche parlare del
bisogno di un’educazione permanente della fede. Potremmo anche ricordare quanto si legge nella nota L’iniziazione cristiana/3, dove «a motivo della grande
diversificazione delle situazioni in cui oggi vivono coloro
che si mettono alla ricerca di Cristo», si ipotizzano itinerari diversi e differenziati che esprimano «il rispetto del
cammino personale e siano in ascolto delle domande e
delle attese, non di rado inespresse ma non per questo
meno vive, della persona» (n. 27; ECEI 7/1007). La nota
conclude che l’itinerario d’iniziazione cristiana deve condurre «al progressivo inserimento nella comunità» e
orientare «a una seria decisione di aderire a Cristo, per
assumere nella Chiesa un servizio di testimonianza e di
carità, nel quale continuare la crescita e la maturazione
della vita cristiana» (n. 40; ECEI 7/1033).
L’incontro con Cristo, com’è giustamente detto in Catechesi tradendae, n. 5 (cf. anche Direttorio generale per la
catechesi, n. 80), è pure lo scopo definitivo della catechesi.
Lo si riproporrà, dunque, sempre avendo presente che
«la catechesi, primo atto educativo della Chiesa nell’ambito della sua missione evangelizzatrice, accompagna la
crescita del cristiano dall’infanzia all’età adulta e ha come
sua specifica finalità “non solo di trasmettere i contenuti
della fede, ma di educare la mentalità di fede, di iniziare
alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita”» (Educare alla
vita buona del Vangelo, n. 39; Regno-doc. 19,2010,616).
Il ruolo dei testimoni
La condizione fondamentale perché sorga quest’esperienza cristiana è il mistero stesso di Dio che, pur conservando la sua incomprensibilità e ineffabilità, nel suo Figlio
non cessa di parlarci e talvolta lo fa paradossalmente perfino col suo «silenzio».15 Nel suo Figlio fatto uomo Iddio
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
493
25-07-2011
CEI - UFFICIO
17:14
Pagina 494
C AT E C H I ST I CO
Adulti protagonisti
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
A
bbiamo ritenuto utile affiancare alla riflessione di mons.
Sergio Pintor, vescovo di Ozieri, quella di mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della
Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio
e la catechesi, il quale a partire dalla direzione impressa dai vescovi italiani alla pastorale con gli Orientamenti per il decennio
2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo ne prospetta
l’applicazione nell’ambito della catechesi, e segnatamente
quella degli adulti. In ciò si riflette l’attenzione della Conferenza
episcopale italiana, che proprio all’annuncio cristiano dedicherà
il primo documento applicativo degli Orientamenti (cf. Regnoatt. 12,2011,368), mentre ulteriori piste per l’attuazione in altri
ambiti saranno offerte nei prossimi anni.
Alla catechesi degli adulti era dedicato anche il XLV Convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani,
organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale della CEI a Pesaro dal 20 al 23 giugno sul tema «Adulti testimoni della fede,
desiderosi di trasmettere speranza. Responsabilità e formazione
della comunità cristiana», e nel corso del quale mons. Semeraro
ha tenuto la relazione che qui proponiamo, dal titolo «Educare
alla vita buona del Vangelo: gli orientamenti pastorali per il decennio e la formazione degli adulti nel cammino della Chiesa
italiana».
Si avverte – come ha messo in luce nel suo intervento introduttivo don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale – una difficoltà nella recezione, all’interno del tessuto
concreto delle comunità parrocchiali, dei documenti catechistici
dell’ultimo decennio, imperniati sul modello dell’iniziazione cristiana ispirato al percorso catecumenale, adatto al primo annuncio in un contesto che non può più presupporre la fede; e al
tempo stesso sono presenti a «macchia di leopardo» tentativi e
sperimentazioni messe in atto dalle comunità locali in coerenza
con le nuove indicazioni (cf. Regno-att. 14,2010,488). Per svolgere
una verifica del rinnovamento dell’iniziazione cristiana e una ri-
si avvicina e s’adatta a noi (il Verbum abbreviatum, direbbe
Francesco d’Assisi) e nella grazia dello Spirito ci unisce a
sé. Come, infatti, potrebbe non essere vero per il «Padre
del Signore nostro Gesù Cristo» quel che il notissimo pensatore ebreo, A.J. Heschel, dice già nel titolo di uno dei
suoi libri più citati: «Dio alla ricerca dell’uomo»? Ciò
posto, è vero pure che Iddio misericordioso ci domanda di
aprirgli, di appianargli le strade (cf. Is 40,3).
«Ci sono tre modi di “conoscere” Dio – si legge in un
bel libro di Paolo Giuntella –, di cercarlo, di ascoltarlo,
di incontrarlo». È su questa «via» della conoscenza di Dio
che si pongono i testimoni. I quali mostrano la ricerca di
Dio, danno il senso della fede, offrono con la loro vita il
senso profondo della Vita, della storia; i testimoni, «che
sono essi stessi annuncio o personaggi dell’annuncio. Perciò della stessa evangelizzazione».16
Il n. 29 degli orientamenti è interamente dedicato alla
figura del testimone. Vi sono, in questo numero, dei passaggi che richiamano l’importanza della sua preparazione, anche intellettuale, e della sua competenza anche
494
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
cognizione rispettosa della vivacità dei territori l’Ufficio catechistico nazionale ha lanciato la proposta dei 16 Convegni regionali, che si terranno nel 2012 e saranno preceduti da un incontro
nazionale dei direttori che si svolgerà nel gennaio 2012 a Roma.
La Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi intende arrivare a un nuovo «Documento condiviso» dell’episcopato italiano, che aggiorni e rinnovi l’impulso
del Documento di base e i catechismi.
In vista di tale passo va evidenziata la centralità che viene attribuita anche dagli Orientamenti alla formazione permanente
degli adulti e delle famiglie, e che già da tempo è oggetto d’attenzione da parte dell’Ufficio catechistico nazionale. «Gli Orientamenti – afferma don Benzi – pur nello stesso orizzonte
dell’evangelizzazione ma fedeli alla riflessione sulla dinamica educativa, spostano, per così dire, l’obiettivo dagli adulti in quanto
destinatari agli adulti in quanto soggetti dell’educazione e della
comunicazione della vita di fede».
Quali sono allora le condizioni per rendere consapevoli gli
adulti di questo giusto protagonismo? La precedente riflessione
sul tema, richiama don Benzi, mette in luce «l’importanza di dedicare tempo e spazio alla formazione e all’accompagnamento
degli adulti che sono già all’interno delle nostre realtà ecclesiali,
tenendo presente che essi non sono al di fuori delle dinamiche
sociali odierne e che dunque, in qualche modo, hanno già elaborato una sintesi e una risposta di fede personale: si tratta di
coloro che sono presenti nei consigli pastorali, nelle varie attività di carattere formativo o caritativo, di coloro che partecipano
alla vita delle nostre comunità, soprattutto degli stessi catechisti che chiedono formazione»; in secondo luogo, «rivolgersi a
queste persone significa in qualche modo toccare e far emergere una «responsabilità di testimonianza/educazione condivisa
nella comunità ecclesiale».
D. S.
metodologica. È tuttavia sulla sua «qualità» morale e spirituale che s’insiste. «L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria
umanità è insieme ricchezza e limite... Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione educativa
è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza maturata alla scuola di altri maestri… L’educatore compie il
suo mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della
sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità;
è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale...» (Regno-doc. 19,2010,612).
Poco più avanti, al n. 31, gli orientamenti ne mettono
in evidenza un’altra qualità, che chiamerei della fedeltà,
che è la base delle virtù di un educatore, perché la fedeltà
«è il cuore della pazienza e si installa nella fedeltà quotidiana dell’amore» (V. Jankélévitch). Educare alla vita
buona del Vangelo per questo non manca di avvertire che
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 495
«la credibilità dell’educatore è sottoposta alla sfida del
tempo, viene costantemente messa alla prova e deve essere continuamente riconquistata. La relazione educativa
si sviluppa lungo tutto il corso dell’esistenza umana e subisce trasformazioni specifiche nelle diverse fasi» (Regnodoc. 19,2010,613).
Non si sottolineerà mai abbastanza l’ineludibilità di
questa qualità dell’educare, che vale evidentemente anche
per l’educazione della fede, ossia la nostra catechesi. Soprattutto oggi, nella nostra società pluralista, l’esigenza
di una diversificazione della catechesi, che permetta percorsi multipli non soltanto secondo le età e gli ambienti di
vita, ma anche secondo le profonde e interiori domande
personali, è ineludibile. Come è stato giustamente sottolineato da qualcuno, la situazione di pluralismo e di complessità obbliga a raggiungere, in spirito di servizio, le
persone là dove sono e privilegiare i percorsi personalizzati e flessibili.17
Ora, tutto questo che ho appena rilevato potrà e
dovrà dirsi tanto di una singola figura, quanto di un insieme di figure cristiane. Saranno proprio queste a significare, nei riguardi di una singola persona, il volto
materno della Chiesa.
