Untitled - Sergio Codutti

il cuore
a metà
I L CUOR E A M ETÀ
Sergio Codutti
CA P I T OL O UNO
LA STOR I A DI ST E FA N I A
Era stata una notte agitata quella appena trascorsa, non aveva dormito
bene, la pancia ingombrante non le permetteva di muoversi con disinvoltura.
´$KL&KHGRORUHʮ
(UD VWDWD XQD ÀWWD LPSURYYLVD DL FDOFL FKH OD EDPELQD WLUDYD FRQ XQD
certa continuità si era oramai abituata, ma quella sensazione nuova l’aveva
spiazzata. Il tempo della gravidanza era trascorso già da una settimana. Il ginecologo il giorno prima le aveva detto che quello era un termine indicativo
e non assoluto, ma per ogni buon conto era meglio ricoverarsi.
,OVROHGHOPDWWLQRXQVROHGLÀQHDSULOHÀOWUDYDIUDOHIHVVXUHGHOODSHUVLDna semiabbassata e proiettava sul muro una griglia di luce che si muoveva a
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DOODÀQHVWUDGHOODFDPHUDGHOO·RVSHGDOH5HSDUWRPDWHUQLWj
Una stanza tutta bianca con due letti dalle lenzuola candide, uno, non il
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rosse, dodici a gambo lungo.
«Passata una buona notte?» chiese la sua compagna di stanza.
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«Non ci siamo neanche presentate. Io mi chiamo Elisabetta. E Lei?».
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Non si usa più il termometro a mercurio ma un aggeggio elettronico che
dà la temperatura all’istante. Con il vecchio termometro s’interpretava la
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di meno. Aveva un che di umano. Gli elettronici no, sono precisi al decimo,
prendere o lasciare.
«Bene tutte e due. Lei signora come va?».
«Da sta mattina sono cominciate un po’ di contrazioni».
«Ogni quanto?».
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CAPITOLO UNO
«Quanto durano?».
«Un istante».
«Al momento non c’è nessuna urgenza. Fra poco passa il medico, vedrà
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«Elisabetta, e tu sei riuscita a prendere sonno? La gioia e l’emozione
possono giocare alle volte brutti scherzi».
«Sì ho dormito, la stanchezza accumulata era tanta, ma questa mattina mi
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A proposito, lo chiameremo Enrico.
Ho già cominciato a pensare al lavoro! Ho un negozio di parrucchiere,
con tre lavoranti, serviamo una buona clientela e sono preoccupata di perdere qualcuno perché non trova il solito servizio.
Sono alla seconda maternità e ho già una bambina di cinque anni. Enrico
non lo avevamo cercato, è venuto così, ma io e mio marito quando lo abbiaPRVDSXWRVLDPRVWDWLVXELWRFRQWHQWL6DUjIRUVHSHUFKpqLOVHFRQGRPDGL
VLFXURQRQF·qVWDWDODWHQVLRQHGHOODSULPD0DQFDO·HIIHWWRQRYLWjDQFKHVH
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lavoro non mi era passato neanche per la testa.
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«Sono un commissario di polizia».
«Accidenti, che lavoro interessante, chissà con quante cose importanti
DYUDLDFKHIDUHRJQLJLRUQRª
«A dire il vero da quando mi sono accorta di essere incinta ho cominciato a preoccuparmi per quello che mi potrebbe accadere; il mio è comunque
un mestiere con una buona dose di rischio.
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pensando al padre meraviglioso che avrà».
«Quanti anni avevi quando mancò tua madre?».
«Ero piccola, avevo solo quattro anni, se ne andò nel 1969. Amai tanto
mia madre, il suo volto l’ultima volta che lo vidi mi restò scolpito nella mente
in maniera indelebile.
Era il mio angelo custode, poi divenne la mia ossessione, e ora non so che cos’è.
Mi rimase solo mia nonna Brigit, noi abitavamo in una vecchia casa di
montagna con i muri grossi e il tetto spiovente. Si trovava a Camporosso, un
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/·DQQRFKHÀQLLOHPHGLHDQFKHPLDQRQQDPRUu)XSHUPHXQDOWURPRmento terribile, ero rimasta completamente sola. Ecco un’altra contrazione!».
«Non ti preoccupare, è normale, comincia sempre così».
«Mi prese con sé Gemma, una cugina di mia madre che abitava a Udine.
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umanamente può dare. Fu per me più di una madre. Anzi lo è tuttora. Mi diVSLDFHPROWRGLQRQDYHUODYLFLQDDGHVVRPDXQDVWXSLGDLQÁXHQ]DFRQWDQWD
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essere qui con me».
«Buongiorno dottore».
«Buongiorno signora, vediamo un po’... Come si sente?».
«Bene, ogni tanto avverto delle contrazioni brevi».
Dopo un’accurata visita:
«La situazione è stazionaria, stiamo valutando la posizione della bambina, vedremo come evolve prima di prendere una decisione. Ci vuole ancora
del tempo. Arrivederci.»
Il medico se ne andò seguito da Elisabetta che uscì dalla camera per
andare ad allattare il bambino.
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Voleva rimanere sola, non con se stessa ma con sua nonna Brigit.
“Ti ricordi nonna, quella prima notte che passammo insieme dopo la
morte della mamma, tu accarezzavi il mio viso appoggiato sul tuo seno, lo
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PLFRQVRODYLGLFHQGRPLFKHPLDYUHVWLDLXWDWDDHVVHUHIRUWHQRQDVRVWLWXLUH
la mamma, lei sarebbe stata con me per sempre, in modo diverso da prima,
ma per sempre con me.
Quanti sentieri abbiamo percorso insieme nelle vallate attorno a CampoURVVRYDO)LO]DYDO%DUWROR0RQWH/XVVDUL«4XDQWHIRJOLHTXDQWLIXQJKL
TXDQWLÀRULTXDQWLIUXWWLDEELDPRUDFFROWRHTXDQWHUDGLFLDEELDPRHVWUDWWR
QHOQRVWURJLURYDJDUHQHLERVFKL0LIDFHYLDO]DUHDOO·DOED]DLQRLQVSDOOD
bastone ben saldo e via sul sentiero che usciva dal paese e cominciava a salire lento e costante verso la montagna.
Quanto mi piacevano le mattine d’estate, quando le nubi basse avvolgevano ogni cosa tutto intorno al paese, rendendo il paesaggio conosciuto
PLVWHULRVRHÀDEHVFR
Quel giorno che Anselmo il tuo amico boscaiolo mi portò il bastone
FKHDYHYDLQWDJOLDWRSHUPHIXXQDIHVWD&RQLOFROWHOOLQRHWDQWDSD]LHQza aveva scolpito lungo il bastone: genziane, stelle alpine, margherite e due
uccelli. Lui aveva intarsiato delle aquile ma per me erano delle colombelle,
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CAPITOLO UNO
sicuramente più carine dei rapaci e poi erano bianche. M’insegnasti a ricoQRVFHUHWDQWHVSHFLHGLSLDQWHLIXQJKLEXRQLHTXHOOLYHOHQRVLLPDQJHUHFFL
li mettevi in un cesto di vimini, e quelli velenosi in un sacchetto a quadretti
bianchi e rossi con i cuoricini. Avevi anche altri sacchetti colorati chiusi
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OHXQHGDOOHDOWUH5DFFRJOLHUHOHUDGLFLQRQPLSLDFHYDHUDIDWLFRVRHFLVL
sporcava tutte di terra.
Quanti animali vedevamo, di ogni tipo, tu conoscevi le loro abitudini, saSHYLGRYHWURYDUOLHGLRIDFHYRIDWLFDDVWDUHEXRQDDYUHLYROXWRDFFDUH]]DUOL
e portarli a casa tutti quanti, non solo guardarli.
E i cacciatori, le volte che ti chiedevano se avevi incontrato qualche capriolo o gallo, tu mentivi sostenendo che non ne avevi visti. E quando ti
domandavo perché non avevi detto la verità, mi rispondevi che una piccola
bugia si poteva ben dire per salvare qualche animale. Una volta mi spiegasti: se uccidono la mamma dei Bambi poi chi darà loro da mangiare? Ed io
pensai che avrei tanto voluto che qualcuno avesse detto una bugia anche per
la mia mamma.
All’inizio non sapevo a cosa ti servisse tutta quella roba, poi, mentre
FUHVFHYR PL KDL SLDQR SLDQR IDWWD SDUWHFLSH GHOOD VWRULD GHOOH GRQQH GHOOD
QRVWUDIDPLJOLD
Ogni generazione aveva la sua maga, e da secoli i segreti del mestiere
YHQLYDQRSDVVDWLGDPDGUHLQÀJOLD0LDPDGUHDYUHEEHSUHVRLOWXRSRVWRGL
maga e tu mi dicesti che era diventata addirittura più brava di te. Mi aveva
DIIDVFLQDWRPROWRODVWRULDGLTXHOOHGRQQHFKHHUDQRGLYHQWDWHmaghe. Con
TXHOORFKHODQDWXUDRIIULYDHUDQRLQJUDGRGLSUHSDUDUHLQIXVLOLTXRULSROYHULQHPLVWXUHSHUJXDULUHXQ·LQÀQLWjGLPDODWWLH0LHUDVHPEUDWRPROWR
QRELOHLOIDWWRFKHQHVVXQDmagaFKLHGHVVHGHLVROGLSHUTXHOORFKHIDFHYD/D
gente che veniva da noi, in pratica ogni giorno, si voleva comunque sdebitare
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JUDSSDSDWDWHXQVDODPH«µ
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©8QSR·GLFDIIHODWWHFRQGHOOHIHWWHELVFRWWDWHJUD]LHª
“Ti rammenti di quella volta che abbiamo tanto riso quando quella donna
che aveva un nome strano... aspetta che adesso mi viene in mente, vediamo...
ah sì ora ricordo, si chiamava Aniceta, ci portò un uovo e quando tu lo apristi
SHUFXFLQDUORQHXVFuIXRULXQSXOFLQR
Quando mi mostrasti per la prima volta Il libro della saggezza, rimasi
stupita a vedere tutte quelle ricette segrete che solo la maga poteva leggere.
Mi raccontasti anche che ogni nostra antenata prima di diventare maga aveva
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in realtà era un grosso quaderno, da tempo immemorabile le maghe avevano
VFULWWROHORURIRUPXOHVHJUHWH%XRQDSDUWHGLTXHVWHHUDQRLQWHGHVFRHVVHQGR
VWDWRLOQRVWURSDHVHLQWHUULWRULRDXVWULDFRÀQRDOODSULPDJXHUUDPRQGLDOH
&KHEHOORQRQQDHUDDVFROWDUHOHWXHÀDEHLQWHGHVFRPLVHPEUDYDQRSL
vere, mi davano il senso del mistero e poi come le raccontavi tu era stupendo.
Io ero molto orgogliosa di sapere che le ultime pagine del libro le aveva
scritte la mia mamma. Anche lei aveva trovato nuovi medicamenti per alleYLDUHOHVRIIHUHQ]HGHOOHSHUVRQH
Tu mi permettevi di leggere solo quelle della mia mamma, dato che ero
soltanto un’apprendista, assistente maga.
E poi mi piaceva tantissimo la copertina di pelle marrone tutta a chiazze,
consumata dal tempo. Il bordo era cucito con una stringa di cuoio. Quel libro
PLGDYDXQVHQVRGLHXIRULDHVRORDFFDUH]]DUORPLIDFHYDYHQLUHLEULYLGL
al pensiero che un giorno anch’io sarei potuta diventare una maga come le
mie antenate.
Mi piange il cuore per essere stata proprio io a interrompere la tradizione
delle maghe, ma il progresso ha macinato tante cose, ci ha cambiato tutti e di
una magaRJJLQHVVXQRKDSLELVRJQRµ
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IDUJLUDUHXQSRFRO·DULD"ª
«Benissimo, così entra anche la primavera!».
«Oggi è veramente una bella giornata di sole».
´4XDQGRWLIHFLQRWDUHFKHODFRSHUWLQDTXHOODGLHWURHUDPROWRSLJURVsa di quella davanti, tu mi rispondesti che mi avresti spiegato il perché solo
GDJUDQGH7HORFRQIHVVRFLULPDVLPROWRPDOH)RUVHPLVHQWLYRJLjJUDQGH
oppure era solo curiosità di bambina, quando insistei e tu mi rispondesti
con un tono che non ammetteva repliche: il discorso è geschlossen, rimasi
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(UDXQRGHLWDQWLPLVWHULGHOODQRVWUDIDPLJOLD'LPHQWLFDLSUHVWRO·HSLVRGLR7XPLKDLUHVDIHOLFHPLKDLGDWRTXHOODVHUHQLWjGLFXLDYHYRWDQWR
bisogno, ma durò troppo poco e poi anche tu te ne andasti lasciandomi nuovamente sola e con un immenso vuoto.
Un’altra maga se ne era andata e questa volta nessuno avrebbe preso il
suo posto.
Poco prima di morire mi desti le consegne di maga spiegandomi il miVWHURGHOSHUFKpODFRSHUWLQDGLHWURHUDFRVuJURVVD6SLHJDUHVLIDSHUGLUH
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perché mi dicesti che quello che è contenuto nessuno lo doveva sapere come
IXRUGLQDWRGDXQDQRVWUDDQWHQDWDYLVVXWDXQDFLQTXDQWLQDGLDQQLDGGLHWUR
0LIDFHVWLOHJJHUHDWDOSURSRVLWRODSDJLQDFRQORVFULWWR
CA PI T OL O D U E
I L COM M ISSA R IO
Il bene e il male come il male e il bene si toccano e qualche volta si confondono. Le debolezze umane annebbiano la mente. Per far trionfare il bene
nessuno osi profanare l’ultima copertina.
Quello scritto mi lasciò incuriosita ma anche spaventata per quello che
SRWHYDVLJQLÀFDUH$VVLHPHDOOLEURFKHGDTXHOPRPHQWRPLDSSDUWHQHYD
per discendenza, mi desti anche quella busta gialla sigillata con la ceralacca
URVVDFKHWXDYHYLWURYDWRIUDOHFRVHGLPLDPDGUHHFKHJHORVDPHQWHDYHYL
FXVWRGLWRÀQRDTXHOPRPHQWR
Se il segreto del libro della saggezza mi aveva lasciata incuriosita e spaventata, quello che c’era scritto sulla busta mi lasciò sconcertata.
Per Stefania, da aprire il giorno del trentesimo compleanno.
Tua madre.”
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«Allora com’è andata la prima poppata?».
«Benissimo, non avrei mai creduto di provare una simile emozione. Con
la prima bambina non avevo il latte, ed anche questa volta pensavo sarebbe
VWDWRORVWHVVR3HUzǻ
«Però?».
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TXHVWDYROWDqLOODYRURDURYLQDUHWXWWR3HQVRDFRPHIDUzFRQO·DOODWWDPHQWR
ad andare a lavorare non potendo lasciare la bambina alla baby sitter».
«Ora goditi il tuo bambino, poi vedrai che una soluzione si trova
sempre».
«Hai proprio ragione, preoccuparsi non serve a nulla. Almeno tu non hai
il pensiero di perdere i clienti».
©4XHVWRqYHURPDVDLQRLDEELDPRXQRWWLPRXIÀFLRPDUNHWLQJFKHQRQ
FLIDPDQFDUHPDLLOODYRUR6LSUHRFFXSDDQFKHGLYDULDUHODFOLHQWHODDVVDVVLQLVWXSUDWRULODGULUDSLQDWRULǻ
Scoppiarono entrambe in una risata liberatoria.
