Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital Spunti per

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Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital Spunti per
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Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital
Spunti per le proposte di modifica relative all’implementazione della direttiva AIFM e
all’applicazione del regolamento EuVECA
Premessa
Dall’ulteriore esame delle disposizioni attuative della direttiva AIFM e del regolamento EuVECA
e soprattutto dalle fattispecie applicative affrontate negli ultimi mesi, emerge l’esigenza di
intervenire, a valle del processo di implementazione nazionale, per apportare alcune modifiche
all’impostazione adottata e ai profili che introducono fattori di svantaggio competitivo per gli
operatori del nostro Paese.
Il private equity, il venture capital e il private debt costituiscono oggi una delle “chiavi di
volta” che l’Europa, nella consultazione avviata sulla Capital Market Union (CMU) all’interno
del piano Junker, chiama ad intervenire per svincolare, nel breve termine, l’eccessiva
dipendenza del finanziamento delle piccole e medie imprese dal sistema bancario e per
sviluppare, nel lungo termine, un contesto competitivo in cui si liberino nuovi flussi di capitale.
Nel nostro Paese emerge con forza la stessa esigenza per sostenere la nascita di nuove
imprese, per facilitare i processi di aggregazione e di ricambio generazionale delle imprese
mature e per affiancare le nostre piccole e medie imprese in tutte quelle situazioni nelle quali
l’azienda debba internazionalizzarsi o, più in generale, trasformarsi per rimanere al passo con
le sfide del mercato.
Tuttavia, in Italia questo mercato risulta fortemente sottodimensionato e comunque molto
inferiore a quanto il nostro Paese potrebbe e dovrebbe permettersi. Si pensi che, nella
capacità di raccolta e di attrazione di capitali internazionali, l’Italia ha perso diverse posizioni
negli ultimi anni, rappresentando nel 2014 una percentuale pari all’1,4% rispetto a quanto
raccolto dai Paesi europei a livello internazionale, contro il 3,3% della Spagna, il 4,0% della
Germania e il 16,2% della Francia. Se si guarda al peso di questa attività sul PIL, in Italia,
sempre lo scorso anno, essa ha rappresentato lo 0,002%, contro lo 0,024% della media
europea (cfr. schede allegate).
A conferma di questo gap, anche nell’ultima relazione annuale di Banca d’Italia si legge che, a
fine 2014, le SGR specializzate in fondi chiusi mobiliari erano solo 51, in leggera diminuzione,
rispetto allo scorso anno (52). Inoltre, nel complesso, il patrimonio dei fondi chiusi mobiliari,
tra cui quelli di private equity e private debt, ammontava a 9 miliardi, “pari ad appena l’1 per
cento del totale dei fondi collocati in Italia”. All’interno della relazione si riportano, inoltre, le
statistiche AIFI, che segnalano che nel 2014 “gli investimenti in capitale di rischio effettuati da
società di private equity e venture capital sono rimasti in linea con l’anno precedente (3,5
miliardi); i finanziamenti a imprese start-up, operanti prevalentemente in settori a elevato
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contenuto tecnologico, si sono ridotti; il divario già elevato rispetto agli altri principali paesi si è
ulteriormente accresciuto”.
Del resto, il processo di revisione della direttiva AIFM e del regolamento EuVECA, che sarà
avviato formalmente dal 2017 e su cui è già in corso una riflessione da parte degli organi
comunitari, ha, quale presupposto fondamentale, una maggiore uniformità della disciplina
tra i vari Paesi, in vista del nuovo Mercato Unico dei Capitali. Proprio dalla consultazione sulla
Capital Market Union arriva il monito di una maggiore omogeneizzazione del quadro
normativo. Nei riscontri alla stessa è ribadita la necessità di un efficientamento del quadro
normativo e regolamentare. Il mercato finanziario italiano ha espresso le proprie opinioni
all’interno di un’unica risposta, comunemente condivisa tra le federate FeBAF, a cui AIFI
aderisce, che mette in luce, inoltre, il bisogno di evitare rischi di “over regulation” a livello
nazionale e l’importanza di garantire che le opportunità offerte dal quadro normativo esistente
siano pienamente implementate. Scelte di riforma in ambito finanziario non attentamente
calibrate rispetto alla CMU rischierebbero, nel migliore dei casi, di vanificarne gli effetti e, nel
peggiore, di aggravare la situazione attuale delle imprese e, in particolare, delle PMI che sono,
nelle intenzioni del legislatore europeo, tra le dirette beneficiarie finali dei progetti di riforma.