Non saprei spiegarlo in altro modo se non richiamando l’avventura cristiana di Agostino. Nelle sue Confessioni – scritte circa dieci anni dopo la sua conversione
– egli afferma qualcosa di molto bello riguardo alla «qualità educativa» del vescovo di Milano, Ambrogio, della
sua discreta «mistagogia» e della sua prudente opera di
«iniziazione». Leggiamo: «Incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava
strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la
letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui
ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato
consapevole a te. Quell’uomo di Dio mi accolse come un
padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non
certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna
speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza».18 Notiamo la graduale attrazione che Ambrogio esercitò su Agostino,
dapprincipio solo con la sua paternità e il suo atteggiamento benevolo, accogliente, amico. Proprio a partire da
ciò, tuttavia, prende avvio il lento cammino di Agostino
verso la fede cristiana.
Figure come questa di Ambrogio debbono necessariamente esserci nelle nostre comunità cristiane. Gli
orientamenti ne richiamano l’importanza al n. 41 («La
parrocchia, crocevia delle istanze educative») e, anzi, propongono «la promozione di nuove figure educative» (n.
54; Regno-doc. 19,2010,622).19
Nuova at tenzione per gli adulti
Gli Orientamenti pastorali non tacciono le difficoltà
che l’opera educativa è oggi chiamata a fronteggiare,
come pure quelle che riguardano le difficoltà nel processo
di trasmissione dei valori alle giovani generazioni (cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 5). Come, peraltro,
parlare di educazione senza parlare pure degli «educa-
tori», adulti per definizione? Verrebbe meno l’azione educativa stessa, la sua ragione d’essere, la sua finalità e i suoi
obiettivi.
Tutto questo è altrettanto vero quando si tratta di educazione nella fede: non possiamo concepire l’educazione
alla fede e della fede, senza al tempo stesso fare riferimento al bisogno di avere «credenti adulti», testimoni e
maestri, che nella fede trovano il fondamento della propria vita e la chiamata a mettersi a servizio delle nuove
generazioni. «Per questo la catechesi sostiene in modo
continuativo la vita dei cristiani e in particolare gli adulti,
perché siano educatori e testimoni per le nuove generazioni» (n. 39; Regno-doc. 19,2010,616). Tutto questo,
però, non esclude, anzi richiama una nuova attenzione
pastorale verso gli adulti: gli adulti, in quanto adulti, e
non solo in vista della loro funzione educativa.
Già il Documento di base scriveva chiaramente che
«gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano» (Il rinnovamento della catechesi, n. 124;
ECEI 1/2744). In quel decennio, i vescovi rilevavano
come occorresse per gli adulti una «catechesi permanente» (cf. Evangelizzazione e sacramenti, nn. 82-84).
Nella Lettera per la riconsegna del Documento di base
(1988) i vescovi italiani facevano ancora notare che per
rafforzare un cammino di fede adulta vanno promossi itinerari «per la formazione sistematica e permanente del
cristiano adulto nella Chiesa» (n. 7; ECEI 4/1020). Negli
orientamenti pastorali degli anni Novanta, l’educazione
alla fede riguarda direttamente gli adulti e le comunità
ne devono essere consapevoli e favorire proposte forti (cf.
Evangelizzazione e testimonianza della carità, nn. 28 e 45).
Nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che
cambia si ribadisce la necessità di cristiani dalla fede
adulta e pensata (cf. n. 50). Ultimamente, nella lettera Annuncio e catechesi per la vita cristiana scritta per il quarantesimo del Documento di base si ammette che «di fatto,
questo obiettivo primario di formare cristiani adulti (…)
è rimasto spesso disatteso» (n. 13; Regno-doc. 9,2010,270).
Gli attuali orientamenti tornano sulla necessità di una
proposta di formazione permanente degli adulti e delle
famiglie, che tenga conto di un adeguato primo annuncio
(cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 40), di un cammino di fede, iniziatico e permanente, appropriato (cf. n.
54) e del loro inserimento nella società e nel mondo del lavoro (cf. n. 55). Gli orientamenti, in definitiva, considerano questa un’urgenza pastorale; una priorità «al fine di
dare impulso e forza al compito educativo delle nostre comunità» (n. 55; Regno-doc. 19,2010,622).
Comunità aper te alla speranza
Pure con queste urgenze, rimane vero che queste figure educative non possono essere senza un appropriato
«contesto» entro cui vivere e agire, cioè la vita della comunità cristiana, con i grandi gesti (cf. At 2,42) che la
esprimono, la costruiscono e ne rimangono il grande canale comunicativo per la trasmissione della fede.
Dalla nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie (2004) giunge sempre attuale l’invito a rendere le nostre parrocchie case aperte alla speranza. Il primo modo
perché lo divengano, è farne delle comunità ospitali.20 La
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
495
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
496
25-07-2011
17:14
Pagina 496
nota CEI lo spiega in modo sapiente: «Consiste nel saper
fare spazio a chi è, o si sente, in qualche modo estraneo,
o addirittura straniero, rispetto alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa, eppure non rinuncia a
sostare nelle sue vicinanze, nella speranza di trovare un
luogo, non troppo interno ma neppure insignificante, in
cui realizzare un contatto; uno spazio aperto ma discreto
in cui, nel dialogo, poter esprimere il disagio e la fatica
della propria ricerca, in rapporto alle attese nutrite nei
confronti di Dio, della Chiesa, della religione» (n. 13;
ECEI 7/1501).
Un secondo modo sarà quello di rendere, le nostre,
delle comunità attraenti. L’attrazione, a ben vedere, è il
primo gesto col quale Dio comincia a «sedurre» (= condurre verso di sé). Vediamo come ne parla Agostino riguardo alla prima fase della sua conversione, giacché egli
riferisce cosa, in particolare, lo attraeva in Ambrogio, in
quel vescovo di cui tanto sentiva parlare. Scrive: «Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche, non
però mosso dalla giusta intenzione: volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore. Stavo attento,
sospeso alle sue parole, ma non m’interessavo al contenuto, anzi lo disdegnavo. La soavità della sua parola m’incantava... Pure, insieme alle parole, da cui ero attratto,
giungevano al mio spirito anche gli argomenti, per cui ero
distratto. Non potevo separare gli uni dalle altre, e mentre aprivo il cuore ad accogliere la sua predicazione fe-
conda, vi entrava insieme la verità che predicava, sia pure
per gradi».21
Agostino non teme di ammettere che la prima forza
attrattiva di Ambrogio era la sua qualità umana. Potrà
essere così anche per le nostre comunità? Potranno essere
percepite come dimore dove è bello entrare e dimorare;
dove s’intuisce la presenza di donne e uomini, di famiglie
con un cuore che ascolta, vede e ama? Casa attraente è la
comunità cristiana che vive nell’amore, secondo il modello dell’antica comunità cristiana, di cui i pagani dicevano con ammirazione: «Guardate come si amano».22
Sarà pure importante che le nostre siano comunità
trasparenti; dalla cui vita, cioè, traspaia la vita stessa di
Gesù. Se il Medioevo seppe creare la Biblia pauperum
per la sua gente semplice e analfabeta, oggi per la nostra
gente che per ogni altro verso legge di tutto occorre una
nuova Biblia pauperum. Potrà e saprà esserlo la vita delle
nostre comunità? Trovare e «vedere» lì Gesù che prega e
lavora, Gesù che predica e sta coi peccatori, Gesù che
guarisce e consola, Gesù che accoglie e chiama... Nella
Chiesa si compie il mistero del Christus totus, di cui parlava sant’Agostino: il Cristo-capo, che vive nelle sue membra e in esse gioisce e patisce, opera e parla; tutto-Cristo
nell’insieme, nella totalità delle sue membra; tutto-Cristo
nella Chiesa, suo corpo, dove ogni membro è ministro del
tutto e lo rappresenta.
È la Ecclesia in pluribus una et in singulis tota, di san
Pier Damiani.23 C’è, infatti, un agire in persona Christi
1
È già stato un tema fondamentale nel magistero conciliare; cf. fra
l’altro: «L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua
vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha
creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo
non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore» (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, n. 19; EV 1/1373).
2
Poco più avanti, in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 4 si
legge: «Proponiamo le nostre riflessioni sull’educazione a partire dall’incontro con Gesù e il suo Vangelo, del quale quotidianamente sperimentiamo la forza sanante e liberante» (Regno-doc. 19,2010,603).
3
Intervento del segretario generale della Conferenza episcopale
italiana (CEI) al Consiglio permanente della CEI del 24-27 gennaio
2011.
4
Cf. sotto il profilo teologico I. SIVIGLIA, «Educare come atto generativo: aspetti teologici», in Vocazioni 28(2011) 3, 30-43. Nel medesimo quaderno si trovano altri studi di M. GUZZI, L. VARI e G. BARBON
sul tema «Educare generando».