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©4XDQGRPLDQRQQDPRUuFRPHJLjWLGLVVLDYHYRDSSHQDÀQLWRJOLHVDPL
di terza media, il sabato dopo mia cugina Gemma venne a Camporosso e mi
SURSRVHGLDQGDUHDYLYHUHFRQOHLD8GLQH&LVSHUDYRWDQWRHQHIXLIHOLFH
noi ci volevamo bene da sempre. Avevo promesso a una mia compagna di
scuola che abitava a Malborghetto di passare due settimane a casa sua e così
FLDFFRUGDPPRSHULOWUDVIHULPHQWRD8GLQHDOODÀQHGHOPHVH
Puntuale, il giorno stesso del mio ritorno, Gemma venne a prendermi e
partimmo. Un velo di tristezza mi assalì, lasciavo il posto, dove ero nata, ma
allo stesso tempo provai una sorta di serenità, andavo via dal paese, dove
WDQWR DYHYR VRIIHUWR QHOO·DYHU SHUVR XQD GLHWUR O·DOWUD OH SHUVRQH SL FDUH
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CAPITOLO DUE
*HPPDDYHYDFDVDQHOODSULPDSHULIHULDDQRUGGHOODFLWWjXQDEHOODSDOD]]Lna con quattro appartamenti di recente costruzione. Il suo era al piano terra,
DYHYDXQSLFFRORJLDUGLQRPROWRFXUDWRFRQWDQWLÀRULHO·HUEDSHUIHWWDPHQWH
rasata».
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«Quando la vidi, rimasi senza parole, gli occhi increduli si posavano su
RJQL FRVD FRQ LO UHVSLUR FKH VL IDFHYD YLD YLD SL DIIDQQRVR SHU OD JUDQGH
emozione».
´1RQGLFLQLHQWHIRUVHQRQWLSLDFH"µIHFH*HPPD
«È meravigliosa! La sola cosa che riuscii a dire, il groppo alla gola era
WURSSRIRUWH/HEXWWDLOHEUDFFLDDOFROORHEDFLDQGRODOHEDJQDLODJXDQFLD
con le lacrime».
´%DVWDFRPPR]LRQHYDGRGLOjFRVuWXSXRLVLVWHPDUHOHWXHFRVHµ
Uscì chiudendo dolcemente la porta, aveva bisogno di stare sola con le
sue lacrime.
«La camera era intonacata con un bel colore rosa pallido: le tendine a
quadretti bianchi e rossi con i cuoricini come i sacchetti della nonna, che
DVVLHPHDOOHIRWRGHOOD9DOFDQDOHDSSHVHDOOHSDUHWLYROHYDQRVLFXUDPHQWH
IDUPLVHQWLUHDFDVD
,PRELOLHUDQREHOOLVVLPLIDWWLLQOHJQRGLURYHUHFRQÀQLWXUHLQODFFDWR
ELDQFRVXOOHWWRDYHYDEXWWDWRFRPHDFDVRWUHFXVFLQLGLPLVXUHGLYHUVHIDWWL
FRQODVWHVVDVWRIIDGHOOHWHQGLQHª
Dopo una pausa, rivolgendosi a Elisabetta:
«Scusa, la risposta alla tua domanda l’ho preso alla lontana, e sicuramente quello che ti racconto non t’interessa».
«Ti sbagli la tua storia è veramente appassionante. Continua ti prego».
«Appena uscita Gemma mi sedetti sul letto saltellando dalla gioia. NeanFKHFLJRODYD6ÀGRHUDWXWWRQXRYR6FRVWDLLOFRSULOHWWRHSRVDLODYDOLJLDFKH
conteneva le poche cose che possedevo: alcuni libri, Orazio, il mio orsetto
di peluche, Il libro della saggezza, la busta gialla e qualche vestito. Alcuni
li aveva cuciti la nonna, quelli comperati venivano dal mercato di Tarvisio.
Allora era rinomato, lavorava molto con gli iugoslavi, che arrivavano da oltre
LOFRQÀQHGLVWDQWHXQDTXLQGLFLQDGLFKLORPHWUL1RQHUDUREDGLTXDOLWjPD
alcune cose erano carine.
Quando aprii l’armadio per poco, non svenni, era pieno di vestiti nuovi.
´*HPPDDDDDDµ*ULGDLFRQWXWWDODYRFHFKHDYHYR
´6WHIDQLDFRVDF·qµVHQWLLIRUWHODYRFHGLPLDFXJLQDDQFRUDSULPDGL
vederla apparire sulla porta. Con gli occhi arrossati.
´*UD]LH*UD]LH*UD]LH*UD]LH6RQRVWXSHQGL1RQGRYHYLIDUHWXWWR
TXHVWRSHUPHµ
´&KHFRVDYROHYLFKHWLPDQGDVVLLQJLURYHVWLWDFRPHXQDPRQWDQDULQDµ
lei di rimando.
Quei giorni erano tutto un susseguirsi di sorprese. Saremmo andate due
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a Grado c’ero stata una sola volta con la parrocchia per il pellegrinaggio a
Barbana. Quella era stata l’unica occasione di vedere il mare.
Il programma prevedeva: partenza alle sei con il pullman dalla piazza
della chiesa, arrivo a Barbana con il vaporetto, e già quella era una grande
emozione, Messa solenne, pranzo al sacco sulle panchine del parco all’ombra dei pini marittimi dalla grande chioma e poi la visita a Grado. La parte
storica non mi piacque molto, le case erano vecchie come quelle di Camporosso solo che i tetti non erano spioventi. Quando salimmo sulla diga e mi
WURYDL GL IURQWH TXHOO·LPPHQVLWj G·DFTXD OD JXDUGDL LQFUHGXOD H VEDORUGLWD
con gli occhi di una bambina che non si aspettava una cosa simile. Io ero
abituata alle montagne che precludevano la vista a quello che c’era oltre,
così io potevo sognare, e immaginare qualsiasi cosa. Il mare era solo una
distesa d’acqua, piatta e senza nulla. Quando ritornai a casa ripensandoci,
PLYHQQHLQWHVWDFKHLQÀQGHLFRQWLLOPDUHHUDXQSR·FRPHODPRQWDJQD
DOO·RUL]]RQWHWXWWRÀQLYDHTXLQGLVLSRWHYDLPPDJLQDUHRJQLFRVDROWUHTXHOOD
linea lontana».
©(ULJLjXQDÀORVRIDª
«Quasi Quasi! Con la nonna avevamo deciso che dopo le medie sarei andata a lavorare, un suo conoscente era disposto a prendermi come commessa
proprio al mercato di Tarvisio. Puoi immaginare quando Gemma una sera
mi chiese:
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´,RFUHGHYRGLDQGDUHDODYRUDUHµULVSRVL
“Non ci pensare nemmeno. Qual era la materia che ti piaceva di più alle
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“Andavo bene in tutte le materie, però mi piacevano di più quelle letteUDULHµ
´/LFHRFODVVLFRµIXLOUHVSRQVRFKHQRQDPPHWWHYDUHSOLFKH
´1HOODYLWDELVRJQDVHPSUHFHUFDUHGLIDUHTXHOORFKHSLSLDFHDOWULPHQWLSRWUDLIDUHEHQHLOWXRODYRURPDQRQORIDUDLLQPRGRHFFHOOHQWHHFRPXQTXHDOODÀQHWLFRVWHUjIDWLFDHGLVDIIH]LRQH3HUFLzLO/LFHRFODVVLFRSHQVRVLD
SHUWHODVWUDGDSLJLXVWDµGLVVHFRQFRQYLQ]LRQH*HPPD
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La settimana dopo, con gioia immensa, ero iscritta alla terza Ginnasio
nel liceo della città».
«Signore è arrivato il pranzo. Volete venire a vedere quello che abbiamo?».
©$QGLDPRDPDQJLDUHDGLUHLOYHURLRKRXQSR·GLIDPH(WX6WHIDQLD"ª
«Non tanta, ma qualche cosa la prendo pure io».
0DQJLDURQRWUDQTXLOODPHQWH(OLVDEHWWDVLGLPRVWUzPROWRFDULQDIRUWH
GHOODVXDHVSHULHQ]DLQPDWHUQLWjWUDQTXLOOL]]z6WHIDQLD
«Dai continua il tuo racconto».
«Veramente ti piace ascoltare la mia storia?».
«Sì, la racconti così bene».
«Va be, eravamo rimaste all’inizio delle scuole superiori. Le superai di
slancio, la scuola mi piaceva e riuscivo bene in tutte le materie. Da sempre
PLDIIDVFLQDYDLOGLULWWRHTXLQGLLVFULYHUPLD*LXULVSUXGHQ]DIXODORJLFD
conseguenza.
Una mia compagna di liceo era originaria di Venezia e i suoi avevano un
piccolo appartamento in centro. Mi propose di andare assieme all’università
&D·)RVFDULGL9HQH]LD/HLVLHUDLVFULWWDDOODIDFROWjGL(FRQRPLDH&RPmercio, avremmo diviso l’appartamento. Fui molto contenta della proposta
anche perché Gigliola era una cara ragazza. Concordammo quanto le dovevo
GDUHSHUO·DIÀWWRDQFKHVHOHLQRQYROHYDDVVROXWDPHQWHQXOOD(FRVuLQL]LzOD
mia avventura universitaria.
Fu un periodo bellissimo, Venezia si prestava molto alla vita studentesca,
e io mi trovai veramente bene. Me ne andavo a studiare seduta su qualche
panchina nei campielli più appartati o in qualche calle dove non passava
QHVVXQR ULXVFLYR D FRQFHQWUDUPL EHQLVVLPR H PL IDFHYD SLDFHUH LO VDOXWR
GL TXDOFKH YHQH]LDQR FRQ FXL DYHYR IDWWR DPLFL]LD 1RQ PL IHFL GLVWUDUUH
da niente, non potevo permettermi il lusso di perdere tempo, era un dovere
preciso verso Gemma che pagava tutte le spese, perciò non ebbi problemi e
mi laureai a tempo di record.
,OJLRUQRGHOODGLVFXVVLRQHGHOODWHVLVHGXWDLQSULPDÀODF·HUD*HPPD
PDFFKLQD IRWRJUDÀFD QHOOD PDQR GHVWUD SURJUDPPDWD VX VFDWWR D UDIÀFD
mentre nella sinistra teneva stretta la corona d’alloro».
CAPITOLO DUE
3HUO·DXWRULWjFRQIHULWDPLGDO0DJQLÀFR5HWWRUHODSURFODPR
Dottore magistrale in…”.
“Koch Stefania,
la commissione, considerato il curriculum degli studi da lei
compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova
ÀQDOHODYRWD]LRQHGLFRQORGH
©3ULPDFKHÀQLVVHODSURFODPD]LRQHPLJLUDLYHUVR*HPPDODDEEUDFFLDL
HVWULQJHQGRODIRUWHOHVXVVXUUDLDOO·RUHFFKLRFKHTXHVWDODXUHDHUDDQFKHVXD
Poi rivolta al presidente scusandomi gli dissi che non avevo voluto mancare
di rispetto alla commissione, ma il richiamo del cuore era stato irresistibile».
“Il cuore in certe occasioni ragiona meglio della testa. Complimenti siJQRULQDµ
«Me lo disse con un sorriso dolce stringendomi la mano con entrambe
le sue.
«È permesso?».
6WHIDQLDULFRQREEHLPPHGLDWDPHQWHODYRFHGLVXRPDULWR0DUFR
«Entra, non vedevo l’ora che tu arrivassi».
©$SSHQD ÀQLWH OH OH]LRQL PL VRQR SUHFLSLWDWR 8Q EDFLR DOOD PLD
mammina».
«Lui è Marco, mio marito. Lei è Elisabetta, sopporta i miei racconti».
«O povera lei, non la invidio. Lieto di conoscerla».
«Piacere mio. Mi sa però che entrambi raccontate le bugie!».
Si misero tutti e tre a ridere.
©$QGLDPRDIDUHTXDWWURSDVVL"ªGLVVH0DUFR
«Va bene. Quando ritorno, la terza puntata».
«Ti aspetto con ansia». rispose Elisabetta.
&RQ 0DUFR VL HUDQR FRQRVFLXWL DOO·XQLYHUVLWj OXL VWXGLDYD ÀORVRÀD PD
poi si erano persi di vista. Attraverso amici comuni il destino aveva deciso
GLIDUHLOSURSULRGRYHUHHOLDYHYDIDWWLLQFRQWUDUHGLQXRYR/·DPRUHWDQWH
volte si diverte a stravolgere le regole, per quanto erano diversi, non avrebbero potuto stare assieme neanche per un aperitivo, si può credere per una
vita intera.
Invece!
1RQFLPLVHURPROWRDFDSLUHFKHHUDQRIDWWLO·XQRSHUO·DOWUD
6WHIDQLDqXQYXOFDQRG·LGHHHGLSURSRVWHGLQDPLFDQRQVWDPDLTXLHWD
programma ogni cosa, nulla la spaventa, quando punta un obiettivo è talmenWHGHWHUPLQDWDFKHQLHQWHODIHUPD0DUFRSURIHVVRUHGLÀORVRÀDLQVLQWRQLD
con i pensatori, un libro in mano è il massimo, dinamismo zero, ambizione
di successi, di carriera, di denaro, sotto zero. Entrambi però sono ricchi di
una carica umana senza compromessi, attenti al sociale, rispetto di tutti, inÀQLWRDPRUHSHUO·DOWUR(FFRODULFHWWD
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SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
CAPITOLO DUE
6LVRQRVSRVDWLGDPHQRGLGXHDQQLHRUDLOÀJOLRLQDUULYRFRPSOHWHUj
il loro amore.
Se erano preoccupati di quello che sarebbe successo di lì a poco, nessuno
dei due lo lasciava trasparire, minimizzavano ogni cosa.
4XDQGR6WHIDQLDJOLFKLHVHVHSHQVDYDGLDVVLVWHUHDOSDUWR0DUFROHDYHYDULsposto: solo se tu lo vuoi. In cuor suo non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo, ma se lei non avesse voluto, lui sarebbe rimasto in disparte. Ora tutto questo
HUDPHVVRLQIRUVHSRLFKpVLSURVSHWWDYDXQSRVVLELOHSDUWRFHVDUHR/DEDPELQD
era grandicella e non si poneva bene. Fino all’ultimo tutto poteva accadere.
«Sei preoccupata?».
©1RQSLGLTXDQGRORHURDFDVDPDQRQYHGRO·RUDFKHWXWWRVLDÀQLWRª
©7XWWR DQGUj SHU LO PHJOLR LR QRQ KR GXEEL H IUD SRFKLVVLPR SRWUHPR
WHQHUHIUDOHEUDFFLDODQRVWUDEDPELQDªGLVVH0DUFRFRQODVROLWDGROFH]]D
«Hai deciso il nome?».
«Ancora no».
Avevano un accordo tra loro per quando riguardava il nome della bambina: lo avrebbe deciso lei. C’era di mezzo il suo passato, o meglio quello della
VXDIDPLJOLDHGHVVHQGRXQDIHPPLQDFKHGRYHYDQDVFHUHLOQRPHDYHYDXQ
VLJQLÀFDWRPROWRLPSRUWDQWHSHUOHL$WWHJJLDPHQWRGLIÀFLOHGDFDSLUHPD
Marco con la sua sensibilità sapeva che era giusto accettare anche questo,
QHOODVSHUDQ]DFKHSHU6WHIDQLDVDUHEEHVWDWRO·XOWLPRVFRJOLRSULPDGLVHSpellire per sempre tutto quello che era stato.
