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REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 4 quindicinale di attualità e documenti 2011 ITALIANO SUSSIDIO AL CATECHISMO DELLA CHIESA CAT TOLICA PER I GIOVANI 14 Attualità SCARICA L’APPLICAZIONE SUL TUO SMARTPHONE www.cittanuova.it Premessa di papa Benedetto XVI 433 438 452 457 486 Cosa fanno i laici in parrocchia L’incerta primavera araba La Spagna divisa è unita sul papa Una valigia di libri e di idee Studio del Mese Tornare al Vangelo Pintor e Semeraro sugli Orientamenti pastorali «Studiate il catechismo! Questo è il mio vivo desiderio. Studiatelo nel silenzio della vostra stanza, leggetelo con un amico, con gruppi di studio e networks, condividetelo con gli altri su internet». VIA0IEVE4ORINAs2/-!sTELsDIFFUSIONE CITTANUOVAIT Anno LVI - N. 1105 - 15 luglio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 4 quindicinale di attualità e documenti 2011 ITALIANO SUSSIDIO AL CATECHISMO DELLA CHIESA CAT TOLICA PER I GIOVANI 14 Attualità SCARICA L’APPLICAZIONE SUL TUO SMARTPHONE www.cittanuova.it Premessa di papa Benedetto XVI 433 438 452 457 486 Cosa fanno i laici in parrocchia L’incerta primavera araba La Spagna divisa è unita sul papa Una valigia di libri e di idee Studio del Mese Tornare al Vangelo Pintor e Semeraro sugli Orientamenti pastorali «Studiate il catechismo! Questo è il mio vivo desiderio. Studiatelo nel silenzio della vostra stanza, leggetelo con un amico, con gruppi di studio e networks, condividetelo con gli altri su internet». VIA0IEVE4ORINAs2/-!sTELsDIFFUSIONE CITTANUOVAIT Anno LVI - N. 1105 - 15 luglio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 14-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/07/2011 9.50 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti A A CURA DI ANDREA ttualità 15.7.2011 - n. 14 (1105) Caro lettore, anche quest’anno offriamo ai lettori non abbonati, in coincidenza con il tempo del riposo estivo, la possibilità di consultare gratuitamente la rivista e il suo archivio online, all’indirizzo www.ilregno.it. È la promozione Il Regno d’estate, riguarda i numeri dal 12 al 15 e durerà per i mesi di luglio, agosto e settembre. Agli abbonati chiediamo di aiutarci ad ampliare il novero degli amici della rivista segnalando questa opportunità, legata ai mesi estivi, a quanti potrebbero essere interessati: o direttamente, o suggerendo alla nostra segreteria ([email protected]) gli eventuali nominativi. R Carlo Rocchetta Teologia della famiglia Fondamenti e prospettive I l volume offre una visione d’insieme sulla teologia della famiglia, che aiuti a passare dalla considerazione del matrimonio come atto sacramentale alla visione del matrimonio come stato di vita. Da vero specialista della materia, l’autore delinea le linee-guida di una fondazione teologica della pastorale familiare. «Nuovi saggi teologici - Series Maior» pp. 632 - € 48,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 433 (G. Villata) Italia - Vita pastorale: i laici in parrocchia { Una ricerca e alcune riflessioni } 437 (D. S.) Germania - Vescovi e società Libertà, idea della fede 437 (M. B.) Francia - Patrimonio artistico La notte bianca delle chiese 438 (M.E. Gandolfi) Primavera araba: tra le righe del nuovo { Convegno internazionale della Fondazione Oasis } 441 (M.E. Gandolfi) Africa - Sud Sudan: scommettere sull’indipendenza { Il 9 luglio è nato il Sud Sudan } 442 (C. Mazzolari) La preghiera di mons. Mazzolari Questa nostra Gerusalemme 444 (G. Brunelli) Santa Sede - Nomine Nel segno del pontificato 445 (B. Petrà) Ortodossi - Tra Grecia e Costantinopoli: il patriarca difende Volos { La visita della delegazione dell’Accademia teologica a Bartolomeo } 447 (D. S.) Chiese cristiane - Missione Un codice di condotta 447 (D. S.) Germania - Kirchentag Il cuore cristiano 448 (M. B.) Francia - Islam Consiglio del culto: è crisi 449 (P. Stefani) Dialogo interreligioso - Dibattito: teologia cristiana delle religioni { Come pensare alla pluralità partendo dall’unità } 452 (G. Brunelli) Chiesa in Spagna - Verso la GMG: divisi { La Spagna tra laicismo e nazional-cattolicesimo } 455 (D. Sala) Austria - Chiesa La disobbedienza e l’unità 456 (G. Brunelli) Santa Sede - Repubblica popolare cinese Lo scontro Libri del mese 457 (F. Ruggiero) Patristica come stile { I padri della Chiesa nei documenti del Vaticano II } 460 (M. Campedelli) Non per profitto { Martha Nussbaum e il ruolo della cultura umanistica nella ridefinizione del welfare } 464 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 474 (P. Boschini) P. CABRI, Sulla difficile arte d’amare 475 (M. Bernardoni) M. MURGIA, Ave Mary 476 (G. Bendinelli) G. COCCOLINI, Alla ricerca di un ethos politico 477 (D. Pizzuti) Libri contro le mafie 478 (A. Deoriti) Eleonora Fonseca Pimentel { Colta, idealista, impolitica } TESSAROLO Lezionario Meditato NUOVA EDIZIONE > con la nuova traduzione CEI della Bibbia 8 VOLUMI pp. 640/840 € 21,00/27,00 cad. 481 (F. Strazzari) Bolivia - Evo Morales: il cocalero presidente { I rapporti con la Chiesa dopo il secondo mandato } 483 (M. Castagnaro) USA - 35 anni dopo L’American Catholic Council 484 (D. Sala) Diario ecumenico 485 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { Orientamenti pastorali CEI. Leggendo Paolo } 486 (S. Pintor) Torniamo al Vangelo 492 (M. Semeraro) Gli Orientamenti e la catechesi La vita buona del Vangelo 499 (P. Stefani) Parole delle religioni I sangui di Abele 501 I lettori ci scrivono 503 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo L’accanimento medico… Colophon a p. 500 EDB Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it 433-436 art_laici:Layout 2 CHIESA I IN 25-07-2011 16:04 I TA L I A i l Centro di orientamento pastorale (COP) di Roma, tramite il Centro studi e documentazione della diocesi di Torino e la preziosa collaborazione del Servizio informatico della CEI, ha realizzato da novembre 2010 a maggio 2011 un sondaggio sul laicato nelle parrocchie italiane. Qui presentiamo i risultati essenziali avvertendo che si tratta di un sondaggio e cioè di un’indagine su un campione casuale, rispettoso della varietà degli interlocutori impegnati nella pastorale della parrocchia. Dunque non s’intende «fotografare» la realtà, ma portare a conoscenza alcune linee di tendenza. Ci si è avvalsi del questionario, meglio, di tre questionari. Uno riservato ai presbiteri e ai diaconi permanenti; un secondo ai laici; un terzo – del tutto simile al primo – destinato ai consacrati che operano in parrocchia o nelle nuove forme di comunità fra parrocchie.1 Il campione Ai tre questionari hanno risposto 389 laici, 89 sacerdoti e diaconi permanenti e 38 consacrati per un totale di 516 persone. I laici rappresentano il 75% del totale di risposte, i sacerdoti e i diaconi permanenti il 18%, i consacrati il 7%. Tra i laici prevale leggermente la percentuale degli uomini; mentre il numero dei consacrati è diviso perfettamente a metà fra uomini e donne. Per quanto riguarda l’occupazione dei laici: il 45% è laureato e insegna o è libero professionista, il 25% ha un diploma di scuola media superiore. Il 15% ha un diploma di scuola media Pagina 433 Vita pastorale laici in parrocchia Linee di tendenza. Una ricerca e alcune riflessioni inferiore. Il rimanente 15% comprende casalinghe, operai, pensionati e pensionate e altre professioni non meglio identificate. Infine sono gli aggregati a prevalere: l’85% versus il 15% dei laici singoli. Il 56%, infatti, dichiara di operare in parrocchia da 20 o 30 anni. Fra i ministri ordinati, il 50% sono parroci (con uno o più incarichi), il 10% vicari parrocchiali, il 15% sacerdoti con incarichi diocesani, il rimanente 25% diaconi permanenti. Chi sono e cosa fanno Cosa fanno i laici in parrocchia? Possiamo concentrare le risposte dei laici e poi quelle dei ministri ordinati e dei consacrati attorno a quattro punti: a) i fondamentali della pastorale; b) la vita interna della comunità; c) i servizi attinenti alla logistica; d) pastorale del territorio. I laici (82%) affermano che si ritrovano impegnati soprattutto nei fondamentali della pastorale: catechesi (39%), liturgia (33%), servizio della carità (10%). L’impegno maggiore della pastorale si dirige verso: ragazzi (29%), giovani (21%), adolescenti (19%), famiglie (22%), oratorio (15%), corsi in preparazione al matrimonio (14%), gruppi culturali in parrocchia (7%), giovani coppie (7%), terza età (5%); cioè nella vita interna della parrocchia. Il cosiddetto servizio logistico (apertura e chiusura della chiesa, pulizia e amministrazione) vede complessivamente impegnato il 20% del laicato. Dall’incrocio dei dati con il sesso risulta che prevalgono le donne nell’apertura e chiusura della chiesa (5% versus il 3% degli uomini), nella pulizia della chiesa (9% versus il 4% degli uomini), ma so- prattutto in campo amministrativo (15% versus 2%). L’impegno sul territorio è vivace nelle università, in politica, nel mondo dell’emarginazione, nei centri di aiuto alla vita, raggruppa il 22% del laicato e vede la prevalenza delle donne. Queste differenze, anche se esigue, sono comunque significative: indicano che le donne si stanno smarcando da un’identità femminile limitata alla cura della famiglia o della casa, appannaggio soprattutto del Sud. Qui sorge però una domanda: i laici sono considerati semplici esecutori o responsabili in prima persona? Il 29% delle risposte al sondaggio segnala che ai laici sono affidate responsabilità dirette nei fondamentali della pastorale e il 23% nel coordinamento di attività interne alla vita della parrocchia. È anche interessante il dato sulla rappresentatività della comunità sul territorio (12%). In sintesi: i laici sono apprezzati decisamente più come esecutori-dipendenti che come soggetti responsabili e capaci di decisioni autonome, in linea con il progetto pastorale e in spirito di comunione. Si è anche chiesto a entrambi i campioni qual è il motivo per cui non si riesce ad affidare ai laici il compito desiderato. Le cause principali risultano: impreparazione (50%), scarsa motivazione dei laici stessi (30%), oltre all’eccessiva esposizione del clero che impedisce anche un’appropriata valorizzazione del laicato (lo affermano il 34% dei consacrati versus il 30% dei ministri ordinati). Nessuna aprioristica preclusione emerge nei confronti della donna nella pastorale parrocchiale. Anzi, è chiara la IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 433 433-436 art_laici:Layout 2 25-07-2011 16:04 tesi, soprattutto da parte dei consacrati (l’82% sostiene di no versus il 67% dei ministri ordinati), che non esiste una ministerialità di genere. Nonostante permanga, in percentuale bassissima, qualche stereotipo di genere. Per approfondire il problema si è indagato sui ruoli e sui compiti che, di fatto, vengono affidati alle donne. Sono pervenute le seguenti risposte dai ministri ordinati e dai consacrati: pulizia della chiesa (71% per entrambi); coordinamento di settori di pastorale (28% dei ministri ordinati versus 37% dei consacrati); segreteria delle parrocchie (46% dei ministri ordinati versus 37% dei consacrati). Nel consiglio per gli affari economici il 46% dei ministri ordinati e il 37% dei consacrati attesta la presenza delle donne. La questione vera non è tanto la valorizzazione della donna in qualche servizio, quanto la sua valorizzazione in quei servizi che meglio estrinsecano la sua specifica sensibilità; che non ricalcano cioè l’idea dell’immaginario comune di donna tutta casa e chiesa, madre e moglie silenziosa e dedicata. Perché si impegnano Per quali motivi i laici si impegnano in parrocchia? I laici mettono in primo piano le motivazioni di tipo empatico tra cui come contribuire a costruire la comunità cristiana (65%), trasferire nella parrocchia l’esperienza maturata nell’associazione o movimento di riferimento (49%), la consapevolezza di ricevere dalla comunità molto di più di quanto le si dia con il proprio servizio (19%) e l’esistenza di un buon clima relazionale (5%). Quanto alle motivazioni di tipo teologico: anzitutto l’identità battesimale che costituisce la connotazione di pari dignità del laicato (50%) su cui si fonda il diritto-dovere di mettersi a servizio del Vangelo nella Chiesa e nella società; poi la consapevolezza che la parrocchia è luogo di educazione alla fede e che, in quanto tale, va sostenuta (19%). Le motivazioni di tipo funzionale hanno scarse adesioni. Se si sommano le percentuali dei cinque item si raggiunge il 14% del campione. Da parte dei ministri ordinati e dei consacrati emergono globalmente queste motivazioni, che essi pensano che i laici debbano maturare, sia la necessità di essere sostenuti nel vivere da cristiani la quotidianità (rispettivamente 36% e 434 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Pagina 434 37%), sia l’orientamento all’impegno sociale e politico (rispettivamente 28% e 29%). Non invece le motivazioni di tipo funzionale quali la diminuzione crescente dei preti e dei diaconi (8% e 5%) o il fatto di essere pensionati che vogliono occupare bene il loro tempo (5% e 18%). I laici sentono dunque più dei ministri ordinati e dei consacrati le motivazioni empatiche. I ministri ordinati auspicano per i laici minore adesione a motivazioni di tipo empatico e – soprattutto i presbiteri parroci – maggior acquisizione di motivazioni teologiche e di indole progettuale. Le relazioni Quali rapporti tra laici, ministri ordinati, consacrati in parrocchia? L’83% dei laici afferma di essere più che soddisfatto dei rapporti con il clero. Poiché si tratta di relazioni umane, qualche problema è inevitabile. Questi i principali: clima scarsamente collaborativo (12%), assenza del laicato dai luoghi in cui si determinano le scelte pastorali (10% in entrambi i casi) e il sentirsi più esecutori che cooperatori (7%). Ma l’identità che ai laici viene attribuita dal clero coincide con quella che essi stessi sentono come propria? Le loro risposte a una specifica domanda denotano che la piena realizzazione dell’identità laicale consiste non tanto nell’avere buoni od ottimi rapporti con tutti, quanto nell’essere riconosciuti come persone capaci di assumere responsabilità (57%) e nell’essere aiutati a vivere la specifica vocazione di laico fra Chiesa e mondo (49%). Questa è l’opinione di circa la metà degli interpellati. Almeno il 58% dei sacerdoti e diaconi permanenti dichiarano che i laici sono più cooperatori che collaboratori. Sul Consiglio pastorale parrocchiale (CPP) le risposte fornite dai laici esprimono due alternative: la sostanziale condivisione di questo strumento e la sua importante funzione per alcuni, l’inutilità per altri. Sul primo fronte si attesta il 37% dei laici, che nel CPP vede un organismo in grado di costruire la pastorale della comunità e di verificare l’effettiva sua incidenza evangelizzatrice. Altri indicatori di minor peso attestano l’identità e l’estensione di questa posizione: il CPP è percepito come luogo in cui si vivono la relazione fra ministero e Chiesa (17%), l’articola- zione fra ministeri (8%) e in cui si impara a vivere e ad agire con mentalità ecclesiale (19%). Sul secondo si propongono coloro che ne affermano l’inutilità sia perché, di fatto, a comandare è solo il clero (19%) sia perché il laico non ha alcun potere decisionale, essendo l’organismo consultivo (17%). La formazione e la pastorale La formazione: che cosa si fa e che cosa si vorrebbe fare? Il 95% dei ministri ordinati dichiara che nel 45% delle parrocchie in cui operano, ci sono stabili percorsi (chiamiamoli genericamente così) formativi; nel 39% esistono in parte e solo nell’11% non esistono per nulla. Sulle modalità di attuazione di tali percorsi, metà circa del campione non risponde. L’altra metà indica percorsi (non solo episodi) formativi contraddistinti da: valorizzazione dell’esperienza delle persone (36%), momenti in cui si formano insieme laici e ministri ordinati (31%) senza che siano del tutto eliminati momenti di ascolto dei contenuti (34%). Il sondaggio lascia dunque intravedere la coesistenza di almeno due percorsi: quello tradizionale, in cui prevale l’attenzione ai contenuti oggettivi più che alle persone e alla loro storia personale e pastorale, e quello più innovativo, che raccoglie anche più adesioni, ispirato alla pedagogia moderna. Persiste, minoritaria, ma non trascurabile, la tendenza più tradizionalista secondo la quale il laico impara e il ministro ordinato insegna (12% di sì versus 1% di no, 12% di in parte e 75% di no). Quale Chiesa e quale pastorale? Laici, ministri ordinati e consacrati sostanzialmente convergono su due immagini di Chiesa con buone percentuali di consenso e con minor gradimento su una terza. Le prime due sono: Chiesa sinodale in cui ognuno porta il proprio mattone e insieme si decide nel rispetto delle diversità di ministeri, doni e carismi (41% dei laici e dei ministri ordinati e il 50% dei consacrati); Chiesa compagna di cammino dell’uomo che cerca i punti di innesto del Vangelo nella cultura, convinta di dare ma anche di ricevere dal mondo che vuole evangelizzare, lo critica per correggerne le storture e lavora per renderne evangelici i valori esistenti nella cultura (56% dei ministri ordinati versus 45% dei laici e 29% dei consacrati). La 433-436 art_laici:Layout 2 25-07-2011 terza è l’immagine di Chiesa-piramide, nella quale il clero sta al vertice e decide e i laici, alla base, eseguono (25% dei laici versus il 13% dei ministri ordinati e il 23% dei consacrati). I dati ancora una volta attestano la compresenza di visioni diversificate e anche opposte. Su alcuni tratti della pastorale le risposte denotano perplessità. Solo il 10% dei laici è d’accordo sull’affermazione che il vescovo è il referente unico e non sostituibile della pastorale; il 27% non lo è, e il 9% lo è solo in parte. Il 54% non ha risposto. Concordano – seppure con percentuali diverse – i ministri ordinati (31% di sì versus 33% di no) e i consacrati (10% di sì versus 28% di no). Il 23% dei ministri ordinati e il 9% dei consacrati si dimostra in parte d’accordo. Sulla consapevolezza di sentirsi impegnati in prima persona nel dialogo tra Chiesa e mondo, convengono decisamente il 26% dei laici, il 72% dei ministri ordinati e il 26% dei consacrati. Alte sono le percentuali di non risposte dei laici e dei consacrati (55%); poco significative quelle dei ministri ordinati (11%). Netta però appare la diversità di valutazione tra i laici associati e non e i ministri ordinati, soprattutto, nell’indicare la scarsa comunione come causa del mal funzionamento dei CPP. Alcune linee di tendenza Quali linee di tendenza? Si possono esplicitare seguendo la traccia delle ipotesi che il sondaggio si è proposto di verificare. 1. La prima poneva la questione del riconoscimento in parrocchia della peculiare caratteristica del laicato e cioè del suo carattere «secolare». Le risposte indicano chiaramente che tale riconoscimento c’è, a livello quanto meno di dichiarazioni di principio da parte sia dei ministri ordinati sia dei consacrati; un po’ meno tra i laici stessi. Per quanto riguarda la prassi pastorale, la situazione risulta piuttosto articolata: per la maggior parte i laici decisamente vengono impegnati nei fondamentali della pastorale e soprattutto nella pastorale con e per i soggetti più giovani; meno con gli adulti, le famiglie, sul territorio. Solo un terzo circa di loro viene valorizzato come figura di connessione fra Chiesa e società e, in quanto tale, orientato verso l’impegno nel sociale, nella cultura e, 16:04 Pagina 435 assai di meno, in politica. Permangono, espresse in particolare dai religiosi, visioni preconciliari del laicato: i laici come persone di riserva, risorse secondarie, funzionali alla mancanza del clero. Dunque il riconoscimento nei fatti della connotazione secolare propria del laicato ha ancora bisogno di essere estesa e rafforzata, anche come mentalità che informa tutte le attività laicali in parrocchia. Lo si desume anche dallo scarso sviluppo di forme ministeriali nuove proiettate «oltre le mura» della parrocchia e nel dialogo con il mondo. Il laico è sempre tale, sia che operi all’interno della comunità che all’esterno. Non c’è il laico parrocchiale e quello mondano. La limitata promozione dell’identità laicale nella prospettiva conciliare ricade anche sulla maturazione dell’identità delle altre presenze ministeriali, in particolare dei presbiteri.2 2. La seconda ipotesi intende verificare direttamente con i laici la loro identità. Anche qui occorre distinguere le dichiarazioni di principio dai fatti. Nelle prime i dati indicano due principali tendenze: consapevolezza chiara dell’identità conciliare da un lato; adeguamento senza problemi alla situazione pastorale, dall’altro. Sono tendenze entrambe piuttosto nette, vissute senza polarizzazioni né eccessivi disagi. Sembra che la questione fondamentale che preoccupa una buona parte del laicato sia conservare buoni rapporti con tutti, rinunziando anche a quella sana dialettica che permette un confronto virtuoso fra diversità. Si fa fatica però non pensare che a prevalere sia il «piccolo cabotaggio», la scarsa intenzione a mettersi in discussione, l’appagamento derivante da rapporti soddisfacenti e da qualche successo pastorale. Questo atteggiamento, pur non tipico di una parte considerevole del laicato, è tuttavia corrisposto dalla maggioranza dei ministri ordinati e dei consacrati. La consapevolezza cioè della propria identità da parte dei laici e l’impegno concreto da parte dei ministri ordinati di favorirne l’acquisizione sembrano piuttosto limitati, fatte alcune lodevoli eccezioni. I risultati del sondaggio indicano anche alcune cause di tale situazione, altalenante fra desideri un po’ sopiti e IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 435 realtà. La prima è la scarsa attenzione che nella parrocchia trovano i problemi della vita quotidiana dei laici: la preoccupazione delle molte cose da fare riduce tempi e modi per il rapporto tra persone. La seconda riguarda la gerarchia, troppo spesso presente in prima persona anche in scenari pubblici nei quali potrebbe benissimo essere il laicato a sostenere le posizioni della Chiesa. La terza è la carenza formativa nella maturazione dell’identità cristiana: sembra che la preoccupazione principale dei formatori sia la funzionalità al compito da svolgere. 3. La terza ipotesi riguarda i consigli pastorali parrocchiali, ai quali soltanto il sondaggio si riferisce. Emerge con chiarezza da parte sia dei laici sia della maggioranza dei ministri ordinati e dei consacrati, il mancato o assai limitato decollo del Consiglio pastorale parrocchiale. Anche in questo caso non si può generalizzare; tuttavia non si può fare a meno di notare che pochissimi riconoscono la validità e l’attuale adeguatezza di questo strumento di partecipazione. Il dato ripro- Martin McKeever Giuseppe Quaranta Voglio, dunque sono La teologia morale di Giuseppe Angelini Con un saggio di Stefano Zamboni Postfazione di Giuseppe Angelini G iuseppe Angelini è uno dei più noti rappresentati della «scuola» teologica milanese. Il testo raccoglie i frutti della sua più che trentennale attività di studio e di insegnamento della disciplina. I due saggi di apertura tentano di offrire una versione abbreviata del suo progetto teologico e una sua valutazione critica. La seconda parte del volume rilegge alcuni dei principali temi della morale fondamentale in confronto con il pensiero di Angelini. «Etica teologica oggi» pp. 256 - € 22,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 433-436 art_laici:Layout 2 25-07-2011 16:04 pone il tema della cooperazione fra risorse pastorali, tema che si riscontra chiaramente anche nelle nuove forme di comunità fra parrocchie in cui è netta la tendenza alla collaborazione a detrimento della cooperazione.3 Proprio per quanto è stato appena messo in evidenza, i dati non escludono che, attraverso queste forme di partecipazione, non si corra il rischio (non esplicitamente voluto) della «trasformazione della comunità parrocchiale nel gruppo dei collaboratori del prete, sino a confondere “popolo di Dio” e “operatori” pastorali».4 4. La quarta ipotesi è relativa all’esistenza o meno in parrocchia di percorsi formativi adeguati ai laici. Per essere comprensivi si è attribuita la titolarità di «percorso» formativo a tutte le iniziative presenti in parrocchia, dunque anche a quelle episodiche. I dati acquisiti non possono entrare in profondità nella questione, che è complessa. A livello di tendenza, emerge chiaramente che la parrocchia da sola non ce la fa a formare un laicato adeguato alle necessità pastorali odierne, capace di mettersi al servizio della parrocchia e insieme di elaborare modelli adeguati alle sfide del tempo e coerenti con le istanze della missione. Sarà la cooperazione tra diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti a essere la carta vincente. I ministri ordinati hanno capito la situazione e sono consapevoli della necessità di cambiare i sistemi formativi, ma si trovano a constatare che non hanno strumenti adeguati. In questa prospettiva il sondaggio evidenza la peculiare funzione di associazioni quali l’Azione cattolica (AC). 5. La quinta è relativa al rapporto fra laici aggregati e singoli. Qualche persistente schermaglia non turba il buon clima relazionale fra le diverse espressioni laicali presenti in parrocchia e nelle nuove forme di comunità fra parrocchie. Lo affermano i laici stessi e lo confermano anche i ministri ordinati e i consacrati; i preconcetti sembrano superati. Il dubbio semmai è se si tratti di un segno di accresciuta comunione o piuttosto di una scelta di quieto vivere. 6. La sesta pone la questione della presenza di associazioni dedicate in parrocchia con riferimento specifico all’AC. Complessivamente emerge che 436 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Pagina 436 essa svolge compiti importanti nei fondamentali della pastorale, soprattutto con e per soggetti giovani e adulti, nella pastorale della cultura e del territorio e in campo formativo. A questi dati, e come ulteriore motivo di stima per l’AC, va aggiunto che i ministri ordinati riconoscono la qualità della formazione (spirituale e cristiana) degli associati e auspicano di valorizzarla nel servizio formativo ai laici che operano in parrocchia, in modo da superare quella che chiamiamo formazione «personalizzata» ossia troppo legata alle persone o ai gruppi che la propongono e da esse dipendente. Qualche giudizio riguarda la capacità degli appartenenti all’AC di adeguarsi pienamente alle necessità pastorali della parrocchia. 7. La settima riguarda la questione della donna in parrocchia. Se la spina dorsale della pastorale della parrocchia è costituita dal laicato, la spinta vitale viene in realtà dalle donne; dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo. Oggi la situazione della donna nella Chiesa non è più riconducibile del tutto o quasi allo status di «agenzia di pulizia», anche se i dati affermano che molte donne si prestano volontariamente anche per questo servizio. A esse in effetti sono affidati compiti diversi e più consoni all’essenza femminile, anche di diretta responsabilità. Ci si augura che a poco a poco esse possano finalmente assumere un ruolo decisionale anche in ambito pastorale. Tuttavia rimane chiara l’impressione che, se esse in molte attività sono valorizzate perché più degli uomini si appassionano e danno il meglio di sé, questo avviene in quanto meglio rispondono ai bisogni, e non in quanto, come donne, sono e possono dare a livello di intelligenza e sensibilità femminile. L’acritico loro adattamento alla situazione certamente non è di stimolo a un auspicabile cambio di mentalità. Vitalità e stanchezza Che ne è dunque di quella «splendida teoria» di cui Giovanni Paolo II parlava riferendosi al dettato conciliare sul laicato? Ha trovato capacità e autonomia per smuovere la prassi delle parrocchie? Le risposte del sondaggio non consentono una conclusione inequivocabile. I dati che abbiamo raccolto in- dicano chiaramente la presenza contemporanea, in parrocchia, di figure di laici (ma anche di ministri ordinati) tuttora ancorate al passato, accanto ad altre (laici singoli e aggregati nonché ministri ordinati) più proiettate verso la maturazione dell’identità conciliare, e quindi attestano anche la compresenza delle corrispettive ecclesiologie: di «dipendenza» e di «comunione». Tutte queste figure, attive nella vita della parrocchia, non sempre sono valutate come meriterebbero: quali cooperatori e quindi partner a tutti gli effetti, non solo come esecutori o collaboratori occasionali. Il laicato, dunque, nella Chiesa italiana c’è ed è vitale, anche se in alcune diocesi viene lamentata una diminuzione numerica, una certa stanchezza e un’inadeguatezza ad esprimere al meglio la propria identità. Ciò che preoccupa, e non poco, è la situazione di apatia o di mancanza di crescita o di insoddisfazione di chi pur si impegna, anche generosamente, insieme al fatto che non si è riusciti in questi anni ad attuare «un affondo deciso, sul piano teologico, della specificità dell’essere laico nella Chiesa».5 Giovanni Villata 1 I dati completi del sondaggio saranno proposti nel volume degli Atti della settimana di prossima pubblicazione dalle Edizioni dehoniane di Bologna.Visto lo spazio necessariamente limitato di questo articolo non sono proposti i dati relativi ai vari incroci e alle tematiche quali l’associazionismo in parrocchia, la presenza dell’Azione cattolica italiana (AC), i ministeri laicali che pure sono stati oggetto di ricerca. Le linee di tendenza che saranno presentate al termine, dunque, non potranno trovare tutti i riscontri probanti nei risultati che qui sono presentati. 2 «Il rinnovamento della comunità cristiana è qualificato dal cambiamento di mentalità del pastore, la “conversione pastorale” passa attraverso la “conversione ministeriale” e con essa anche di tutto il popolo di Dio. Questo è il punto su cui cade o sta il rinnovamento della parrocchia»: F. G. BRAMBILLA, Essere preti oggi e domani: Teologi pastorale e spiritualità, Milano, Glossa 2008. 3 G. VILLATA, «Dalla necessità alla progettualità». Ricerca sulle forme di comunità fra parrocchie, in CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE, Nuove forme di comunità cristiana. Le relazioni pastorali fra clero, religioni, laici e territorio, EDB, Bologna, 2010, 46-47. 4 L. DIOTALLEVI, «Tra individualismo e voglia di comunità. La difficile transizione del cattolicesimo oltre le state society», in La Rivista del clero italiano, 92(2011) 3, 218. 5 P. SEQUERI, «Rileggendo l’Apostolicam actuositatem», in Regno-ann. 2007,142-143. 437 info ger+francia:Layout 2 25-07-2011 16:05 Pagina 437 Germania Ve scov i - S o c i e t à e aiuti ai genitori di bambini disabili; l’invito agli istituti educativi cattolici a promuovere l’integrazione di bambini di altre culture; una maggiore perequazione fiscale anche attraverso una tassazione dei grandi patrimoni; nessun salario minimo garantito, che rischia di essere una misura assistenziale. Libertà, idea della fede N ella Germania di oggi «molte persone non hanno la possibilità di usare la loro libertà. Così la società si divide tra quanti possono guardare avanti con fiducia e ottimismo e cogliere occasioni e possibilità, e quanti invece sono esitanti e timorosi, spesso arrivano a rassegnarsi e si ritirano ai margini della comunità o finiscono per trovarvisi senza loro colpa. Hanno la sensazione che non vi sia giustizia, e dubitano che in questa società tutti siano necessari e abbiano un posto», e questo nonostante il paese abbia attraversato relativamente bene la crisi economica e finanziaria attuale. Viceversa «tutte le persone devono essere messe in condizione di far fruttare i loro talenti, dando il proprio contributo unico e insostituibile. Ciascuno deve avere l’opportunità di usare il potenziale di libertà nella nostra società anche personalmente». Così scrive il card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Freising e presidente della Commissione per i problemi sociali della Conferenza dei vescovi cattolici tedeschi, nella prefazione del documento intitolato Una società delle pari opportunità, modello per un ordine liberale, presentato a Berlino lo scorso 27 giugno. La libertà secondo i vescovi tedeschi è un’idea centrale della fede e della dottrina sociale cristiana, e dev’essere declinata eticamente nel senso sia della responsabilità individuale sia della solidarietà sociale. Il documento vuole porsi come stimolo per l’avvio di un dibattito pubblico che porti a un rinnovamento della società tedesca in senso liberale, e contiene anche alcuni suggerimenti politici, anche se una dimensione più propositiva è rimandata a un passo successivo. Le prospettive individuate a titolo d’esempio riguardano l’ambito dell’educazione, del lavoro e della giustizia inter-generazionale. Tra le indicazioni, misure a sostegno della famiglia, come asili nido gratuiti Tra le prime reazioni c’è stata, il giorno successivo, quella di quattro teologi moralisti – Bernhard Emunds, Karl Gabriel, Hermann-Josef Große Kracht, Matthias Möhring-Hesse –, i quali hanno diffuso un testo che in dieci tesi critica l’impianto di fondo del documento episcopale. Con il documento, secondo loro, la Commissione assume una posizione neoliberale, cautamente stemperata in senso socialdemocratico. Si limita a confermare l’impostazione delle attuali forze di governo, e difficilmente quindi potrà dare un qualche segnale politico o ancor meno uno stimolo programmatico; sembra non aver imparato nulla dalla recente crisi finanziaria mondiale, né reca traccia della richiesta di una regolamenta- zione dei mercati; benedice i tagli allo stato sociale, ritornando indietro rispetto a livelli di previdenza raggiunti decenni fa grazie all’apporto delle forze politiche ispirate alla dottrina sociale cristiana. Secondo i moralisti, i vertici della Chiesa cattolica con questo testo sanciscono definitivamente, dopo il primo passo compiuto nel 2003 con Ripensare il sociale (cf. Regno-doc. 3,2004,90), il loro allontanamento dalla dottrina sociale delle Chiese evangelica e cattolica. Esse si erano espresse insieme nel 1997 a favore di un’«economia sociale di mercato impegnata in senso sociale, ecologico e globale» e sostenuta da una «cultura della misericordia» nel documento Per un futuro di solidarietà e giustizia, al termine di un ampio processo di consultazione avviato nel 1994, che aveva impegnato le due Chiese nell’elaborazione di due stesure successive e di 25.000 pagine di contributi (cf. Regno-att. 6,1997,148ss; Regno-doc. 9,1997,288). D. S. Francia Patrimonio artistico La notte bianca delle chiese L o scorso 2 luglio, in tutta la Francia, si è tenuta la prima edizione de «La notte delle chiese», durante la quale i luoghi di culto (circa 100.000 sul territorio nazionale, di cui 45.000 chiese parrocchiali) erano invitati a tenere le porte aperte per accogliere tutti coloro che si sarebbero presentati, come spiegava una nota della Conferenza episcopale francese. L’evento – che si rifà alla più famosa «Notte delle cattedrali», iniziativa giunta quest’anno alla V edizione – è stato organizzato dalla rivista «bi-media» Narthex (www.narthex.fr) del Servizio nazionale di pastorale e liturgia sacramentale. Lo scopo era far conoscere e valorizzare la dimensione culturale e il ricco patrimonio degli edifici religiosi presenti sul territorio francese. La natura dell’iniziativa era in realtà duplice. A livello «culturale», si voleva valorizzare chiese o cappelle che appartengono al patrimonio artistico nazionale e che, in alcuni casi, sono chiuse ormai da tempo (soprattutto nei villaggi e nelle piccole città). Si intendeva aiutare le comunità locali a riappropriarsi di una parte della loro identità, prendendosi cura dei propri luoghi di culto e offrendo a tutti la possibilità di entrarvi e «gustarne» la bellezza, anche al di fuori del momento celebrativo. Primi beneficiari dell’iniziativa sono stati proprio i cristiani, i quali, dallo studente liceale al pensionato, hanno avuto occasione di riscoprire la storia, la bellezza e l’«anima» delle loro chiese, talvolta attraverso corsi predisposti per formare all’accoglienza e alla guida dei visitatori. Insieme alla valorizzazione del patrimonio artistico, l’accento è stato posto sul valore dell’accoglienza come stile da vivere e testimoniare, sollecitando in tal senso le comunità locali. I cristiani devono ritrovare il gusto di «pregare quotidianamente nelle chiese dei loro villaggi»; lo ha dichiarato mons. Jean Legrez, arcivescovo di Albi e organizzatore dell’evento, il quale ha concluso: «Per fare questo non c’è bisogno di preti» (La Croix 30.6.2011). M. B. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 437 438-440 art oasis:Layout 2 25-07-2011 16:06 Pagina 438 Primavera araba I TA L I A t ra le righe del nuovo C o n v e g n o i n t e r n a z i o n a l e d e l l a Fo n d a z i o n e O a s i s U na delle ultime uscite pubbliche da patriarca di Venezia del card. Scola è stata in occasione del convegno del Comitato scientifico della Fondazione Oasis, che si è tenuto a Venezia, presso l’isola di S. Servolo, dal 20 al 22 giugno sul tema «Medio Oriente verso dove? Nuova laicità e imprevisto nordafricano».1 Fondata da lui nel 2004 come «rete internazionale di rapporti che promuove la conoscenza e l’incontro tra cristiani e musulmani» in risposta agli avvenimenti legati all’11 settembre 2001, Oasis si è sin qui proposta come un’attività attorno a tre poli – si legge nell’homepage del sito Internet – che ne denotano anche uno stile: «il meticciato di civiltà e culture»; l’incontro personale e concreto con i cristiani delle Chiese orientali come modalità che superi «l’intellettualismo che endemicamente affligge l’Occidente» e ridia ai cristiani orientali un ruolo da protagonisti; «l’interpretazione culturale degli islam».2 Uno dei maggiori pregi dell’attività della fondazione è l’aver dato corpo all’intuizione di poter creare un luogo d’incontro, una vivace community formata da protagonisti del mondo religioso e culturale dell’area mediorientale che a cadenza annuale si ritrova per riflettere in un clima di piena libertà assieme a studiosi di fama internazionale sui principali temi emersi dall’attualità di quella complessa regione. Non necessariamente con sistematicità; d’altra parte quest’anno la materia era assolutamente sovrabbondante. 438 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Tunisia: campo Shushah al confine con la Libia. La tenda dove si celebra la messa per i profughi cattolici. Generazione giovani Due termini hanno costituito i poli d’attrazione attorno ai quali le relazioni e gli interventi hanno ruotato: «l’imprevisto» e la «laicità». Nessun altro convegno di pari livello avrebbe utilizzato un termine così poco accademico come «imprevisto» per indicare il fatto che la nascita dei movimenti di protesta a partire dalla Tunisia abbia colto tutti di sorpresa. Questa irritualità ha tuttavia reso efficacemente il sentimento che protagonisti e non hanno vissuto nei confronti dei movimenti di rivolta che dal Nord Africa al Medio Oriente hanno toccato con gradi diversi popolazioni e regimi diversi (cf. Regno-att. 2,2011,12; 4,2011,85; 6,2011,152; 8,2011,227; 12,2011,381). «Dalla rivoluzione tuni- sina – scrive l’arcivescovo di Tunisi nella lettera pastorale datata 24 luglio che ha presentato al convegno (il testo italiano sul prossimo numero di Regnodoc.) – impariamo che i piccoli sono all’origine del rinnovamento, proprio quelli che erano considerati senza saggezza, senza ideologia, ma che hanno una grande sete di conoscere, di aprirsi e un grande desiderio di spiritualità personale. È sicuramente una prima volta nel mondo arabo musulmano». Così, anche il presidente degli Stati Uniti B. Obama, nel suo secondo discorso rivolto al Medio Oriente (Washington, 19.5.2011), ha ammesso di «dover procedere con un sentimento d’umiltà. Non è l’America che ha portato la gente nelle strade di Tunisi o del Cairo». 438-440 art oasis:Layout 2 25-07-2011 Ma «imprevisto» ha anche descritto efficacemente il sentimento di «contrattempo» vissuto dalle società della sponda Nord del Mediterraneo – Italia in primis – di fronte alle ondate d’immigrati in arrivo e in transito dalle coste nordafricane. E questo anche se in termini numerici (M. Lahham) vi era una sproporzione netta tra i 20.000 arrivi dalla Tunisia in Italia e i 200.000 arrivati in Tunisia a seguito della guerra in Libia (cf. anche Regno-att. 8,2011,224). Ma è possibile farsi cogliere impreparati da un afflusso di persone che vive a poche miglia di mare dalle nostre coste con un livello di vita incomparabilmente inferiore? Realisticamente – ha detto il card. Scola – non si può «continuare senza intervenire radicalmente sull’attuale sistema economico. Non è soltanto una questione etica (…) è proprio un’impossibilità pratica». Così è stato quando si è pensato che la crisi economica scoppiata nel 2008 fosse solo una parentesi in un sistema tutto sommato funzionale e soprattutto impermeabile – ma solo in entrata – rispetto al resto del mondo. Così è per gli immigrati che provengono – e forse continueranno massicciamente a provenire – dall’Africa subsahariana, «che non di rado versano in condizioni di vita insopportabili». Sarà «inevitabile parlare in Europa di un vero e proprio meticciato», ha sottolineato Scola, rifacendosi a un’espressione a lui cara che si contrappone idealmente allo «scontro di civiltà». Ecco quindi la prima declinazione dell’imprevista primavera araba: una 16:06 Pagina 439 formidabile spinta socio-demografica di generazioni giovanili che, in aperta rottura con il modello culturale e politico arabo degli anni Cinquanta, dopo aver conseguito titoli di studio elevati, caratterizzati da forte mobilità, si sono trovati di fronte a una situazione priva di sbocchi lavorativi e sociali. È una generazione che rifiuta il patriarcalismo di cui è figlia, che chiede libertà e rivendica diritti a titolo individuale. Lo ha detto O. Roy, la cui relazione ha costituito il riferimento, anche dialettico, nel dibattito successivo. La tabella sotto evidenzia la forza percentuale delle coorti generazionali giovanili sul resto della popolazione nei paesi lambiti dalle rivolte e i tassi di fertilità molto simili a quelli europei: quello tunisino, in particolare è più basso di quello francese, ha ribadito Roy. Una generazione fortemente connotata dall’individualismo – termine che ha acceso qualche campanello d’allarme in una parte del pubblico presente – anche sul versante politico: la richiesta dei giovani tunisini o di piazza Tahir in Egitto era formulata come «una domanda individuale di cittadinanza», veicolata dai social media, priva di riferimenti ideologici forti. Non si chiedeva «onore», ma «dignità»; slogan di tipo religioso, con riferimenti al panarabismo e alla causa palestinese, erano del tutto assenti. Per questo i partiti politici hanno tentato invano d’imbrigliare la protesta nel suo nascere: i diritti individuali stanno stretti nelle formazioni politiche classiche. Democrazia fugace In secondo luogo, la definizione storico-politica dell’«imprevisto» a fronte di una clamorosa «assenza» e «paralisi» dei governi occidentali (V.E. Parsi). Spesso ci si è riferiti a questi avvenimenti come a una rivoluzione. A Venezia è stato precisato che si dovrebbe più correttamente parlare di «rivolte», che necessitano di tempi ancora lunghi per dare vita a vere e proprie rivoluzioni e pertanto sembrano molto distanti dagli avvenimenti del 1989 dell’Est europeo (N. Lobkowicz). Forse si è più vicini alla categoria del Sessantotto. È vero, infatti, che il momento della «fugitive democracy» («democrazia fugace») – ha detto M. Zeghal citando S. Wolin – è il tempo in cui si può pensare al futuro come «riconfigurabile», aperto «a cambi radicali» e «rotture col passato»; tuttavia esso è molto limitato nella sua durata. «La pretesa romantica» di una sorta di «rivoluzione permanente» (Zeghal) è più che altro il segno del lavorio faticoso del farsi di una mediazione politica nuova che dia senso e stabilità alla rottura. In Tunisia ciò è visibile nel dibattito sul ruolo dei partiti d’ispirazione religiosa. In Egitto, è evidente che la primavera difficilmente potrà essere più di una – necessaria – riforma tutta interna all’esercito, vera struttura portante dello stato (T. Aclimandos); nonostante il fatto che la piazza cerchi di mantenersi autoconvocata. In altri casi, addirittura, come in Arabia Saudita, la protesta è «rimasta digitale», una sorta di «cyber-utopia» (M. al-Rasheed) smorzata sul nascere da qualche concessione di tipo economico. È ragionevole aspettarsi (Roy) che alle MONDO ARABO: LA FORZA DELLA DEMOGRAFIA Algeria Arabia Saudita Bahrein Egitto Giordania Libano Libia Marocco Oman Qatar Siria Tunisia Yemen Popolazione Figli/Donna % 0-14 anni 34.459.729 24.807.273 650.604 77.775.247 5.980.000 3.759.136 5.673.031 30.847.000 3.173.917 1.696.563 20.367.000 10.432.500 22.492.035 1,75 2,46 2,79 2,80 3,50 2,21 3,08 2,21 2,86 2,40 3,12 2,05 5,00 27,20 30,80 21,10 31,70 37,20 27,60 33,00 29,10 32,10 13,70 36,40 25,90 43,90 % 15-29 anni % 30-44 anni % 45-59 anni 32,10 30,70 29,10 31,30 28,90 27,10 28,60 28,60 32,20 31,30 30,70 30,10 29,80 21,80 24,30 31,70 18,50 20,70 21,70 21,90 21,00 22,00 40,20 18,10 22,10 14,40 % 60 e oltre % totale 7,00 4,40 3,80 6,10 5,00 10,00 6,40 8,20 4,60 1,70 5,40 8,70 4,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 11,90 9,80 14,30 12,40 8,20 13,60 10,10 13,10 9,10 13,10 9,40 13,20 7,90 Nostra elaborazione da Britannica 2011 Book of the year. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 439 438-440 art oasis:Layout 2 25-07-2011 16:06 prossime elezioni le forze politiche più conservatrici, i cosiddetti «partiti dell’ordine» (esercito, partiti islamici), si affermino. Ciò non significa un ritorno allo statu quo ante: la questione delle riforme sociali una volta innescata farà comunque il suo corso e – ha aggiunto Roy – su questo punto i movimenti politici di matrice islamica hanno dato prova di saper prendere il potere ma risposte soddisfacenti. In linea di principio tutti i relatori concordavano sul fatto che la normalizzazione delle formazioni islamiche all’interno di un gioco politico aperto – oggi ancora sulla carta per ciò che concerne ad esempio i Fratelli musulmani in Egitto (A. Elshobaki) – sia inevitabile. Sulla tempistica e quindi su come sarà il prossimo futuro, comunque non esente da conflitti, non c’è stata invece unanimità di pareri, ma – ragionevolmente – si sono espressi molti timori. Le molte laicità Sin qui potrebbe sembrare che la parte da protagonista sia stata lasciata a Egitto e Tunisia, modelli di riferimento anche per le altre rivolte del mondo arabo. Man mano altri relatori e il successivo dibattito hanno invece sottolineato la pluralità di retaggi storici che hanno costruito differenze incomparabili tra paese e paese e che spiegano il perché del diverso evolversi di fatti apparentemente simili. Questo è tanto più vero se si considera il livello di discussione che si è innescato in tutti i paesi sul rapporto tra istituzioni di governo e istanze religiose, sulla cosiddetta «laicità». Si è così configurata una congerie di specificità tra loro non componibili: in Tunisia il termine «laicité» è ancora carico delle ambiguità derivate dal colonialismo francese (Zeghal) che lo stesso partito islamico Al-Nahda non sembra per il momento intenzionato a sciogliere, volendo raccogliere il maggior numero di consensi alle prossime elezioni. Dalla composita esperienza libanese è stato fatto notare come i diversi termini arabi – layykî, ‘almânî, dunyawî, madanî, dahrî –, che traducono altrettanti aspetti della laicità, siano tutti intessuti dai fili di una storia che ha per protagonisti principali i cristiani arabi che lì vivono (D. Avon) e che rivendicano la possibilità di una propria specifica elaborazione (H. Nehmé), al di fuori dell’idea «occidentale» di una laicità appiattita sulla neu- 440 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Pagina 440 tralità. Dalla storia turca è stato infine ricordato (M. Movsesian) che il momento dell’applicazione dell’idea di laicità – «Tanzimat» – ha coinciso con una delle più drammatiche persecuzioni verso la minoranza cristiana degli armeni. Il convegno quindi da un lato ha indicato la necessità di un’autonoma elaborazione del mondo arabo che dia corpo a un’idea di laicità che non sia una mera trasposizione di modelli elaborati altrove e che sappia rispondere in maniera adeguata alle istanze dei diritti individuali – anche religiosi – che sembrano soppiantare quelli «di gruppo», familiare, etnico, nazionale. E dall’altro ha indicato l’interesse verso questo laboratorio come luogo da cui il mondo occidentale, nelle secche di una laicità che lo costringe a continui interventi legislativi per regolare minuzie del comportamento religioso da cui si sente minacciato, ha da imparare e non da temere. «Paradossalmente i fatti nordafricani mostrano (...) che l’accento posto sulla necessità di una nuova laicità o sulla laicità positiva (cui anche Benedetto XVI ha dedicato più di un intervento) non è uno stratagemma verbale escogi- tato da alcuni per evitare di parlare di laicità tout court, ma una necessità imposta dai fatti», ha detto il card. Scola. Di qui emerge un impegno su cui l’Occidente e segnatamente l’Europa – facendo così compiere un ulteriore balzo in avanti all’Unione – dovrebbe investire: farsi garante della possibilità che le comunità civili e religiose del mondo arabo compiano un’autonoma ancorché faticosa elaborazione sui fondamenti del loro futuro, che sempre più è parte del futuro di tutti. Difficilmente ciò avverrà se ci si limiterà a interventi manu militari o a meri sostegni di tipo economico privi di una visione politica complessiva sull’intero bacino del Mediterraneo. Il convegno – e con esso numerose altre iniziative che stanno emergendo in contesti accademici, culturali e religiosi – 3 ha certamente svolto il proprio: tenere doverosamente accesa l’attenzione su tutti i soggetti e su tutti gli aspetti coinvolti, sia dove la primavera araba è sbocciata sia laddove sembra interrotta, come in Palestina, o addirittura gelata da un precoce inverno, come in Siria. 1 Sono intervenuti lunedì 20 giugno: il card. Angelo Scola, «Un progetto stabile di vita buona. L’imprevisto nord-africano e la nuova laicità»; Olivier Roy, «Une génération post-islamiste? Réflexions sur les nouvelles subjectivités religieuses et politiques au Moyen Orient»; Malika Zeghal, «After the Revolutions: Political and Religious Institutions in the Middle East»; Nikolaus Lobkowicz, «The collapse of a system: ’89 as an historic paradigm?»; Hoda Nehmé, «Difficile laïcité dans la société arabe et islamique contemporaine»; mons. Maroun Lahham, «Tunisia tra rivoluzione e migranti»; card. Antonios Naguib, «Relations islamo-chrétiennes en Egypte suite à la Révolution de février»; Amr Elshobaki, «Les Frères Musulmans dans le nouveau Egypte»; Tewfik Aclimandos, «Révolution, coup d’Etat ou reforme? Le rôle de l’armée en Egypte»; Vittorio Emanuele Parsi, «Politiche occidentali e mutamenti mediorientali». Martedì 21 giugno: Madawi al-Rasheed, «Saudi Arabia and the Euphoria of Arab Spring: Religion at the Service of Royal Power»; Dominique Avon, «La laïcité en débat dans le Liban contemporain»; Mark Movsesian, «Ottoman Secularization in the Nineteenth Century: the Tanzimat and Christian Minorities». 2 Il testo prosegue: «Il metodo di comunione con i cristiani orientali ha per contenuto l’interpretazione culturale degli islam. Le religioni, infatti, sono assunte dai soggetti che le praticano dentro una specifica interpretazione culturale. Essa traduce la scelta di fede attuata da ogni credente in concrete implicazioni culturali e sociali. Il lavoro di Oasis pertanto non si concentra su aspetti particolari, seppur fondamentali, quali il dialogo interreligioso, la teologia comparata o alcune questioni di diritto e politica, ma è di carattere sintetico e globale. Tale lavoro può, ed in un certo senso deve, attraversare tutti questi territori, ma il suo intento è misurarsi con l’in- terpretazione culturale degli islam. In questa chiave, Oasis ritiene prioritario il confronto con gli islam di popolo, categoria che, volendo superare la dicotomia islam moderato/islam radicale, punta al confronto con l’esperienza religiosa concreta della maggior parte dei credenti musulmani». 3 A pochi giorni dall’incontro di Oasis, si è tenuto a Tunisi un seminario organizzato dalla cattedra UNESCO di studi comparativi delle religioni dell’Università (presieduta da M. Haddad) e la Konrad Adenauer Stiftung su «Le religioni nelle democrazie» (25-26 giugno). Mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, e il rev. Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, hanno organizzato a Lambeth Palace il 18 e il 19 luglio una conferenza internazionale su «Cristiani in Terra santa». Anche Il Regno avviò una riflessione all’indomani dei tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001 dedicandovi alcuni dei seminari di studio di Camaldoli (AR); da uno di essi nacque anche l’idea del volume di T. PADOA SCHIOPPA, Dodici settembre. Il mondo non è al punto zero, Rizzoli, Milano 2002, sull’auspicabile ruolo politico internazionale dell’Unione Europea. Nei seminari del 2003 e del 2004, poi, fu particolarmente insistita l’idea d’evitare l’identificare cristianesimo e Occidente ma di dare invece spazio «a un governo dei processi di mondializzazione ispirati alla salvaguardia del pluralismo, della libertà e della pace. (…) A fondamento di ciò – si diceva – vi è anzitutto il riconoscimento che il confronto è in primo luogo tra “Occidenti” e “cristianesimi”, cioè tra forme culturali diversificate, non solo storicamente, che tendono a un nuovo universalismo, l’unico in grado di pensare il pluralismo quale unità normativa»: G. BRUNELLI, «Introduzione», in Nel suo Nome. Conflitti, riconoscimento, convivenza delle religioni, EDB, Bologna 2005, 5. Maria Elisabetta Gandolfi 441-443 art sudan:Layout 2 25-07-2011 17:13 Pagina 441 Sud Sudan AFRICA s commettere sull’indipendenza B andiera e inno erano pronti da tempo e in tutto il territorio si sono imbiancate le case e pulite e addobbate le strade per preparare la festa che il 9 luglio ha sancito la nascita del 54o stato africano, il Sud Sudan. Esito naturale del referendum che il 9 gennaio scorso ha detto «sì» in maniera massiccia alla separazione, a sua volta frutto dell’accordo di pace che nel 2005 ha messo fine a un conflitto che da quasi due secoli oppone Sud e Nord del più esteso paese africano, l’independence day del Sud non risolverà automaticamente i conflitti che nel tempo si sono assommati senza aver trovato soluzione (cf. Regno-att. 2,2011,14). Gli scontri tra maggio e giugno al confine Nord-Sud sono un campanello d’allarme molto chiaro. Procedendo dalla zona meridionale a quella settentrionale, ecco l’elenco dei nodi irrisolti che gravano sul futuro dei due Sudan. – Negli stati della provincia dell’Equatoria, al confine con Centrafrica, Congo e Uganda, sono tuttora attivi gruppi armati del Lord Resistance Army, la guerriglia capeggiata da J. Kony e finanziata da Khartoum che dopo aver chiuso il fronte nord-ugandese nel 2009 si è installata in questa sorta di terra di nessuno, compiendo raid contro i civili. – I conflitti interetnici sud-sudanesi tra popolazioni nomadi e gruppi di agricoltori sono non solo strumentalizzati da Khartoum ma anche esacerbati dal fatto che Juba, la capitale del Sud, ha consentito vendite di terreni coltiva- Il 9 luglio è nato il Sud Sudan, 54° stato del continente africano bili a non sudanesi a prezzi convenienti per rimpinguare le esigue casse statali. – Risalendo verso Est, c’è la partita della trattativa con l’Etiopia, ricca d’acqua e di dighe, ma estremamente dipendente dal petrolio sudanese, che costituisce l’85% del suo fabbisogno (cf. il rapporto reso noto dal centro studi Chatman House a firma di H. VERHOEVEN, Black Gold for Blue Gold? Sudan’s Oil, Ethiopia’s Water and Regional Integration, Londra, giugno 2011). Non è improbabile un accordo che scambi oro nero contro oro blu; tuttavia è prima necessario definire lo status del Blue Nile. Petrolio «nelle nuove circostanze» – La titolarità dei territori che contengono giacimenti petroliferi, che si trovano sul confine dei due stati, non è stata ancora definita: è il caso del distretto di Abyei: secondo la ricostruzione effettuata dall’ONG italiana Campagna Sudan, dopo aver lasciato in sospeso il referendum per l’attribuzione del territorio – i dinka, popolazione sedentaria, avrebbe optato per il Sud, mentre i missiria per il Nord – il 21 maggio è scoppiato un conflitto. L’esercito di Khartoum, prendendo a pretesto una scaramuccia con le forze armate del Sud, ha occupato la zona, provocando un centinaio di morti, decine di migliaia di sfollati, razzie e incendi. Il 27 giugno il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato una risoluzione che prevede il dispiegamento di 4.200 caschi blu etiopici. Ma è anche e soprattutto il caso del- l’intero Kordofan meridionale (oltre che del Blue Nile): qui vi sono comunità non arabe e cristiane che, in base agli accordi di pace del 2005, dovrebbero diventare cittadini del Nord pur avendo militato nell’esercito di liberazione del Sud; ma vi sono anche comunità arabe che hanno combattuto per il Nord. Dopo le recenti e contestate elezioni che hanno visto la vittoria a governatore del candidato di Khartoum nonché ricercato – assieme ad Omar al Bashir – dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità compiuti in Darfur, domenica 5 giugno l’esercito ha occupato la capitale Kadugli, spingendo le truppe del Sud a spostarsi ai piedi dei monti Nuba a motivo dello scadere dell’ultimatum stabilito dal Nord per il loro ritiro da quei territori: questione delicata visto che per queste truppe si trattava del suolo natio, mentre gli accordi prendevano tempo con la costituzione di una forza militare «mista» senza definire come si sarebbe poi suddivisa a partire dal 9 luglio. L’attacco ha provocato 10.000 sfollati; testimonianze di operatori umanitari dell’ONU arrivate fortunosamente sulle scrivanie di alcuni quotidiani anglofoni hanno riferito di un vero e proprio assedio contro il campo della Missione ONU di Kadugli, essendo state tagliate la linea elettrica e quella telefonica; di bombardamenti aerei sconfinati fino allo stato di Unity; di uccisioni di civili per sgozzamento: le violenze contro i civili secondo l’ONU sono a opera di entrambe le parti. La chiusura poi delle vie di comunicazione con il Sud, che ha patito scarsità di viveri e di carbu- IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 441 441-443 art sudan:Layout 2 LA 25-07-2011 17:13 PREGHIERA DI MONS. Pagina 442 MAZZOLARI Questa nostra Gerusalemme L e celebrazioni che hanno sancito la nascita del Sud Sudan (9 luglio) si sono tenute in contemporanea in tutti e 10 gli stati che attualmente lo compongono. A Rumbek la cerimonia ufficiale è stata accompagnata anche da una preghiera d’invocazione pronunciata dal vescovo cattolico mons. Cesare Mazzolari. Mons. Mazzolari è morto improvvisamente di infarto il 16 luglio scorso. Questa preghiera ne è in certo modo il testamento spirituale (ndr). Onorevoli responsabili di governo, membri del corpo diplomatico, cari visitatori e tutti voi miei fratelli e sorelle, raccogliamo i cuori in preghiera. Preghiamo. Dio misericordioso, in questo giorno dell’indipendenza della nuova Repubblica del Sud Sudan noi umilmente eleviamo a te la forte supplica del salmo 51, cantata tanto tempo fa dalla guida eletta del tuo popolo, il re Davide. Ascolta con bontà, Signore, le sue e le nostre suppliche: Pietà di noi, Signore, nel tuo amore. Dona segni di guarigione alla nostra nazione perché tu non sei un Dio che gradisce sacrifici ma piuttosto un Dio che chiama noi tuo popolo ad avere un cuore contrito e affranto, che chiama noi tuo popolo ad ascoltare e a obbedire alla tua parola. Dio di misericordia, nella tua bontà rimani con noi e rendici capaci di ricostruire le mura di questa nostra Gerusalemme che è la nostra nuova Repubblica del Sud Sudan. Innanzitutto ti supplichiamo con Davide tuo re e con tutti i martiri, i patrioti e gli eroi sudanesi: Signore, tu non sei un Dio che gradisce sacrifici. Sì, o Signore, abbiamo avuto troppi sacrifici e sangue effuso sulla nostra terra: due milioni di sudanesi uccisi in una guerra durata 22 anni, centinaia e migliaia di eroi, patrioti e martiri il cui sangue oggi eleviamo a te. Dio misericordioso, fa’ che questo sacrificio abbia fine. Tu non vuoi sacrifici, ma nella nostra terra oggi si continua a morire, c’è ancora la fame, ci sono persone senza casa ed enormi atrocità che causano dolore a uomini e donne. Basta con le sofferenze e i sacrifici. Come nell’Antico Testamento tu, nostro Dio, hai visto la sofferenza del tuo popolo e hai avuto pietà di lui, così oggi ancora una volta, abbi pietà del tuo popolo sudanese e poni fine alle nostre sofferenze. E ora, Signore, affidiamo a te i nostri cuori contriti. Ci pentiamo sinceramente d’essere un popolo in conflitto, diviso dall’avidità, dall’egoismo, dalla vendetta e dalla violenza nei confronti del tuo dono della vita. Ti preghiamo, tocca i nostri spiriti con la tua mano divina e compassionevole perché i nostri cuori si trasformino da cuori di pietra in cuori di carne; rendici capaci di perdonare, così come tuo Figlio ci ha perdonati; per poter così diventare un popolo di riconciliazione, perché una nazione divisa non può durare. Riunisci il nostro popolo sudanese in un’unica nazione da ogni lingua, tribù e popolo (cf. Ap 11,9). rante, ha bloccato l’intervento delle agenzie umanitarie in favore dei 70.000 sfollati, ha dichiarato Caritas internationalis. C’è da augurarsi che possa almeno fare da paciere la Cina, che salomonicamente ha dichiarato alla vigilia dell’indipendenza sud-sudanese che in cambio di petrolio fornirà aiuti a en- 442 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Con cuore umile e contrito la nostra nazione oggi s’impegna ad ascoltare e a obbedire alla tua Parola cosicché il governo dei nostri leader, le parole e lo spirito della nostra Costituzione così come la voce della coscienza di ciascun sudanese riconosca, rispetti e adempia la tua divina legge nella nostra nazione. Imprimi nel profondo dei nostri cuori le parole del tuo figlio Gesù poiché noi desideriamo obbedire al suo comando: «Misericordia io voglio» (Mt 12,7) e non vendetta perché «mia sarà la vendetta» (Dt 32,35). «Non rendete male per male…, ma rispondete augurando il bene» (1Pt 3,9). E soprattutto perdonatevi l’un l’altro come lui vi ha perdonati. E così possiamo diventare capaci di conquistare la pace, la libertà, la prosperità per la nostra nazione. E ora Signore, guarda alla nostra promessa. Con gioia ti ringraziamo per questa Giornata dell’indipendenza, per la grazia di una nuova nazione e per questa meravigliosa madrepatria. Uniamo le nostre mani a te, Padre nostro, e l’un l’altro per ricostruire le mura di quella Gerusalemme che è il nostro Sud Sudan. Noi crediamo che «se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori» (Sal 127,1) e pertanto noi auspichiamo di costruire la nostra nuova nazione con la più totale fiducia in te, nostro Dio. Allo stesso tempo siamo consapevoli che tu hai affidato il Sud Sudan al lavoro delle nostre mani. Pertanto, fa’ che amiamo il nostro paese così come lo hanno amato i nostri patrioti che hanno dato la vita per lui. Donaci il coraggio e la saggezza di lavorare onestamente e duramente. Rendici capaci di collaborare con le altre nazioni del mondo in una reale solidarietà per la nostra maggior crescita. Siamo davvero grati per ciò che gli altri popoli e nazioni faranno per noi. Tuttavia radica nel profondo del nostro animo sudanese che ciò che conta davvero per la nascita di una nuova nazione è ciò che noi – ciascun singolo sudanese –, faremo per il nostro paese. Così non dovremo chiedere che cosa gli altri fanno per noi, ma che cosa noi, sudsudanesi, faremo per il Sud Sudan. Così non dovremo dipendere da ciò che gli altri faranno per noi, ma dipenderemo dal duro lavoro delle nostre mani, dei nostri cuori e delle nostre menti per provvedere il necessario alla nostra famiglia e il bene comune della nostra nazione. Così le parole profetiche del salmo 85 si avvereranno anche qui in Sud Sudan: prosperità sarà nella nostra terra. «Giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. Certo il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto» (Sal 85,11-13). La prosperità camminerà davanti al Signore e la buona sorte lo seguirà. trambi gli stati, senza fare differenze tra giacimenti. Secondo il ministro degli esteri cinese che ha accolto a fine giugno Omar al Bashir la Cina intende infatti «consolidare un’amicizia tradizionale nelle nuove circostanze» (corsivo nostro; ndr). – Non è avviata a soluzione la questione del Darfur, dove c’è un accordo Amen. ✠ Cesare Mazzolari tra Khartoum con solo uno dei tre gruppi in armi, il Movimento per la giustizia e la liberazione: il referendum per l’autodeterminazione si terrà un anno dopo la firma di un definitivo accordo di pace, per il momento non alle viste. – Infine il futuro assetto del National Congress Party, il partito al governo guidato da al Bashir, nonché i suoi rap- 441-443 art sudan:Layout 2 25-07-2011 porti con l’esercito: un lato meno noto alle cronache internazionali e tuttavia cruciale per il futuro di entrambi i paesi. Il potere – secondo l’analisi dell’International Crisis Group – è «sempre più centralizzato nelle mani di un piccolo gruppo attorno al presidente Bashir. Tuttavia questa centralizzazione non è pari nelle forze armate», tenute assieme da un sistema di «lealtà personali e di fedeltà tribali», dove hanno facile gioco la corruzione e la nomina dei governatori degli stati ripagate con la fedeltà a Khartoum. Non è detto che questo sistema regga tutte le aree di conflitto e che possa continuare ad attingere al patrimonio simbolico arabo-islamico per mantenere l’unità nazionale. In questo panorama si trovano a operare le Chiese e le ONG a esse legate. 17:13 Pagina 443 Innanzitutto sul versante umanitario, in particolare per la gestione dell’improvviso flusso delle minoranze religiose cristiane che, rifugiatesi a Khartoum durante i lunghi anni della guerra, si sono messe in marcia per ritornare, anche in seguito alle minacce del presidente d’applicare indistintamente la sharia. Ma arrivate al Sud, spesso non trovano né lavoro né cibo né casa. Le Chiese hanno così investito le proprie risorse nell’avvenimento. La Chiesa cattolica ha partecipato alla cerimonia con il nunzio, mons. Leo Boccardi, con il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi, in qualità d’inviato del papa, con i rappresentanti degli episcopati dell’Africa orientale, con il neo-presidente di Caritas internationalis, Michel Roy. Vi era poi il pastore Samuel Kobia in rappresentanza del Consiglio ecumenico delle Chiese, l’organismo che ha accompagnato con il proprio sostegno il lavoro dei due Consigli ecumenici sudanesi (quello del Nord e quello del Sud) e che sin dai primi anni Settanta aveva cercato mediazioni per porre fine al conflitto. Come azioni di preparazione di questa fatidica data, a Juba la diocesi cattolica ha organizzato nei 40 giorni precedenti momenti di preghiera e iniziative di riconciliazione; a livello ecumenico si è tenuto il Reconciliation Day con preghiere e ascolto di testimonianze. Vicino a Rumbek è nato un centro di formazione per insegnanti della scuola primaria, progetto fortemente voluto dal vescovo mons. Cesare Mazzolari (cf. box qui a fianco). La diocesi inoltre ha realizzato un’iniziativa denominata «Ten Steps to Unity in South Sudan» («Dieci passi verso l’unità nel Sud Sudan»): nelle 10 settimane precedenti il 9 luglio un percorso di formazione in altrettante tappe (nell’omelia domenicale dei sacerdoti e con incontri parrocchiali) su temi fondamentali per consolidare la pace, tra cui: riconciliazione, dignità umana, solidarietà, bene comune, diritti e doveri dei cittadini, partecipazione, opzione per i poveri, sviluppo integrale, sussidiarietà, giustizia, pace, riconciliazione e integrità del creato. A Tombura – Yambio si è puntato su conferenze per la riconciliazione in collaborazione con il governo e su corsi d’educazione civica; alla vigilia dell’indipendenza si è tenuta una veglia ecumenica nonché una cerimonia (cf. C. Andreola su www.cittanuova.org) definita «riconciliazione generale», in cui i membri di diversi gruppi etnici e di credo religiosi diversi si sono lavati reciprocamente i piedi. Per tutti si pone la sfida dello sviluppo, che significa strade, scuole, ospedali ma anche il riavvio delle attività economiche e la modernizzazione dell’agricoltura. Come ha detto mons. Eduardo Hiiboro, «se vogliamo costruire il Sud Sudan, la gente deve vedere la differenza tra la guerra e la pace. E pace significa sviluppo»: secondo l’indice di sviluppo umano, infatti, il Sudan è al 154o posto su 169 paesi. Maria Elisabetta Gandolfi IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 443 444 box nomine:Layout 2 S A N TA 26-07-2011 14:53 SEDE - Nomine Pagina 456 I l segno del pontificato D iverse, importanti nomine nelle ultime settimane hanno come approfondito i cambiamenti in atto nella Santa Sede e in alcuni paesi considerati decisivi, come l’Italia e la Germania. Alcune rispondono ai desiderata del segretario di stato, card. Bertone. Altre rispondono ad atti dovuti. Altre ancora recano il segno più diretto di Benedetto XVI. Senza sorprese, il 10 maggio scorso Benedetto XVI accetta le dimissioni presentate per ragioni di età e di salute dal cardinale indiano Ivan Dias da prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda fide). La sua sostituzione avviene attraverso la promozione del sostituto per gli affari generali della Segreteria di stato, mons. Fernando Filoni, in quel ruolo dal 2007. Filoni sale ora al vertice di un dicastero tradizionalmente influente della Santa Sede, cui fanno capo un migliaio di diocesi tra Asia, Africa e America Latina, e dotato di un cospicuo patrimonio di beni immobili e finanziari attraverso i quali sostiene le giovani Chiese. Di recente Propaganda fide è entrata nell’indagine per corruzione promossa dalla Corte dei conti e che ha coinvolto il costruttore Diego Anemone, i vertici del Consiglio superiore dei lavori pubblici e l’allora prefetto della Congregazione card. Crescenzio Sepe, oggi arcivescovo di Napoli. Filoni ha dunque il compito di rimettere ordine e di fare chiarezza, se ce ne fosse bisogno. La svolta a Propaganda fide è completata dalla nomina del nuovo segretario, il cinese Savio Hon Tai-Fai, salesiano, esponente di quella linea intransigente che oggi caratterizza le relazioni tra Vaticano e Pechino (cf. in questo numero a p. 456). A sostituire Filoni, il card. Bertone vuole mons. Giovanni Angelo Becciu, 63 anni, sassarese, in servizio diplomatico dal 1984, già primo nunzio in Angola, ma soprattutto, dal 2009, a Cuba. È qui che cresce la considerazione nei suoi confronti da parte del segretario di stato, che ha potuto sperimentare personalmente le capacità diplomatiche di mons. Becciu e il successo della sua impostazione del rapporto col regime castrista in questi anni di transizione politica. Di tutte, in prospettiva, questa è la nomina più importante. Il nuovo Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione diviene definitivamente operativo con il completamento delle nomine interne. A giugno infatti il papa ha provveduto alla nomina del segretario: mons. José Octavio Ruiz Arenas, arcivescovo emerito di Villavicencio (Colombia), finora vicepresidente della Pontificia commissione per l’America Latina; del sottosegretario: mons. Graham Bell, finora coordinatore di segreteria della Pontificia accademia per la vita; e di tutti i consultori. Il nuovo organismo assume dunque un profilo fortemente internazionale e non legato esclusivamente all’Europa, come in un primo tempo si era detto. Il riordino e la trasparenza della gestione finanziaria, tema particolarmente caro a Benedetto XVI, che ha voluto che la Santa Sede si adeguasse alle norme internazionali in materia di prevenzione e contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario (cf. Regno doc. 3,2011,74) ha comportato la creazione dell’Autorità d’informazione finanziaria (AIF). A presiedere il nuovo organismo il papa ha voluto, il 7 luglio, il card. Attilio Nicora (74 anni), già presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (APSA). Nicora non poteva restare a lungo in entrambe le cariche per l’oggettiva incompatibilità dei due ruoli: quello di controllore e di controllato. A sostituire Nicora all’APSA va, senza sorprese, il genovese mons. Calcagno, già segretario e molto vicino, fin dai tempi del ser- 456 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 vizio negli uffici della CEI, a Bertone. Al posto di Calcagno giunge l’ambrosiano mons. Luigi Mistò, finora direttore dell’Istituto superiore di studi religiosi e della Fondazione ambrosiana Paolo VI, e responsabile del Servizio dell’arcidiocesi di Milano per la promozione del sostegno economico alla Chiesa. Alcuni vaticanisti hanno collegato l’avvicendamento all’APSA alle operazioni in atto da parte della Segreteria di stato per ottenere il controllo dell’Istituto Giuseppe Toniolo, la «cassaforte» dell’Università cattolica del Sacro Cuore, al centro di un confronto teso tra il card. Bertone e l’arcivescovo uscente di Milano, Dionigi Tettamanzi. Un’operazione fortemente voluta da Bertone, ma piuttosto complessa da realizzare per le resistenze ambrosiane e per le stesse regole imposte dallo statuto. Appare pertanto concreta la possibilità che venga costituita una speciale commissione per la revisione e la riformulazione degli statuti del Toniolo e della stessa Università cattolica, operazione finalizzata a portare sotto il diretto controllo vaticano l’ateneo fondato da padre Gemelli. Ma per definire la situazione milanese occorrerà aspettare il parere del nuovo arcivescovo di Milano, il card. Angelo Scola, patriarca di Venezia, nominato il 28 giugno. Una nomina piuttosto faticosa, inusuale (lo spostamento di un patriarca), che ha visto un consenso non unanime in CEI, in Vaticano e a Milano (cosa di cui il cardinale è pienamente consapevole), ma che papa Ratzinger ha voluto personalmente. I rapporti tra Roma e Milano non sono mai stati del tutto collimanti. La diocesi ambrosiana gode di una tradizionale autonomia che la rende di fatto protagonista in Italia e rispetto allo stesso pontificato. Se si guarda alla storia anche recente, dal card. Ferrari a oggi sono stati pochissimi i momenti di totale coincidenza di visione tra la sede ambrosiana e la sede apostolica. Il precedente più significativo è quello della relazione personale tra Paolo VI e il card. Colombo. Ma Paolo VI era stato eletto papa da arcivescovo di Milano. Recentemente, con l’episcopato del card. Martini è parso crescere il protagonismo milanese, fino a essere rappresentato dai media come «alternativo» alla linea di Giovanni Paolo II. Certo una caricatura. Ma non c’è dubbio che Martini e in parte, dopo di lui, lo stesso Tettamanzi, abbiano rappresentato ed espresso una sensibilità ecclesiale diversa. Nella successione a Martini, prima di convergere su Tettamanzi, la Santa Sede aveva preso in considerazione anche l’ipotesi di smembrare la diocesi ambrosiana. La nomina di Scola rappresenta da questo punto di vista un riallineamento tra la figura del nuovo arcivescovo e l’attuale pontificato. Ma non è detto che l’allineamento dottrinale non avvenga difendendo alcune delle tradizionali prerogative della diocesi ambrosiana, anche nei confronti della Segreteria di stato. Espressione della volontà diretta del papa è anche la nomina del nuovo arcivescovo di Berlino, mons. Rainer Maria Woelki. Dopo la lunga malattia del card. Georg Sterzinsky e all’indomani della sua morte (30 giugno) il papa, ascoltando esclusivamente il parere del fidato card. Joachim Meisner, ha nominato mons. Woelki (55 anni), già segretario personale dello stesso Meisner (1990-1997) e sinora vescovo titolare di Scampa e ausiliare di Colonia. La portata di questa nomina non è comparabile alla precedente. Scola rappresenta un interprete autorevole e creativo del pontificato. Woelki, un fedele esecutore. Segnala tuttavia la volontà del papa di riallineare anche la Germania a Roma. Gianfranco Brunelli 445-446 art_ortodossi:Layout 2 25-07-2011 ORTODOSSI I i l pomeriggio del 5 luglio 2011 il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha ricevuto la visita di una delegazione dell’Accademia per gli studi teologici di Volos (Grecia).1 È stata una visita molto solenne. Guidata dal metropolita di Demetriade (Volos), Ignazio, e dal direttore dell’Accademia, Pantelis Kalaitzidis, la delegazione era composta da alcuni autorevoli membri del consiglio direttivo: p. Gregorios Papathomas (Facoltà teologica di Atene; Istituto San Sergio di Parigi; presidente del Foro europeo delle facoltà teologiche ortodosse), p. Demetrios Bathrellos (lecturer, Hellenic Open University; visiting lecturer, Istituto ortodosso di Cambridge), p. Christos Chachamidis (sacerdote della metropoli di Demetriade), sig. Stavros Zoumboulakis (direttore della rivista Nea Hestia e presidente della Fondazione «Artos Zois»). Erano presenti anche numerosi membri dell’équipe scientifica dell’Accademia, tra i quali la teologa Eleni Kasselouri-Hatzivassiliadis, oltre a un membro della segreteria. Il patriarca era accompagnato da membri del santo Sinodo di Costantinopoli, tra i quali il metropolita di Pergamo, I. Zizioulas. Una visita solenne, dunque, alla quale l’Accademia ha voluto dare una pronta e ampia eco.2 Una visita non di routine In effetti, non si è trattato di una visita di routine o di cortesia e neppure solo di un devoto pellegrinaggio alla Grande Chiesa di Costantinopoli, sorgente storica dell’ortodossia: l’Accademia, oggetto di violenti attacchi da parte di alcuni metropoliti greci e continuamente sotto il tiro del fanatismo or- 16:08 Pagina 445 Tra G re c i a e Co s t a n t i n o p o l i l patriarca difende Volos La visita della delegazione dell’Accademia teologica a Bartolomeo todosso greco (stampa, siti web ma anche contestazioni pubbliche del metropolita Ignazio), è andata a Costantinopoli per mostrare con chiarezza la propria autenticità ortodossa e per ricevere un riconoscimento ufficiale della propria attività al servizio dell’ortodossia e della sua missione nel mondo. Lo hanno detto chiaramente tanto il metropolita Ignazio quanto P. Kalaitzidis. Il metropolita nel suo saluto iniziale ha tra l’altro affermato: «La presenza di una delegazione dell’Accademia per gli studi teologici di Volos qui oggi, in questo santo e crocifisso centro dell’ortodossia, è un grande onore e ha un particolare significato, prima di tutto perché non solo la Chiesa di Grecia ma anche l’intera Chiesa ortodossa raccoglie i frutti dell’attività scientifica dell’Accademia, come sua santità ha messo in rilievo nel suo messaggio inviato all’inizio della recente Conferenza internazionale dell’Accademia sui cristiani in Medio Oriente;3 in secondo luogo, perché la nostra Accademia serve il dialogo e la riconciliazione in Cristo, dialogo nel quale il nostro Patriarcato Ecumenico opera come pioniere sotto la guida ispiratrice e carismatica di sua santità». Il nodo è la modernità Ancor più chiaro ed esplicito è stato P. Kalaitzidis nel suo ampio e documentato indirizzo. Egli ha rivendicato il ruolo svolto dall’Accademia per l’intera ortodossia in una sintesi che vale la pena di ricordare in parte: «Ha rimesso al centro della discussione teologica l’identità escatologica della Chiesa; ha cercato, forse per la prima volta nel mondo ortodosso, un dialogo sistematico con la modernità, considerandola non sulla base di criteri protologici ma nella luce di una teologia escatologicamente orientata; la stessa prospettiva teologica ha inoltre ispirato il tentativo di discutere i punti del rinnovamento e della riforma dell’ortodossia; si è impegnata intorno alle questioni di genere e della teologia politica, richiamando la natura profondamente cristologica, non secolare o puramente sociale, di questo impegno; ha anche messo in luce le trappole di un approccio astorico alla Tradizione e ai padri e ha posto la questione della loro lettura contestuale; ha cercato di formulare una critica sistematica sia del nazionalismo ecclesiastico che del fondamentalismo religioso, illuminandone teologicamente le vie senza uscita; ha intrapreso un confronto critico con la generazione teologica degli anni Sessanta, che è stata così importante in ambiente greco; ha mostrato la via sbarrata dell’antioccidentalismo e si è avventurata in un approccio nuovo e sobrio al rapporto tra ortodossia e illuminismo; ha iniziato un dialogo con l’islam, così come con le altre tradizioni cristiane, diventando in tal modo un obiettivo frequente dei gruppi zeloti e fondamentalisti estremisti di Grecia, che rifiutano il dialogo con il mondo contemporaneo e che vedono solo un’ortodossia introversa, assediata e continuamente sulla difensiva, una visione che non trova nessuna base nei testi dell’ortodossia, nella Tradizione o nella pratica delle Chiese ortodosse in tutto il mondo. Riflettendo l’apertura che è sua propria, santità, l’Accademia di Volos ha cercato ed è riuscita a cooperare con decine d’istituzioni dentro e fuori di Grecia, e invero dall’anno accademico 2009-2010 ha organizzato anche conferenze ed eventi fuori dell’ambito greco (Francia, Romania, Bulgaria ecc.), atte- IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 445 445-446 art_ortodossi:Layout 2 25-07-2011 stando così la vitalità e il rinnovato dinamismo della teologia di lingua greca». La conclusione dell’indirizzo poi è particolarmente significativa: «Ci rallegriamo e ci sentiamo particolarmente onorati e benedetti, santità, poiché l’accoglienza odierna dell’Accademia presso il Patriarcato Ecumenico, al Fanar, dimostra che ella apprezza la sua opera e il suo contributo, e che avverte il bisogno di una teologia radicata nella tradizione e insieme capace di ringiovanirsi e di aprirsi alle sfide dei tempi». Il sostegno di Bar tolomeo Le parole del patriarca non solo non hanno smentito questa interpretazione della visita; l’hanno confermata ampiamente e in modo molto chiaro, quasi a voler fugare ogni dubbio. Nella sua risposta infatti il patriarca ha detto tra l’altro: «Ho seguito con grande interesse, attenzione ed emozione gli indirizzi di saluto del metropolita di Demetriade e del sig. Kalaitzidis e sono grato per il loro contenuto, per i messaggi e la speranza che offrono per il futuro. Sono grato anche per la visita di tutti coloro che formano il consiglio direttivo, i membri, i ricercatori dell’Accademia per gli studi teologici di Volos che, come avete del tutto correttamente affermato, il nostro Patriarcato Ecumenico e io personalmente circondiamo di amore, fiducia e buone speranze. Voi incarnate e rappresentate un’istituzione originata dall’amore che il nostro fratello, il metropolita di Demetriade, ha per la Chiesa e la sua teologia e che congiunge ottimamente la vita della Chiesa con la sua teologia. La prova del successo e della fruttuosità di ciò sta nelle attività dell’Accademia fino a oggi, come i vari convegni, le pubblicazioni, l’autentico pensiero teologico ortodosso, le prospettive che avete aperto: tutto ciò costituisce motivo di conforto e di consolazione per la nostra Chiesa e teologia. Noi sappiamo che siete attaccati da alcune parti e da alcuni organi per quel che fate – per la vostra apertura – e che tuttavia voi continuate senza abbattervi, con umiltà. E questo ancor più vi valorizza. Il Patriarcato Ecumenico ha collaborato e collabora con l’Accademia di Volos per tutti questi anni, sia attraverso la partecipazione di rappresentanti – il più significativo, il metropolita di Pergamo – alle attività dell’Accademia o inviando messaggi patriarcali o attraverso una buona parola che il patriarca ecumenico ha sempre da dire sull’Accademia di Volos e la sua opera quando si dà l’opportunità. 446 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 16:08 Pagina 446 L’opera dell’Accademia non è solo teologica ma anche ecclesiastica, poiché contribuisce al riavvicinamento e alla cooperazione delle Chiese ortodosse locali attraverso i loro membri che partecipano ai lavori dell’Accademia e così possono conoscersi meglio reciprocamente, respirare la stessa aria, lavorare insieme, pensare insieme, e questo lavoro dell’Accademia, dal nostro punto di vista, è un contributo all’avanzamento dell’unità e alla cooperazione panortodosse. Per tutte queste ragioni, riaffermo l’espressione del compiacimento e della fiducia patriarcali con cui circondiamo le vostre persone, l’Accademia di Volos come istituzione, ed esprimiamo a nome della Chiesa madre la nostra disponibilità e il nostro desiderio che continui la nostra collaborazione per il bene della teologia e della Chiesa». Il Patriarca poi ha formalmente ringraziato l’Accademia per aver organizzato la Conferenza sui cristiani nel Medio Oriente, auspicando una futura collaborazione tra la Scuola teologica di Chalki (della quale spera prossima l’apertura) e l’Accademia. Ha poi colto l’occasione per rivendicare con grande lucidità il ruolo della sede ecumenica nel contesto delle Chiese ortodosse e per rendere omaggio al metropolita di Pergamo, I. Zizioulas, ringraziando l’Accademia di aver pensato a organizzare per l’ottobre prossimo un convegno internazionale sulla sua teologia. La chiamata storica dell’or todossia L’ultimo a parlare in questa occasione è stato proprio il metropolita di Pergamo con alcune considerazioni di grande rilievo: egli infatti ha collocato tutto nell’orizzonte della chiamata storica dell’ortodossia, una chiamata che esige anche una sua rinnovata capacità teologica. «Voglio ricordare le parole di S. Runciman, che ha detto che il XXI secolo sarà il secolo dell’ortodossia. Temo tuttavia che ciò non avverrà se l’ortodossia non si apre e non si impegna nel dialogo con il mondo. E sfortunatamente ci sono nell’ortodossia tendenze all’introversione che impediscono questo dialogo. Perciò è molto importante che la Chiesa e la teologia abbiano cominciato un dialogo serio con il mondo contemporaneo in una metropoli della Chiesa di Grecia – una delle più eminenti e delle più capaci di sostenere tali iniziative – grazie a un vescovo con la mente aperta e con il cuore aperto, che pensa all’ortodossia come Chiesa cat- tolica e non come una confessione, come l’hanno ridotta alcuni circoli. Considero questo, santità, un evento storico. E sicuramente la storia ecclesiastica lo registrerà come tale. L’opera dell’Accademia di Volos può essere combattuta, proprio come molte delle opere che portano frutto sono combattute, ma sopravviverà. Forse sarà la sola che sopravviverà. Ed è perciò che è così importante – direi addirittura che non potrebbe essere diversamente – che tutto questo sforzo si volga con amore verso il Patriarcato Ecumenico, che è l’espressione dell’universalità, l’espressione della cattolicità. Il Patriarcato Ecumenico vive con il dialogo perché questa è la sua natura e conseguentemente il Patriarcato Ecuemenico e l’Accademia di Volos condividono il terreno comune dell’universalità, della cattolicità e di un’ortodossia in dialogo. Ed io credo che Dio benedirà e rafforzerà questi sforzi perchè possano portare frutto». Se l’Accademia di Volos cercava un’investitura ufficiale del proprio (prezioso) lavoro l’ha certamente ricevuta: il Patriarcato accetta di tutelarla spiritualmente e teologicamente. Sicuramente è una grande consolazione per il metropolita Ignazio, che molto ha sofferto per il suo impegno nell’Accademia, così come per tutti i valentissimi suoi collaboratori a cominciare da P. Kalaitzidis. È anche un segno positivo per tutti coloro che sperano in un’ortodossia più capace d’attingere alle proprie radici di ecumenicità e apertura. Tuttavia, questa visita al Fanar e la conseguente investitura patriarcale dell’Accademia difficilmente attenuerà i toni della polemica, probabilmente li alzerà e forse li radicalizzerà, investendo direttamente lo stesso Patriarcato. Da tal punto di vista, il convegno di ottobre sulla teologia di Zizioulas potrebbe diventare un’occasione di scontro pubblico, che non farebbe bene alla Chiesa greca. Si può solo sperare che la saggezza e la misura, parte non disprezzabile del patrimonio culturale greco, prevalgano. Basilio Petrà 1 Per ulteriori informazioni sull’Accademia si veda quanto da me scritto in «Teologia ortodossa Nuove vie. Oltre la neopatristica» in Regno-att. 16,2010,508-511. 2 Utilizziamo prevalentemente il testo greco, mettendo subito a disposizione sul sito web www.acadimia.gr i testi di tutti i discorsi ufficiali pronunciati nell’occasione, tanto in greco quanto in inglese, inviandoli al contempo a tutti gli intestatari della mailing list. 3 La conferenza si è tenuta a Volos dal 19 al 23 giugno2011 per iniziativa del Consiglio ecumenico delle Chiese e dell’Accademia di Volos. 447 info kirch-ginevra:Layout 2 25-07-2011 16:09 Pagina 447 Chiese cristiane Missione Un codice di condotta T estimonianza cristiana in un mondo multi-religioso. Raccomandazioni di condotta: sono le linee guida per il comportamento che le Chiese cristiane devono tenere nel professare e testimoniare la loro fede in un contesto dove convivono altre religioni, coerentemente con i principi del Vangelo, il pieno rispetto e l’amore per tutti gli esseri umani, e sono state presentate il 28 giugno a Ginevra dai rappresentanti del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, card. Jean-Louis Tauran, del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), Olav Fykse Tveit, e dell’Alleanza evangelicale mondiale (AEM) Geoff Tunnicliffe. Consapevoli delle tensioni che spesso insorgono tra individui e tra comunità a causa delle diverse convinzioni religiose, da un lato, e dall’altro consci delle differenti concezioni che contraddistinguono le tradizioni cristiane riguardo alla testimonianza e alla missione, i tre soggetti – su iniziativa del CEC e del dicastero vaticano, e gli evangelicali su invito del CEC – hanno lavorato per 5 anni per raggiungere un accordo su alcune questioni pratiche connesse alla missione in un mondo multi-religioso. Germania Kirchentag Il fatto è molto significativo se si considerano i promotori: si tratta infatti della maggiore «unione fraterna» di Chiese cristiane protestanti e ortodosse (il CEC), di un dicastero della Chiesa di Roma (il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso) e dell’associazione che rappresenta il ramo cristiano maggiormente diffuso nel Sud del mondo e in forte crescita, quello evangelicale (l’AEM). Complessivamente è dunque rappresentato il 90% dei cristiani nel mondo. È noto che in alcuni paesi il proselitismo aggressivo di taluni gruppi evangelicali è preso a pretesto per emanare leggi restrittive della libertà religiosa, o talvolta per vere e proprie ritorsioni e atti di violenza nei confronti dei cristiani. Il testo, sintetico, delinea 12 principi e 6 raccomandazioni. Tra i primi, il rifiuto di ogni forma di violenza, anche psicologica o sociale, e di ogni abuso di potere nella testimonianza; la libertà di professare pubblicamente, praticare, predicare o cambiare la propria religione; il rispetto per le altre religioni e per la libertà di coscienza; l’impegno a coltivare relazioni di rispetto e fiducia con le persone di altre religioni. Le raccomandazioni puntano a garantire a livello locale un percorso – possibilmente ecumenico – di recezione dei principi concordati, a permettere ai cristiani di fare azione comune sui governi per il rispetto della libertà religiosa, e inoltre a favorire un’opera di pressione congiunta, insieme alle altre comunità religiose, per la giustizia e una comune solidarietà con quanti si trovano in situazioni di conflitto. D. S. Card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso; Olav Fykse Tveit, segretario generale del CEC; Geoff Tunnicliffe, segretario generale dell'Alleanza evangelicale mondiale (foto WCC/Peter Williams). Il cuore cristiano L a 33a edizione del Kirchentag evangelico, il meeting organizzato ogni due anni dalle Chiese protestanti tedesche con numerosi eventi d’interesse religioso e culturale, si svolge dal 1° al 5 giugno a Dresda, per la prima volta dopo la riunificazione in una città dell’ex Repubblica democratica tedesca e con una partecipazione particolarmente alta: 120.000 persone. Il tema, «… là sarà anche il tuo cuore», viene coniugato in chiave politica da Angela Merkel con una relazione su «Verso un nuovo ordine mondiale?» e dal presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek; in chiave ecumenica dai presidenti dei vescovi delle tre principali confessioni cristiane Nikolaus Schneider (evangelico), Robert Zollitsch (cattolico) e Augoustinos (ortodosso), e dal segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese Olav Tveit. All’interno della declinazione su tre ambiti (fede, società, mondo) trova spazio la riflessione sui rapporti interreligiosi con l’islam, sui problemi dell’immigrazione, sulla crisi economica, la «primavera araba», i cristiani in Medio Oriente, l’ambiente. La presidente del Kirchentag Katrin GöringEckardt, che è anche deputata dei Verdi, vicepresidente del Parlamento e presidente del Sinodo della Chiesa evangelica tedesca, ha descritto questa edizione come «un Kirchentag in cui si è scoperta una nuova cultura di partecipazione democratica», e nel suo discorso finale fa appello ai cristiani a non contrapporre la dimensione politica e quella spirituale del cristianesimo, a non lasciarsi convincere di dover scegliere se diventare «più politici o più devoti»: «Siamo entrambi, e dobbiamo rimanerlo». Come messaggio del Kirchentag, la Göring-Eckardt individua un invito alla com-passione «per il creato, perché non sopporta tutto», per gli stranieri e i richiedenti asilo, i credenti di altre religioni, ma anche per noi stessi: «date spazio a Dio nel vostro cuore». Un culto ecumenico sulle rive dell’Elba ha concluso l’evento. La prossima edizione si terrà dal 1° al 5 maggio 2013 ad Amburgo. D. S. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 447 448 info francia_culto:Layout 2 25-07-2011 16:10 Pagina 448 Francia - Islam Consiglio del culto: è crisi J ean-Pierre Chevènement l’aveva sognato; Nicolas Sarkozy si è vantato d’averlo realizzato. Ma oggi la macchina si è inceppata» (www.leparisien.fr 5.6.2011). La macchina di cui si parla è il Consiglio francese del culto musulmano (CFCM), organismo voluto da Chevènement all’epoca in cui era ministro dell’Interno del governo Jospin. A mettere in pratica la sua idea di creare un’organizzazione rappresentativa di tutti i fedeli musulmani in Francia, che fosse interlocutore unico dello stato per le questioni riguardanti l’islam, è stato però il suo successore, Sarkozy, nel 2003. Il CFCM, che riunisce 25 Consigli regionali del culto musulmano (CRCM) sparsi sul territorio francese, risponde – secondo il sito ufficiale – al «bisogno prioritario di dialogo tra i fedeli musulmani e il potere pubblico (…) per difendere la dignità e gli interessi della fede musulmana in Francia. Esso ha anche lo scopo di facilitare il dialogo interno tra le diverse scuole di pensiero musulmano» (www.lecfcm.fr). Una crisi senza precedenti Dopo otto anni di vita, il CFCM – e con esso l’idea di «promuovere» un «islam di Francia» accordato sui valori della République – attraversa un momento critico. La crisi si è palesata nel giugno scorso in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio d’amministrazione (5.6.2011) e del presidente (19.6.2011), che hanno confermato Mohamed Moussaoui – presidente uscente e candidato dell’Assemblea dei musulmani di Francia (RFM) – alla guida del CFCM per un altro triennio. Moussaoui era però l’unico candidato alla sua successione, dopo che alcune delle federazioni musulmane tra le più importanti – come la Federazione nazionale della Grande moschea di Parigi (GMP), e l’Unione delle organizzazioni islamiche francesi (UOIF) – hanno scelto di boicottare le elezioni, determinando una spaccatura interna al CFCM e una seria «crisi di credibilità» della stessa istitu- 448 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 zione (oggi dominata di fatto da una sola delle grandi federazioni, la RFM). I motivi dichiarati del boicottaggio sono stati due. Il primo, è il criterio di scelta del numero dei rappresentanti per federazione, ancora legato alla superficie fisica dei luoghi di culto. Un fattore, questo, che non tiene conto «della frequenza dei fedeli e del radicamento territoriale di ciascun luogo di culto, legato alle sue attività caritative e di formazione» (La Croix 31.5.2011). Sono state le grandi moschee a non sentirsi adeguatamente rappresentate sulla base dell’attuale sistema elettorale (definito «iniquo, ingiusto e non rappresentativo»; www.leparisien.fr 5.6.2011), e ad aver domandato, invano, una sua riforma dopo le elezioni del 2008. Il secondo motivo riguarda il «magro bilancio» dell’attività svolta finora dal CFCM. La formazione degli imam, il finanziamento per la costruzione delle moschee, la carta nazionale per la certificazione halal, sono alcuni tra gli obiettivi ritenuti fondamentali, ma ancora piuttosto lontani da una definizione accettabile e condivisa in seno al Consiglio. Vi è però una terza ragione, «meno esplicitata», dietro il boicottaggio, che spiega in parte anche le difficoltà di consenso interne al CFCM: le pressioni dei paesi di provenienza. La Croix scriveva, prima del loro svolgimento, che le elezioni non sarebbero state libere per via di «un clima di forte pressione esercitato dai governi di Rabat e Algeri» (30.5.2011). Marocco e Algeria, infatti, sono interessate a influenzare, attraverso le federazioni islamiche a loro vicine (rispettivamente la GMP all’Algeria e la RMF al Marocco), lo sviluppo dell’«islam di Francia». «Questi paesi – riportava ancora La Croix – sanno che la definizione di un islam di Francia avrà delle ripercussioni anche da loro; è dunque nel loro interesse vigilare sulla forma che esso prenderà». La formazione diser tata Un altro colpo all’«islam di Francia» è venuto, nei giorni delle elezioni, da un articolo apparso su Le Monde. Il diploma universitario di «Formazione alla laicità e ai valori della Repubblica», iniziativa rivolta alle associazioni islamiche (agli imam e ai responsabili delle cappellanie in particolare), presentata finora come simbolo dell’integrazione dell’islam in Francia, mostra chiari segni di difficoltà. Una ventina di iscritti l’anno scorso, di cui solo sei giunti alla fine del percorso. Una manciata di iscrizioni per il prossimo anno. Difficoltà per il livello dei corsi e per la conoscenza della lingua francese. «La formazione è in crisi», ammette Olivier Bobineau, sociologo delle religioni e docente nei corsi che sono organizzati dal Ministero dell’interno. «Gli studenti non vengono più, perché hanno capito che questa formazione non ha alcuno sbocco. Quello che essi vogliono è un lavoro!» (Le Monde 19-20.6.2011). I corsi sono gratuiti, ma si tengono la sera e nei fine settimana; essi richiedono «un forte investimento personale di cui non si vedono i frutti», a giudizio degli studenti. «Per rilanciare la formazione – continua Bobineau – sarebbe necessario assegnare dei posti alla fine. Gli sbocchi, infatti, esistono nelle cappellanie ospedaliere, militari e carcerarie o sul terreno della mediazione interculturale». In effetti, il rafforzamento delle cappellanie musulmane in ospedale e nelle carceri è «ufficialmente all’ordine del giorno del governo», ma esso si scontra coi problemi economici dello stato, cui spetta finanziare le cappellanie, e con «la difficoltà di ridistribuire i posti esistenti secondo i culti in funzione della realtà dei nuovi bisogni» (Le Monde 1920.6.2011). I motivi politici Esistono però altri motivi, di natura più politica, che spiegano il disinteresse verso la formazione. Il primo, è il recente dibattito sull’islam e la laicità (cf. Regnoatt. 8,2011,239), «che ha fatto del male alla gente e scoraggiato gli studenti», secondo i partecipanti al corso. Lo stesso Bobineau ritiene che l’iniziativa sia stata una sorta di boomerang: «Additare pubblicamente i musulmani chiedendo loro di formarsi ai valori repubblicani non ha certo aggiustato le cose». I corsi, inoltre, hanno il doppio handicap – agli occhi delle federazioni musulmane – di essere organizzati dal Ministero dell’interno e di svolgersi all’Institut catholique, tanto da far cadere sui partecipanti il sospetto «di essere “manipolati” o recuperati come i “buoni musulmani” della Repubblica» (Le Monde 1920.6.2011). La crisi interna al CFCM, lo scacco che ancora insiste sulla questione del finanziamento dei luoghi di culto e le difficoltà emerse nel cantiere della formazione alla laicità, non offrono certo un quadro incoraggiante al governo. Ma questa crisi evidenzia anche le difficoltà interne al mondo islamico di Francia, nel quale le federazioni sembrano mostrare una cronica incapacità di mettere in campo azioni d’interesse generale, privilegiando gli interessi di parte. M. B. 449-451 art dibattito:Layout 2 DIALOGO 25-07-2011 INTERRELIGIOSO È t sentire comune che la pluralità delle religioni si presenti, per la Chiesa, come un problema tanto ineludibile quanto arduo da declinare. Al riguardo il card. Etchegaray, dopo aver richiamato alla memoria il fatto che il cantiere teologico delle religioni è appena aperto, considera questo problema una sfida, probabilmente, più grande di quella che proviene dall’ateismo (cf. Regno-att. 10,2011,347). I diversi modi di concepire i legami umani con Dio (o, più genericamente, con la sfera del divino o del sacro) rappresenterebbero, perciò, un nodo più difficile da sciogliere di quello del puro rifiuto. L’ateismo è un caso più facile In termini più astratti, è dato di affermare che il pluralismo inquieta maggiormente della negazione. Quest’ultima si presenta, infatti, come relativa. Il confronto, dunque, vi è inscritto in modo costitutivo. L’ateo, per negare, deve rapportarsi sia, in senso lato, con l’ipotesi dell’esistenza di un Principio primo, sia, in senso più specifico, con l’idea del Dio uno e trino della tradizione cristiana. Da qui il pungolo avvertito dai credenti nel chiedersi se l’ateismo, almeno in parte, non derivi dal loro aver trasmesso immagini inadeguate di Dio. L’ateismo, per più versi, si presenta perciò come una negazione di visioni teologiche inadeguate le quali, dunque, hanno bisogno, a propria volta, di venir purificate dalle proprie distorsioni. 