Vedi - Una Chiesa a Più Voci

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SECONDO TEMPO
GIOVEDÌ 18 DICEMBRE 2014
il Fatto Quotidiano
L’EX DIAVOLO
Benigni, il bravo maestro
In dieci milioni a tu per tu dell’Italia smarrita
con il bene e con il male
LO SHOW
di Nanni
di Marco
B
Politi
D
ieci milioni e più
di spettatori, un
terzo degli ascolti.
Non è uno share,
è un referendum. Il segno di
una richiesta di massa, che sale dal basso e che invoca il pane dell’etica, il pane della coscienza, un criterio riconosciuto per distinguere l’essere
umano dalle maschere delinquenziali del “mondo di sotto”, spesso intrecciate al
“mondo di sopra”.
Se la gerarchia ecclesiastica
non avesse negli anni abusato
del concetto di “legge naturale” per inserire propri schemi
dottrinali e diktat nell’arena
pubblica, si potrebbe dire che
la passione straordinaria, con
cui milioni di italiani hanno
seguito per due serate la narrazione di Roberto Benigni
sui dieci comandamenti, è il
segno di un’insopprimibile
bisogno popolare di ritrovare
chi dà voce ad una antica legge
iscritta nel cuore degli uomini. Un criterio di riconoscibilità del bene e del male, che
spazzi via almeno per una sera
gli incantesimi di ciarlatani,
azzeccagarbugli, manovrieri
di ogni tipo.
Perché non era il divertimento che questa Italia quotidiana
cercava, non il piccolo momento di svago, ma – attraverso l’arte guizzante del giocoliere Benigni – questa Italia
rivela la ricerca di un senso
della vita, delle basi dello stare
insieme, un desiderio di segnali di orientamento che i ceti dirigenti sono testardamente incapaci di dare. La stessa
volontà di capire le ragioni
I 10 COMANDAMENTI
Uno share del genere,
al di là del talento del
protagonista, è il segno
di una richiesta di massa,
che sale dal basso e che
invoca il pane dell’etica
dello stare uniti sotto il tetto di
una medesima “patria”, che si
era espresso in passato negli
ascolti ancora maggiori per le
lezioni di Benigni sull’Inno di
Mameli e la Costituzione italiana.
LA SUA MAESTRIA è consistita nel rispondere a questo
bisogno profondo – che separa l’Italia del “così non si fa” da
quella del “tanto lo fanno tutti” – con un racconto sostanzialmente laico, plastico, terreno, in cui Dio non è
un’astratta costruzione teologica, persa in una sfera trascendente al di là del mondo,
ma ritrova i tratti fortemente
umani dell’Essere che parla a
tu per tu con l’uomo, che viene
in suo soccorso. Lo trascina
via dalla terra delle schiavitù e
lo libera dalla tirannia dei Faraoni antichi e moderni.
C’è un’Italia di massa, umana,
onesta nel senso basico della
Delbecchi
Roberto Benigni, 62 anni Ansa
parola – frastornata certamente dalla slavina continua
di slogan, insulti, promesse,
menzogne, capriole e smentite, ma tutt’altro che ingenua –
che si ritrova con sollievo nel
riflettere sui fondamentali di
una società. Non rubare, non
arraffare, non ingannare. Non
desiderare la donna altrui, la
casa altrui, i beni altrui, gli animali (le automobili, al tempo
della Bibbia) altrui, lo spazio
altrui. Non cedere alla smodatezza del desiderio di ammassare. Non uccidere il prossimo, non lasciarlo uccidere,
non permettere che venga ucciso mentre volti la testa
dall’altra parte.
È un’etica laica, che supera le
frontiere di religioni e convinzioni filosofiche, quella che
Benigni espone. Quando denuncia il “furto” di chi al riparo della scrivania di manager toglie l’esistenza a innumerevoli persone, gettandole
sul lastrico. È un verbo laico
(che nulla toglie all’ispirazione
religiosa) quello che descrive il
furto di dignità e di libertà. Altrettanto laico, valido per credenti e non credenti, è il rifiuto della distorsione e
dell’abuso del nome di Dio
con cui i violenti seminano
morte e disperazione. Altro
che la bestemmia per la gomma bucata! Altro che accostarsi al tema lacerante dell’adulterio con il fogliettino degli
“atti impuri”.
In questa semplicità di predica
laica Benigni incrocia – e non
per caso – l’immediatezza delle riflessioni, dal timbro egualmente laico, che papa Francesco nelle sue messe mattutine o negli incontri pubblici
svolge sulla corruzione, sul
male, sulle ferite dell’umanità.