Parlarono a lungo, come sempre accadeva: e dopo le preoccupazioni, i
dubbi, le tensioni si dissolvevano come neve al sole, questa era la loro grande
IRU]DSRLVLVHQWLYDQROHJJHULHSURQWLDGDIIURQWDUHTXDOVLDVLFRVD
Quel miracolo era avvenuto ancora una volta.
«Hai mangiato?».
©1RPDQRQKRIDPHª
©$GHVVRYDLDFDVDWLIDLXQDEHOODSDVWDF·qDQFRUDGHOVXJRQHOIULJRH
pure delle verdure cotte. Dai che ci vediamo sta sera».
Dopo molte insistenze Marco se ne andò.
6WHIDQLDULPDVHDQFRUDXQSR·QHOODVDOHWWDHUDVRODQRQULXVFLYDDSHQsare a niente, e ciò era strano per lei, la sua testa era sempre come un alveare
in perenne movimento. Non questa volta, Marco l’aveva svuotata da tutto e
ora si trovava come in uno stato d’estasi.
Rientrò nella camera, Elisabetta stava dormendo così anche lei si stese
SHUIDUHXQSLVROLQRDQFKHVHVDSHYDEHQLVVLPRFKHQRQFLVDUHEEHULXVFLWD
ma si godette ancora quel benessere che l’aveva pervasa.
/·LQIHUPLHUDSRUWz(QULFRSHUIDUORPDQJLDUH(OLVDEHWWDDSUuJOLRFFKLH
6WHIDQLDVLDYYLFLQzDOVXROHWWRSHUIDUHXQSR·GLDSSUHQGLVWDWRQHOQXRYR
mestiere che di lì a poco avrebbe dovuto intraprendere. Dopo che il bambino
HEEHPDQJLDWRHSXUHIDWWRLOUXWWLQRO·LQIHUPLHUDORYHQQHDSUHQGHUHSHU
portarlo nella nurserie.
«Allora passiamo alla terza puntata del racconto?» chiese Elisabetta.
«Va bene. Dopo la laurea mi misi subito alla ricerca di un lavoro, incominciai a spedire curricula dappertutto. Ancora non avevo nessuna idea di
quale sarebbe stato il mio lavoro ideale, l’importante era trovare qualcuno che avesse bisogno di una neolaureata in Giurisprudenza senza nessuna
HVSHULHQ]DODYRUDWLYD8QDVHUD*HPPDHLRDYHYDPRDSSHQDÀQLWRGLFHQDUH
TXDQGRVTXLOOzLOWHOHIRQRª
´3URQWR6HLODVROLWDVHFFKLRQDGHWHUPLQDWDFRPHXQUXOORFRPSUHVVRUHµ
´&KLSDUOD"µ
´&RPHQRQPLULFRQRVFL"6RQR$QDVWDVLDµ
´&LDR$QDVWDVLDFKHSLDFHUHVHQWLUWLFRPHVWDL"µ
´%HQHFRPSOLPHQWLSHUODWXDVXSHUODXUHDKROHWWRODQRWL]LDVXOJLRUQDOHµ
(UDVWDWD*HPPDDIDUODSXEEOLFDUHFRQWDQWRGLIRWRJUDÀDVXO´0HVVDJJHUR9HQHWRµ6WHIDQLDQRQDYHYDPROWRJUDGLWRPDLQÀQGHLFRQWLOHDYHYD
pur detto che quella laurea era un po’ anche sua e allora era giusto così.
“Senti abbiamo organizzato una cena con gli ex compagni della terza
OLFHRFLVDUDLDQFKHWXYHUR"µ
´3HUTXDQGR"µ
´6DEDWRQRQLOSURVVLPRTXHOORGRSR7LWHOHIRQRSHUO·RUDHLOSRVWRµ
´9DEHQHFLVDUzVHQ]·DOWURµ
«La rimpatriata riuscì molto bene, a essere già laureati eravamo in pochi,
DOFXQL HUDQR YLFLQL DOOD PHWD DOWUL IDFHYDQR JLj SDUWH D SLHQR WLWROR GHOOD
VFKLHUDGHJOLVWXGHQWLIXRULFRUVRDYLWD
Eravamo giovani, pieni di entusiasmo, con la vita davanti, e come da
FRSLRQHDOOHFHQHIUDH[FRPSDJQLDEELDPRDQFKHQRLULYLVVXWROHJROLDUGDWHLSURIHVVRULOHLQWHUURJD]LRQLJOLDPRUL«/HFHQHGRSRWDQWLDQQLLQYHFHVRQRWULVWLULFRUGLSLHQLGLQRVWDOJLHUDFFRQWLGLIDOOLPHQWLGHOXVLRQL
VSHUDQ]HQDXIUDJDWHLSUREOHPLGHLÀJOLSHUQRQSDUODUHGHOO·DVSHWWRÀVLFR
insomma una vera pena».
©ËSURSULRYHURODVHWWLPDQDVFRUVDPLRSDGUHKDIDWWRXQDFHQDFRQL
suoi vecchi compagni di classe, ha giurato che non ci sarebbe più andato».
«A metà cena Anastasia mi si avvicinò e mi chiese di uscire un attimo a
prendere una boccata d’aria perché mi voleva parlare».
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CAPITOLO DUE
´6HQWL 6WHIDQLD PLR SDGUH FHUFD XQD WLURFLQDQWH SHU OR VWXGLR JOL KR
parlato di te e se t’interessa, potresti passare giovedì alle sedici per un colORTXLRµ
´*UD]LHGLDYHUSHQVDWRDPHFLYHUUzVHQ]·DOWURµ
´*XDUGDFKHQRQSRWUzIDUHSUHIHUHQ]HQHLWXRLFRQIURQWLPDVHWLFRQRVFREHQHDWHQRQVHUYHQHVVXQDIDFLOLWD]LRQH
Ti dico questo perché mio padre mi tratta peggio degli altri dipendenti.
'LFHFKHPLGHYRJXDGDJQDUHORVWLSHQGLRVHQ]DIDYRULWLVPL7RUQLDPRGHQWURDOWULPHQWLFLGDQQRSHUGLVSHUVHµ
«La cena proseguì per alcune ore, poi qualcuno propose di andare in diVFRWHFDPDVLHUDIDWWRWDUGLHSUHIHULLQRQXQLUPLDOJUXSSR5LHQWUDLDFDVD
FKHHUDQROHWUHGHOPDWWLQR1RQSRWHYRDVSHWWDUHÀQRDGRPDQLSHUGLUORD
Gemma, così decisi di svegliarla anche se erano le tre».
´&KHF·q"&KHFRVDqVXFFHVVR"µGLVVH*HPPDVYHJOLDQGRVLGLVRSUDVVDOWR
´*HPPD KR XQD JUDQGH QRWL]LD IRUVH PL SUHQGRQR D IDUH LO WLURFLQLR
QHOORVWXGLROHJDOHGHOSDGUHGLXQDPLDDPLFD1RQqPDJQLÀFR"'REELDPR
IHVWHJJLDUHµ
´ËSURSULRXQDVSOHQGLGDQRWL]LDKDLUDJLRQHGREELDPRIHVWHJJLDUHPD
con una buona camomilla, altrimenti con questa emozione non dormiamo
SLQpWXQpLRµ
«Vuoi veramente bene a Gemma, vero?».
©6uIUDQRLF·qXQIRUWHUDSSRUWRG·DPRUHGLVWLPDGLFRPSOLFLWjGLFRQdivisione del bene e del male».
«Andasti poi al colloquio?».
«Altroché, già mezz’ora prima dell’appuntamento ero sotto lo studio, atWHVLXQTXDUWRG·RUDHSRLVDOLLOHVFDOHWXWWHHPR]LRQDWDPLIHFLDQQXQFLDUH
PDSULPDGLÀQLUHLOPLRQRPHDUULYz$QDVWDVLD
´&LDR6WHIDQLDYLHQLFKHWLIDFFLRYHGHUHLOPLRXIÀFLRWDQWRqSUHVWRH
PLRSDGUHqDQFRUDLPSHJQDWRµ
&RQGLYLGHYDLOVXRXIÀFLRFRQDOWUHWUHSHUVRQH
´4XHOODVFULYDQLDOjLQIRQGRqODPLDHTXHOODDFFDQWRVRQRVLFXUDFKH
VDUjODWXDµ
Risero, poi Anastasia guardando l’orologio disse:
´9LHQLGDLDQGLDPRGDPLRSDGUHFKHqRUD6HLWHVD"µ
´8QSR·VSHURGLIDUHEHOODÀJXUDµ
´*DUDQWLWRQRQKRGXEELµ
Entrarono, l’avvocato le accolse con un sorriso».
´3DSjTXHVWDq6WHIDQLDµ
´/LHWRGLIDUHODWXDFRQRVFHQ]DDFFRPRGDWLSXUHµ
Accomodati, aveva detto, non accomodatevi, Anastasia colse al volo.
´%HQHLRYLODVFLRWLDVSHWWRGRSRFRVuEHYLDPRXQFDIIqQHOODPDFFKLQHWWDVHPSUHFKHTXHVWRQHJULHURORSHUPHWWDµ
´9DLYDLFKHWXODVDLOXQJDµODFRQJHGzO·DYYRFDWR
´$OORUDUDFFRQWDPLXQSR·GLWHSDUWHQGRGDOWXRSHUFRUVRVFRODVWLFRµ
«Iniziai a esporre il mio curriculumTXDQGRVXRQzLOWHOHIRQRª
´6L«YDEHQHPHORSDVVLSXUHSRLQRQYRJOLRHVVHUHSLGLVWXUEDWRµ
6uVFXVzGHOO·LQWHUUX]LRQHOHGLVVHFKHHUDXQDWHOHIRQDWDLPSRUWDQWH
´$YYRFDWRFDULVVLPRPLIDSLDFHUHVHQWLUODPLGLFD«µ
Il padre di Anastasia era un signore sulla cinquantina molto distinto, aveYDFDSHOOLHEDIÀPROWRFXUDWLGLFRORUHELDQFRFRQDQFRUDTXDOFKHVSUX]]DWD
GLQHURHUDXQVLJQRUHGDLPRGLUDIÀQDWLODVXDIDPLJOLDYDQWDYDXQQRELOH FDVDWR OR VL FDSLYD DQFKH GDO QRPH GHOOD ÀJOLD 9HVWLYD XQ DELWR JULJLR
scuro con un taglio di alta sartoria, una cravatta cenere con disegni minuti
LQVLQXDWDVRWWRLOFROORGHOODFDPLFLDLPSHFFDELOHFRQOHFLIUHULFDPDWHFKH
s’intravedevano quando il lembo della giacca si scostava. I gemelli d’oro ai
polsini completavano l’opera.
/·XIÀFLRHUDLPPHQVRVWDYDVHGXWRGLHWURXQDVFULYDQLDPROWRHOHJDQWH
GDOSLDQRLQUDGLFDVFXUDFRQÀQLWXUHLQFXRLRGLXQFRORUHYLRODFHRVLPLOH
alla vinaccia, gli accessori sempre in cuoio con le parti metalliche dorate.
/HVHGLHHUDQRGHOPHGHVLPRFXRLRDYHYDQRXQDIRUPDVWUDQDVLFXUDPHQWH
erano oggetti di design, la seduta era dura ma molto comoda. Le pareti erano
SHUEXRQDSDUWHFRSHUWHGDXQDOLEUHULDDOWDÀQRDOVRIÀWWRFRQXQ·LQÀQLWj
GLOLEULFRGLFLVHQWHQ]HDQQXDUL«/HSDUWLODVFLDWHOLEHUHGDLOLEULHUDQR
ULYHVWLWHLQ$OFDQWDUDGLXQFRORUHSHVFDPROWRWHQXH,QIRQGRDOODVWDQ]DXQ
VDORWWRLQSHOOHVHPSUHGLTXHOFRORUHYLQDFFLDLOWXWWRSHUIHWWDPHQWHFRRUdinato con la scrivania».
©&RQXQWLSRFRVuLQTXHOO·DPELHQWHULXVFLYLDSDUODUH",RPHODVDUHLIDWWD
sotto dalla paura!».
©0D VLLL 'RSR XQ SR· PL WUDQTXLOOL]]DL LQWDQWR O·DYYRFDWR GDYD VIRJgio di tutta la sua ars oratoria nel convincere il collega ad accettare la sua
proposta di transazione, ma l’altro era un osso duro e non mollava. Le provava tutte e quando dopo altre proposte si persuase che la partita era persa,
FDPELzDWWHJJLDPHQWRVLIHFHVFRVWDQWHHWDJOLHQWHDYHYDSHUVRLQXQLVWDQWH
tutta la sua cordialità, tanto che liquidò la conversazione immediatamente
FRQXQVDOXWRSLIUHGGRGLTXDQWRODIRUPDOLWjDYHVVHULFKLHVWR/DFRVDQRQ
mi piacque.
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CAPITOLO DUE
“Scusami ma domani avrò un’udienza importante e quello era l’avvocato
GHOODFRQWURSDUWH'RYHHUDYDPRULPDVWL"µ
0LIHFHGLYHUVHGRPDQGHHTXDQGRULWHQQHFKHSRWHVVHEDVWDUHPLGLVVH
´$OORUD6WHIDQLDFRVDYRJOLDPRIDUH"µ
“Veramente avvocato vorrei sapere qualche cosa dei miei compiti e cosa
OHLVLDVSHWWDGDPHµ
6HJXu XQ VLOHQ]LR FKH PL VHPEUz LQÀQLWR H SRL LO SDGUH GL $QDVWDVLD
sorrise.
“Era questo che volevo sentirmi dire, non mi va di assumere una che
punta solo a trovare un lavoro e basta. Tipo tutto va bene. E poi non mi hai
QHDQFKHFKLHVWRGLFRQWUDWWLVROGLHDOWUHFRVDGHOJHQHUHµ
«Rispose in maniera esauriente alla mia domanda e dopo un’altra, pausa
di nuovo mi disse»:
´$OORUD6WHIDQLDFRVDYRJOLDPRIDUH"µ
´3HUPHYDEHQHµGLVVHFRQLOVXRPLJOLRUVRUULVR
“La prossima settimana puoi iniziare, Anastasia ti porterà in amminiVWUD]LRQHSHUO·DVVXQ]LRQH&LDR6WHIDQLDDSUHVWRµ
La mia amica, appena sentì aprire la porta, mi venne incontro con aria
interrogativa, stava per aprire bocca ma io la prevenni dicendole che ero staWDDVVXQWD'RSRXQIRUWHDEEUDFFLREHYHPPRTXHOPDJQLÀFRFDIIqFKHSHU
me aveva tutti i sapori del mondo».
©&HO·DYHYLIDWWDXQ·DOWUDYROWD(VFRPPHWWRFKHWLSUHFLSLWDVWLGD*HPPDª
©+DLUDJLRQHHIXXQDOWURPRPHQWRIHOLFH)UDSRFRDUULYRDQFKHDGDUH
una risposta alla tua domanda».
«La giornata è lunga, abbiamo tutto il tempo che vogliamo e poi mi piace
sentirti raccontare. È un po’ che non ti sento lamentare per le contrazioni».