5
Per intendere correttamente la maieutica socratica cf. L. ROSSETTI, voce «Maieutica», in Enciclopedia filosofica, vol. VII, Fondazione Centro studi Gallarate – Bompiani, Milano 2006, 8916s. L’arte
maieutica deve sapere indurre l’interlocutore – come Platone fa dire a
Socrate nel Teeteto, a «scoprire e generare da sé stessi molte belle cose».
6
Cf. R. GUARDINI, Etica, Morcelliana, Brescia 2003, 881-910. La
persona umana, spiega Guardini, ha in sé la capacità di essere colpita
dal nuovo, dalla scoperta di ciò che non è programmato e ha, perciò,
la capacità di stupirsi e di sorridere, di discernere e di prendere posizione, di fare delle opzioni e di operare dei rifiuti. In questa situazione
il processo educativo acquista un carattere nuovo: di guidare il soggetto
verso il coraggio delle scelte, verso l’umiltà dell’imparare ogni giorno
il rapporto con la fonte originaria dell’accadere, con la libertà del vivere, con la vastità del mondo.
7
M.F. SCIACCA, In spirito e verità. Pensieri e meditazioni, Morcelliana, Brescia 1952, 27ss. Sul ruolo della morale nell’educazione cristiana cf. S. ZAMBONI, «La morale nell’educazione cristiana», in Rivista
di teologia morale 43(2011)170, 185-190. Sulla «vita buona» nella prospettiva della teologia morale cf. il fondamentale intervento di M. COZ-
ZOLI,
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
Per una teologia morale delle virtù e della vita buona, Lateran
University Press, Roma 2002. Per uno sguardo approfondito sulla questione cf. G. ABBÀ, Felicità, vita buona e virtù, LAS, Roma 21995. Sotto
il profilo etico cf. pure P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano
1993, 263-300 («vita buona con e per l’altro, all’interno di istituzioni
giuste»).
8
La metafora del cammino è tra le più evocative e simboliche dell’esistenza umana, fin nelle sue sfumature più intime. Si potrà leggere
per questo D. DEMETRIO, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Raffaello Cortina, Milano 2005. Dello stesso, sul
tema dell’educare, cf. L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina, Milano 2009.
9
Cf. BENEDETTO XVI, Discorso di apertura del Convegno ecclesiale
della diocesi di Roma, 13.6.2011, in L’Osservatore romano 15.6.2011,
7. Per il testo di Ilario di Poitiers cf. De Trinitate 1,2, in PL 10,27.
10
R. GUARDINI, Le cose ultime, Vita e pensiero, Milano 1997, 48.
11
Al n. 15 gli orientamenti riferiscono la «vita buona» alla crescita integrale della persona e ne sottolineano l’ineludibile dimensione
sociale. Nel capitolo quinto, richiamando gli ambiti descritti nel Convegno ecclesiale di Verona, sono indicati pure alcuni «percorsi di vita
buona» e i processi di accompagnamento per la costruzione di un’identità personale «buona»; cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54b,
in Regno-doc. 19,2010,621s.
12
È importante, tuttavia, rilevare che tra gli scopi degli Orientamenti c’è pure la «promozione di un ampio dibattito e di un proficuo
confronto sulla questione educativa anche nella società civile, al fine di
favorire convergenze e un rinnovato impegno da parte di tutte le istituzioni e i soggetti interessati» (Educare alla vita buona del Vangelo, n.
55; Regno-doc. 19,2010,622). Fin dall’inizio i vescovi italiani spiegano
che «impegnandosi nell’educazione, la Chiesa si pone in fecondo rapporto con la cultura e le scienze, suscitando responsabilità e passione e
valorizzando tutto ciò che incontra di buono e di vero. La fede, infatti,
è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. Caratterizzata dalla fiducia nella ragione, l’educazione cristiana contribuisce alla crescita del corpo sociale e si offre come
patrimonio per tutti, finalizzato al perseguimento del bene comune» (n.
15; Regno-doc. 19,2010,607). In tale prospettiva io spiegherei anche il
titolo assegnato agli orientamenti: Educare alla vita buona del Vangelo.
Delinea un processo che include tre momenti, dove almeno i primi due
486-498 dossier:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 497
Rutilio Manetti, San Paolo, XVI-XVII secolo, Siena, Museo civico.
che riguarda il ministero sacerdotale ed è legato all’esercizio del suo triplex munus; ma c’è, pure, un agire in persona Christi che è la vocazione e il compito di tutta la
Chiesa. È quello che si realizza quando la Chiesa è ospitale e attraente come Gesù, nei giorni della sua vita terrena; quando tutti i mysteria carnis Christi possono
vedersi in essa e lì Cristo comincia a essere veduto, conosciuto, amato.
Un proget to integrato
Tutto questo non è utopico, ma davvero possibile. A
partire dall’incontro personale e comunitario con il Crocifisso-risorto, «le nostre comunità devono favorire l’incontro autentico tra le persone, quale spazio prezioso per
il contatto con la verità rivelata nel Signore Gesù», leggiamo nella nota pastorale CEI dopo Verona, che prosegue richiamando il compito che ogni cristiano ha di dare
ragione della propria speranza (cf. 1Pt 3,15) narrando
l’opera di Dio nella sua esistenza e nella storia dell’umanità. Aggiunge poi che «il linguaggio della testimonianza
è quello della vita quotidiana»: è l’esigenza di deciderci
per «una pastorale più vicina alla vita delle persone,
meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria».24 Occorre, in definitiva, dislocarci dal
luogo dove siamo nei luoghi dove vive la gente.25
Abbiamo così l’orizzonte di riferimento perché
l’azione pastorale sia portata avanti da una comunità
adulta, dove, cioè, i «credenti adulti» sono la guida e anipossono proficuamente essere vissuti in compagnia di uomini e donne
«di buona volontà», nello spirito della frase attribuita al beato Giovanni XXIII: «Quando sei per strada e incontri qualcuno, non gli chiedere da dove viene ma chiedigli dove va, e se va nella stessa direzione,
cammina insieme a lui».
13
BENEDETTO XVI, lett. enc. Deus caritas est, 25.12.2005, n. 1, in
EV 23/1539. La frase è citata pure in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 28. Su questo argomento mi permetto di rinviare a quanto più
diffusamente ho esposto alla LVIII Assemblea generale della CEI (2324.5.2011), introducendo l’ordine del giorno n. 4: «Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti
e metodi dell’educazione alla fede». In particolare ho sottolineato la
categoria dell’incontro in prospettiva di antropologia teologica e l’ho
riassunta con particolare riferimento all’Etica di Romano Guardini
(Morcelliana, Brescia 2001). L’atto creatore di Dio – egli osserva – ha
sempre la forma della chiamata e in ciò si trova la forma ontologica fondamentale in cui l’uomo esiste. In essa s’inserisce anche il dinamismo
della fede, che è «l’entrata nel rapporto io-tu col Dio che si rivela». La
stessa etica è possibile a partire dal «fatto che Dio ha creato l’uomo con
chiamata, che l’uomo si rapporta a Dio con relazione di io-tu e che
questa relazione passa attraverso ogni cosa…».
14
R. GUARDINI, L’essenza del cristianesimo, Morcelliana, Brescia
1949-1980, 11-12.
15
Cf. il saggio di K. RAHNER, «Pietà in passato e oggi», in ID.,
Nuovi saggi II. Saggi di spiritualità, Paoline, Roma 1968, 20-26, dove
si legge la citatissima espressione: «La persona pia di domani o sarà un
mistico… o cesserà d’esser pio». Questo saggio di Rahner risale al
1966.
16
P. GIUNTELLA, Il fiore rosso. I testimoni, futuro del cristianesimo,
Paoline, Milano 2006, 8.11.
17
È stata questa, d’altronde, la grande acquisizione del Convegno di Verona (2006). Lì furono messe a fuoco alcune scelte di fondo,
tra cui il primato di Dio nella vita e nell’azione delle nostre Chiese,
la testimonianza quale forma dell’esistenza cristiana e l’impegno in
una pastorale che, convergendo sull’unità della persona, sia in grado
di «rinnovarsi nel segno della speranza integrale, dell’attenzione alla
vita, all’unità delle diverse vocazioni, le molteplici soggettività ecclesiali, le dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana»; cf.
CEI, «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del
grande «sì» di Dio all’uomo. Nota pastorale dopo il IV Convegno
ecclesiale (2007), n. 4, in Regno-doc. 13,2007,432. In quel contesto
maturò anche la scelta di declinare la testimonianza cristiana nel
mondo secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana, scegliendo per questo il linguaggio della vita quotidiana e cercando
nelle esperienze ordinarie l’alfabeto per comporre le parole con le
quali ripresentare al mondo l’amore infinito di Dio; cf. ivi, n. 12, in
Regno-doc. 13,2007,434. La stessa nota spiega che «mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso
missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che
può colpire le nostre comunità. Ciò significa anche chiedere alle
strutture ecclesiali di ripensarsi in vista di un maggiore coordinamento, in modo da far emergere le radici profonde della vita ecclesiale, lo stile evangelico, le ragioni dell’impegno nel territorio, cioè gli
atteggiamenti e le scelte che pongono la Chiesa a servizio della speranza di ogni uomo. Non si intende indebolire la dimensione comunitaria dell’agire pastorale, né si tratta di ideare nuove strutture
da sostituire a quelle attuali, bensì di operare insieme in maniera più
essenziale. A partire da queste attenzioni, le singole Chiese particolari sono chiamate a ripensare il proprio agire con sguardo unitario»
(n. 22; Regno-doc. 13,2007,439).
