Sintesi incontro - Scuola per Genitori

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Sintesi incontro - Scuola per Genitori
SCUOLA GENITORI
(BASSANO)
«I GIOVANI E I VALORI»
Prof. Umberto Galimberti
Cassola, 26 novembre 2009
Dobbiamo discutere di questa generazione un po’ persa, angosciante, che preoccupa i
genitori i quali dimenticano però che questi ragazzi non sono nati in un prato verde, ma in casa
d’adulti. Cosa sono i valori: sono i coefficienti sociali attraverso cui una determinata società si
organizza. Un tempo c’erano i valori gerarchici (nel Veneto era il “comando”), con la Rivoluzione
Francese questi sono collassati e sono nati quelli della cittadinanza. Il cambiamento dei valori
quindi non è in questione, anzi è la naturale evoluzione della storia, il vero problema è quando i
valori crollano senza che nulla altro li sostituisca. Allora diceva bene Nietzsche, a fine Ottocento,
che la nostra epoca è caratterizzata da una forma di nichilismo: manca lo scopo, manca il perché,
tutti i valori si svalutano senza che altri ne nascano, senza nulla a cui agganciarsi. E se manca lo
scopo e il perché, che sono le dimensioni del futuro, ecco che per i giovani di oggi il “domani” non
è una promessa, ma una minaccia, qualcosa di problematico, o addirittura di indecifrabile. Quando
il futuro non retroagisce, non è attraente e non lo si “vede”, allora non scatta la motivazione: perché
studiare? Perché lavorare? La caratteristica di fondo del nichilismo è la mancanza del futuro. E
allora i genitori, per motivare i figli, diventano contrattuali facendo così collassare la loro autorità.
Nonostante ciò che si dice i giovani hanno fame di autorità, di autorevolezza, di esempi. Questa
contrattualità invece trasmette il messaggio che anche i genitori vedono il futuro dei figli incerto e
ciò non fa che demotivare ulteriormente. Questo è il punto di partenza del collasso generazionale
attuale molto più grave di quelli fisiologici che mandavano avanti la storia, anche attraverso valori
diversi da quelli dei genitori. Solo ora capiamo la “profezia” di Nietzsche.
Nella nostra riflessione partiamo dai bambini.
I bambini non nascono e crescono come le piante, vengono cresciuti con processi educativi e
le loro mappe cognitive ed emotive del mondo si formano tra i tre (secondo le neuroscienze) e i sei
anni (dice Freud). Cosa sono queste mappe? Il bambino gradatamente fa il suo schema mentale di
conoscenza del mondo e questo schema è definitivo e agisce come una sorta di forma a priori del
modo di fare esperienza nella vita successiva. E allora nella primissima infanzia queste mappe si
costituiscono, a mio modo di vedere, in modo definitivo.
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Ma a chi vengono affidati i bambini in questi anni? La nostra società è compatibile con la nascita
dei figli e della loro educazione? Se partiamo dalla considerazione che una famiglia tiri avanti a
patto che padre e madre lavorino, i figli vanno affidati alle baby sitter o alla signora televisione, e da
lì si formano le mappe cognitive cioè lo schema con cui interpretano il mondo, e quelle emotive,
cioè lo schema con cui “sentono” il mondo. I bambini cercano di illustrare lo schema cognitivo ai
genitori, magari attraverso i disegni, vogliono siano guardati e non si deve rispondere loro “domani”
perché significa che quel lavoro “non è importante” facendo sentire anche loro non importanti. E’
qui invece che comincia la fatica della costruzione dell’identità che avviene attraverso il
riconoscimento, nel disegno o di altre forme, della sua interpretazione del mondo. Accade anche a
noi quando facciamo un lavoro e vorremmo che ci fosse “riconosciuto”.
Pensate cosa accade ai bambini se trascuriamo la loro evoluzione. Il riconoscimento è identità.
Bisogna quindi dare attenzione ai bambini, che non è amore, attenzione vuol dire che quanto loro ci
interpellano dobbiamo stare attenti a questi richiami. Ma l’attenzione richiede tempo, le espressioni
dei bambini non si devono trascurare o rinviarne “la lettura”. Ascoltiamoli questi bambini perché
sono dei grandi filosofi, guai a dire loro “quando sarai grande capirai”. A nulla vale la scusa il
tempo è poco, ma è di “qualità”, serve la quantità, la continuità (anche perché la qualità del tempo
la giudicano solo gli adulti).