©,QHIIHWWLVRQRVFRPSDUVHHTXHVWRXQSR·PLSUHRFFXSDRUPDLVLDPR
ben oltre il termine. Spero che il medico questa sera mi dirà qualche cosa
di più».
«E così cominciasti a lavorare».
«Sì, ero capitata in un ambiente molto stimolante, mi trovai subito bene
con gli avvocati dello studio ed anche con gli impiegati. Cominciai proprio
GDOODJDYHWWDGDOOHFRVHSLVHPSOLFLWXWWRHUDXWLOHSHUIDUHHVSHULHQ]D$QGDYRTXDVLTXRWLGLDQDPHQWHLQJLURSHULYDULXIÀFLVSHFLDOPHQWHLQTXHOOLGHO
WULEXQDOHQRQDPDYRPROWRTXHOO·DVSHWWRGHOPLRODYRURPDORIDFHYRYROHQtieri. Divenne più interessante quando cominciai a collaborare con un avvocato anziano, mi occupavo di: memorie, ricorsi, citazioni e quant’altro. Iniziai
DIUHTXHQWDUHDQFKHOHDXOHGHOWULEXQDOHSHUDVVLVWHUHDXGLHQ]HHSURFHVVL
3LDQRSLDQRPLIHFLXQ·LGHDPROWRSUHFLVDGLTXHOORFKHVDUHEEHVWDWRLO
PLRODYRURVHDYHVVLGHFLVRGLLQWUDSUHQGHUHODFDUULHUDIRUHQVH&·HUDTXDOcosa che non mi piaceva, sentivo sempre più che quel mestiere non poteva
GLYHQWDUHODPLDRFFXSD]LRQHGHÀQLWLYDª
©6LJQRUHEHOOHPLVXULDPRODIHEEUHª
«Bip bip. Ottimo».
©%LSELS3HUIHWWDDQFKHOHLª
«Scusi, quando passano i medici per le visite?».
«Fra circa un’ora».
«Grazie».
/·LQIHUPLHUDXVFuGDOODVWDQ]DH6WHIDQLDULSUHVHDUDFFRQWDUH
©3HUIDUHO·DYYRFDWRELVRJQDYDPHWWHUHGDSDUWHLOODWRXPDQRHVIRGHrare una buona parte di cinismo. Ogni mezzo era valido per scovare cavilli
atti a sovvertire cose che la logica e il buon senso mai avrebbe accettato.
7XWWRVXOÀORGHOODOHJJH&KLHUDSLEUDYRIDFHYDHPHUJHUHODVXDYHULWj
Gli imputati, i testi e tutti quelli che passavano per il banco dei testimoni
alle volte erano messi alla berlina duramente, e con poco rispetto della
loro dignità.
&DSLL DOORUD SHUFKp QRQ PL HUD SLDFLXWD TXHOOD WHOHIRQDWD GHOO·DYYRFDWR
durante il colloquio di assunzione.
/·DWWHJJLDPHQWRWHQXWRLQL]LDOPHQWHHUDVWDWRWXWWDXQDIDUVDSHURWWHQHUH
il proprio tornaconto.
Io non sarei mai diventata un bravo avvocato, lo sdoppiamento della personalità non è una delle mie prerogative».
6WHIDQLDEHYYHXQVRUVRGLDFTXDHSRLULSUHVHLOUDFFRQWR
«Un sabato pomeriggio assieme a Gemma andammo in centro per acquiVWLXQ·DWWLYLWjFKHQRLGRQQHIDFFLDPRFRQPROWDIDWLFDHULWURVLDª
©$KËSURSULRYHURVHQRQFLIRVVHPLRPDULWRFKHLQVLVWHDSRUWDUmi per negozi, non ci andrei neanche morta. La verità è che devo torturarlo perché venga con me, e poi a dirla tutta piuttosto che girare con
XQPXVRQHFKHVEXIIDHVLODPHQWDSUHIHULVFRDQGDUHGDVRODªVHQWHQ]Lz
Elisabetta.
©'RSRDYHUÀQLWRLOJLURDQGDPPRDEHUHXQFDIIqLQXQDSDVWLFFHULDGL
piazza San Giacomo.
“Forza dimmi qual’è il problema, è un po’ di giorni che non sei del solito
XPRUHµHVRUGu*HPPD
´*XDUGDFKHWLVEDJOLYDWXWWREHQHµ
´$FKLFUHGLGLUDFFRQWDUOD"µ
22
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SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
CAPITOLO DUE
1RQYROHYRIDUODVWDUHPDOHPDDTXHOSXQWROHHVSRVLLPLHLGXEELHOH
PLHSUHRFFXSD]LRQLSHULOODYRURFKHVWDYRVYROJHQGRHFKHDYUHLGRYXWRIDUH
per il resto della mia carriera lavorativa.
´7L ULFRUGL FRVD WL GLVVL TXDQGR GRYHYL VFHJOLHUH OD VFXROD VXSHULRUH"µ
riprese Gemma.
´&HUWRFKHPLULFRUGRµ
“Quella regola vale sempre, se senti di non amare quell’occupazione,
PROODODµ
´(GRSRFRVDIDFFLR"µ
“Intanto guardati in giro e continua ad andare allo studio, poi vedrai che
qualche cosa succederà».
Passò un po’ di tempo, non molto. Ero come al solito in tribunale, dovevo
consegnare un plico a un giudice che si trovava in udienza. Passeggiavo su e
JLSHULOFRUULGRLRTXDQGRYLGLQHOODEDFKHFDDIÀVVRLOPDQLIHVWRGLEDQGR
per un concorso a commissario di pubblica sicurezza. Lessi distrattamente
SHULQJDQQDUHLOWHPSRPDTXDQGRIXLDOODÀQHPLEDOHQzLQWHVWDXQ·LGHD
(VHIDFHVVLGRPDQGD"
´$YYRFDWRLOJLXGLFHO·DVSHWWDµHUDO·XVFLHUHFKHPLFKLDPDYD
+DLYLVWRFKHÀQDOPHQWHVRQRDUULYDWDDULVSRQGHUHDOODWXDGRPDQGDª
«Era sempre ora, non ne potevo più delle tue storie. Dai che scherzo! E
adesso continua».
©4XDQGRXVFLLGDOWULEXQDOHDYHYROHLGHHDOTXDQWRFRQIXVHPDTXHO
tarlo si era insinuato nella mia testa e continuava a lavorare. Prima di rinFDVDUHDÀQHJLRUQDWDSDVVDLLQ4XHVWXUDHPLIHFLGDUHLOEDQGRGHOFRQcorso, loro ci aggiunsero pure i moduli della domanda di ammissione alle
selezioni.
$SSHQDDFDVDPLEXWWDLVXOOHWWRPLVLFRPHVRWWRIRQGRXQGLVFRMD]]GL
/RXLV$UPVWURQJHG(OOD)LW]JHUDOG,OMD]]PLULODVVDHPLDLXWDQHOODFRQFHQWUD]LRQH/HVVLWXWWRG·XQÀDWR$FFLGHQWLSHQVDLPLFDO]DDPHUDYLJOLDLO
mio curriculumqSHUIHWWRSHUTXHVWRODYRURª
«Prendesti subito lì la decisione?».
«No, anche se in cuor mio sentivo che quel concorso poteva essere la soluzione che io cercavo. Quella sera non dissi niente a Gemma, avevo pensato
che la cosa più sensata sarebbe stata quella di parlarne prima con Giovanni».
«Chi era Giovanni, il tuo moroso?».
«No, era un ispettore di polizia, lo avevo conosciuto nei corridoi del triEXQDOHXQDFDUDSHUVRQD$YHYDPRIDWWRDPLFL]LDXQ·DPLFL]LDYHUDª
«Solo amicizia? Questa cosa non mi convince».
«Che cosa dici! Era molto più grande di me, non gli mancava molto per
DQGDUHLQSHQVLRQH*OLWHOHIRQDLHPLÀVVzXQDSSXQWDPHQWRSHULOJLRUQR
GRSRDSSHQDÀQLWRLOODYRURLQXQEDUYLFLQRDOFRPPLVVDULDWRGRYHSUHVWDYD
servizio.
´&LDR6WHIDQLDPLIDPROWRSLDFHUHYHGHUWLµGLVVH*LRYDQQLFRQXQODUJR
sorriso.
“Anche a me, scusa se ti ho disturbato, ma ti volevo parlare di una cosa
FKHPLVWDPROWRDFXRUHµ
´1HVVXQGLVWXUER&KHFRVDSUHQGL"µ
´8QFDIIqJUD]LHµ
´'XHFDIIqXQRPDFFKLDWRFDOGRµ
“Sto per prendere una decisione importante, ma prima vorrei un tuo
SDUHUHµ
´'LPPLVHSRVVREHQYROHQWLHULµ
´$YUHLSHQVDWRGLIDUHGRPDQGDSHULOFRQFRUVRGLFRPPLVVDULRPLSLDFHUHEEHVDSHUHFRVDQHSHQVLµ
&LIXXQDWWLPRGLVLOHQ]LR*LRYDQQLFRPHLOVXRVROLWRQRQHUDDELWXDWR
a parlare d’impulso, ma a pesare sempre le parole.
´3ULPDGLULVSRQGHUWLYRUUHLIDUWLXQDGRPDQGD3HUFKpYXRLODVFLDUHOD
FDUULHUDIRUHQVH"µ
*OL VSLHJDL WXWWR VRIIHUPDQGRPL VXOO·DVSHWWR SHU PH SL LPSRUWDQWH
cioè il risvolto umano.
Dopo un altro silenzio Giovanni riprese:
´,OODYRURLQSROL]LDKDXQDGRVHGLULVFKLRQRQWUDVFXUDELOHWLIDWURYDUH
GLIURQWHDVLWXD]LRQLDOOHYROWHGLXQDWDOHFUXGH]]DFKHQRQqIDFLOHDFFHWWDre, non sai dove ti manderanno, e la paga, rispetto a quella di un avvocato, è
solo una manciata di spiccioli.
C’è anche molto di positivo in questo lavoro, per esempio i rapporti con la
gente che incontri per la strada ogni giorno mentre sei in servizio. Lì si trova
ODJUDWLÀFD]LRQHFKHOHJHUDUFKLHQRQWLGDUDQQRPDL8QFDSRSRLSRWUjFUHDUHDWWRUQRDVpXQJUXSSRGLSHUVRQHSHUFRQGLYLGHUHOHIDWLFKHOHGLIÀFROWj
PDDQFKHLOVHQVRGLDYHUIDWWREHQHLOSURSULRGRYHUHQHOODULFHUFDGHOODYHrità. Non c’è demagogia in quello che ti dico, ma è il pensiero di un vecchio
poliziotto che ha imparato a scindere le cose vere da quelle non importanti.
Non ti dirò se andare o no, sei tu che devi prendere questa decisione. Questo
qXQPHVWLHUHFKHVLGHYHDPDUHDOWULPHQWLqXQLQIHUQR3HQVDFLEHQHSULPD
GLGHFLGHUHµ
´*UD]LHqTXHOORFKHPLDVSHWWDYRGLVHQWLUHGDWHµ
24
25
SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
“Quando sarai commissario, se il caso lo vorrà, per me sarà un onore e
XQSLDFHUHODYRUDUHDLWXRLRUGLQLµ
(IXXQEXRQSURIHWDLVXRLXOWLPLGXHDQQLSULPDGLDQGDUHLQSHQVLRQHOL
passammo assieme. Si dimostrò un grande maestro e molto di quello che ho
LPSDUDWRORGHYRSURSULRDOXL&LVDOXWDPPROXLPLVWULQVHIRUWHODPDQRH
mi dette un bacio sulla guancia. Io non ho mai saputo cosa voglia dire avere
un padre, ma se avessi potuto decidere, avrei scelto sicuramente uno come
Giovanni».
«E Gemma come prese la notizia?».
«Mi dispiaceva darle un dolore, sarei dovuta andare via da Udine, ma
quando gliene parlai, lei reagì com’era nel suo stile.
0LGLVVHFKHODJLRLDSHUXQÀJOLRFKHLQWUDSUHQGHODVXDVWUDGDqVHPSUH
più grande del dolore per la sua lontananza. È una grande».
«Quindi partisti per la scuola di polizia».
«Sì, mi piacque subito, anche se era molto impegnativa, un mondo nuovo,
PROWRGLYHUVRGDTXHOORLQFXLDYHYRYLVVXWRÀQRDOORUDELVRJQDYDHQWUDUH
nel clima e nella mentalità di quel mestiere. Superai gli esami e mi ritrovai
destinata in un distretto a Rovigo, come vice commissario. Fu un periodo inWHQVRPROWRSURÀFXRSURIHVVLRQDOPHQWHWURYDLXQFRPPLVVDULRSURQWRDOOD
pensione che m’insegnò a mettere in pratica quello che avevo imparato alla
VFXRODGLSROL]LD'RSRGXHDQQLODPLDGRPDQGDGLWUDVIHULPHQWRIXDFFROWD
HPLULWURYDLÀQDOPHQWHD8GLQHª
La caposala entrò nella stanza.
©6WHIDQLDYLHQLFKHDQGLDPRDIDUHXQ·HFRJUDÀDHSRLWLYHGUjLOPHGLFRª
«Eccomi».
'RSRODYLVLWDLOJLQHFRORJRODIHFHVHGHUH
«Signora non possiamo più aspettare, le analisi sono chiare, d’altronde
siamo già ben oltre la trentottesima settimana, dobbiamo intervenire.
'RPDQLIDUHPRLOSDUWRFHVDUHRHOHLÀQDOPHQWHSRWUjYHGHUHODVXDEDPbina, la caposala le darà tutte le istruzioni. A domani».
Dopo aver ascoltato con attenzione la caposala, si avviò lentamente
verso la camera. Non conosceva l’esperienza del parto naturale e un po’ di
timore l’aveva avuto, non per il dolore quanto per l’incertezza che questo
FRPSRUWD1RQHUDSUHRFFXSDWDÀQDOPHQWHHUDDUULYDWRLOPRPHQWRQRQ
DYHYDSDXUDGHOODVDODRSHUDWRULDDYHYDJLjIDWWRTXHOO·HVSHULHQ]DTXDQGR
HUDVWDWDIHULWDLQXQFRQÁLWWRDIXRFR(UDVHUHQDTXDVLVROOHYDWDFRQLO
cesareo la bambina non avrebbe subito nessun trauma e questo la tranquillizzava.
26
CAPITOLO DUE
$SSHQDDUULYDWDLQFDPHUDODUDJJLXQVH0DUFR$YHYDLOÀDWRQHSHUDYHU
IDWWROHVFDOHGLFRUVDWDQWDHUDODVXDYRJOLDGLYHGHUHODPRJOLHHO·DQVLDGL
avere notizie del parto.
©'RPDQLYHGUHPRODQRVWUDEDPELQDªJOLGLVVH6WHIDQLDWXWWRG·XQÀDWR
8VFLURQRGDOODVWDQ]DHOHLJOLUDFFRQWzSHUEHQHWXWWHOHQRYLWj7HOHIRQDURQRD*HPPDVWDYDPHJOLRPDDQFRUDQRQSRWHYDXVFLUHIXVSHFLDOHFRPH
sempre.
«Stai serena, io pregherò per te» così la salutò.