Anche Esma, nelle sue considerazioni, sottolinea come, nonostante gli sforzi già intrapresi per
creare un maggiore livellamento delle regole del gioco, “additional steps should be taken
towards stronger integration which is genuinely necessary for deepening the single market in
capital, as there are still too many barriers within the Single Market hampering the flow of
capital”.
Tra l’altro, le difformità hanno, nella maggior parte dei casi, un effetto sui costi delle
strutture di gestione. L’associazione degli investitori istituzionali internazionali in fondi di
private equity (ILPA, Institutional Limited Partners Association, www.ilpa.org) che rappresenta,
globalmente, oltre 1000 miliardi di euro investiti nel settore, ha evidenziato come, in generale,
da quanto emerge da alcune indagini condotte di recente a livello internazionale, gli investitori
istituzionali ritengono che l’adattamento alle nuove regole e la necessità di trovare nuovi
equilibri nei costi di compliance, anche a seguito dell’introduzione della AIFMD, a carico delle
strutture di gestione sarà una delle principali sfide dei prossimi anni.
Oltretutto, sempre dal confronto internazionale, pur nella difficoltà di comparare tutte le voci,
emerge come i costi delle strutture italiane siano i più elevati in fase di costituzione e ci sia un
ampio margine di possibilità di contenimento anche a regime (cfr. schede allegate).
Una linea di intervento che si ritiene possa essere utile per raggiungere questi obiettivi e
rafforzare la raccolta di capitali a livello internazionale è cercare di eliminare le difformità
regolamentari con i Paesi che hanno i mercati più sviluppati a livello europeo.
Si ricorda anche la strada percorsa dalla Francia, ove, dopo una fase di razionalizzazione dei
veicoli di investimento seguita all’implementazione della direttiva AIFM, volta ad agevolare
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l’accesso a questi strumenti da parte degli investitori francesi, ma soprattutto internazionali, è
stata avanzata una proposta di legge per introdurre un modello di limited partnership, in grado
di fronteggiare la competizione delle strutture inglesi e lussemburghesi, con una governance
flessibile e un regime fiscale considerato “trasparente” da gran parte delle giurisdizioni estere.
Tale approccio mostra un’attenzione, da parte delle autorità, alle richieste degli investitori e
una efficace capacità di reazione ai nuovi stimoli competitivi che provengono dal mercato.
Di seguito si riportano le proposte AIFI nel dettaglio.
Proposte di modifica
Si chiede:
-
una semplificazione dei requisiti patrimoniali imposti in Italia ai gestori sotto soglia,
considerato che l’impatto di queste strutture di gestione sul rischio sistemico è
trascurabile, nonché un allineamento, per i gestori sopra soglia, a quanto formalmente
previsto nella Direttiva nell’articolazione del patrimonio di vigilanza. In particolare, si
suggerisce un avvicinamento all’impostazione adottata da Paesi come Regno Unito e
Germania che, come dimostrano le schede comparative allegate, si sono mantenuti
perfettamente aderenti al dettato comunitario per i gestori sopra soglia e non hanno
applicato vincoli specifici per i gestori sotto soglia pur avendo mercati di private equity e
venture capital più sviluppati, nel contesto europeo, di quello italiano; per i gestori sotto
soglia, in particolare, si richiede di valutare l’eliminazione del requisito patrimoniale
aggiuntivo per la copertura dei rischi professionali e del coefficiente imposto per la
copertura dei costi operativi;
-
con riferimento agli obblighi di comportamento (obblighi di comunicazione preventiva
e divieto di asset stripping) previsti per i GEFIA di private equity:
(i) maggiore flessibilità per i gestori sotto soglia, per esentarli, coerentemente con
quanto previsto dalla direttiva AIFM, da tali disposizioni;
(ii) per i gestori sopra soglia, una soluzione che assicuri che i GEFIA nazionali abbiano
obblighi e restrizioni corrispondenti a quelli applicabili ai GEFIA UE e ai GEFIA non-UE
per operazioni realizzate sul territorio nazionale (coerentemente con quanto richiesto
dalla Direttiva). In particolare, si rileva che nell’attuale assetto normativo i GEFIA non-UE
non sono soggetti a tali disposizioni (a differenza di quanto voluto dalla Direttiva),
mentre non si comprende come possa essere concretamente garantita, anche
nell’interesse delle imprese italiane oggetto di acquisizione, l’effettivo rispetto degli
obblighi e delle restrizioni in oggetto da parte di GEFIA UE (laddove fondati su
disposizioni dello Stato membro di riferimento di tale GEFIA che si applichino anche ad
acquisizioni di imprese italiane);
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l’esenzione dagli obblighi di comunicazione AIFMD previsti dagli artt. 110 e 111, e
dall’Allegato IV del regolamento 231/2013, per i gestori sotto soglia, considerati i
rilevanti investimenti in sistemi informativi che ne stanno derivando e i limitati vantaggi
informativi aggiuntivi. A supporto di questa richiesta si produce l’esito di un confronto