16:10 Pagina 449 Dibattito eologia cristiana delle religioni Come pensare alla pluralità partendo dall’unità Ovviamente diverso è il caso di religioni che sussistono in modo prevalentemente autonomo rispetto al cristianesimo. In questo caso la loro nascita non si presenta come una negazione relativa. Nessuna di esse si definisce attraverso un alfa privativo. In questo secondo caso, però, il pluralismo diviene un problema di ardua soluzione solo là dove è posto in correlazione con un polo che si prospetta come unico. In altri termini, la questione insorge in maniera prepotente quando de facto ci sono i molti, mentre in linea di principio si dovrebbe dare una reductio ad unum. Da sempre il riferimento alle lingue è stato colto come un buon terreno esemplificativo del problema multireligioso. Un conto è, infatti, affermare il mito di una primigenia e unitaria lingua perduta che tutti accomunava, tutt’altro è, invece, sostenere l’esistenza di un sottofondo comune che non si identifica con nessuna lingua parlata, pur essendo base indispensabile perché si dia una traducibilità reciproca. Per quanto esistano le lingue madri, una persona può apprenderne altre. Ciò facendo è in grado di porsi come mediatore culturale tra diversi universi linguistici. Molti – e in prima fila tra essi Jan Assmann (cf. Regno-att. 12,2011,410) – hanno sostenuto che le religioni cosmoteistiche sono paragonabili a lingue reciprocamente traducibili. Al riguardo si potrebbe pensare a quanto affermato da Simmaco in polemica con Ambrogio: Dio (nel paragone, la struttura linguistica che ci accomuna e che nessuno parla) è un mistero troppo grande per essere raggiunto per una sola via1 (è necessario che esistano molte lingue parlate). Di contro, per Assmann, il monoteismo costituirebbe un ostacolo insormontabile alla traducibilità. Per le religioni monoteistiche il pluralismo costituirebbe, quindi, una sfida superabile solo in virtù di una violenta reductio ad unum. Quanto di vero e di santo vi è Si può sostenere che, anche quando i monoteisti sono disposti ad accettare la pluralità religiosa, ciò avvenga solo per tentare di giustificare un dato di fatto che si cerca di tenere sotto controllo attraverso una traducibilità parziale e gerarchizzata. Per continuare a proporre l’immagine delle lingue, è come se ogni religione monoteistica provasse un cocente rammarico nel prendere atto che non tutti parlano l’unitaria lingua delle origini. Ciò le induce a presentarsi come le sole fedeli custodi di quell’unità perduta. Nella forma più esclusivista (o, in subordine, inclusivista) l’analogia sostiene che è come se i fedeli proseguissero effettivamente a parlare la lingua primigenia mentre, nelle forme meno rigide, ci si sforza di porre in luce le non poche affinità esistenti tra la lingua parlata dai credenti nel Dio unico e le altre. Una posizione consona a quest’ultimo paragone la si trova nel n. 2 della dichiarazione Nostra aetate del Vaticano II, là dove si afferma, in primo luogo, che la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto di vero e di santo vi è nelle altre religioni (dunque in esse vi è qualcosa che può essere qualificato in termini alti e positivi), IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 449 449-451 art dibattito:Layout 2 25-07-2011 16:10 Pagina 450 Custodia di Torah in legno scolpito laccato e dorato del XVII secolo (Venezia, Museo di arte ebraica). mentre, in secondo luogo, si dichiara di guardare con rispetto anche alle dottrine e ai precetti che, per quanto differiscano dai propri, non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini. Infine la Nostra aetate proclama che la Chiesa è «però» tenuta ad annunciare in modo incessante Cristo che è «“la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e nel quale Dio ha riconciliato a sé tutte le cose (cf. 2Cor 5,18-19)» (EV 1/857). Il non felice aggettivo «religioso» usato dal Concilio introduce, di fatto, un confronto gerarchico tra le forme di fede e di vita presenti nella Chiesa e quelle proprie di altre comunità religiose. Qui, implicitamente, il cristianesimo è presentato come una religione tra religioni. D’altra parte, se si prendono le mosse dall’unità, è un problema di grande difficoltà intellettuale pensare a pluralità traducibili anche se reciprocamente irriducibili. Per quanto non risolutivo, è opportuno, quindi, esaminare come, a partire da una forte ed esplicita rivendicazione di unità, in certi strati della Bibbia ebraica si siano legittimate alcune forme di alterità e di pluralità religiose. Si tratta, è ovvio, di un approccio né simmetrico, né dialogico. Esso è infatti imperniato sulla convinzione che, espressa in modo semplice, può ricondurci a questi parametri: il Dio unico è Dio anche degli «altri». Il Dio unico e di tut ti Il Deuteronomio è il libro della Torah (Pentateuco) più radicale nel prospettare, oltre all’unicità del Signore (cf. Dt 6,4), anche quella del popolo d’Israele, della sua terra e del suo luogo di culto (cf. la riforma di re Giosia in 2Re 23). Nessun altro testo esalta tanto l’unicità. Questo radicale primato dell’«uno» – vale a dire una concezione assoluta di Dio che non può essere messa in discussione – è corredato da una serie di ricadute, almeno 450 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 simbolicamente, violente. Come nel tempio non ci deve essere spazio per altre divinità, così sulla terra di Canaan non possono sussistere i popoli che incarnano l’idolatria (cf. i sette popoli votati allo sterminio in Dt 7,1-6). Questo accento posto sull’uno trae con sé alcune conseguenze non prive di risvolti paradossali, sia pure tra loro di segno antitetico. Il primo è il rischio di introdurre una dinamica di frattura interna al popolo stesso. L’estremizzazione dell’unità porta con sé l’insorgere di una divisione interna al popolo tra i fedeli e gli «empi». Questa diversità è contrastata al punto da riservare alle città ebraiche prede dell’idolatria lo stesso trattamento a cui sono soggetti i sette popoli (cf. Dt 13,719). Secoli dopo, l’esasperazione dell’unità dottrinale avrebbe, del resto, avuto come sua ombra cupa la sedicente necessità di lottare contro le eresie. In ogni caso si è dominati dalla volontà di estirpare il male (identificato con il malvagio) che si trova in mezzo a sé (cf. Dt 13,6; 1Cor 5,13). Accanto a questo lato drammatico, non bisogna dimenticare che nel Deuteronomio vi è anche un aspetto di altro segno legato all’unità. Esso è volto a instaurare una dualità (se non proprio una pluralità). Il fatto che il Dio d’Israele sia unico induce strutturalmente a pensarlo anche come Dio di tutti gli altri popoli. Questi ultimi possono non saper nulla dell’unico Dio d’Israele, tuttavia non vale il contrario. Il discorso, però, non si limita a riferirsi a un Dio che, proprio perché unico, deve preoccuparsi di tutte le sue creature. Altrettanto basilare è affermare che l’unicità del popolo ebraico è relativa e non già assoluta. Essa, cioè, avviene per differenza. Quello ebraico non è il solo popolo, ma è il popolo unico in quanto diverso dagli altri. Non ci si può quindi sottrarre all’obbligo del confronto inscritto in ogni pluralità. In quest’ultimo contesto la proibizione dell’idolatria diviene uno specifico dell’unicità relativa a Israele. Anzi, questo divieto sembra orientato a stabilire per gli ebrei una particolare forma di «alienazione» dal cosmo che tutti ci accomuna. Il Signore all’Oreb (il modo in cui nel Deuteronomio si chiama il Sinai) si rivelò con la voce senza che ci fosse alcuna figura. Egli annunciò la sua alleanza e comandò di osservare i suoi comandamenti. La proibizione dell’idolatria deriva appunto dalla condanna di ogni tentativo di raffigurare il Dio che si è rivelato soltanto con la voce (cf. Dt 4,12). Ciò è proprio solo d’Israele; il Signore, infatti, ha concesso che altri popoli colgano nella visibilità del cosmo un’immagine adeguata del divino: «Quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l’esercito del cielo, tu non lasciarti indurre a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che il Signore, tuo Dio, ha dato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli» (Dt 4,19). Il Signore, invece, attraverso l’esodo dall’Egitto – si aggiunge subito dopo – ha costituito Israele come suo popolo particolare (segullah). La proibizione dell’idolatria è propria di chi è già nell’alleanza, vale a dire di colui che è soggetto alla tentazione di trasformare il proprio Dio in idolo (non già di rendere dèi i propri idoli). Per gli altri popoli le cose stanno diversamente; è il Signore stesso che ha prospettato per loro altre vie. In questo passo del Deuteronomio non è detto che gli idoli delle genti sono «argento e oro, opera delle mani dell’uomo» (cf. Sal 135,15), si afferma piuttosto che il cosmo parla di Dio là dove il Signore invisibile non ha fatto udire la propria voce (un pensiero che, in modo più complesso e drammatico, è in qualche modo presente anche nella Lettera ai Romani 1,20). Qualche risonanza di questa impostazione, sia pure in tono più polemico, si sarebbe conservata anche all’interno della successiva letteratura rabbinica. In un passo del trattato talmudico dedicato al «culto estraneo» (b. Avodah Zarah 54b), per esempio, si 449-451 art dibattito:Layout 2 25-07-2011 prendono le mosse da una supposta obiezione di alcuni filosofi relativa al perché il Dio d’Israele non distrugga l’idolatria e si risponde che non lo fa perché compiere un simile atto comporterebbe distruggere il mondo creato; starà, poi, agli idolatri rendere conto dell’uso improprio da loro compiuto degli elementi naturali. Pluralità per differenza L’aspetto più significativo di questo argomentare sta nel fatto che la pluralità si crea, per differenza, all’interno di un orizzonte che presenta se stesso come unico e definitivo. In quest’ambito è esclusa ogni bilateralità paritetica; tuttavia è ugualmente dato di compiere operazioni che legittimano, parzialmente, la differenza degli «altri». Ciò avviene nel momento in cui all’unicità assoluta e definitiva di Dio corrisponde quella relativa al popolo a cui è comandato di proclamare (perché prima ha ascoltato; cf. Dt 6,4) che il Signore è uno. In conclusione, il Dio d’Israele è il Dio di tutti senza che tutti siano chiamati a diventare Israele. Le considerazioni fin qui svolte possono fornire un contributo non irrilevante alla visione cristiana del pluralismo religioso. Se vuole essere fedele a se stessa, la fede cristiana è obbligata a pensare in modo definitivo la persona e l’opera di Gesù Cristo. La via da percorrere non è tanto attenuare o relativizzare questa convinzione, quanto comprendere che quell’unicità sia a un tempo assoluta in Gesù Cristo e relativa poiché connessa, in modo costitutivo, all’esistenza del popolo d’Israele e alle promesse e rivelazioni a lui date. Ciò non significa affatto sostenere, come a volte si è detto, che il rapporto tra Chiesa e Israele, la cui elezione non è mai stata revocata (cf. Rm 11,29), formi il paradigma delle relazioni tra la Chiesa e le religioni mondiali. Anzi è vero proprio il contrario. L’affermazione secondo cui «partendo dall’irriducibilità d’Israele, cioè dalla sua elezione gratuita da parte di Dio, si può cercare di pensare l’irriducibilità delle grandi religioni mondiali»2 16:10 Pagina 451 è infatti giusta solo nella misura in cui il rapporto tra Chiesa e Israele si pone in modo del tutto diverso da quello che sussiste tra essa e le altre religioni del mondo (cf. Regno-att 4,2011,126).3 L’atto di dichiarare permanente l’elezione d’Israele comporta la duratura validità della distinzione teologica tra la «stirpe di Abramo» (cf. Nostra aetate, n. 4) e gli altri popoli. Vale a dire, qui si è di fronte a una forma di pluralità – quella che sussiste tra Israele e genti – non annullata dalla Chiesa, la La seconda Parusia, Musée Condé, Chantilly. quale, proprio in quanto testimone dell’unicità dell’opera di salvezza in Gesù Cristo, è tenuta ad annunciare il mistero dell’unità escatologica, e non già storica, che sussiste tra Israele e genti (cf. Ef 2,14). Da ciò consegue che anche per la Chiesa il riconoscimento dell’unità salvifica in Gesù Cristo non implica, sic et simpliciter, che tutti siano chiamati, storicamente, a entrare nel suo seno. Dio, tut to in tut ti Forse la parola più alta pronunciata da Paolo a proposito del compimento escatologico è che Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28). Allora ci sarà il miracolo della molteplicità che si sposa con l’unità. Tutto in tutti, non tutti assorbiti nel Tutto. In questo senso la relativa unicità teologica di Israele è un presupposto integrante della salvezza escatologica che, attraverso Gesù Cristo, si compie in Dio (1Cor 15,27). Questa speranza comporta che nel tempo della storia sussista una dinamica per alcuni versi simile e per altri opposta a quella propria della fede ebraica nel Dio unico. Il Deuteronomio prospetta un popolo di Dio diviso al suo interno proprio a motivo di quella fede. Analogamente anche Gesù Cristo si presenta come segno di contraddizione in Israele (cf Lc 1,34). Fin qui l’analogia; l’antitesi tra i due procedimenti si trova invece nel fatto che, in virtù dell’elezione, «tutto Isarele sarà salvato» (Rm 11,26). Qui è cessato ogni appello allo «sterminio» o all’eliminazione del malvagio. Anche la negazione è riassorbita nella salvezza. Ma per affermare ciò occorre dichiarare che l’azione universale di salvezza in Gesù Cristo è tale non già nonostante l’elezione d’Israele; al contrario, lo è proprio grazie a essa. Da questa convinzione consegue, tra l’altro, l’opportunità di prendere le distanze dalla cosiddetta «teologia delle due vie» stando alla quale il popolo ebraico si salva solo in virtù della Torah, mentre i gentili si salvano attraverso Gesù Cristo. È una strada apparentemente facile da declinare in termini di buon vicinato e persino di dialogo; in realtà essa, attribuendo a Israele un’ingiustificabile unicità assoluta, sfocia in un atteggiamento imperialistico nei confronti delle genti. Piero Stefani 1 «Uno itinere non potest pervenire ad tam grande secretum». 2 C. GEFFRÈ, «Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto di Dio. Fondamento biblico e teologico», in M. CROCIATA (a cura di), Teologia delle religioni la questione del metodo, Città Nuova - Facoltà teologica di Sicilia, RomaPalermo 2006, 233. 3 Cf. J. RATZINGER, La Chiesa, Isarele e le religioni del mondo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000 (cf. Regno-att. 16,2000,547). Il testo è stato riedito nel 2007 dalla stessa casa editrice con il titolo Molte religioni un’unica alleanza. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 451 452-454_art spagna:Layout 2 CHIESA 27-07-2011 IN 9:50 Pagina 452 Ve r so la G M G S PAG N A u n paese diviso T Tr a l a i c i s m o e n a z i o n a l - c a t t o l i c e s i m o attende il papa Madrid, giugno 2011. ornare a parlare della Chiesa in Spagna, alla vigilia della visita di Benedetto XVI, che si terrà in occasione della Giornata mondiale della gioventù (GMG), dal 16 al 21 agosto, significa tornare a fare un quadro generale della sua presenza pubblica, dei suoi rapporti istituzionali, e delle sue relazioni interne. Per concludere che qualcosa è cambiato dall’inizio dell’era Zapatero tra la Chiesa e il governo. Molto meno tra la Chiesa e il paese. Quasi nulla all’interno della Chiesa stessa. La tesi di fondo con cui sia la Chiesa, sia il governo intendono presentarsi al papa a metà agosto è paradossalmente la stessa. La Chiesa in Spagna è ancora relativamente forte e vitale, dirà il confermato presidente della Conferenza episcopale spagnola, l’arcivescovo di Madrid Rouco Varela. Mentre Zapatero sottolineerà che la Spagna è ancora un paese accogliente per i cattolici. Quello che oggi la Chiesa ha di fronte è un governo più debole politicamente, ideologicamente snervato, in caduta libera sul piano dei consensi, come hanno indicato le ultime elezioni amministrative, soprattutto a motivo della grave crisi economica, che fa della Spagna il paese europeo col più alto tasso di disoccupazione (il 20%), in gran parte giovanile. Ben altra cosa furono gli esordi, nella precedente legislatura. Zapatero, vincendo le elezioni nel marzo del 2004, era arrivato al governo con un programma sociale radicale: dai ma- 452 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 trimoni omosessuali, alla legge sull’aborto, alla legge sulla scuola e sulla libertà religiosa. Un attacco frontale alla Chiesa che generò un inasprimento delle posizioni. Fino alle proteste di piazza da parte dei vescovi del giugno del 2005. Tanto da far sì che proprio il Vaticano, spaventato, intervenisse direttamente con una visita del segretario di stato, card. Bertone. E si rendesse necessaria, da entrambe le parti, la comparsa di figure di mediazione. Poi le posizioni si raffreddarono. Ora la crisi ha ridimensionato tutto. Comprese le velleità ideologiche della izquierda e dei suoi governi. D’altro lato, rilassare le relazioni con la Chiesa significa per il PSOE evitare di fornire armi al Partito popolare (PP), dato per vincitore alle elezioni del prossimo anno, alle quali Zapatero ha dichiarato di non volersi ripresentare. La Chiesa non sarà più il problema per Zapatero. La priorità è divenuta l’economia. Questo fa sì, per esempio, che una legge annunciata quasi all’inizio della legislatura come la riforma sulla libertà religiosa, che la Chiesa vedeva con preoccupazione, venga accantonata. E la stessa legge sul fine vita viri piuttosto sul modello tedesco della «buona morte», che su una implicita ricerca di elementi eutanasici. Le questioni pendenti con la Chiesa cattolica vengono progressivamente congelate. Allo stesso tempo, la Chiesa non ha voluto sfruttare la crisi economica e le difficoltà del governo. C’è persino chi sostiene che alla gerarchia ecclesiastica conviene avere come in- terlocutore una sinistra in difficoltà, senza alcun progetto culturale e alcuna politica verso la Chiesa e il cattolicesimo, piuttosto che un PP con al proprio interno diverse opzioni cattoliche. L’età dell’individualismo Forte dell’indebolimento del governo e della sinistra, la Chiesa non è tuttavia in se stessa più forte. Così come le altre Chiese in Europa, anche quella spagnola soffre le conseguenze di una dura secolarizzazione. La società spagnola, pur considerandosi in maggioranza cattolica, nel modo di vivere in realtà non lo è più o lo è in forme eterogenee. Le indagini sociologiche concordano su una frequenza domenicale ferma al 14%. Le sue radici sono ancora cattoliche, ma la società è permeata da un individualismo lontano dall’interpretazione e dall’insegnamento dottrinale del magistero e della morale cattolica. La Chiesa spagnola che ha nelle manifestazioni di carità la sua immagine migliore e più accettata nella società – lo si vede oggi dall’interno di una crisi economica che è diventata crisi sociale –, tuttavia continua a non sapere parlare in modo credibile di fronte a quella stessa società. E d’altra parte, paga anche il fatto che la società spagnola ha radicalizzato il proprio senso della libertà e parla un linguaggio diverso e per molti tratti incomunicabile con quello dell’istituzione ecclesiastica. La particolarità della Spagna è che l’ondata laicista emersa negli anni 452-454_art spagna:Layout 2 27-07-2011 della democrazia, faceva seguito a un quarantennio di forte interconnessione e quasi di connaturalità tra la Chiesa e il regime franchista. È vero che la Chiesa negli ultimi anni del regime franchista aiutò molto la transizione politica verso la democrazia (sembrano quelli gli anni più creativi) e che vi è stata anche una transizione importante dentro la vita stessa della Chiesa nel dopo Concilio (basti pensare alla rinascita della teologia spagnola). Ma i nodi fondamentali non sono stati risolti. Così quando al governo giungono le formazioni di sinistra sembra che inevitabilmente si scatenino i fantasmi della guerra civile e pare che i partiti socialisti abbiano voglia di rinchiudere di nuovo i cattolici nelle sacrestie; la Chiesa dall’altra parte si sente a disagio perché crede che si voglia estirpare la radice cattolica della società spagnola. Da un lato un laicismo grezzo ed escludente, che non trova le ragioni culturali e storiche di un proprio autosuperamento. Dall’altro, le tesi confessionaliste del nazional-cattolicesimo, che immaginano nell’alleanza organica con il potere politico la sola risposta efficace alle derive della modernizzazione. Entrambe le posizioni hanno il difetto culturale d’immaginare l’uso dello stato in chiave antiliberale, più che come garante, strumento attivo per affermare le proprie idee e realizzare i propri progetti. L’apocalisse laicista Bisognerebbe forse tornare alla storia per capire cosa è successo e succede alla Spagna. Al fallimento nel post-concilio e nel post-franchismo della stagione riformatrice più grande e culturalmente più raffinata che la Chiesa in Spagna abbia conosciuto, quella del card. Enrique y Tarancón (arcivescovo di Madrid dal 1971 al 1983), accompagnata per un certo tratto dallo stesso Paolo VI, poi velocemente accantonata da Giovanni Paolo II; al tentativo di nuovo Concordato tra la Santa Sede e il regime; alle promesse tradite dai primi governi socialisti in materia legislativa che minarono agli occhi dell’istituzione ecclesiastica l’ipotesi stessa di una convivenza con la sinistra e una equidistanza della Chiesa dalle forze poli- 9:50 Pagina 453 tiche e alimentarono nei settori tradizionalisti spagnoli presenti anche in Vaticano la convinzione della volontà positiva di quella forze di distruggere la Chiesa. Poi progressivamente alla stagione della restaurazione della Chiesa con il sopravvento dei nuovi movimenti, il crollo del vecchio associazionismo e lo svuotamento delle parrocchie, che ha rinverdito la prospettiva integralista come l’unica che sappia conservare alla Chiesa una dignità sociale. La prima vittoria elettorale del PSOE coincise con la prima visita di Giovanni Paolo II in Spagna e con il cambio ai vertici della Conferenza episcopale. Tra il 1983 e il 1984 la linea politico-pastorale dei vescovi è già ridefinita. Gli uomini del nuovo corso sono il nunzio apostolico a Madrid Tagliaferri (1985-1995), il nuovo arcivescovo di Madrid Suquía Goicoechea e Martínez Somalo (sostituto alla Segreteria di stato dal 1979 al 1988, poi prefetto in varie congregazioni). Si passa in breve da una posizione condivisa come quella espressa da mons. Merchán, che ritiene non esservi alcuna predisposizione contraria dei vescovi nei confronti della sinistra al governo, a una tesi che imputa alla sinistra il disegno positivo di voler implementare un «umanesimo agnostico e separato dal patrimonio culturale e morale del popolo spagnolo». Questa tesi farà strada anche in figure moderate dell’episcopato come mons. Fernando Sebastián (arcivescovo di Pamplona), tra gli intellettuali più lucidi della Conferenza episcopale, fino a configurarsi nei documenti ufficiali degli anni Novanta come una forma di laicismo che impone una concezione della vita ispirata «all’agnosticismo, al materialismo e al permissivismo morale» (cf. La verità vi farà liberi, 1990; Regno-doc. 9,1991,287). La Santa Sede soprattutto nel periodo tra la fine degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta guarda con grande attenzione il conflitto interno spagnolo considerando la Spagna un campo di prova importante per la realizzazione del progetto di Giovanni Paolo II nei paesi cattolici dell’America Latina e per gli effetti che il consolidamento della politica socialista poteva avere in aree sensibili per la IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 453 a cura di Carla Busato Barbaglio - Alfio Filippi Immagini dell’uomo immagini di Dio C hi è l’uomo con cui abbiamo a che fare oggi? Quale Dio insegue, se ne cerca uno? Di quale Dio ha bisogno? E che cosa propone oggi la narrazione biblica, fatta da uomini di un determinato tempo? Il testo offre i risultati del terzo convegno di studi in memoria del biblista G. Barbaglio, chiudendo la trilogia inaugurata dai volumi I mille volti di Gesù (2009) e L’attualità del pensare di Paolo (2010). Biblica - sez. Scritti di Giuseppe Barbaglio pp. 160 - € 14,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 a cura di Antonio Autiero Marinella Perroni Anatemi di ieri sfide di oggi Contrappunti di genere nella rilettura del concilio di Trento Q uali effetti ha avuto il concilio di Trento sulla considerazione delle donne nella vita religiosa, nella prassi di Chiesa, nel lavoro teologico? Una rilettura di questo aspetto è un dovere nei confronti della storia e contribuisce a una migliore comprensione della genesi e della valenza del concilio stesso. «Scienze religiose» pp. 304 - € 23,70 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 452-454_art spagna:Layout 2 27-07-2011 9:50 Chiesa. Del resto già nel 1982, all’aeroporto di Barajas, Giovanni Paolo II aveva salutato gli spagnoli dicendo che «la maggior parte della Chiesa di Cristo prega Dio in spagnolo». Le critiche dei vescovi alla cultura della sinistra spagnola sono realistiche. Il problema è che la società spagnola in quella direzione ci stava andando per proprio conto. Semmai alla sinistra e alla sua cultura arcaica, priva di una visione del ruolo del fattore religioso nella società moderna, si poteva e si può rimproverare, nel rincorrere quel processo, di accelerarlo, invece di cercare di governarlo. Le distinzioni tardive introdotte da Felipe Gonzales (2004) tra l’ideologia del PSOE e l’azione di governo non hanno avuto seguito. Con Rouco quella dinamica di scristianizzazione diviene «apostasia silenziosa» (2005); per Cañizares «vi è una attitudine totalitaria nel governo» (2006). Ma siamo già in epoca Zapatero. E lo scontro con la Chiesa è stato certamente più duro. Lo scontro a sinistra e «l’apocalisse del laicismo» hanno finito con lo strumentalizzare anche le relazioni con l’altra componente politica: il PP. Dall’altra parte il rapporto della Chiesa col PP non è sempre stato facile. Il PP non ha varato leggi sfavorevoli alla Chiesa, ma non ha neppure modificato quelle non del tutto gradite. Così fortemente concentrato nella ricerca di una identità nazionale per dare una risposta ai diversi autonomismi regionali ha cercato nella Chiesa una sponda nazionalitaria e il collante per un blocco sociale moderato. Il rischio progressivo, in parte necessitato per la Chiesa, sembra essere stato quello di trasformarsi progressivamente da istituzione della società a gruppo sociale particolare, posizione dalla quale risulta difficile rivendicare una nuova egemonia morale cattolica sulla società L’impressione è quella di una Chiesa pastoralmente paralizzata, ripiegata nel suo senso di pericolo, arroccata nella domanda: cos’altro potevamo fare? Il tema torna a essere quello del rapporto con la democrazia e col pluralismo valoriale della società moderna. L’arcaismo culturale della sinistra è un’ottima giustificazione ma non risolve il problema. Neppure 454 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Pagina 454 quello della necessaria trasformazione di metà della politica spagnola: quella espressa dalla sinistra. L’età di Rouco L’ultimo protagonista di questa stagione restauratrice è stato certamente il card. Antonio M. Rouco Varela, arcivescovo di Madrid dal 1994 in sostituzione del card. Suquía. Nel marzo scorso egli è stato nuovamente eletto presidente della Conferenza episcopale spagnola. Era già stato presidente per due volte consecutivamente durante gli anni 1999-2005. Dopo una pausa di tre anni, con la nomina di mons. Ricardo Blázquez, è stato eletto di nuovo nel 2008 e quindi ora accede alla carica per la quarta volta. La sua elezione è stata molto contrastata e di fatto ha diviso a metà l’assemblea episcopale. La sua conferma avviene per un solo voto. Come vicepresidente l’assemblea gli ha affiancato mons. Ricardo Blázquez, arcivescovo di Valladolid. La forzatura della sua nomina consiste nel fatto che proprio durante le celebrazioni della Giornata mondiale della gioventù, che saranno presiedute da Benedetto XVI, il cardinale Rouco compirà, il 20 agosto, 75 anni. La sua riconferma significa di fatto una esigita proroga di altri due o tre anni del suo incarico episcopale. Se le dimissioni per raggiunti limiti di età dovessero essere accettate prima si dovrebbe procedere a una nuova, anticipata elezione del presidente della Conferenza episcopale. L’esempio di Rouco è stato seguito in Portogallo anche dall’arcivescovo di Lisbona. Un riconoscimento a priori, che certo forza la regola, e mette in una situazione complicata il papa, il quale può prorogare il mandato, ma non è né obbligato né abituato a farlo. La rielezione di Rouco Varela è una conferma della forza in Spagna e a Roma del personaggio. Del resto Rouco è stato il solo vero interlocutore del Vaticano dal 1999 per le relazioni istituzionali tra Chiesa e stato, per le nomine episcopali, per l’equilibrio nelle relazioni con i nuovi movimenti. Una interlocuzione che col nuovo papa si è rafforzata, essendovi tra Ratzinger e Rouco una antica frequentazione, legata agli anni dei suoi studi in Germania. Persino la parentesi della presidenza Blázquez (2005-2008) non ha modificato i rapporti di forza interni alla Conferenza episcopale e neppure le relazioni di potere con le istituzioni spagnole. La nuova fase di restaurazione passa, secondo Rouco, dall’impulso ulteriore da conferire ai nuovi movimenti e alla loro presenza in tutti i punti salienti della società: dalla politica alla finanza; e nella contro-riforma della vita religiosa. Perché ritiene che lì, nella vita religiosa, si nascondano le resistenze più dure post-conciliari. Perché immagina che la nuova relazione tra i vescovi e i religiosi passi attraverso una fase diversa, meno legata all’elaborazione teologica e più vicina alla riscoperta della dimensione esclusivamente interiore. Il papa di fronte Di fatto, la Chiesa che attende il papa è una Chiesa divisa tra il neo-conservatorismo ecclesiastico di Rouco e la moderazione pastorale di Blázquez. La vera novità, la Chiesa spagnola l’attende dal papa. Già nel suo primo viaggio a Valencia, nel giugno del 2006, in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI aveva stupito molti. Nel pieno dello scontro tra la Chiesa e Zapatero, egli non aveva rinunciato a ribadire in una sintesi perfetta il magistero della Chiesa sul matrimonio, la famiglia, la pari dignità e complementarietà tra uomo e donna, la responsabilità dei padri nei confronti dell’educazione dei figli, il rispetto per la libertà di tutti e della Chiesa nella sua predicazione e nell’azione nella società. Ma lo aveva fatto senza scivolare mai in una sola frase polemica. Aveva scelto la strada di un annuncio positivo dell’insegnamento della Chiesa. Più che un’abile mossa diplomatica fu soprattutto l’indicazione di uno stile ecclesiale. Quello stile potrebbe essere ripreso anche all’interno della comunione ecclesiale, rifuggendo dalla tentazione di rinchiudere la Chiesa nella pura dimensione istituzionale. In quell’allargamento del campo visivo interiore è certamente meglio riconoscibile la polifonia intraecclesiale e l’esperienza plurale del cristianesimo. Del resto il papa qui parlerà ai giovani, alla molteplicità delle loro vite. Gianfranco Brunelli Francesco Strazzari 455 box austria:Layout 2 A USTRIA È 25-07-2011 - Chiesa 16:11 L Pagina 455 a disobbedienza e l’unità un Appello alla disobbedienza quello lanciato il 19 giugno, domenica della Trinità, da un gruppo di circa 300 parroci austriaci e 50 diaconi, radunati dal 2006 sotto la sigla «Iniziativa dei parroci» e schierati su posizioni vicine a quelle della piattaforma «Noi siamo Chiesa», nata nei paesi di lingua tedesca nel 1995 e poi diffusasi in tutta Europa (cf. Regno-doc. 17,1995,572; Regnoatt. 2,1996,24). Le tesi espresse nel manifesto dei parroci disobbedienti richiamano in effetti quelle affermate in altre occasioni, mentre l’elemento nuovo e dirompente è l’invito esplicito alla disobbedienza. A causa della chiusura e dell’indisponibilità dei vescovi e di Roma a promuovere la necessaria riforma della Chiesa – scrivono i disobbedienti –, essi si sentono tenuti a seguire la loro coscienza, e d’ora in avanti porranno in essere i seguenti segni, per la gran parte non ammessi dalla vigente disciplina ecclesiastica della Chiesa cattolica: a ogni messa faranno una preghiera per la riforma della Chiesa; ammetteranno alla comunione chiunque ne faccia richiesta, anche divorziati risposati, membri di altre Chiese cristiane e persone uscite dalla Chiesa (in Austria questo è un atto formale, che viene sancito dall’uscita dalla tassa ecclesiastica, cf. Regno-att. 6,2011,156); non copriranno più i bisogni delle parrocchie senza prete, «meglio una liturgia della Parola autogestita delle tournée liturgiche»; chiameranno «celebrazioni eucaristiche senza prete» le liturgie della Parola con distribuzione della comunione; faranno tenere l’omelia a laici e laiche competenti; nomineranno per ciascuna parrocchia un direttore, uomo o donna; coglieranno ogni occasione per esprimersi pubblicamente a favore dell’ordinazione delle donne e degli uomini sposati al sacerdozio. «Infine – concludono il breve documento – siamo solidali con i colleghi che a causa del matrimonio non possono più svolgere il loro ministero, ma anche con quelli che nonostante una relazione portano avanti il loro servizio come preti. Entrambi i gruppi con la loro scelta seguono la loro coscienza, così come facciamo noi con la nostra protesta». I vescovi: siamo Chiesa Le profonde trasformazioni in atto nella Chiesa austriaca, a livello sia delle figure istituzionali sia della vita comunitaria, sono note da tempo grazie a una lunga serie di ricerche che hanno dimostrato quanto il desiderio di riforme sia tra le richieste fondamentali e più diffuse, tra i membri dei consigli pastorali parrocchiali e tra i parroci. Un anno fa l’indagine del teologo pastoralista P.-M. Zulehner presentata su queste pagine metteva in evidenza come si fosse prodotta in pochi anni una spiccata individualizzazione della forma di vita dei preti cattolici e una progressiva autonomizzazione dai presupposti istituzionali (cf. Regno-att. 12,2010,421). Il timore della Chiesa di Roma ad accettare un dialogo aperto su una serie di problemi pastorali e disciplinari non ha favorito una inversione di tendenza. E questo – occorre dire – a discapito delle stesse posizioni più disposte al confronto e a un governo responsabile della transizione che le forme della vita ecclesiale stanno vivendo. Le posizioni appaiono oggi inconciliabili. Le petizioni dei disobbedienti difficilmente possono rientrare o essere accettate. Sintomatico e inevitabile l’atteggiamento dei vescovi. La prima risposta all’appello dei parroci è stata quella di mons. Egon Kapellari, vescovo di Graz e vicepresidente della Conferenza episcopale austriaca, apprezzato ed equilibrato sostenitore della necessità di dialogo e riforme nella Chiesa. «All’invito alla disobbedienza nella Chiesa cattolica – dice il suo comunicato stampa del 28 giugno – io mi pongo chiaramente e decisamente contro. Le necessità pastorali della Chiesa devono essere da noi affrontate senza rimozioni. La situazione è nota tanto ai vescovi quanto al papa, da tempo se ne discute e lo si continuerà a fare. Uno sguardo più obiettivo all’insieme della Chiesa e della società non fa razionalmente emergere per la Chiesa austriaca la necessità di prendere una propria strada autonoma dalla Chiesa universale. Il collegamento con la Chiesa universale e con il papa appartiene alla nostra identità irrinunciabile. (…) La percezione selettiva dell’attuale situazione della Chiesa in Austria e le conseguenti richieste certo sembreranno plausibili a molti, ma mettono seriamente a rischio l’identità e l’unità della Chiesa cattolica». La reazione del card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente dei vescovi, che aprì la sua stagione episcopale a Vienna con il «Dialogo per l’Austria» nel 1997 (cf. Regno-doc. 18,1998,593; 18,2010,605), si è fatta attendere fino al 7 luglio, ed è apparsa con il titolo «Appello all’unità» su Thema Kirche, periodico della diocesi di Vienna. «Ho aspettato a replicare, non volevo che la mia risposta fosse dettata dalla rabbia e dal dispiacere che questo appello ha suscitato in me. Ma questo Appello alla disobbedienza mi ha atterrito». Il richiamo del cardinale è innanzitutto al significato dell’obbedienza: «Nel momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza costrizione, nelle mani del vescovo “rispetto e obbedienza”, a voce alta e chiara abbiamo detto davanti a tutta la comunità dei fedeli: “Sì, lo prometto”. (…) Questa disponibilità [di accettare la volontà di Dio] si concretizza inoltre attraverso l’obbedienza ecclesiastica verso il papa e il vescovo. E a volte può richiedere uno sforzo doloroso». Chi – afferma il card. Schönborn – «in piena e provata coscienza e convinzione pensa che Roma abbia imboccato una strada sbagliata, che contraddice gravemente la volontà del Signore, dovrebbe trarne nel caso estremo le conseguenze estreme, e cioè non percorrere più la via della Chiesa romana. Credo e spero però che questo caso estremo non si verifichi». «Non è necessario – continua – essere sempre d’accordo con ogni decisione ecclesiastica, soprattutto in ambito disciplinare; ed è anche lecito augurarsi in alcuni casi decisioni diverse da parte dei vertici ecclesiali. Ma quando il papa ripetutamente indica chiare linee guida (…) allora l’Appello alla disobbedienza mette di fatto in discussione la comunità ecclesiale nel suo insieme. (…) Chi dichiara nullo il principio dell’obbedienza, dissolve l’unità». Appena possibile, afferma, s’incontrerà con i rappresentanti dell’«Iniziativa dei parroci» per un confronto costruttivo. «Il compito del vescovo è quello dell’unità: l’unità nella propria diocesi, l’unità con il papa, l’unità con la Chiesa. E io assolvo questo compito con grande felicità. Vivo molti momenti belli, ma anche momenti di dolorose ferite. Una di queste ferite è l’Appello alla disobbedienza. Io faccio invece appello all’unità, quell’unità chiesta da Gesù Cristo al Padre, e per la quale Gesù fu disposto a sacrificare la vita». Daniela Sala IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 455 456 box cina:Layout 2 S A N TA 25-07-2011 16:15 Pagina 456 SEDE - Repubblica popolare cinese L o scontro L a data non è casuale. La provocazione evidente. Il gesto in sé grave. Il 29 giugno scorso si è ripetuta l’ordinazione episcopale di un vescovo cinese appartenente all’Associazione patriottica, senza il mandato apostolico. Si tratta del rev. Paolo Lei Shiyin, ordinato vescovo della diocesi di Leshan (provincia di Sichuan, nella Cina continentale) da sette vescovi in comunione con Roma. La tecnica è sempre la stessa: far ordinare vescovi non accetti a Roma da vescovi in comunione con Roma. Le autorità cinesi prelevano i vescovi legittimi e li trattengono finché non acconsentono all’ordinazione. È la nuova linea assunta dalle autorità cinesi, che ha ulteriormente approfondito lo scontro tra Roma e Pechino (cf. Regno-att. 8,2011,237). A questa nomina il Vaticano ha reagito il 4 luglio con una dichiarazione ufficiale nella quale si dichiara per Lei Shiyin la scomunica latae sententiae. Questa la nota vaticana. «Il rev. Lei Shiyin, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana, e la Santa Sede non lo riconosce come il vescovo della diocesi di Leshan. Restano fermi gli effetti della sanzione in cui egli è incorso per la violazione della norma del canone 1382 del Codice di diritto canonico. Lo stesso rev. Lei Shiyin era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale, a causa di motivi comprovati e molto gravi (ha una relazione stabile con una donna dalla quale ha avuto un figlio; ndr). I vescovi consacranti si sono esposti alle gravi sanzioni canoniche, previste dalla legge della Chiesa (in particolare dal canone 1382 del Codice di diritto canonico; cf. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Dichiarazione 6.6.2011; Regno-doc. 13,2011,393). Un’ordinazione episcopale senza mandato pontificio si oppone direttamente al ruolo spirituale del sommo pontefice e danneggia l’unità della Chiesa. L’ordinazione di Leshan è stata un atto unilaterale, che semina divisione e, purtroppo, produce lacerazioni e tensioni nella comunità cattolica in Cina. La sopravvivenza e lo sviluppo della Chiesa possono avvenire soltanto nell’unione a colui al quale, per primo, è affidata la Chiesa stessa, e non senza il suo consenso, come invece è avvenuto a Leshan. Se si vuole che la Chiesa in Cina sia cattolica, si devono rispettare la dottrina e la disciplina della Chiesa». Trascorsa appena una decina di giorni dalla scomunica di Lei, le autorità cinesi hanno provveduto a ordinare nello stesso modo un altro vescovo. Si tratta questa volta di Giuseppe Huang Bingzhang, nominato vescovo di Shantou. L’ordinazione è avvenuta il 14 luglio. All’ordinazione illecita di Giuseppe Huang Bingzhang hanno partecipato – naturalmente costretti – otto vescovi in comunione col papa. Questa volta per il «no» di Roma non ci sono gravi motivi morali che rendono inadatto il candidato, ma il fatto che la diocesi abbia già un suo vescovo legittimo, riconosciuto da Roma. Obbligata anche in questo caso la risposta vaticana. Il 16 luglio giunge la dichiarazione della Santa Sede: «Il rev. Giuseppe Huang Bingzhang, ordinato senza mandato pontificio e quindi illegittimamente, è incorso nelle sanzioni previste dal canone 1382 del Codice di diritto canonico. Di conseguenza, la Santa Sede non lo riconosce come vescovo della diocesi di Shantou, ed egli è privo dell’autorità di governare la comunità cattolica diocesana. Il rev. Huang Bingzhang era stato informato da tempo che non poteva essere approvato dalla Santa Sede come candidato episcopale, dato che la diocesi di Shantou ha già un vescovo legittimo; più volte al rev. Huang era stato richiesto di non accettare l’ordina- 456 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 zione episcopale. Da varie fonti di informazione la Santa Sede era al corrente che alcuni dei vescovi, contattati dalle autorità civili, avevano manifestato la propria volontà di non partecipare a un’ordinazione illegittima, mettendo in atto anche forme di resistenza: nonostante ciò, i presuli sarebbero stati obbligati a prendervi parte. In merito alla loro resistenza è bene rilevare che tale atto rimane meritorio davanti a Dio e suscita apprezzamento in tutta la Chiesa. Uguale apprezzamento va anche a quei sacerdoti, a quelle persone consacrate e a quei fedeli che hanno difeso i propri pastori, accompagnandoli in questo difficile momento con la preghiera e condividendone l’intima sofferenza. La Santa Sede riafferma il diritto dei cattolici cinesi di poter agire liberamente, seguendo la propria coscienza e rimanendo fedeli al successore di Pietro e in comunione con la Chiesa universale». Ne seguiranno altri In Vaticano – ha sottolineato p. Federico Lombardi, direttore della Sala stampa – questo avvenimento «viene seguito e visto con dolore e preoccupazione». «La posizione e i sentimenti della Santa Sede e del papa sono stati già espressi recentemente nelle precedenti circostanze» (ad esempio, all’udienza generale del 18 maggio), e nascono dal rammarico per «un atto contrario all’unità della Chiesa universale». Dal novembre scorso la Cina ha deciso di procedere all’elezione e all’ordinazione di candidati vescovi senza attendere il mandato del pontefice: Guo Jincai a Chengde (novembre 2010); Paolo Lei Shiyin a Leshan (29.6.2011); e ora Giuseppe Huang Bingzhang a Shantou; ma il portavoce dell’Associazione patriottica, Antonio Liu Bainian, aveva ufficializzato il 14 maggio scorso l’esistenza di 10 candidati all’episcopato in attesa di nomina governativa, mentre il responsabile dell’Amministrazione di stato per gli affari religiosi, Wang Zouen, nel corso di un incontro a Pechino il 18-19 giugno ha espresso la necessità di procedere rapidamente da parte del governo alla nomina dei vescovi per le diocesi vacanti: una quarantina su 97. Se il governo cinese dovesse davvero procedere in questa direzione e non potendo il Vaticano retrocedere dalla sanzione della scomunica, che ne sarebbe di una Chiesa cattolica con quasi la metà dei suoi vescovi scomunicati? Salterebbe ogni equilibrio pastorale, compreso quello faticosamente descritto dal papa nella sua lettera del 2007 (cf. Regno-doc. 13,2007,393). Che cosa abbia portato a questo esito, dopo un periodo di timide ancorché incerte aperture, è difficile dire. La nuova linea vaticana, certamente più ruvida e decisa, non sembra avere conseguito l’obiettivo desiderato. In questo clima appaiono problematiche e intempestive le parole dette dal nuovo segretario di Propaganda fide, il cinese mons. Savio Hon, nel corso di una sua intervista a Fides (17.6.2011), nel corso della quale egli ha fatto riferimento a «una teologia in America e in Europa che sta penetrando anche nella Chiesa cinese. Questa teologia rivendica proprio l’autonomia nella scelta dei vescovi e l’indipendenza dalla Santa Sede. E così vi sono persone in America e in Europa che spingono i vescovi cinesi a comportarsi così. “Se riuscite voi – dicono – noi poi vi seguiamo”. Come si vede, fino a poco tempo fa i problemi di “indipendenza” e “autonomia” erano solo a livello del rapporto col governo. Adesso sono anche a livello teologico». Di quale teologia e di quali personaggi si tratti, mons. Hon non lo ha specificato. Gianfranco Brunelli L 457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2 25-07-2011 16:15 Pagina CXVII L ibri del mese Patristica come stile I padri della Chiesa nei documenti del Vaticano II schema de Ecclesia, che porteranno infine all’approvazione della costituzione Lumen gentium, sono da questo punto di vista emblematiche della faticosa recezione da parte del Concilio di quel «ritorno alle fonti» che specie a partire dagli anni Quaranta del Novecento era divenuto, in particolare in Francia, la parola d’ordine delle correnti teologiche progressiste. P uò in effetti stupire, ma l’immensa ricerca storicoteologica sul Vaticano II colma solo con il volume di Daniele Gianotti1 una lacuna rimarchevole, vale a dire l’assenza di un’indagine sistematica sull’utilizzazione dei padri della Chiesa nei lavori del Concilio, o, per essere più precisi, sulla coscienza e la sensibilità dei padri conciliari CXVII intorno alla rilevanza del ritorno alle fonti patristiche. Non quindi uno studio sulle citazioni dei padri in sé, ma l’approfondita ricostruzione e il proposito di una corretta interpretazione di un clima di luci e ombre, di accordi taciti e aspri scontri che prepara il terreno all’evento conciliare e prosegue durante lo svolgimento dello stesso. Le lunghe e complesse vicende dello «Nouvelle théologie» e modernismo La ricerca di Gianotti, che si segnala anche per chiarezza espositiva, è dunque insieme storica e teologica: nella prima parte prende le mosse dal ressourcement, di cui analizza le vicende e il significato per la teologia e la vita della Chiesa, per poi spingersi sino alla fase antepreparatoria del Concilio (cc. 1-3); nella seconda parte considera l’evento conciliare nella prospettiva dell’elaborazione del de Ecclesia, esaminato sotto l’aspetto precipuo delle sue fonti patristiche, sino all’approvazione definitiva della Lumen gentium (cc. 4-7); infine nella terza parte si propone di valutare sia il posto che il Concilio ha inteso assegnare alla testimonianza dei padri nella Lumen gentium sia, più in generale, pregi e limiti del ricorso ai padri da parte del Vaticano II (cc. 8-9). Una serie di appendici, un’amplissima bibliografia e due indici, tematico e dei nomi, chiudono questo significativo lavoro. Malgrado alcune grandi figure del pensiero cattolico ottocentesco avessero già compreso che passando per i padri della Chiesa fosse possibile realizzare un autentico rinnovamento della teologia e un recupero della categoria della storia, nei seminari e nelle accademie teologiche sino alla prima metà del secolo scorso i padri saranno ancora citati soprattutto in IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 457 457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2 L 16:15 Pagina CXVIII ibri del mese prospettiva apologetica, come pura riserva di prove. Semmai tra fine Ottocento e inizio Novecento si ha un intensificarsi degli studi specialistici e scientifici, mentre si stempera e quasi si dissolve la conoscenza esplicita dei padri nella loro fecondità teologica e spirituale. A tutto ciò si aggiunga da un lato la scarsa attenzione per l’esegesi patristica e dall’altro la preoccupazione di servirsi di analisi storico-filologiche che possano anche solo lontanamente determinare accuse di modernismo. Bisogna in effetti arrivare agli anni Quaranta del XX secolo per assistere a un nuovo slancio e a nuove prospettive: rileggere i padri nel contesto storico e filologico che è loro proprio, sottraendoli alla mortificazione dei manuali scolastici. L’interesse si concentra su quanto c’è d’originale negli scritti dei padri, ossia un senso eccezionale della sintesi cristiana e del nesso dei misteri nell’insieme del disegno divino, unitamente a una percezione viva del carattere storico di questo disegno, per cui la rivelazione non è teoria intorno a Dio ma storia santa, storia della salvezza portata da Dio agli uomini. Ciò che sta anzitutto a cuore diventa il messaggio dei padri in quanto esperienza spirituale che si presta a essere riconsegnata all’odierna comunità cristiana. Questo nuovo approccio evidentemente esprime un’insofferenza marcata verso un tomismo costruito «a uso delle scuole, una specie di razionalismo che soddisfa il genere di deismo che, in fondo, molti desiderano insegnare» (così E. Gilson in una lettera a H. de Lubac). Ma una cosa sono la scolastica barocca e la neoscolastica dei manuali, altra è la grande scolastica medievale, che tanto è debitrice della lezione dei padri. Naturalmente questo nuovo corso, che riprende in mano le fonti (non solo patristiche, ma anche bibliche e liturgiche) per esplorare strade nuove per la riflessione teologica, è destinato a scontrarsi con una visione del lavoro teologico profondamente diversa e non disposta a lasciarsi mettere facilmente in questione, tanto più che il ricorso all’accusa di modernismo è tutt’altro che superato. Così, nell’arco di una dozzina d’anni o poco più, la querelle conoscerà tre punti principali di contesa: il progetto teologico elaborato nella scuola domenicana del Saulchoir e presentato da uno scritto, poi 458 25-07-2011 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 messo all’Indice, del domenicano M.-D. Chenu; l’avvio della pubblicazione delle «Sources chrétiennes» per fondamentale iniziativa dei gesuiti H. de Lubac e J. Daniélou; e in stretto legame con queste, infine, la controversia sulla cosidetta «nouvelle théologie». Nella prospettiva dei padri della Chiesa, significative sono comunque soprattutto le vicende connesse col progetto della più nota collezione di testi patristici ancor oggi in attività. Essa conosce la sua gestazione nell’ambiente dello scolasticato dei gesuiti di Fourvière, a Lione, in cui risiedono, tra gli altri e a vario titolo: H. de Lubac, J. Daniélou, C. Mondésert, L. Doutreleau. Da grandi specialisti ne è stata già narrata in più sedi per filo e per segno la complessa storia. Qui basta ricordare che sin dall’inizio l’inclinazione, specie di Daniélou, è per gli autori greci e i testi spirituali: una linea fortemente mistica ed ecumenica, coraggiosa per il contesto ecclesiastico dell’epoca. La categoria di lettori cui ci si vuole rivolgere è in prima istanza quella dei cristiani, laici o chierici che siano, desiderosi di conoscere una spiritualità radicata in una solida teologia e integrata in una visione cattolica del mondo; in seconda istanza l’ambiente accademico più sensibile alla letteratura cristiana antica; infine, il circuito degli artisti e dei poeti, interessati a confrontarsi con la ricchezza simbolica e spirituale offerta dai padri nell’interpretare la Scrittura e il mondo. Le stesse introduzioni ai testi proposti in traduzione intendono essere di taglio culturale in senso ampio e non puramente scientifiche, proponendosi di collocare gli scritti nel loro mondo intellettuale e spirituale. Ma questi intenti programmatici, destinati di lì a poco a incontrare ostilità presso gli ambienti teologici conservatori, saranno presto modificati, come emblematicamente mostra la seconda edizione (pubblicata nel 1955: la prima era uscita nel 1942) della Vita di Mosè di Gregorio di Nissa con introduzione sempre di Daniélou. Questo ritorno comunque alle fonti patristiche e alla teologia dei padri, che viene salutato con entusiasmo dal domenicano Y. Congar del Saulchoir, non è invece visto con favore da altri ambienti dello stesso ordine, in particolare da M.M. Labourdette dello Studio domenicano di Saint-Maximin, che con una propria lettera aprirà di fatto la controversia sulla cosiddetta «nouvelle théologie», destinata a non chiudersi con l’enciclica Humani generis di Pio XII ma a farsi sentire ancora all’interno del dibattito conciliare. Già nei vota della fase antepreparatoria, tale controversia porta numerosi vescovi a pensare che la «nouvelle théologie» sia una sorta di riproposizione di tesi moderniste, capace dunque di compromettere, grazie alle ricerche storico-teologiche che promuove, l’immutabilità del dogma. Nel cammino verso il Concilio, soltanto una netta minoranza dell’episcopato mondiale percepisce come necessario il «ritorno alle fonti». Non è questione esclusivamente di contenuti, ma previamente di stile e linguaggio, come in più occasioni rileva il tedesco mons. Lorenz Jaeger, arcivescovo di Paderborn, nel senso che il Concilio deve rifarsi alla modalità secondo cui la sacra Scrittura e i padri della Chiesa esprimono le verità di fede, con grande attenzione per la dimensione ecumenica. Da questo punto di vista, l’autore mostra bene come la sensibilità per il ressourcement fosse molto più presente nei romani pontefici che guidarono il Concilio: Giovanni, che da giovane sacerdote aveva insegnato patrologia sia a Bergamo sia a Roma e da nunzio aveva conosciuto da vicino prima l’Oriente cristiano e poi i fermenti del cattolicesimo francese, era provvisto di una cultura formata «attraverso la lunga, fedele, insistente macinazione (...) delle supreme fonti della tradizione cristiana: la Scrittura, la liturgia, i padri ...» (G. Lercaro), mentre Paolo, sin da giovane grande conoscitore della cultura francese e innamorato di Agostino, in età matura vescovo ambrosiano di Milano, era stato uno dei presuli che già all’inizio della stagione conciliare aveva rilevato le insufficienze dei documenti preparatori. Preoccupati solo della solidità La seconda parte del ponderoso volume di Gianotti è la più estesa e costituisce il nucleo centrale della ricerca. La cornice è l’evento conciliare e l’oggetto d’indagine è il tipo d’elaborazione conosciuto dallo schema de Ecclesia sotto l’aspetto precipuo delle sue fonti patristi- CXVIII 457-459 libri_info ruggiero_R117-119:Layout 2 che sino all’approvazione definitiva nella forma della costituzione Lumen gentium. Si tratta di una parte densa di dati, in cui si rivela inoltre tutto il rigore metodologico di cui è provvisto l’autore, che propone una suddivisione cronologica della materia lungo quattro capitoli. Ciascuno di essi affronta un momento saliente dell’intricata e avvincente storia del documento. Va senz’altro riconosciuto allo studioso il merito d’essere riuscito a tenere sempre insieme, nella sua indagine storico-teologica, il quadro storiografico complessivo e il tema specifico del ressourcement. Questa sezione dell’opera, indubbiamente originale, per l’abbondanza di informazioni, che pagina dopo pagina offre, risulta molto utile oltre che per la lettura anche per la consultazione. Le tappe dell’elaborazione dello schema de Ecclesia da parte della Commissione centrale preparatoria sono ormai tanto note agli specialisti, che lo stesso Gianotti vi accenna giustamente in modo sintetico nel quarto capitolo. Nella prospettiva dell’utilizzazione delle fonti, che qui ci interessa, il tenore è, per riprendere il giudizio di Acerbi, quello dei manuali di ecclesiologia fioriti tra il Vaticano I e il Vaticano II: lo stile è scolastico e giuridico, più che biblico e kerygmatico, e la struttura portante dello schema è costituita in special modo dal magistero papale degli ultimi cento anni, cui è subordinato il pensiero in materia della Scrittura e dei padri della Chiesa. Il riferimento ai padri greci, così importante in chiave ecumenica, è del tutto marginale. Congar e de Lubac, chiamati a seguire i lavori della Commissione centrale preparatoria come consultori, ed essi stessi protagonisti del ressourcement teologico, hanno lasciato appunti di diario in cui concordemente denunciano questo clima teologico romano in massima parte scolastico e immobilista, incurante di quanto si accumula da decenni, preoccupato solo della solidità (in realtà ormai evanescente) del proprio bastione. Nel capitolo successivo il lettore si trova nel vivo delle discussioni conciliari del primo periodo sul de Ecclesia. L’autore, che studia le figure più autorevoli e avvertite di quel dibattito (Döpfner, Frings, Hakim, Khoury, Maximos IV, per ricordare qui solo qualche nome), mostra come solo a poco a poco l’assemblea conciliare sia pervenuta a una più attenta CXIX 25-07-2011 16:15 Pagina CXIX considerazione della questione del ricorso alle fonti patristiche nell’elaborazione dello schema, una questione nel complesso non adeguatamente affrontata nei dibattiti della Commissione centrale preparatoria, sebbene qualche suo componente ne avesse colto la rilevanza. Alla fine del capitolo, si fa riferimento all’adozione dello «schema Philips» come base della nuova redazione del de Ecclesia. Il sesto capitolo esamina il dibattito del secondo periodo conciliare. Con l’invio ai vescovi dello schema de Ecclesia rivisto, si ponevano le basi per la fase di lavoro più ampia e complessa, che avrebbe avuto come risultato la Lumen gentium. Frattanto la consapevolezza dei padri conciliari era cresciuta: essi scorgevano ormai i problemi suscitati dalla fase preparatoria e, in particolare, l’indifferenza nei confronti della Scrittura, dei padri e della Chiesa orientale. Il copioso materiale da loro trasmesso si sarebbe rivelato determinante per il lavoro successivo. Nel settimo capitolo, consacrato all’elaborazione definitiva dello schema, Gianotti osserva come sia passata quasi inosservata, tanto all’interno della Commissione dottrinale quanto nelle ricerche degli storici, l’eventualità suggerita da Philips, il quale nel secondo periodo dei lavori conciliari svolse un ruolo decisivo, di costituire una sottocommissione «de re patristica», gemella della sottocommissione biblica, al fine di sottoporre a esame critico tutte le citazioni patristiche e di proporre eventualmente citazioni più adatte. Il 21 novembre 1964, l’iter del de Ecclesia era finalmente concluso: la costituzione Lumen gentium veniva promulgata. Verso un’ecclesiologia patristica? Se nelle prime due parti del volume lo studioso aveva proceduto secondo l’asse cronologico, ora, nella terza e ultima parte, rappresentata dai capitoli 8 e 9, egli si propone di tracciare una visione più sincronica, incentrata su due fondamentali questioni: come si presenta il contributo della dottrina patristica nella Lumen gentium e che cosa hanno significato i padri della Chiesa per il Vaticano II. Si tratta, evidentemente, di tentare un bilancio, raccogliendo elementi diversi tra loro, ma accomunati dalla prospettiva del ressourcement patristico del Novecento. Gianotti, attraverso un serrato esame metodologico e contenutistico di tutte le strategie d’utilizzazione dei padri nella Lumen gentium, riconsidera i principali loci theologici della tradizione ecclesiologica conciliare per verificarne le diverse funzioni assunte. Da quest’esame emerge con evidenza la ricchezza del contributo offerto dalla riflessione patristica alla Lumen gentium, tanto che forse non è esagerato parlare della sua ecclesiologia in termini d’ecclesiologia patristica, malgrado una certa distanza tra l’insegnamento conciliare e la dottrina dei padri su taluni punti, tra cui la collegialità, il peccato nella Chiesa, la necessità della Chiesa per la salvezza, il popolo di Dio. Resta comunque vero che, grazie al Vaticano II, i padri della Chiesa non sono stati ridotti a una serie – per quanto ricca e appropriata – di citazioni, ma hanno potuto essere conosciuti dai fedeli nella loro più profonda e complessiva fisionomia. A ciò si aggiunga il modus patristicus loquendi del Concilio che, come ha mostrato O’Malley, è una questione a un tempo retorica e teologica, perché è per lo «stile pastorale» complessivo dei testi del Vaticano II che si ha quel rinnovamento ecclesiale che gli viene universalmente riconosciuto. I concili precedenti erano viceversa per lo più assemblee legislative, le cui decisioni determinavano la vita della Chiesa negli ambiti della fede e dei costumi. In questo senso il Vaticano II è stato un evento linguistico che ha fortemente beneficiato degli sforzi che, da decenni, si facevano in Germania, in Belgio, ma soprattutto in Francia, per trovare, attraverso il ressourcement patristico, linguaggi persuasivi alternativi alla rigidezza dello stile neoscolastico dominante. In conclusione, il lettore troverà questo libro di Gianotti sobrio e appassionato, scientifico e militante, volto non al semplice recupero archeologico della figura dei padri negli atti e nei documenti del Concilio, ma a una riappropriazione della loro conoscenza attraverso l’ascolto della loro viva vox. Fabio Ruggiero 1 D. GIANOTTI, I padri della Chiesa al concilio Vaticano II. La teologia patristica nella Lumen gentium, EDB, Bologna 2010, pp. 530, € 42,00. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 459 L 460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2 25-07-2011 16:16 Pagina CXX L ibri del mese Non per profitto M Martha Nussbaum e il ruolo della cultura umanistica nella ridefinizione del welfare artha Nussbaum è una delle più apprezzate e vivaci filosofe del panorama contemporaneo. Nominata due volte tra le cento figure di intellettuali più influenti al mondo dalla rivista Foreign Policy, la Nussbaum ha esordito come studiosa di filosofia greca, prima di estendere i propri interessi a tematiche di filosofia morale, politica ed etica. A metà degli anni Ottanta si è imposta sul panorama filosofico internazionale con un libro dal titolo emblematico, La fragilità del bene (Il Mulino, Bologna 2004). È membro dello Human Rights Program delle Nazioni Unite, col quale ha collaborato a definire e implementare alcuni programmi di sviluppo, riferiti in particolare alla condizione di genere, in diverse parti del mondo. Attualmente, dopo esperienze di docenza ad Harward e alla Brown University, è Ernst Freund Distinguished Service Professor di diritto ed etica presso l’Università di Chicago. Numerose le sue pubblicazioni tradotte in lingua italiana;1 rilevanti anche le frequentazioni della filosofa col mondo accademico del nostro paese, nel quale ha stretto amicizie e collaborazioni significative. Il paradigma delle capacità Proprio un suo recente viaggio in Italia, nello scorso mese di giugno, è stato per lei occasione di diversi incontri pubblici, tra i quali una conferenza tenuta a Bologna per la presentazione del suo recente saggio Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno di cultura umanistica, pubblicato nella pri- 460 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 mavera scorsa dalla casa editrice bolognese Il Mulino.2 Considerata, insieme al premio Nobel per l’economia Amartya Sen, ideatrice del capability approach per lo sviluppo economico e sociale, a lei fanno tuttora riferimento moltissimi studiosi che attingono dalla sua opera chiavi interpretative adeguate per valutare l’evoluzione dei sistemi di welfare e immaginarne sviluppi coerenti con l’istanza universalistica-cosmopolita di cui il pensiero della filosofa americana è «capace». Molte di queste chiavi interpretative sono riconducibili alla teoria delle «capacità centrali» – e al decalogo riassuntivo che le sintetizza – concepite dalla Nussbaum «come lo spazio rilevante all’interno del quale fare confronti sulla qualità della vita nelle società, e (…) come parametro decisivo per chiedersi se una data società ha distribuito un livello minimale di giustizia fra i suoi cittadini» (Le nuove frontiere della giustizia, Il Mulino, Bologna 2007, 91). È facile cogliere come quasi nessuno dei temi spinosi che dettano oggi l’agenda per la riforma del nostro sistema di welfare – ma sarebbe meglio parlare al plurale, vista la differenziazione presente al suo interno – può dirsi estraneo a un tale confronto con l’istanza etica che dovrebbe sostenere l’idea di cittadinanza democratica. Si pensi, ad esempio, alla discussione sui livelli essenziali di assistenza (nel suo saggio la Nussbaum parla di «livelli di opportunità accettabili»; Non per profitto, 41), tema nevralgico del profilo che verrà ad assumere il nostro modello federalista determinato dalla riforma costituzionale del 2001 e attualmente in corso di attuazione attra- verso la normativa fiscale e finanziaria (coi decreti che implementano la legge 42/2009). Si pensi ancora al tentativo, in corso anche nel nostro paese grazie all’ISTAT e al CNEL, di superare quel «sistema rozzo» (la definizione è della stessa Nussbaum) che attualmente si utilizza per misurare il benessere di una società denominato PIL pro-capite. Nel suo Non per profitto, la Nussbaum si dilunga ampiamente a spiegare le differenze sostanziali tra il paradigma della «crescita economica» – che trova appunto nel PIL il suo indicatore – e il paradigma dello «sviluppo umano», centrato sul concetto di «capacità». Essi sottendono modelli societari, visioni antropologiche, sistemi morali, modelli pedagogici se non contrapposti, quantomeno alternativi. Pensiamo, per non indicare che tre delle dicotomie desumibili da questa lettura, alle contrapposizioni gerarchia-democrazia; disgusto proiettivo3 e comportamento stigmatizzante-accettazione di sé e solidarietà tra gli umani; discriminazione di genere-riconoscimento della complementarietà. Esistono inoltre processi più o meno latenti di vecchia e nuova discriminazione, segregazione e istituzionalizzazione, su cui è necessario tenere viva l’attenzione. In essi il contenimento fisico, simbolico e farmacologico è oggi meno visibile, ma non per questo meno grave per le popolazioni coinvolte e assolutamente indicativo delle dinamiche societarie in atto. Sommando impropriamente le persone recluse in carcere, quelle ricoverate in strutture per condizioni croniche (dalle demenze alle schizofrenie), i minori in condizione di forte disagio ospitati in comunità, i rom e CXX 460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2 25-07-2011 16:16 Pagina CXXI New York City. Harlem. 110a strada. sinti che vivono nelle nostre enclave urbane, e gli utilizzatori di psicofarmaci, possiamo stimare per difetto (vista la sostanziale inattendibilità e vetustà dei dati disponibili) non meno di 600.000 persone coinvolte, ovvero più o meno l’1% della popolazione italiana. Dentro questo quadro, tutt’altro che chiaro e sicuramente incompleto, la lista delle «capacità centrali» si rivela – anche dal punto di vista concettuale –, una matrice analitica che permette di descrivere se, quanto e per chi è in atto una negazione sistematica delle libertà. Le assonanze con Ardigò Il recente saggio della Nussbaum accenna a molte di queste problematiche. Esso, in particolare, vuole essere un libro di «denuncia» (Non per profitto, 135) del rischio che corrono le nostre democrazie quando, come di questi tempi, dimenticano o negano l’importanza della formazione umanistica integrale. Essa è giustamente considerata alimento/allenamento della capacità di rigenerazione e di arricchimento delle nostre società nei cambiamenti che le attraversano. Detto altrimenti, le nostre democrazie se vogliono essere sistemi di li- CXXI bertà per le persone – «democrazie umane, fatte di sensibilità verso l’altro, intese a garantire a ognuno le giuste opportunità di vita, libertà e ricerca della felicità» (Non per profitto, 42) – hanno bisogno di generare uomini e donne capaci di fare della propria vita una pratica/esperienza di democrazia. Pensiero critico, sensibilità empatica, visione cosmopolita, competenze immaginifiche normativamente selettive, sono alcuni dei tratti fondamentali di questo essere chiamato all’universale che è il/la «cittadino/a del mondo». Dentro il perimetro così tracciato, in cui si circoscrive l’educazione alla cittadinanza democratica in un contesto globalizzato, sono almeno due gli approfondimenti che si possono tentare valorizzando l’attualità degli argomenti portati dalla Nussbaum.4 Un primo approfondimento. La lettura di Non per profitto ci rimanda alla memoria di Achille Ardigò, docente all’Università di Bologna, partigiano con Giuseppe Dossetti, cattolico-democratico e riferimento per molte generazioni di sociologi italiani. Trent’anni fa, a seguito della crisi innestatasi con lo shock petrolifero degli anni Settanta, indicò nell’idea di transizione verso nuove tran- sazioni il carattere della nuova fase storica che si apriva per il nostro paese e per il mondo cosiddetto sviluppato. In tale idea erano riassunte sia l’analisi sia la proposta. Per garantire la governabilità, ovvero la tenuta del sistema politico-amministrativo (lo stato, le sue articolazioni, i processi decisionali) non era sufficiente la sua riforma (dalla rappresentanza democratica, all’efficienza ed efficacia delle prestazioni, all’equità dell’accesso ai servizi ecc.); bisognava altresì occuparsi dei «mondi vitali», ovvero delle relazioni quotidiane rigeneratrici di senso (dalle famiglie, al volontariato, alle dimensioni comunitarie) e stabilire nuovi rapporti «virtuosi» tra queste dimensioni. In termini teoretici, si trattava di mettere in tensione dialettica la sociologia di taglio fenomenologico di Husserl, Schutz, Luckmann e Berger con l’approccio sociologico sistemico che accomuna Habermas e Luhmann, che poi si distinguono su altri aspetti. Trent’anni sono un tempo lunghissimo e quanto è successo è andato ben oltre le previsioni di allora, come lo stesso Ardigò ha sottolineato in alcuni suoi scritti successivi. La globalizzazione-finanziarizzazione dell’economia non era arrivata agli onori della cronaca; a Berlino il muro era ancora solido e la Cina rappresentava una sfida ideologica, non certo economica; la questione ambientale era agli inizi; pochissimi avevano intuito l’importanza del mondo musulmano nella geopolitica mondiale; col termine immigrazione si pensava soltanto ai lavoratori italiani che partivano o vivevano all’estero. In altri termini, davanti alla crisi del sistema politico amministrativo (dello stato), il sistema economico-finanziario-globalizzato si è imposto con le sue logiche non certo democratiche, che la Nussbaum definisce il «vortice della concorrenza». La denuncia di Non per profitto trova in queste logiche una delle sue radici. Empatia e fragilità La ricerca di Ardigò è poi proseguita, tra l’altro, sul terreno dell’«empatia», che è uno dei temi fondamentali intorno a cui si articola il pensiero della filosofa americana. Facendo pubblicare a metà IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 461 460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2 L 25-07-2011 Pagina CXXII ibri del mese degli anni Ottanta (1986), nella collana di studi sociologici da lui diretta,5 la prima opera sull’argomento scritta (nel 1917) dalla più giovane allieva di Husserl – Edith Stein, filosofa di origini ebraiche, poi diventata monaca carmelitana e morta ad Auschwitz nel 1942 – Ardigò rimarcava, accentuandole, alcune sue intuizioni già espresse in precedenza. La prima riguardava l’idea di empatia come «una sorta di prima grammatica elementare del conoscere umano: dalla percezione esterna, all’appercezione empatica all’introspezione mentale e spirituale». La seconda era quella di promuovere, davanti alle teorie autoreferenziali di sistema sociale alla Luhmann, la «strada di teorie anche sociologiche di sistemi aperti» al fine di fondare «una teoria delle relazioni empatiche tra sistema sociale e ambiente umano interno, come tra scienza dei macrosistemi sociali e scienza del mondo della vita». La terza sosteneva che l’esperire empatico rinvia a elementi di intenzionalità, a cura di Roland Meynet Jacek Oniszczuk Retorica biblica e semitica 2 Atti del secondo convegno RBS I l secondo convegno della Società internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica (Roma 27-29.9.2010) ha inteso ampliare i confini del proprio ambito specifico, comprendendo non solo il campo biblico, ma anche quelli delle altre letterature semitiche, contemporanee, precedenti e successive alla Bibbia. Il volume rende disponibili le conferenze e le comunicazioni ivi presentate. «Retorica biblica» pp. 328 - € 23,00 EDB 16:16 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 ovvero di volontà e di morale, considerando «la morale come comprensiva di quei vincoli umani che sono stati interiorizzati anche per empatia (…) e che è premessa della “simpatia”». La quarta intuizione, infine, fu quella che il concetto di empatia poteva essere «una discriminante ricca di sviluppo all’interno delle scienze computazionali cognitive, specie alle ricerche (mediante programmi e linguaggi di intelligenze artificiali) sull’introspezione, sui sistemi aperti, sui linguaggi naturali». Tutto questo, alla luce degli sviluppi successivi, acquista ancora più valore se si tiene conto che Ardigò scriveva 25 anni fa. Le assonanze tra le sue idee, pur in presenza di differenze non secondarie (come il riferimento alla psicologia sperimentale), e il pensiero della filosofa americana sono davvero notevoli. Una prima la si trova in Non per profitto. Nel terzo capitolo («Formare cittadini: i sentimenti morali e anti-morali»), la Nussbaum definisce l’empatia come «capacità di pensiero posizionale, cioè l’attitudine a vedere il mondo dal punto di vista di un’altra creatura». Ma l’empatia da sola non basta, «anche se è di grande aiuto nella formazione di sentimenti simpatetici che, a loro volta, sono correlati al comportamento di aiuto» (53). Per essere «più» sicuri che si sviluppi una capacità empatica è necessario che la scuola e la famiglia educhino il soggetto a misurarsi con gli «altri», ma anche a riconoscere e fare i conti con le personali inadeguatezze e fragilità, sviluppando insieme un pensiero critico e il coraggio di assumere posizioni dissenzienti. In tal senso, l’orientamento a privilegiare la formazione tecnico-scientifica, a ridurre le risorse per le materie umanistiche, insieme a una pedagogia depersonalizzante, sono fattori che minacciano la buona maturazione di una personalità empatica. A questi se ne deve aggiungere almeno un altro, che interviene in modo interdipendente: le condizioni relazionali tra allievi e adulti, punto prospettico con cui leggere le dinamiche societarie tra generazioni. Qui sono implicati molti aspetti: di tipo sistemico, come la formazione e selezione del corpo insegnante; di tipo culturale, come la rappresentazione che il mondo adulto ha di se stesso e la visione 462 IL REGNO - AT T UA L I T À che il mondo dei giovani ha degli adulti; di tipo relazionale, come l’autorevolezza (o meno) riconosciuta alla figura dell’adulto; infine, l’allocazione più o meno equa delle risorse pubbliche e la rilevanza data ai differenti bisogni generazionali. Solo per citarne alcuni. La cura parla della giustizia Sulla base di queste considerazioni, la «denuncia» della Nussbaum, «attraverso la scuola», diventa «denuncia» dell’ambiente sistemico della scuola stessa e delle perversioni in atto nelle «relazioni empatiche» tra il sottosistema sociale scolastico, il sistema sociale nel suo insieme e l’ambiente umano interno, per usare il linguaggio di Ardigò. Rimarcare questo aspetto, soprattutto per riferimento alla situazione della scuola e dell’Università italiane, pilastri insieme alla sanità dell’universalismo dei diritti di cittadinanza, che non godono certo di buona salute, ci aiuta a comprendere la pertinenza della critica e delle preoccupazioni espresse dalla Nussbaum anche per il nostro paese. Il fatto che in Italia il 18,5% dei giovani tra i 15 e i 24 anni, secondo i dati dell’OCSE (2011), sia disoccupato o «scoraggiato», ovvero che non cerchi più un lavoro e al contempo non consideri neppure la possibilità di inserirsi in un percorso formativo, è un dato che la dice lunga. Una seconda assonanza tra il pensiero di Ardigò e le posizioni della Nussbaum rinvia a pagine di particolare intensità (Le nuove frontiere della giustizia, Il Mulino, Bologna 2007), nelle quali la filosofa americana mette in discussione «dall’interno» i presupposti del contrattualismo di Rawls, e pone al centro della propria teoria della giustizia la condizione di persone che non potranno mai essere «libere, uguali, indipendenti». Ella parla di Sesha, figlia di una collega colpita da paralisi cerebrale e ritardo mentale; di Arthur, nipote colpito dalle sindromi di Asperger e di Tourette; Jamie, colpito dalla sindrome di Down. Parla dei caregiver familiari, cioè di chi si prende quotidianamente cura di loro, e parla di noi tutti, perché tutti abbiamo bisogno, per un tempo più o meno lungo della nostra vita, di qualcuno che abbia cura di noi. Sostiene, al riguardo, che «il fallimento nell’occuparsi adeguatamente dei 14/2011 CXXII 460-463 libri_info1_R120-123:Layout 2 25-07-2011 bisogni dei cittadini con menomazioni e disabilità è un grave difetto di quelle teorie, e che questa mancanza va in profondità, colpendo, più in generale, la loro adeguatezza in quanto teorie di umana giustizia» (Le nuove frontiere della giustizia, 116). Sono parole importanti per chi si trova a dover immaginare strategie per affrontare e contenere/ridurre la crisi economica e contestuali necessari cambiamenti nei sistemi di welfare volendo tenere come riferimento l’idea di giustizia. Un primo livello riguarda l’atteggiamento con cui pensiamo e discutiamo di questi problemi. In essi l’empatia, per così dire, fa pensare bene e per il bene (parafrasando un’espressione cara all’economista Stefano Zamagni). Un secondo livello è quello del metodo. Se «ciò che importa è la condizione della persona media e non, per esempio, come se la cavano i meno fortunati» (Non per profitto, 39) non potremo mai comprendere lo scarto tra ciò che affermiamo e ciò che pratichiamo, ovvero se effettivamente vengono riconosciuti i diritti fondamentali alle persone e alle popolazioni di cui si ha responsabilità. Si può sintetizzare tale posizione (riprendendo Gianni Tognoni, direttore del Consorzio Mario Negri Sud) dicendo che in termini epidemiologici sono le «code» che misurano l’affidabilità delle «medie». In termini democratici, sono le condizioni delle «minoranze» che legittimano le «maggioranze»; in termini epistemologici, sono le diversità che fanno avanzare le conoscenze. Formazione umana integrale Tornando all’educazione alla cittadinanza democratica, un secondo approfondimento suggerito dalla conferenza della docente americana è immediatamente collegato a quanto appena detto. Parafrasando la Nussbaum (Non per profitto, 26), l’egemonia della formazione tecnico-scientifica, e la riduzione nozionistica, quando viene fatta, di quella umanistica, non solo negano la formazione delle «capacità essenziali» per la salute delle democrazie – saper pensare criticamente, saper trascendere i localismi e affrontare i problemi mondiali come cittadini del mondo, raffigurarsi simpateticamente la categoria dell’altro – CXXIII 16:16 Pagina CXXIII ma mettono a rischio pure le «capacità essenziali» per la salute e il benessere nelle democrazie. Il gioco di parole permette di evidenziare una dimensione imprescindibile per la qualità ed equità dei sistemi di welfare: la formazione di base, specialistica e permanente, degli operatori che vi lavorano. Il mondo degli operatori nei sistemi di welfare è un contesto di non facile rappresentazione, dove la frammentazione dei profili, delle denominazioni, degli inquadramenti, delle titolarità formative (universitarie o regionali) ecc. – e la conseguente disuguaglianza nei trattamenti contrattuali e di carriera – presenta variabilità rilevanti a seconda delle figure professionali. Logiche corporative sedimentatesi nel tempo si mescolano a legittime esigenze di riconoscimento e di supporto. Crescenti pressioni per il contenimento della spesa impongono criteri, codici comunicativi, priorità, sempre più orientati all’economicità e, paradossalmente, sempre meno all’efficienza e ancor meno all’efficacia. Gli operatori del sistema di welfare si trovano oggi ad abitare questo scenario e ad agire comportamenti, condivisi o meno, che spaziano da un’accettazione passiva della situazione alla ricerca di conciliazioni sempre più complesse, alla tenace volontà di individuare vie d’uscita e di libertà, per sé e per le persone che incontrano. La difficile situazione presente sta determinando, ad esempio, un rischio specifico di assenza dell’umano come materia-sguardo principale di interesse nella formazione in «scienze mediche». Si è ammessi alle facoltà di medicina (cf. il grande dibattito in corso su riviste come Lancet, New England Journal of Medicine, Annals of Internal Medicine ecc.) con domande selettive che privilegiano la capacità di valutazione di ciò che è scientifico (ovvero produce conoscenza) perché fa parte delle scienze «oggettive» (ovvero non umanistiche quindi, paradossalmente, «non-umane») come la biologia, la chimica … Si privilegia sempre più il criterio di scelta degli interventi finalizzabili-sostenibili (livelli essenziali di assistenza) solo su base sperimentale (evidence based medicine), che esclude, quasi per definizione, il riferimento alle concrete condizioni di vita, alle «code», alle diverse capacità. La domanda allora diventa: quanto la formazione di cui dispongono gli ope- ratori del sistema di welfare – formazione prettamente tecnico-scientifica, prestazionale, sempre più gestionale, ma poco integrale e «umanizzante» – risulta adeguata a sostenere, nelle molteplici e differenziate situazioni odierne, la responsabilità e la relazionalità costitutive della loro professionalità? Infatti, queste figure professionali non «soltanto» sono cittadini, ma hanno la responsabilità di promuovere, tutelare, rendere effettiva la cittadinanza di tante altre persone. Preoccuparsi di loro è dunque un modo per preoccuparsi del futuro delle nostre democrazie. Massimo Campedelli 1 Tra i titoli di M. Nussbaum pubblicati in lingua italiana si segnalano: Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e civile, Feltrinelli, Milano 1996; La fragilità del bene, Il Mulino, Bologna 1996; Terapia del desiderio, Teoria e pratica nell’etica ellenistica, Vita e pensiero, Milano 1998; Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, Il Mulino, Bologna 2001; Giustizia sociale e dignità umana, Il Mulino, Bologna 2002; Capacità personale e democrazia sociale, Diabasis, Reggio Emilia 2003; L’intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004; Coltivare l’umanità, Carrocci, Roma 2006; Nascondere l’umanità: il disgusto, la vergogna e la legge, Carrocci, Roma 2007; Le nuove frontiere della giustizia, Il Mulino, Bologna 2007; Lo scontro dentro le civiltà, Il Mulino, Bologna 2009; Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, Bologna 2011; Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano 2011; pubblica con una certa regolarità sul periodico Internazionale. 2 L’evento, che si è tenuto martedì 7 giugno nella sede della Regione Emilia Romagna, era organizzato dall’Agenzia sociale e sanitaria regionale, diretta da Roberto Grilli, in collaborazione con la casa editrice Il Mulino. È stato occasione per parlare del futuro del welfare regionale a partire dalla filosofia morale grazie agli stimoli offerti da Martha Nussbaum. Al suo intervento è seguito un lungo dibattito – moderato dallo scrivente e da Luigino Bruni – che ha coinvolto gli oltre 300 partecipanti; dibattito «intenso e non scontato nei contenuti», come ha sottolineato in conclusione l’assessore regionale alle politiche sociali Teresa Marzocchi. 3 Il tema è stato ulteriormente sviluppato dalla Nussbaum, dal punto di vista del costituzionalismo americano, in un altro saggio di recente pubblicazione: Disgusto e umanità. L’orientamento sessuale di fronte alla legge, Il Saggiatore, Milano 2011. 4 Ce ne sarebbe un terzo riguardante le identità politiche nazionaliste e xenofobe, su cui la Nussbaum si è molto concentrata evidenziandone tutta la pericolosità. Anche Il Regno vi ha più volte insistito; cf. da ultimo P. SEGATTI, «La nascita della Lega. Una storia che ci appartiene», in Regno-att. 8,2011,220. 5 Si tratta de «Il prisma», una collana sociologica dell’editrice Franco Angeli. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 463 L 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 Pagina CXXIV L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 13 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all’indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia BARBAGLIO BUSATO C., FILIPPI A., Immagini dell’uomo, immagini di Dio, EDB, Bologna 2011, pp. 160, € 14,00. 9788810221570 il 3° vol. in memoria del biblista Giuseppe Barbaglio, frutto di un conÈ vegno di studi organizzato in suo onore. A differenza dei primi due incontri, che avevano il testo biblico come punto di partenza, in quest’ultimo ci si è interrogati su chi sia l’uomo d’oggi, quale Dio insegua, o di quale Dio abbia bisogno, e che cosa la narrazione biblica, fatta da uomini di un determinato tempo, oggi proponga. L’intento è capire l’uomo d’oggi e comprendere anche le possibilità, le ricerche e gli studi che possono aiutare a rendere elastica la comprensione e la lettura del reale. Per domandare poi perché occuparsi di Dio ai nostri giorni e che senso può avere la costruzione della Bibbia, oggi, sia che si creda sia che non si creda. Vittorio Ianari (ed.) Cristiani e musulmani in dialogo Il futuro insieme pp. 184, € 15,00 Amos Luzzatto Chi era Qohelet? Postfazione di Salvatore Natoli pp. 104, € 10,00 Paolo De Benedetti L’alfabeto ebraico Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi BOUCHARD G., Il Signore è veramente risorto. Testimonianze tra rivelazione e storia, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 156, € 12,00. 9788874026807 na confessione di fede, che «rende ragione della speranza che è in noi». U Il libro ripercorre l’idea di una vita dopo la morte dal mondo greco al mondo ebraico per poi sviluppare ampiamente il tema della risurrezione nel Nuovo Testamento. L’a. mette in evidenza le differenze fra la risurrezione cristiana, l’idea greca di sopravvivenza o d’immortalità dell’anima e la fede ebraica in una risurrezione dei giusti associata all’evento messianico. Ma, in ogni caso, la verità della risurrezione di Cristo resta oggetto della fede. Una particolare attenzione è dedicata alle Lettere di san Paolo e all’Apocalisse letta come libro di speranza e non calcolo della fine del mondo. DAL COVOLO E., MARITANO M. (a cura di), Omelie sul Vangelo di Luca. Lettura origeniana, LAS, Roma 2011, pp. 142, € 10,00. 9788821307805 al 1996 la Pontificia università salesiana pubblica e commenta le opeD re di Origene con un taglio introduttivo per il più ampio pubblico. Il vol. affronta alcune delle 39 omelie (33 commentano in maniera continua i primi 4 cc., le altre per singoli brani il resto del Vangelo di Luca) nell’intento d’indicare alcuni punti geniali e problematici degli scritti origeniani. Sono otto saggi, di altrettanti aa., in cui emerge, fra altri temi, quello fondamentale dei sensi spirituali. Il Vangelo narra della presenza di Gesù come corpo, visibile, ascoltabile, palpabile, ma per Origene il credente è chiamato a cogliere un’altra presenza, intellegibile e percepibile solo attraverso i sensi spirituali. Il vedere Gesù non è solo sforzo dell’uomo, ma si radica nell’incontro tra libertà del divino e libertà dell’umano. DI CESARE D., Grammatica dei tempi messianici, Giuntina, Firenze 2011, pp. 76, € 8,00. 9788880574026 episodio biblico della torre di Babele – come «mito ebraico», senza eroi o L’ eroine, ma con «una comunità senza nome che vuol farsi un nome» – è assunto come punto di partenza per un’interpretazione che ridia ascolto alle domande che su quei complessi versetti di Bereshit 11,1-9 si è posta l’ermeneutica ebraica, dai maestri del Talmud fino ai qabbalisti. «Nella tradizione ebraica, aniconica e incentrata sulla parola, come il nome di Dio costituisce il suo potere, così il nome che gli uomini si sono fatti, si sono imposti e apposti autonomamente, costituisce il loro potere indirizzato contro Dio». E qui sta l’idolatria, in una ricerca di fama e di gloria ma anche di centralismo totalizzante e concentrazionario. Nel bellissimo percorso attraverso l’ermeneutica e la teoria della traduzione – perché la diversità delle lingue è nel disegno di Dio per il bene dell’umanità – si costruisce pian piano una riflessione sul significato della dispersione ebraica e del compimento messianico. FRICKER D., SIFFER N., La fonte Q. Il “vangelo” ritrovato di Gesù, Figlio dell’uomo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 212, € 23,00. 9788821570025 a cura di Gabriella Caramore pp. 112, € 10,00 ggetto dello studio è una delle ipotesi più interessanti e longeve nelO l’ambito delle scienze bibliche: l’esistenza, tra le fonti dei Vangeli di Matteo e Luca, della cosiddetta «fonte Q». Delineato il quadro storico del- Alberto Anelli la redazione dei Sinottici, gli aa. presentano la ricostruzione del documento Q fatta emergere dalla composizione finale dei due Vangeli. «Ne risulta un testo restituito a contorni talora non nitidi o esitanti, ma il cui andamento generale custodisce una struttura coerente e un contenuto ricco e caratterizzato, trasmesso essenzialmente sotto forma di parole e di discorsi di Gesù». Il vol. non manca di interrogare il contenuto cristologico e teologico della stessa fonte. Heidegger e la teologia pp. 152, € 12,50 Nicoletta Cusano Emanuele Severino Oltre il nichilismo pp. 544, € 38,00 KLAUCK H.-J., La lettera antica e il Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2011, pp. 471, € 47,50. 9788839407924 l genere letterario della «lettera antica» è stato analizzato dalla critiIpostali), ca letteraria in tutti i suoi aspetti: quello materiale (la carta e sistemi le forme non letterarie (diplomatica) e letterarie (poesia e filo- Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605 www.morcelliana.com 464 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 CXXIV 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 Pagina CXXV CICLO DI LICENZA BIENNIO DI SPECIALIZZAZIONE IN TEOLOGIA PASTORALE sofia), la tecnica compositiva (epistolografia e retorica). Il vol. nasce dall’esperienza dell’a., docente universitario di NT e Letteratura cristiana antica, che ha inteso offrire un’introduzione alle lettere del NT. Il testo presenta prima il tema in modo sistematico, servendosi di numerosi studi critici, anche tra i più recenti, per giungere poi a delineare il ruolo avuto dal genere lettera sia nel giudaismo antico sia nel cristianesimo delle origini. MIDALI M., Teologia pratica. 5. Per un’attuale configurazione scientifica, LAS, Roma 2011, pp. 192, € 13,00. 9788821307959 el V vol. dedicato alla Teologia pratica, l’a. si occupa dello statuto N epistemologico della disciplina e delle relazioni (interdisciplinari e transdisciplinari) con le altre scienze umane e le altre discipline teologiche (dogmatica, morale e teologia spirituale). Vengono affrontate questioni che vanno dall’oggetto materiale (la prassi religiosa e cristiana), all’oggetto formale (il tipo di riflessione); dalla difesa del carattere scientifico e teologico, all’articolazione interna in discipline settoriali (catechetica, omiletica, pastorale giovanile ecc.) di un sapere che «si configura come scienza di confine tra le altre discipline teologiche e le scienze umane». CORSI ANNO ACCADEMICO 2011-2012 P RIMO sSEMESTRE EMESTRE PRIMO • Bibbia e morale. Analisi etico-teologica di alcuni testi del • • • • • • nuovo testamento (PROF. G. TRENTIN) Racconti di iniziazione negli Atti degli Apostoli (PROF. A. BARBI) Psicologia pastorale (PROF. A. PERUFFO) Seminario - Iniziazione cristiana: la comunità educa alla fede (PROFF. D. VIVIAN / E. FALAVEGNA) Metodologia della ricerca (PROF. R. TOMMASI) L’agire comunicativo della Chiesa (PROF. A. TONIOLO) Carità ‘faticosa’: dal dono alla giustizia – dalla perfezione all’edificazione (PROF. M. PASINATO) «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo» (Rm 13,14). La qualità pratica della vita cristiana (PROF. B. SEVESO) Catechesi e agiografia (PROF. G. GIACOMETTI) MINARDO A., La potenza di Dio. Studio storico-tipologico su un attributo divino, Cittadella, Assisi 2011, pp. 408, € 22,00. 9788830811263 • hi mai avrebbe «il coraggio umile e quasi disperato di parlare di quelC l’attributo e di quella realtà che la teologia osa soprannominare “onnipotenza divina”?» (dalla prefazione di E. Salmann). È quanto si propo- • ne l’a., che ha dedicato la sua ricerca dottorale allo scavo di «uno degli attributi divini più discussi e problematici». Il Dio che emerge lentamente dalla trama del presente studio, focalizzato sul II millennio dell’era cristiana, «non è un tiranno, una chimera da fiaba, un mostro proiettato dalle nostre angosce (…); si rivela, invece, una presenza che si compiace della vita, crescita e libertà altrui, del mondo; è questa la sua essenza, potenza, possibilità». Testo di studio. SECONDO SEMESTRE RAVASI G., Gli Atti degli apostoli. Cinque conferenze tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano, EDB, Bologna 2011, CD, € 17,40. EAN 8033576840222 • I criteri antropologici di una educazione sessuale • • • • Pastorale, Catechesi, Liturgia BIEMMI E., Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011, pp. 108, € 9,00. 9788810621462 on il «secondo annuncio» la Chiesa si rivolge a quegli adulti che hanno ricevuto una prima educazione cristiana nell’infanzia ma che in seguito si sono allontanati dalla fede o dalla pratica. Il vol. ha come finalità non di dire l’ultima parola sul tema, ma di stimolare i primi passi per una conversione missionaria della pastorale e della catechesi nelle parrocchie. C BISAGNI G., ZAGO P., Tra il dire e il fare. I discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo, Città nuova, Roma 2010, pp. 171, € 12,50. 9788831144322 • • • • • (PROF. G. MAZZOCATO) Amore e matrimonio: teologia, pastorale e spiritualità (PROF. O. SVANERA) L’azione pastorale della Chiesa nell’epoca del Grande Disciplinamento (PROF. C. CENTA) Seminario – Iniziazione cristiana: la comunità educa alla fede (PROFF. D. VIVIAN / E. FALAVEGNA) La messa come “sacrificio propiziatorio” (PROF. M. GALZIGNATO) Teologia della fede ed esperienza spirituale (PROF. G. TRABUCCO) La partecipazione alla “cura pastorale” (PROF. L. TONELLO) Metodologia teologico-pratica (PROFF. L. FANIN / R. TOMMASI / A. TONIOLO) L’iniziazione cristiana degli adulti: prospettiva liturgica (PROF. A. DI DONNA) Pastorale della salute e counseling pastorale con i malati (PROF. A. BRUSCO) Pedagogia della relazione (PROFF. P. MILANI / M. IUS) er rispondere all’esigenza di tradurre e incarnare nella vita concreta P l’esempio e le parole di Gesù, gli aa. hanno trasformato l’esperienza del cammino sulla Parola della comunità di san Leone Magno di Milano • in un libro che risulta strumento utile per la catechesi. Nella I parte i cinque grandi discorsi del Vangelo di Matteo (quello della Montagna, quello missionario, quello parabolico, quello ecclesiologico e quello escatologico) vengono ampiamente commentati e spiegati; mentre nella II vengono riportate delle linee guida per costruire una lectio su quegli stessi discorsi. La Facoltà mette a disposizione delle Borse di studio per la prosecuzione degli studi con il Dottorato di ricerca. CXXV IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 465 SEDE: Via del Seminario 29 - 35122 PADOVA Tel. 049 664116 - Fax 049 8785144 E-mail: [email protected] – Sito: www.fttr.it 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 www.edizionimessaggero.it Pagina CXXVI L ibri del mese / schede CIPOLLONE E., GALLOTTI N., GALLOTTI M., In cammino verso l’amore. La comunità cristiana accoglie e accompagna i fidanzati alle nozze, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 206, € 13,00. 9788874026487 l vol. raccoglie alcune relazioni e proposte della Consulta regionale di Ivegno pastorale familiare abruzzese-molisana nate in occasione del XII Conper operatori di pastorale familiare. L’intento è quello di offrire uno strumento che faccia riflettere e che interpelli la comunità cristiana chiamata ad accogliere e accompagnare i fidanzati verso il matrimonio come «un cammino verso l’Amore». COLOMBO S., Maria. Figlia, sorella, madre, Monti, Saronno (VA) 2010, pp. 63, € 15,00. 9788884771728 vol. contiene i testi di 11 canzoni originali e le immagini pittoriche reIrellative a ciascuna di esse, realizzate dall’a., sacerdote e artista, per cantala vergine Maria, accompagnate da preghiere composte da una clarissa del monastero di Milano. FRÈRE ALOIS DI TAIZÉ, Osare credere. Il cammino della fiducia nelle feste cristiane, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 110, € 10,00. 9788801047813 Dan Bahat Atlante di Gerusalemme pag. 184 - € 59,00 Un Atlante riccamente illustrato, con oltre 400 immagini a colori, che ripercorre la storia della città di Gerusalemme con cartine, disegni e foto. possibile credere in Dio nel nostro mondo moderno?». È questa la «È domanda da cui parte frère Alois, priore della Fraternità ecumenica di Taizé, nello scrivere questo libro. «La fede si presenta oggi più come un rischio, il rischio della fiducia»: la bellezza di questo cammino rischioso ma riconciliante è descritta attraverso l’avvicendamento delle feste cristiane, a ognuna delle quali l’a. dedica una riflessione e una preghiera, condividendo la grande sensibilità con la quale esse si celebrano a Taizé. GARBERO G., MIGNANI P., Ho udito il grido del mio popolo. Libro di preghiera con i giovani popolari, lavoratori, della formazione professionale, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 283, € 15,00. 9788874025442 ttraverso salmi, brani dell’Antico e Nuovo Testamento, documenti del A magistero, note pastorali dei vescovi, commenti, spunti di riflessione, esperienze di vita, il libro vuole far scoprire oggi il senso della preghiera, soprattutto ai giovani. «Bisogna ripartire dalle domande fondamentali dell’uomo, per incontrare “l’uomo nuovo”, Gesù, colui che è venuto a rivelarci il volto di Dio». MATTHEEUWS A., Guidati dallo Spirito Santo. Introduzione alla direzione spirituale, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 119, € 12,00. 9788801045369 irigere l’uomo è l’arte delle arti e la scienza delle scienze». L’a. fa «D sue le parole di Gregorio di Nazianzo per introdurre il lettore a un vol. nel quale raccoglie, in modo sintetico, la sua esperienza di direttore Domenico Cravero La pastorale centrata sull’affetto pag. 424 - € 33,00 Un’accurata analisi del cambiamento delle relazioni affettive, familiari e sociali e la proposta di un percorso pastorale innovativo e concreto per dare centralità alla pastorale matrimoniale. spirituale. Dopo un c. dedicato alle questioni generali (si può trovare Dio da soli? a cosa serve un accompagnatore spirituale? come sceglierlo? di cosa si deve parlare e con quale atteggiamento? ecc.), si passa più specificamente all’esame della figura dell’«accompagnatore» e della «direzione spirituale», letta secondo tre categorie: «cammino, direzione, missione». Testo introduttivo al tema, accessibile e ordinato. PAPPALARDO M., SCOLARI L., Per me tu prepari una mensa. Sussidio per la preparazione dei fanciulli alla prima comunione, EDB, Bologna 2011, pp. 154, € 10,00. 9788810613559 itinerario guida i bambini, i catechisti e i genitori nella preparazione alL’ la prima comunione, culmine e paradigma della vita cristiana; l’obiettivo è invitarli ad accostarsi a Dio e al suo amore per gli uomini. Ciascuna delle 8 tappe lancia uno sguardo su tutte le dimensioni d’ogni percorso di catechesi: teologica, esistenziale, ecclesiale, pedagogica. Ogni tappa offre materiali di formazione per i catechisti, schede operative con temi e attività per i bambini, una celebrazione comunitaria; inoltre meditazioni, spunti, preghiere e semplici impegni di vita per i genitori e la famiglia. Completano l’opera le schede Tutti al cinema! con indicazioni di film a tema. 466 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 CXXVI 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 Pagina CXXVII Brunetto Salvarani RUGOLOTTO C., Prime parole su Dio. Itinerario di catechesi per genitori e figli. I anno, EDB, Bologna 2011, pp. 88, € 5,50. 9788810613566 Il dialogo è finito? RUGOLOTTO C., Chi è Gesù? Itinerario di catechesi per genitori e figli. II anno. Quaderno per bambini, EDB, Bologna 2011, pp. 64, € 4,50. 9788810613580 Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale RUGOLOTTO C., Chi è Gesù? Itinerario di catechesi per genitori e figli. II anno. Testo per genitori e catechisti, EDB, Bologna 2011, pp. 192, € 13,50. 9788810613573 propongono un itinerario di catechesi per bambini e famiglie, preIti (davoll. visto in 5 anni. Esso si rivolge principalmente ai genitori, in quanto adulsoli o in coppia), invitati ad assimilare i contenuti biblici e catechistici, tramite incontri in parrocchia, ed elaborarli tramite la lettura, a casa. Saranno poi gli adulti a trasmetterli ai propri figli, tramite appositi incontri e attività da svolgere in famiglia. A partire dal 2° anno, per i bambini sono previsti anche incontri in parrocchia con i catechisti. Tratti peculiari del progetto sono, da un lato, la semplicità dei testi e dall’altro, l’attenzione alla maturazione cristiana dei genitori in quanto adulti; infine, la scelta di fornire in ogni tappa spunti per la vita quotidiana, per la catechesi occasionale in famiglia e per la preghiera quotidiana, che possono essere raccolti a formare una sorta di manuale per l’educazione alla fede in famiglia. Spiritualità FONTANA S., Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa, Cantagalli, Siena 2010, pp. 165, € 11,50. 9788882725242 uesto piccolo libro ha una grande pretesa. Vorrebbe indicare (…) «Q il principale problema dell’uomo di oggi (…). Si propone di metterlo a fuoco come problema della vocazione e poi affrontarlo dal punto di vista fenomenologico, ossia esaminandone le manifestazioni nella nostra vita, poi antropologico e infine politico. Lo scopo è soprattutto di segnalare la strada per un’inversione di tendenza, perché l’uomo sordo alla vocazione non sa dove andare». Questo il dichiarato intento dell’a., che auspica soprattutto a dare ragione della questione politica come questione teologica fondata sulla vocazione, perché «il problema vero è il posto di Dio nel mondo», dal quale dipende tutto il resto. LUISIER G., Diario del figliol prodigo. Vent’anni dopo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 117, € 10,00. 9788821569401 originale idea dell’a. è quella di narrare i personaggi e i rapporti faL’ miliari del racconto evangelico del figliol prodigo, immaginati vent’anni dopo il ritorno del figlio minore, esemplare immagine dell’uomo sofferente che si allontana da Dio ma poi sa ritornare a casa, al cui punto di vista è affidata la narrazione. Con uno stile denso di suggestioni e immagini bibliche, il libro racconta il rapporto complesso tra i figli e il Padre, proponendo alcune riflessioni sulla difficoltà di accettare un passato doloroso e sul mistero dello sguardo amorevole del Padre. MONTAGNA D. M., Stupore. Tutte le poesie edite e inedite (19572000) a cura di Ermes Ronchi e Girolamo Carraro, Servitium, Sotto il Monte (BG) 2010, pp. 595, € 22,00. 9788881663149 mpotente è il mio pregare/ incessante/ alla tua presenza muta,/ men«I tre le parole si spengono/ in breve cerchio/ senza eco./ Almeno lasciami credere,/ o invisibile Amato,/ che la tua impercettibile/ vicinanza sta rinsaldando/ senza tregua/ il destino della mia esistenza», («Impotente il pregare»), sono i versi di un poeta, frate dell’ordine dei Servi di Maria, che seppe tradurre in poesia quanto disse Gregorio di Nissa: «I concetti creano idoli, solo lo stupore coglie qualcosa». Frammenti, squarci di luce che trovano nei trovadori e nei laudesi i loro medievali archetipi nel lodare nostra Signora, l’eternità, i millenni. Poesia cortese di un contemporaneo che seppe, in un panorama di poesia sterilmente dispersa in labirinti poetici d’avanguardia a uso, abuso e consumo di pochi addetti ai lavori, far casto dono di paesaggi, di cieli notturni, di volti di donne. Imperdibile. CXXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 467 O biettivo del volume è rendere ragione delle attuali fatiche del dialogo ecumenico e interreligioso, ma anche rintracciare piste che aiutino a uscire dallo stallo. E questo, in un momento ricco di anniversari: i 25 anni dallo storico incontro interreligioso di Assisi (27.10.1986), e i 10 anni dalla proclamazione della Charta Oecumenica delle Chiese europee (Strasburgo, 22.4.2001). Un tempo in cui, più che da festeggiare, c’è molto da riflettere. «Oggi e domani» pp. 200 - € 17,50 Dello stesso autore: Vocabolario minimo del dialogo interreligioso Per un’educazione all’incontro tra le fedi pp. 120 - € 11,60 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 L 25-07-2011 16:17 Pagina CXXVIII ibri del mese / schede NOCELLA V., L’amore dall’inizio. Osservazioni in forma di poesia sul prologo del Vangelo di San Giovanni, Servitium, Sotto il Monte (BG) 2010, pp. 186, € 16,00. 9788881663101 iscrivere il prologo del Vangelo di Giovanni sotto forma di pensieri R poetici è un’impresa particolare e ardita, ma leggere queste pagine «fa bene al cuore» perché sono frutto evidente di «lunghe meditazioni e preghiere» (p. B. Sorge). A ogni parola o espressione del prologo, significativa per l’a., corrisponde una riflessione poetica. QUINZÀ LLEÓ X., Le porte della felicità. Le Beatitudini: benedizione di chi sa scegliere, Paoline, Milano 2011, pp. 180, € 13,00. 9788831538626 a un’esperienza personale, di scampato pericolo, l’a. si trova a riflettere sul dono e la fugacità della vita e in particolare, sulle fragilità come porte aperte «che dobbiamo attraversare per essere felici». Infatti, «se non vogliamo passare per questa porta stretta, come ci consiglia Gesù nel Vangelo, perderemo l’occasione e dovremo rassegnarci a vivere malamente fino alla prossima volta che la vita tornerà a svegliarci». Ecco l’intento del libro: un invito al lettore ad anticipare la felicità di domani attraverso le Beatitudini. D SURIN J.-J., Un Dio da gustare. Pagine di mistica quotidiana dalle Lettere, Paoline, Milano 2011, pp. 547, € 40,00. 9788831539692 Surin (1600-1665) è figura straordinaria e controversa. Jdunean-Joseph Coinvolto nei fenomeni di possessione diabolica delle orsoline di Lou(Francia) ha conosciuto una lunga stagione d’oscurità, di mancato equilibrio se non di vera e propria pazzia. E tuttavia, la sua lenta ripresa a partire dal 1650 ha svelato un uomo spirituale di statura fuori del comu- Giuseppe Sovernigo Làsciati riconciliare Esercizi per un laboratorio di formazione spirituale integrata 1. Riconciliàti per riconciliare 2. Gli ostacoli alla riconciliazione ne. Autore di una decina di opere teologiche e spirituali S. ha affidato alle lettere l’immediata comunicazione della sua concezione mistica di Dio, del rapporto diretto con lui da parte dell’anima del credente. Difensore dei doni e delle grazie straordinarie, viene accusato da alcuni di diffondere una spiritualità nuova e pericolosa. Ma il tempo e le indagini successive hanno reso giustizia alla sua intelligenza spirituale. La scelta delle 116 lettere, ordinate in sei sezioni tematiche, attinge al lavoro fondamentale di Michel de Certeau che nel 1966 pubblicò l’intero epistolario formato da 594 lettere. Un classico. Storia della Chiesa AUTIERO A., PERRONI M., Anatemi di ieri, sfide di oggi. Contrappunti di genere nella rilettura del concilio di Trento, EDB, Bologna 2011, pp. 303, € 23,70. 9788810415238 l 450° anniversario della chiusura del concilio di Trento, nel prossimo Ichiave 2013, stimola ad aprire una finestra di approfondimenti e di ricerca in storica e teologica. Un taglio non consueto è quello che porta a interrogarsi sugli effetti che il Concilio ha avuto riguardo alla considerazione sulla natura e sul ruolo delle donne nella vita religiosa, nella prassi di Chiesa, nel lavoro teologico. Una rilettura teologica di questo fenomeno contribuisce a una migliore comprensione della genesi e della valenza di quanto il Concilio ha detto e fatto. Il vol. scandisce i momenti e le tappe di un simile intreccio, facendone risaltare i nodi problematici, ma evidenziando anche gli spunti originali e promettenti per successivi approfondimenti. DOTTA G., Leonardo Murialdo. Infanzia, giovinezza e primi ministeri sacerdotali (1928-1866), Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 347, € 36,00. 9788820984922 acerdote torinese, educatore, fondatore della Congregazione di San S Giuseppe, san Leonardo Murialdo è una figura ascrivibile alla schiera dei santi sociali dell’Ottocento. La biografia degli anni della giovinezza è stesa sulla base di un ampio e minuzioso ricorso a fonti d’archivio, a colmare una lacuna sinora avvertita nella ricostruzione storica della vita del fondatore dei «Giuseppini del Murialdo». SAN BERNARDINO DA SIENA, Antologia delle prediche volgari. Economia civile e cura pastorale nei sermoni di san Bernardino da Siena, Cantagalli, Siena 2010, pp. 230, € 14,00. 9788882725877 e erano già stati studiati gli insegnamenti economici di Bernardino da S Siena, tanto da farlo annoverare tra i maggiori pensatori economici del Medioevo, le analisi erano sinora state condotte sui soli sermoni latini, indirizzati dal santo ai giovani francescani studenti di teologia. La presente opera trova ulteriori elementi utili sul pensiero economico e sociale di san Bernardino all’interno delle prediche volgari, destinate alla folla riunita nel Corso (1425) e poi in piazza del Campo (1427). Esse tratteggiano il delinearsi di una nuova dottrina civile che dà spessore all’idea di valore economico, alla fraternità umana e alla relazione sociale in aggiunta ai tradizionali valori d’uso e di scambio (l’economia di comunione ha radici lontane). n che cosa consiste il processo di riconciliazione? Che cosa Ipercorso, lo facilita? Quali sono le fratture ricorrenti che lo bloccano? Il in 4 volumi, offre esercizi per un laboratorio di crescita personale e di gruppo. «Genitori-figli e formazione» pp. 80 cad. - € 6,00 cad. Di prossima uscita i volumi successivi: 3. Gli alleati nel processo di riconciliazione 4. Itinerari per un processo di riconciliazione EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it VACCARO L., ZEKIYAN B. L., Storia religiosa dell’Armenia. Una cristianità di frontiera tra fedeltà al passato e sfide del presente, ITL, Milano 2010, pp. 476, € 20,00. 9788880257547 er il popolo armeno la fede cristiana e l’identità nazionale sono stretP tamente associate, con il riferimento centrale della Chiesa apostolica armena che ha rappresentato per secoli, e ancor più intensamente nel tragico Novecento del genocidio e della deportazione, il punto d’incontro e di unità. Il vol. raccoglie i contributi presentati all’omonima XXIII Settimana europea organizzata nel 2001 dalla Fondazione ambrosiana Paolo VI in occasione del 1700° anniversario della conversione al cristianesimo del re armeno Tiridate III insieme al suo popolo, nel 301. La qualità in- 468 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 CXXVIII 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 dubbia dei contributi si somma alla qualità della collana («Europa ricerche»), che nel corso degli anni ha formato un corpus di voll. sulla storia religiosa di numerosi paesi europei di notevole interesse. Pagina CXXIX lano-Bicocca, che si definisce un non credente «che, come tanti uomini e tante donne, non ha mai cessato d’interrogarsi sul mistero di esistere», espone i motivi che gli impediscono di credere e i sentimenti che prova per l’esperienza religiosa. INTROVIGNE M., ZOCCATELLI P., La messa è finita? Pratica cattolica e minoranze religiose nella Sicilia centrale, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 270, € 20,00. 