0DUFRVHQHDQGzRUD6WHIDQLDGRYHYDULSRVDUHGRPDQLVDUHEEHURVWDWR
il grande giorno.
Andò a coricarsi tranquilla, s’impose di dormire e ci riuscì. Dormì tutta
la notte e il mattino quando si svegliò la prima persona che vide, era Marco.
Si trovava in ospedale già da qualche tempo, lui non era riuscito a dorPLUHG·DOWURQGHQRQHUDXQJULQWRVRSROL]LRWWRPDXQÀORVRIRHFRVDDOWUR
SRWHYDIDUHVHQRQÀORVRIHJJLDUH
6LGLHGHURXQJUDQGHEDFLRH6WHIDQLDVDOuVXOOHWWLQR8QXOWLPRVRUULVR
e un cenno con la mano poi Marco la vide scomparire dietro la porta della
sala operatoria.
«Signora, adesso procederemo a somministrarle l’anestesia, si addormenterà dolcemente, e quando si risveglierà, sarà mamma» le disse il medico.
Stava per diventare mamma, e il suo pensiero corse alla sua, a chi era
stata. Come un nastro magnetico che scorre a velocità sostenuta passò nella
sua mente tutta la storia di sua madre.
Era il mio angelo custode. Poi divenne la mia ossessione, e ora non so
chi sia.
(IXFRPSOHWDPHQWHQHOOHPDQLGHOFKLUXUJR
27
C A P I T O L O TR E
LA L ET T E R A
0DJJLR6WHIDQLDFRPSLYDWUHQWDDQQL
Era arrivato il giorno che attendeva da quando sua nonna Brigit le aveva
dato prima di morire la busta gialla assieme al libro della saggezza. Quante
YROWH VH O·HUD ULJLUDWD IUD OH PDQL TXDQWH YROWH HUD VWDWD WHQWDWD GL DSULUOD
VHQ]DDVSHWWDUHTXHOJLRUQRPDODVFULWWDSHUHQWRULDO·DYHYDVHPSUHIUHQDWD
A Stefania da aprire il giorno del trentesimo compleanno.
Tua madre.
(UD GLYHQWDWD SHU OHL FRPH XQD SURPHVVD IDWWD D XQD SHUVRQD LQ SXQWR
di morte, anche se allora era troppo piccola per assumersi questo impegno.
´6HPHO·DYHVVHFKLHVWROHDYUHLGHWWRGLVuµ
4XHVWRSHQVDYD6WHIDQLDRJQLYROWDFKHHUDDVVDOLWDGDOODWHQWD]LRQHGRSR
di che riponeva la busta in un cassetto della scrivania e lo chiudeva a chiave.
Si era ripromessa di non condividere con nessuno, neanche con Gemma, il
segreto contenuto nella busta. Quella era una cosa sua e basta.
3DVVzXQDQRWWHDJLWDWDIDWWDGLGRUPLYHJOLDDELWDWDGDEUXWWLVRJQLSRL
OHSULPHOXFLGHOO·DOEDVLLQÀODURQRQHOOHIHVVXUHGHOODÀQHVWUDHSHU6WHIDQLD
TXHOORIXLOVHJQDOHFKHLOPDJJLRVLHUDLPSRVVHVVDWRGHOODQRWWH
Si alzò, prese dalla borsetta la chiave che chiudeva il cassetto, lo aprì e
SUHVHLOSOLFR6LVHGHWWHVXOOHWWRFRQODEXVWDIUDOHPDQLHVLULWURYzDJXDUdarla con occhi attoniti. Quel momento che tanto aveva atteso e che per tante
YROWHDYUHEEHYROXWRDQWLFLSDUHÀQDOPHQWHHUDDUULYDWRPDLQDVSHWWDWDPHQWH
ora invece era titubante e impaurita.
&KHFRVDFLVDUjGHQWURODEXVWD"$YHYDIRUPXODWRPLOOHLSRWHVLVXDPDGUH
YROHYDFRQÀGDUOHTXDOFKHVHJUHWRHUDXQWHVWDPHQWRRSSXUHOHYROHYDVYHODUH
chi era suo padre. Questa era l’ipotesi che più sposava, ma perché solo ora che
aveva trent’anni svelarle il nome, quando sarebbe stato logico pensare che nella
29
SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
VXDLQIDQ]LDHSRLQHOODJLRYLQH]]DDYUHEEHDYXWRWDQWRELVRJQRGLXQJHQLWRUH
accanto? Forse lui non aveva voluto riconoscerla, o invece non poteva, oppure
QHDQFKHOHLVDSHYDFKLIRVVHVXRSDGUH2UDFRPXQTXHHUDYHQXWRLOPRPHQWR
GLVYHODUHWXWWRHOHLORDYUHEEHDIIURQWDWRFRQVHUHQLWjDOPHQRFRVuVSHUDYD
Scese dal letto e andò a prendere il tagliacarte sulla scrivania. Glielo avevano regalato, assieme ad altri accessori, i suoi colleghi dello studio legale
TXDQGRVHQHHUDDQGDWD(UDVWDWRXQUHJDORPROWRJUDGLWRSHUFKpVLJQLÀFDYDFKHO·DYHYDQRDSSUH]]DWDHIRUVHOHDYHYDQRDQFKHYROXWRXQSR·GLEHQH
&RQOHPDQLWUHPDQWLLQÀOzLOWDJOLDFDUWHVRWWRLOOHPERGHOODEXVWDJLDOOD
non aveva più quel giallo intenso di uovo sbattuto, ora era un paglierino smunto,
e anche il sigillo non era più rosso ma quasi marrone, e si era tutto screpolato.
,QÀOzLOWDJOLDFDUWHVRWWRLOOHPERGHOODEXVWDHFRQXQJHVWRVHFFRODDSUu
Ne uscì un odore stantio, come di erba seccata.
0LVHODPDQRGHQWURODEXVWDHGHVWUDVVHXQIRJOLRGLFDUWDLQJLDOOLWDGDO
WHPSRHUDXQDOHWWHUDQRQSLHJDWDLQWUHSDUWLFRPHVLIDQRUPDOPHQWHPDLQ
TXDWWUR5RYHVFLzODEXVWDVXOOHWWRHXVFuXQVDFFKHWWRGLVWRIIDFRPHTXHOOR
FKHVXDQRQQDXVDYDSHUPHWWHUHOHIRJOLHHLJHUPRJOLFKHUDFFRJOLHYDQHL
boschi, poi quell’oggetto duro che tanto l’aveva incuriosita quando toccando
ODEXVWDFHUFDYDGLFDSLUHFKHFRVDIRVVH
Era una moneta d’argento da cinquecento lire, quella con le tre caravelle,
era stata coniata nel 1964, un anno prima che lei nascesse. Nella parte supeULRUHODPRQHWDDYHYDXQIRURQHOTXDOHHUDLQÀODWRXQFRUGRQFLQRLQFXRLRGL
FRORUHPDUURQHVFXUROHJDWRDOOHHVWUHPLWjFRQXQQRGR´DIHWWXFFLDµTXHOOR
usato dagli alpinisti. Guardando il lato delle caravelle, nella parte destra c’eUDWXWWDXQDVHULHGLSLFFROLIRUHOOLQLFKHIRUPDYDQRXQGLVHJQRVHPSOLFHXQ
WUDWWRFXUYRFKHDYHYDODIRUPDGLXQDPRGDSHVFDURYHVFLDWR
Appoggiò quella specie di amuleto e prese in mano il sacchetto, era chiuVRFRQXQFRUGRQFLQRIDWWRGLVSDJRORDSUuHTXHOO·RGRUHFKHO·DYHYDFROSLWD
DSSHQDDSHUWDODEXVWDVLIHFHSLIRUWHJXDUGzDOO·LQWHUQRHYLGHFKHF·HUDQR
GHOOHIRJOLROLQHVPLQX]]DWHGHLSLFFROLSH]]HWWLQLFRPHGLFRUWHFFLDHGHOOD
polvere. Guardando bene si accorse che dentro c’era pure un bigliettino di
carta. Lo prese, lo aprì, e lesse:
Stefania, guarda ma non toccare, è pericoloso.
Quella scritta sarebbe stata il primo di diversi altri enigmi.
&KLXVHLOVDFFKHWWRDOVLJQLÀFDWRGHOELJOLHWWRFLDYUHEEHSHQVDWRLQVHguito, ora la sua attenzione era tutta rivolta alla lettera.
30
CAPITOLO TRE
Finalmente avrebbe avuto risposta a tutte le sue domande. Spiegò lentaPHQWHLOIRJOLRGLFDUWDHULFRQREEHVXELWRODFDOOLJUDÀDGL5RVD6XDPDGUH
QRQDYHYDODVFLDWRGRFXPHQWLVFULWWLSULPDGLPRULUHLQHIIHWWLODVXDVFULWtura c’era solo sulle ricette del libro della saggezza6WHIDQLDTXDQGRDQFRUD
VWDYDFRQODQRQQDOHDYHYDOHWWHHULOHWWHXQ·LQÀQLWjGLYROWHHUDXQDVRUWD
GLFRQWDWWRFRQVXDPDGUH'LOHLQRQDYHYDQHDQFKHXQDIRWRJUDÀDHFFHWWR
quella scattata quando era ancora ragazza, la stessa che avevano messo sulla
sua tomba. Lei, l’immagine di sua madre l’aveva ben impressa nella mente,
quella dell’ultima volta che l’aveva vista prima che morisse, era come un
cammeo inattaccabile dal tempo.
Iniziò a leggere con molta curiosità. La lettera era breve ma scritta in maQLHUDHQLJPDWLFD4XDQGRWHUPLQzVLDFFRUVHFKHLQHIIHWWLQRQHUDULXVFLWD
a capire niente di quello che sua madre le voleva comunicare; rilesse una
seconda volta, ma non cambiò di molto. Forse l’emozione non le permetteva
di essere obiettiva come il solito, o mancava della necessaria concentrazione, oppure la delusione per non aver trovato quello che si aspettava l’aveva
sconcertata.
5LSUHVHDOHJJHUHSHUODWHU]DYROWDORIHFHOHQWDPHQWHHFRQPROWDDWtenzione.
Cara Stefania,
stai leggendo questa lettera ora che hai la mia età e forse mi
potrai meglio capire con il cuore di una donna che ama, come
spero tu ami adesso.
Ti ho voluto un mondo di bene, ma l’amore, un amore diverso
è stato più forte di me, più forte di tutto.
Non si vive con il cuore a metà.
Non sono a chiedere perdono né comprensione, sarebbe troppo
GLIÀFLOHGDFDSLUH6SHURFKHWXVLDVWDWDWDQWRIRUWHQHOO·DIIURQWDUH
la vita da sola, ma io non ti potevo essere accanto.
Le persone cambiano e i luoghi si trasformano.
/·DPRUHKDVSD]]DWRYLDWXWWRLWUDGLWRULHLOFDUQHÀFH
Mi auguro che tu sia più fortunata e felice di quanto non lo
sia stata io.
Ti lascio due cose, il mezzo e il motivo, due sogni non avverati:
TXHOOLGL$JDWKHHTXHOOLGL5RVD
7XDPDGUH
31
SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
CAPITOLO TRE
©8QJULGRLQFRQWUROODWRVIXJJuD6WHIDQLDFKHORVRIIRFzLPPHGLDWDPHQte, per non svegliare Gemma.
/RVPRU]zLQXQJUXJQLWROXQJRHVRIIHUWR(PHWWHYDGHLVXRQLFKHQRQ
DYHYDQRQLHQWHGLXPDQRVHPEUDYDQRTXHOOLGLXQDQLPDOHIHULWRDPRUWH
pieni di dolore e di disperazione.
Poi smise e cominciò a inveire.
©&KHGLULWWRDYHYLGLIDUPLTXHVWR"&RVDWLKRIDWWR"3URSULRRUDFKHLO
passato era lontano, arrivi tu a mettere tutto in discussione!» lo diceva a basVDYRFHPDFRQXQDVRIIHUHQ]DHXQ·DQJRVFLDLQFRQWUROODWH
«Vattene via, non voglio sapere niente. Basta. Basta. Basta. Basta.
%DVWDǻ
Con un gesto violento della mano scaraventò giù dal letto la busta e il suo
FRQWHQXWRSRLVLJLUzHVSURIRQGzODIDFFLDVXOFXVFLQR
Cominciò a piangere in maniera sommessa, non piangeva come piange
una donna ma come una bambina, come quando le avevano detto che sua
PDGUHHUDPRUWD4XHOSLDQWRLQFRQWUROODWRO·DYHYDIDWWDUHJUHGLUHGLFROSRD
ventisei anni prima.
Era la stessa disperazione.
Pianse a lungo, ma non si rese conto per quanto tempo, poi il pianto si
DIÀHYROuODVFLDQGRODVHQ]DIRU]HHLQFRPLQFLzSLDQRSLDQRGLQXRYRDULPpossessarsi della sua parte razionale.
Si alzò e andò davanti allo specchio, si guardò, gli occhi erano tutti arrossati e il viso portava inequivocabili i segni del suo pianto, guardò l’orologio,
era ancora presto, Gemma non si sarebbe accorta di nulla. Non era abituata a
WUXFFDUVLSHUDQGDUHDODYRUDUHHVHORDYHVVHIDWWRSHUPDVFKHUDUHLVHJQLGHO
SLDQWR*HPPDGLVLFXURDYUHEEHIDWWRGHOOHGRPDQGH6LSUHRFFXSDYDSHUFKp
6WHIDQLDQRQDYHYDQHVVXQUDJD]]RHYHGHQGRODDQGDUHDODYRUDUHWUXFFDWDVL
sarebbe sicuramente insospettita.
6LVWHVHVXOOHWWRDSDQFLDLQVXFRQJOLRFFKLÀVVLVXOVRIÀWWRELDQFRGLVWROVHORVJXDUGRGDOOHWHQGLQHFKHOHULFRUGDYDQRODVXDLQIDQ]LDHFRPLQFLz
DSHQVDUHDFRVDDYUHEEHIDWWR
´1RQIDUzQXOODQRQP·LQWHUHVVDQRQYRJOLRVDSHUHQXOODQRQPLVHQWR
di correre questo rischio, non ci sto a essere trascinata in quest’avventura che
QRQVRGRYHPLSRWUjSRUWDUH«µ
/DVWDQFKH]]DODDVVDOuVLDVVRSuHIHFHGHLVRJQLEUXWWLHVSDYHQWRVL
/DVYHJOLz´(YHU\ERG\ORYHVP\EDE\µGL/RXLV$UPVWURQJTXHOODPXsica quando si alzava le dava allegria, ma non quella mattina. La testa le
doleva, l’umore era pessimo e il morale a terra. Peggio di così!
5DFFROVHOHFRVHJHWWDWHDWHUUDOHLQÀOzQHOODEXVWDJLDOODHODULSRVHQHO
FDVVHWWRPDSRLFLULSHQVzULSUHVHODEXVWDVÀOzODOHWWHUDHVHODPLVHQHOOD
borsetta, dopo di che richiuse il cassetto a chiave.
&RQWURYRJOLDVLSUHSDUzSHUDQGDUHDOODYRURSHQVzGLIDUHXQDYHORFHFRlazione, e di andarsene di soppiatto, non aveva voglia di vedere nessuno. Ma
HUDLOJLRUQRGHOVXRFRPSOHDQQRH*HPPDHUDOuSURQWDSHUIDUOHJOLDXJXUL
FRQLOVXRVROLWRHQWXVLDVPR'RYHWWHIDUHXQJUDQGHVIRU]RSHUGLPRVWUDUH
FRQWHQWH]]DLOTXHOJLRUQRFKHGDVHPSUHHUDVWDWRIHVWHJJLDWRQHOPLJOLRUH
dei modi.