tra i costi delle differenti strutture operative nei diversi Paesi (cfr. schede allegate);
-
maggiore flessibilità dei requisiti previsti per i delegati allo svolgimento della funzione
di gestione del rischio da gestori sopra soglia. Considerato il panorama attuale a livello
nazionale, caratterizzato dall’assenza di soggetti che rispondono a tali requisiti e dalla
presenza di altri operatori che hanno maturato significativa esperienza e professionalità
nel settore specifico, si suggerisce di adottare una soluzione coerente con il disposto
dell’art. 20, comma c), della Direttiva che consenta l’esternalizzazione delle funzioni di
risk management anche a favore di soggetti non autorizzati, previa approvazione delle
competenti autorità di vigilanza (tale soluzione è stata, ad esempio, adottata dal
legislatore inglese);
-
maggiore flessibilità dei requisiti previsti per i delegati allo svolgimento della funzione
di valutazione dei beni del fondo. Nell’attuale scenario di mercato, il requisito
dell’iscrizione ad albi professionali non è necessariamente conferma dei requisiti di
esperienza e professionalità del delegato e rischia di essere limitativo (anche in caso di
delega a persone giuridiche). Se ne suggerisce l’eliminazione, ferma restando la
necessità per il GEFIA di assicurare il rispetto delle garanzie professionali di cui all’art. 73
del regolamento 231/2013;
-
un abbassamento della soglia minima di investimento richiesta agli investitori non
professionali in FIA riservati, considerato il panorama attuale delle soglie minime di
sottoscrizione nei vari Paesi, riportato nella scheda allegata, quanto meno con
riferimento ai fondi EuVECA, onde assicurarne l’inquadramento nella categoria dei FIA
riservati anche ove ammettano la partecipazione di investitori non professionali con
tagli di sottoscrizione pari o superiori a 100.000 Euro, secondo quanto meglio indicato al
punto successivo1;
-
l’allineamento della normativa nazionale di secondo livello alle condizioni di accesso al
passaporto EuVECA/EuSEF previste dai relativi regolamenti comunitari. I primi mesi di
applicazione hanno dimostrato che attualmente, avendo sostanzialmente i gestori di
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Oltretutto si segnala, come già sottolineato da AIFI in sede di consultazione sullo schema di
regolamento attuativo dell’art. 39 del TUF, quanto sia di difficile applicazione agli investitori in fondi di
private equity la definizione di clienti professionali su richiesta ai sensi dell’Allegato II della MiFID II
(Direttiva 2014/65/UE). Criteri maggiormente aderenti alla realtà del private equity potrebbero essere
l’avere effettuato due o tre operazioni nei cinque anni precedenti in fondi di private equity o in società
non quotate.
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fondi EuVECA il medesimo profilo normativo ed organizzativo, salvo per qualche
distinguo, imposto ai gestori sotto soglia, siamo esposti al rischio che gestori esteri
commercializzino in Italia i propri fondi, qualora ottemperino alle previsioni del
regolamento EuVECA, rispondendo a requisiti più favorevoli, in termini organizzativi e
patrimoniali nonché di accesso alle più diverse categorie di investitori, rispetto a quelli
che si applicherebbero ai gestori italiani. Ciò facilita, tra l’altro, il trasferimento di capitali
italiani verso il finanziamento di operazioni di venture capital e di PMI di altri Paesi UE e
li allontana dal nostro Paese. Il processo di revisione atteso del regolamento EuVECA
(così come anche del regolamento EuSEF) a livello europeo si propone la verifica delle
difformità di adozione tra i vari Paesi. Al minimo, è opportuno chiarire che i fondi
EuVECA sono qualificati ai sensi della normativa nazionale come “fondi riservati” (con
tutto quanto ciò che ne deriva in termini di applicazione delle norme che consentono, ad
esempio, per i FIA in forma societaria la creazione di classi diverse di azioni, il richiamo
degli impegni in più soluzioni e la non applicazione delle norme prudenziali di
contenimento e frazionamento del rischio imposte ai fondi non riservati),
indipendentemente dalla circostanza che il taglio minimo di sottoscrizione degli
investitori non professionali sia inferiore alla soglia indicata nell’art. 14, comma 2, del
D.M. n. 30/2015. Ancora, si necessita di un chiarimento circa il coinvolgimento o meno
della CONSOB nella procedura di registrazione dei gestori EuVECA ed EuSEF. Infatti, il
parere della CONSOB non sembra richiesto per i gestori EuVECA/EuSEF diversi dalle
SICAF in ragione del mancato rinvio al par. 2 della Sezione VI, Capitolo II, Titolo II operato
dal Titolo VII, Capitolo I, Sezione II, par. 1, mentre sembra invece previsto per i gestori
EuVECA/EuSEF che siano SICAF, con una disparità di trattamento in termini di diversa
tempistica della procedura di registrazione che non pare avere un ratio specifica;
-
l’estensione della categoria di investitori non professionali beneficiari dell’esenzione
dall’obbligo di sottoscrizione minima di cui all’art. 14, commi 2 e 4, del D.M. n.