9788882413385 Attualità ecclesiale APRILE B., Dialogo tra le culture. Ebraismo – cristianesimo – islam, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 391, € 30,00. 9788825023749 rutto dell’attività della «Cattedra di dialogo tra le culture», promossa F dalla Facoltà teologica «San Bonaventura» di Roma (frati minori conventuali) insieme all’Istituto teologico ibleo «San Giovanni Battista» di Ragusa, il vol. propone i contributi del primo ciclo d’incontri su «Ebraismo – cristianesimo – islam» nel 2008-2009. L’impianto privilegia soprattutto la dimensione culturale, più che religiosa, del dialogo, secondo l’impostazione preferita da Benedetto XVI, e dunque il piano sapienziale che permette alle diverse culture di educare l’uomo ai valori che stanno alla base dell’umanità stessa. CAMPANINI G., Un uomo nella Chiesa. Don Primo Mazzolari, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 266, € 20,00. 9788837224387 dati presentati in questa ricerca di sociologia religiosa intendono Iquenza spiegare l’ampia indagine dal titolo «Credere e appartenere. La freai riti religiosi nella Sicilia centrale» promossa nel 2009 dal Centro studi sulle nuove religioni (CESNUR) in collaborazione con la diocesi di Piazza Armerina. Una ricerca che può essere utile agli «“operatori pastorali” per monitorare la situazione religiosa dei vari paesi in vista di una programmazione pastorale organica che parta dall’analisi della realtà per puntare a una “nuova evangelizzazione” che si apra al dialogo ecumenico e tenga presente il “giorno del Signore” e dei sacramenti» (dalla prefazione di mons. Michele Pennisi, vescovo della diocesi). RIOLI M.C., Guarigione di popoli. Chiese e comunità cristiane nelle commissioni per la verità e la riconciliazione in Sudafrica e Sierra Leone, EMI, Bologna 2009, pp. 255, € 13,00. 9788830718555 sistono già ora «dei segnali di consolazione» in Africa, in particolaa bontà è un’altra cosa. Essa viene davanti e si fa strada nel cuo«L re con un senso di pietà che abbraccia ogni creatura e che t’im- Ere in Sierra Leone e in Sudafrica, paesi molto diversi fra loro, ma pedisce di giudicare, perché tu stesso ti senti spaccato dalla tua stessa che l’a. ha voluto «accostare per la scelta di ambedue di istituire, dopo povertà, che è poi la povertà di ognuno»: sono parole di don Mazzolari (1890-1959) scritte nel 1955 e commentate con benevolente simpatia dall’allora patriarca di Venezia, Roncalli (poi Giovanni XXIII). L’incontro di Mazzolari con alcuni dei protagonisti della Chiesa della seconda metà del Novecento è l’ultima parte di un libro che rappresenta per l’a. una sorta di sintesi di studi a lungo coltivati. Si parte dal racconto dell’inizio pastorale del giovane prete e delle sfide che si profilano ben oltre i confini della parrocchia; si passa poi al tema della ricerca di nuove vie di testimonianza (il rapporto con la politica, il modernismo, i lontani, la rivista Adesso); s’affronta la questione della profezia della pace, per poi arrivare al c. dedicato agli incontri con Bonomelli, Rossi, Bernstein, Fanfani, La Pira, Roncalli, Dossetti. le tragedie dell’apartheid e della guerra civile, una Commissione per la verità e la riconciliazione... con l’obiettivo di raggiungere una forma di giustizia restaurativa che adotti come caso serio la testimonianza delle Renzo Lavatori Lo Spirito Santo: persona e missione CENSIS, CEI, Spiritualità e operosità delle donne imprenditrici. Risultati di un’inchiesta e testimonianze, Franco Angeli, Milano 2010, pp. 156, € 19,00. 9788856824711 razie alla riflessione promossa dal gruppo di lavoro «Quando la G donna è imprenditore» dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, nel 2007 è stata commissionata al Censis una ricerca sul tema «Spiritualità e operosità delle donne imprenditrici: le tendenze in atto» che ha prodotto numerosi commenti e dibattiti sfociati in questo vol. La presentazione è di mons. A. Casile, direttore dell’Ufficio CEI, che sottolinea le implicazioni pastorali dei risultati della ricerca e l’introduzione a quattro mani è fatta dalla teologa M. Perroni e dalla storica economica V. Negri Zamagni. Chiudono il vol. nove testimonianze per valutare i risultati della ricerca rispetto alla loro esperienza di vita. DEMETRIO D., La religiosità degli increduli. Per incontrare i «gentili», EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 158, € 11,00. 9788825029093 invito lanciato da Benedetto XVI nel 2010 sotto il nome di «Cortile L’ dei gentili» – perché la Chiesa apra un dialogo «con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto» (Regno-doc. 1,2010,11) – viene raccolta dall’omonima collana di Messaggero, che conta a oggi 5 titoli. In questo volumetto l’a., docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Mi- CXXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 469 C hi è e che cosa fa lo Spirito Santo? Con impianto chiaro ed essenziale, il testo delinea alcuni sprazzi luminosi della dottrina sulla terza Persona della Santissima Trinità. I vari aspetti teologici e pastorali sono raccolti attorno a due nuclei fondamentali: l’identità personale del Paraclito, e la sua azione nella vita della Chiesa e dei cristiani. «Bibbia e catechesi» pp. 272 - € 19,80 Dello stesso autore: Gesù visto da vicino pp. 256 - € 19,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 Pagina CXXX L ibri del mese / schede Roberto Palazzo La figura di Pietro nella narrazione degli Atti degli apostoli N egli anni recenti e non, gli studi su Pietro sono stati numerosissimi e si possono raccogliere attorno a tre centri d’interesse: esegetico-dottrinale, ecumenico, esegetico-teologico. All’interno di quest’ultimo campo, lo studio verifica con l’ausilio dell’analisi narrativa com’è caratterizzato il personaggio di Simon Pietro negli Atti degli apostoli, prendendo in considerazione sia i singoli passi e brani, sia il libro nel suo complesso. «Supplementi alla Rivista Biblica» pp. 160 - € 15,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it vittime, la riconciliazione e la guarigione delle ferite del passato, il ristabilimento e la ricostruzione di relazioni, piuttosto che la paura e la semplice condanna penale dei responsabili di crimini» (dalla prefazione di B. Salvarani). ACCORNERO P.G., Papa Wojtyla. Un grande santo. La Sindone, i viaggi, i santi in Piemonte, Editrice Il Punto – Piemonte in bancarella, Torino 2011, pp. 221, s.i.p. 9788888552743 GRANA F.A. (a cura di), Santo padre. Le omelie di Benedetto XVI per Giovanni Paolo II, L’Orientale editrice, Napoli 2011, pp. 124, € 20,00. 9788887466720 Filosofia CALABRÒ P., Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne, Diabasis, Reggio Emilia 2011, pp. 150, € 15,00. 9788881037537 n viaggio coraggioso nel quale ci s’interroga sulla compatibilità tra la U filosofia di P. e il pensiero scientifico moderno. Le riflessioni di alcuni scienziati sui fondamenti filosofici della loro attività (Heisenberg, Planck, Bohr, Einstein tra gli altri), permettono all’a. di mostrare un’inattesa compatibilità di posizioni col pensiero di P. su temi come l’oggettività e l’universalità della scienza, l’esistenza della cosa in sé e della «materia inanimata». Il vol. intende «presentare l’esistenza di una filosofia, la metafisica cosmoteandrica, grazie alla quale è possibile dissolvere alcune contraddizioni tipiche delle idee di cosa in sé e di oggettività». CURCI S., La nascita dell’ateismo. Dai clandestini a Kant, LAS, Roma 2011, pp. 192, € 12,00. 9788821307744 a «nefasta separazione»: è questa l’espressione usata da Giovanni PaoL lo II per indicare quella traiettoria che di fronte alla giusta distinzione tra teologia e filosofia ha preteso di separare quest’ultima dalla prima. Ta- Davide D’Alessio Una comunità di uomini liberi Sui passi del Vangelo di Giovanni I l quarto Vangelo, a differenza dei sinottici, si concentra su alcuni momenti della vita di Gesù, ricostruendoli con molti dettagli. Quei momenti hanno infatti aperto gli occhi a Giovanni sulla verità del Figlio di Dio. Seguendo il metodo della lectio divina, le riflessioni del volume declinano quattro passaggi successivi: ascoltare la Parola, farsi discepoli, conoscere la verità e diventare uomini liberi. «Lettura pastorale della Bibbia - sez. Bibbia e spiritualità» pp. 176 - € 16,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it le frattura determinatasi nel tardo Medioevo diviene, dopo la speculazione cartesiana, classico modo di vedere Dio come concetto che perde la sua centralità per divenire tutt’al più garante di un sistema deduttivo come è nel caso dei razionalisti, oppure, come afferma l’empirismo, neanche più questo. L’a. con una disamina rigorosa, lucida, chiara raccoglie i vari tasselli di un mosaico non sempre facile da afferrare. Con tale quadro d’insieme permette di far capire le linee «ufficiali» e «clandestine», vale a dire una pista indiretta e una più esplicita tramite le quali si può penetrare il fenomeno dell’ateismo che nella divisione tra teologia, filosofia e scienze positive trova la sua ragion d’essere. FORNI ROSA G., La filosofia cristiana. Alla società francese di filosofia 1927-1933, Marietti, Milano 2011, pp. 124, € 18,00. 9788821175497 a questione della cosiddetta «filosofia cristiana» fu dibattuta in FranL cia tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento. Nella Chiesa era in corso la lotta al modernismo e alle istanze storicistiche del pensiero moderno. Il vol. presenta, nella I parte, il tentativo «di dare un volto nuovo alla filosofia all’interno del cattolicesimo» a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Nella II, l’a. riporta il successivo dibattito alla Società francese di filosofia (1927-1933) che, «sotto l’attento controllo dell’autorità ecclesiastica», vide contrapporsi gli alfieri del ritorno al tomismo, Maritain e Gilson, e i sostenitori della moderna «via dell’immanenza», Blondel e Bréhier. GRONDIN J., Introduzione alla filosofia della religione, Queriniana, Brescia 2011, pp. 165, € 14,00. 9788839908506 a un senso questa vita? Vi è in essa un’origine, una direzione, uno H scopo? La religione è, nell’esperienza umana, una risposta alla questione del senso tra le «più forti, più antiche e più credute». Compito di una filosofia della religione è «meditare sul senso di questa risposta e sul 470 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 CXXX 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 posto che essa si assume nell’esistenza umana sia individuale sia collettiva». Il vol., agile introduzione alla filosofia della religione, esibisce un impianto insolitamente «rovesciato»: dalle questioni più attuali e sistematiche, come la sfida della scienza moderna al religioso, all’analisi storica, che ripercorre le questioni fondamentali della disciplina dal mondo greco ad Heidegger. JASPERS K., Il male radicale in Kant, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 77, € 8,00. 9788837224820 a svolta dalla radicalità alla banalità del male di una sua ex allieva, L Hannah Arendt, provocò Jaspers a misurarsi nella maturità con la questione dell’inseità del male e a tornare sull’idea kantiana di «male radicale». Il filosofo aveva già affrontato il tema in un saggio del 1935, che il vol. propone per la prima volta in traduzione italiana. La questione abissale del male, che sospinge il pensiero fino al baratro del «non sapere», offre a Jaspers l’occasione di evidenziare la forza della filosofia trascendentale: «La forza di Kant sta dove egli, nella pura formalità, suscita il moto che illumina l’origine (…) con una purità raramente raggiunta da altri pensatori». Storia, Saggistica AOUN S., Parole-chiave dell’islam, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 179, € 18,00. 9788825022650 ipartiti per ambiti (termini giuridici, politici, economici e sociali, filoR sofici e mistici, del dogma e del rituale, personalità celebri), sono proposti in questo glossario i concetti principali che possono costituire una Pagina CXXXI re del proprio corpo e a determinare le proprie scelte riproduttive. Ma se ascolterà fino in fondo ciò che queste scelte portano dentro di sé, vedrà che non parlano soltanto delle donne, ma parlano di lui, del suo rapporto col proprio corpo, con la sua identità di uomo, e che contengono una domanda che va oltre la disponibilità alla cessione di spazi di potere o la condanna di forme di violenza e di oppressione. Ascoltare quella domanda è forse un’opportunità, per costruire un percorso di libertà e una ricchezza per la sua vita» (16-17). Il testo ripercorre l’esperienza dell’associazione nazionale Maschile plurale, sorta nel 2007, e le riflessioni svolte sino a oggi. Un filone di pensiero innovativo. CIGNELLI L., PIERRI R., Sintassi di greco biblico. (LXX e NT), Edizioni Terra Santa, Milano 2010, pp. 140, € 14,00. 9788862401005 ai corsi di greco biblico tenuti presso lo Studium biblicum franD ciscanum di Gerusalemme, i due aa. propongono – dopo il Quaderno I.A sulle concordanze, edito nella serie «Analecta», n. 61 – un’approfondita trattazione di un argomento centrale per l’interpretazione dei testi, qual è l’uso delle diatesi verbali (la varietà di disposizione del soggetto nei confronti del processo verbale inteso come attivo, passivo o medio), una caratteristica della lingua greca ricca di possibilità espressive non sempre adeguatamente analizzate. Lo studio rileva quanto nel verbo greco l’opposizione tra soggettività e oggettività sia molto più estesa rispetto a quanto di solito osservato negli studi. I due aa., il primo dei quali scomparso nel 2010, propendono per non accreditare per il greco biblico un uso delle diatesi influenzato dalle lingue semitiche. Sono in preparazione i quaderni sull’articolo (I.B), i casi (I.C), le preposizioni (I.D), i tempi e i modi (II.B), l’infinito e il participio (II.C). primissima introduzione alla cultura musulmana: stato delle riflessioni, interpretazioni e controversie. L’a. è un politologo che insegna all’Università di Sherbrooke, Québec. CASTELVETRO L., Filologia ed eresia. Scritti religiosi, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 363, € 25,00. 9788837224455 Gianfranco Ravasi e opere qui raccolte del filologo, umanista e critico letterario moL denese vissuto nel XVI secolo – morto in esilio dopo essere sfuggito a un processo inquisitoriale e del quale sinora non sono stati trovati Gli Atti degli apostoli scritti di contenuto teologico – sono i testi di attribuzione certa e utili a illuminare il suo pensiero religioso, questione centrale nella definizione del suo profilo complessivo e tuttavia rimasta marginale. Si tratta di alcune opere ancora inedite e di altre ormai di difficile reperibilità, compresi i volgarizzamenti di scritti di Filippo Melantone ed Egidio Foscherari, vescovo di Modena. Una figura meno nota, ma molto rappresentativa dell’ambiente culturale del secolo della Riforma e della Controriforma. CHALIER C., Le lettere della creazione. L’alfabeto ebraico, Giuntina, Firenze 2011, pp. 117, € 10,00. 9788880574095 a., filosofa, allieva e interprete originale di Levinas, che in varie L’ opere ha esplorato i legami tra filosofia e tradizione ebraica (cf. anche Regno-att. 10,2002,331 su Le Matriarche e l’intervista su Regno-att. 22,2002,721), indaga sulla funzione delle lettere in una creazione che deve tutto alla parola, ispirandosi tanto alla grafia quanto alle suggestioni del Talmud e dello Zohar in una scrittura piena di simbolismo e radicamento nella tradizione ebraica. CICCONE S., Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg & Sellier, Torino 2009, pp. 252, € 18,00. 9788878850750 n uomo può schierarsi per la parità dei sessi nell’accesso al po«U tere o al reddito, può battersi contro la violenza sulle donne o la mercificazione dei loro corpi, può affermare il loro diritto a decide- CXXXI IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 471 Cinque conferenze tenute al Centro culturale S. Fedele di Milano I n un CD formato MP3 vengono proposte le cinque conferenze del card. Ravasi, che commentano il libro degli Atti degli apostoli. Uno strumento adeguato al pubblico di oggi e molto apprezzato per la chiarezza espositiva e la profondità di analisi del noto biblista. «Lettura della Bibbia» Cofanetto CD/MP3 - € 17,40 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 Pagina CXXXII L ibri del mese / schede Alfio Mariano Pappalardo Chi non è ospitale non è degno di vivere Suggestioni per una spiritualità dell’accoglienza L’ ospitalità chiama necessariamente in causa la propria visione di Dio, il modo di rapportarsi con lui, con se stessi e con gli altri. L’autore disegna la mappa di una spiritualità dell’accoglienza, a partire dai testi biblici. In un tempo in cui spesso atteggiamenti xenofobi tradiscono la paura del diverso, ripercorrere il vangelo dell’accoglienza significa dire una parola di umanità e di fede al cuore e alla mente dei cristiani. «Itinerari» pp. 224 - € 19,50 Dello stesso autore: L’Eucaristia sorgente della Chiesa? pp. 128 - € 11,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it CORUZZI R., SALETNICH E., Distanze ravvicinate. Alcune amicizie, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 198, € 12,50. 9788821568701 a scrittura è sempre stato un mezzo eccellente per esplorare e racconL tare sé stessi e comunicare con gli altri, anche quando lontani. Questo rimane valido a maggior ragione oggi che ci si può avvalere di nuove tecnologie. Così una studentessa universitaria disabile col progetto di diventare scrittrice e un professionista romano quarantenne, coniugato, decidono di conoscersi e scrivere un libro attraverso uno scambio epistolare via e-mail, in cui parlano di sé stessi e delle proprie passioni, superando distanze geografiche e di vita. DE PADOVA M., In corpore meo, Aculmine, Alessandria 2011, pp. 101, € 16,00. a prigionia dei giorni, le trappole del proprio corpo, le infermità L dell’anima: forse nient’altro che una poesia che scava nel dato quotidiano con uno stile che non cede di un’unghia ai giri armonici delle parole o delle facili allitterazioni. Una poesia spoglia, ma al tempo stesso pudica che sa farsi, a tratti, invocazione a un «dio ignoto» eppure da sempre presente nel periferico, nel fioco, nella rimanente certezza di essere: «Ombre a convergere noi siamo,/ procedendo a puntate/ sopra de claritate,/ io e Dio che non si mostra/ oh vieni allo scoperto;/ insomma parla se/ io sono residuale/ marginale/rispetto al resto universale/ ma tutto s’aggroviglia, s’abbuia/ e m’impaura/ lo stallo/ oltremisura». FIGHERA G., «Amor che move il sole e l’altre stelle». L’uomo, l’amore, l’infinito, Ares, Milano 2010, pp. 283, € 18,00. 9788881555055 erzo libro dell’a. che, dopo la felicità e la bellezza, si focalizza sul T tema dell’amore, inteso come agape più che eros, intrecciando le proprie riflessioni con citazioni tratte dalla tradizione classica e moderna, spesso con una certa spregiudicatezza per avvalorare le proprie tesi. Innocenzo Gargano «Lectio divina» su il Vangelo di Matteo/5 «Coraggio, sono io!» (cc. 13,53–18,35) P rosegue l’apprezzata lectio divina dell’autore sul Vangelo di Matteo. Il testo commentato appartiene a uno dei cinque grandi discorsi di Gesù, il «discorso ecclesiastico», e alla sezione narrativa che lo introduce. Non mancano eventi, episodi, miracoli, situazioni personali di Gesù e dei suoi discepoli sui quali Matteo sollecita la particolare attenzione dei lettori. «Conversazioni bibliche» pp. 160 - € 13,50 «Lectio divina» su il Vangelo di Matteo/1, 2, 3 e 4 EDB 9788830719590 li aa. formulano al termine del vol. la «proposta di un’ora di G storia delle religioni curricolare per le scuole di ogni ordine e grado» (235ss). Partendo dalla duplice costatazione che da un lato «l’Italia è una culla degli studi storici sulle religioni» (12) e dall’altro che l’ora di religione prevista dal concordato tra stato e Chiesa cattolica serve a «far conoscere la religione cristiana cattolica a chi viene da lontano» (13), c’è uno spazio ulteriore e non escludente il precedente per un insegnamento che con un taglio storico-scientifico sia incentrato sulle religioni con cui il mondo globalizzato viene ogni giorno sempre più a contatto. La prassi e il dibattito europei stanno da tempo esplorando questi territori e anche di questi esempi ragiona il vol., presentando nell’ultima parte alcuni casi. Il tema è stato trattato anche nel numero monografico del 2009 di Studi e materiali di storia delle religioni – «L’insegnamento della storia delle religioni in Europa tra scuola e università» – pubblicato da Morcelliana nel 2009. Politica, Economia, Società In libreria i volumi precedenti: pp. 128/184 - € 13,50 cad. Edizioni Dehoniane Bologna GIORDA M., SAGGIORO A., La materia invisibile. Storia delle religioni a scuola. Una proposta, EMI, Bologna 2011, pp. 239, € 14,00. Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it BAZZICHI O., Il paradosso francescano tra povertà e società di mercato. Dai Monti di Pietà alle nuove frontiere etico-sociali del credito, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 175, € 15,00. 9788874026654 sembrare paradossale legare la spiritualità francescana con la Puòscienza economica. Invece con questo studio, l’a. analizza l’emer- 472 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 CXXXII 464-473 libri_schede_R124-133:Layout 2 25-07-2011 16:17 gere di una dottrina economica e sociale nella Scuola francescana medievale e tardo-medievale, fino all’istituzione dei Monti di Pietà, dei quali viene evidenziata la radice teologica e antropologica. La riflessione finale sul difficile concetto di gratuità viene proposta con la prospettiva di trovare, nella presente stagione di crisi economico-finanziaria e antropologico-relazionale, «suggestioni e spunti per immaginare un modello di sviluppo diverso». CAMPIGLIO L., ZAMAGNI S., Crisi economica, crisi antropologica. L’uomo al centro del lavoro e dell’impresa: come il credito può favorire lo sviluppo. Rimini, 31 gennaio 2009, Il Cerchio iniziative editoriali, Rimini 2010, pp. 53, € 6,00. 9788884742278 tti del convegno organizzato dalla Fondazione internazionale A Giovanni Paolo II per il magistero sociale della Chiesa insieme alla Unione provinciale cooperative di Rimini e a cinque banche di credito cooperativo sul tema della crisi economica, partendo dalla comune sensibilità di questi enti rispetto alla dottrina sociale della Chiesa. La riflessione su questo tema, con il contributo dei due studiosi Campiglio e Zamagni, ha portato a interpretare quella attuale «come una crisi fondamentalmente di tipo antropologico, quindi una crisi della concezione dell’uomo, della vita e del lavoro». CAPRARA G.V., SCABINI E., SCHWARTZ S.H., I valori nell’Italia contemporanea, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 364, € 32,00. Pagina CXXXIII Pedagogia, Psicologia ACETI E., Amarsi e capirsi. Per un’educazione alla reciprocità, Monti, Saronno (VA) 22010, pp. 100, € 8,00. 9788884772138 a nostra è l’epoca dei legami spezzati, ma anche dei legami ricerL cati». Di fronte ai reiterati rapporti sulla crisi della famiglia, è necessario riconoscere che la sua importanza rimane ancora fondamentale per la nostra società. Nel tentare di leggere la crisi della coppia e della famiglia nella sua dimensione psicologica, l’a. sottolinea la necessità d’investire nella cura dei legami, affinché essi possano durare e approfondirsi nel tempo, e arriva a fare una proposta coraggiosa: «rendere obbligatorio in tutti i comuni l’organizzazione di corsi per la formazione al matrimonio». AJROLDI M., Dimensione casa. Cultura e cura della vita domestica, Ares, Milano 2011, pp. 198, € 12,00. 9788881555239 l vol. propone un itinerario fatto di riflessioni e sentimenti, ognuno inIderna, trodotto da un’immagine poetica tratta dalla letteratura antica o mosull’«essere e il fare famiglia», per arrivare infine a scoprire «l’orizzonte di riferimento unitario» che è la fede cristiana. L’a. si rivolge in particolare alla donna, interpretando il ruolo femminile come principale custode di una «cultura della cura» che si esprime specialmente nella dimensione della casa. 9788856834475 l tema dei valori, una «costante della riflessione etica e filosofica nella storia delle idee», si è rivelato – con lo sviluppo delle scienze dell’uomo – un «punto di incontro tra scienziati sociali di diversa provenienza disciplinare». I contributi raccolti nel vol., tutti «corredati da una gran mole di dati raccolti nell’ambito di un’estesa indagine nazionale, condotta tra il 2004 e il 2005», si occupano del variegato «universo dei valori» e del loro ruolo a livello individuale (per il benessere psicologico, l’orientamento ideologico e le scelte politiche) e sociale (volontariato, relazioni familiari, relazioni in adolescenza). I MORIN E., La mia sinistra. Rigenerare la speranza, Erickson, Gardolo (TN) 2011, pp. 252, € 18,50. 9788861377509 ome costruire una cultura politica a partire da esigenze improcrastinabili quali la crisi di un’economia capitalistica, l’emergenza della degradazione della biosfera, la marea montante dei razzismi sempre più evidente: da queste premesse muove il saggio di uno dei maestri del Novecento europeo. Per M. la barbarie che viene dal fondo dei tempi con il suo carico di crudeltà, di odio, di disprezzo resi immanenti dalla logica della tecnica e del profitto potrà essere contenuta solo a patto di radicali trasformazioni in grado di conservare intatti i tesori delle culture. Appartenenza al mondo, speranza nell’improbabile, aspirazione all’umano non per instaurare il regno di Dio sulla terra, ma per migliorare un poco la convivenza degli uomini. Da leggere. C ZANOTELLI A., I poveri non ci lasceranno dormire. Da Korogocho al Rione Sanità, Monti, Saronno (VA) 32011, pp. 109, € 9,50. 9788884772053 a BRIGUGLIA A., SAVAGNONE G., Scienza e fede. La pazienza del dialogo, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 207, € 14,00. 9788801045918 a collana cui il vol. appartiene intende offrire a operatori pastorali, caL techisti e insegnanti uno strumento di formazione su temi oggi difficilmente aggirabili, con uno stile accessibile anche ai «non addetti ai lavori». È possibile credere nell’era della scienza? Uno scienziato può essere credente? Si possono accettare insieme l’ipotesi del Big Bang e l’idea di creazione? L’evoluzione e l’anima spirituale? Sono queste alcune tra le domande alle quali gli aa., entrambi docenti con esperienza nei licei e in scuole superiori di specializzazione, intendono offrire una risposta. La scelta apprezzabile della «prospettiva dialogica» nel rapporto tra scienza e fede appare rispettosa sia della complessità del reale sia dell’unità interiore dell’uomo. CARMAGNANI R., DANIELI M., Itinerari di coppia per il terzo millennio, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2010, pp. 206, € 12,00. 9788873575122 ato dal racconto di vita di alcune coppie, il libro guarda alla vita N coniugale come a un «progetto di vita a due» nel quale riconoscere «la parte migliore l’uno dell’altra»; al «tempo» in cui far nascere, coltivare e attuare tale progetto di vita, definito dagli aa. «il noviziato dell’amore»; e all’esigenza di un’educazione all’amore, togliendosi dalla testa il concetto che l’amore è un sentimento innato che non necessita di particolari approfondimenti. Nell’affrontare questi temi gli aa. scelgono tre approcci che si completano a vicenda: psicologico, pastorale e pedagogico. CESARI LUSSO V., È intelligente ma non si applica. Come gestire i colloqui scuola-famiglia, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 174, € 15,00. 9788861376656 a a 3 edizione aggiornata del famoso libro (1 edizione nel 1996) di Alex anuale sulla comunicazione docenti-genitori articolato in tre parti: la L Zanotelli – dove il padre comboniano racconta vita, esperienze e ri- MI presenta alcuni fenomeni delle moderne società e le loro ricadute flessioni maturate in una delle baraccopoli di Nairobi, Korogocho – s’ar- sulla relazione scuola-famiglia nonché alcuni fattori chiave che caratterizricchisce di una nuova prefazione, scritta dall’attore M. Paolini, ma soprattutto di un’appendice che raccoglie tre lettere di Zanotelli e un articolo del Corriere della sera, dove si raccontano il suo impegno civile e sociale e la sua testimonianza religiosa nel rione Sanità della città di Napoli, dove vive dal 2002. CXXXIII zano i processi relazionali e comunicativi. La II presenta un ampio ventaglio di situazioni concrete, precedute da un «siparietto» e da un commento che evidenzia i processi affettivi e relazionali in gioco. La III propone alcune condizioni generali che favoriscono la buona riuscita dei colloqui docenti-genitori. IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 473 L 474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2 25-07-2011 17:13 Pagina CXXXIV L ibri del mese / segnalazioni P. CABRI, SULLA DIFFICILE ARTE D’AMARE. Con Lévinas, oltre Lévinas, EDB, Bologna 2011, pp. 359, € 30,00. 9788810408278 L’ amore deve sempre sorvegliare la giustizia». In questa frase tratta da Filosofia, giustizia, amore si può condensare lo sforzo interpretativo ad ampio raggio condotto dall’autore sull’opera di Lévinas. L’amore detta le condizioni dell’essere con gli altri. Ne controlla l’attuazione nell’agire sociale e politico. E finisce per decretare l’insufficienza delle istituzioni umane nel dare attuazione al primo comandamento dell’etica: «Tu non ucciderai». Il mondo in cui l’umanità vive è fatto di sproporzioni: l’amore è troppo grande per essere realizzato; ma anche troppo piccolo e quotidiano per essere ignorato. È quel di più che decreta la relatività dello stato e della sua giustizia. Ma è anche quel di meno che obbliga la politica a sottomettersi, abbassandosi, alla legge della prossimità. Innervata dall’amore, che è l’esperienza etica fondamentale, la politica vive inquieta i propri limiti e custodisce dentro di sé «il desiderio di una giustizia maggiore», che però non può attuare senza il soffio potente e originario dell’etica (283). A partire da questo paradosso levinasiano, che pone il duale e il molteplice all’origine della realtà umana, Cabri evidenzia il valore profondo che ha la socialità nel pensiero del filosofo lituano-francese. Anche se talvolta si ha l’impressione che il nostro autore dedichi tanta attenzione a questo tema per scagionare Lévinas dall’accusa secondo cui il suo pensiero etico-politico è pieno di banalità, perché l’etica della relazione e della reciprocità offre un fondamento non idoneo a pensare i problemi etico-politici nell’età della globalizzazione e delle migrazioni, della multiculturalità e della fine dello stato-nazione (Sibony). L’interpretazione convincente di Cabri evidenzia come in Lévinas ciò che nella vita quotidiana sembra banale nasconde invece un dramma: viviamo in un mondo in cui non siamo i primi venuti. Non siamo noi a dettare le regole. Questo vale non solo nella relazione a due (etica), ma anche in quella con il nostro mondo-ambiente (politica). Ma c’è un dramma nel dramma: nel mondo c’è sempre un terzo che spezza ogni polarizzazione io-tu e apre la relazione verso l’indefinito. L’apertura della società agli altri, ai tanti è il dramma eticamente 474 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 più inquietante, perché l’umano si trova a dover rispondere a imperativi contrastanti. C’è una via d’uscita, o la società umana è condannata a essere un eterno paradosso, il regno eternamente incompiuto dell’assurdo? La cultura francese del secondo Novecento – da Sartre a Foucault – propendeva per questa seconda soluzione. La risposta di Lévinas consiste invece nell’imboccare la via di un’etica di «negoziazione» (Derrida), in cui il primato assoluto dell’altro viene sacrificato a vantaggio della validità generale della legge (279). È la via del realismo etico, ma non quella della Realpolitik. Il nostro vivere sociale implica inevitabilmente una certa dose di spersonalizzazione delle relazioni interpersonali e un sostanziale disincantamento di ogni assoluto. Questo processo è la prima e fondamentale violenza che la vita sociale deve subire quando appare «il terzo», colui che non è né me, né te (276). In questa reminiscenza della teoria weberiana dello stato, che ha il monopolio dell’uso legittimo della forza, bisogna ravvisare l’alto grado di drammaticità dell’etica politica lévinasiana. Lévinas stesso conosce l’inadeguatezza del suo pensiero a interpretare con precisione i processi sociali e culturali in atto nelle istituzioni politiche contemporanee. Turbato dalla inevitabilità della ragione politica e dalla sua fredda strumentalità, non fugge da questi problemi, ma si arresta prima. Non troveremo in lui le soluzioni, ma soltanto le enunciazioni dei principi, che dovranno guidare la ricerca di concrete vie d’uscita. È un atto di profonda onestà intellettuale. Il primo di questi principi etici riguarda lo stato. L’analisi fenomenologica consente di ridurre la storia politica a due fondamentali forme di stato: lo «stato di Cesare», che si identifica con l’onnipotenza del diritto in quanto unica forza capace di regolamentare e gestire la natura conflittuale delle relazioni sociali; lo «stato di Davide», il quale prende vita dal riconoscimento delle relazioni di prossimità fraterna che lo precedono (280). Nell’alternativa: o Roma o Gerusalemme, si annuncia il dilemma dell’etica moderna, divisa tra una soggettività totalizzante e un’altra relazionale. A seconda della soggettività scelta, dipende una politica dell’ordine e della sicurezza, oppure una politica della libertà e della partecipazione. La preferenza di Lévinas va a Gerusalemme: non per ragioni di campanilismo etnico-religioso, ma perché solo a Gerusalemme si contempla la possibilità che la misericordia scenda in campo a difendere l’umanità e i suoi diritti inviolabili (281). Il secondo principio riguarda il contenuto etico principale della vita civile. A Gerusalemme il nemico (hostis) si trasforma in ospite (hospes). L’altro non smette di essere un separato, un diverso. Ma nello stato di Davide egli acquista la parola e il diritto di esercitarla. Que- sto fatto inusitato rovescia la relazione di accoglienza. Il primo sì lo dice l’ultimo arrivato, lo straniero: attraversando la frontiera, egli si dispone ad accogliere gli abitanti della terra nuova che ora egli occupa. Così l’ospitalità è sempre solo una risposta, che io rendo all’altro, predisponendomi ad accoglierlo in modo smisurato, senza se e senza ma (292). Così strutturata, l’ospitalità è un problema impolitico (304), che precede e rende possibile la fissazione di regole politiche. Se i due «sì» non s’incrociano nella reciprocità di un dono gratuito e senza limiti, porre regole e divieti all’ospitalità è privo di senso. Allo stesso modo è priva d’efficacia la prassi politica che ne consegue: non importa se restrittiva o permissiva, se localistica e identitaria oppure cosmopolita e multiculturale. Essa serve solo a nascondere ipocritamente la «cattiva coscienza dell’europeo» e la «barbarie dell’essere» che la ispira (307). Proprio perché è un principio impolitico, l’ospitalità è quella condizione fondamentale della relazione con altri, che apre alla comprensione più profonda della realtà. L’irriducibilità della separazione che divide ospitato e ospitante, la continua intercambiabilità dei loro ruoli disvelano la «vera struttura dell’essere», che è la molteplicità (290). Qui il pensiero di Lévinas si fa più metafisico e complesso: il suo linguaggio specialistico vuole smantellare la filosofia dell’identità, che da Parmenide a Hegel ha gonfiato d’orgoglio l’Occidente e spesso gli ha impedito di riconoscere l’essere nella pluralità delle voci che provenivano dai mondi altri. In principio c’è il molteplice, ciò che è irriducibilmente altro e straniero. Per questo ogni ospitalità è un atto di apertura (293), che è espressione del «desiderio metafisico che tende all’assolutamente altro» (290). L’ospitalità apre al divino e, nello stesso tempo, lo materializza negli atti dell’accoglienza e dell’affetto come l’abbraccio e la carezza, i quali rivelano il volto sensibile e fragile di Dio. Nel misto di vicinanza e irraggiungibilità, di cui parlano i gesti dell’ospitalità, si manifesta l’ «ospitalità della ragione» (293), ovvero la capacità tutta umana di coniugare il già e il non ancora, il finito e l’infinito (295). Proprio misurandosi con la politica e con la sua radicale insufficienza, Lévinas approda a quella dimensione dell’impolitico – l’ospitalità – da cui si dischiude il cammino della teologia. Qui il cammino si fa più impervio e l’interpretazione deve passare dall’esegesi all’immaginazione. Da queste annotazioni che abbiamo ricavato dallo studio di Cabri emerge la «straordinaria efficacia di pensiero» (273) che caratterizza l’opera di Lévinas: essa rivela la sua fecondità proprio nel confronto con problemi che il filosofo francese ha solo intravisto (28). CXXXIV 474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2 A questa lettura in obliquo di Lévinas si riferisce anche la questione epistemologica che ha ispirato questa articolata ricostruzione del pensiero levinasiano: che cosa Lévinas ha da dire alla teologia di oggi? Convengo con Salvarani che si debbano cambiare le parole di Cabri, sostituendo l’irenico «può dire» con un polemico e deciso «deve dire» (9). Per una comprensibile prudenza ermeneutica del nostro autore, manca nel suo saggio un capitolo dedicato a questo tema. Mi permetto di tratteggiarne qui una sorta di indice ragionato, sperando di poter avviare con lui e con altri una feconda discussione su questo tema. Lévinas obbliga la teologia che assuma le sue categorie di pensiero a rovesciare il proprio punto di partenza, cominciando dal basso, dalla relazione quotidiana d’alterità. La rivelazione del Volto è la condizione antropologica di ogni altra rivelazione: senza il riconoscimento e la dedizione al volto d’altri (con la «a» minuscola) al sapere della fede resterà impossibile riconoscere il volto d’Altro (con la «a» maiuscola). La questione è ancora più radicale: la teologia può avere un differente punto di partenza, che non sia l’esperienza etica dell’alterità? Sostiene Lévinas che nessun sapere, il quale voglia essere degno di questo nome, oggi può prescindere dal presupporre il primato della relazione disinteressata e responsabile (313). Ma il teologo cattolico medio odierno prende le distanze da questa affermazione e risponde: certo che c’è un altro punto di partenza per la teologia ed è ben più autentico di quello etico! La Bibbia e la tradizione della Chiesa sono i presupposti necessari di una teologia che voglia essere teo-logica dalla prima all’ultima parola. Ma che cos’è la Bibbia – ribatte Lévinas in questa discussione immaginaria – se non «kerygma etico»? Per questo è «l’archetipo di ogni linguaggio» umano (314). E per lo stesso motivo la teologia prende vita dalla ragione dell’ospitalità, che realizza il primato cognitivo della ricettività. Smettendo i panni del sapere dogmatico e autoreferenziale, la teologia che s’ispira a Lévinas diventa un sapere capace di superare il logocentrismo occidentale, ovvero si lascia dietro le spalle la visione astratta della verità che permane immutabile nel tempo e nelle culture, eternamente identica a se stessa. Riscrivendo il proprio patrimonio spirituale e concettuale nel linguaggio dell’ospitalità, la teologia si trasforma nel sapere dell’inquietudine e del sospetto (198-199), per usare un binomio caro a Derrida. Riscopre la storicità delle proprie conoscenze e, consapevole della propria relatività che si svela nella relazione del proprio fondamento incondizionato, sa essere relazionista senza diventare relativista, per citare Mannheim. Certa teologia cattolica odierna subisce il CXXXV 25-07-2011 17:13 Pagina CXXXV fascino della certezza apodittica, del principio non negoziabile, della verità priva di presupposti storico-culturali. Continuando il nostro dibattito immaginario, è a essa che Lévinas racconta la «parabola della luna che si fa piccola» (315). Per evitare che la pari grandezza del sole e della luna degeneri in una guerra cosmica tra i grandi luminari, Dio non rimpicciolisce la luna con la forza, ma si rivolge alla sua intelligenza e le comanda di manifestare la propria grandezza rimpicciolendosi. Questo è il percorso che Lévinas indica a tutta la teologia cristiana odierna, se essa vorrà riconquistare il proprio ruolo di sapere archetipico, che il cogito del razionalismo moderno ha più volte messo in discussione. In questo modo potrà recuperare anche il suo compito di sapere critico, questo sì riconquistato durante la vicenda della modernità e recentemente rimesso in discussione da un inusitato ritorno del principio di autorità e da quello di carisma (che spesso si fondono a formare una lega rigida e inossidabile). La teologia come sapere critico è prima di tutto un sapere che critica se stesso e usa le risorse della razionalità per rimpicciolirsi come la luna. Ma è anche un sapere che sa criticare la realtà in cui vive, esercitando l’arte divinatoria di chi è ospite del mondo ideale, il mondo del dover-essere. Una teologia critica è così nello stesso momento un sapere utopico, che nel volto d’altri scorge la «traccia» del mondo che dovrà venire, e un sapere profetico, che esercita la sua umiltà kenotica «anche nell’umiliazione della grandezza» umana, religiosa, politica (316). Come l’arte d’amare da cui prende avvio e di cui la sua razionalità ospitante è un frutto prezioso, anche la teologia con e oltre Lévinas, è «difficile perché esigente» (273). Ma è forse l’unico antidoto contro la trasformazione del logocentrismo in logolatria. Paolo Boschini M. MURGIA, AVE MARY. E la Chiesa inventò la donna, Einaudi, Torino 2011, pp. 166, € 16,00. 9788806201340 U na sera fredda, d’inverno. Un piccolo paese della Sardegna. Un convegno dal titolo provocatorio: «Donne e Chiesa: un risarcimento possibile?» La sala piena di donne «compostamente in attesa». Delle tre relatrici invitate, due sono teologhe di professione. La terza non fa la teologa, anche se ha fatto studi di teologia. Nel suo intervento, «di carattere piuttosto pratico», ella racconta la sua «esperienza diretta di donna cristiana e di animatrice parrocchiale di lungo servizio (…) nelle file di Azione cattolica». La reazione delle donne presenti in sala è sorprendente: «Fummo noi alla fine – scrive la Murgia – a dire basta, e confesso che almeno io lo feci con l’intento di dare qualche sollievo al povero parroco, visibilmente prostrato dalla piega che aveva preso la serata. (…) Questo libro è nato quella sera» (6). Il saggio della giovane scrittrice sarda, che occupa da settimane i vertici delle classifiche di vendita, è intelligente, graffiante, arrabbiato. A tratti forse troppo. Sollecitata e seguita nella stesura dalle due amiche teologhe (Marinella Perroni e Cristina Simonelli), la Murgia riflette, a partire dalla propria storia, sul ruolo della donna nella Chiesa affrontando la questione in modo panoramico, da diverse angolature. «Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazaret» (7). La tesi è chiara. «Qui interessano soprattutto le ferite che (le false narrazioni su Dio) hanno causato e continuano a causare alle donne (…): dobbiamo capire le storie che hanno generato mondi dove tutte abbiamo dovuto prendere cittadinanza» (123). Al processo di creazione di un immaginario femminile funzionale a una cultura patriarcale – ovvero l’immagine della donna come sposa e madre; angelo del focolare; «ammortizzatore sociale» (49); Mater dolorosa; figura fondamentale, ma essenzialmente consacrata «all’annullamento sacrificale di sé» (45) – non è affatto estranea la tradizione cristiana. Nel cristianesimo la costruzione di un tale immaginario deriva, secondo l’autrice, da due passaggi fondamentali. Da un lato, l’interpretazione «patriarcale» dei capitoli 2-3 del Genesi, che ha generato nella predicazione la figura di Eva – «archetipo primo del genere femminile» (21) – come creata per seconda e prima responsabile della situazione di morte, fatica e limite propria dell’esperienza umana (inferiorità ontica ed etica della donna). Dall’altro, la costruzione di un modello archetipico femminile positivo sostanzialmente unico, quello della «madre di Gesù», mediante un «processo mistificatorio» che ha trasformato Maria «da ragazza libera e coraggiosa in pia donna, docile e muta» (133), «modello ferreo per la femminilità di quasi venti secoli» (33). «Il senso di colpa insito nella consapevolezza di essere figlie della responsabile per IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 475 L 474-476 libri_segnalazione cabri_R134-135:Layout 2 25-07-2011 17:13 Pagina CXXXVI L ibri del mese / segnalazioni eccellenza» (45), e l’identificazione richiesta alla donna credente con questa figura di Maria, avrebbero favorito e sostenuto nei secoli una condizione di sottomissione femminile tuttora non riscattata nella nostra cultura: «Attraverso la costruzione fittizia di una specie di via del sì alla santità, la struttura patriarcale trovava nella religione cattolica una formidabile alleata per continuare a esigere la muta sudditanza femminile» (114). «Che il silenzio-assenso femminile sia la condizione fondamentale perché questo modello di mondo continui a reggersi non c’è il minimo dubbio» (74). I temi affrontati e le tesi proposte non sono una novità. Il saggio è debitore in larga parte alla riflessione sviluppata nell’ambito della cosiddetta «teologia femminista», movimento nato nel mondo anglosassone e nordamericano in confronto critico con le istanze del femminismo moderno, che ha inteso sviluppare una teologia fatta da donne impegnate nei «movimenti di liberazione» degli anni Sessanta e Settanta del Novecento (una «teologia della liberazione in prospettiva femminista», secondo la definizione di Letty Russell). I temi ci sono quasi tutti: la distinzione tra il valore teologico di un testo biblico e la sua enunciazione storicamente condizionata; la questione del concetto di «Dio Padre» e del «femminile in Dio»; la maschilità del Cristo, il salvatore universale; una mariologia che, subordinata al trattato cristologico, ha favorito – nel gioco delle identificazioni archetipiche – la subordinazione del principio femminile; e infine, la necessità di valorizzare la riflessione teologica delle donne. L’esistenza di una «questione femminile» nella Chiesa è difficilmente negabile. La necessità di una seria riflessione e di un’urgente revisione delle pratiche ecclesiali per riferimento a tale questione lo è altrettanto. L’intervento del teologo francese J. Moingt, ospitato sulle pagine della nostra rivista (cf. Regno-att. 4,2011,76), è un esempio di riflessione sul tema tra i più recenti e originali. La forza di Ave Mary – che non è e non vuole essere un saggio teologico – è quella di divulgare con uno stile accattivante una serie di problematiche reali. Come denuncia scritta da una donna «pensando alle donne» può risultare efficace. Tuttavia, il testo non riesce a liberarsi – nel linguaggio e nelle argomentazioni – da un orientamento ideologico che finisce per semplificare le questioni con analisi che risultano più risentite che critiche. La stessa teologia femminista ha maturato riflessioni ulteriori che nel libro non sono considerate. Il cristianesimo ne esce, quasi senza appello e senza speranza, come sistema nel quale è stata elaborata una visione del fem- 476 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 minile funzionale a una struttura sociale iniqua e violenta («una colossale struttura di dominio» [115]), imposta sotto «minaccia dell’esclusione dal piano della salvezza» (159). La «questione femminile» nella Chiesa va affrontata. Occorre però aprire un dibattito che troverà accoglienza solo se si riconosce e si rispetta tutta la complessità delle questioni in gioco. Marco Bernardoni G. COCCOLINI, ALLA RICERCA DI UN ETHOS POLITICO. La relazione tra teologia e politica in Joseph Ratzinger Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2011, pp. 212, € 20,00. 9788861242517 Il discorso sul ruolo di una «teologia politica» diviene una questione di sempre più urgente attualità in questi frangenti storici (…). I tempi presenti non sono più «i favolosi anni Sessanta», in cui il mito di un progresso ritenuto senza limiti e la speranza di una società più giusta spingevano, credenti e non, sul fronte di utopie economiche e sociali di vasta scala. Gli anni successivi, il crollo del muro di Berlino e l’undici settembre, hanno segnato una brusca rottura con questo paradiso di sogni fantastici e ricondotto le coscienze a misurarsi con la dura realtà di una società sempre più difficile e complessa, perché sempre più multireligiosa, i cui spazi risultavano cioè sempre più occupati da gruppi estranei al sentire e ai valori tradizionali del nostro Occidente. Questa inedita situazione imponeva un nuovo compito, che non era più quello della «questione sociale» (colmare il gap economico tra le classi sociali), ma quello della legittimazione dei fondamenti, ovvero la giustificazione dei presupposti teoretici delle istituzioni statuali (…). Ecco però che proprio nel momento in cui è stato posto di fronte a questa nuova sfida il mondo politico e culturale (…) ha risposto a ciò in forme abbastanza contraddittorie, individuandone la risposta semplicemente nella volontà di rimuovere ogni traccia della bimillenaria tradizione cristiana e ogni riferimento alla trascendenza dai principali testi giuridici (come il dibattito sulla Costituzione europea ebbe modo di mostrare). Alle prese con così miopi e distruttive po- sizioni ovviamente l’impegno dei cristiani non poteva essere che lo sforzo di riaffermare il ruolo costitutivo che la rivelazione biblica ha rappresentato per la formazione dell’identità culturale dell’Occidente e quindi il necessario riconoscimento delle radici cristiane come conditio sine qua non alla legittimazione degli stessi ordinamenti politici. È muovendo da queste premesse che diviene allora significativo il lavoro svolto dallo studioso Giacomo Coccolini (…) Lo sforzo di questo lavoro è consistito nell’individuazione di un filo conduttore nella produzione teologica di Joseph Ratzinger, mostrandone la radicazione nella più limpida tradizione del pensiero cristiano, la non comune capacità di confronto con le problematiche emergenti, assieme a una sostanziale estraneità a ogni inclinazione di stampo integralista. Ne è risultato un lavoro di tutto rispetto a cui va ascritto il merito di aiutare il comune lettore a familiarizzarsi con un progetto teologico di ampio respiro (…). Chi scrive è ben cosciente di come non sarà certo la lucida e penetrante analisi di questi fenomeni che J. Ratzinger ha portato avanti in questi anni a produrre una conversione in quei vasti settore del pensiero e dell’opinione pubblica, per le quali l’affermazione dell’assoluta autonomia dello stato nei confronti della religione, costituisce dogma intoccabile. O almeno si è consapevoli che il dibattito culturale non può sostituirsi a ciò che per un credente consiste nell’incontro con Cristo e quindi nella scelta a cambiar vita. Chi scrive però è ancor più convinto del fatto che la familiarizzazione al pensiero teologico-politico di J. Ratzinger, sia scelta qualificante e per certi versi obbligata invece per i tanti cristiani, a volte incerti nel leggere in profondità i fatti culturali di cui sono spettatori e a volte incapaci di comprendere sino in fondo le ragioni di un dibattito spesso aspro, ai loro occhi scarsamente significativo per la vita cristiana di tutti i giorni. È particolarmente importante invece che gli uomini di Chiesa si rendano conto che nello snodo della teologia politica «ne va della loro fede» e quindi abbiano il coraggio di uscire allo scoperto, rinunciando alla privatizzazione della vita religiosa e si assumano il rischio di questo confronto, dalla cui soluzione dipenderà non solo la presenza cristiana nelle nostre società negli anni a venire, ma anche le possibilità di una testimonianza libera e incondizionata (…). Guido Bendinelli * Guido Bendinelli op è preside della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. Il testo che qui riproduciamo è tratto dalla presentazione del volume. CXXXVI 477 libri_segnalazioni_box_R137:Layout 2 25-07-2011 16:18 Pagina CXXXVII Libri contro mafie T rame. Festival dei libri sulle mafie», è il titolo della kermesse svoltasi a Lamezia Terme nei giorni 2226 giugno, per iniziativa di Tano Grasso, assessore alla cultura del comune calabrese. Essa merita attenzione per l’originalità dell’iniziativa riguardante la presentazione e discussione della produzione libraria recente sulle mafie: un evento che ha raccolto voci plurali su questo variegato fenomeno criminale, per le diverse chiavi di lettura dei fenomeni mafiosi e le numerose esperienze di antimafia nel nostro paese. E anche per il fatto che ciò sia avvenuto nel contesto di un comune sciolto due volte in un decennio per infiltrazioni mafiose (1991 e 2001). Fare politica culturale in un comune della Calabria, terra di mafie, secondo Tano Grasso, deve coincidere con una strategia d’opposizione alla ’ndrangheta, e la cultura deve diventare lo strumento più potente contro l’omertà e quella mentalità che da decenni assicura consenso e sostegno alle mafie del nostro paese. Questo insolito evento nel panorama dei tanti festival letterari intendeva porre all’attenzione il potere della parola e della cultura nel contrasto alle mafie e la crescita di una coscienza di legalità e responsabilità, nel presentare e aprire i libri dedicati allo studio delle varie realtà mafiose. O più precisamente, a nostro avviso, dei gruppi della criminalità organizzata egemoni nelle tre regioni meridionali (mafia o Cosa nostra in Sicilia, ’ndrangheta in Calabria, camorra in Campania) e diversi per storia, organizzazione, metamorfosi, attività e radicamento sociale e culturale. Come altrettanto diversificate nel tempo sono le mobilitazioni antimafia e l’associazionismo anti-racket nelle regioni meridionali, che sono cresciuti assieme all’interesse specialmente da parte dei giovani lettori verso i libri sul tema «legalità». La produzione libraria recente sulle mafie era allineata nei gazebo del Corso Numistrano, presidiati da giovani calabresi di associazioni e cooperative antimafia. Questa esposizione era specchio CXXXVII di un’aggiornata documentazione, narrazione e ricerca sulle varie organizzazioni criminali a cui attraverso l’oggettivazione dello studio viene tolta ogni rimozione, mitizzazione, velo e copertura a opera di giornalisti, esperti, studiosi, magistrati, uomini di Chiesa. Il serrato programma del festival ha consentito, nelle serate dei quattro giorni svoltesi nei cortili di palazzi storici, di presentare 53 volumi da parte di 130 relatori, grazie anche ai 73 giovani volontari, calabresi e non, che hanno reso possibile un buon afflusso di pubblico. Quasi assente la copertura dell’evento da parte della TV regionale, secondo gli organizzatori. L’apertura della kermesse libraria è stata dedicata al tema cruciale «Informare in Calabria» e ha avuto luogo nel cortile del Palazzo Nicotera – a destra del cui cortile s’individua la Biblioteca comunale ricca di circa 25.000 volumi e a sinistra la Casa del libro antico –, dove un pubblico scelto e interessato ha ascoltato don Luigi Ciotti e il giornalista Lirio Abbate che hanno messo in evidenza le difficoltà e le responsabilità nel produrre informazione in maniera trasparente. Nella successione dei vari libri e autori si sono alternati due modi d’accostare il fenomeno: uno di carattere narrativo, documentativo, evocativo (come ad esempio Saviano) perché non si perda la memoria di fatti e misfatti delle mafie; l’altro di carattere scientifico fondato su una rigorosa metodologia di ricerca che porta a risultati conoscitivi attendibili sulle attività e sull’organizzazione dei gruppi criminali organizzata nelle varie regioni meridionali (ma non solo). Com’è noto, il fenomeno della mafia siciliana registra un primato sia temporale sia quantitativo quanto a studi e approfondimenti, cui seguono nei decenni più vicini a noi la camorra campana e la ’ndrangheta calabrese, che si è particolarmente distinta nelle cronache per la diffusione sul territorio nazionale e nei traffici internazionali di stupefacenti. La chiave di lettura del Festival dei libri sulle mafie è che esiste una forma d’antimafia culturale – per così dire –, impegnata contro il riprodursi di modelli mafiosi, che non è compito di magistrati e poliziotti, ma frontiera propria e specifica di amministrazioni locali, società civile, imprenditori, associazioni e delle stesse comunità religiose del territorio. Rispetto alle ambivalenze di un contesto sociale in cui convivono modernità culturale e civile ma anche tradizionalismo di stampo religioso, sono illuminanti le parole di Tano Grasso nella brochure del Festival da lui ideato. In riferimento alle resistenze di una parte della comunità all’intervento culturale del Comune sull’onda di spinte e movimenti della società civile, a partire dall’associazionismo anti-racket, egli afferma che «il punto è un altro, è riconoscere quelle relazioni economiche e sociali da un lato, quell’area di complicità e collusione da un altro lato, quella dimensione di consenso e condivisione di valori e modelli culturali da un altro lato ancora; e questo riconoscimento è indispensabile per contrastare efficacemente tutti questi livelli che rendono la ’ndrangheta così forte e così radicata». Perciò, a nostro avviso, l’evento è stato unico e significativo non solo perché ha aperto i libri sulla criminalità organizzata a firma di studiosi, ricercatori, magistrati, scrittori, giornalisti che si sono alternati sul palco, ma perché ha segnalato la presenza di giovani volontari, rappresentanti delle generazioni più giovani del Sud impegnate nelle diverse associazioni e movimenti il cui nome era riportato nelle colorate t-shirt che indossavano. L’idea del festival è d’organizzare ogni anno un momento di confronto e di verifica sulle numerose pubblicazioni riguardanti le varie organizzazioni criminali e le esperienze d’antimafia, tema che non interessa più soltanto il meridione d’Italia perché è ormai assodato che anche in altre regioni del paese, oltre che nei traffici internazionali, i gruppi della criminalità organizzata si sono infiltrati nel tessuto economico, finanziario, amministrativo e politico. Domenico Pizzuti IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 477 L 478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2 25-07-2011 16:18 Pagina CXXXVIII L ibri del mese Eleonora Fonseca Pimentel Colta, idealista, impolitica N ella storia, è grandissima quella che potrebbe dirsi l’efficacia dell’esperimento non riuscito, specie quando vi si aggiunga la consacrazione di un’eroica caduta».