Partecipò al minimo sindacale, poi con la scusa dell’urgenza uscì da casa.
La sua testa era ancora in uno stato di poca coerenza, le sembrava di esVHUHDQFRUDLQTXHOODIDVHGHOGRUPLYHJOLDGRSRDYHUIDWWRXQVRJQRTXDQGR
ancora non si ha la sensazione di essere nel mondo reale. Se il sogno è stato
EHOORqSLDFHYROHVRIIHUPDUVLHFURJLRODUVLqGHOL]LRVRVLYRUUHEEHULYLYHUOR
GLQXRYRHFLVLULÀXWDGLVYHJOLDUVLHFRVWDWDUHFKHTXHOODQRQqODUHDOWj6H
invece è stato brutto, aprire gli occhi è come rinascere a nuova vita.
6WHIDQLDQRQHUDGHQWURXQVRJQRHQHDQFKHLQXQLQFXERRUDGRYHYDIDUH
i conti con quel nuovo e assurdo stato di cose che lei non voleva accettare.
Stava vivendo la delusione per quello che non c’era in quella lettera e che
OHL DYUHEEH VSHUDWR GL OHJJHUH H OR VFRQIRUWR SHU TXHOOR FKH LQYHFH DYHYD
trovato. L’insieme di tutti quegli enigmi la destabilizzava, non perché si preoccupasse di dover ricercare la verità ma era la verità stessa che la terrorizzava. Non era disposta ad accettare una realtà che mettesse in pericolo il suo
equilibrio interiore.
Arrivò in commissariato, senza accorgersi di aver percorso la strada, tanto era presa dai suoi pensieri.
©%XRQJLRUQRGRWWRUHVVD/HKRPHVVRLOUHIHUWRGHOODVFLHQWLÀFDVXOODVXD
scrivania».
«Buon giorno Fabio, grazie».
Era Fabio Arzini, il piantone, arrivato da poco, un ragazzo sveglio con
buone potenzialità.
,FROODERUDWRULGLUHWWLGL6WHIDQLDHUDQRLOYLFHFRPPLVVDULR$QJHOR0DUFKHWWLHO·LVSHWWRUH/XLVD*HQQDUL$YHYDIRUPDWRXQDEXRQDVTXDGUDJHQWH
GLQDPLFDFRQYRJOLDGLIDUHVLFDSLYDQRDOYRORSHUTXHVWRHUDEHOORODYRUDUH
assieme e i risultati arrivavano in pratica sempre.
Con Angelo aveva un rapporto di stima personale e di apprezzamento
SURIHVVLRQDOH SHU OH VXH VSLFFDWH GRWL GL DQDOLVL GHL SUREOHPL QRQ SHUGHYD
32
33
SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
CAPITOLO TRE
PDLGLYLVWDLOIXOFURGHOO·LQGDJLQHHQRQVLIDFHYDPDLIXRUYLDUHGDOSHUFRUVR FKH VL HUD SUHÀVVDWR 1RQ HUD XQ RWWXVR FKH V·LQFDSRQLVFH QHOOH VXH
idee, era obiettivo, e lavorava con pazienza e metodo. L’umiltà era un’altra
sua grande dote, se sbagliava, lo diceva, assumendosi la responsabilità e poi
partiva di nuovo e con più entusiasmo di prima.
$YHYD XQD EHOOD IDPLJOLD IRUPDWD GDOOD PRJOLH (OHRQRUD XQD SHUVRQD
PROWRLQJDPEDODYRUDYDFRPHFDVVLHUDLQXQDEDQFDGHOODFLWWj,GXHÀJOL
0DVVLPRGLGLHFLDQQLHG(OLVDEHWWDGLVHWWHFRPSOHWDYDQRODIDPLJOLDFRPH
DOXLSLDFHYDGLUHDVVLHPHDOODFDJQHWWD9LRODHDOJDWWR$QWRQLR6WHIDQLDHUD
stata a cena da loro un paio di volte e in entrambi le occasioni aveva passato
delle ore piacevoli.
Luisa Gennari, l’ispettore, era una bella ragazza dalle sembianze dolci,
che celavano però un tipo irruente e determinato.
Alle volte andava sopra le righe, sembrava che cercasse una continua
ULYDOVDYHUVRLFROOHJKLPDVFKLSHUTXHVWRQRQHUDEHQYROXWDHIDFHYDIDWLFD
DIDUHJUXSSR&RPXQTXHHUDXQEXRQSROL]LRWWR$YHYDXQRWWLPRÀXWRQHOOR
VFRYDUHLSLFFROLLQGL]LFKHTXDOFKHYROWDQHOOHLQGDJLQLIDFHYDODGLIIHUHQ]D
Per il suo carattere spigoloso e poco disposto al compromesso aveva una vita
sentimentale molto movimentata, cambiava ragazzo con la velocità con cui
si cambia un paio di scarpe.
3HU6WHIDQLDHUDFRQVXHWXGLQHLOPDWWLQRLQFRQWUDUHLVXRLFROODERUDWRUL
per il EULHÀQJ4XHOODPDWWLQDIRUVHSHUODSULPDYROWDVLHUDSUHVHQWDWDLQ
FRPPLVVDULDWRVHQ]DDYHUIDWWRPHQWDOPHQWHXQULHSLORJRGHLFDVLLQFRUVR
©%XRQJLRUQR6WHIDQLDª
«Buongiorno Angelo. Luisa dov’è?».
©Ë LQ DUULYR 0D WX VWDL EHQH" +DL OD IDFFLD GL FKL QRQ GRUPH GD XQD
settimana».
©+RDYXWRXQDEUXWWDQRWWHXQDFROLFDQRQPLKDIDWWRGRUPLUHª
©+DWHOHIRQDWRLOWXRJUDQGHDPLFR&ODXGLR/XW]Lª
«Buono quello, ci mancava solo lui, che cosa vuole?».
Claudio Lutzi era il commissario della polizia postale di Udine.
«Passerà in commissariato verso le undici, ha bisogno della nostra collaborazione per un caso molto importante, così almeno dice lui».
©%XRQJLRUQR6WHIDQLDVRQRSDVVDWDLQFDQFHOOHULDGHOWULEXQDOHSHUYHULÀFDUHO·DOLELGL$QWHVL6HPEUDFKHWHQJDªGLVVH/XLVDHQWUDQGRQHOODVWDQ]D
©&LDRYDEqFRPLQFLDPR«ª
$SSHQD ÀQLWD OD YHULÀFD GHL FDVL GL ORUR FRPSHWHQ]D 6WHIDQLD GHWWH OH
disposizioni per la giornata.
©$QJHORIDLODYHULÀFDGHLWDEXODWLWHOHIRQLFLYRJOLRDQFKHWHLQXIÀFLR
TXDQGRDUULYD/XW]L/XLVDWXDVVLHPHD)XOJHQ]LRDQGDWHDIDUHXQSR·GL
GRPDQGHQHOOD]RQDGHOODVWD]LRQHIRUVHTXDOFKHFRVDGLQXRYRYLHQHIXRULª
Fulgenzio Cattini, sovrintendente pugliese, più largo che alto, sempre
DOOHJURXQEXRQWHPSRQHFRQVSLFFDWHGRWLGLEXURFUDWH6WHIDQLDORIDFHYD
XVFLUHDOFXQHYROWHDQFKHVHOXLDPDYDULPDQHUHLPPHUVRQHOOHVFDUWRIÀH
dell’archivio. Aveva un punto debole, il suo nome, Fulgenzio. Era il nome
del nonno di sua nonna, lo odiava e non permetteva a nessuno di chiamarlo
così, per tutti doveva essere solo Cattini. Nella realtà tutti lo chiamavano Fulgenzio, nessuno voleva rinunciare a vederlo incazzato. Era troppo esilarante.
Appena rimasta sola cercò di accantonare il pensiero della lettera di sua
madre. Era impossibile, però voleva assolutamente lasciare passare un po’ di
WHPSRSULPDGLGHFLGHUHVXOGDIDUVL
Poi chissà perché le venne in mente sua nonna con le sue massime “Fuori
LOGHQWHHIXRULLOGRORUHµ
Estrasse la lettera dalla borsa, la aprì, la guardò come si guarda una cosa
FRQFXLQRQVLYRUUHEEHDYHUHQXOODDFKHIDUHPDFRQFXLLQYHFHELVRJQD
misurarsi.
/DDGDJLzOLVFLDQGRODSHUEHQHVXOSLDQRGLXQRVFDQQHUIHFHODVFDQVLRQH
HWUDVIHUuLOÀOHQHOVXRFRPSXWHU
2UD HUD LO FRPPLVVDULR 6WHIDQLD .RFK FKH OHJJHYD TXHOOD OHWWHUD FRQ
l’occhio tecnico di chi è abituato ad analizzare prove in maniera logica senza
ODVFLDUHQXOODDOFDVR/DJUDÀDHUDPROWRUHJRODUHQRQVFULWWDGDXQDSHUVRQD
sottoposta a una particolare emozione. Probabilmente era stata ricopiata da
una minuta perché non compariva nessun errore e nessuna incertezza. C’era
XQVRORSDUWLFRODUHVWUDQRGRSRODIUDVH´ma io non ti potevo essere accantoµO·LQFKLRVWURGLYHQWDYDGLXQFRORUHSLFKLDURFRPHVHVLIRVVHLQWHUURWWD
QHOORVFULYHUHRDYHVVHÀQLWRODSHQQDHQHDYHVVHDGRSHUDWDXQ·DOWUD/·LQYHFchiamento dell’inchiostro evidenziava questo particolare.
,QFRPLQFLz D YLYLVH]LRQDUH OD OHWWHUD HOHQFDQGR OH IUDVL ULJXDUGDQWL JOL
HQLJPLFKHHVVDFRQWHQHYD/LULRUGLQzVXXQIRJOLRGL:RUGHQHFRQWzEHQ
nove.
34
35
1) Ti ho voluto un mondo di bene, ma l’amore, un amore
GLYHUVRqVWDWRSLIRUWHGLPHSLIRUWHGLWXWWR
2) Non si vive con il cuore a metà.
3) Io non ti potevo essere accanto.
/HSHUVRQHFDPELDQRHLOXRJKLVLWUDVIRUPDQR
SE RGIO C ODU T T I / I L C UOR E A M E TÀ
/·DPRUHKDVSD]]DWRYLDWXWWRLWUDGLWRULHLOFDUQHÀFH
6) Ti lascio due cose, il mezzo e il motivo,
7) Due sogni non avverati: quelli di Agathe e quelli di Rosa.
6WHIDQLDJXDUGDPDQRQWRFFDUHqSHULFRORVR
9) La moneta da cinquecento lire d’argento.
CAPITOLO TRE
6WHIDQLDFRPLQFLzDIDUHOHSULPHGHGX]LRQL
“I primi tre punti sono una sorta di scusa per qualche cosa che le impediYDGLIDUHTXHOORFKHIRUVHOHVDUHEEHSLDFLXWRIDUH)RUVH,SXQWLTXDWWUR
HFLQTXHVLULIHULVFRQRDTXDOFKHFRVDFKHqDYYHQXWR,SXQWLVHLVHWWHHRWWR
potrebbero collegarsi al perché, ma di cosa? L’ultimo punto è sicuramente un
VLPERORGLTXDOFKHFRVDRGLTXDOFXQRµ
Quello che non riusciva a cogliere in quella prima analisi era il tratto
psicologico di sua madre. Era abituata a partire sempre da lì nelle sue dedu]LRQLPDTXHVWDYROWDVDUHEEHVWDWRYHUDPHQWHGLIÀFLOH1RQVDSHYDGDGRYH
LQL]LDUHVXDPDGUHSHU6WHIDQLDHUDVRORXQQRPHVXXQDWRPEDQRQVDSHYD
assolutamente nulla di lei.
“È quasi incredibile che io non sappia nulla di mia madre, escluse quelle
poche cose che mia nonna mi raccontò quando ero piccola. Lei non amava
mai parlarne, chissà perché? E io non ho mai sentito l’esigenza di saperne di
SL"(URWURSSRSLFFRODTXDWWURDQQLVRQRSRFKLµ
Sentì bussare alla porta, era il solito modo di bussare di Angelo, ma queVWDYROWDODIHFHVREEDO]DUHVXOODVHGLD
©6FXVD6WHIDQLDqDUULYDWR/XW]L/RIDFFLRSDVVDUH"ª
©)UDFLQTXHPLQXWLFKHÀQLVFRGLIDUHXQDFRVDª
Quella cosa la stava prendendo troppo, aveva chiesto un istante per raccogliere le idee. Non sopportava di essere coinvolta emotivamente nelle inGDJLQLHTXHOODFKHORYROHVVHRQRHUDXQ·LQGDJLQHFKHIUDO·DOWURXQVHVWR
senso le diceva, sarebbe stata la più importante della sua vita.
©(FFRODPLDFROOHJDSUHIHULWDVHPSUHEHOODVHPSUHSLPSDQWHRJQLYROWD
FKHWLYHGRVHLSLDIIDVFLQǻ
«Commissario, ti prego, oggi non è giornata».
©3ULPDRSRLDQFKHWXFHGHUDLDOPLRIDVFLQRHDFFHWWHUDLLOPLRLQYLWRD
cena. Tu Angelo che dici?».
«Buongiorno esimio commissario Claudio Lutzi!».
©0LYROHYLSDUODUH"ªFKLHVH6WHIDQLDLQWRQRGLVWDFFDWRPDSHUHQWRULR
/XW]LDYHYDIDPDGLIDUHLOFDVFDPRUWRFRQWXWWHOHGRQQHFKHJOLFDSLWDvano a tiro, si sentiva un dongiovanni ma nella realtà tutto il gentil sesso lo
schivava. Era un bell’uomo e lui lo sapeva, ma il suo modo di comportarsi
lo rendeva insopportabile sia alle donne che agli uomini. Era subdolo, ambiJXRFHUFDYDLQWXWWLLPRGLGLIDUHFDUULHUDDQFKHDVFDSLWRGHJOLDOWULHQRQVL
IRUPDOL]]DYDDGDFFDSDUUDUVLLPHULWLDOWUXL&RPHLQIRUPDWLFRHUDXQRFRQL
FRQWURÀRFFKLEUDYLVVLPRDVFRYDUHHEORFFDUHJOLDWWDFFKLGHJOLhackers più
VRÀVWLFDWL7DQWRHUDEUDYRFRPHLQIRUPDWLFRTXDQWRHUDVHPSUHIXRULVLQWRnia nel rapportarsi con i suoi colleghi e con le persone in generale. Lontano
GDOFRPSXWHUVXOIURQWHGHOOHLQGDJLQLHUDXQDQXOOLWj
«Sì, avrei bisogno di un vostro supporto per un’indagine che sto svolgendo,
QHKRDFFHQQDWRLQYLDLQIRUPDOHDQFKHDOTXHVWRUHOXLVDUHEEHG·DFFRUGRª
«Di cosa si tratta?».