30/2015, al fine di ricomprendere anche soggetti legati al gestore da un rapporto di
consulenza formalizzato ed espressamente collegato alle attività svolte in relazione al
singolo FIA le cui quote o azioni vengono sottoscritte ovvero a componenti di organismi
consultivi istituiti dal gestore in relazione al FIA stesso; e ciò al fine di allineare le
previsioni di cui al citato articolo del D.M. n. 30/2015 alla prassi invalsa nel settore del
private equity e del venture capital che vede l’utilizzo del c.d. carried interest quale
strumento di allineamento degli interessi tra gli investitori ed i soggetti che, a vario
titolo, sono coinvolti nella gestione del FIA;
-
l’integrazione dell’art. 10, comma 3 del D.M. n. 30/2015, in modo da precisare che, per i
FIA chiusi ai quali non si applica la disciplina della commercializzazione, il termine di 24
mesi decorre dall’approvazione dei relativi regolamenti/statuti;
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l’alleggerimento e la semplificazione delle dichiarazioni per la verifica dei requisiti dei
partecipanti al capitale. L’esperienza applicativa degli ultimi mesi ha fatto emergere
concretamente le difficoltà ipotizzate in sede consultiva, in particolare con riferimento
alle SICAF riservate. A tali SICAF partecipano infatti, nella sostanza, due tipologie di soci,
che di regola sono titolari di azioni di categorie diverse: i promotori dello schema di
investimento, le cui azioni assicurano il controllo sull’organo amministrativo della SICAF
indipendentemente dalla misura dei capitali versati o impegnati, e gli investitori, che, a
prescindere dalla misura della partecipazione al capitale sociale, non hanno alcun potere
di partecipare (direttamente o indirettamente) alla determinazione delle politiche
finanziarie e operative della società. I soci-investitori hanno una posizione del tutto
assimilabile a quella degli investitori di un fondo contrattuale, sicché la necessità di
dover comprovare, in caso di partecipazioni qualificate, a differenza di quanto accade
per gli investitori di un fondo, il possesso dei requisiti che si richiedono ai soci di un
gestore ostacola gravemente la circolazione delle relative azioni e rappresenta un forte
disincentivo al ricorso a queste strutture. Il regime in questione appare ancora meno
comprensibile per i soci delle SICAF riservate a gestione esterna (v. anche punto
successivo). Si osserva, inoltre, che non esiste una normativa vincolante a livello
europeo, che imponga il possesso di requisiti puntuali ai soci delle SICAF titolari di
partecipazioni qualificate; quindi anche l’applicazione dei principi ricavati dalle
“Guidelines for the prudential assessment of acquisitions and increases in holdings in the
financial sector required by Directive 2007/44/EC” del CEBS, CEIOPS e CESR (ora EBA,
EIOPA ed ESMA) potrebbe essere modulata diversamente per i soci-promotori e i sociinvestitori delle SICAF;
-
di eliminare o chiarire l’apparente difetto di corrispondenza tra la nozione di FIA
riservati contenuta nel TUF e nel D.M. n. 30/2015 – comprensiva degli investitori
professionali ai sensi del TUF e delle categorie di investitori individuate dal D.M. n.
30/2015 – e alcune disposizioni del regolamento sulla gestione collettiva del risparmio,
il cui campo di applicazione è limitato ai FIA riservati ai soli investitori professionali;
-
di precisare il regime della commercializzazione dei FIA riservati nei seguenti aspetti:
- art. 43, commi da 2 a 7, del TUF: il campo di applicazione di queste disposizioni deve
(a) essere limitato ai gestori sopra soglia e a quelli che hanno esercitato l’opt-in
(come precisato anche dall’art. 28-bis, comma 11, del regolamento emittenti); (b)
essere esteso, per quanto attiene alla commercializzazione in uno Stato UE diverso
dall’Italia, alle eventuali categorie di investitori che l’ordinamento di detto Stato
considera equivalenti agli investitori professionali (secondo quanto previsto dall’art.
