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L’Orlando da guardia
Mondoanimale - Le oche sono animali proverbialmente territoriali che si occupano
egregiamente di sorveglianza
/ 21.11.2016
di Maria Grazia Buletti, testo e foto
Chi non ricorda l’oca Martina? Quella il cui uovo fu covato dall’etologo e zoologo viennese Konrad
Lorenz? Fu proprio lui il primo essere vivente che Martina vide alla nascita, e per questo lo
riconobbe a tutti gli effetti come sua «mamma oca». Con la sua passione per l’osservazione di anatre
e oche, e grazie anche a Martina, Lorenz formulò la teoria dell’imprinting: se un piccolo riceve le
cure e l’affetto di una madre diversa da quella biologica, riconoscerà quest’ultima come la sua vera
mamma, anche quando questa appartenga a una specie differente dalla sua.
«Ho ricevuto Orlando e Olivia in una scatola, avevano cinque o sei settimane di vita al massimo»,
racconta Manuela Vanetti di Iragna. Orlando e Olivia sono due oche che lei e il suo compagno hanno
deciso di adottare «a scatola chiusa», è proprio il caso di dirlo, perché – ci racconta – l’idea di
allevare due oche è nata in modo assolutamente casuale: «Avevamo le galline, mai avremmo pensato
di tenere due oche delle quali peraltro non sapevamo assolutamente niente». La premessa di
Manuela, mentre la guardiamo giocare con Orlando, è chiara: «Non consiglierei mai a nessuno di
adottare un’oca così, senza essersi dapprima informato per bene su ogni aspetto che riguarda la
convivenza con un’oca e soprattutto sui suoi bisogni».
Ma tant’è, data la nostra grande curiosità e senza smentire il detto popolare secondo cui «ognuno
piglia le proprie oche per cigni», Manuela accetta di raccontarci della sua esperienza con questo
animale da cortile proverbialmente empatico con l’essere umano e molto territoriale. Orlando non ci
perde d’occhio un momento, anzi, talvolta pare ci osservi un po’ perplesso.
La compagna di Orlando, Olivia, è morta da qualche tempo a causa di una malattia che l’ha vinta,
malgrado gli sforzi suoi e del veterinario. Orlando oggi ha due anni: «Come presumo sia per tutte le
oche, anche lui ha una personalità molto definita e spiccata; se Olivia si era rivelata molto dolce,
Orlando era già Orlando e con il tempo e la morte della sua compagna è peggiorato». La nostra
interlocutrice parla della sua oca con malcelato affetto, ma non lesina di raccontare ogni aspetto,
anche quelli più bizzarri del suo Orlando, tornando spesso sul concetto di responsabilità del
proprietario di animali, soprattutto quando si imbarca nell’esperienza di ospitarne di così particolari
come un’oca: «Quando sono arrivati Olivia e Orlando ho subito capito di dovermi documentare su
ogni aspetto della loro vita; non conoscevo nessuno che avesse delle oche come animali da
compagnia. L’ho fatto leggendo libri, consultando internet, parlando con il veterinario…».
Proprio il veterinario le dà un buon aiuto, «soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione, perché
le oche non mangiano come le galline, anzi!, o almeno Orlando non mangia di tutto, anche se gli
piace da morire l’uva». Aneddoti a parte, Manuela comprende ben presto la necessità di Orlando di
avere a disposizione acqua per il bagno: «Passa ore e ore nella conchiglia che fa da vasca d’acqua,
starnazzando». E gli schiamazzi sono da tenere in conto. «Dove sono femmine e oche, non vi sono
parole poche», dice il saggio, e sotto questo aspetto Manuela si dice fortunata: «Per fortuna, il mio
vicino di casa ha subito tollerato gli schiamazzi di Olivia e Orlando». Ancora oggi, racconta: «Non è
necessario che qualcuno suoni il campanello: lui fa un’ottima guardia e segnala chi si avvicina alla
casa».
Non erano d’altronde le oche del Campidoglio che ne salvarono le sorti al pari di ottimi cani da
guardia? A un anno dall’adattamento, Manuela ha dovuto far fronte non solo alla malattia di Olivia,
ma siccome le oche sono proverbialmente monogame, era fondato il timore che Orlando si lasciasse
morire di dolore per la perdita della compagna con cui, ci viene detto, viveva in simbiosi, e che ha
amorevolmente curato fino all’ultimo: «Quando Olivia non si alzava più, Orlando andava di fronte a
lei e la chiamava, cercando di farla uscire dalla sua cuccia». La dedizione all’oca sopravvissuta è
stata molto grande: «Sono stata parecchio con lui, per cercare di occupare il suo tempo, ho messo
uno specchio ma era peggio perché non si staccava più da quell’immagine riflessa che forse gli
ricordava Olivia, odiava le galline, i gatti, tutto e tutti».
Anche a questo punto del racconto torniamo sul pensiero iniziale di Manuela, che sconsiglia di
prendere un’oca senza essersi resi conto di tutti questi aspetti, del tempo e delle energie che poi
bisogna assicurare per farle vivere bene: «In questi due anni, talvolta mi sono chiesta cosa fosse
Orlando per me: non è un cane, non mi segue alla stessa stregua, ma mi considera e sta con me
anche in modo inatteso, ad esempio riconosce il rumore dell’automobile al mio rientro dal lavoro e lo
fa starnazzando».
Certo, gli vuole molto bene, ma ribadisce che bisogna essere coscienti del fatto che la vita media di
un’oca è di circa dieci anni, durante i quali bisogna accettarne la natura e occuparsene parecchio:
«Orlando è molto impegnativo, non si difende dalla volpe e necessita dunque di essere chiuso nel suo
recinto ogni sera (altro che vacanze: non è facile delegare a qualcuno la sua cura, visto che pochi
sanno come occuparsi di un’oca), e visto il suo carattere non è facile lasciarlo in custodia a
chicchessia, tenendo conto anche del suo bisogno di uscire e passeggiare in mia compagnia ogni
giorno».
Manuela non ne consiglia l’adozione, ma adora questo suo volatile appartenente alla famiglia delle
Anatidi, le cui piume sono anche proverbialmente utili all’essere umano. E con il suo racconto ci
permette di sfatare la credenza secondo cui l’oca sarebbe l’animale simbolo della stupidità, fatta
salva, forse, un’eccezione: le sciocchezze che alcuni uomini hanno scritto con le sue penne…