©)XUWLDLEDQFRPDW6RQRFRPLQFLDWLFLUFDGXHPHVLIDLQPDQLHUDVSRradica, ora invece sono dilagati con un ritmo di una decina di prelievi alla
settimana. Inizialmente avvenivano solo nelle banche della città, adesso invece in tutta la provincia e nelle ultime settimane ci sono state segnalazioni
anche da Trieste e da Gorizia».
«Che tecnica usano?» chiese Angelo.
©4XL VWD O·LQFUHGLELOH 8VDQR GHOOH QRUPDOLVVLPH FDUWH FKH VIUXWWDQR LO
pin dell’ultimo prelievo come un cavallo di Troia, entrano nel sistema della
banca e con una tecnica che ancora non siamo riusciti a scoprire ottengono
l’autorizzazione al prelievo».
«Mi vuoi dire che hanno trovato un modo per avere libero accesso al
VLVWHPDEDQFDULRVHQ]DODVFLDUHWUDFFH"ªRVVHUYz6WHIDQLD
«È proprio così. Sembra che ogni volta utilizzino una carta diversa, mai
della stessa banca, è come se avessero una montagna di carte di tutti gli
istituti bancari».
«Da noi cosa ti aspetti?».
«Siamo in un vicolo cieco, abbiamo bisogno di indagare sul territorio,
dovreste cercare di capire come avvengono questi prelievi, se si tratti di una
banda, come noi siamo quasi sicuri, oppure se è una persona che agisce da
sola».
«Quanto sono riusciti a prelevare?».
«Circa trentacinque milioni di lire».
©9DEHQHIDFFLDYHUHWXWWRLOPDWHULDOHFKHDYHWHYHGUHPRGLYDOXWDUHLO
caso, poi ci risentiremo per concordare una strategia».
«Questa sera sono libero, ti passo a prendere alle otto. Conosco un ristoUDQW«ª
©$EELDPRÀQLWRFRPPLVVDULR/XW]L$UULYHGHUFLª
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,OFRPPLVVDULRVHQHDQGzVDOXWDQGRFRQXQJHVWRGHOODPDQR6WHIDQLD
l’aveva gelato.
©1RQORSRVVRVRSSRUWDUHTXHOYLVFLGRFDIRQHLQVROHQWHª
©1RQVDPDLTXDQGRqLOPRPHQWRGLVPHWWHUHGLIDUHLOGHÀFLHQWH
Questo caso è uno di quelli che potrebbe rivelarsi una cretinata, oppure
essere veramente tosto. Aspettiamo il materiale per capirci qualche cosa».
$QJHORVHQHDQGzH6WHIDQLDV·LPPHUVHQHLVXRLQXRYLSHQVLHUL
Doveva trovare la chiave di lettura degli enigmi, si era convinta che nella
lettera c’è n’erano diversi, sicuramente tutti concatenati in un unico tema.
Pensò che prima era meglio scoprire chi era veramente sua madre, e poi
da lì doveva partire.
C A P I T O L O Q UAT T RO
I L PR I MO I N DI Z IO
Dopo cena aveva l’abitudine di sedersi sul divano assieme a Gemma. Era
un rito sorseggiare l’amaro che comprava in Valcanale da un vecchio montaQDUR/RIDFHYDDQFRUDFRPHVXRQRQQRHVXRQRQQRDQFRUDSULPDGLOXL(UD
il momento più bello della giornata, stavano bene assieme, si scambiavano
OHJLRLHOHHPR]LRQLFRQIURQWDYDQROHGLIÀFROWjGHOODJLRUQDWD3RLSULPDGL
andare a dormire, si gustavano una camomilla bollente, piaceva a entrambe,
ed era un modo per prolungare ancora per un po’ lo stare assieme.
«Non sei del solito umore, mi sembri preoccupata, cos’è che ti turba?».
©1XOODGLSDUWLFRODUHqXQSR·LOPLRFDUDWWHUHLQWURYHUVRFKHIDWLFDD
togliere la corazza e mostrarsi così com’è».
©,Q TXHVWH RFFDVLRQL L PDQXDOL GHOO·DIIHWWR FRQVLJOLDQR GL GLUH VH KDL
bisogno, io ci sono».
«Lo so benissimo e ti ringrazio».
3RLVLIHUPzIHFHXQDSDXVDOXQJDHLQÀQHOHFKLHVHTXHOORFKHWDQWROH
stava a cuore.
«Parlami di mia madre».
Gemma rimase per un istante in silenzio, non si aspettava quella domanda.
©1RQPLDYHYLPDLIDWWRXQDULFKLHVWDVLPLOHHGLRPLHURVHPSUHJXDUdata bene dal parlarne. Come mai ora mi chiedi questo?».
«È un po’ che ci penso, mi manca una parte di me, non sapere nulla dei
miei genitori è come essere mutilata, per questo vorrei conoscere almeno
qualche cosa di lei».
(UDXQDEXJLDOHGLVSLDFHYDQHLFRQIURQWLGL*HPPDPDQRQQHSRWHYD
IDUHPHQR
«Io e tua madre eravamo coetanee: nate entrambe nel 1939, vivevamo
nello stesso cortile, anche se in due case diverse, ma questo non era stato
VXIÀFLHQWHDIDUHGLQRLGXHDPLFKH
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5RVDDYHYDXQFDUDWWHUHPROWRLQWURYHUVRIDFHYDIDWLFDDUDSSRUWDUVLFRQ
ODJHQWH/HLHUDLQSHUIHWWDVLPELRVLVRORFRQOHPRQWDJQHHUDLOVXRDELWDW
QDWXUDOH GRYH VL VHQWLYD OLEHUD H IHOLFH 3DVVDYD SL WHPSR FKH SRWHYD QHL
boschi a contatto con la natura e con gli animali dei quali conosceva tutto:
come mangiavano, dove avevano le tane, quando si accoppiavano, come alOHYDYDQRLSLFFLROLLORURFRGLFLGLFRPSRUWDPHQWR«
1HJOLLQYHUQLGXULTXHOOLFRQWDQWDQHYHVLDPPD]]DYDGLIDWLFDSHUVRFcorrerli portando loro da mangiare sulle montagne che circondavano il paeVH(UDLQIDWLFDELOHTXDQGRFDPPLQDYDLQPRQWDJQDQHVVXQROHVWDYDGLHWUR
per non parlare di come arrampicava sulle rocce, ovviamente da sola. Era
OHLFKHÀQGDSLFFRODDQGDYDDOSDVFRORFRQOHFDSUHOHSRUWDYDVXLSUDWLFKH
delimitavano i boschi, partiva al mattino e rientrava alla sera in tempo per la
PXQJLWXUD&RVuQRLOHDYHYDPRGDWRLOVRSUDQQRPHGL´FDSUDµ
Era impossibile da gestire, nessuno la comandava, non sopportava alcuna
LPSRVL]LRQH%ULJLWHUDYHGRYDGLJXHUUD7XRQRQQR.DUOHUDVWDWRVSHGLWR
LQ5XVVLDFRQJOLDOSLQLGHOOD-XOLDHQRQDYHYDIDWWRSLULWRUQR(VVHQGRVROD
WXWWROHHUDSLGLIÀFLOH5RVDIDFHYDVuVHPSUHGLWHVWDVXDPDQRQPDQFz
mai di rispetto a tua nonna».
«Aveva delle amiche?».
©'DSLFFRODVWDYDVRORFRQLEDPELQLPDVFKLIDFHYDQRJOLVWHVVLJLRFKL
lei voleva vincere sempre e spesso si picchiava con loro avendo di solito la
PHJOLR SRL GRSR LO FROOHJLR FDPELz VL IHFH SL FKLXVD H LQWUDWWHQQH XQ·Dmicizia solo con una ragazzina del paese di due anni più piccola di noi, si
chiamava Silvana. Anzi si chiama Silvana e per quanto ne so vive ancora in
paese in una casa vicino alla chiesa».
«Hai detto che andò in collegio? È la prima volta che sento questa cosa.»
«Decisero di mandarla in quell’istituto un po’ per castigo e un po’ per
tentare un’altra strada educativa. Questo avvenne in seguito ad una punizioQHFKHODPDHVWUDOHDYHYDLQÁLWWRSHUTXDOFKHFRVDFKHDYHYDFRPELQDWRPD
FKHRUDQRQULFRUGRFRVDIRVVH5RVDSHUYHQGHWWDWDJOLzOHJRPPHGHOODPDFchina al medico condotto del comune, che era anche il marito della maestra.
Dopo il collegio si tranquillizzò, e si dedicò ai lavori che più le piacevano:
QHOODEHOODVWDJLRQHDQGDYDDGDFFXGLUHJOLDQLPDOLLQPDOJDIDOFLDYDO·HUEDODYRUDYDFRQLERVFDLROLPHQWUHG·LQYHUQRIDFHYDWXWWLTXHLODYRULFROOHJDWLDOODQHYH
Amava tantissimo imparare da tua nonna i segreti delle maghe. Sarebbe
stata lei un giorno a occupare il posto di sua madre. Tutti parlavano bene di
lei, era bravissima a preparare i medicamenti che servivano ad alleviare le
VRIIHUHQ]HGHOODSRYHUDJHQWHª
©'DTXHOORFKHPLUDFFRQWLQHHVFHXQDÀJXUDDVRFLDOHSRFRUDFFRPDQGDELOHYLROHQ«ª*HPPDLQWHUYHQQH
«Non trarre subito queste conclusioni, tua madre era buona d’animo, se
TXDOFXQRDYHYDELVRJQRGLXQSLDFHUHTXDOVLDVLVLIDFHYDLQTXDWWUR/HKR
voluto sempre bene, anche se questo suo carattere la rendeva alle volte inVRSSRUWDELOHPDHUDXQDVRUWDGLGLIHVDFRQWURTXDOFRVDFKHIRUVHQHDQFKH
OHLHUDLQJUDGRGLVDSHUHFRVDIRVVHª
«E quando rimase incinta cosa avvenne?».
«Lo puoi immaginare lo scandalo in quegli anni».
«E mia nonna?».
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©4XDQGRVLVHSSH"ªLQFDO]z6WHIDQLD
©(LFRPPLVVDULR0LIDLXQWHU]RJUDGR"ª
©+DLUDJLRQHVFXVDPDTXDQGRXQDFRVDP·LQWHUHVVDPROWRODGHIRUPD]LRQHSURIHVVLRQDOHSUHQGHLOVRSUDYYHQWRª
©6FXVDWD5LXVFuDWHQHUHQDVFRVWDODJUDYLGDQ]DÀQRDFKHODJURVVH]]D
GHOODSDQFLDIXLQHTXLYRFDELOHª
«E poi?».
«Lo so cosa ti preme sapere: chi è tuo padre!
Né io, né altri purtroppo ti potranno aiutare. Non volle mai raccontare
niente a nessuno. Neanche le insistenze e le minacce di tua nonna riuscirono
DIDUOHFDPELDUHLGHD3RLQDVFHVWLWXHIXXQGRQRSHUWXWWLSHUPHSRLQRQ
ne parliamo».
Una lacrima solitaria e silenziosa rigò il volto di Gemma.
©1RQFLIXURQRQHDQFKHLSRWHVLRVRVSHWWLDYUjSXUFRQRVFLXWRTXDOFKH
uomo?».
©1R0DLIXYLVWDFRQXQXRPRª
«Valutaste la possibilità della violenza sessuale?».
«Con tua madre, stai scherzando! Nessun uomo sarebbe riuscito in una
tale impresa. Da escludere assolutamente».
«E dopo la mia nascita come si comportava?».
«Ti volle molto bene, ma a modo suo, ben presto riprese il suo lavoro e tu
IRVWLDOOHYDWDLQSUDWLFDGD%ULJLWª
«Come morì?».
©8QPDWWLQRQRQVLVYHJOLzSLWXDQRQQDODWURYzQHOOHWWRRUPDLIUHGGD
6HPEUDYDFKHGRUPLVVHHVWHVVHIDFHQGRXQVRJQRPHUDYLJOLRVRWDQWRLOVXR
viso era sereno, sulla sua bocca c’era anche un accenno di sorriso».
«Il medico a cosa attribuì la causa della sua morte?».
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«Arresto cardiaco».
6LIHFHVLOHQ]LRXQVLOHQ]LRFDULFRGLHPR]LRQHGLGRORUHVLHUDULYLVVXWR
quel dramma che tanto aveva segnato le esistenze delle due donne. La stanza
HUDSLRPEDWDLQXQRVWUDQRVLOHQ]LRIDWWRQRQVRORGHOO·DVVHQ]DGHLUXPRUL
ma anche di qualche cosa d’impalpabile che vi aleggiava. Una delle due o
IRUVHWXWWHGXHVLHUDQRULYROWHD'LR(UDODVWHVVDDWPRVIHUDGHOYHQHUGuVDQWR
quando in chiesa si declama il Passio e il lettore pronuncia quella drammaWLFDIUDVH´(VSLUzµ
7XWWLLIHGHOLV·LQJLQRFFKLDQRHV·LPPHUJRQRQHOOHSUHJKLHUHLQTXHOPRmento in tutta la chiesa si vive qualche cosa di unico e speciale. Quando
riprende la lettura, tutti si alzano rumorosamente, poi il trambusto delle perVRQHLQPRYLPHQWRVLDIÀHYROLVFHHVLVSHJQHGHOWXWWRPDLOVLOHQ]LRQHOOD
chiesa non è più quello di prima.
6WHIDQLDFRPHLOOHWWRUHGHOPassio ruppe il silenzio.
«Grazie!».
/DFDPRPLOODVLHUDUDIIUHGGDWDTXHOODQRWWHDQFKHO·LQIXVRQXOODDYUHEbe potuto contro la loro insonnia. Si scambiarono la buona notte e si ritirarono nelle loro camere.
(UDGRPHQLFDPD6WHIDQLDQRQDSSURÀWWzSHUGRUPLUHXQSR·GLSLGHO
VROLWRVLDO]RSUHVWRIHFHFROD]LRQHDVVLHPHD*HPPDOHLFRPXQTXHVLDO]DYDDOO·DOED7HOHIRQzLQFRPPLVVDULDWRSHUVHQWLUHVHF·HUDTXDOFKHQRYLWj
tutto era a posto, avrebbe potuto starsene tranquilla.
A Gemma invece disse che quel giorno purtroppo doveva andare a lavorare. Prese la macchina ma non si diresse verso il centro, puntò dritta
in direzione di Tarvisio. Doveva assolutamente tornare sui luoghi delle sue
origini, in quei posti, dove si celavano i misteri di sua madre. Arrivò in poco
WHPSRD9DOEUXQDSDUFKHJJLzODPDFFKLQDVXOSLD]]DOHDQWLVWDQWHDOODIXQLYLDIHFHLOELJOLHWWRHVDOuVXOODFDELQDFKHODSRUWzLQFLPDDOPRQWH/XVVDUL
Appena uscita dalla cabina vide il santuario dedicato alla Madonna, luogo
di devozioni per le tre etnie che abitano le vallate vicine: quella latina, quella
tedesca e quella slava. Dal piccolo villaggio abbarbicato sulla cima, si gode
una vista incantevole e proprio lì sotto si trova Camporosso, il paese delle
sue origini.