43, comma 1, dell’AIFMD e in linea con la soluzione adottata dall’art. 43, comma 8,
del TUF per la commercializzazione in Italia di FIA gestiti da GEFIA UE o da GEFIA
non-UE autorizzati in uno Stato diverso dall’Italia). Il riferimento agli investitori al
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dettaglio contenuto nel comma 3, punto g), va precisato in conformità alle
considerazioni che precedono;
art. 28-quater, comma 1, del regolamento emittenti: (a) il riferimento agli
investitori professionali contenuto nel punto g) va integrato in conformità all’art.
43, comma 8 del TUF; (b) il riferimento agli investitori al dettaglio contenuto nel
punto h) va precisato in conformità alle considerazioni che precedono;
commercializzazione di FIA riservati in Stati UE diversi dall’Italia da parte di gestori
sotto soglia che non esercitano l’opt-in: considerato che (a) le disposizioni dell’art.
43, commi da 2 a 7, del TUF non trovano applicazione (come precisato anche
dall’art. 28-bis, comma 11, del regolamento emittenti), (b) sono state eliminate dal
regolamento sulla gestione collettiva del risparmio le disposizioni in tema di
operatività transfrontaliera che precedentemente richiedevano una comunicazione
alla Banca d’Italia e (c) in diversi Stati UE la commercializzazione di FIA riservati
continua ad essere consentita – nel rispetto di date condizioni – a gestori diversi da
quelli autorizzati ai sensi dell’AIFMD in forza di regimi nazionali (che mantengono
vigore in parallelo al passaporto UE), sarebbe opportuno chiarire se i gestori sotto
soglia italiani possono commercializzare FIA riservati in Stati UE diversi dall’Italia:
(i) liberamente (salvo il rispetto delle condizioni vigenti nell’ordinamento degli
Stati UE interessati); ovvero
(ii) previa comunicazione alla Banca d’Italia o alla CONSOB e, in tal caso, in forza di
quali disposizioni normative;
maggiore flessibilità per il regime delle SICAF. Se non si interviene con opportuni
adattamenti, si esclude, anche considerando l’esperienza maturata negli ultimi mesi,
che tale struttura possa avere successo sul mercato italiano, non avendo vantaggi, in
termini di flessibilità/governance, rispetto alla struttura contrattuale. In particolare, si
chiede:
- di chiarire che, nel caso di SICAF eterogestite, tutte le funzioni attinenti alla
prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, ivi incluse quelle
attinenti alla valutazione dei beni e gestione dei rapporti con gli investitori ed il
depositario, saranno in capo al gestore esterno, rendendo in questo modo la SICAF
eterogestita analoga ad un FIA di natura contrattuale. Conseguentemente, alla luce
di una totale equiparazione di regime tra le diverse tipologie di FIA, si chiede di
eliminare ogni procedura autorizzatoria in capo alle SICAF riservate eterogestite,
come anche previsto per i FIA riservati di natura contrattuale per i quali non è (più)
prevista alcuna forma di autorizzazione preventiva da parte della Banca d’Italia,
nonché abrogare, in relazione alle stesse, ogni riferimento ai requisiti dei
partecipanti al capitale (che, nel caso di SICAF eterogestite e salvo per i prenditori
delle azioni su cui viene veicolato il c.d. carried interest, sono in tutto e per tutto
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equivalenti, anche in termini di diritti amministrativi, agli investitori di FIA in forma
contrattuale) e ai requisiti prudenziali. Se del caso, si potrebbe prevedere un
procedimento di trasformazione ad hoc, disciplinato come una vera e propria
procedura di autorizzazione, laddove la SICAF passasse da essere eterogestita ad
autogestita;
- di rivedere la portata dell’obbligo di comunicazione degli accordi di voto,
escludendo la necessità di comunicare alla Banca d’Italia le variazioni nei soggetti
aderenti che siano semplici soci-investitori titolari di partecipazioni non qualificate
nei casi di accordi di investimento che contengano pattuizioni riconducibili alla
nozione degli accordi di voto (tipicamente relative alla composizione degli organi
sociali). Ciò infatti costringerebbe le SICAF a comunicare alla Banca d’Italia – nella