Il pubblico in gran parte è lo
stesso. Trasversale, assetato di
salvezza nel gorgo di scandali
e nefandezze che superano
l’immaginazione dei romanzieri.
Un popolo refrattario agli aridi catechismi, ma attento a ciò
che rovina o che salva, sensibile a ciò che guarisce o incancrenisce. Convinto che il
crinale tra morale e immorale
nonostante tutto esista e vada
semmai riportato alla luce.
Spente le luci, calato il sipario
dove può dirigersi questo popolo? L’immagine, che non si
può scacciare, è quella del deserto. Non ci sono Mosè per
questi milioni, che vorrebbero
vivere secondo buona coscienza.
QUANDO dalle massime au-
torità giunge – com’è tragicamente avvenuto nel nostro
Paese – il suggerimento a
“modulare” opportunamente
la pena già lieve di chi si è macchiato di frodi per milioni di
euro, derubando lo Stato di
tutti, cosa deve fare un “volgo
disperso... confuso ed incerto”, umiliato nel suo attaccamento ai comandamenti dei
filosofi e dei profeti?
asta la consumata
tecnica dell’evento annunciato che
accompagna ogni
apparizione televisiva di Roberto Benigni per spiegare il
boom di ascolti delle due serate dedicate ai Dieci comandamenti? Certo che no.
Non solo la sua metamorfosi
– l’irresistibile, incontenibile
comico di una volta non esiste più – non ha intaccato il
successo, ma anzi questo successo immutabile si spiega
anche con il cambio di identità. Benigni è stato il giullare
di un’Italia che aveva più voglia di ridere, e soprattutto di
trasgredire. Ora è diventato
un’altra cosa. O meglio, ha tirato fuori dalla soffitta della
memoria collettiva qualcosa
che credevamo non esistesse
più: il maestro. Non il guru,
l’esperto, il giudice, il professorone o il causidico: di quelli
sono pieni i talk show (di cui è
piena la Tv). Chi invece è in
via di estinzione è il maestro
elementare del libro Cuore,
quello che insegnava le cose
fondamentali della vita con il
sillabario e il sussidiario, il
primo formatore di un bimbo
spesso destinato a essere anche l’ultimo.
LA RAI TV ne ha avuto uno
appena nata, l’indimenticabile maestro Manzi di Non è mai
troppo tardi, poi più niente. Fino a Benigni. Che a un certo
punto della sua carriera ha
smesso di prendere in braccio
Berlinguer e di stoccacciare la
calzamaglia della Carrà per
prendere in mano i fondamentali dei vecchi maestri. La
Divina Commedia, la Costituzione, adesso addirittura
l’Esodo.
Ha fatto davvero come si faceva una volta: si è preparato,
ha studiato e poi ha spiegato i
comandamenti uno per uno,
con dovizia di dettagli storici,
per raccontare quale rivoluzione fossero stati nel mondo
di tremila anni fa.
TUTTO con il linguaggio
semplice, colloquiale e affettuoso del maestro elementare. È stato un successo sia perché la metamorfosi è riuscita
(sia detto da uno che preferiva di gran lunga il primo Be-
Una fase dello show Ansa
DA LIBRO CUORE
Sembra – che piaccia
o no – quello elementare
di una volta,
che insegnava le cose
fondamentali della vita
con un solo sussidiario
nigni, briccone divino), sia
perché in quest’Italia superalfabetizzata, superdigitalizzata
e superomologata abbondano
diplomi e master, ma si sono
perduti i sillabari, e soprattutto chi è in grado di spiegarceli.
Non per nulla, secondo un
sondaggio di Demopolis appena commissionato dal Corriere della Sera, solo tre italiani
su dieci affermano di ricordare tutte le regole delle Tavole della Legge.
Così, voltando le spalle all’attualità, Benigni – che aveva
già interpretato un maestro
elementare in un profetico
film di Marco Ferreri, Chiedo
Asilo del 1979 – si è ritrovato a
essere forse più necessario di
prima. La vera svolta è poi iniziata con l’Oscar ottenuto con
La vita è bella, il film in cui
Benigni si scopriva papà e al
tempo stesso maestro per tremende cause di forza maggiore; da quel momento ha iniziato a fare lo stesso con il
grande pubblico televisivo,
incontrandosi a metà strada
con il servizio pubblico. È interessante notare come negli
anni Zero i due più maggiori
talenti comici abbiano separato le loro strade prendendo
direzioni opposte.