* Non fosse morta così tragicamente, appesa a una forca tra il dileggio della plebe napoletana, unica donna tra i giustiziati del 20 agosto 1799, forse la fama di Eleonora Fonseca Pimentel sarebbe ancora più esile di quanto non sia. Mediocre ma precoce verseggiatrice di componimenti d’occasione tanto in voga ai suoi tempi, elogiati senza troppa convinzione dal Metastasio; membro dell’accademia locale dell’Arcadia col nome di Altidora Esperetusa; di intelletto vivace e pieghevole in diversi campi del sapere, dalle scienze matematiche alla botanica, ella rispecchia quello spirito curioso e quell’idea enciclopedica della conoscenza che appaiono assai diffusi nel colto Settecento, anche fra le donne dei ceti più elevati: sicché sarebbe eccessivo riconoscerle una levatura particolare a questo livello, a confronto con altre gentildonne della buona società napoletana, fra tutte la principessa Faustina Pignatelli. Società che non dev’essere giudicata unicamente al filtro della spietata repressione borbonica che colpì i patrioti giacobini, facendo leva anche sugli istinti più primitivi e sfrenati dei sanfedisti: ancora negli anni in cui la «grande paura» della tempesta rivoluzionaria raggiungeva le corti d’Europa più lontane da Parigi, non era del tutto svanita a Napoli la memoria e l’eredità positiva di quella alleanza potere-cultura tesa a promuovere sviluppo civile mediante provvedimenti amministrativi, fiscali, giurisdizionali che aveva trovato in Carlo III di Borbone, re di Na- 478 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 poli e Sicilia (1734-1759) poi asceso al trono di Spagna, una promettente seppur timida realizzazione. Il fallimento del riformismo moderato La prima fase del lungo regno di Ferdinando IV, che durerà fino al 1825, è ancora abbastanza aperta a questi fermenti, e muove alcuni passi nella direzione del contrasto ai privilegi ecclesiastici e baronali, anche se la mancanza di una forte classe media rappresenta, a confronto con altre aree d’Italia e d’Europa, un elemento di strutturale arretratezza del Meridione, come ben videro intellettuali del calibro di Ferdinando Galiani e Antonio Genovesi. È però significativo che quest’ultimo, titolare della prima cattedra di economia politica istituita in Italia, abbia dato fiducia alla dinastia borbonica, non meno di altri intellettuali riformatori: così non stupisce di trovare, fra i versi della Pimentel pre-giacobina, sonetti o cantate di omaggio ai sovrani, Ferdinando e Maria Carolina (figlia di Maria Teresa d’Austria e sorella di Maria Antonietta di Francia), da questi sposata nel 1768. Si veda in particolare il sonetto scritto in occasione dell’istituzione della colonia di S. Leucio: in sostanza, «una manifattura reale privilegiata», come la definisce B. Croce, ma anche una sorta di esperimento sociale in piena regola volto a realizzare una di quelle comunità-modello, armoniose e ben regolate da saggi statuti che tanto suggestionano l’immaginario sette-ottocentesco, fino al socialismo utopistico di Owen e Fourier. Il progetto riceve all’epoca molti apprezzamenti, anche da altri uomini di cultura che ritroveremo fra i democratici della Repubblica partenopea, come Cle- mente Filomarino e Antonio Jerocades: ciò conferma che è stato il fallimento del riformismo moderato a spingere molti verso la metamorfosi rivoluzionaria, una volta preso atto che l’aspirazione a una società più giusta e progredita non viene esaudita dall’illusoria interazione fra il «despota illuminato» e le menti migliori che lo consigliano a governare secondo i principi della ragione. Eppure quest’illusione è dura a morire: come si è detto, Ferdinando e la stessa Maria Carolina, figlia di tanta madre e ben conscia dei provvedimenti del riformismo asburgico, non sono alieni da un’impronta modernizzatrice: ma si tratta di interventi parziali e disorganici, ben al di sotto di quell’idea complessiva di riforma dello stato che Genovesi, Filangieri, Galiani andavano proponendo: l’azione più incisiva a livello fiscale, cioè l’istituzione di un catasto moderno in base al quale far pagare ai proprietari un’imposta proporzionale ai beni posseduti, resta a Napoli nel novero dei tentativi abortiti e non più ripresi. Passano invece, anche per influsso delle decisioni maturate nelle altre corti borboniche e nel solco delle teorie giurisdizionaliste, alcune scelte di politica ecclesiastica ulteriori rispetto alle restrizioni già introdotte da Carlo di Borbone allo status privilegiato della Chiesa (diritto di foro, diritto di asilo, privilegi fiscali): l’espulsione dei gesuiti e l’abolizione della vetusta soggezione feudale al papato: l’offerta al pontefice di un’ingente somma di denaro e di un cavallo bianco. Quest’ultimo provvedimento cade nel l788. Eleonora ne è evidentemente colpita se, entrando come altre volte nel brusio degli intellettuali su questo o quell’accadimento di attualità, non si limita a un en- CXXXVIII 478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2 25-07-2011 comio di circostanza con corredo di versi eruditi, ma si presenta nella veste credibile e seria di una studiosa che traduce e glossa un’opera altrui meritevole di essere riproposta per l’occasione: la dissertazione storico-legale di Nicolò Caravita dal titolo Nullum ius pontificis maximi in regno neapolitano, edita nel 1707 (Niun diritto compete al sommo pontefice sul Regno di Napoli). Eleonora possiede una sicura conoscenza del latino, si è detto, ma questo lavoro non di pura traduzione pare dimostri anche una sua discreta competenza del diritto pubblico; nell’ampia prefazione che ripercorre la storia dalla quale prese origine il vassallaggio del regno di Napoli, ella dichiara e dimostra non solo di ammirare, ma di conoscere da vicino la grande opera di Pietro Giannone, Storia civile del Regno di Napoli (1723): e che questo autore compaia in una posizione di assoluto rilievo rispetto ad altri minori che pure si erano occupati della questione, prova che la Pimentel è ora capace di soppesare e discernere il valore delle sue fonti, e di scegliersi i migliori maestri. Il saggio esce nel 1790, con dedica – ancora – al re Ferdinando, che la gratificherà di un premio e di una «annua munificentia» (CROCE, «La Rivoluzione napoletana del 1799», 40-42). Eleonora donna sola, determinata, imprudente Eleonora ha ormai 38 anni: ha alle spalle un matrimonio mal riuscito con un ufficiale dell’esercito napoletano dal quale si separa nel l785, e la morte dell’unico figlio di soli due anni, al cui ricordo scrive cinque delicati sonetti. Non molto altro si conosce della sua vita privata, mentre è abbastanza documentata la sua rinomanza e la sua corrispondenza con vari letterati e studiosi, compreso il più celebre Vincenzo Cuoco; è circa di questo periodo la noterella dello svizzero Gorani, segnalata da Croce, che parla di lei come di «une dame qui rassemble chez elle à Naples une société de gens de lettres, grande amie de tous les illustres de cette capitale» (39). Si allarga intanto in ogni angolo d’Europa la risonanza della Rivoluzione francese, le cui vicende sono ovunque seguite con attenzione, ora speranzosa ora preoccupata, e il cui contagio, prima ancora della sua esportazione per mezzo delle CXXXIX 16:19 Pagina CXXXIX campagne napoleoniche, accelera e radicalizza gli impulsi al rinnovamento già presenti, pur con diverse accentuazioni e varianti locali, in gran parte delle società occidentali, specialmente ma non esclusivamente negli strati più colti ed evoluti. Si moltiplicano allora quei club, società o gruppi che saranno genericamente definiti «giacobini» a motivo della simpatia con cui guardano agli avvenimenti di Francia, benché fra gli adepti si trovino sia accesi rivoluzionari, sia spiriti più moderati. Anche a Napoli, probabilmente sul tronco della società massonica, sorge, intorno al 1792, la Società patriottica, cui fanno seguito due Club (Romo e Lomo), rispettivamente di impronta democratica o repubblicana il primo, moderata e disponibile ad accordi con la monarchia il secondo: in gran parte professori e studenti, saranno processati e condannati nel 1794 come rei di congiura e di lesa maestà. Non pare che Eleonora vi fosse direttamente implicata, ma è verosimile che in questi anni il suo nome fosse già fra i sospetti, a motivo delle sue frequentazioni e, stando al tagliente giudizio del segretario dell’ambasciata portoghese a Napoli, anche a causa della sua propensione naturale a parlare troppo: a «questa donna quanto dotta altrettanto pazza, imprudente e sciocca» pare sia inutile fare raccomandazioni di maggior cautela (47). È un parere da prendersi con le pinze, se non altro perché chi lo esprime sta giustificandosi con il suo superiore per essere stato in cordiale relazione con la Pimentel, al pari di altri portoghesi dell’ambasciata; però in quel binomio «dotta... sciocca» potrebbe annidarsi un’intuizione giusta, anche se espressa in modo ingeneroso. Il sapere di Eleonora – e lo si vede principalmente nella sua breve e fervida esperienza di giornalista, bruciata nei pochi mesi della Repubblica partenopea – non è pura dottrina o cultura astratta; e se da giovane ha ceduto alla vanità di esibire le sue doti letterarie in contesti salottieri o accademici, sempre più la sua maturazione intellettuale e politica la spinge a dare a quel sapere uno sbocco «utile», un’impronta militante e laicamente missionaria, al servizio di quegli ideali di libertà e umanità nei quali volentieri impegna la mente e il cuore. Idealista, Eleonora: così la definisce anche Croce, nel breve saggio biografico a lei dedicato (44): che è una maniera più elegante e affettuosa per esprimere quanto il De Souza intendeva con «sciocca». Sicuramente quello di Eleonora non è un sapere scaltro, che la metta al riparo da esiti prevedibili, né timido, tale da farla esitare – nel momento in cui approda a ferme convinzioni – nell’esternare i suoi pensieri. Arretrano intanto, spaventate dalla deriva rivoluzionaria francese, le idee illuministe, umanitarie e progressiste che avevano sorretto la felice stagione del riformismo settecentesco, e in tutti gli stati europei si riannoda l’alleanza fra le corti e le classi più conservatrici delle società, come pure fra trono e altare; anche nel Regno di Napoli, molto rapidamente, si annuncia un clima politico pesante e poliziesco, attizzato non poco dalla regina Maria Carolina che, dopo la morte sulla ghigliottina del cognato e della sorella, diviene la più convinta fautrice della reazione: «rediviva Poppea», la ribattezzerà Eleonora. L’esperienza rivoluzionaria Non si conoscono esattamente le circostanze dell’arresto della Pimentel, ai primi di ottobre del 1798, e tutte le carte processuali relative ai giacobini napoletani, salvo minuzzoli, sono state distrutte per ordine di re Ferdinando nel 1803. Ma possiamo immaginare, con qualche libertà, che ella – imprudente, ingenua, idealista – non abbia saputo trattenersi dal manifestare sgomento e riprovazione per quell’inversione di rotta. O forse, la conversione rivoluzionaria era già pienamente avvenuta e l’idealismo di Eleonora, analogamente ad altri patrioti in quella e in altre parti d’Italia, si era ormai infiammato per la «sublimità dei principi repubblicani» (LAUBERG, in CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, 245) e per il «nobile disegno di abbattere la tirannia» (ivi). Comunque sia, è una cittadina conquistata senza riserve all’ideale repubblicano, la Pimentel che esce dalle prigioni della Vicaria nel gennaio 1799, dopo la fuga del re il 23 dicembre e la vittoriosa avanzata dei francesi sulla città. Mischiata al gruppo dei patrioti che dal castello di S. Elmo danno come possono sostegno alle truppe del gen. Championnet, mentre per tre giorni infuria l’anarchia plebea dei «lazzaroni», Eleonora assiste all’atto di nascita della Re- IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 479 478-480- libri_info2_R138-140:Layout 2 L 25-07-2011 Pagina CXL ibri del mese pubblica napoletana «una e indivisibile» e saluta con gli altri il simbolo dell’albero della libertà, piantato per la prima volta nella piazza del castello, declamando l’«Inno alla libertà» da lei composto in quei giorni. Da questo esaltante momento, e per la breve ma intensa durata dell’esperienza rivoluzionaria, interrotta nel giugno 1799 dal card. Fabrizio Ruffo, Eleonora assume realmente un ruolo di primo piano, dedicandosi anima e corpo all’impresa del Monitore napoletano, il primo e il più illustre giornale della Repubblica partenopea: è l’esordio della stampa politica, che sorge contestualmente all’impianto delle repubbliche «sorelle» in Italia. Anche nei territori della repubblica napoletana la ventata di libertà, la passione politica, i grandi fatti che si succedono in quei pochi mesi e i rapporti non sempre facili con i protettori-occupanti francesi, favoriscono l’attività editoriale e, in specie, giornalistica; ma il Monitore napoletano, il cui primo numero esce il 2 febbraio 1799 (14 piovoso) e l’ultimo dei 35 totali l’8 giugno (20 pratile), ha la particolarità di essere, per quanto si sappia, interamente ed esclusivamente realizzato dalla Pimentel, anche se in esso sono inseriti di quando in quando resoconti provenienti da altri comuni, decreti del governo repubblicano o delle autorità francesi, proposte di legge che vengono avanzate e discusse, resoconti dei dibattiti che si tengono nella «Sala d’istruzione pubblica» aperta il 10 febbraio presso l’Università degli studi. Uscendo regolarmente due volte per settimana, le quattro fitte pagine del Monitore, con alcuni supplementi, costituiscono un insostituibile osservatorio e un appassionato, infine accorato, commento sugli avvenimenti maggiori e minimi di quella generosa e fallimentare esperienza politica, schiacciata dall’abbandono dei francesi, dalle contraddizioni interne, penalizzata da ultimo col gratuito massacro degli «infami giacobini» che erano in realtà il fior fiore della cultura napoletana, animati nel loro insieme da un’elevata e tollerante concezione del consorzio civile. Scrive di essi Lucio Villari: «Nei cinque mesi del loro governo, i borghesi e gli aristocratici repubblicani non avevano torto un capello a nessuno né avevano mostrato alcuna inclinazione al terrorismo rivoluzionario»:1 a riprova di ciò si potrebbero citare 480 16:19 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 diversi passi del Monitore nei quali Eleonora, anche a nome dei compatrioti, lamenta come controproducenti le spietate repressioni attuate dai francesi contro gli «insorgenti», cioè gli antigiacobini. Alle loro atrocità non si deve rispondere con altrettanta atrocità («Ma qual sarà il rimedio a tanto e sì terribile male? Brugiar le comunità, fucilar chiunque porti le armi? No». n. 5, 28 piovoso, 16 febbraio), ma, considerando le circostanze attenuanti, promuovere azioni di pace, concedere il perdono «alle comuni che rientreranno nell’obbedienza», dare prova, con buone leggi, che il governo repubblicano è sollecito del bene del popolo. È soprattutto necessario evitare di far crescere «nel cuor della nostra plebe delle provincie un seme di dispetto e di risentimento, che per quella tenacità con cui ogni plebe, e più quella delle campagne, ritiene le impressioni ricevute con qualche forza, può in lei propagarsi da generazione in generazione, e tenendola sempre divisa e indispettita col resto de’ cittadini, preparare lunga e rinascente serie di privati delitti e pubbliche disgrazie» (Ivi, cf. nn. 6,7,33, in CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, 60-63). Quest’ultimo bel passo mostra che la redattrice, alla quale solitamente si accredita il pregio di riportare notizie vivaci e puntuali e il difetto di una certa trasfigurazione emotiva dell’esperienza repubblicana, priva della lucidità interpretativa di altri autori, possiede in realtà le chiavi di un’analisi affatto banale della gente del Sud, del suo rapporto con le novità importate a forza dal di fuori, delle dinamiche profonde e durature che possono pregiudicarne la piena emancipazione civile. Sicuramente, in confronto al classico e fondamentale saggio di Vincenzo Cuoco, appare minore la robustezza di pensiero di Eleonora; ma le è anche mancato quello stacco, quella distanza di spazio e di tempo dagli eventi descritti, che hanno permesso a Cuoco di rielaborare criticamente, e in rapporto a un più vasto orizzonte futuro, i problemi e il necessario scacco della rivoluzione «passiva». Cauce nfacce a la libber tà Eleonora muore, come si è detto, poco dopo la morte della Repubblica, che ha visto con angoscia annunciarsi sempre più chiara man mano che la risalita di Ruffo dalle Calabrie da lenta si fa più ra- pida e sicura, anche grazie al disimpegno dei francesi che lasciano i patrioti napoletani in balia di loro stessi (cf. n. 28, 23 fiorile, 14 maggio e n. 34, 17 pratile, 5 giugno, in CROCE, La Rivoluzione Napoletana del 1799, 72-73). La condanna alla pena capitale la colpisce, con un centinaio di altri patrioti, dopo un processo-farsa e la violazione, da parte del re, degli accordi della capitolazione conclusa dal card. Ruffo, propenso, dopo la vittoria e l’esibizione di ferocia delle bande sanfediste di cui si era avvalso, a usare clemenza verso gli sconfitti: ma pare che questa tardiva resipiscenza urtasse contro la determinazione della coppia reale e di Nelson a comminare loro una punizione esemplare. Quel popolo «fanciullo» e figlio di ataviche ignoranze, le cui crudeltà e bassezze Eleonora avrebbe perdonato, e che ingenuamente avrebbe continuato a cercare di educare con ogni mezzo, sapendo che «la plebe diffida de’ patrioti, perché non gl’intende», espunge festante da sé il bubbone giacobino – equivalente ai suoi occhi alle «giamberghe», i borghesi esterofili, di cui diffidare. «Fatte cchiù, fatte cchiù llà, / cauce nfacce a la Libbertà», scandiscono i lazzaroni salutando il ritorno di re Ferdinando. Perché mai la libertà riempiva la bocca dei giacobini, e che senso ha questa parola – simbolo per «lu popolo bascio»? E dinanzi al corpo di Eleonora lasciato per l’intera giornata penzolare dal patibolo, sembra che la vena beffarda e canora del popolo basso che tira calci in faccia alla libertà abbia commentato così: «A signora donna Lianora (o Dianora) / che cantava ncopp’o triato, / mo abballa mmiezo o Mercato», «Viva viva u papa santo, / c’ha mannato i cannuncini, / pe scaccià li giacubini!», «Viva a forca e Mastro Donato (il boia), / sant’Antonio sia priato!» (CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, 59.79). Alessandra Deoriti * La frase è di BENEDETTO CROCE, La Rivoluzione napoletana del 1799, Bibliopolis, Napoli 1998, 12. Il vol. raccoglie saggi diversi, composti tra il 1897 e il 1942, fra cui il profilo biografico di Eleonora De Fonseca Pimentel (25-102). Cf. anche: E. DE FONSECA PIMENTEL, Il Monitore napoletano del 1799, ristampa anastatica, Il Mulino, Bologna 2000. l L. VILLARI, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari 2009, 16. CXL 481-482_ art bolivia:Layout 2 25-07-2011 BOLIVIA I i 16:19 Pagina 481 Evo Morales l cocalero presidente I rapporti con la Chiesa dopo il secondo mandato La Paz, giugno 2011. l giornalista Ariel Beramendi ha chiesto al card. Julio Terrazas, arcivescovo di Santa Cruz, che cosa pensa del suo compatriota Evo Morales.1 È noto che tra i due i rapporti non sono idilliaci. La risposta: «Il signor presidente ha molte qualità, per esempio sa parlare al popolo e dire al popolo ciò che il popolo vuole ascoltare. (…). È un uomo di molte inquietudini e credo che egli onestamente desideri il cambiamento del paese; ora, le forme e le maniere a volte non gli rendono giustizia perché i processi di cambiamento non si generano dalla sera alla mattina, richiedono tempo, pazienza e, soprattutto, ore e ore per spiegare che l’obiettivo non è un capriccio, ma potenziare la capacità dei nostri popoli. (…) La sua semplicità era maggiore all’inizio; ed è più difficile da mantenere viva, pertanto penso sia necessaria la capacità di “chiudere gli orecchi” per non ascoltare troppi elogi, lodi o applausi. È necessario saper dire: “Sto facendo un servizio che richiede l’ascolto degli altri”. Sono del parere che dovrebbe ascoltare di più gli altri e non solo coloro che gli sono vicino. Profonde radici indigene Credo che il presidente stia giocando il ruolo che gli altri dicono che abbia: quello del salvatore del mondo indigeno. Si presenta come colui che salverà gli indigeni di tutto il mondo e sostiene di avere una personalità quasi della stessa levatura degli altri leader religiosi. (…) Potrebbe essere un modello per l’America Latina se sapesse rispettare le differenze, traendo profitto da tutti i valori culturali senza mescolare ideologie che vengono dal di fuori».2 Evo Morales (il nome esteso è Juan Evo Morales Ayma) governa un paese di oltre 10 milioni di abitanti, il 60% dei quali sono indigeni aymara e urus che vivono nelle terre alte del paese, che si estende per oltre un milione di chilometri quadrati di superficie. Ha una biografia sorprendente. È nato il 26 ottobre 1959, nel dipartimento di Oruro, sull’altopiano boliviano, da una famiglia molto povera. Fu messo a lavorare la terra il giorno stesso in cui incominciò a camminare. Ricevette un’educazione aymara condensata in tre regole di condotta: ama sua (non rubare), ama quella (non essere molle) e ama llula (non dire bugie). Più tardi Evo se ne diede una quarta: ama llunk (non essere servile). Nel 1978 si arruolò nel reggimento di cavalleria, poi, trasferitosi con la famiglia nella zona tropicale di Chapare, nel centro del paese, iniziò l’attività di sindacalista al tempo della feroce dittatura del generale Luis García Meza, al potere dopo il golpe del luglio 1980. Venne eletto segretario generale del sindacato «San Francesco» (1982-1983) e successivamente segretario di altre confederazioni. Buttatosi a capofitto nella difesa dei coltivatori di foglia di coca – movimento che aveva per motto: «Per la vita, la coca e la sovranità nazionale» – fu arrestato e detenuto con l’accusa di sedizione. Organizzò la clamorosa marcia di 600 chilometri da Cochabamba fino a La Paz durata ventidue giorni. Dopo alcuni guai con la giustizia si ritirò in Argentina, dove conobbe il teologo brasiliano Frei Betto, il comandante nicaraguense Omar Ca- bezas, la scrittrice e sociologa cilena Martha Harnecker e alcuni scrittori argentini. Nel 1995 fu candidato al premio Nobel, mentre l’anno successivo nacque il suo partito politico, il Movimento al socialismo (MAS), col quale Morales diventò il leader dell’opposizione, stringendo alleanze con le organizzazioni indigene. Instancabile viaggiatore, ha percorso tutto il paese con la sua leggendaria Nissan. Nel 2005 vinse le presidenziali, trasformandosi da dirigente cocalero in leader nazionale. Il 22 gennaio 2006 – quattro anni dopo essere stato espulso dal Parlamento – s’insediò come presidente. Incorrotto, carismatico e combattivo, anche se con scarsa preparazione culturale, visto che i suoi studi si sono fermati quando aveva 14 anni. Giurò col pugno sinistro alzato, pronunciando uno dei suoi migliori discorsi che iniziò chiedendo un minuto di silenzio per i fratelli caduti, i cocaleros. Citò, tra gli altri, Che Guevara e Luís Espinal, il gesuita spagnolo sequestrato e ucciso in Bolivia a causa del suo impegno per la difesa dei poveri. Da presidente diede inizio alla sua azione rivoluzionaria, statalista dal punto di vista economico e comunitaria da quello politico. Nazionalizzò i pozzi di gas e petrolio, stabilendo che allo stato boliviano andasse circa l’80% dei profitti. Ma Morales dovette fare i conti anche con l’altra Bolivia: il cosiddetto Oriente, caratterizzato da una spiccata modernità, dalla libera impresa, dal mercato. Mentre la parte occidentale del paese è sinonimo di arretratezza, indios, sinistra radicale, isolamento, quella orien- IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 481 481-482_ art bolivia:Layout 2 25-07-2011 16:19 tale è un arcipelago di dipartimenti guidati da quello di Santa Cruz, il più ricco, dove viene coltivata la soia, si estraggono gas e petrolio e le temperature sono miti. L’Occidente, il cui centro simbolico è La Paz, si estende su un altopiano freddo e poco produttivo. Il 10 dicembre 2007 l’assemblea costituente approvò la nuova Costituzione, che definisce la Bolivia stato «plurinazionale, comunitario e sociale di diritto». Non vi è riferimento al socialismo, in contrapposizione con la retorica dell’amico Chavez. Stabilisce la separazione tra stato e Chiesa; garantisce le autonomie regionali con competenze ridotte includendo le «autonomie indigene»; permette la rielezione del presidente e proibisce l’installazione di basi militari straniere. L’elettorato boliviano si disse favorevole a questa Costituzione, con alcune modifiche, il 25 gennaio 2009 con il 61,43% dei voti. Alle elezioni presidenziali del 6 dicembre 2009, Evo Morales venne rieletto con il 64,22% dei voti superando il rivale, Manfred Reyes Villa, uomo della destra. Alle contemporanee elezioni legislative si rafforzò il MAS, che dovette però continuamente fare i conti con le spinte separatiste delle ricche regioni petrolifere del Sud-est, Santa Cruz in testa, che non condividevano l’orientamento di Morales e del suo partito. Il 24 giugno 2010 venne promulgata la Ley indigena, che concede ampie autonomie a 36 comunità locali. In Bolivia, infatti, come in tutti i paesi delle Ande, accanto ai partiti politici, vi sono varie organizzazioni indigene, ben strutturate, che si battono per il pieno riconoscimento dei diritti delle minoranze indigene dagli anni Novanta. Le loro rivendicazioni ben s’inquadrano nell’orientamento programmatico del presidente Morales, il quale è impegnato nella lotta contro le oligarchie dominanti, visto che, secondo i parametri delle Nazioni Unite, il 58,6% della popolazione boliviana è considerato povero. Morales e lo spazio pubblico della Chiesa Ma dal 2008-2009 il paese sta attraversando una congiuntura economica sfavorevole dovuta al calo del prezzo degli idrocarburi. Prosegue la politica governativa di nazionalizzazione dell’energia con il passaggio di imprese private 482 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Pagina 482 alla compagnia pubblica Empresa nacional de electricidad. Non v’è dubbio: Morales, primo presidente indigeno, ha un grande fascino per la popolazione. Gli va dato merito di aver realizzato una serie di programmi sociali destinati ai bambini, agli anziani, alle donne. Il 4 agosto 2010 la Conferenza episcopale boliviana, intervenendo sulle sorti del paese, non aveva mancato di rilevare che il momento storico era carico di progetti e desideri in vista della costruzione di una società più egualitaria, dando segni di riconoscimento della diversità e della ricchezza culturale dei popoli boliviani e proseguendo il processo d’inclusione degli indigeni. Tuttavia i presuli rilevavano che si erano anche vissuti momenti di tensione e di scontri sociali, con violazioni dei diritti umani. Lamentavano poi un clima di paura e di sfiducia imposto da chi non accetta la diversità e propugna il pensiero unico, che esclude ogni forma di dialogo, criminalizza e disprezza i valori altrui. «Si constata – osservavano i vescovi – l’aumento dei flagelli della corruzione e del narcotraffico, che travalicano i confini del paese, coinvolgendo cartelli internazionali. Ne sono vittime soprattutto i giovani e gli adolescenti». Nella Lettera per la Quaresima 2011, i vescovi hanno fatto il punto sulla situazione del paese, apprezzando il processo in atto d’inclusione e partecipazione dei popoli indigeni in tutti gli ambiti della società, ma puntualizzando che l’inclusione di alcuni gruppi non deve provocare l’esclusione di altri. Persiste, secondo i presuli, un forte divario tra ricchi e poveri, tra ambiente rurale e cittadino. Essi sono preoccupati per l’insicurezza alimentare e per il vertiginoso aumento dei prezzi, così come per la lotta contro il narcotraffico che deve essere una priorità dello stato, con la partecipazione di tutti i settori sociali. Merita di essere segnalato un episodio che indica il livello critico dei rapporti tra Chiesa e presidente Morales. Nel novembre 2010 le sei Federazioni del tropico di Cochabamba hanno dichiarato persona «non gradita» mons. Tito Solari, arcivescovo di Cochabamba, salesiano d’origine friulana, perché aveva espresso la sua preoccupazione per il crescere della piaga del narcotraffico, che utilizza adolescenti come corrieri della cocaina. Solari è stato duramente attaccato e il governo gli ha chiesto le prove, che certamente il vescovo aveva. Per non aumentare le tensioni ha ritenuto però opportuno rimanere in silenzio; gli è stato imposto di fare una processione di penitenza. Un episodio che evidenzia un clima di violenza e di mancanza di rispetto, ha denunciato il card. Terrazas. Che la «sana cooperazione Chiesastato» sia tutt’altro che facile lo lascia intendere la stessa Lettera. È sempre in agguato un atteggiamento «laicista» che i vescovi denunciano: «Nessuno può negare che gran parte della popolazione boliviana è cristiana cattolica, cosa che non può essere ignorata dallo stato laico in virtù del pluralismo religioso» (n. 131). Anche l’arcivescovo di La Paz, mons. Edmundo Luis Flavio Abastoflor Montero, che ho incontrato nel palazzo arcivescovile della capitale, non è soddisfatto dei rapporti con Morales, perché, a suo dire, limita gli spazi della Chiesa, soprattutto in campo educativo. All’inizio del suo mandato molti consideravano il presidente una sorta di «messia», a motivo della profonda crisi del sistema politico boliviano che difendeva i privilegi di un’oligarchia. Davanti all’inefficacia sia dell’esecutivo sia del Parlamento, i movimenti sociali e distinti settori della popolazione non legati al MAS videro nel programma di Evo un’alternativa al modello politico tradizionale. Il suo carisma in quanto leader e l’audacia nel conseguire l’appoggio di settori diversi lo hanno dipinto come l’uomo giusto. Con il passare degli anni, soprattutto a partire dal secondo mandato, la mancata soluzione di alcuni problemi generali ha prodotto disillusione in chi lo ha sostenuto. Di fronte a politiche che ripetono schemi del passato neoliberale, contro il quale si erano dirette le battaglie del MAS; di fronte alla retorica propagandistica; di fronte alla corruzione, all’impunità e al narcotraffico, rimaste piaghe endemiche del paese, ci si rende conto che il cambiamento deve ancora venire. Francesco Strazzari 1 Cf. A. BERAMENDI, Coloquios con el cardenal Julio Terrazas «servidor de todos», Grupo Editorial Kipus, Cochabamba (Bolivia) 2011. 2 Ivi, 28-29. 483 info usa:Layout 2 25-07-2011 16:20 Pagina 483 USA 35 anni dopo L’American Catholic Council N el 1976 il Cobo Center di Detroit ospitò «Call to action», il grande congresso di 1.350 delegati delle diocesi statunitensi (tra cui oltre 100 vescovi) convocato dalla Conferenza nazionale dei vescovi cattolici (nel quadro delle celebrazioni del bicentenario dell’indipendenza degli Stati Uniti e al termine di un’inedita consultazione che nei due anni precedenti aveva coinvolto 800.000 persone), sotto gli auspici dell’arcivescovo locale di allora, il card. John Daerden, per fare il punto sul primo decennio di applicazione del Vaticano II, in particolare sulla scia del Sinodo dei vescovi sulla «Giustizia nel mondo» tenutosi nel 1971. Alla fine di tre giorni d’intenso dibattito, l’assemblea dichiarò che la Chiesa doveva contrastare il razzismo, il sessismo, il militarismo e la povertà della società moderna e per farlo in modo credibile doveva rivedere le proprie posizioni su questioni come l’obbligo del celibato per i preti, l’accesso al ministero ordinato riservato ai maschi, il rifiuto dei metodi contraccettivi artificiali e la condanna dell’omosessualità, coinvolgendo tutte le componenti ecclesiali nelle decisioni più importanti. Un’altra storia Trentacinque anni dopo, nello stesso luogo, una coalizione di organizzazioni progressiste – tra cui alcune, come la storica associazione dei preti sposati statunitensi Corps of Reserved Priests United for Service (CORPUS), erano state coinvolte nel 1976, mentre altre sono sorte dopo, come Voice of the faithful, nata nel 2002 in seguito agli scandali per le violenze sessuali compiute da membri del clero su minori – ha promosso il 10-12 giugno, come culmine di un centinaio di assemblee che nell’ultimo triennio hanno interpellato circa 5.000 persone in tutto il paese, l’American Catholic Council (ACC), cui hanno preso parte 2.000 cattolici. Questa volta, tuttavia, non solo i vescovi erano del tutto assenti, ma l’ordinario della capitale del Michigan, mons. Allen Vigneron, ha diffidato i fedeli dal parteciparvi e minacciato di sospensione a divinis qualunque prete della sua arcidiocesi fosse intervenuto alla messa conclusiva. Se questa diversità non riassume certo la parabola del cattolicesimo statunitense, che secondo l’autorevole Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life avrebbe intanto perso circa un terzo dei propri membri, tuttavia ne mette in luce un aspetto non trascurabile: la crescente distanza tra l’episcopato e un settore, seppur marginale e problematico, significativo della Chiesa locale, composto da un numero consistente di religiosi e laici, spesso con un elevato grado di formazione religiosa, che avevano partecipato da protagonisti alla prima stagione postconciliare. La messa è stata comunque alla fine celebrata dal settantottenne benedettino p. Robert Wurm. Il portavoce dell’arcidiocesi, Ned McGrath, l’ha giudicata viziata da «gravi abusi liturgici», senza però precisare quali; e l’omelia è stata pronunciata da Janet Houter, una laica del gruppo promotore. «È stata una bella celebrazione, non solo conforme alla legge, ma a ciò che la rende efficace», ha invece dichiarato l’anziano prete, secondo cui il divieto del vescovo a parteciparvi «è stato un grande errore». D’altro canto mons. Vigneron ha sostenuto di non «aver ricevuto risposta ai miei tentativi di instaurare un dialogo», un’accusa che gli organizzatori hanno ribaltato sull’ordinario. Al di là di questa controversia, l’evento, pur non riunendo tutte le organizzazioni statunitensi di cattolici riformatori, è stato uno dei più partecipati degli ultimi anni, caratterizzandosi per un senso di appartenenza ecclesiale pari alla critica per «l’involuzione delle gerarchie» e per l’appello al varo di riforme per rispondere alla «delusione e all’abbandono di molti cattolici», anche se ha mostrato come queste istanze mobilitino soprattutto cattolici bianchi, di età medio-alta e di elevato livello di istruzione. La relazione in assemblea plenaria ha soprattutto cercato di approfondire le ragioni di fondo che motivano le tradizionali domande di riforma: dopo che Hans Küng, in un’intervista filmata, ha fatto appello a una «rivoluzione pacifica» contro «l’assolutismo papale», Jeannette Rodriguez, teologa femminista docente all’Università di Seattle di origine ecuadoregne, ha evidenziato come i latinos, destinati a diventare maggioranza nel cattolicesimo statunitense, stiano elaborando una propria riflessione di fede che trae spunto dalla teologia della liberazione. Anthony Padovano, già primo presidente di CORPUS e visiting professor in molte Università statunitensi, citando il beato card. Jonh Henry Newman, ha invece approfondito il valore del sensum fidelium nella formazione della dottrina della Chiesa, mentre lo scrittore James Carroll, columnist del National Catholic Reporter, ha riflettuto sulle ragioni per essere cattolici oggi. Infine l’ex domenicano Matthew Fox si è soffermato sulla necessità di «rivendicare la gioia del popolo di Dio» e la suora benedettina Joan Chittister, tra le più influenti autrici di spiritualità del paese, ha sottolineato il ruolo dei laici, e delle donne in particolare, per favorire cambiamenti nella Chiesa. Numeri rilevanti Nei gruppi di studio, dedicati ad approfondire un’ampia gamma di temi (dal sistema di finanziamento delle diocesi al linguaggio «non inclusivo» del messale in lingua inglese, dai nuovi modelli di ministero ai meccanismi di nomina dei vescovi, dal ruolo della donna nella Chiesa alle sfide della società «globale») e a progettare possibili iniziative concrete, ha trovato invece forte eco un fenomeno poco conosciuto, ma che mostra somiglianze evidenti, al di là della diversità dei nomi usati per definirle, con esperienze in crescita nel centro dell’Europa: il diffondersi delle Intentional eucharistic communities, cioè gruppi di cattolici che – a volte reagendo alla soppressione della propria parrocchia decisa dall’autorità ecclesiastica per la mancanza di clero – si autorganizzano in piccole comunità, spesso ospitate nelle case, celebrando l’eucaristia con l’accompagnamento di un presbitero privato dell’esercizio del ministero perché sposatosi o di una delle «donne prete» (un’ottantina negli Stati Uniti) ordinate nell’ultimo decennio dal movimento Roman Catholic Womenpriests e scomunicate da Roma. Se a ciò si aggiungono i 230.000 membri delle circa 250 «Chiese cattoliche indipendenti o autocefale» presenti nel paese (tra gli stand a Detroit c’era per esempio quello della Chiesa cattolica ecumenica di Cristo, fondata nel 1998 a Miami, che oggi dichiara 400.000 membri nel mondo e comunità sparse in tutti i continenti). Mauro Castagnaro IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 483 484 diario ecumenico:Layout 2 25-07-2011 16:21 Pagina 484 diario ecumenico GIUGNO Dialogo ortodosso-luterano. La Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Federazione luterana mondiale (FLM) si riunisce a Wittenberg (Germania) dal 31 maggio al 7 giugno, per la sua 15a sessione di dialogo dalla fondazione nel 1981. Attualmente presieduta da D. McCoid (Chiesa evangelica luterana in America) e dal metropolita Gennadios Limouris, si confronta sul nodo più spinoso che ha raffreddato le relazioni tra protestanti e ortodossi, ossia le «serie implicazioni per il dialogo suscitate dalla diffusa pratica luterana di ordinare donne e, più recentemente, dalle decisioni prese da alcune Chiese luterane circa persone con relazioni omosessuali». Ciononostante l’impegno al dialogo viene riaffermato e si porta a conclusione il lavoro su una dichiarazione comune su Il mistero della Chiesa: natura, attributi e missione della Chiesa. Ai problemi teologici sollevati dagli sviluppi delle suddette tendenze in seno al protestantesimo saranno dedicati i prossimi incontri. Dresda – Kirchentag. La 33a edizione del Kirchentag evangelico, il meeting organizzato ogni due anni dalle Chiese protestanti tedesche con numerosi eventi d’interesse religioso e culturale, si svolge dal 1° al 5 giugno a Dresda. Cf. in questo numero a p. 447. FLM – Verso il giubileo della Riforma. Il piano strategico 2012-2017, anno in cui si celebreranno i 500 anni della Riforma protestante avviata da Martin Lutero, è al centro della riunione del Consiglio della FLM (Ginevra, 9-14 giugno), la prima dopo l’assemblea generale del 2010 che lo ha eletto e con il nuovo presidente Younan della Chiesa evangelica luterana di Giordania e Terra santa e il nuovo segretario Junge, cileno. Viene anche approvata la fondazione di una commissione trilaterale di dialogo con la Chiesa cattolica e i mennoniti. Un elemento di preoccupazione è rappresentato dalla situazione finanziaria dell’organizzazione, colpita da fattori come la crisi finanziaria globale, la debolezza dell’euro e del dollaro rispetto al franco svizzero e la riduzione dei contributi da parte dei membri dell’emisfero Sud. Dialogo cattolici-pentecostali. Dal 10 al 16 giugno s’incontrano a Roma i membri del Dialogo internazionale pentecostale - cattolico romano, che si svolge dal 1972 tra la Chiesa cattolica (Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani) e alcune Chiese pentecostali classiche (cattolici e pentecostali, insieme ai carismatici, costituiscono circa il 75% di tutti i cristiani). Il dialogo si trova attualmente nella sua sesta fase, dedicata a «I carismi nella Chiesa: il loro significato spirituale, discernimento e implicazioni pastorali»; l’incontro di giugno ha avuto a tema «I carismi nella Chiesa: il nostro terreno comune». L’anno prossimo si affronterà il discernimento, nel 2013 la salvezza e nel 2014 la profezia. La sesta fase di dialogo terminerà nel 2015 con un rapporto finale. USA – Futuro ordinariato anglicano. Circa 100 preti e 2.000 fedeli ex anglicani verranno accolti nell’ordinariato che sarà probabilmente istituito in autunno negli Stati Uniti sul modello di quello di Nostra Signora di Walsingham in Inghilterra. Lo ha annunciato l’arcivescovo di Washington, card. Donald Wuerl, all’assemblea generale della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti il 17 giugno. 484 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Dialogo anglicano-luterano. La terza Commissione internazionale anglicano-luterana, che porta avanti il dialogo ufficiale tra la Comunione anglicana e la FLM dal 1970, conclude il proprio mandato incontrandosi a Gerusalemme dal 18 al 25 giugno con un rapporto finale su Servire e amare il Signore. UE – Alleanza per la domenica. Il 20 giugno, nell’ambito della conferenza su «Il valore aggiunto di un tempo libero sincronizzato» presso la sede del Comitato economico e sociale europeo, viene presentata l’Alleanza europea per una domenica libera dal lavoro, una nuova federazione che mette in collegamento a livello europeo organizzazioni e associazioni interessate a fare pressione sulle istituzioni europee per promuovere e difendere il giorno festivo domenicale e orari di lavoro dignitosi (con l’esclusione del lavoro in tarda serata, notturno, nelle festività comandate e di domenica). Ne fanno parte le analoghe alleanze locali nate già da alcuni anni nei paesi di lingua tedesca, la Conferenza delle Chiese europee (KEK), alcuni sindacati come Solidarnosc (Polonia), FILCAM-CGIL (Italia), UNIA (Svizzera), Katholische Arbeitnehmer-Bewegung e Katholische Betriebsseelsorge (Germania), mentre come sostenitori figurano anche la Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE), la Chiesa evangelica tedesca, il Jesuit European Office e il Comitato centrale dei cattolici tedeschi. Il sito ufficiale è www.europeansundayalliance, la dichiarazione fondativa dell’organizzazione è disponibile anche in italiano. Chiesa ortodossa russa – Riforma della lingua liturgica. Il russo paleo-slavo o slavonico, sviluppato dai santi Cirillo e Metodio nel IX secolo e attualmente in uso nella liturgia della Chiesa ortodossa russa, sarà oggetto di una riforma per rendere la lingua più comprensibile alla società moderna. Lo afferma il 20 giugno sulla rivista RIA Novosti l’archimandrita Cirillo, un funzionario della Commissione del Patriarcato di Mosca per l’educazione. Un documento provvisorio sul ruolo del paleo-russo nella vita ecclesiale odierna sta circolando tra le diocesi ed è oggetto di confronto e discussione. Milano – Benedizione di una coppia omosessuale. Il 26 giugno, nel corso del culto domenicale, nella chiesa valdese di Milano il pastore Giuseppe Platone insieme alle pastore Dorothee Mack e Anne Zell benedice l’unione di vita di una coppia omosessuale. È la prima volta, dopo che nel 2010 il Sinodo valdo-metodista ha deciso di concedere alle Chiese locali la facoltà di procedere a questo tipo di benedizione laddove esse abbiano raggiunto «un consenso maturo e rispettoso delle diverse posizioni» (cf. Regno-att. 16,2010,515). Nello scorso maggio una decisione analoga è stata presa dalla Chiesa luterana italiana. Il 6 luglio la Federazione delle Chiese pentecostali, che fa parte come osservatore della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, afferma «la sua netta contrarietà sul piano biblico e teologico al riconoscimento delle unioni di persone omosessuali». CEC, Vaticano e Alleanza evangelica: vademecum per la missione. Un documento elaborato insieme dal Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e dall’Alleanza evangelica mondiale viene presentato a Ginevra il 28 giugno. Cf. in questo numero a p. 447. Daniela Sala a 485 agenda:Layout 2 25-07-2011 16:21 Pagina 485 agenda vaticana GIUGNO 2011 IOR. Il 1° giugno la Procura della Repubblica di Roma «revoca» il sequestro di 23 milioni di euro depositati presso lo IOR dal Credito artigiano di Roma, che erano sotto sequestro dal 17 settembre 2010 per sospetta «illiceità» rispetto alle norme antiriciclaggio dell’Unione Europea, che sono state recepite dall’ordinamento vaticano il 30 dicembre 2010 (cf. Regno-doc. 17,2010,537 e Regno-att. 2,2011,71). Croazia. Il 4 e il 5 giugno il papa è a Zagabria, Croazia, in coincidenza di un raduno nazionale delle famiglie. Invita a resistere alla «mentalità secolarizzata» che «propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio» e a «sollecitare provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli». Cf. Regno-doc. 13,2011,385ss. Siria. Così il 9 giugno il papa parla al nuovo ambasciatore siriano Hussan Edin Aala : «Gli avvenimenti degli ultimi mesi (…) manifestano il desiderio di un avvenire migliore nell’ambito dell’economia, della giustizia, della libertà e della partecipazione alla vita pubblica. Questi avvenimenti segnalano anche l’urgente necessità di vere riforme nella vita politica, economica e sociale. È tuttavia altamente auspicabile che questa evoluzione non si realizzi con metodi intolleranti, discriminanti e conflittuali, ma nel rispetto assoluto della verità, della coesistenza, dei legittimi diritti delle persone e delle collettività, nonché della riconciliazione. A tali principi devono ispirarsi le autorità, tenendo conto delle aspirazioni della società civile nonché delle istanze internazionali». Sempre il 9 giugno Francia e Germania presentano al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione di censura della repressione condotta dal governo di Damasco, scontrandosi con l’opposizione di Russia e Cina. Nucleare e protezione della natura. «Tutti i governanti devono impegnarsi a proteggere la natura e ad aiutarla a svolgere il suo ruolo essenziale per la sopravvivenza dell’umanità. Le Nazioni Unite mi sembrano essere il quadro naturale per una tale riflessione, che non dovrà essere offuscata da interessi politici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la solidarietà rispetto all’interesse particolare»: è la parte finale di un appello per «la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate che salvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo per l’uomo», che il papa formula parlando il 9 giugno ai nuovi ambasciatori di Moldavia, Guinea, Belize, Siria, Ghana e Nuova Zelanda. Esplicito è il riferimento all’emergenza nucleare giapponese e i media tendono a interpretare l’appello papale come un’indicazione indiretta per il referendum sul nucleare per il quale si vota in Italia il 12-13 giugno. Zingari e rom. L’11 giugno il papa riceve nell’aula Paolo VI i rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom, provenienti da tutta Europa, nella ricorrenza del 75° anniversario del martirio e del 150° della nascita del beato Zefirino Giménez Malla (1861-1936), gitano di origine spagnola. «Purtroppo – dice loro Benedetto – lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella Seconda guerra mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio (…). La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui». San Marino e Montefeltro. Il 19 giugno il papa visita la diocesi di San Marino e Montefeltro. «Anche qui come altrove – dice nell’omelia della celebrazione nello stadio di Serravalle – non mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità (…). Non vanno poi dimenticate la crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei coniugi, come pure la fatica sperimentata da non pochi educatori nell’ottenere continuità formativa nei giovani condizionati da molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa». Montenegro. Il 24 giugno viene firmato in Vaticano – dal card. Bertone e dal premier del Montenegro – un Accordo di base fra la Santa Sede e il Montenegro che «riconosce la personalità giuridica pubblica della Chiesa cattolica e delle sue principali istituzioni». Scola e Tettamanzi. Il 28 giugno il papa accoglie le dimissioni del card. Dionigi Tettamanzi (77 anni) da arcivescovo di Milano e nomina a suo successore il card. Angelo Scola (69 anni, nativo di Lecco, arcidiocesi di Milano), dal 2002 patriarca di Venezia. News.va. Un nuovo portale multimediale vaticano news.va è on-line a partire dal 29 giugno. Non sostituisce il sito vatican.va ma è più ampio e lo ingloba, facilitando al visitatore l’accesso all’insieme dei messaggi prodotti dalle diverse emittenti della Santa Sede: da quelli scritti de L’Osservatore romano, della Sala stampa e dell’agenzia Fides a quelli audio della Radio vaticana, ai filmati del Centro televisivo. Ratzinger 60° di messa. Con la celebrazione in San Pietro del 29 giugno Benedetto festeggia il 60° di messa: fu ordinato a 24 anni il 29 giugno 1951, insieme al fratello maggiore Georg e a una quarantina di altri compagni nel duomo di Frisinga, dal card. Michael Faulhaber. Seguono un pranzo con i cardinali a Santa Marta il 1° luglio (cf. Regno-doc. 13,2011,389) e una mostra intitolata «Lo splendore della verità, la bellezza della carità» – visitabile nell’atrio dell’aula Paolo VI dal 5 luglio al 4 settembre – con l’omaggio al papa di 60 artisti su invito del Pontificio consiglio della cultura. Su richiesta della Congregazione per il clero, i vescovi di tutto il mondo promuovono «ore di adorazione» secondo le intenzioni del papa. Cina. Il 29 giugno in Cina, a Leshan, viene ordinato vescovo, senza mandato papale, il reverendo Paolo Lei Shiyin. Una dichiarazione della Sala stampa vaticana segnalerà il 4 luglio che il consacrato è incorso nella scomunica «per la violazione del canone 1382» del CIC e che alla stessa sanzione si sono «esposti» i sette vescovi consacranti, tutti in comunione con Roma, nel caso che la loro partecipazione alla consacrazione sia stata «spontanea» e non – come parrebbe – forzata dalle autorità di Pechino. Rispetto all’analoga consacrazione illegittima del 20 novembre scorso, la dichiarazione evidenzia un ulteriore elemento di gravità ricordando che «lo stesso reverendo Lei Shiyin era stato informato da tempo che non poteva essere accettato dalla Santa Sede come candidato episcopale a causa di motivi comprovati e molto gravi»: cioè per comportamento morale «inaccettabile». Altra circostanza che fa risaltare la gravità della tensione in atto tra Santa Sede e autorità di Pechino: una nota sulle implicazioni canoniche di ordinazioni senza mandato era stata pubblicata il 10 giugno dal Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Cf. Regno-doc. 13,2011,393 e in questo numero a p. 456. Luigi Accattoli IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 485 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 S Pagina 486 studio del mese Orientamenti pastorali CEI Leggendo Paolo Torniamo al Vangelo Che cosa significa in concreto vivere e annunciare la «vita buona del Vangelo»? I vescovi italiani sono impegnati in una riflessione che a partire dagli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 – Educare alla vita buona del Vangelo – indirizzi le comunità cristiane verso prospettive di rinnovamento pastorale. In proposito, una suggestione importante ci è qui offerta da mons. Pintor, che rilegge quegli intenti pastorali a partire dal nucleo centrale della testimonianza paolina: l’essenzialità e l’esistenzialità del Vangelo. Paolo è il testimone innamorato «del Dio che nel suo Figlio Gesù Cristo si è rivelato il Dio che ama tutti i popoli»; il «Dio di tutti i poveri e i sofferenti nel mondo»; il Dio «più forte della morte e di ogni forma di male che conduce alla morte»; il «Dio che si svuota per assumere nel Figlio la nostra condizione di limite, di fragilità, di debolezza». Analoga concretezza di vita è posta nella riflessione di mons. Semeraro. «Oggi per la nostra gente, che per ogni altro verso legge di tutto, occorre una nuova Biblia pauperum. Potrà e saprà esserlo la vita delle nostre comunità? Trovare e “vedere” lì Gesù che prega e lavora, Gesù che predica e sta coi peccatori, Gesù che guarisce e consola, Gesù che accoglie e chiama... Nella Chiesa si compie il mistero del Christus totus». 