forma prevista per le comunicazioni delle variazioni degli accordi sul voto – ogni
trasferimento di partecipazioni (anche se non qualificate), a differenza di quanto
accade per i FIA riservati di natura contrattuale;
- di rivedere le previsioni del D.M. n. 30/2015 chiarendo che i requisiti previsti
dall’art. 14, comma 6, inclusi in particolare quelli individuati attraverso il rinvio
all’art. 37, commi 1 e 2, del TUF, possano essere soddisfatti mediante disposizioni
inserite nello statuto delle SICAF riservate ovvero in documenti dallo stesso
richiamati. Occorre infatti evitare che lo statuto venga appesantito da disposizioni
articolate che non rientrano nei contenuti necessari o consueti di uno statuto di
una S.p.A. e che rendano necessariamente pubblica (con il deposito dello statuto
nel registro delle imprese) una disciplina pattizia del rapporto con gli investitori che
nei FIA riservati di natura contrattuale invece non lo è. A tal fine, i documenti
richiamati dallo statuto devono essere vincolanti per tutti i soci (nel senso che non
deve essere possibile assumere la posizione di socio senza essere al tempo stesso
parte vincolata dei documenti in questione) ma non parte integrante dello statuto
(perché ciò imporrebbe il deposito presso il registro delle imprese anche di tali
documenti);
- di precisare le disposizioni del regolamento sulla gestione collettiva del risparmio
che disciplinano la struttura del patrimonio di vigilanza (Allegato II.5.1), nella parte
in cui prevedono (Sezione II, par. 2) che “i versamenti a fondo perduto (o in conto
capitale)” possono essere computati nel capitale solo se “sia espressamente
previsto che ne è ammessa la restituzione esclusivamente in caso di liquidazione
della società e nei limiti dell’eventuale residuo attivo”. Tali versamenti, infatti, nella
struttura finanziaria tipica delle SICAF riservate, pur in assenza di qualsiasi diritto
dei soci alla restituzione, possono essere utilizzati dalle SICAF per alimentare
distribuzioni ai soci, anche prima della liquidazione, in caso di disinvestimenti o di
altri eventi generatori di liquidità;
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- di precisare, come sopra evidenziato, che la natura eterogestita della SICAF si
declina non solo con l’affidamento della gestione del patrimonio ad un gestore
esterno, ma anche con la spogliazione di ogni funzione attinente alla prestazione
del servizio di gestione collettiva del risparmio in favore del gestore esterno e di
prevedere la possibilità, per le SICAF eterogestite, che, come anche ormai
pacificamente riconosciuto dalla più recente dottrina italiana e come accade negli
altri Paesi, venga nominato quale organo di supervisione strategica e di gestione
una persona giuridica che nel caso specifico sarebbe la SGR che assume altresì il
ruolo di gestore esterno del patrimonio della SICAF. Tale soluzione organizzativa
eviterebbe di dover ripartire, a livello statutario, le competenze amministrative e di
gestione tra un Consiglio di Amministrazione che comunque sarebbe espressione
del gestore e il gestore stesso;
- in ragione del rapporto stringente che vi è fra SICAF eterogestita ed SGR gestore
esterno, chiarire il trattamento delle azioni detenute dalla SGR nel capitale sociale
della SICAF dalla stessa eterogestita ai fini del calcolo del patrimonio di vigilanza
della prima (attualmente, infatti, l’Allegato II.5.1 del regolamento sulla gestione
collettiva del risparmio della Banca d’Italia prevede uno specifico trattamento solo
per le azioni di SICAV);
- nella definizione del contenuto minimo dello statuto delle SICAF, quand’anche
riservate, un’ulteriore riflessione per espungere da tale documento, che ha una
propria articolazione dettata dalle norme codicistiche ed una sua funzionalità,
riferimenti, soprattutto nel caso di SICAF autogestite che, essendo sia gestore che
prodotto, aspirano a “sopravvivere” ai singoli comparti che di tempo in tempo le
compongono, alle specifiche caratteristiche del singolo prodotto. Caratteristiche
che troverebbero migliore collazione nella contrattualistica di supporto
all’investimento.