18
AGOSTINO, Confessioni V, 13, 23.
19
Per l’identikit di questi nuovi educatori cf. P. BIGNARDI, Il senso
dell’educazione. La libertà di diventare se stessi, AVE, Roma 2011, 135158.
20
Sul concetto di Chiesa ospitale cf. C. THEOBALD, Trasmettere un
Vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010, 22-24.
21
AGOSTINO, Confessioni V, 13, 23-14,24.
22
TERTULLIANO, Apologeticus, in PL 1, 471.
23
Cf. Liber, qui appellatur Dominus vobiscum, in PL 145, 235.
24
CEI, «Rigenerati per una speranza viva», nn. 11.21; Regno-doc.
13,2007,434.438.
25
Utili riflessioni in E. BIEMMI, «La via italiana del cambiamento», in G. ZIVIANI, G. BARBON (a cura di), La catechesi a un nuovo
bivio, Edizioni Messaggero, Padova 2010, 74-76; ID., Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011, 88-96; più diffusamente in ID., «Verso una riconfigurazione della pastorale nel segno
della vita e della biodiversità dello Spirito» (relazione al clero veneto,
Zelarino, 15.11.2010).
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
497
S
tudio del mese
486-498 dossier:Layout 2
498
25-07-2011
17:14
Pagina 498
mano l’insieme della pastorale a partire degli ambiti di
vita tipici di ogni territorio. Ecco la principale ragione per
cui la «scelta qualificante» della formazione e della catechesi degli adulti «merita ulteriore sviluppo, accoglienza
e diffusione nelle parrocchie e nelle altre realtà ecclesiali» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 55; Regnodoc. 19,2010,622).
Dobbiamo, purtroppo, riconoscere che sino a ora una
tale opzione è stata assunta, come si dice, a doppia velocità: una cosa, infatti, è quanto si legge nei documenti ufficiali, un’altra è ciò che è vissuto nelle nostre comunità.
Con un sincero mea culpa dobbiamo ammettere che l’applicazione dei testi ufficiali è stata, in buona parte, disattesa a livello locale e territoriale, nelle regioni ecclesiastiche e nelle diocesi.
Si dirà, al contrario, che qualsiasi esperienza pastorale
con adulti – inclusi coloro che domandano di riprendere
la maturazione della propria fede (ri-comincianti), magari
dopo anni di allontanamento e con tanti motivi di resistenze e diffidenze – ha a che fare con l’identità, la capacità di accoglienza e di camminare insieme di una comunità concreta. Dobbiamo, perciò, domandarci se le
nostre comunità sono disposte, prima ancora che preparate, ad aderire e a fare proprie, con creatività e capacità
di adattamento, le scelte pastorali maturate in questi anni
e ri-proposte dai vescovi italiani negli odierni orientamenti pastorali.
Consolidare l’attenzione prioritaria per la catechesi degli adulti significa avvicinarsi al loro mondo assieme a tutti
coloro che si riconoscono nella vita e nella missione della
comunità. Gli organismi di partecipazione, gli operatori
pastorali, la comunità eucaristica domenicale… devono
essere gradualmente interessati e corresponsabilizzati a
tale scelta. Siamo chiamati a imparare, ad apprendere insieme un modo adulto di fare pastorale con gli adulti. In
tal senso, dovremo intensificare gli sforzi per incoraggiare itinerari formativi più adatti, sia per i nostri operatori pastorali, sia per il nostro clero.
È fondamentale che ci sia un progetto, articolato e
condiviso, di pastorale integrata, in cui anche le scelte nel
campo della catechesi degli adulti siano concepite entro
un’azione originale, capace di assumere il volto della comunità inserita in uno specifico territorio. È il caso, pertanto, d’incoraggiare quella capacità di adattamento e di
creatività che non perde mai di vista le persone e che sa
riflettere e agire negli ambienti concreti in cui si opera. Se
supereremo la tentazione di tutto omologare e del soggettivismo, sicuramente salvaguarderemo l’unità dell’azione pastorale nella diversità di proposte.26
Lo scambio e il confronto tra generazioni, auspicato
in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 41, è un dato
fondamentale. Esso non può essere concepito come incontro tra pari. È necessario, al contrario, che noi adulti
ci presentiamo all’appuntamento intergenerazionale come
«testimoni», se non vogliamo tradire quella «tradizione»,
che tocca proprio a noi adulti garantire alle nuove generazioni.
In realtà, come già nelle prime battute gli orientamenti
sono costretti ad ammettere, «molte delle difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo sono riconducibili al
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
fatto che le diverse generazioni vivono spesso in mondi separati ed estranei (…) All’impoverimento e alla frammentazione delle relazioni si aggiunge il modo con cui avviene la trasmissione da una generazione all’altra. I
giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione» (n. 12; Regno-doc. 19,2010,606; cf. n. 30). Quest’analisi è condivisa
a diversi livelli. È uno dei nodi da sciogliere, se intendiamo
essere responsabili verso le nuove generazioni.
In un volume fresco di stampa, F. Stoppa ha fatto ricorso, con riferimento alla questione del patto intergenerazionale, alla categoria – biblica, peraltro – della redditio. Il compito che oggi attende gli adulti non è tanto
nell’ordine dell’invenzione, scrive, quanto della restituzione. «Forse – egli osserva fin dalla premessa del suo libro – la gratitudine che gli adulti lamentano di non percepire da parte dei giovani ha qui la sua radice. Si può
restituire ciò che non si è ricevuto o che è stato trasmesso
in forma ambigua, svogliata, saccente? La questione è cruciale, anche perché la restituzione non è un’operazione
che chiude il cerchio tra due contraenti, nella fattispecie
tra due generazioni, ma guarda avanti, a chi dovrà venire;
il proprio debito simbolico (aver ricevuto un nome e una
storia, e potersi nutrire di un sentimento della vita) lo si
salda infatti nel passaggio di testimone, trasmettendo ad
altri ciò che abbiamo a nostra volta avuto in dono».27
Ancora, siamo chiamati, noi adulti, a favorire e curare incontri così rilevanti da cambiare la vita dei protagonisti. Fare sì che si giunga a dire: «Dacché ti ho trovato,
non sono più lo stesso»; «Quando mi hai incontrato, mi
hai cambiato la vita»! È qui il senso dell’essere «adulti».
Non è questione di età cronologica. Anche la testimonianza di un giovinetto può cambiarci la vita! In ogni
caso, c’è richiesto «un investimento educativo capace di
rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al
tempo presente e significativi per la vita delle persone,
con una nuova attenzione per gli adulti».28 Ecco il senso
degli sforzi portati avanti in questi decenni, ma ancora
insufficienti per essere davvero considerati un’«opzione
fondamentale» nelle nostre comunità; ecco il senso dei
vari convegni e seminari dedicati al tema in questi anni.
Ecco, pure, la sfida lanciata a noi.
Marcello Semeraro*
* Vescovo di Albano, presidente della Commissione episcopale per
la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Il testo, di cui mons Semeraro ci ha gentilmente concesso la pubblicazione, è stato presentato
al XLV Convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani, organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale della CEI e tenutosi a Pesaro dal 20 al 23 giugno 2011.
26
Rimangono ottimi punti di riferimento E. ALBERICH, A. BINZ,
Adulti e catechesi. Elementi di metodologia catechetica dell’età adulta,
Elledici, Leumann (TO) 2004; ID., Forme e modelli di catechesi con gli
adulti, Elledici, Leumann (TO) 1995. Cf. pure L. MEDDI, Ridire la fede
in parrocchia. Percorsi di evangelizzazione e di formazione, EDB, Bologna 2010 (la parte III: per un progetto di pastorale degli adulti, 79127, con abbondante bibliografia).
27
F. STOPPA, La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano 2011, 15.
28
CEI, «Rigenerati per una speranza viva», n. 11, in Regno-doc.
13,2007,434.
p
499-500 parole:Layout 2
p arole
25-07-2011
17:14
Pagina 499
delle religioni
I sangui di Abele
La fratellanza
come luogo di responsabilità
N
elle consuete rappresentazioni cattoliche del Decalogo, le due tavole sono disposte in maniera tale da
far sì che sulla prima siano segnati i tre comandamenti relativi al rapporto tra l’uomo e Dio e sull’altra i sette
concernenti le relazioni interumane. A tal proposito il card.