Non solo, i nostri bimbi sono esposti a un eccesso di stimoli…troppi. E quando c’è un
eccesso di stimoli rispetto alla capacità di contenimento si crea angoscia. La stessa situazione si
vede negli anziani che restano a casa perché fuori c’è un eccesso di stimoli che fa paura. I bambini
troppo stimolati vanno in angoscia oppure, strategia di difesa, riducono la percezione psichica: non
sentono più, non hanno più risonanza emotiva di quel che vedono (per esempio delle immagini
anche forti passate in televisione). Quando si attuano queste strategie di difesa ci troviamo di fronte
a degli psicopatici, ovvero chi non registra psichicamente la gravità della situazione. Kant diceva
che si sentiva da sé la differenza tra bene e male. Oggi questa differenza non si sente più: si sente
tra picchiare una ragazza o stuprarla? Questo vuol dire che la mappa emotiva non è stata costruita o
è stata distrutta, o che c’è stato un eccesso di stimoli. Inutile quindi sorprendersi di fenomeni quali
quelli di Omar e Erica che dopo il massacro della mamma e del fratellino di lei vanno a bere una
birra come se nulla fosse successo. Quando vengono sottoposti a giudizio questi ragazzi sono di una
lucidità sorprendente perché quando la psiche non registra nulla a livello emotivo non si ha nessuna
interferenza al processo razionale. L’interferenza emotiva rende infatti frastagliato il cammino
razionale (quando dobbiamo prendere una decisione importante sono tanti i sentimenti che si
accavallano). A mio avviso, i tribunali dovrebbero iniziare a giudicare sulla capacità di sentire il
bene e il male e non solo su quella di intendere e volere. Chiedete a chi prende l’ecstasi perché lo
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fa… vi diranno che lo fanno per emozionarsi. Se non ci si emoziona, ci si annoia e per superare la
noia si compiono quei gesti esasperati che la cronaca troppo spesso ci riporta.
Poi questi bimbi vanno a scuola. La scuola elementare italiana è una delle più superbe che ci
siano in Occidente, o perlomeno andava bene con tre maestre, ora ce n’è una il che significa ridurre
il livello di istruzione…non si può tornare agli anni ’50 quando non c’era l’inglese, le scienze,
l’informatica. Come può una sola maestra sapere tutto? A parte questo, nelle scuole iniziano liti
pazzesche tra genitori e insegnati perché in classe i figli apprendono visioni del mondo diverse da
quelle della famiglia e la famiglia si sente offesa. Ma la scuola è questa: scoprire diverse visioni del
mondo. Naturalmente questo nella scuola pubblica, multiforme, quella privata è uniforme alla
visione della famiglia; ovvio che se ho una sola visione sono in difficoltà in un mondo sempre più
multiculturale. Tornando alle liti, queste sono un disastro perché i bambini si affezionano tanto ai
genitori che alle maestre e gli uni e gli altri devono sostenersi: guai a parlare male delle maestre
perché questo crea una dissociazione interna nei bambini che fanno quel che possono per farvi
fronte. Non si deve mai mettere i bambini nella condizione di scegliere, non tra contenuti culturali e
visioni del mondo, ma tra “amori”, quello per mamma e papà e quello per gli insegnanti, perché i
bambini apprendono per amore, per imitazione. Sostenere sempre quindi le maestre anche se non
sono brave, perché altrimenti si alimenta l’angoscia nei figli.
Alle scuole superiori inizia il dramma. Per intenderci, la corteccia cerebrale comincia a
funzionare a 20 anni, ovvero la parte razionale, perché prima c’è il “cervello primitivo emotivo” e i
contenuti culturali passano solo a condizione di agganciare l’emotività dei ragazzi. I ragazzi
imparano infatti per amore, per fascinazione. Tutti noi abbiamo imparato meglio le discipline degli
insegnanti che più ci affascinavano. Come diceva Platone nella Repubblica la panidea passa
attraverso l’erotismo. E questo porta alla crisi adolescenziale. La comparsa della sessualità, infatti,
fa sì che la precedente visione del mondo (quella infantile) non funzioni più. In adolescenza tutto il
mondo viene erotizzato, tutto il mondo è pieno di sessualità. Gli insegnanti delle scuole superiori
sono all’altezza di questo evento? Può essere ma è per puro caso/fortuna. La scelta dei professori
avviene in base alla loro competenza culturale, ma a questa dovrebbe essere unita la capacità di
comunicazione e di fascinazione (questa o c’è o non si impara). Io dico che si impara per “plagio”,
Socrate parla di mimesis: di imitazione indotta dall’erotismo (mi affascini quindi faccio tutto quello
che mi chiedi).
Avviene questo tipo di selezione per i docenti? No, perché non si fanno i test di personalità agli
insegnanti come avviene invece per tutti gli altri lavori (in fin dei conti cosa sono i colloqui di
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lavoro?). Non avere certe caratteristiche è grave per gli insegnanti, perché una nazione colta è più
avvantaggiata rispetto a una incolta. La cultura paga: un popolo colto è un popolo che pensa, un
popolo che problematizza, che non assume la televisione come un’agenzia culturale.