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Spunti per le proposte di modifica relative
all’implementazione della direttiva AIFM e
all’applicazione del regolamento EuVECA
Schede allegate
Raccolta europea dei fondi di private equity
2014 - % sul totale raccolto
Gran Bretagna:
48,8%
Germania:
4,0%
Francia:
16,2%
Italia:
1,4%
Spagna:
3,3%
Fonte: EVCA/PEREP_Analytics
Investimenti di private equity
2014 – % del PIL
Fonte: FMI, World Economic Outlook Database (GDP)/EVCA/PEREP_Analytics
Adeguatezza patrimoniale dei gestori
Raffronto tra le principali giurisdizioni europee
GIURISDIZIONE
ITALIA
SPAGNA
CAPITALE SOCIALE GEFIA
REQUISITI PATRIMONIALI
1.000.000 di Euro per SGR che gestiscono OICVM e/o FIA
diversi da quelli chiusi riservati o dai Fondi EuVECA o
EuSEF;
1.000.000 di Euro per SGR "sotto soglia" che gestiscono
esclusivamente FIA chiusi riservati e Fondi EuVECA o
EuSEF e prestano servizi di investimento con detenzione di
beni della clientela;
500.000 Euro per SGR "sopra soglia" che gestiscono
esclusivamente FIA chiusi riservati;
385.000 Euro per SGR "sotto soglia" che gestiscono
esclusivamente FIA chiusi riservati e Fondi EuVECA o
EuSEF e prestano servizi di investimento senza detenzione
di beni della clientela;
50.000 Euro per SGR "sotto soglia" che gestiscono
esclusivamente FIA chiusi riservati e Fondi EuVECA o
EuSEF.
125.000 Euro
Il PAV non può essere inferiore alla somma di: 1) del
maggiore importo tra: a) 0,02% sull'importo delle masse
in gestione oltre i 250 milioni di Euro fino ad un
massimo di 10 milioni di Euro; e b) il 25% dei costi
operativi fissi risultanti dall’ultimo bilancio di esercizio;
2) la dotazione patrimoniale aggiuntiva per il rischio da
responsabilità professionale (laddove non si voglia
ricorrere alla copertura assicurativa) pari allo 0,01% del
valore dei portafogli dei FIA gestiti.
Il PAV non può mai essere inferiore al capitale sociale
minimo richiesto a seconda del tipo di SGR.
Non vengono operate differenziazioni tra GEFIA sopra o
sotto soglia. Si applicano anche ai gestori di fondi
EuVECA e EuSEF.
Fonte: King&Wood Mallesons
0,02% sull’importo delle masse in gestione oltre i 250
milioni di Euro fino ad un massimo di 10 milioni di Euro.
Il patrimonio di vigilanza non può comunque essere
inferiore ad un quarto dei costi operativi determinati
sulla base del bilancio dell’esercizio precedente.
Indipendentemente se il GEFIA è sopra o sotto soglia.
Adeguatezza patrimoniale dei gestori
Raffronto tra le principali giurisdizioni europee
GIURISDIZIONE
FRANCIA
CAPITALE SOCIALE GEFIA
125.000 Euro
REQUISITI PATRIMONIALI
0,02% sull’importo delle masse in gestione oltre i 250
milioni di Euro fino ad un massimo di 10 milioni di Euro.
Il patrimonio di vigilanza non può comunque essere
inferiore ad un quarto dei costi operativi determinati
sulla base del bilancio dell’esercizio precedente.
Indipendentemente se il GEFIA è sopra o sotto soglia.
Ai soli GEFIA “sopra soglia” si applica anche il requisito
relativo alla copertura assicurativa per responsabilità
professionale.
REGNO UNITO
GEFIA sopra soglia 125.000 Euro
SOLO in caso di GEFIA sopra soglia
GEFIA sotto soglia variabile da 5.000 £ in su in base ai
servizi resi dal GEFIA
0,02% sull’importo delle masse in gestione oltre i 250
milioni di Euro fino ad un massimo di 10 milioni di Euro.
Il patrimonio di vigilanza non può comunque essere
inferiore ad un quarto dei costi operativi determinati
sulla base del bilancio dell’esercizio precedente.
Fonte: King&Wood Mallesons
Adeguatezza patrimoniale dei gestori
Raffronto tra le principali giurisdizioni europee
GIURISDIZIONE
GERMANIA
CAPITALE SOCIALE GEFIA
REQUISITI PATRIMONIALI
GEFIA sopra soglia 125.000 Euro
SOLO in caso di GEFIA sopra soglia
GEFIA sotto soglia non soggetti a vincoli
0,02% sull’importo delle masse in gestione oltre i 250
milioni di Euro fino ad un massimo di 10 milioni di Euro.
Il patrimonio di vigilanza non può comunque essere
inferiore ad un quarto dei costi operativi determinati
sulla base del bilancio dell’esercizio precedente.