Angelo Scola, di recente, ha avuto modo di ribadire che il
modello della rivelazione «ebraica e cristiana» indica «l’ancoraggio della legge morale alla verità». La correlazione attesta, da un lato, che l’adorazione va riservata solo a Dio,
mentre, dall’altro, indica che i comandamenti «morali» sono
tali «non perché comandati, ma perché veri».1 L’integrazione
delle due tavole si fonda perciò sul primato della verità rispetto a quello dell’imperatività. Separare la dimensione pratica da quella veritativa costituirebbe, quindi, un errore
moderno nato dalla scelta di rendersi autonomi rispetto al
proprium della tradizione biblico-cristiana.
La correlazione dei comandamenti
Tuttavia Scola, attraverso la mediazione di Lévinas, indica come nell’ebraismo la prospettiva sia diversa. La disposizione delle due tavole non pone tre comandamenti su una
e sette sull’altra.2 Basta, infatti, entrare in una sinagoga per
accorgersi che le «Dieci parole» sono collocate in modo simmetrico, cinque per ogni tavola. La peculiare disposizione
consente di elaborare una simbologia in parte diversa da
quella cattolica. In particolare permette di proporre un approccio ermeneutico che fa corrispondere, a due a due, i comandamenti: il primo della prima tavola si rapporta al primo
della seconda (vale a dire il sesto secondo l’enumerazione
ebraica) e così via. In tal modo quanto è rivolto a Dio si ricongiunge con quel che concerne direttamente l’uomo. Si
tratta di un procedimento, per più versi, paragonabile a
quello – attestato sia da Paolo (cf. Rm 13,9; Gal 5,14) sia dalla
Lettera di Giacomo (cf. Gc 2,8-11) – stando al quale l’amore
del prossimo (precetto non contenuto in modo esplicito nel
Decalogo – cf. Lv 19,18) costituisce la ricapitolazione dell’intera Legge.
«In che modo furono scritte le “Dieci parole”? Cinque su
una tavola e cinque sull’altra. Su una tavola sta scritto: “Io
sono il Signore tuo Dio” e sulla tavola di fronte: “Non uccidere”. Questo insegna che chiunque sparge sangue umano
la Scrittura gliene chiede conto come se sminuisse l’imma-
gine del re (…) come sta scritto: “Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo” (Gen 9,6)».3 La correlazione
simmetrica dei comandamenti mette immediatamente in
campo il riferimento all’immagine divina impressa nella creatura umana. In essa è individuato il fondamento primo del
non uccidere. Così facendo, in base alla disposizione canonica della Bibbia, si retrocede dalle falde del Sinai alla scena
genesiaca posta subito dopo la fine del diluvio.
In termini astratti, è dato di affermare che il commento
rabbinico, attraverso il ricorso all’immagine di Dio presente
nell’uomo, universalizza il comandamento di non uccidere.
Tuttavia bisogna anche ricordarsi di compiere un passo indietro e leggere il versetto appena precedente a quello riportato dal Midrash. In esso si dichiara che Dio domanderà
conto «della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Gen 9,5). Per evidenziare la gravità della colpa legata
alla soppressione di una vita umana, si sceglie un termine
(«fratello») in cui la reciprocità orizzontale presuppone una
comune, e qui non specificata, dipendenza da una realtà precedente. In questo passo della Genesi si dichiara che gli uomini sono fratelli, senza affermare, apertis verbis, che Dio è
padre. Quanto sta a cuore alla Scrittura è affermare, comunque, che ogni omicidio è, in radice, un fratricidio. Non
a caso è la prima volta che la parola «fratello» compare nella
Genesi dopo essere stata il Leitmotiv del racconto incentrato
su Caino e Abele.
Abele: l’archetipo della vit tima
Quando si rimonta all’origine, si è obbligati ad asserire
che l’umanità discende tutta o da Caino o da Set. Abele, la
prima vittima della violenza dell’uomo sull’uomo, non ha
eredi, o piuttosto ne ha molti in una trafila inestinta che
giunge fino a noi, ma sono vittime che si uguagliano a lui
nella sorte, senza essere suoi discendenti. Il fatto che il termine «sangue» sia impiegato al singolare svolge nella Genesi
un ruolo fondamentale per indicare una comune appartenenza alla vita (cf. Gen 9,5); perché, si chiedono i rabbi, nel
caso di Abele si usa alla lettera un’insolita forma plurale («la
voce dei sangui di tuo fratello grida a me dal suolo», cf. Gen
4,10)? La risposta è netta: perché oltre a versare il suo sangue,
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
499
499-500 parole:Layout 2
25-07-2011
17:14
Pagina 500
Parole delle religioni
si è soppresso anche quello di tutta la sua potenziale discendenza (Mishnah Sanhedrin 4,5; Rashi su Gen 4,10).
Nel capitolo quarto della Genesi la parola «fratello» torna
sette volte (cf. Gen 4,1-15), vi si ricorre sempre in modo tale
da affermare che Caino è fratello di Abele e mai viceversa.
Vale a dire, non si dichiara che la vittima è fratello del suo
assassino; al contrario, si proclama sempre che è l’uccisore a
essere fratello di colui di cui ha estinto la vita. La fratellanza
è luogo di responsabilità. A ognuno viene sempre chiesto
conto della vita di suo fratello (cf. Gen 9,5).
Secondo la Genesi, nessuna parola esce dalla bocca di
Abele: in ciò egli è archetipo di ogni vittima. All’ucciso è lasciata come voce solo quella dei sangui che gridano dall’adamah («suolo»), l’elemento base con il quale è stato fatto
l’adam. A urlare è la voce silente della vita estinta. Nella
Bibbia, la presa di coscienza da parte di Caino di quanto
da lui compiuto è suscitata dalla voce del Signore che gli
giunge da fuori («“che hai fatto?” (…) “troppo grande è la
mia colpa per ottenere perdono”», Gen 4,10-13).
La dimensione universale rivelata a Israele
L’episodio è riproposto anche nel Corano, ma lo è in
maniera capovolta. Qui Abele parla, mentre la consapevolezza in Caino nasce in virtù del muto (ma ancora una volta
capovolto) linguaggio etologico di un corvo che, invece di
DIREZIONE E REDAZIONE
Via Nosadella, 6
40123 Bologna
tel. 051/3392611 - fax 051/331354
www.ilregno.it
e-mail: [email protected]
DIRETTORE RESPONSABILE
CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ
Gianfranco Brunelli
CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI
Guido Mocellin
SEGRETARIA DI REDAZIONE
Chiara Scesa
REDAZIONE
p. Marco Bernardoni / Gianfranco
Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio
Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi /
p. Marcello Matté / Guido Mocellin /
p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi /
Daniela Sala / Piero Stefani /
Francesco Strazzari / Antonio Torresin
EDITORE
Centro Editoriale Dehoniano, spa
PROGETTO GRAFICO
Scoutdesign Srl
IMPAGINAZIONE
Omega Graphics Snc - Bologna
STAMPA
ABBONAMENTI
tel. 051/4290077 - fax 051/4290099
e-mail: [email protected]
QUOTE DI ABBONAMENTO
PER L’ANNO 2011
Il Regno - attualità + documenti +
Annale 2011 - Italia € 61,00;
Europa € 99,50;
Resto del mondo € 111,50.
Il Regno - attualità + documenti Italia € 58,50; Europa € 97,00;
Resto del mondo € 109,00.
Solo Attualità o solo Documenti Italia € 42,00; Europa € 64,00;
Resto del mondo € 69,00.
Una copia e arretrati: € 3,70.
CCP 264408 intestato a Centro
Editoriale Dehoniano.
Associato all’Unione Stampa
Periodica Italiana
Chiuso in tipografia il 22.7.2011.
Il n. 13 è stato spedito il 15.7.2011;
il n. 12 il 5.7.2011.
italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara
In copertina e a p. 457: DOMENICO
Registrazione del Tribunale di Bologna GHIRLANDAIO, San Girolamo nello studio
(part.), 1480, Firenze, Chiesa di Ognissanti.
N. 2237 del 24.10.1957.
500
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
essere uno spolpatore di cadaveri, diviene il prototipo del
becchino, se non proprio di colui che compie un pietoso atto
di sepoltura: «E recita loro la storia dei due figli di Adamo,
secondo verità, quando essi offrirono un sacrificio e quello
dell’uno fu accetto e non fu accetto quello dell’altro. E questi disse: “io ti ucciderò!”, ma il fratello rispose: “Iddio non
accetta che il sacrificio dei pii! – E certo se tu stenderai la
mano contro di me per uccidermi, io non stenderò la mano
contro di te per ucciderti, perché temo Iddio, il Signore del
creato! Io voglio che tu ti accolli e il mio peccato e il tuo e
che tu sia del Fuoco, che è la ricompensa degli oppressori!”.
E la sua passione lo spinse a uccidere il suo fratello, e lo uccise e fu in perdizione – E Iddio mandò un corvo, che grattò
la terra per mostrargli come nasconder la spoglia di suo fratello. Ed egli disse: “O me infelice! Che son stato incapace
di essere persino come questo corvo e nasconder la spoglia
di mio fratello!”. E divenne perseguitato dai rimorsi. E per
questo prescrivemmo ai figli d’Israele che chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia uccisa un’altra o
portato corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso
l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una sola persona è come se avesse dato vita all’umanità intera» (Corano
5,27-32; trad. it. A. Bausani).