La stagione era ancora all’inizio, e quella mattina ancora non c’era molta
JHQWH$SSHQDVFHVDGDOODIXQLYLDV·LQÀOzODJLDFFDDYHQWRODWHPSHUDWXUD
HUDGLYHQWDWDSLIUHVFDGLXQDGHFLQDGLJUDGLPDHUDVHFFDHVLVHQWuVXELWR
EHQH /·DULD HUD LQHEULDQWH LO SURIXPR GHOO·HUED EDJQDWD VL PHVFRODYD FRQ
quella della resina dei pini, e il silenzio era rotto solo dal canto di qualche
XFFHOOR9LVWRGDORQWDQRLOERUJRqDIIDVFLQDQWHSURPHWWHDWPRVIHUHG·DOWUL
WHPSLTXLHWHHVLOHQ]LRGRYHLOWHPSRVLqIHUPDWRHWXWWRqLQVLQWRQLDFRQ
la natura che lo circonda. Appena ci si addentra, per chi va a cercare queste
DWPRVIHUH p XQD FRFHQWH GHOXVLRQH *Lj GDOOH SULPH FDVH VL QRWD XQ IRUWH
connotato turistico, con bar ristoranti e bottegucce che vendono souvenir. Al
centro sorge il santuario dedicato alla Madonna.
6XSHUzOHXOWLPHFDVHHV·LQFDPPLQzOXQJRXQVHQWLHURÀQRDFKHQRQ
trovò un posto da dove poteva godere il panorama della vallata. Non era
venuta per questo ma per pensare, e vedere là sotto il suo paese l’avrebbe
sicuramente aiutata.
´0LDPDGUHHUDXQDGRQQDIRUWHLQGLSHQGHQWHLQWURYHUVDSRFRLQFOLQH
D IDUVL FRPDQGDUH YHQGLFDWLYD SHU QLHQWH SURSHQVD DO GLDORJR &RQ TXHVWRSURÀORDYUHEEHSRWXWRIDUHTXDOVLDVLFRVD*HPPDGLFHYDFKHHUDDQFKH
buona, generosa, se avevi bisogno ti aiutava, amava gli animali e per loro si
VDFULÀFDYDROWUHRJQLORJLFD(DOORUDTXDOHUDLOSURÀORGLPLDPDGUH"'HYR
trovare un punto debole in quella lettera, devo riuscire a conoscere qualche
FRVDLQSLGLOHLµ
Prese dalla borsa la lettera e si mise a leggerla, non ne aveva bisogno, la
sapeva a memoria, ma averla sotto gli occhi le sarebbe stata di aiuto.
Ti ho voluto un mondo di bene, ma l’amore, un amore diverso è stato più
forte di me, più forte di tutto.
´$PRUH GLYHUVR FKH FRVD YROHYD GLUH FRVD SRWHYD HVVHUH SL IRUWH SHU
XQDPDGUHGHOO·DPRUHSHUXQDÀJOLD"'LYHUVRSHUFKpPLRSDGUHOHLPSHGLYD
di amarmi? Diverso perché l’amore era per un altro uomo? Oppure, oppure,
RSSXUH«TXHOORGLPLDPDGUHHUDXQDPRUHSHUXQ·DOWUDGRQQD"µ
4XHOSHQVLHURHFKHJJLzQHOODVXDWHVWDFRPHXQDIXFLODWDLPSHGHQGROHGL
pensare, poi dopo un po’ riprese a ragionare lucidamente.
´6HIRVVHVWDWRYHURFRQFKL"'DOUDFFRQWRGL*HPPDPLULFRUGRVRORLO
QRPHGL6LOYDQDODVXDXQLFDDPLFD(VHLQYHFHVLIRVVHLQQDPRUDWDGLXQD
UDJD]]DTXDQGRHUDLQFROOHJLR"µ
Escluse questa ipotesi, era troppo piccola allora. Prese una decisione immediata, sarebbe andata subito a Camporosso a cercare Silvana. Forse lei
l’avrebbe aiutata a trovare il primo punto debole della lettera.
Aveva programmato una giornata semplice sola con se stessa, nello zaino
DYHYDPHVVRLSDQLQLFRQODPRUWDGHOODHGHOODIUXWWD6DUHEEHVFHVDDSLHGL
SHUFRUUHQGRLOVHQWLHUR´'HO3HOOHJLQRµ(UDODYLDSHUFRUVDGDVHFROLGDOOD
gente del luogo per raggiungere il santuario quando ancora non esisteva la
IXQLYLD ,O SHUFRUVR HUD EHOOLVVLPR WXWWR LQ PH]]R DO ERVFR FRQ SHQGHQ]H
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variabili, s’incontravano sempre molte persone lungo la via che salutavano semplicemente con buongiorno o se erano tedeschi con il classico grüss
Gott3HUYHULÀFDUHO·LSRWHVLFKHVLHUDIDWWDQRQF·HUDWHPSRGDSHUGHUHOD
discesa lungo il sentiero sarebbe stata troppo lunga.
Cambiò programma immediatamente.
6DOuVXOODIXQLYLDHGDEXRQSROL]LRWWRVLPLVHDPHPRULDTXDOLGRPDQGH
DYUHEEHSRWXWRULYROJHUHD6LOYDQD'RYHYDVDSHUHPDELVRJQDYDIDUORFRQ
WDWWROHVXHHUDQRVRORGHOOHVXSSRVL]LRQLFKHDQGDYDQRYHULÀFDWHFRQPROWD
attenzione.
Gemma era stata poco precisa su dove abitava Silvana, ma Camporosso
era un paesello piccolo dove tutti si conoscono, sicuramente se quella donna
YLYHYDDQFRUDOuQRQVDUHEEHVWDWRGLIÀFLOHWURYDUOD0HQWUHQHOODVXDPHQWH
VFRUUHYDQRTXHVWLSHQVLHULIHUPzODPDFFKLQDQHOSDUFKHJJLRDQWLVWDQWHDOOD
chiesa. Scese guardandosi intorno, quei luoghi le erano noti, ma un po’ diversi da come se li ricordava.
Le venne in mente quando una domenica lei e la nonna entrarono in chiesa per la messa domenicale, e Pigna, il loro vecchio cane bastardino, le aveva
VHJXLWHHUDHQWUDWRHSRLVLHUDDFFXFFLDWRIUDLSLHGLGLVXDQRQQD'RYHWWH
DQGDUHDULSRUWDUORDFDVDHTXDQGRULWRUQzODPHVVDHUDTXDVLÀQLWD
Vide arrivare verso di lei una signora a piedi che la distolse dai suoi
pensieri.
«Scusi, mi saprebbe indicare la casa dove abita Silvana, è una signora di
circa cinquant’anni?».
«Potrebbe essere quella casa là, quella gialla con il ballatoio in legno,
provi a chiedere!».
«Grazie tante».
S’incamminò verso quella casa ben tenuta, dove gli scuri pitturati di rosVRFRQDOFHQWURLQWDJOLDWRXQFXRULFLQRIDFHYDQRXQSR·FDVDGLEDPERODPD
erano molto carini. Sul ballatoio ben esposte, si trovavano molte vaschette
in coccio marrone con dentro i gerani, erano quelli dell’anno scorso, si ricoQRVFHYDQRVXELWRSHUFKpHUDQRJLjEHQVYLOXSSDWL,QIUDPPH]]DWLDHVVLGHL
ÀRUHOOLQLSLFFROLDOFXQLGLFRORUHD]]XUURHDOWULGLJLDOORLQWHQVR6XRQzLO
campanello. Per la verità era un campanaccio appeso di lato alla porta, ma
IXQ]LRQDYDEHQHSHUFKpDUULYzVXELWRDGDSULUHXQEDPELQRFKHODJXDUGzLQ
IDFFLDVFUXWDQGRODSHUEHQLQRHSRLLQL]LRDVSDUDUHGRPDQGHDUDIÀFD
«Ciao, chi sei? Come ti chiami? Cosa vuoi? Da dove vieni?».
©&LDRPLFKLDPR6WHIDQLDF·q6LOYDQD"ª
©ËODPLDQRQQDªHVSDUuLQFDVDVEDWWHQGROHODSRUWDLQIDFFLD
Subito dopo si riaprì la porta e uscì una signora ben tenuta, aveva un’aria
dolce e un sorriso accattivante.
«Buongiorno e mi scusi per il bambino. Lei cercava me? Io sono Silvana».
Aveva anche una voce dolce con un leggero accento tedesco.
«Io cerco una Silvana, ma non so se quella che cerco è lei.
(UDXQ·DPLFDGLPLDPDPPD,RVRQRODÀJOLDGL5RVDª
6LOYDQDODJXDUGzFRPHSHUVFRUJHUHLQ6WHIDQLDTXDOFRVDGLIDPLJOLDUH
SRLODDEEUDFFLzIRUWHVWULQJHQGRODDOSHWWR
©1RQFLSRVVRFUHGHUHWXVHLODÀJOLDGHOODSRYHUD5RVDWXVHL6WHIDQLD
'DLYLHQLGHQWUR2K'LRTXDQWRVRQRIHOLFHGLYHGHUWLFKHJLRLDLPPHQVDª
«Mi ha parlato di lei mia cugina Gemma».
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WH7LSRVVRRIIULUHXQFDIIqRXQWqYXRLXQDELUUD"ª
©8QFDIIqDQGUjEHQLVVLPRJUD]LHª
«Un attimo che lo preparo e sono da te».
0HQWUH DWWHQGHYD LO FDIIq 6WHIDQLD VL JXDUGz DWWRUQR OD FDVD ULVSHFFKLDYDODIDFFLDWDHVWHUQDWXWWDLQRUGLQHSXOLWDF·HUDDQFKHXQEXRQSURIXPRGLÀRULIUHVFKLFKHSURYHQLYDGDXQPD]]REHQFRPSRVWRLQXQYDVR
di cristallo, messo al centro del tavolo coperto da una tovaglia lavorata
DOO·XQFLQHWWR6XOODFUHGHQ]DIUDWDQWLJLQJLOOLHVRSUDPPRELOLDSSRJJLDWL
VXGHLFHQWULQLFKHDYHYDQRODVWHVVDIDWWXUDGHOODWRYDJOLDF·HUDDQFKHXQD
FRUQLFHFRQXQDIRWRJUDÀDGL6LOYDQDSLJLRYDQHDVVLHPHDXQXRPRDOWR
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©'XHJUD]LHËODWXDIDPLJOLDTXHOODGHOODIRWRVXOODFUHGHQ]D"ª
©6u0LRPDULWR$ULHGROHPLHGXHÀJOLH+HOOHQH,QJULGHTXHOGLDYROHWWRFKHqYHQXWRDGDSULUWLODSRUWDq0LFKHOHLOÀJOLRGL+HOOHQª
«Tu e la mia mamma eravate molto amiche, vero?».
©6uFRPLQFLDPPRDIUHTXHQWDUFLGRSRLOVXRULWRUQRGDOFROOHJLRDYHYDmo una passione in comune: gli animali selvaggi che vivevano in montagna.
Poi nel 1959 conobbi Ariedo, due anni dopo ci sposammo e nel 63 emigrammo in Germania a Stoccarda, dove mio marito era riuscito a trovare un
contratto come muratore. Rimanemmo oltre venti anni in giro per il mondo,
SRLULHQWUDPPRGHÀQLWLYDPHQWHLQ,WDOLDª
'DTXHOOHSRFKHIUDVLHGDXQYHORFHFRQWRGHJOLDQQL6WHIDQLDDFFDQWRnò immediatamente quell’ipotesi che ora le sembrava tanto strampalata, sua
madre, non aveva potuto avere un rapporto amoroso con la sua amica Silva-
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na. Ormai si trovava lì con una persona molto carina e disponibile, valeva
la pena di rimanere ancora un po’ per conoscere qualche altro aspetto del
carattere di sua madre.
«Ti sono venuta a trovare perché mi sono accorta di non sapere niente di
mia madre se non quel poco che mi ricordo dai racconti di mia nonna. Da
quello che mi ha detto Gemma, mia madre aveva sempre condotto una vita
molto solitaria. Tu come la ricordi?».
«Eravamo amiche per modo di dire perché i nostri rapporti giravano
sempre attorno agli animali: come portar loro da mangiare d’inverno, come
organizzare le uscite in montagna per andare a vedere i piccoli appena nati,
OHORWWHFRQLQRVWULQHPLFLJLXUDWLLFDFFLDWRUL«6HVDSHVVLTXDQWHYROWHWXD
PDGUHKDIDWWRORURGHLGLVSHWWLDOOHYROWHYHUDPHQWHSHVDQWLSHUYHQGLFDUH
qualche povero animale ucciso.
Io le parlavo dei miei problemi legati alla nostra età, dei sogni, dei proJHWWLIXWXULHGLWDQWHDOWUHFRVH/HLPLDVFROWDYDFRQDWWHQ]LRQHDLXWDQGRPL
pure diverse volte a risolvere qualche problema che mi angustiava. Rosa mai
neanche una volta mi parlò di se stessa, e quando le chiedevo qualche cosa
del suo privato, si chiudeva a riccio, inventava una scusa e cambiava discorVR4XHVWRVXRPRGRGLIDUHDOO·LQL]LRPLGDYDPROWRIDVWLGLRSRLLPSDUDLD
conoscerla meglio e accettai anche questo».
«Che tu sappia ha mai avuto qualche ragazzo?».
«Che io sappia no. Ovviamente non mi parlò mai di ragazzi, ma ciò non
mi stupiva, lei per certi aspetti era più maschio dei ragazzi. Quando andai in
Germania, ci scrivemmo alcune lettere, quando seppi che era rimasta incinta
le scrissi per dimostrarle che le ero vicina in quella situazione sicuramente
GLIÀFLOHSHUOHLPDGDTXHOPRPHQWRQRQPLULVSRVHSLª
«Avesti modo di vederla altre volte dopo la tua partenza?».
«Tornammo in Italia per l’estate del 1965, andai a trovarla che tu eri nata
GDSRFRIXPPRHQWUDPEHPROWRFRQWHQWHGLYHGHUFLPLULFRUGRFKHPLGLVse di volerti tanto bene e che tu eri la sua vita. Poi cambiò espressione e in
maniera perentoria mi disse che non mi sarei dovuta sognare di chiederle chi
HUDWXRSDGUH4XHVWRqO·XOWLPRULFRUGRFKHKRGLOHLYLYD9HQQLDOVXRIXQHUDOHIXXQRVWUD]LR3HUDQQLQRQULXVFLLDWRJOLHUPLGDJOLRFFKLO·LPPDJLQH
GLWHFKHVHJXLYLLOFDUURIXQHEUHWHQHQGRSHUPDQRWXDQRQQDª
Il silenzio prese possesso della stanza, e poi Silvana riprese.
«Adesso parlami un po’ di te».
6WHIDQLDOHUDFFRQWzGHOODVXDYLWD6LOYDQDDVFROWzWXWWRFRQPROWDDWWHQzione esprimendo tutta la sua gioia per i successi da lei ottenuti.
«Mentre parlavi, mi sono accorta che i tuoi occhi sono identici a quelli di
Rosa, non per il colore, i tuoi sono azzurri mentre quelli di tua madre erano
neri, ma l’espressione è incredibilmente la stessa».
6L VDOXWDURQR FRQ OD SURPHVVD GL ULYHGHUVL H 6WHIDQLD OR DYUHEEH IDWWR
sicuramente con Silvana si era trovata veramente bene. E ora sulla strada
del ritorno verso casa, ripensando alla giornata, concluse che le sue ricerche
GRYHYDQRULSDUWLUHGD]HUR$OSURÀORSVLFRORJLFRGLVXDPDGUHLOUDFFRQWRGL
Silvana non aveva aggiunto niente di nuovo. Bisognava trovare un’altra pista.
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