LUSSEMBURGO
GEFIA sopra soglia
125.000 Euro o 300.000 Euro in caso di FIA autogestiti
GEFIA sotto soglia non soggetti a vincoli
SOLO in caso di GEFIA sopra soglia
0,02% sull’importo delle masse in gestione oltre i 250
milioni di Euro fino ad un massimo di 10 milioni di Euro,
salvo copertura assicurativa per massimo il 50%
dell’importo.
Il patrimonio di vigilanza non può comunque essere
inferiore ad un quarto dei costi operativi determinati
sulla base del bilancio dell’esercizio precedente.
Fonte: King&Wood Mallesons
Costi di struttura dei gestori
Raffronto tra le principali giurisdizioni europee
TOTAL SET-UP COSTS
(first year)
ITALIA
SPAGNA
FRANCIA
REGNO UNITO
LUSSEMBURGO
150.000 €
45.000/55.000 €
55.000/65.000 €
70.000/85.000 £
115.000 €
di cui:
SET-UP AND
AUTHORISATION PROCESS
INCORPORATION
AUTHORITY FEES
OTHER ADVISORY COSTS
100.000 €
30.000/40.000
(Mainly legal costs)
50.000/60.000 €
50.000/60.000 £
90.000 €
20.000 €
1.500 €
5.000 €
5.000 £
5.000 €
Non applicabile
Authorisation fee:
10.000 €
(2)
Registration fee: 300 €
Non applicabile
5.000 £
10.000 €
30.000 €
(1)
Non applicabile
Non applicabile
10.000/15.000 £
10.000 €
(1) This item would include, for instance, costs relating to the brand and the relevant registration procedure; (2) Spanish Stock Exchange Commission
(Comisiòn Nacional del Mercado de Valores)
Fonte: King&Wood Mallesons
Costi di struttura dei gestori
Raffronto tra le principali giurisdizioni europee
ITALIA
BOARD OF DIRECTORS (NOT
INCLUDING THE COST OF THE
INVESTMENT TEAM)
SPAGNA
FRANCIA
REGNO UNITO
LUSSEMBURGO
Non applicabile
Non applicabile
20.000 €
each indipendent
director
ON GOING COSTS
20.000 €
25.000 €
each indipendent each indipendent
director
director
D&O INSURANCE POLICY
30.000 €
30.000 € (2)
-
20.000 £
50.000 €
INTERNAL AUDIT
25.000€
Non applicabile
Non applicabile
Non applicabile
Non applicabile
RISK MANAGEMENT
COMPLIANCE AND REGULATORY
30.000 €
Non applicabile
Non applicabile
Non applicabile
25.000 €
25.000 €
30.000 €
20.000 €
18.000 £
30.000 €
EXTERNAL AUDITORS
36.000 €
12.000 €
30.000 €
20.000 £
25.000 €
BACK OFFICE, ADMINISTRATION
SERVICES, ACCOUNTING OF THE
AIFM AND ACCOUNTING OF THE AIF
40.000 €
150.000 €
25.000 €
15.000 £ (1)
18.000 € (1)
10.000 £
25.000 €
-
480.000 €
SUPPORT
AUTHORITY ANNUAL FEE
OTHER OPERATING COSTS
3.950 € plus
Supervision fee: 0.008
1.670 € for each
Supervision fee: per thousand of its AUM
fund or sub-fund
0.040% of its equity (with a minimum of €
offered to the
1.500) (5)
public (3)
550.000 € (4)
580.000 € (7)
65.000 € (6)
(1) Outsourced; (2) The D&O Insurance Policy is generally borne by the Fund; (3) Such additional fee shall be not be paid for the first two funds or sub funds offered to the
public in Italy; (4) This item would include costs relating to: i) AML Officer; ii) Employees (assumed 8 employees and fiscal and pension burdens included); v) Other
Administrative Costs (with the exclusion of the rent, if any, of the registered office and travel expenses); (5) Starting January 1st 2016, the annual fee will be of 0.01 per
thousand of the Management Company's AUM (with a minimum of € 1.500); (6) This item includes only employees costs related to the regulatory requirements; (7)
Including legal costs.
Fonte: King&Wood Mallesons
Soglia minima d’investimento
c.d. «investitori qualificati»
Gran Bretagna:
• Nessun limite
minimo
• 50 k Prospectus
Directive
Francia:
Germania:
200 K per sotto
soglia
100 K (ridotta da 500k
con il recepimento
AIFMD) nessuna
distinzione tra
sopra/sotto soglia
Italia:
Spagna:
100 K (nessuna
distinzione tra
sopra/sotto soglia)
Fonte: King&Wood Mallesons
• 500 K
• EUVECA 100 K