Si deve costruire una nuova classe di docenti.
Non solo, la scuola deve anche educare mentre oggi si dedica solo a istruire. A parte che
l’istruzione senza educazione non funziona, l’istruzione è trasmissione di contenuti culturali,
l’educazione è la cura della crescita emotiva (quell’emotività di cui si è parlato nella costruzione del
mondo, quel sentire il mondo). Come si fa a educare emotivamente? Si dovrebbe avere classi di 15
alunni per conoscerli tutti ad uno a uno. Se un insegnante ha una sola ora alla settimana e una classe
numerosa, dove passa il processo educativo? Se io, insegnante, non sento i ragazzi a livello emotivo
non riuscirò a trasmettere contenuti culturali. A questo, al processo educativo, dovrebbero guardare
i genitori non limitarsi solo a sapere se il figlio viene promosso o meno. Così si arriva al paradosso
che quando uno studente si suicida gli insegnanti e il preside dicono di non aver sospettato nulla
eppure quei giovani ogni giorno andavano a scuola…chi li vedeva?
Un filosofo argentino ha aperto a Parigi uno sportello per i disagi dei ragazzi. E i giovani
che si presentano soffrono, ma non sanno nominare la loro sofferenza, manca loro il vocabolario,
sono emotivamente analfabeti. Qual è la gradazione di questo vocabolario? Il primo stadio dei
processi emotivi è l’impulso cui segue il gesto (regime di stadio: mi insulti ti picchio) e tanti oggi
sono rimasti fermi solo all’impulso; il secondo stadio sono le emozioni (subentra una sorta di
consapevolezza: le emozioni o si scartano o si controllano); lo stadio più evoluto è il sentimento che
non solo si sente ma è anche una facoltà cognitiva (il sentimento conosce), per esempio le mamme
conoscono i bisogni dei bimbi che non parlano perché li amano, due innamorati capiscono anche
quello che sta dietro il silenzio perché si amano.
Il sentimento mi concede di conoscere quel che provo e quindi di nominarlo e perciò di trattarlo.
L’umanità ha sempre creato degli scenari di conoscenza emotiva, nel mondo antico erano i miti
greci che sono una rappresentazione su grande scenario di tutte le passioni umane, e lì ho dei
paradigmi e provando qualcosa di analogo ho il nome, il decorso, quindi ho la mappa dei
sentimenti. Anche la religione Cristiana, perché ha avuto bisogno di creare tanti santi diversi, tanti
caratteri diversi, tante qualità diverse? Perché erano modelli diversi, perché i sentimenti si
imparano, si acquisiscono, si nominano e se ne conosce il decorso attraverso l’esemplarità.
Il luogo imminente dei sentimenti è la letteratura, lì si impara cos’è il dolore, l’amore, la tragedia,
la noia, la disperazione…Si è parlato della scuola con le tre “I”, o di tecnicizzarla, quando i ragazzi
sono già bravi e utilizzano meglio degli insegnanti la tecnologia, ma perché non avere delle belle
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lezioni con insegnanti trascinatori e tanta letteratura per imparare a conoscere i sentimenti (cosa
sono, cosa provo io, come gestirli)? Se non si conoscono i “modelli” dei sentimenti si prova
un’angoscia a cui non si sa dare un nome e di cui non si conosce il decorso, e ciò è terrificante.
Ecco, la letteratura è il luogo dei sentimenti.
I libri sono una merce povera, e solo il 27% degli italiani legge qualcosa, mentre la tiratura dei
giornali è uguale a quella degli anni Cinquanta. Si legge poco e tanto meno la letteratura che
sarebbe meglio della psicologia, basta pensare ai grandi romanzi. E allora non stupiamoci se
viviamo in un mondo dove non c’è la conoscenza, né la nominalità né la trattabilità dei sentimenti,
perché mancano le mappe. Ma avete sentito parlare i ragazzi? Quando c’è quella rappresentazione
oscena che è l’esame di maturità manca loro il linguaggio e se manca il linguaggio manca il
pensiero perché non posso pensare aldilà delle parole che possiedo!! Nel tempo abbiamo perso
“parole”.. 1000 in trent’anni, quindi i pensieri e i sentimenti corrispondenti. Che si fa? Si prendono
parole standard, magari prelevate dal gergo, magari una sola, con le quali si esprime tutto in base a
come la pronuncio. Questo impoverimento linguistico è un disastro.