«Rivelammo ai figli di Israele». Il Corano pone in luce una
priorità che equivale a riconoscere la dimensione universale là
custodita. Tuttavia, accanto a questo senso largo, ve n’è uno
più specifico e testuale. La frase del Corano trova, infatti, una
sua puntuale anticipazione nella Mishnah (codificazione canonica della Legge orale risalente a circa il 200 d.C.). Anche
qui, partendo da Caino e Abele e dal senso di annullamento
della posterità connesso al plurale «sangui», si giunge a universalizzare il senso di responsabilità connesso all’uccisione di
un solo uomo: «Nel mondo è stato creato un singolo uomo,
per insegnarti che se un uomo ha fatto perire una singola vita,
la Scrittura lo considera come se avesse fatto perire il mondo
intero; e se un uomo salva una singola vita la Scrittura lo considera come se avesse salvato il mondo intero» (Mishnah, Sanhedrin 4,5).4 Vi è però una variante, ben attestata, che
aggiunge una clausola riduttiva; essa specifica: «che se un
uomo ha fatto perire una singola vita, in Israele». Sono poche
parole in più; tuttavia esse rappresentano un displuvio; infatti,
da un lato, il popolo ebraico (come si può implicitamente ricavare anche dal passo coranico) riceve ed elabora, nel suo
specifico, insegnamenti di portata universale, mentre, dall’altro, piega alla propria particolarità quanto è chiamato a valere
per tutti. Non vi dovrebbero, però, essere dubbi che il non uccidere rientri, di fatto e di diritto, nella prima opzione.
Piero Stefani
1
A. CAVARERO, A. SCOLA, Non uccidere, Il Mulino, Bologna 2011, 20-
29.
2
Cf. ivi, 40.
«Mekhiltà de Rabbi Ishmael» in Il dono della Torà, a cura di A.
MELLO, Città Nuova, Roma 1982, 100.
4
Scola apre il suo contributo proprio con questo riferimento (CAVARERO, SCOLA, Non uccidere, 9). Come fonte non si richiama però alla Mishnah; infatti, attraverso una mediazione bibliografica, rimanda ai meno
autorevoli Avot de Rabbi Natan (commento rabbinico ai Pirqè Avot).
3
i
501-502 lettori scrivono:Layout 2
25-07-2011
16:23
Pagina 501
i lettori ci scrivono
Scola a Milano
Caro direttore,
la nomina ad arcivescovo di Milano ha sempre costituito un fatto di
rilievo, perché la diocesi è tra le più vaste, se non la più vasta, del mondo,
perché Milano è città rilevante sul piano economico e culturale, perché Milano fu la sede episcopale di sant’Ambrogio, di san Carlo Borromeo e del
beato Ildefonso Schuster. Pertanto la nomina di un vescovo a Milano è destinata a rivelare le strategie religioso-politiche della Santa Sede.
Lo è stato per Giovanni Battista Montini, che fu inviato a Milano nel
1954 da Pio XII con un’operazione che parve allora di giubilazione, cioè
di promoveatur ut amoveatur. La ricerca storica ha accertato che Montini,
ai vertici della Segreteria di stato, era oggetto di duri attacchi da parte della
curia romana, e il papa Pio XII, mandandolo a Milano, protesse il suo più
fedele collaboratore. Lo è stato per Carlo Maria Martini, inviato a Milano,
con decisione personale, da Giovanni Paolo II, che ne apprezzava le doti
di biblista e di uomo di cultura. Lo è stato per Dionigi Tettamanzi, che da
Genova è ritornato nella sua Milano, dove era nato, si era formato ed era
diventato sacerdote e docente nel seminario di Venegono. Lo è per il nuovo
arcivescovo card. Scola, che torna a Milano, la città dei suoi studi seminaristici, ma anche la città di don Giussani e di Comunione e liberazione, a
cui il card. Scola ha guardato e guarda con simpatia.
Sulla nomina del card. Scola, come rivelatrice delle attuali strategie religioso-politiche della Santa Sede, non intendo formulare giudizi. Auspico
solo che la nomina non sia stata determinata da volontà restauratrici. «Restaurazione» nei confronti di che? Della linea pastorale espressa da Martini
e Tettamanzi in questi anni? «Restaurare» significa ripulire, correggere, ridimensionare, snervare, ridurre a più miti consigli. E dopo che si è restaurato, si costruisce un nuovo edificio. «Restaurare», in sostanza, è affermare
una «discontinuità».
Stiamo a vedere con occhio vigile e con cuore disincantato.
Auguro con tutta l’anima al card. Scola di essere, nel suo ministero episcopale milanese, servitore del Vangelo, solo servitore del Vangelo.
Cremona, 30 giugno 2011.
Massimo Marcocchi
La mano tesa ai lefebvriani
Caro direttore,
in chi legge l’intervento del card. Koch sul motu proprio Summorum
pontificum (Regno-doc. 11,2011,330ss) possono sorgere delle domande.
Le tre «rotture» nella tradizione liturgica eucaristica che comportano uno
slittamento teologicamente indebito dalla prima alla seconda parte di ciascun
binomio segnalato (da sacrificio a cena; da solo presbitero all’assemblea; dall’adorazione di Dio alla pura partecipazione conviviale) sono da addebitare a
documentate lacune nei testi della ri-forma del 1970, oppure si trovano nella
mente dei suoi de-formatori? (Eppure più volte l’intervento distingue nettamente
la riforma liturgica dagli sviluppi liturgici postconciliari). Sembra di dover rispondere optando per la seconda tesi se, per limitarci al primo «dualismo», troviamo la parola «sacrificio» nelle quattro preci eucaristiche nuove (se si eccettua la seconda, la più antica, che risale essenzialmente a Ippolito, dove invano
si cercherebbe la parola), mentre è stata aggiunta alla scarna formula biblica
della consacrazione del pane.
A proposito del titolo dell’opera del famoso autore citato, siamo sicuri
che il ritorno ai testi del 1962 (attribuiti discutibilmente a un usus antiquior)
recuperi l’«ininterrotta tradizione apostolica», in una Roma che, guarda
caso, celebrava ancora in lingua greca? Nei tre «dualismi» si tratta di esclusione dell’essenziale, o piuttosto del recupero bilanciativo di ciò che per motivi polemici era stato obliterato?
Per difendere quei tre giusti equilibri, sembra veramente la via migliore
quella di favorire la visione nostalgica, letteralistica e ritualistica del fondamentalismo lefebvriano (che mai si accontenterà della mano tesa, ma esigerà, da arrabbiato «defensor fidei», tutto il braccio)?
P.S.: Chi volesse vedere come complessi e non lineari sono gli sviluppi
teologico-liturgici, potrebbe consultare un documentato studio uscito in giugno, in cui campeggia l’opera del vescovo Giberti, grande precursore del
Tridentino: F. SEGALA, Memorie eucaristiche. Custodie gotico-rinascimentali
per l’Eucaristia nelle chiese del veronese, Archivio storico curia diocesana,
p.zza Duomo 19, 37121 Verona.
Antonio Contri
L’ Universae Ecclesiae
e i piccoli passi indietro
Caro direttore,
salvo il titolo «Indietro a piccoli passi», da tutto l’articolo di John Thavis del n. 10 di Regno-att. (303s) dedicato all’istruzione Universae Ecclesiae
non si desume altro che una sommaria descrizione del contenuto del documento vaticano. Le uniche piccole note riflessive sono affidate a pochi interventi del capo ufficio-stampa del Vaticano, p. Lombardi, che nella sua
saggezza non può che restare alla lettera del testo, come è inevitabile.
Ciò che mi sorprende è che per una semplice descrizione del documento si sia dovuti ricorrere alla traduzione dall’inglese del testo di un giornalista, caporedattore di una agenzia ufficiale cattolica, che propone una
cronaca corretta e gustosa, ma niente di più. Qui mi pare che si sia perduta
una buona occasione per segnalare ai lettori tutti i problemi che questa istruzione conferma, oltre ai nuovi che apre, e sui quali non basta informare, ma
bisogna ragionare anche criticamente.
Ciò che caratterizza Il Regno, infatti, nella sua preziosa funzione ecclesiale, è proprio questa dimensione nello stesso tempo informativa e critica. In questo caso, tuttavia, manca totalmente ogni versante critico, proprio in un contesto e su questioni che sollevano nel corpo ecclesiale
perplessità ampie e mormorazioni consistenti.