486 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 487 C ome ogni celebrazione, anche quella dell’anno paolino, dopo avere suscitato studi, convegni e vari interessi intorno alla figura di san Paolo, rischia di essere catalogata nell’archivio dei «grandi eventi» senza che si colga la necessità e l’attualità di un confronto permanente con la prassi evangelizzatrice dell’apostolo Paolo da parte dell’agire pastorale delle nostre comunità. Eppure un riferimento all’azione pastorale e missionaria paolina sembra oggi particolarmente importante, in un momento in cui si avverte il bisogno di un rilancio e di un rinnovamento dell’evangelizzazione nel nostro paese e in Europa. Un riferimento, inoltre, che può favorire nelle nostre comunità cristiane e nell’intera Chiesa italiana il lasciarsi interrogare, a partire da ciascuno di noi e dalle relazioni intraecclesiali, su che cosa significa in concreto vivere e annunciare la «vita buona del Vangelo», come indicato nel documento pastorale della CEI per i prossimi dieci anni. Quali possono essere le caratteristiche e i criteri fondamentali che hanno guidato l’azione pastorale dell’Apostolo, e che sono ancora oggi particolarmente interpellanti e illuminanti per il servizio al Vangelo svolto dalle nostre comunità nel contesto attuale? Senza la pretesa di riassumere – nei limiti imposti dalle presenti riflessioni – la ricchezza e la complessità del pensiero e della prassi evangelizzatrice di san Paolo, ritengo utile sottolineare alcuni aspetti e scelte fondamentali – in riferimento a problematiche ed esigenze che vanno emergendo nella pastorale della Chiesa italiana, in vista di criteri e prospettive di rinnovamento per la nostra pastorale. Una prassi organica Nel contesto di forte cambiamento culturale e di società complessa in cui siamo chiamati, come Chiesa, ad annunciare e testimoniare il Vangelo, l’azione pastorale delle nostre comunità viene interpellata da nuove domande ed esigenze. Certamente, grazie all’azione dello Spirito, non mancano anche oggi segni di speranza, impegni generosi nel servizio pastorale, testimonianze del Vangelo, sforzi di rinnovamento. Come non mancano indicazioni pastorali di estrema attualità a partire dal concilio Vaticano II con le diverse encicliche che si sono susseguite, in particolare da Giovanni XXIII a Benedetto XVI. Eppure si ha l’impressione (ma è molto più che una semplice impressione) che l’azione pastorale a livello di Chiesa italiana faccia fatica ad aprirsi a un’autentica missionarietà vissuta, con il rischio spesso di essere sordi davanti a nuove domande, muti davanti a realtà e condizioni che richiederebbero più profezia e, forse, troppo «loquaci», dove sarebbe richiesto maggiore ascolto, umile e silenzioso discernimento. Alla base sembrano esserci più elementi: una visione di Chiesa piuttosto riduttiva, con l’accentuazione unilaterale di un aspetto a scapito di tutti gli altri; la dissociazione degli elementi che entrano in gioco nella comunicazione del Vangelo: fede – vita; verità – amore; carità – giustizia; potere – servizio; azione pastorale – fede – spiritualità; mistero – visibilità ecclesiale… Una delle principali cause, probabilmente, è data dalla mancanza di una visione organica della prassi evangelizzatrice, con al centro un costante riferimento al nucleo centrale del Vangelo e della fede cristiana, compreso e comunicato in tutta la sua essenzialità ed esistenzialità, attraverso la nostra vita e dentro la vita delle persone nella loro condizione concreta. Su questa realtà, appena e parzialmente accennata, mi pare offra una luce particolare il nostro confrontarci con l’esperienza evangelizzatrice di san Paolo. Infatti, la prima caratteristica generale e di fondo della sua azione pastorale è data da una visione organica e globale del servizio al Vangelo, incentrato sul mistero di Cristo e sulla fede in lui, aperto a tutti gli uomini e incarnato nelle situazioni concrete di comunità e di persone, con un’armonizzazione unitaria tra le diverse dimensioni: teologica, pastorale, spirituale, kerygmatica, antropologica, esistenziale, ecclesiale, sociale, culturale, storica ed escatologica. Il nucleo del contenuto del Vangelo che Paolo sa di essere chiamato ad annunciare può essere riassunto in questi termini: Dio nel suo amore gratuito, in un grande disegno salvifico, offre la salvezza a tutti gli uomini: ebrei e gentili, in Gesù Cristo morto e risorto. Si partecipa al dono della salvezza unendosi a Cristo attraverso la fede, morendo con lui al peccato e partecipando con lui alla forza della sua risurrezione. La salvezza non è ancora completa, finché egli venga. Intanto colui che in Cristo è stato redento dal peccato diventa un uomo nuovo per mezzo dello Spirito ed è chiamato a vivere nella Chiesa, corpo di Cristo, questa nuova realtà di figlio/a di Dio in cui dalla fede e dal battesimo è stato introdotto. L’apostolo stesso, in un passo della Lettera ai Galati, esprime in un’estrema sintesi l’origine, il contenuto e la qualità della sua missione evangelizzatrice: «Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,11-12). IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 487 S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 488 Dio al primo posto In tutta l’azione evangelizzatrice di Paolo emerge costantemente il primato del disegno di Dio che vuole salvi tutti gli uomini. Un disegno ispirato da un amore eterno e gratuito con cui tutti gli uomini sono chiamati ad accogliere il dono della salvezza (cf. anche 2Ts 2,13 -14; Ef 1,9.11; 3,11; Rm 8,28; 9,11). Tutto procede dall’amore di Dio, il quale mentre eravamo ancora «nemici» e «peccatori» (cf. Rm 5,8-10) ci ha amato «nel Cristo» (Rm 8,38), «nel suo Figlio diletto» (cf. Ef 1,6; Rm 5,8-11; 28-30; Ef 1,3-14). C’è da chiedersi se tanta nostra azione pastorale oggi è attenta a questo primato della grazia e della libera iniziativa gratuita di Dio verso ogni persona. Se, in altre parole, mette al primo posto Dio e la sua iniziativa di amore, se ne va manifestando il volto da lui rivelato: nelle nostre attività, nel nostro servizio pastorale, nella nostra comunicazione e nell’incontro con le persone. Solo così si può superare il rischio di una pastorale autoreferenziale e senz’anima, naturalistica da una parte, o il rischio di una pastorale disincarnata e «spiritualistica» dall’altra, perché il Dio della rivelazione è il Dio della storia e della vita. Gesù Cristo al centro È all’interno di questo primato di Dio che meglio si può comprendere la centralità di Gesù Cristo e della sua mediazione salvifica come «cuore e nucleo fondamentale ed essenziale» del nostro annuncio evangelico e di tutta la nostra prassi pastorale. Nell’esperienza e nella prassi evangelizzatrice paolina, la mediazione salvifica di Gesù Cristo appare fortemente collegata con l’iniziativa di amore del Padre, che non offusca minimamente la centralità di Cristo, ma anzi la esalta: se Paolo dichiara che il Padre ha inviato il Figlio (cf. Gal 4,6; Rm 8,3), che lo ha dato per noi (cf. Rm 8,32), afferma insieme che Cristo ha dato se stesso (cf. Gal 1,4; 1Tm 2,6; Tt 2,14), si è dato per amore per noi (cf. Gal 2,20; Ef 5, 2.25). Nel cuore dell’azione pastorale di Paolo vi è il kerygma di Gesù Cristo, morto e risorto. È attraverso la morte in croce, seguita dalla risurrezione, che Gesù Cristo ha operato la redenzione, la liberazione, la riconciliazione (cf. 2Cor 5,18-20) e la salvezza: «Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,23-24). Le conseguenze e le ricadute di questa centralità di Cristo – così evidente nell’azione evangelizzatrice paolina – sono quanto mai importanti e attuali per una verifica e un rinnovamento dell’azione pastorale nella Chiesa italiana e nelle nostre comunità. La «centralità di Cristo» come «cuore essenziale e unificante» della pastorale non può essere semplicemente affermata a parole o scritta nei documenti. È criterio normativo, valutativo, correttivo e orientativo di ogni prassi evangelizzatrice. La persona e l’azione evangelizzatrice di Gesù, vero Dio e vero uomo, il suo mistero – per noi come lo è stato per l’apostolo Paolo – devono essere il fondamento e il criterio illuminante dell’agire pastorale concreto della Chiesa. 488 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Un agire pastorale – quello della Chiesa in Italia e di tante nostre comunità – che a mio avviso, al di là di un grande attivismo e di un’accresciuta visibilità e forza sociale, ha necessità di confrontarsi – con molta umiltà, spirito di parresia e profezia – con questo criterio fondamentale che mai può essere dato per scontato. Se Dio ci ha salvato attraverso Gesù Cristo, morto e risorto, nella totalità della sua umanità e della sua divinità, la stessa umanità di Cristo e la sua scelta di assumere tutta la nostra debolezza eccetto il peccato vanno considerati come la grande mediazione e il primo sacramento, di cui la stessa umanità della Chiesa è chiamata a essere sacramento. In altre parole non esiste altra via per evangelizzare se non la via dell’incarnazione; non esiste altro luogo per evangelizzare se non l’umanità concreta nostra e dell’altro, non esiste altra via da intraprendere se non la via che è Gesù Cristo stesso: egli «è la via principale della Chiesa. Egli stesso è la via alla casa del Padre ed è anche la via a ciascun uomo» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, n. 13, in EV 6/1207). Se la nostra pastorale appare – talvolta o spesso – dispersiva, frammentata, settoriale, spiritualista, oppure naturalista, fredda e formale, distaccata dalla vita, fiduciosa più su mezzi e poteri umani che sull’assunzione della kenosis, debolezza scelta da Dio e rivelata nel Figlio, scarsamente aperta alla missione, povera di interiorità…Tutto questo non sarà perché essa non si lascia sufficientemente e concretamente illuminare, giudicare e convertire dal criterio misterico dell’incarnazione? In proposito l’azione e la testimonianza dell’apostolo Paolo sono estremamente eloquenti: Paolo è un innamorato del Dio, che nel suo Figlio Gesù Cristo si è rivelato il Dio che ama tutti i popoli. «Dio, nostro salvatore (…) vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,3-6). Paolo è innamorato e testimone del Dio di tutti i popoli, del Dio di tutti i poveri e sofferenti nel mondo; più forte della morte e di ogni forma di male che conduce alla morte; del Dio che si svuota per assumere nel Figlio la nostra condizione di limite, di fragilità e di debolezza. È sufficiente rileggere l’inno a Cristo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2,5-9). Si tratta forse di una semplice esortazione, da interpretare e rinchiudere in forme di spiritualità intimistica e individualistica, o non piuttosto di un criterio normativo che interpella il nostro agire di discepoli di Cristo, sia come singoli sia come comunità? «Abbiate in voi gli stessi sentimenti» che furono in Cristo, perché solo così, dice Paolo, si possono edificare comunità capaci di comunicare il Vangelo nel cuore del- 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 489 l’umanità nostra e di ogni persona, di testimoniarlo come profezia di speranza e di rispetto dell’uguale dignità in Cristo di ciascuno in qualunque condizione: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,3-4). Non ci dice nulla al nostro modo di pensare il Vangelo, il lasciarci cioè attraversare dal Vangelo nella nostra vita e nella vita delle nostre comunità, nel nostro agire pastorale? Come le nostre comunità possono assumere nella loro pastorale a servizio della missione il principio fondamentale dell’incarnazione come assunzione in Cristo di ogni fragilità umana? Paolo è innamorato di Gesù Cristo e da lui affascinato. Fin dal primo momento del suo incontro con il Risorto sulla via di Damasco, egli s’immedesima e vive le scelte di Cristo nella sua prassi evangelizzatrice. Ne è dimostrazione la frequenza con cui utilizza nelle sue lettere l’espressione «in Cristo» e «in Cristo nostro Signore» (circa 164 volte). Fino quasi a un’identificazione: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Forse la nostra pastorale per essere più coraggiosa, significativa, evangelizzatrice e ricca di speranza, anche nel contesto attuale, ha bisogno di interiorizzare e di vivere un’autentica spiritualità dell’essere e dell’agire «in Cristo». Vale la pena chiederci se questo «vivere in Cristo» di Paolo e la sua passione per Gesù crocifisso e risorto siano davvero al centro e nel cuore della nostra azione pastorale. Nella potenza dello Spirito Ma la centralità dell’annuncio del Cristo crocifisso e risorto nella prassi evangelizzatrice di Paolo è sempre accompagnata dalla consapevolezza della presenza e dell’azione dello Spirito. Ai cristiani di Corinto egli scrive: «Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 2,1-5). Del resto nulla dell’agire pastorale delle nostre comunità, della stessa vita cristiana potrebbe essere compreso e attuato senza il costante riferimento e riconoscimento della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo a comunicare l’azione pasquale del Signore per la salvezza di tutti gli uomini e a unirci come Chiesa in comunione organica e missionaria. L’apostolo Paolo sottolinea come sia il dono dello Spirito ad aprirci alla fede, alla relazione filiale con Dio e alla relazione fraterna (cf. Rm 8,9-17), e da esseri «carnali» ci renda «esseri spirituali» capaci di portare i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Lo Spirito Santo è inviato alla Chiesa come sorgente IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 489 di ministerialità diversificata e organica, di collaborazione e di unità per l’opera della salvezza e, quindi, per la missione (cf. Ad gentes, n. 4). È lo Spirito sorgente della molteplicità dei doni e, insieme, dell’unità del servizio per la missione (cf. 1Cor 12,1-28). Anche qui c’è da interrogarsi come l’azione pastorale manifesti o possa manifestare in concreto la presenza e l’azione dello Spirito. La necessità anzitutto che le nostre comunità lascino trasparire in quello che sono e nel loro agire, anche attraverso alcuni lineamenti strutturali, la presenza e il ruolo dello Spirito Santo: l’uguale dignità nella diversità complementare dei compiti e dei doni, la fraternità, la comunione, la corresponsabilità e la comune missione, la comunicazione e il dialogo, l’unità nella pluralità dei doni e dei compiti, la missionarietà, un maggior coraggio profetico… Ma, soprattutto, una pastorale più incarnata nella vita delle persone e più attenta al cuore dell’uomo, alle situazioni che la persona vive, alla sua storia, ai suoi doni e alle sue attese. Ministero di fede Alla luce e sulla base dei criteri sopra richiamati intorno alla prassi evangelizzatrice misterica di san Paolo, si possono ora brevemente sottolineare alcuni altri tratti conseguenti e caratterizzanti il suo agire pastorale, utili per riflettere e ripensare il servizio al Vangelo delle nostre comunità. La visione e l’azione evangelizzatrice di Paolo mette al Giorgio Campanini La spiritualità familiare nell’Italia del ’900 Percorsi profili prospettive L a ricerca traccia la storia del movimento di spiritualità familiare in Italia nel secondo ’900: uno degli aspetti più interessanti e innovativi del postconcilio italiano. A conferma di una tendenza caratteristica della teologia italiana, la riflessione sul tema è stata stimolata anche dai mutamenti culturali in atto, dalle domande concrete della comunità credente e dall’ascolto del contesto di vita. «Teologia viva» pp. 232 - € 20,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 25-07-2011 17:14 Pagina 490 S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 centro la fede. Si pensi allo sviluppo del tema nella Lettera ai Galati e soprattutto nella Lettera ai Romani. È attraverso la fede che viene accolto il dono della salvezza. Se la fede, per san Paolo e per noi oggi, è la risposta personale dell’uomo all’iniziativa di Dio che viene incontro con la sua parola e i suoi interventi salvifici (cf. Rm 10,14; Gal 1,11ss); se credere significa accettare come reale e salvifico il fatto della risurrezione di Gesù (cf. Rm 4,24; 10,9; 1Cor 12,3; 15,1-19; 1Ts 4,14; Fil 2,8-11), allora anche tutto l’agire pastorale, come servizio al Vangelo per la salvezza di ogni uomo, deve essere visto e praticato come ministero di fede: di una fede che attraversi le nostre comunità e la vita degli evangelizzatori e si manifesti attraverso tutta la prassi pastorale. Non è un caso che l’enciclica Redemptoris missio affermi che la missione è sostanzialmente un problema di fede: di una fede vissuta, testimoniata, contagiosa. Senza una fede viva, animata dallo Spirito, che attraversi e sostenga la nostra povertà e fragilità personale e comunitaria, l’azione rischia di ridursi a puro attivismo e gli stessi operatori pastorali a semplici funzionari di una società religiosa. Davvero le nostre relazioni comunitarie ed ecclesiali, le nostre attività sono attraversate sempre da questa fede? Colpisce, riflettendo sull’azione evangelizzatrice di san Paolo, il suo riferirsi sempre a comunità concrete nelle situazioni positive o meno che esse vivono il suo riferirsi a persone concrete e a fatti concreti nell’annunciare il Vangelo. In altre parole la sua azione è sempre rivolta e attenta alla persona umana, sulla linea della prassi evangelizzatrice di Gesù. Nell’insegnamento e nell’agire di Paolo la fede s’incarna nella totalità esistenziale e culturale della persona, rinnovandola attraverso la presenza e l’azione dello Spirito: chi è «in Cristo», chi mediante la fede entra nell’azione salvatrice 490 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 di Cristo, è «nuova creatura» (cf. 1Cor 5,17; Gal 6,15; Ef 4,24; Col 3,10). Un messaggio forte che ne deriva per la pastorale delle nostre comunità può essere la necessità di una maggiore attenzione alle singole persone nella loro identità e dignità, nelle concrete e diversificate situazioni di vita, nelle loro molteplici relazioni, nella quotidiana vita dell’esistenza. Se in forza dell’incarnazione si deve affermare che Cristo è la via della Chiesa, sempre in forza dell’incarnazione si deve riconoscere che l’uomo in tutta la sua concretezza è la via della Chiesa e della sua azione pastorale. Vocazione per la missione L’incontro di Paolo con il Signore Gesù sulla via di Damasco è alla base di tutto il suo modo di pensare e di praticare il suo servizio al Vangelo – più che di esperienza di semplice «conversione», si può parlare di esperienza di «vocazione-chiamata» per la missione – sulla via di Damasco. Paolo, incontrando il Signore risorto, avverte una chiamata avente per contenuto il Cristo Figlio di Dio presente nella sua Chiesa e come destinatarie tutte le genti. Nella Lettera ai Galati egli scrive: «Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco» (Gal 1,15-16). Nell’incontro con il Risorto Paolo cambia in profondità la visione di Dio; il Dio dell’alleanza con Israele è il Dio che vuole stringere un’alleanza con tutti gli uomini e tutti i popoli. Dio è il Dio di tutti, degli ebrei come dei pagani. È il Dio che non fa di- 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 491 El Greco, I santi Pietro e Paolo, Barcellona, Museo di arte catalana. stinzione di persone, ma a tutti offre gratuitamente la sua salvezza. A Damasco Paolo è stato afferrato e conquistato da un amore gratuito che non potrà più tenere per sé, ma si sente chiamato a comunicarlo a tutti gli altri. È quanto l’Apostolo esprime nella Prima lettera ai Corinzi, dove ricorda il suo impulso interiore di annunciare il Vangelo, chiamandolo necessità: «Infatti annunziare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16). Come metodo e stile missionario Paolo avrà un atteggiamento di apertura universale e d’inculturazione; di partecipazione alle situazioni di chi è fragile a ogni livello; di disponibilità totale a ogni uomo perché possa incontrare la forza salvatrice del Vangelo, cioè Gesù Cristo stesso: «Infatti – scrive l’Apostolo – pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero (…) Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,19-22). C’è da chiedersi se alla base di una scarsa missionarietà nella pastorale delle nostre comunità non vi sia proprio un’insufficiente consapevolezza di una vocazione cristiana connaturalmente missionaria, un insufficiente attaccamento a Cristo e al suo Vangelo del Regno, la mancanza di una passione e di una spinta interiore per comunicare agli altri, senza esclusione alcuna, il Vangelo dell’amore salvante di Dio. Testimonianza e dono di sé Paolo non si sente un «funzionario di Dio», ma un padre e un fratello che genera la comunità nella fede con l’annuncio del Vangelo (cf. 1Cor 4,15). Egli evangelizza non solo con la parola, ma con l’intera sua persona: nella sua esistenza traspare il mistero pasquale di Gesù morto e risorto. Mistero che si manifesta con l’insieme delle sue sofferenze fisiche, morali, spirituali patite per Cristo (cf. 1Cor 4,6-13; 2Cor 4,8-12; 6,4-10; 11,23-33; 2Tm 3,10-11). Fino all’affermazione «per me infatti il vivere è Cristo» (Fil 1,21); e «sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19-20). Un richiamo forte per la nostra azione evangelizzatrice nel contesto attuale, dove più che mai si ha necessità di testimoni autentici che vivano il Vangelo che proclamano. La credibilità e l’accoglienza dell’annuncio cristiano dipende in maniera rilevante dalla testimonianza offerta dalla persona che evangelizza e dalla comunità cristiana che evangelizza. Prima e più delle parole che si dicono, è importante la nostra autenticità, il nostro modo di vivere e di impegnarci per gli altri in nome e a causa del Vangelo. Per Paolo la redenzione che si acquisisce in Cristo è una salvezza attuale e presente, ma il cui compimento rimane ancora nell’attesa. «Nella speranza infatti siamo stati salvati» (Rm 8,24). È certo già che «Dio, nostro salvatore» (1Tt 3,5), ci ha risuscitati e fatti rivivere con Cristo (cf. Ef 2,5-6). Si tratta di una salvezza presente, ma la cui pienezza sarà donata alla fine dei tempi, alla manifestazione di Cristo alla fine della storia. La pastorale delle nostre comunità ha bisogno di questo respiro. Vivere il «già» e il «non ancora» in una speranza attiva e testimoniando tutta la bellezza del vivere la «vita buona del Vangelo». Nell’azione evangelizzatrice di Paolo risaltano fortemente il senso e le scelte della solidarietà fraterna e di comunità cristiane solidali senza confine. Si pensi alla forza con cui l’Apostolo denuncia, nella Prima lettera ai cristiani di Corinto (1Cor 11) il sacrilegio e il tradimento della celebrazione della cena del Signore dato dalla mancata condivisione del cibo da parte di coloro che hanno molto (i ricchi) nei confronti di coloro che hanno poco (i poveri): «Il vostro non è più un mangiare la cena del Signore» (1Cor 11,20). Per Paolo questo comportamento è una grave controtestimonianza: «Volete gettare il disprezzo nella Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11,22). È indubbio che questo pone domande inquietanti alle eucaristie che celebriamo e alla formazione cristiana che promuoviamo nelle nostre comunità. Così come interrogano le nostre comunità sulla loro apertura missionaria e la solidarietà con altre Chiese e comunità più povere economicamente le «collette» promosse dall’Apostolo a livello internazionale tra Chiese in situazione economica migliore e altre comunità in situazione di povertà (cf. 1Cor 16,1-4; 2Cor 8,9). Ma la sintesi in un certo modo di tutte le indicazioni spirituali e pastorali di Paolo la possiamo trovare nel c. 13 della Prima lettera ai Corinzi (1Cor 13,1-13), dove l’Apostolo, dando le sue istruzioni per la vita e l’azione della comunità, sottolinea come tutti i doni spirituali e tutte le attività, senza il primato della carità e dell’amore, sarebbero vuote di significato e solo apparenza, magari abbagliante. Egli parla di una «via» come cammino e tensione continua per percorrere la stessa via della carità e dell’amore che è Cristo. In conclusione si può affermare che la qualità dell’azione pastorale dipende, in definitiva, dalla capacità di far trasparire nella vita delle nostre comunità e nelle diverse realizzazioni pastorali quell’amore di Dio, di cui Paolo parla ed è testimone: un amore «dal cuore grande e aperto» e costruttivo. È questo amore di Dio che lo ha afferrato e affascinato nell’incontro con Cristo, che spinge Paolo ad annunciare il Vangelo. Proprio perché fondate sul primato del mistero di Dio, sulla fede e sull’amore a noi partecipato in Gesù Cristo morto e risorto e nel dono dello Spirito, la visione e l’azione pastorale di san Paolo sono cariche di speranza e di fiducia (vedi in particolare il c. 8 della Lettera ai Romani). Forse è proprio a partire da queste prospettive e scelte fondamentali che la pastorale delle nostre comunità potrà meglio rinnovarsi. Con una convinzione che attraversa tutta la visione paolina: quella di essere Chiesa in Cristo abitata dallo Spirito, per essere umile «sacramento», segno e strumento dell’amore salvante di Dio per tutti gli uomini. Solo se le persone faranno esperienza di questo amore che traspare nel diverso agire delle nostre comunità cristiane, potranno conoscere e accogliere il Dio della vita e dell’amore. Sergio Pintor* * Sergio Pintor è vescovo di Ozieri (SS). IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 491 25-07-2011 17:14 Pagina 492 CEI - Gli orientamenti e la catechesi S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 La vita buona del Vangelo È già da otto mesi che abbiamo fra le mani gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. Potremmo descriverli come un insieme di «linee pastorali che emergono dalla scelta dell’educazione come attenzione portante di questo decennio e che s’intrecciano con tutto l’agire della Chiesa» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 6; Regno-doc. 19,2010,604). Se poi volessimo sintetizzarne il messaggio potremmo indicare i punti seguenti: – la vocazione più intima dell’uomo è quella d’incontrare Dio (Presentazione);1 – nell’incontro con Gesù Cristo sperimentiamo «la forza trasformante del suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello buono e vero» (ivi);2 – Gesù, maestro di verità e di vita, ci invita a una relazione personale con lui, da cui è generato un cammino che, con le sue radicali esigenze, conduce a un sempre rinnovato incontro con lui (cf. n. 32; nn. 25-26.28); – l’incontro con Cristo necessita, in ogni caso, di una mediazione ecclesiale: «In quanto luogo d’incontro con il Signore Gesù e di comunione tra fratelli, la comunità cristiana alimenta un’autentica relazione con Dio; favorisce la formazione della coscienza adulta; propone esperienze di libera e cordiale appartenenza, di servizio e di promozione sociale, di aggregazione e di festa» (n. 39; Regnodoc. 19,2010,616). Per riassumerli potrà essere utile risentire questo passaggio degli orientamenti, che riecheggia parole di Benedetto XVI: «“Anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile”. La sua sorgente è Cristo risuscitato da morte. Dalla fede in lui nasce una grande speranza per l’uomo, per la sua vita, per la sua capacità di amare. In questo noi individuiamo il contributo specifico che dalla visione cristiana giunge all’educazione» (Regno-doc. 19,2010,603). Educare è generare Prima di entrare in merito all’argomento, infine, penso sia utile risentire ciò che, riguardo al documento in rapporto alle scelte pastorali nelle nostre Chiese diocesane, ha detto il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI), mons. Mariano Crociata: «Il documento del decennio non costituisce il programma pastorale delle singole diocesi, ma rappresenta uno strumento pastorale organico di discernimento e di programmazione, un quadro ermeneutico, una cornice di 492 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 compatibilità dei percorsi che le singole Chiese si sentono chiamate a compiere. Per corrispondere all’identità e alla missione proprie di ciascuna nelle condizioni in cui vive e opera».3 C’è negli orientamenti un passaggio che ritengo illuminante: «Esiste un nesso stretto tra educare e generare» (n. 27; Regno-doc. 19,2010,612). Molto si potrebbe dire riguardo a questa dimensione generativa.4 Già il solo richiamo all’etimologia del verbo «educare» ci avverte che nella lingua latina (e-ducere) ha come primo significato «tirare fuori», «trarre» e «condurre fuori» con sé, persino «generare». Educit obstetrix…, sentenziava M.T. Varrone. Tre secoli prima di lui, Socrate amava ripetere che egli aveva abbandonato il mestiere del padre (era scultore) per esercitare l’arte della madre, ossia quello di levatrice. La frase ha un suo profondo significato. Educare, infatti, non è aggiungere dall’esterno, o travasare da uno spirito in un altro, quasi che la persona umana fosse vaso da riempire; si tratta, piuttosto, (potremmo dire, questa volta, con un riferimento alla maieutica socratica), di fare nascere l’uomo dall’uomo, aiutare l’uomo a far venire fuori, a fare nascere la sua verità, la verità di se stesso, chi egli è.5 Nell’autentica «maieutica» educativa c’è sempre il senso dello stupore. Diversamente dallo scultore, ad esempio, che mette sempre del suo nella forma che va plasmando, l’educatore sa di doversi sempre fermare sulla soglia della libertà del soggetto. Questi potrebbe, di per sé, anche non accogliere la sua proposta, o modificarla… L’educatore non conosce in anticipo quale sarà il risultato del suo intervento educativo. Educare è, così, sempre un lasciarsi sorprendere dal soggetto. L’educazione autentica – c’insegna Romano Guardini – è possibile solo a partire da un autentico rispetto verso la personalità in formazione. Su ciò s’innesta pure il carattere morale dell’educazione, perché – è sempre R. Guardini che scrive – educare vuol dire aiutare chi sta crescendo a discernere nel proprio essere il bene e il male, ciò che fa crescere da ciò che blocca, ciò che promuove da ciò che danneggia; lo aiuta a vedere dove stanno le sue più intime contraddizioni e a trovare la via su cui avanzare.6 A lui vorrei unire M.F. Sciacca, un grande esponente italiano del moderno spiritualismo cristiano († 1975). Educare, scriveva, è sempre un «atto morale (e in questo senso altamente sociale, in quanto la socialità è un aspetto della moralità) e perciò è diverso dal tecnico, dall’utile e dall’economico; e, se atto morale, il suo soggetto inalienabile è la persona umana... consentire che lo spirito cresca dal di dentro è perciò l’opposto della tecnica anonima e livellatrice, vacanza del pensiero e dell’impegno di pensare, parsimoniosa al massimo di energie mentali... si educa traendo dal di dentro e cioè mettendo in atto le possibilità spirituali».7 Educare, al tempo stesso, è un processo di apertura e, perciò, anche di liberazione e di libertà. La metafora del «cammino» è uno dei fili conduttori dell’intero documento CEI.8 Il titolo del n. 26 recita così: «Un incontro che genera un cammino». Poco più avanti, all’inizio del n. 28, si legge ancora: «L’immagine del cammino ci fa comprendere che l’educazione è un processo di crescita che richiede pazienza. Progredire verso la maturità im- 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 493 pegna la persona in una formazione permanente, caratterizzata da alcuni elementi chiave: il tempo, il coraggio, la meta... [che] consiste nella perfezione dell’amore. Il Maestro ci esorta: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48)» (Regno-doc. 19,2010,612). Siamo così collocati nella prospettiva della «vita buona del Vangelo». L’espressione meriterebbe un approfondimento. Dirò solo che, intervenendo al Convegno ecclesiale 2011 della diocesi di Roma, Benedetto XVI ne ha fatto cenno citando sant’Ilario di Poitiers, il quale «ha scritto di essere diventato credente quando ha compreso, ascoltando il Vangelo, che per una vita veramente felice erano insufficienti sia il possesso, sia il tranquillo godimento delle cose e che c’era qualcosa di più importante e prezioso: la conoscenza della verità e la pienezza dell’amore donati da Cristo».9 A proposito di questa «vita buona», poi, dovremmo subito (ancora con R. Guardini) annotare che «l’uomo dev’essere buono, anzi, secondo la richiesta del discorso della montagna, “perfetto”: ciò significa volere il bene, volere la volontà di Dio, e avere la buona intenzione nel momento decisivo, dove comincia la sfera della libertà».10 Questo, tuttavia, è solo l’inizio del cammino di una vita buona. Occorreranno, perciò, molti altri passi perché il cammino prosegua e giunga alla sua meta. La buona intenzione, ad esempio, dovrà necessariamente immergersi nella contraddittoria e spesso tragica concretezza delle cose; dovrà pervadere tutta la complessa realtà umana poiché all’uomo Dio domanda non semplicemente di compiere delle cose buone, ma di essere, diventare buono. È, dunque, importante che il discorso cristiano sappia raggiungere tutte le sponde di vita, che albergano nel cuore dell’uomo e che l’opera educativa deve in ogni caso riuscire a intercettare: il desiderio di verità, di giustizia, di amore, di felicità.11 L’esperienza di un incontro Quale, al riguardo, dovrebbe essere il punto di partenza? Trattandosi della «vita buona del Vangelo»,12 comincerei col richiamare quel tipico processo generativo, che origina l’esistenza cristiana e che, nelle prime righe della sua lettera enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI ha descritto così: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».13 Se l’affermazione è vera (e lo è senz’altro), ne segue logicamente che se un uomo non ha incontrato Cristo, non è in realtà mai nato alla fede, né potrà mai sentire il desiderio di conoscerlo, di dialogare con lui, di amarlo. Uno stesso battezzato, se non giungerà a cogliere l’urgenza e la necessità di vivere la propria vita come vocazione, cioè nella verifica (= rendere vero nella vita) dell’incontro fatto, non potrà mai sentire il desiderio di approfondire la conoscenza di lui. L’incontro con Cristo, dunque, è davvero l’inizio e il fondamento di tutto ciò che segue, ciò che prestabilisce la validità di ogni successiva azione e ne condiziona l’esercizio. Diremo, ricorrendo a delle immagini, che questo «incontro» è, in rapporto a tutto ciò che segue, quello che per il fiume è la sorgente; oppure, per richiamare una scena evangelica, ciò che è per l’uomo la nascita (cf. Gv 3,3-8: il dialogo notturno di Gesù con Nicodemo). È l’atto fondante della vita cristiana. Né potrebbe essere diversamente se, come scrisse Romano Guardini, l’essenza del cristianesimo è la persona di Cristo. Scriveva: «Il cristianesimo non è una teoria della verità, o un’interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazaret, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino – cioè da una personalità storica».14 Nell’itinerario della vita cristiana, la sua necessità si ripresenta in forma sempre nuova, corrispondente alle età della vita, alle condizioni interiori ed esteriori, ai mutamenti della storia personale e comunitaria. L’incontro con Cristo è un continuum nel progressivo approfondimento cristiano e, oltre a essere lo scopo ultimo della catechesi, è, in chiave escatologica, la meta della stessa vita cristiana. Esso, pertanto, deve sempre essere precisato e spiegato, di volta in volta, in rapporto all’intero processo di maturità della fede e del progetto di vita cristiano, di cui è parte integrante. Occorre anche sottolineare che all’educazione alla fede una comunità ecclesiale deve anche necessariamente unire l’educazione della fede con tutti coloro che sono in cammino di maturazione. Con riferimento a quanto scrive il Direttorio generale per la catechesi ai nn. 69-72, potremmo anche parlare del bisogno di un’educazione permanente della fede. Potremmo anche ricordare quanto si legge nella nota L’iniziazione cristiana/3, dove «a motivo della grande diversificazione delle situazioni in cui oggi vivono coloro che si mettono alla ricerca di Cristo», si ipotizzano itinerari diversi e differenziati che esprimano «il rispetto del cammino personale e siano in ascolto delle domande e delle attese, non di rado inespresse ma non per questo meno vive, della persona» (n. 27; ECEI 7/1007). La nota conclude che l’itinerario d’iniziazione cristiana deve condurre «al progressivo inserimento nella comunità» e orientare «a una seria decisione di aderire a Cristo, per assumere nella Chiesa un servizio di testimonianza e di carità, nel quale continuare la crescita e la maturazione della vita cristiana» (n. 40; ECEI 7/1033). L’incontro con Cristo, com’è giustamente detto in Catechesi tradendae, n. 5 (cf. anche Direttorio generale per la catechesi, n. 80), è pure lo scopo definitivo della catechesi. Lo si riproporrà, dunque, sempre avendo presente che «la catechesi, primo atto educativo della Chiesa nell’ambito della sua missione evangelizzatrice, accompagna la crescita del cristiano dall’infanzia all’età adulta e ha come sua specifica finalità “non solo di trasmettere i contenuti della fede, ma di educare la mentalità di fede, di iniziare alla vita ecclesiale, di integrare fede e vita”» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 39; Regno-doc. 19,2010,616). Il ruolo dei testimoni La condizione fondamentale perché sorga quest’esperienza cristiana è il mistero stesso di Dio che, pur conservando la sua incomprensibilità e ineffabilità, nel suo Figlio non cessa di parlarci e talvolta lo fa paradossalmente perfino col suo «silenzio».15 Nel suo Figlio fatto uomo Iddio IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 493 25-07-2011 CEI - UFFICIO 17:14 Pagina 494 C AT E C H I ST I CO Adulti protagonisti S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 A bbiamo ritenuto utile affiancare alla riflessione di mons. Sergio Pintor, vescovo di Ozieri, quella di mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, il quale a partire dalla direzione impressa dai vescovi italiani alla pastorale con gli Orientamenti per il decennio 2010-2020 Educare alla vita buona del Vangelo ne prospetta l’applicazione nell’ambito della catechesi, e segnatamente quella degli adulti. In ciò si riflette l’attenzione della Conferenza episcopale italiana, che proprio all’annuncio cristiano dedicherà il primo documento applicativo degli Orientamenti (cf. Regnoatt. 12,2011,368), mentre ulteriori piste per l’attuazione in altri ambiti saranno offerte nei prossimi anni. Alla catechesi degli adulti era dedicato anche il XLV Convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani, organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale della CEI a Pesaro dal 20 al 23 giugno sul tema «Adulti testimoni della fede, desiderosi di trasmettere speranza. Responsabilità e formazione della comunità cristiana», e nel corso del quale mons. Semeraro ha tenuto la relazione che qui proponiamo, dal titolo «Educare alla vita buona del Vangelo: gli orientamenti pastorali per il decennio e la formazione degli adulti nel cammino della Chiesa italiana». Si avverte – come ha messo in luce nel suo intervento introduttivo don Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale – una difficoltà nella recezione, all’interno del tessuto concreto delle comunità parrocchiali, dei documenti catechistici dell’ultimo decennio, imperniati sul modello dell’iniziazione cristiana ispirato al percorso catecumenale, adatto al primo annuncio in un contesto che non può più presupporre la fede; e al tempo stesso sono presenti a «macchia di leopardo» tentativi e sperimentazioni messe in atto dalle comunità locali in coerenza con le nuove indicazioni (cf. Regno-att. 14,2010,488). Per svolgere una verifica del rinnovamento dell’iniziazione cristiana e una ri- si avvicina e s’adatta a noi (il Verbum abbreviatum, direbbe Francesco d’Assisi) e nella grazia dello Spirito ci unisce a sé. Come, infatti, potrebbe non essere vero per il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» quel che il notissimo pensatore ebreo, A.J. Heschel, dice già nel titolo di uno dei suoi libri più citati: «Dio alla ricerca dell’uomo»? Ciò posto, è vero pure che Iddio misericordioso ci domanda di aprirgli, di appianargli le strade (cf. Is 40,3). «Ci sono tre modi di “conoscere” Dio – si legge in un bel libro di Paolo Giuntella –, di cercarlo, di ascoltarlo, di incontrarlo». È su questa «via» della conoscenza di Dio che si pongono i testimoni. I quali mostrano la ricerca di Dio, danno il senso della fede, offrono con la loro vita il senso profondo della Vita, della storia; i testimoni, «che sono essi stessi annuncio o personaggi dell’annuncio. Perciò della stessa evangelizzazione».16 Il n. 29 degli orientamenti è interamente dedicato alla figura del testimone. Vi sono, in questo numero, dei passaggi che richiamano l’importanza della sua preparazione, anche intellettuale, e della sua competenza anche 494 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 cognizione rispettosa della vivacità dei territori l’Ufficio catechistico nazionale ha lanciato la proposta dei 16 Convegni regionali, che si terranno nel 2012 e saranno preceduti da un incontro nazionale dei direttori che si svolgerà nel gennaio 2012 a Roma. La Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi intende arrivare a un nuovo «Documento condiviso» dell’episcopato italiano, che aggiorni e rinnovi l’impulso del Documento di base e i catechismi. In vista di tale passo va evidenziata la centralità che viene attribuita anche dagli Orientamenti alla formazione permanente degli adulti e delle famiglie, e che già da tempo è oggetto d’attenzione da parte dell’Ufficio catechistico nazionale. «Gli Orientamenti – afferma don Benzi – pur nello stesso orizzonte dell’evangelizzazione ma fedeli alla riflessione sulla dinamica educativa, spostano, per così dire, l’obiettivo dagli adulti in quanto destinatari agli adulti in quanto soggetti dell’educazione e della comunicazione della vita di fede». Quali sono allora le condizioni per rendere consapevoli gli adulti di questo giusto protagonismo? La precedente riflessione sul tema, richiama don Benzi, mette in luce «l’importanza di dedicare tempo e spazio alla formazione e all’accompagnamento degli adulti che sono già all’interno delle nostre realtà ecclesiali, tenendo presente che essi non sono al di fuori delle dinamiche sociali odierne e che dunque, in qualche modo, hanno già elaborato una sintesi e una risposta di fede personale: si tratta di coloro che sono presenti nei consigli pastorali, nelle varie attività di carattere formativo o caritativo, di coloro che partecipano alla vita delle nostre comunità, soprattutto degli stessi catechisti che chiedono formazione»; in secondo luogo, «rivolgersi a queste persone significa in qualche modo toccare e far emergere una «responsabilità di testimonianza/educazione condivisa nella comunità ecclesiale». D. S. metodologica. È tuttavia sulla sua «qualità» morale e spirituale che s’insiste. «L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite... Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza maturata alla scuola di altri maestri… L’educatore compie il suo mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale...» (Regno-doc. 19,2010,612). Poco più avanti, al n. 31, gli orientamenti ne mettono in evidenza un’altra qualità, che chiamerei della fedeltà, che è la base delle virtù di un educatore, perché la fedeltà «è il cuore della pazienza e si installa nella fedeltà quotidiana dell’amore» (V. Jankélévitch). Educare alla vita buona del Vangelo per questo non manca di avvertire che 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 495 «la credibilità dell’educatore è sottoposta alla sfida del tempo, viene costantemente messa alla prova e deve essere continuamente riconquistata. La relazione educativa si sviluppa lungo tutto il corso dell’esistenza umana e subisce trasformazioni specifiche nelle diverse fasi» (Regnodoc. 19,2010,613). Non si sottolineerà mai abbastanza l’ineludibilità di questa qualità dell’educare, che vale evidentemente anche per l’educazione della fede, ossia la nostra catechesi. Soprattutto oggi, nella nostra società pluralista, l’esigenza di una diversificazione della catechesi, che permetta percorsi multipli non soltanto secondo le età e gli ambienti di vita, ma anche secondo le profonde e interiori domande personali, è ineludibile. Come è stato giustamente sottolineato da qualcuno, la situazione di pluralismo e di complessità obbliga a raggiungere, in spirito di servizio, le persone là dove sono e privilegiare i percorsi personalizzati e flessibili.17 Ora, tutto questo che ho appena rilevato potrà e dovrà dirsi tanto di una singola figura, quanto di un insieme di figure cristiane. Saranno proprio queste a significare, nei riguardi di una singola persona, il volto materno della Chiesa. Non saprei spiegarlo in altro modo se non richiamando l’avventura cristiana di Agostino. Nelle sue Confessioni – scritte circa dieci anni dopo la sua conversione – egli afferma qualcosa di molto bello riguardo alla «qualità educativa» del vescovo di Milano, Ambrogio, della sua discreta «mistagogia» e della sua prudente opera di «iniziazione». Leggiamo: «Incontrai il vescovo Ambrogio, noto a tutto il mondo come uno dei migliori, e tuo devoto servitore. In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. Quell’uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza».18 Notiamo la graduale attrazione che Ambrogio esercitò su Agostino, dapprincipio solo con la sua paternità e il suo atteggiamento benevolo, accogliente, amico. Proprio a partire da ciò, tuttavia, prende avvio il lento cammino di Agostino verso la fede cristiana. Figure come questa di Ambrogio debbono necessariamente esserci nelle nostre comunità cristiane. Gli orientamenti ne richiamano l’importanza al n. 41 («La parrocchia, crocevia delle istanze educative») e, anzi, propongono «la promozione di nuove figure educative» (n. 54; Regno-doc. 19,2010,622).19 Nuova at tenzione per gli adulti Gli Orientamenti pastorali non tacciono le difficoltà che l’opera educativa è oggi chiamata a fronteggiare, come pure quelle che riguardano le difficoltà nel processo di trasmissione dei valori alle giovani generazioni (cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 5). Come, peraltro, parlare di educazione senza parlare pure degli «educa- tori», adulti per definizione? Verrebbe meno l’azione educativa stessa, la sua ragione d’essere, la sua finalità e i suoi obiettivi. Tutto questo è altrettanto vero quando si tratta di educazione nella fede: non possiamo concepire l’educazione alla fede e della fede, senza al tempo stesso fare riferimento al bisogno di avere «credenti adulti», testimoni e maestri, che nella fede trovano il fondamento della propria vita e la chiamata a mettersi a servizio delle nuove generazioni. «Per questo la catechesi sostiene in modo continuativo la vita dei cristiani e in particolare gli adulti, perché siano educatori e testimoni per le nuove generazioni» (n. 39; Regno-doc. 19,2010,616). Tutto questo, però, non esclude, anzi richiama una nuova attenzione pastorale verso gli adulti: gli adulti, in quanto adulti, e non solo in vista della loro funzione educativa. Già il Documento di base scriveva chiaramente che «gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano» (Il rinnovamento della catechesi, n. 124; ECEI 1/2744). In quel decennio, i vescovi rilevavano come occorresse per gli adulti una «catechesi permanente» (cf. Evangelizzazione e sacramenti, nn. 82-84). Nella Lettera per la riconsegna del Documento di base (1988) i vescovi italiani facevano ancora notare che per rafforzare un cammino di fede adulta vanno promossi itinerari «per la formazione sistematica e permanente del cristiano adulto nella Chiesa» (n. 7; ECEI 4/1020). Negli orientamenti pastorali degli anni Novanta, l’educazione alla fede riguarda direttamente gli adulti e le comunità ne devono essere consapevoli e favorire proposte forti (cf. Evangelizzazione e testimonianza della carità, nn. 28 e 45). Nel documento Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia si ribadisce la necessità di cristiani dalla fede adulta e pensata (cf. n. 50). Ultimamente, nella lettera Annuncio e catechesi per la vita cristiana scritta per il quarantesimo del Documento di base si ammette che «di fatto, questo obiettivo primario di formare cristiani adulti (…) è rimasto spesso disatteso» (n. 13; Regno-doc. 9,2010,270). Gli attuali orientamenti tornano sulla necessità di una proposta di formazione permanente degli adulti e delle famiglie, che tenga conto di un adeguato primo annuncio (cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 40), di un cammino di fede, iniziatico e permanente, appropriato (cf. n. 54) e del loro inserimento nella società e nel mondo del lavoro (cf. n. 55). Gli orientamenti, in definitiva, considerano questa un’urgenza pastorale; una priorità «al fine di dare impulso e forza al compito educativo delle nostre comunità» (n. 55; Regno-doc. 19,2010,622). Comunità aper te alla speranza Pure con queste urgenze, rimane vero che queste figure educative non possono essere senza un appropriato «contesto» entro cui vivere e agire, cioè la vita della comunità cristiana, con i grandi gesti (cf. At 2,42) che la esprimono, la costruiscono e ne rimangono il grande canale comunicativo per la trasmissione della fede. Dalla nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie (2004) giunge sempre attuale l’invito a rendere le nostre parrocchie case aperte alla speranza. Il primo modo perché lo divengano, è farne delle comunità ospitali.20 La IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 495 S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 496 25-07-2011 17:14 Pagina 496 nota CEI lo spiega in modo sapiente: «Consiste nel saper fare spazio a chi è, o si sente, in qualche modo estraneo, o addirittura straniero, rispetto alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa, eppure non rinuncia a sostare nelle sue vicinanze, nella speranza di trovare un luogo, non troppo interno ma neppure insignificante, in cui realizzare un contatto; uno spazio aperto ma discreto in cui, nel dialogo, poter esprimere il disagio e la fatica della propria ricerca, in rapporto alle attese nutrite nei confronti di Dio, della Chiesa, della religione» (n. 13; ECEI 7/1501). Un secondo modo sarà quello di rendere, le nostre, delle comunità attraenti. L’attrazione, a ben vedere, è il primo gesto col quale Dio comincia a «sedurre» (= condurre verso di sé). Vediamo come ne parla Agostino riguardo alla prima fase della sua conversione, giacché egli riferisce cosa, in particolare, lo attraeva in Ambrogio, in quel vescovo di cui tanto sentiva parlare. Scrive: «Frequentavo assiduamente le sue istruzioni pubbliche, non però mosso dalla giusta intenzione: volevo piuttosto sincerarmi se la sua eloquenza meritava la fama di cui godeva, ovvero ne era superiore o inferiore. Stavo attento, sospeso alle sue parole, ma non m’interessavo al contenuto, anzi lo disdegnavo. La soavità della sua parola m’incantava... Pure, insieme alle parole, da cui ero attratto, giungevano al mio spirito anche gli argomenti, per cui ero distratto. Non potevo separare gli uni dalle altre, e mentre aprivo il cuore ad accogliere la sua predicazione fe- conda, vi entrava insieme la verità che predicava, sia pure per gradi».21 Agostino non teme di ammettere che la prima forza attrattiva di Ambrogio era la sua qualità umana. Potrà essere così anche per le nostre comunità? Potranno essere percepite come dimore dove è bello entrare e dimorare; dove s’intuisce la presenza di donne e uomini, di famiglie con un cuore che ascolta, vede e ama? Casa attraente è la comunità cristiana che vive nell’amore, secondo il modello dell’antica comunità cristiana, di cui i pagani dicevano con ammirazione: «Guardate come si amano».22 Sarà pure importante che le nostre siano comunità trasparenti; dalla cui vita, cioè, traspaia la vita stessa di Gesù. Se il Medioevo seppe creare la Biblia pauperum per la sua gente semplice e analfabeta, oggi per la nostra gente che per ogni altro verso legge di tutto occorre una nuova Biblia pauperum. Potrà e saprà esserlo la vita delle nostre comunità? Trovare e «vedere» lì Gesù che prega e lavora, Gesù che predica e sta coi peccatori, Gesù che guarisce e consola, Gesù che accoglie e chiama... Nella Chiesa si compie il mistero del Christus totus, di cui parlava sant’Agostino: il Cristo-capo, che vive nelle sue membra e in esse gioisce e patisce, opera e parla; tutto-Cristo nell’insieme, nella totalità delle sue membra; tutto-Cristo nella Chiesa, suo corpo, dove ogni membro è ministro del tutto e lo rappresenta. È la Ecclesia in pluribus una et in singulis tota, di san Pier Damiani.23 C’è, infatti, un agire in persona Christi 1 È già stato un tema fondamentale nel magistero conciliare; cf. fra l’altro: «L’aspetto più sublime della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio. Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore» (CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 19; EV 1/1373). 2 Poco più avanti, in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 4 si legge: «Proponiamo le nostre riflessioni sull’educazione a partire dall’incontro con Gesù e il suo Vangelo, del quale quotidianamente sperimentiamo la forza sanante e liberante» (Regno-doc. 19,2010,603). 3 Intervento del segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI) al Consiglio permanente della CEI del 24-27 gennaio 2011. 4 Cf. sotto il profilo teologico I. SIVIGLIA, «Educare come atto generativo: aspetti teologici», in Vocazioni 28(2011) 3, 30-43. Nel medesimo quaderno si trovano altri studi di M. GUZZI, L. VARI e G. BARBON sul tema «Educare generando». 5 Per intendere correttamente la maieutica socratica cf. L. ROSSETTI, voce «Maieutica», in Enciclopedia filosofica, vol. VII, Fondazione Centro studi Gallarate – Bompiani, Milano 2006, 8916s. L’arte maieutica deve sapere indurre l’interlocutore – come Platone fa dire a Socrate nel Teeteto, a «scoprire e generare da sé stessi molte belle cose». 6 Cf. R. GUARDINI, Etica, Morcelliana, Brescia 2003, 881-910. La persona umana, spiega Guardini, ha in sé la capacità di essere colpita dal nuovo, dalla scoperta di ciò che non è programmato e ha, perciò, la capacità di stupirsi e di sorridere, di discernere e di prendere posizione, di fare delle opzioni e di operare dei rifiuti. In questa situazione il processo educativo acquista un carattere nuovo: di guidare il soggetto verso il coraggio delle scelte, verso l’umiltà dell’imparare ogni giorno il rapporto con la fonte originaria dell’accadere, con la libertà del vivere, con la vastità del mondo. 7 M.F. SCIACCA, In spirito e verità. Pensieri e meditazioni, Morcelliana, Brescia 1952, 27ss. Sul ruolo della morale nell’educazione cristiana cf. S. ZAMBONI, «La morale nell’educazione cristiana», in Rivista di teologia morale 43(2011)170, 185-190. Sulla «vita buona» nella prospettiva della teologia morale cf. il fondamentale intervento di M. COZ- ZOLI, IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 Per una teologia morale delle virtù e della vita buona, Lateran University Press, Roma 2002. Per uno sguardo approfondito sulla questione cf. G. ABBÀ, Felicità, vita buona e virtù, LAS, Roma 21995. Sotto il profilo etico cf. pure P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993, 263-300 («vita buona con e per l’altro, all’interno di istituzioni giuste»). 8 La metafora del cammino è tra le più evocative e simboliche dell’esistenza umana, fin nelle sue sfumature più intime. Si potrà leggere per questo D. DEMETRIO, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, Raffaello Cortina, Milano 2005. Dello stesso, sul tema dell’educare, cf. L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina, Milano 2009. 9 Cf. BENEDETTO XVI, Discorso di apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 13.6.2011, in L’Osservatore romano 15.6.2011, 7. Per il testo di Ilario di Poitiers cf. De Trinitate 1,2, in PL 10,27. 10 R. GUARDINI, Le cose ultime, Vita e pensiero, Milano 1997, 48. 11 Al n. 15 gli orientamenti riferiscono la «vita buona» alla crescita integrale della persona e ne sottolineano l’ineludibile dimensione sociale. Nel capitolo quinto, richiamando gli ambiti descritti nel Convegno ecclesiale di Verona, sono indicati pure alcuni «percorsi di vita buona» e i processi di accompagnamento per la costruzione di un’identità personale «buona»; cf. Educare alla vita buona del Vangelo, n. 54b, in Regno-doc. 19,2010,621s. 12 È importante, tuttavia, rilevare che tra gli scopi degli Orientamenti c’è pure la «promozione di un ampio dibattito e di un proficuo confronto sulla questione educativa anche nella società civile, al fine di favorire convergenze e un rinnovato impegno da parte di tutte le istituzioni e i soggetti interessati» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 55; Regno-doc. 19,2010,622). Fin dall’inizio i vescovi italiani spiegano che «impegnandosi nell’educazione, la Chiesa si pone in fecondo rapporto con la cultura e le scienze, suscitando responsabilità e passione e valorizzando tutto ciò che incontra di buono e di vero. La fede, infatti, è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. Caratterizzata dalla fiducia nella ragione, l’educazione cristiana contribuisce alla crescita del corpo sociale e si offre come patrimonio per tutti, finalizzato al perseguimento del bene comune» (n. 15; Regno-doc. 19,2010,607). In tale prospettiva io spiegherei anche il titolo assegnato agli orientamenti: Educare alla vita buona del Vangelo. Delinea un processo che include tre momenti, dove almeno i primi due 486-498 dossier:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 497 Rutilio Manetti, San Paolo, XVI-XVII secolo, Siena, Museo civico. che riguarda il ministero sacerdotale ed è legato all’esercizio del suo triplex munus; ma c’è, pure, un agire in persona Christi che è la vocazione e il compito di tutta la Chiesa. È quello che si realizza quando la Chiesa è ospitale e attraente come Gesù, nei giorni della sua vita terrena; quando tutti i mysteria carnis Christi possono vedersi in essa e lì Cristo comincia a essere veduto, conosciuto, amato. Un proget to integrato Tutto questo non è utopico, ma davvero possibile. A partire dall’incontro personale e comunitario con il Crocifisso-risorto, «le nostre comunità devono favorire l’incontro autentico tra le persone, quale spazio prezioso per il contatto con la verità rivelata nel Signore Gesù», leggiamo nella nota pastorale CEI dopo Verona, che prosegue richiamando il compito che ogni cristiano ha di dare ragione della propria speranza (cf. 1Pt 3,15) narrando l’opera di Dio nella sua esistenza e nella storia dell’umanità. Aggiunge poi che «il linguaggio della testimonianza è quello della vita quotidiana»: è l’esigenza di deciderci per «una pastorale più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersa e più incisivamente unitaria».24 Occorre, in definitiva, dislocarci dal luogo dove siamo nei luoghi dove vive la gente.25 Abbiamo così l’orizzonte di riferimento perché l’azione pastorale sia portata avanti da una comunità adulta, dove, cioè, i «credenti adulti» sono la guida e anipossono proficuamente essere vissuti in compagnia di uomini e donne «di buona volontà», nello spirito della frase attribuita al beato Giovanni XXIII: «Quando sei per strada e incontri qualcuno, non gli chiedere da dove viene ma chiedigli dove va, e se va nella stessa direzione, cammina insieme a lui». 13 BENEDETTO XVI, lett. enc. Deus caritas est, 25.12.2005, n. 1, in EV 23/1539. La frase è citata pure in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 28. Su questo argomento mi permetto di rinviare a quanto più diffusamente ho esposto alla LVIII Assemblea generale della CEI (2324.5.2011), introducendo l’ordine del giorno n. 4: «Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede». In particolare ho sottolineato la categoria dell’incontro in prospettiva di antropologia teologica e l’ho riassunta con particolare riferimento all’Etica di Romano Guardini (Morcelliana, Brescia 2001). L’atto creatore di Dio – egli osserva – ha sempre la forma della chiamata e in ciò si trova la forma ontologica fondamentale in cui l’uomo esiste. In essa s’inserisce anche il dinamismo della fede, che è «l’entrata nel rapporto io-tu col Dio che si rivela». La stessa etica è possibile a partire dal «fatto che Dio ha creato l’uomo con chiamata, che l’uomo si rapporta a Dio con relazione di io-tu e che questa relazione passa attraverso ogni cosa…». 14 R. GUARDINI, L’essenza del cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1949-1980, 11-12. 15 Cf. il saggio di K. RAHNER, «Pietà in passato e oggi», in ID., Nuovi saggi II. Saggi di spiritualità, Paoline, Roma 1968, 20-26, dove si legge la citatissima espressione: «La persona pia di domani o sarà un mistico… o cesserà d’esser pio». Questo saggio di Rahner risale al 1966. 16 P. GIUNTELLA, Il fiore rosso. I testimoni, futuro del cristianesimo, Paoline, Milano 2006, 8.11. 17 È stata questa, d’altronde, la grande acquisizione del Convegno di Verona (2006). Lì furono messe a fuoco alcune scelte di fondo, tra cui il primato di Dio nella vita e nell’azione delle nostre Chiese, la testimonianza quale forma dell’esistenza cristiana e l’impegno in una pastorale che, convergendo sull’unità della persona, sia in grado di «rinnovarsi nel segno della speranza integrale, dell’attenzione alla vita, all’unità delle diverse vocazioni, le molteplici soggettività ecclesiali, le dimensioni fondamentali dell’esperienza cristiana»; cf. CEI, «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo. Nota pastorale dopo il IV Convegno ecclesiale (2007), n. 4, in Regno-doc. 13,2007,432. In quel contesto maturò anche la scelta di declinare la testimonianza cristiana nel mondo secondo gli ambiti fondamentali dell’esistenza umana, scegliendo per questo il linguaggio della vita quotidiana e cercando nelle esperienze ordinarie l’alfabeto per comporre le parole con le quali ripresentare al mondo l’amore infinito di Dio; cf. ivi, n. 12, in Regno-doc. 13,2007,434. La stessa nota spiega che «mettere la persona al centro costituisce una chiave preziosa per rinnovare in senso missionario la pastorale e superare il rischio del ripiegamento, che può colpire le nostre comunità. Ciò significa anche chiedere alle strutture ecclesiali di ripensarsi in vista di un maggiore coordinamento, in modo da far emergere le radici profonde della vita ecclesiale, lo stile evangelico, le ragioni dell’impegno nel territorio, cioè gli atteggiamenti e le scelte che pongono la Chiesa a servizio della speranza di ogni uomo. Non si intende indebolire la dimensione comunitaria dell’agire pastorale, né si tratta di ideare nuove strutture da sostituire a quelle attuali, bensì di operare insieme in maniera più essenziale. A partire da queste attenzioni, le singole Chiese particolari sono chiamate a ripensare il proprio agire con sguardo unitario» (n. 22; Regno-doc. 13,2007,439). 18 AGOSTINO, Confessioni V, 13, 23. 19 Per l’identikit di questi nuovi educatori cf. P. BIGNARDI, Il senso dell’educazione. La libertà di diventare se stessi, AVE, Roma 2011, 135158. 20 Sul concetto di Chiesa ospitale cf. C. THEOBALD, Trasmettere un Vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010, 22-24. 21 AGOSTINO, Confessioni V, 13, 23-14,24. 22 TERTULLIANO, Apologeticus, in PL 1, 471. 23 Cf. Liber, qui appellatur Dominus vobiscum, in PL 145, 235. 24 CEI, «Rigenerati per una speranza viva», nn. 11.21; Regno-doc. 13,2007,434.438. 25 Utili riflessioni in E. BIEMMI, «La via italiana del cambiamento», in G. ZIVIANI, G. BARBON (a cura di), La catechesi a un nuovo bivio, Edizioni Messaggero, Padova 2010, 74-76; ID., Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011, 88-96; più diffusamente in ID., «Verso una riconfigurazione della pastorale nel segno della vita e della biodiversità dello Spirito» (relazione al clero veneto, Zelarino, 15.11.2010). IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 497 S tudio del mese 486-498 dossier:Layout 2 498 25-07-2011 17:14 Pagina 498 mano l’insieme della pastorale a partire degli ambiti di vita tipici di ogni territorio. Ecco la principale ragione per cui la «scelta qualificante» della formazione e della catechesi degli adulti «merita ulteriore sviluppo, accoglienza e diffusione nelle parrocchie e nelle altre realtà ecclesiali» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 55; Regnodoc. 19,2010,622). Dobbiamo, purtroppo, riconoscere che sino a ora una tale opzione è stata assunta, come si dice, a doppia velocità: una cosa, infatti, è quanto si legge nei documenti ufficiali, un’altra è ciò che è vissuto nelle nostre comunità. Con un sincero mea culpa dobbiamo ammettere che l’applicazione dei testi ufficiali è stata, in buona parte, disattesa a livello locale e territoriale, nelle regioni ecclesiastiche e nelle diocesi. Si dirà, al contrario, che qualsiasi esperienza pastorale con adulti – inclusi coloro che domandano di riprendere la maturazione della propria fede (ri-comincianti), magari dopo anni di allontanamento e con tanti motivi di resistenze e diffidenze – ha a che fare con l’identità, la capacità di accoglienza e di camminare insieme di una comunità concreta. Dobbiamo, perciò, domandarci se le nostre comunità sono disposte, prima ancora che preparate, ad aderire e a fare proprie, con creatività e capacità di adattamento, le scelte pastorali maturate in questi anni e ri-proposte dai vescovi italiani negli odierni orientamenti pastorali. Consolidare l’attenzione prioritaria per la catechesi degli adulti significa avvicinarsi al loro mondo assieme a tutti coloro che si riconoscono nella vita e nella missione della comunità. Gli organismi di partecipazione, gli operatori pastorali, la comunità eucaristica domenicale… devono essere gradualmente interessati e corresponsabilizzati a tale scelta. Siamo chiamati a imparare, ad apprendere insieme un modo adulto di fare pastorale con gli adulti. In tal senso, dovremo intensificare gli sforzi per incoraggiare itinerari formativi più adatti, sia per i nostri operatori pastorali, sia per il nostro clero. È fondamentale che ci sia un progetto, articolato e condiviso, di pastorale integrata, in cui anche le scelte nel campo della catechesi degli adulti siano concepite entro un’azione originale, capace di assumere il volto della comunità inserita in uno specifico territorio. È il caso, pertanto, d’incoraggiare quella capacità di adattamento e di creatività che non perde mai di vista le persone e che sa riflettere e agire negli ambienti concreti in cui si opera. Se supereremo la tentazione di tutto omologare e del soggettivismo, sicuramente salvaguarderemo l’unità dell’azione pastorale nella diversità di proposte.26 Lo scambio e il confronto tra generazioni, auspicato in Educare alla vita buona del Vangelo, n. 41, è un dato fondamentale. Esso non può essere concepito come incontro tra pari. È necessario, al contrario, che noi adulti ci presentiamo all’appuntamento intergenerazionale come «testimoni», se non vogliamo tradire quella «tradizione», che tocca proprio a noi adulti garantire alle nuove generazioni. In realtà, come già nelle prime battute gli orientamenti sono costretti ad ammettere, «molte delle difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo sono riconducibili al IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 fatto che le diverse generazioni vivono spesso in mondi separati ed estranei (…) All’impoverimento e alla frammentazione delle relazioni si aggiunge il modo con cui avviene la trasmissione da una generazione all’altra. I giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione» (n. 12; Regno-doc. 19,2010,606; cf. n. 30). Quest’analisi è condivisa a diversi livelli. È uno dei nodi da sciogliere, se intendiamo essere responsabili verso le nuove generazioni. In un volume fresco di stampa, F. Stoppa ha fatto ricorso, con riferimento alla questione del patto intergenerazionale, alla categoria – biblica, peraltro – della redditio. Il compito che oggi attende gli adulti non è tanto nell’ordine dell’invenzione, scrive, quanto della restituzione. «Forse – egli osserva fin dalla premessa del suo libro – la gratitudine che gli adulti lamentano di non percepire da parte dei giovani ha qui la sua radice. Si può restituire ciò che non si è ricevuto o che è stato trasmesso in forma ambigua, svogliata, saccente? La questione è cruciale, anche perché la restituzione non è un’operazione che chiude il cerchio tra due contraenti, nella fattispecie tra due generazioni, ma guarda avanti, a chi dovrà venire; il proprio debito simbolico (aver ricevuto un nome e una storia, e potersi nutrire di un sentimento della vita) lo si salda infatti nel passaggio di testimone, trasmettendo ad altri ciò che abbiamo a nostra volta avuto in dono».27 Ancora, siamo chiamati, noi adulti, a favorire e curare incontri così rilevanti da cambiare la vita dei protagonisti. Fare sì che si giunga a dire: «Dacché ti ho trovato, non sono più lo stesso»; «Quando mi hai incontrato, mi hai cambiato la vita»! È qui il senso dell’essere «adulti». Non è questione di età cronologica. Anche la testimonianza di un giovinetto può cambiarci la vita! In ogni caso, c’è richiesto «un investimento educativo capace di rinnovare gli itinerari formativi, per renderli più adatti al tempo presente e significativi per la vita delle persone, con una nuova attenzione per gli adulti».28 Ecco il senso degli sforzi portati avanti in questi decenni, ma ancora insufficienti per essere davvero considerati un’«opzione fondamentale» nelle nostre comunità; ecco il senso dei vari convegni e seminari dedicati al tema in questi anni. Ecco, pure, la sfida lanciata a noi. Marcello Semeraro* * Vescovo di Albano, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi. Il testo, di cui mons Semeraro ci ha gentilmente concesso la pubblicazione, è stato presentato al XLV Convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani, organizzato dall’Ufficio catechistico nazionale della CEI e tenutosi a Pesaro dal 20 al 23 giugno 2011. 26 Rimangono ottimi punti di riferimento E. ALBERICH, A. BINZ, Adulti e catechesi. Elementi di metodologia catechetica dell’età adulta, Elledici, Leumann (TO) 2004; ID., Forme e modelli di catechesi con gli adulti, Elledici, Leumann (TO) 1995. Cf. pure L. MEDDI, Ridire la fede in parrocchia. Percorsi di evangelizzazione e di formazione, EDB, Bologna 2010 (la parte III: per un progetto di pastorale degli adulti, 79127, con abbondante bibliografia). 27 F. STOPPA, La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano 2011, 15. 28 CEI, «Rigenerati per una speranza viva», n. 11, in Regno-doc. 13,2007,434. p 499-500 parole:Layout 2 p arole 25-07-2011 17:14 Pagina 499 delle religioni I sangui di Abele La fratellanza come luogo di responsabilità N elle consuete rappresentazioni cattoliche del Decalogo, le due tavole sono disposte in maniera tale da far sì che sulla prima siano segnati i tre comandamenti relativi al rapporto tra l’uomo e Dio e sull’altra i sette concernenti le relazioni interumane. A tal proposito il card. Angelo Scola, di recente, ha avuto modo di ribadire che il modello della rivelazione «ebraica e cristiana» indica «l’ancoraggio della legge morale alla verità». La correlazione attesta, da un lato, che l’adorazione va riservata solo a Dio, mentre, dall’altro, indica che i comandamenti «morali» sono tali «non perché comandati, ma perché veri».1 L’integrazione delle due tavole si fonda perciò sul primato della verità rispetto a quello dell’imperatività. Separare la dimensione pratica da quella veritativa costituirebbe, quindi, un errore moderno nato dalla scelta di rendersi autonomi rispetto al proprium della tradizione biblico-cristiana. La correlazione dei comandamenti Tuttavia Scola, attraverso la mediazione di Lévinas, indica come nell’ebraismo la prospettiva sia diversa. La disposizione delle due tavole non pone tre comandamenti su una e sette sull’altra.2 Basta, infatti, entrare in una sinagoga per accorgersi che le «Dieci parole» sono collocate in modo simmetrico, cinque per ogni tavola. La peculiare disposizione consente di elaborare una simbologia in parte diversa da quella cattolica. In particolare permette di proporre un approccio ermeneutico che fa corrispondere, a due a due, i comandamenti: il primo della prima tavola si rapporta al primo della seconda (vale a dire il sesto secondo l’enumerazione ebraica) e così via. In tal modo quanto è rivolto a Dio si ricongiunge con quel che concerne direttamente l’uomo. Si tratta di un procedimento, per più versi, paragonabile a quello – attestato sia da Paolo (cf. Rm 13,9; Gal 5,14) sia dalla Lettera di Giacomo (cf. Gc 2,8-11) – stando al quale l’amore del prossimo (precetto non contenuto in modo esplicito nel Decalogo – cf. Lv 19,18) costituisce la ricapitolazione dell’intera Legge. «In che modo furono scritte le “Dieci parole”? Cinque su una tavola e cinque sull’altra. Su una tavola sta scritto: “Io sono il Signore tuo Dio” e sulla tavola di fronte: “Non uccidere”. Questo insegna che chiunque sparge sangue umano la Scrittura gliene chiede conto come se sminuisse l’imma- gine del re (…) come sta scritto: “Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uomo” (Gen 9,6)».3 La correlazione simmetrica dei comandamenti mette immediatamente in campo il riferimento all’immagine divina impressa nella creatura umana. In essa è individuato il fondamento primo del non uccidere. Così facendo, in base alla disposizione canonica della Bibbia, si retrocede dalle falde del Sinai alla scena genesiaca posta subito dopo la fine del diluvio. In termini astratti, è dato di affermare che il commento rabbinico, attraverso il ricorso all’immagine di Dio presente nell’uomo, universalizza il comandamento di non uccidere. Tuttavia bisogna anche ricordarsi di compiere un passo indietro e leggere il versetto appena precedente a quello riportato dal Midrash. In esso si dichiara che Dio domanderà conto «della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Gen 9,5). Per evidenziare la gravità della colpa legata alla soppressione di una vita umana, si sceglie un termine («fratello») in cui la reciprocità orizzontale presuppone una comune, e qui non specificata, dipendenza da una realtà precedente. In questo passo della Genesi si dichiara che gli uomini sono fratelli, senza affermare, apertis verbis, che Dio è padre. Quanto sta a cuore alla Scrittura è affermare, comunque, che ogni omicidio è, in radice, un fratricidio. Non a caso è la prima volta che la parola «fratello» compare nella Genesi dopo essere stata il Leitmotiv del racconto incentrato su Caino e Abele. Abele: l’archetipo della vit tima Quando si rimonta all’origine, si è obbligati ad asserire che l’umanità discende tutta o da Caino o da Set. Abele, la prima vittima della violenza dell’uomo sull’uomo, non ha eredi, o piuttosto ne ha molti in una trafila inestinta che giunge fino a noi, ma sono vittime che si uguagliano a lui nella sorte, senza essere suoi discendenti. Il fatto che il termine «sangue» sia impiegato al singolare svolge nella Genesi un ruolo fondamentale per indicare una comune appartenenza alla vita (cf. Gen 9,5); perché, si chiedono i rabbi, nel caso di Abele si usa alla lettera un’insolita forma plurale («la voce dei sangui di tuo fratello grida a me dal suolo», cf. Gen 4,10)? La risposta è netta: perché oltre a versare il suo sangue, IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 499 499-500 parole:Layout 2 25-07-2011 17:14 Pagina 500 Parole delle religioni si è soppresso anche quello di tutta la sua potenziale discendenza (Mishnah Sanhedrin 4,5; Rashi su Gen 4,10). Nel capitolo quarto della Genesi la parola «fratello» torna sette volte (cf. Gen 4,1-15), vi si ricorre sempre in modo tale da affermare che Caino è fratello di Abele e mai viceversa. Vale a dire, non si dichiara che la vittima è fratello del suo assassino; al contrario, si proclama sempre che è l’uccisore a essere fratello di colui di cui ha estinto la vita. La fratellanza è luogo di responsabilità. A ognuno viene sempre chiesto conto della vita di suo fratello (cf. Gen 9,5). Secondo la Genesi, nessuna parola esce dalla bocca di Abele: in ciò egli è archetipo di ogni vittima. All’ucciso è lasciata come voce solo quella dei sangui che gridano dall’adamah («suolo»), l’elemento base con il quale è stato fatto l’adam. A urlare è la voce silente della vita estinta. Nella Bibbia, la presa di coscienza da parte di Caino di quanto da lui compiuto è suscitata dalla voce del Signore che gli giunge da fuori («“che hai fatto?” (…) “troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono”», Gen 4,10-13). La dimensione universale rivelata a Israele L’episodio è riproposto anche nel Corano, ma lo è in maniera capovolta. Qui Abele parla, mentre la consapevolezza in Caino nasce in virtù del muto (ma ancora una volta capovolto) linguaggio etologico di un corvo che, invece di DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl IMPAGINAZIONE Omega Graphics Snc - Bologna STAMPA ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2011 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2011 - Italia € 61,00; Europa € 99,50; Resto del mondo € 111,50. Il Regno - attualità + documenti Italia € 58,50; Europa € 97,00; Resto del mondo € 109,00. Solo Attualità o solo Documenti Italia € 42,00; Europa € 64,00; Resto del mondo € 69,00. Una copia e arretrati: € 3,70. CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Chiuso in tipografia il 22.7.2011. Il n. 13 è stato spedito il 15.7.2011; il n. 12 il 5.7.2011. italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara In copertina e a p. 457: DOMENICO Registrazione del Tribunale di Bologna GHIRLANDAIO, San Girolamo nello studio (part.), 1480, Firenze, Chiesa di Ognissanti. N. 2237 del 24.10.1957. 500 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 essere uno spolpatore di cadaveri, diviene il prototipo del becchino, se non proprio di colui che compie un pietoso atto di sepoltura: «E recita loro la storia dei due figli di Adamo, secondo verità, quando essi offrirono un sacrificio e quello dell’uno fu accetto e non fu accetto quello dell’altro. E questi disse: “io ti ucciderò!”, ma il fratello rispose: “Iddio non accetta che il sacrificio dei pii! – E certo se tu stenderai la mano contro di me per uccidermi, io non stenderò la mano contro di te per ucciderti, perché temo Iddio, il Signore del creato! Io voglio che tu ti accolli e il mio peccato e il tuo e che tu sia del Fuoco, che è la ricompensa degli oppressori!”. E la sua passione lo spinse a uccidere il suo fratello, e lo uccise e fu in perdizione – E Iddio mandò un corvo, che grattò la terra per mostrargli come nasconder la spoglia di suo fratello. Ed egli disse: “O me infelice! Che son stato incapace di essere persino come questo corvo e nasconder la spoglia di mio fratello!”. E divenne perseguitato dai rimorsi. E per questo prescrivemmo ai figli d’Israele che chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia uccisa un’altra o portato corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una sola persona è come se avesse dato vita all’umanità intera» (Corano 5,27-32; trad. it. A. Bausani). «Rivelammo ai figli di Israele». Il Corano pone in luce una priorità che equivale a riconoscere la dimensione universale là custodita. Tuttavia, accanto a questo senso largo, ve n’è uno più specifico e testuale. La frase del Corano trova, infatti, una sua puntuale anticipazione nella Mishnah (codificazione canonica della Legge orale risalente a circa il 200 d.C.). Anche qui, partendo da Caino e Abele e dal senso di annullamento della posterità connesso al plurale «sangui», si giunge a universalizzare il senso di responsabilità connesso all’uccisione di un solo uomo: «Nel mondo è stato creato un singolo uomo, per insegnarti che se un uomo ha fatto perire una singola vita, la Scrittura lo considera come se avesse fatto perire il mondo intero; e se un uomo salva una singola vita la Scrittura lo considera come se avesse salvato il mondo intero» (Mishnah, Sanhedrin 4,5).4 Vi è però una variante, ben attestata, che aggiunge una clausola riduttiva; essa specifica: «che se un uomo ha fatto perire una singola vita, in Israele». Sono poche parole in più; tuttavia esse rappresentano un displuvio; infatti, da un lato, il popolo ebraico (come si può implicitamente ricavare anche dal passo coranico) riceve ed elabora, nel suo specifico, insegnamenti di portata universale, mentre, dall’altro, piega alla propria particolarità quanto è chiamato a valere per tutti. Non vi dovrebbero, però, essere dubbi che il non uccidere rientri, di fatto e di diritto, nella prima opzione. Piero Stefani 1 A. CAVARERO, A. SCOLA, Non uccidere, Il Mulino, Bologna 2011, 20- 29. 2 Cf. ivi, 40. «Mekhiltà de Rabbi Ishmael» in Il dono della Torà, a cura di A. MELLO, Città Nuova, Roma 1982, 100. 4 Scola apre il suo contributo proprio con questo riferimento (CAVARERO, SCOLA, Non uccidere, 9). Come fonte non si richiama però alla Mishnah; infatti, attraverso una mediazione bibliografica, rimanda ai meno autorevoli Avot de Rabbi Natan (commento rabbinico ai Pirqè Avot). 3 i 501-502 lettori scrivono:Layout 2 25-07-2011 16:23 Pagina 501 i lettori ci scrivono Scola a Milano Caro direttore, la nomina ad arcivescovo di Milano ha sempre costituito un fatto di rilievo, perché la diocesi è tra le più vaste, se non la più vasta, del mondo, perché Milano è città rilevante sul piano economico e culturale, perché Milano fu la sede episcopale di sant’Ambrogio, di san Carlo Borromeo e del beato Ildefonso Schuster. Pertanto la nomina di un vescovo a Milano è destinata a rivelare le strategie religioso-politiche della Santa Sede. Lo è stato per Giovanni Battista Montini, che fu inviato a Milano nel 1954 da Pio XII con un’operazione che parve allora di giubilazione, cioè di promoveatur ut amoveatur. La ricerca storica ha accertato che Montini, ai vertici della Segreteria di stato, era oggetto di duri attacchi da parte della curia romana, e il papa Pio XII, mandandolo a Milano, protesse il suo più fedele collaboratore. Lo è stato per Carlo Maria Martini, inviato a Milano, con decisione personale, da Giovanni Paolo II, che ne apprezzava le doti di biblista e di uomo di cultura. Lo è stato per Dionigi Tettamanzi, che da Genova è ritornato nella sua Milano, dove era nato, si era formato ed era diventato sacerdote e docente nel seminario di Venegono. Lo è per il nuovo arcivescovo card. Scola, che torna a Milano, la città dei suoi studi seminaristici, ma anche la città di don Giussani e di Comunione e liberazione, a cui il card. Scola ha guardato e guarda con simpatia. Sulla nomina del card. Scola, come rivelatrice delle attuali strategie religioso-politiche della Santa Sede, non intendo formulare giudizi. Auspico solo che la nomina non sia stata determinata da volontà restauratrici. «Restaurazione» nei confronti di che? Della linea pastorale espressa da Martini e Tettamanzi in questi anni? «Restaurare» significa ripulire, correggere, ridimensionare, snervare, ridurre a più miti consigli. E dopo che si è restaurato, si costruisce un nuovo edificio. «Restaurare», in sostanza, è affermare una «discontinuità». Stiamo a vedere con occhio vigile e con cuore disincantato. Auguro con tutta l’anima al card. Scola di essere, nel suo ministero episcopale milanese, servitore del Vangelo, solo servitore del Vangelo. Cremona, 30 giugno 2011. Massimo Marcocchi La mano tesa ai lefebvriani Caro direttore, in chi legge l’intervento del card. Koch sul motu proprio Summorum pontificum (Regno-doc. 11,2011,330ss) possono sorgere delle domande. Le tre «rotture» nella tradizione liturgica eucaristica che comportano uno slittamento teologicamente indebito dalla prima alla seconda parte di ciascun binomio segnalato (da sacrificio a cena; da solo presbitero all’assemblea; dall’adorazione di Dio alla pura partecipazione conviviale) sono da addebitare a documentate lacune nei testi della ri-forma del 1970, oppure si trovano nella mente dei suoi de-formatori? (Eppure più volte l’intervento distingue nettamente la riforma liturgica dagli sviluppi liturgici postconciliari). Sembra di dover rispondere optando per la seconda tesi se, per limitarci al primo «dualismo», troviamo la parola «sacrificio» nelle quattro preci eucaristiche nuove (se si eccettua la seconda, la più antica, che risale essenzialmente a Ippolito, dove invano si cercherebbe la parola), mentre è stata aggiunta alla scarna formula biblica della consacrazione del pane. A proposito del titolo dell’opera del famoso autore citato, siamo sicuri che il ritorno ai testi del 1962 (attribuiti discutibilmente a un usus antiquior) recuperi l’«ininterrotta tradizione apostolica», in una Roma che, guarda caso, celebrava ancora in lingua greca? Nei tre «dualismi» si tratta di esclusione dell’essenziale, o piuttosto del recupero bilanciativo di ciò che per motivi polemici era stato obliterato? Per difendere quei tre giusti equilibri, sembra veramente la via migliore quella di favorire la visione nostalgica, letteralistica e ritualistica del fondamentalismo lefebvriano (che mai si accontenterà della mano tesa, ma esigerà, da arrabbiato «defensor fidei», tutto il braccio)? P.S.: Chi volesse vedere come complessi e non lineari sono gli sviluppi teologico-liturgici, potrebbe consultare un documentato studio uscito in giugno, in cui campeggia l’opera del vescovo Giberti, grande precursore del Tridentino: F. SEGALA, Memorie eucaristiche. Custodie gotico-rinascimentali per l’Eucaristia nelle chiese del veronese, Archivio storico curia diocesana, p.zza Duomo 19, 37121 Verona. Antonio Contri L’ Universae Ecclesiae e i piccoli passi indietro Caro direttore, salvo il titolo «Indietro a piccoli passi», da tutto l’articolo di John Thavis del n. 10 di Regno-att. (303s) dedicato all’istruzione Universae Ecclesiae non si desume altro che una sommaria descrizione del contenuto del documento vaticano. Le uniche piccole note riflessive sono affidate a pochi interventi del capo ufficio-stampa del Vaticano, p. Lombardi, che nella sua saggezza non può che restare alla lettera del testo, come è inevitabile. Ciò che mi sorprende è che per una semplice descrizione del documento si sia dovuti ricorrere alla traduzione dall’inglese del testo di un giornalista, caporedattore di una agenzia ufficiale cattolica, che propone una cronaca corretta e gustosa, ma niente di più. Qui mi pare che si sia perduta una buona occasione per segnalare ai lettori tutti i problemi che questa istruzione conferma, oltre ai nuovi che apre, e sui quali non basta informare, ma bisogna ragionare anche criticamente. Ciò che caratterizza Il Regno, infatti, nella sua preziosa funzione ecclesiale, è proprio questa dimensione nello stesso tempo informativa e critica. In questo caso, tuttavia, manca totalmente ogni versante critico, proprio in un contesto e su questioni che sollevano nel corpo ecclesiale perplessità ampie e mormorazioni consistenti. Vorrei sottolineare come proprio questa istruzione Universae Ecclesiae apra un fronte nuovo di problemi, proprio a causa del fatto che non si limita a «gestire» le domande di «rito tridentino» esistenti, ma pretende addirittura di suscitarne di nuove, con un intento che essa definisce «pastorale». Questo aspetto della questione mi pare abbia già suscitato, negli Stati Uniti, in Italia, in Francia e in molte parti della Chiesa universale, reazioni sconcertate da parte degli episcopati. Vorrei riferire solo un esempio: in un grande seminario degli Stati Uniti, che ospita centinaia di seminaristi e che fa servizi per numerose diocesi, un solo seminarista ha chiesto di essere formato anche al rito tridentino, trovando risposta negativa dai superiori. Allora egli ha aperto un blog nel quale ha cominciato a scrivere quotidianamente, protestando contro le autorità del seminario che sarebbero «contro il papa». Ciò ha indotto alcuni finanziatori a non contribuire più alle finanze dell’istituto, mettendo in crisi il sistema. Questo oggi è possibile a partire dalla impostazione di questi documenti, che autorizzano chiunque a far valere il proprio «diritto al passato», senza tener conto dei diversi livelli di controllo e di responsabilità di cui la Chiesa e la liturgia hanno bisogno. Insomma, mi pare che intorno a questo documento e a un silenzio ufficiale dei pastori e della teologia, corrisponda un bisogno viscerale di chiarezza e di linearità, che oggi manca e che bisogna colmare. Mi sembra che la teologia abbia fatto «piccoli passi indietro», rifiutandosi di affrontare di petto le questioni. Mi pare che i vescovi spesso si ritraggano e preferiscano mormorare nell’ombra piuttosto che esprimere comunitariamente il proprio grande disagio. Non vorrei che anche le riviste più illuminate e responsabili fossero tentate di mettere le macchine della nave redazionale «indietro piano» e venissero meno a quel contributo di ri- IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 501 501-502 lettori scrivono:Layout 2 25-07-2011 16:23 Pagina 502 i lettori ci scrivono Anders Nygren Eros e agape La nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni U scita in due volumi nel 1930 e 1936, l’opera individua il fulcro del cristianesimo nell’agape neotestamentaria, l’infinito amore di Dio Padre per gli uomini peccatori fino a sacrificare il suo Figlio Gesù. L’autore indaga la storia della difficile dialettica con l’eros, l’amore ascensionale dell’uomo verso Dio. Nel dualismo di eros e agape il volume ripropone il problema della natura cristiana dell’amore. Un classico della letteratura teologica contemporanea. «Economica EDB» pp. 848 - € 40,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it flessione e di coscienza critica che da anni aiuta la Chiesa e i cristiani di fronte alle scelte pastorali che li riguardano. Soprattutto in questo caso abbiamo bisogno di un Regno che non stia semplicemente a guardare come un semplice cronista. Con cordialità e stima, Andrea Grillo Araldi del Vangelo Caro direttore, sia Lodato Gesù Cristo! Sono rimasto meravigliato per la pubblicazione dell’articolo d’attualità, fatto uscire nella rivista da lei diretta, nel n. 4 del 2011, firmato dal prof. Mauro Castagnaro (cf. Regno-att. 4,2011,122). Non credevo che un mezzo di comunicazione religioso, così conosciuto e diffuso come Il Regno, potesse mai pubblicare articoli con così grandi imprecisioni. In tale articolo, il giornalista si fa eco delle informazioni giuntegli da non meglio precisati «operatori della pastorale». Questi operatori, purtroppo, non privi di interessi personali diversi da quelli della Chiesa cattolica nell’Ecuador, gettano delle ombre sulla reputazione sia della Santa Sede, nel suo organismo per la cura del vicariato apostolico di San Miguel di Sucumbíos, sia sulla Società di vita apostolica di diritto pontificio «Virgo flos Carmeli», legata all’Associazione internazionale di diritto pontificio Araldi del Vangelo, della quale sono il procuratore generale. Il processo di transizione della cura pastorale del vicariato si è adattato alle norme codificate nel Codice di diritto canonico. Le dichiarazioni fatte ledono il buon nome della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. L’aggiustamento dell’orientamento pastorale, seguito da mons. Gonzalo Marañón Lopez ocd, pur volendo riferirsi agli orientamenti del concilio Vaticano II e alle disposizioni del CELAM, lascia il passo a delle pratiche ecclesiologiche discusse e, in un certo modo, superate. Questo è stato il motivo per cui la Congregazione di cui era prefetto il card. Ivan Dias ha passato lo ius commissionis alla Società «Virgo flos Carmeli», con istruzioni precise di correggere ciò che non si adattava alle esigenze pastorali della Chiesa. Al loro arrivo, gli Araldi del Vangelo hanno trovato sia la calda accoglienza della maggioranza del popolo di Dio di quel vicariato, sia un’ostilità velata, poi caldamente dichiarata, di una porzione di «responsabili della pastorale», assolutamente non conformi alle disposizioni della Santa Sede. Oltre ad atti di violenza fisica, parte di quest’ostilità si è articolata con il diffondersi d’ingiurie, libelli e altra propaganda denigratoria (come questa dell’articolo del sig. Castagnaro) diffuse principalmente attraverso Internet ma anche attraverso altri mezzi di comunicazione sociale, giungendo alle alte sfere del governo dell’Ecuador. Vista tale situazione, è stata la Conferenza episcopale ecuadoriana, nella persona del suo presidente, mons. Arregui, a rifiutare tali accuse. Gli interventi del governo ecuadoriano nella polemica di Sucumbíos hanno complicato la questione al punto che, adesso, si trova in un momento che richiede la massima delicatezza e desiderio di trovare un punto di equilibrio per la risoluzione. Le mediazioni sono affidate nelle mani del nunzio nell’Ecuador, così come in quelle del delegato pontificio. Ad ogni modo, lo ius commissionis permane ai membri della «Virgo flos Carmeli», e l’attuale amministratore apostolico è D. Rafael Ibarguren ep. Per quanto esposto, la sollecito a pubblicare la presente lettera, in modo tale che la situazione attuale del vicariato possa essere percepita nella sua totalità e chiarezza, auspicando un più intenso spirito di comunione ecclesiale. Colgo l’occasione per inviarle i miei più cordiali saluti e, nella ricorrenza della veniente Pentecoste, un copioso augurio per l’effusione dello Spirito Santo In Iesu et Maria, rev. D. José Francisco Hernández ep Roma, 13 giugno 2011. 502 IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 XXX 503-504 vergogno:Layout 2 25-07-2011 16:24 Pagina 503 L’accanimento medico ... e i santi che invoco contro di esso. Tra loro c’è il medico Lucio Raffa “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ S tavolta parlo dell’accanimento dei medici: non in chiave medica o giuridica, che non sono miei campi, ma narrando storie come si addice a un giornalista e la storia di partenza è quella di un amico pediatra di Reggio Calabria che è morto di tumore a 70 anni nel gennaio del 2008, lasciando un caro ricordo in un vasto ambiente del volontariato e della Chiesa reggina. Il ricordo di Lucio ravviva in me quello di altre tre storie che alla sua si legano e che riguardano il patriarca Athenagoras, il card. Benelli, la terziaria domenicana Leletta. Storie che invitano a guardare con cautela ai «protocolli» medici ma prima ancora a ciò che da essi noi ci attendiamo. Parto da una parola detta a me da Lucio più di vent’anni addietro, dovendo egli fare accertamenti per un’ipotetica cirrosi epatica: «In questi casi noi medici siamo più disarmati degli altri. Come chiunque teme un secondo ricovero più del primo, così il medico teme per sé anche a motivo dei ricoveri degli altri che magari è stato lui a decidere. Il medico somatizza i mali di tutti». NON VOLEVA ESSERE INTUBATO NÉ COLLEGATO A MACCHINE In quella stessa occasione svolse all’incirca questa critica dell’arte medica: «Io penso che debba ancora imparare a trattare la persona umana. Per ora si è impegnata a trattare i casi clinici. Una cura che miri alla persona dovrebbe avere a cuore di evitarle, per quanto possibile, trattamenti chimici, radiologici e chirurgici, ma ancor prima gli accertamenti strumentali non necessari». Dell’opportunità di questo o quel trattamento avevamo parlato spesso – Lucio ed io – nei tre anni della malattia tumorale di Michela Ceccon, la mia prima moglie, che il giorno della scoperta del male mi aveva detto, con riferimento ai figli, la più piccola dei quali aveva cinque mesi: «Fosse per me non mi curerei, lo faccio per voi». Più volte Lucio ebbe a sconsigliarci di partire per Milano o per Parigi in cerca di consulti e di cure sperimentali. Quando venne il suo momento – dopo che al Gemelli, nel dicembre del 2007, gli avevano diagnosticato un tumore al colon con metastasi al fegato e ai polmoni – Lucio disse alla moglie Anna di non farlo intubare né collegare a macchine se fosse andato in coma. Era contrario anche a sottoporsi a ogni forma di alimentazione artificiale, compresa quella di tipo integrativo che si può realizzare con la flebo. La sua situazione clinica non permetteva interventi chirurgici, ma avrebbe potuto affrontare trattamenti chemioterapici che forse gli avrebbero procurato qualche mese di vita: preferì non averli. Nella scelta di questo atteggiamento ebbe un ruolo – secondo il racconto di Anna – l’esempio che gli era venuto da Leletta (Aurelia Oreglia d’Isola, detta Leletta, terziaria domenicana,1926-1993), che era stata molto decisa nel rifiuto dei farmaci e della chirurgia nel trattamento della sua malattia tumorale. Lucio e Anna avevano in grande stima quella maestra di spirito alla quale una volta avevano fatto visita nel priorato di Saint Pierre (Aosta). Leletta così aveva commentato nel diario (Il diario di Leletta, Franco Angeli, Milano 1993) la scelta di sottrarsi a tagli e chemioterapia: «Che gioia anche umana aver fatto marameo agli accanimenti diagnostici e terapeutici di questi medici padreterni». C’era un lampo di questa ironia nello sguardo che mi rivolse Lucio al Gemelli dicendomi che sarebbe restato ancora qualche giorno «perché vogliono vedere questo e quello anche se non servirà: i medici sono fatti così». AVEVA CHIESTO A DIO IL DONO DI MORIRE CON DIGNITÀ Molti negli anni si sono rivolti a Lucio – che era pediatra ma tendeva a porsi come medico globale e amico – per l’accompagnamento di malati terminali e tutti sono rimasti ammirati dall’impegno che poneva a risparmiare sofferenze con una saggia conduzione della terapia del dolore, sempre a basso dosaggio farmacologico, accompagnata da una generosa attivazione di sostegni parentali e amicali. Qualcuno lo ricorda che gioca a carte con anziani in fase terminale. Del modo in cui Lucio ha affrontato la malattia ha parlato così la moglie Anna in una lettera agli amici: «Non avevamo chiesto a Dio la guarigione dal male, ma l’aiuto ad accettare la sua volontà, qualunque essa fosse, e per Lucio la possibilità di morire con dignità, senza accanimenti terapeutici, pregando e partecipando coscientemente ai sacramenti e all’unzione degli infermi, così come è avvenuto. Lucio ha offerto le sue sofferenze e il dolore del distacco per amore della nostra Chiesa locale ed è spirato mentre io invocavo il suo angelo custode affinché lo aiutasse a superare quella soglia che doveva attraversare senza di me». Lucio che evita – con la piena avvertenza di un medico – le cure antitumorali che avrebbero potuto procurargli qualche mese di vita mi richiama la scelta di preferire la morte all’invalidità compiuta dal cardinale Giovanni Benelli (1921-1982), arcivescovo di Firenze. Colpito da infarto, Benelli rifiuta l’ospedale e si chiude nella sua camera dove muore in solitudine IL REGNO - AT T UA L I T À 14/2011 503 25-07-2011 16:24 dopo la vita più attiva, finalmente solo con il suo Dio. Muore il 26 ottobre 1982, a una settimana da un secondo e maggiore infarto, dopo il quale impone ai collaboratori e ai medici il silenzio assoluto sulle sue condizioni di salute e si fa promettere con giuramento che lo lasceranno morire nel suo letto. Resta così tre giorni, vigile e solo, protetto dalle due suore irlandesi che l’avevano seguito da Roma, dal medico personale e dal segretario che ogni mattina gli porta l’eucaristia. Ma non conosce – il segretario – la gravità della situazione, gli hanno detto di non parlare al cardinale per non affaticarlo e il cardinale non gli parla. Dopo i tre giorni, lo portano in ospedale che è già in coma. Lo riporteranno a casa – dopo un tentativo tardivo di rianimazione – perché possa morire nel suo letto, come aveva chiesto. MENO ACCANITI A VIVERE E PIÙ PREPARATI A MORIRE Ci fu polemica sul medico che accettò quella decisione di non curarsi: forse un ricovero immediato lo poteva salvare. Stefano Romanello L’identità dei credenti in Cristo secondo Paolo F rutto della ricerca pluriennale dell’autore, il volume interviene con originalità nel dibattito sulla teologia paolina della salvezza, attorno alla quale non si è pervenuti sinora a una comprensione minimamente condivisa. In particolare vengono presi in esame gli sviluppi relativi alla questione dell’identità. La disamina, affrontata a livello di teologia biblica, rivela un quadro di forte coerenza interna, con sicuri motivi di fascino e di attualità anche per un lettore non specialista. «La Bibbia nella storia» pp. 240 - € 22,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 Pagina 504 Segnalo quella sua scelta di lasciarsi morire ai moralisti, per il capitolo sui trattamenti di fine vita, oggi così attuale: ci dice che è possibile una scelta cristiana della morte di fronte alla prospettiva di una sopravvivenza assistita. Una minore preoccupazione di prolungare la vita può aiutare ad affrontare la morte. Ci avvediamo anche – considerando quella scelta – come vi fosse fino ad anni recenti maggiore libertà almeno psicologica di autodeterminazione in materia di alimentazione, di cure e di ricoveri, prima che le posizioni non risultassero irrigidite dalla disputa sull’eutanasia. «Nessuno ha mai colto un lamento sulle sue labbra», dirà di Benelli il card. Silvano Piovanelli, suo successore come arcivescovo di Firenze: «Lo rivedo nel letto, il volto sereno e disteso come quello di un bambino contento di essere nelle braccia del Padre». I medici insistono per il ricovero e davanti al suo rifiuto il cardiologo Antonini esclama: «Non dà evidentemente grande importanza alla vita, come accade per questi uomini di fede». «Negli ultimi mesi si andava preparando a morire, allora non lo capimmo ma la cosa ci fu chiara dopo», racconterà Aimo Petracchi, allora segretario del cardinale: «Di quella preparazione lei può trovare traccia nelle ultime omelie e nel testamento». MI DEVO PREPARARE PER UN ALTRO VIAGGIO Il 16 agosto, sentendo – dopo un primo infarto sornione – che la salute se ne andava, aveva scritto – in partenza per il Brasile – il testamento che termina con queste intense parole: «A tutti voi, carissimi figli e figlie di Firenze, lascio una sola parola: fidatevi sempre di Gesù Cri- “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 503-504 vergogno:Layout 2 sto! Che Dio mi prenda nella sua misericordia!» Sono tanti i modi di vivere la morte e tanti quelli di celebrare la propria morte nella Chiesa: tra essi c’è anche la singolare testimonianza del card. Benelli. Che dieci anni prima era stata di un altro grande cristiano: Athenagoras (1886-1972), patriarca di Costantinopoli. A 86 anni il patriarca cade dalle scale, tornando dalla liturgia e si rompe il femore. Comprende che quella caduta è il preannuncio della morte e rifiuta la proposta del metropolita Melitone che lo vorrebbe portare a Vienna per affidarlo ai migliori specialisti: «No, io non andrò a Vienna. Ormai mi devo preparare per un altro viaggio». Ricoverato in una stanza piccola e spoglia dell’ospedale greco-ortodosso di Balukli, si confessa, recita lentamente le preghiere penitenziali, riceve con molta pace e con viso trasfigurato la comunione, «domanda che gli si lasci accanto il pane eucaristico e il calice della salvezza e, rifiutando ogni altro cibo, chiede di essere lasciato solo». Resta solo per morire «solo con il Solo» e così muore nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 1972. TORNARE MONACO ALL’ATTO DELLA MORTE Il sentimento di essere vicino alla morte, il rifiuto dell’ospedale, la solitudine e l’eucaristia: ci sono tutti gli elementi della morte di Benelli. Athenagoras, che aveva lasciato il monastero accettando nel 1948 l’elezione a patriarca ecumenico di Costantinopoli, volle tornare monaco all’atto della morte. L’attivissimo Benelli volle morire da monaco. Sono dunque cinque i «santi» con i quali discuto gli accanimenti che avverto intorno a me: il patriarca Athenagoras, il card. Benelli, Leletta (nel 2007 è stata avviata la causa di canonizzazione dalla diocesi di Aosta), Michela e Lucio. Il ricordo di Lucio Raffa è in una mia conferenza inedita tenuta a Reggio Calabria il 27 maggio 2011. Le storie di Benelli, di Athenagoras e di Leletta sono nel mio volume Cerco fatti di Vangelo (SEI, Torino 1995). Sia la conferenza, sia le tre storie sono rintracciabili nel mio blog: l’indirizzo è qui, sotto la mia firma. Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it