Poi quando uno è formato dovrebbe inserirsi nel mondo sociale, oggi diciamo mondo del
lavoro perché abbiamo stabilito che la società è solo lavoro. Ma la società è più ampia del “mondo
del lavoro”. Ma che lavoro attende i giovani? Un tempo per fare il ragionerie bastava fare
ragioneria, oggi serve un percorso più lungo e tortuoso, si entra nel mondo del lavoro tardi e alla
fine ci si accontenta di una collocazione, qualunque essa sia. Abbiamo teste eccezionali, anche a
filosofia che conta poco nel tempo breve almeno, e non sappiamo cosa farcene… è un dramma
anche per chi si è impegnato in quella direzione. E allora abbiamo precari e camerieri laureati senza
poter fare niente. Gli studenti lo sanno, e tanti sono fuori corso perché solo così hanno un’identità:
di studente, poi non sono più nulla.
E’ una situazione veramente molto drammatica.
E poi ci sono i fenomeni come la droga e l’alcol che sono assunti come “anestetici”: un
modo di non essere al mondo, un mondo che non ha bisogno di me, che non mi “chiama”, che non
mi da un futuro, per cui sono un problema e una preoccupazione…Allora perché dovrei stare a
questo mondo? Perché i ragazzi vivono di notte? Chi li “convoca” di giorno? Chi si interessa dei
loro bisogni e richieste? Perché vivono in discoteca? Perché non c’è bisogno di parlare, c’è la
musica ad alto volume. Dobbiamo prendere atto di tutto ciò e capire che non tutto è conciliabile.
Droghe leggere e pesanti non è questo il problema, è tra droghe anestetiche e droghe eccitanti.
Queste ultime permettono performance adatte alle richieste della società che non ci considera per
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quelli che siamo, ma per quello che produciamo. Oggi viviamo nell’età della tecnica, i cui indici
sono la produttività, l’efficienza, il profitto: questi sono i valori in circolazione, questi sono i veri
coefficienti sociali. Questi i valori di cui lamentiamo l’assenza. Allora dove sta il business? Come si
arriva a questi valori? Ponendosi degli obiettivi. E se non ce la fai vai in crisi di identità, ti manca il
riconoscimento e poi sei licenziato. Ma essere licenziato vuol dire essere escluso socialmente. E per
farcela l’asticella si alza sempre più e quindi si usa la cocaina, oppure gli psicofarmaci. Quindi la
nostra è una società infelice. La stessa depressione è cambiata: prima erano sensi di colpa, con
sguardo rivolto al passato, la mancanza di progettualità. Così la si conosceva quando c’era la società
della disciplina, che ha funzionato fino al Sessantotto con regole e trasgressioni.
Tra i 15/30 anni c’è la massima forza ideativa. Un matematico dopo i 30 anni può essere
solo un professore di matematica, ma non un teorico. Io stesso le idee migliori le ho avuto a
quell’età poi le ho raffinate. Nelle nostre università ci sono ricercatori di 50 anni!
A quell’età anni i giovani hanno pure il massimo della forza biologica, i corpi dei giovani
sono belli e forti. Infatti, il mercato, che conosce i giovani meglio dei genitori e degli insegnanti, ne
utilizza la fisicità, la bellezza, la forza, perché i veri conoscitori del mondo dei giovani sono gli
operatori del marketing. Viviamo in una società in cui il grande motore di tutti i valori è il denaro
quindi… In quel periodo poi i giovani hanno anche il massimo della forza sessuale, ma non
riproduttiva perché non possono generare, tutti i problemi che noi abbiamo sulla fecondazione
assistita, e di altri temi analoghi, sono derivati da uno scollamento eccessivo che la società ha
creato. Un giovane prima dei 35 anni non può generare perché non è nella possibilità e nella
compatibilità di poterlo fare. E questo perché la nostra società e la nostra cultura hanno creato delle
condizioni di generazione che non sono praticabili prima dei 35 anni, cioè al limite biologico.
Allora, una società che non utilizza il massimo della forza fisica, di quella generativa, di
quella creativa, rappresentata dai suoi giovani, pensate possa avere un futuro? Questa crisi che
stiamo vivendo è cosa miserabile rispetto alla condizione di crisi permanente che aspetta
l’Occidente se non valorizza i giovani. E perché non li utilizziamo? All’epoca mia c’erano i padri e
i figli, pochi nonni perché morivano presto. Oggi, grazie alla medicina che non allunga la vita, ma
quell’epoca terribile che si chiama vecchiaia, abbiamo tre generazioni con i nonni che detengono il
potere e non lo mollano, i padri che guardano i nonni in attesa di avere il loro posto e poi ci sono
loro che “..tanto sono giovani”, ma fin quando lo sono? Aspettiamo che perdano la loro forza?
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