Vorrei sottolineare come proprio questa istruzione Universae Ecclesiae
apra un fronte nuovo di problemi, proprio a causa del fatto che non si limita
a «gestire» le domande di «rito tridentino» esistenti, ma pretende addirittura
di suscitarne di nuove, con un intento che essa definisce «pastorale». Questo aspetto della questione mi pare abbia già suscitato, negli Stati
Uniti, in Italia, in Francia e in molte parti della Chiesa universale, reazioni
sconcertate da parte degli episcopati. Vorrei riferire solo un esempio: in un
grande seminario degli Stati Uniti, che ospita centinaia di seminaristi e che
fa servizi per numerose diocesi, un solo seminarista ha chiesto di essere formato anche al rito tridentino, trovando risposta negativa dai superiori. Allora egli ha aperto un blog nel quale ha cominciato a scrivere quotidianamente, protestando contro le autorità del seminario che sarebbero
«contro il papa». Ciò ha indotto alcuni finanziatori a non contribuire più alle
finanze dell’istituto, mettendo in crisi il sistema. Questo oggi è possibile a partire dalla impostazione di questi documenti, che autorizzano chiunque a far
valere il proprio «diritto al passato», senza tener conto dei diversi livelli di
controllo e di responsabilità di cui la Chiesa e la liturgia hanno bisogno.
Insomma, mi pare che intorno a questo documento e a un silenzio ufficiale dei pastori e della teologia, corrisponda un bisogno viscerale di chiarezza e di linearità, che oggi manca e che bisogna colmare.
Mi sembra che la teologia abbia fatto «piccoli passi indietro», rifiutandosi di affrontare di petto le questioni. Mi pare che i vescovi spesso si ritraggano e preferiscano mormorare nell’ombra piuttosto che esprimere comunitariamente il proprio grande disagio. Non vorrei che anche le riviste
più illuminate e responsabili fossero tentate di mettere le macchine della
nave redazionale «indietro piano» e venissero meno a quel contributo di ri-
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
501
501-502 lettori scrivono:Layout 2
25-07-2011
16:23
Pagina 502
i
lettori ci scrivono
Anders Nygren
Eros e agape
La nozione cristiana dell’amore
e le sue trasformazioni
U
scita in due volumi nel 1930 e 1936, l’opera
individua il fulcro del cristianesimo nell’agape neotestamentaria, l’infinito amore di Dio
Padre per gli uomini peccatori fino a sacrificare
il suo Figlio Gesù. L’autore indaga la storia della
difficile dialettica con l’eros, l’amore ascensionale
dell’uomo verso Dio. Nel dualismo di eros e agape
il volume ripropone il problema della natura cristiana dell’amore. Un classico della letteratura teologica contemporanea.
«Economica EDB»
pp. 848 - € 40,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
flessione e di coscienza critica che da anni aiuta la Chiesa e i cristiani di
fronte alle scelte pastorali che li riguardano. Soprattutto in questo caso abbiamo bisogno di un Regno che non stia semplicemente a guardare come
un semplice cronista.
Con cordialità e stima,
Andrea Grillo
Araldi del Vangelo
Caro direttore,
sia Lodato Gesù Cristo!
Sono rimasto meravigliato per la pubblicazione dell’articolo d’attualità,
fatto uscire nella rivista da lei diretta, nel n. 4 del 2011, firmato dal prof. Mauro
Castagnaro (cf. Regno-att. 4,2011,122). Non credevo che un mezzo di comunicazione religioso, così conosciuto e diffuso come Il Regno, potesse mai pubblicare articoli con così grandi imprecisioni.
In tale articolo, il giornalista si fa eco delle informazioni giuntegli da non
meglio precisati «operatori della pastorale». Questi operatori, purtroppo, non
privi di interessi personali diversi da quelli della Chiesa cattolica nell’Ecuador,
gettano delle ombre sulla reputazione sia della Santa Sede, nel suo organismo
per la cura del vicariato apostolico di San Miguel di Sucumbíos, sia sulla Società di vita apostolica di diritto pontificio «Virgo flos Carmeli», legata all’Associazione internazionale di diritto pontificio Araldi del Vangelo, della quale
sono il procuratore generale.
Il processo di transizione della cura pastorale del vicariato si è adattato alle
norme codificate nel Codice di diritto canonico. Le dichiarazioni fatte ledono il
buon nome della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. L’aggiustamento dell’orientamento pastorale, seguito da mons. Gonzalo Marañón Lopez ocd, pur volendo riferirsi agli orientamenti del concilio Vaticano II e alle
disposizioni del CELAM, lascia il passo a delle pratiche ecclesiologiche discusse
e, in un certo modo, superate. Questo è stato il motivo per cui la Congregazione
di cui era prefetto il card. Ivan Dias ha passato lo ius commissionis alla Società
«Virgo flos Carmeli», con istruzioni precise di correggere ciò che non si adattava alle esigenze pastorali della Chiesa.
Al loro arrivo, gli Araldi del Vangelo hanno trovato sia la calda accoglienza
della maggioranza del popolo di Dio di quel vicariato, sia un’ostilità velata, poi
caldamente dichiarata, di una porzione di «responsabili della pastorale», assolutamente non conformi alle disposizioni della Santa Sede.
Oltre ad atti di violenza fisica, parte di quest’ostilità si è articolata con il
diffondersi d’ingiurie, libelli e altra propaganda denigratoria (come questa
dell’articolo del sig. Castagnaro) diffuse principalmente attraverso Internet ma
anche attraverso altri mezzi di comunicazione sociale, giungendo alle alte
sfere del governo dell’Ecuador. Vista tale situazione, è stata la Conferenza episcopale ecuadoriana, nella persona del suo presidente, mons. Arregui, a rifiutare tali accuse.
Gli interventi del governo ecuadoriano nella polemica di Sucumbíos
hanno complicato la questione al punto che, adesso, si trova in un momento
che richiede la massima delicatezza e desiderio di trovare un punto di equilibrio per la risoluzione. Le mediazioni sono affidate nelle mani del nunzio nell’Ecuador, così come in quelle del delegato pontificio. Ad ogni modo, lo ius commissionis permane ai membri della «Virgo flos Carmeli», e l’attuale amministratore apostolico è D. Rafael Ibarguren ep.
Per quanto esposto, la sollecito a pubblicare la presente lettera, in modo
tale che la situazione attuale del vicariato possa essere percepita nella sua totalità e chiarezza, auspicando un più intenso spirito di comunione ecclesiale.
Colgo l’occasione per inviarle i miei più cordiali saluti e, nella ricorrenza
della veniente Pentecoste, un copioso augurio per l’effusione dello Spirito
Santo
In Iesu et Maria,
rev. D. José Francisco Hernández ep
Roma, 13 giugno 2011.
502
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
XXX
503-504 vergogno:Layout 2
25-07-2011
16:24
Pagina 503
L’accanimento medico ...
e i santi che invoco contro di esso.
Tra loro c’è il medico Lucio Raffa
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
S
tavolta parlo
dell’accanimento dei medici: non in chiave medica o giuridica,
che non sono miei campi, ma narrando
storie come si addice a un giornalista e la
storia di partenza è quella di un amico pediatra di Reggio Calabria che è morto di
tumore a 70 anni nel gennaio del 2008,
lasciando un caro ricordo in un vasto ambiente del volontariato e della Chiesa reggina. Il ricordo di Lucio ravviva in me
quello di altre tre storie che alla sua si legano e che riguardano il patriarca Athenagoras, il card. Benelli, la terziaria
domenicana Leletta. Storie che invitano a
guardare con cautela ai «protocolli» medici ma prima ancora a ciò che da essi noi
ci attendiamo. Parto da una parola detta a
me da Lucio più di vent’anni addietro, dovendo egli fare accertamenti per un’ipotetica cirrosi epatica: «In questi casi noi
medici siamo più disarmati degli altri.
Come chiunque teme un secondo ricovero più del primo, così il medico teme per
sé anche a motivo dei ricoveri degli altri
che magari è stato lui a decidere. Il medico somatizza i mali di tutti».
NON VOLEVA ESSERE INTUBATO
NÉ COLLEGATO A MACCHINE
In quella stessa occasione svolse all’incirca questa critica dell’arte medica:
«Io penso che debba ancora imparare a
trattare la persona umana. Per ora si è
impegnata a trattare i casi clinici. Una
cura che miri alla persona dovrebbe
avere a cuore di evitarle, per quanto possibile, trattamenti chimici, radiologici e
chirurgici, ma ancor prima gli accertamenti strumentali non necessari».
Dell’opportunità di questo o quel trattamento avevamo parlato spesso – Lucio
ed io – nei tre anni della malattia tumorale di Michela Ceccon, la mia prima moglie, che il giorno della scoperta del male
mi aveva detto, con riferimento ai figli, la
più piccola dei quali aveva cinque mesi:
«Fosse per me non mi curerei, lo faccio
per voi». Più volte Lucio ebbe a sconsigliarci di partire per Milano o per Parigi in
cerca di consulti e di cure sperimentali.
Quando venne il suo momento –
dopo che al Gemelli, nel dicembre del
2007, gli avevano diagnosticato un tumore al colon con metastasi al fegato e ai
polmoni – Lucio disse alla moglie Anna
di non farlo intubare né collegare a macchine se fosse andato in coma. Era contrario anche a sottoporsi a ogni forma di
alimentazione artificiale, compresa quella
di tipo integrativo che si può realizzare
con la flebo.
La sua situazione clinica non permetteva interventi chirurgici, ma avrebbe
potuto affrontare trattamenti chemioterapici che forse gli avrebbero procurato
qualche mese di vita: preferì non averli.
Nella scelta di questo atteggiamento ebbe
un ruolo – secondo il racconto di Anna –
l’esempio che gli era venuto da Leletta
(Aurelia Oreglia d’Isola, detta Leletta,
terziaria domenicana,1926-1993), che
era stata molto decisa nel rifiuto dei farmaci e della chirurgia nel trattamento
della sua malattia tumorale. Lucio e
Anna avevano in grande stima quella
maestra di spirito alla quale una volta
avevano fatto visita nel priorato di Saint
Pierre (Aosta). Leletta così aveva commentato nel diario (Il diario di Leletta,
Franco Angeli, Milano 1993) la scelta di
sottrarsi a tagli e chemioterapia: «Che
gioia anche umana aver fatto marameo
agli accanimenti diagnostici e terapeutici
di questi medici padreterni». C’era un
lampo di questa ironia nello sguardo che
mi rivolse Lucio al Gemelli dicendomi
che sarebbe restato ancora qualche
giorno «perché vogliono vedere questo e
quello anche se non servirà: i medici sono
fatti così».
AVEVA CHIESTO A DIO IL DONO
DI MORIRE CON DIGNITÀ
Molti negli anni si sono rivolti a Lucio – che era pediatra ma tendeva a porsi
come medico globale e amico – per l’accompagnamento di malati terminali e
tutti sono rimasti ammirati dall’impegno
che poneva a risparmiare sofferenze con
una saggia conduzione della terapia del
dolore, sempre a basso dosaggio farmacologico, accompagnata da una generosa
attivazione di sostegni parentali e amicali.
Qualcuno lo ricorda che gioca a carte
con anziani in fase terminale.
Del modo in cui Lucio ha affrontato
la malattia ha parlato così la moglie Anna
in una lettera agli amici: «Non avevamo
chiesto a Dio la guarigione dal male, ma
l’aiuto ad accettare la sua volontà, qualunque essa fosse, e per Lucio la possibilità di morire con dignità, senza accanimenti terapeutici, pregando e partecipando coscientemente ai sacramenti e
all’unzione degli infermi, così come è avvenuto. Lucio ha offerto le sue sofferenze
e il dolore del distacco per amore della
nostra Chiesa locale ed è spirato mentre
io invocavo il suo angelo custode affinché
lo aiutasse a superare quella soglia che doveva attraversare senza di me».
Lucio che evita – con la piena avvertenza di un medico – le cure antitumorali
che avrebbero potuto procurargli qualche
mese di vita mi richiama la scelta di preferire la morte all’invalidità compiuta dal
cardinale Giovanni Benelli (1921-1982),
arcivescovo di Firenze. Colpito da infarto,
Benelli rifiuta l’ospedale e si chiude nella
sua camera dove muore in solitudine
IL REGNO -
AT T UA L I T À
14/2011
503
25-07-2011
16:24
dopo la vita più attiva, finalmente solo
con il suo Dio. Muore il 26 ottobre 1982,
a una settimana da un secondo e maggiore infarto, dopo il quale impone ai collaboratori e ai medici il silenzio assoluto
sulle sue condizioni di salute e si fa promettere con giuramento che lo lasceranno morire nel suo letto.
Resta così tre giorni, vigile e solo,
protetto dalle due suore irlandesi che
l’avevano seguito da Roma, dal medico
personale e dal segretario che ogni mattina gli porta l’eucaristia. Ma non conosce – il segretario – la gravità della situazione, gli hanno detto di non parlare al
cardinale per non affaticarlo e il cardinale
non gli parla. Dopo i tre giorni, lo portano in ospedale che è già in coma. Lo riporteranno a casa – dopo un tentativo
tardivo di rianimazione – perché possa
morire nel suo letto, come aveva chiesto.
MENO ACCANITI A VIVERE
E PIÙ PREPARATI A MORIRE
Ci fu polemica sul medico che accettò quella decisione di non curarsi: forse
un ricovero immediato lo poteva salvare.
Stefano Romanello
L’identità
dei credenti in Cristo
secondo Paolo
F
rutto della ricerca pluriennale dell’autore, il volume interviene con
originalità nel dibattito sulla teologia
paolina della salvezza, attorno alla quale
non si è pervenuti sinora a una comprensione minimamente condivisa. In
particolare vengono presi in esame gli
sviluppi relativi alla questione dell’identità. La disamina, affrontata a livello di
teologia biblica, rivela un quadro di forte coerenza interna, con sicuri motivi di
fascino e di attualità anche per un lettore non specialista.
«La Bibbia nella storia»
pp. 240 - € 22,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
Pagina 504
Segnalo quella sua scelta di lasciarsi morire ai moralisti, per il capitolo sui trattamenti di fine vita, oggi così attuale: ci
dice che è possibile una scelta cristiana
della morte di fronte alla prospettiva di
una sopravvivenza assistita. Una minore
preoccupazione di prolungare la vita può
aiutare ad affrontare la morte. Ci avvediamo anche – considerando quella scelta
– come vi fosse fino ad anni recenti maggiore libertà almeno psicologica di autodeterminazione in materia di alimentazione, di cure e di ricoveri, prima che le
posizioni non risultassero irrigidite dalla
disputa sull’eutanasia.
«Nessuno ha mai colto un lamento
sulle sue labbra», dirà di Benelli il card.
Silvano Piovanelli, suo successore come
arcivescovo di Firenze: «Lo rivedo nel
letto, il volto sereno e disteso come quello
di un bambino contento di essere nelle
braccia del Padre». I medici insistono per
il ricovero e davanti al suo rifiuto il cardiologo Antonini esclama: «Non dà evidentemente grande importanza alla vita,
come accade per questi uomini di fede».
«Negli ultimi mesi si andava preparando a morire, allora non lo capimmo
ma la cosa ci fu chiara dopo», racconterà
Aimo Petracchi, allora segretario del cardinale: «Di quella preparazione lei può
trovare traccia nelle ultime omelie e nel
testamento».
MI DEVO PREPARARE
PER UN ALTRO VIAGGIO
Il 16 agosto, sentendo – dopo un
primo infarto sornione – che la salute se
ne andava, aveva scritto – in partenza
per il Brasile – il testamento che termina
con queste intense parole: «A tutti voi, carissimi figli e figlie di Firenze, lascio una
sola parola: fidatevi sempre di Gesù Cri-
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
503-504 vergogno:Layout 2
sto! Che Dio mi prenda nella sua misericordia!»
Sono tanti i modi di vivere la morte
e tanti quelli di celebrare la propria morte
nella Chiesa: tra essi c’è anche la singolare
testimonianza del card. Benelli. Che dieci
anni prima era stata di un altro grande
cristiano: Athenagoras (1886-1972), patriarca di Costantinopoli.
A 86 anni il patriarca cade dalle
scale, tornando dalla liturgia e si rompe il
femore. Comprende che quella caduta è
il preannuncio della morte e rifiuta la
proposta del metropolita Melitone che lo
vorrebbe portare a Vienna per affidarlo ai
migliori specialisti: «No, io non andrò a
Vienna. Ormai mi devo preparare per un
altro viaggio».
Ricoverato in una stanza piccola e
spoglia dell’ospedale greco-ortodosso di
Balukli, si confessa, recita lentamente le
preghiere penitenziali, riceve con molta
pace e con viso trasfigurato la comunione,
«domanda che gli si lasci accanto il pane
eucaristico e il calice della salvezza e, rifiutando ogni altro cibo, chiede di essere
lasciato solo». Resta solo per morire «solo
con il Solo» e così muore nella notte tra
il 6 e il 7 luglio del 1972.
TORNARE MONACO
ALL’ATTO DELLA MORTE
Il sentimento di essere vicino alla
morte, il rifiuto dell’ospedale, la solitudine e l’eucaristia: ci sono tutti gli elementi della morte di Benelli. Athenagoras, che aveva lasciato il monastero
accettando nel 1948 l’elezione a patriarca
ecumenico di Costantinopoli, volle tornare monaco all’atto della morte. L’attivissimo Benelli volle morire da monaco.
Sono dunque cinque i «santi» con i
quali discuto gli accanimenti che avverto
intorno a me: il patriarca Athenagoras, il
card. Benelli, Leletta (nel 2007 è stata avviata la causa di canonizzazione dalla
diocesi di Aosta), Michela e Lucio. Il ricordo di Lucio Raffa è in una mia conferenza inedita tenuta a Reggio Calabria il
27 maggio 2011. Le storie di Benelli, di
Athenagoras e di Leletta sono nel mio volume Cerco fatti di Vangelo (SEI, Torino
1995). Sia la conferenza, sia le tre storie
sono rintracciabili nel mio blog: l’indirizzo
è qui, sotto la mia firma.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it