BEPPE GRILLO è sceso nella
trincea della militanza politica, Benigni è risalito fino
all’Empireo dei valori, dove
morale laica e religiosa si incontrano. Uno si consulta
con Casaleggio, l'altro con
Sant'Agostino. Cattivismo e
buonismo a confronto, entrambi portatori di curiosi effetti collaterali. Beppe restituisce ai cittadini l’incazzatura della giovinezza, Roberto fa
tornare tutti bambini, quando prima di andare a nanna
non c'è niente di meglio
dell’avere imparato qualcosa
davanti alla Tv; la voglia di
ridere, e di irridere, arriverà
più tardi, dopo avere vinto la
paura del buio. Forse è questo
il piccolo, grande segreto dell'ex piccolo diavolo Roberto
Benigni.
PIOVONO PIETRE
Basta con gli Stati nazionali,
lo Olimpiadi le organizzi Apple
di Alessandro Robecchi
e Olimpiadi romane del 2024 sono dunLgaraque
ufficialmente iniziate. Per ora è una
tutta interna (italiani contro italiani) e
tutta ideologica. Da una parte i fremiti ottimisti del “Vedrete! Per allora saremo
cambiati” e dall’altra il cinismo realista di
chi ancora sta contando i debiti dell’Expo, i
processi del Mose, le piscine non finite del
Mondiali di nuoto del 2009 e via elencando. I secondi hanno più argomenti. I primi
ne hanno uno formidabile: non bisogna
stare fermi perché ci sono i ladri, piuttosto
bisogna fermare i ladri.
Discorso impeccabile, se non fosse che lo si
recita a un paese sospeso tra una pressione
fiscale di tipo danese e la banda der Cecato.
Potendo uscire dalle beghe nazional-popolari di casetta nostra, però, merita qualche pensierino il concetto stesso di Olimpiade, o di Expo. Dagli anni Ottanta in poi,
questi mirabolanti grandi eventi costano
più di quello che incassano. Si tende
(ovunque, figuratevi qui) a sottostimare i
costi e a sovrastimare i ricavi, e raramente
le economie nazionali ne risultano rilanciate (a meno che non siano già lanciate da
sé). Insomma, gli stati nazionali non sono
più gli organizzatori ideali delle Olimpiadi. Allo stato attuale, nessuno può dire come sarà un paese, un’economia, un debito
pubblico, uno spread tra dieci anni, siamo
qualcosa.
nel campo delle scomSOVRANITÀ
messe.
Ti ricordi Roma, alle
Però le Olimpiadi ci
Olimpiadi Samsung? Sì,
Google, Coca Cola,
bello, ma anche le Olimpiacciono parecchio e
quindi c’è forse da chiepiadi Volkswagen di CitMicrosoft, una banca
tà del Messico, niente
dersi perché non le orgacinese. Si scelgono
male. Ma pure le Olimnizzino le vere potenze
piadi Disney di Topolimondiali. Google, Coca
un paese, fanno strade,
nia… Insomma, se le
Cola, Microsoft, Apple.
Si scelgono un paese,
stadi, alloggi per gli atleti... Olimpiadi sono diventafanno le strade, gli stadi,
te anche una specie di diIl cerchio si chiuderebbe
le metropolitane, gli almostrazione di potenza,
loggi per gli atleti, le gare
tipo le torri medievali che
ogni quattro anni.
gareggiavano in altezza,
La Industrial & Commercial Bank of Chi- ci si chiede perché non affidarne gli oneri a
na (più grande azienda del mondo secon- chi può farlo con il giusto orgoglio e la redo Forbes, anche la seconda e la terza sono lativa grandeur. Gli Stati nazionali, specie in
banche cinesi) potrebbe organizzare le Europa, potrebbero evitare di buttare tanti
Olimpiadi a Roma, e poi magari tocche- soldi sulla roulette dei grandi eventi e marebbero a Facebook quelle di Oslo, o Ma- gari occuparsi di progetti meno grandiosi,
drid, o Bogotà, perché no? Dopotutto il che so, i treni locali, il Bisagno, le frane, i
passaggio di potere tra le varie sovranità soffitti delle scuole e altre amenità che rennazionali e i grandi gruppi finanziari, in- dono la vita di molti italiani uno sport
dustriali, commerciali, petroliferi, tecno- estremo, più che una specialità olimpica. E
logici eccetera è in corso da tempo. In Eu- non si tratta di minimalismo, ma anche di
ropa, per dire, sarebbe anche un modo, per esperimento sociale e antropologico. Se
i grandi colossi del mercato, di restituire, in una banca cinese, o una multinazionale
termini di investimenti, un po’ di quel che americana, o un gigante coreano venissero
hanno risparmiato in tasse grazie a certi qui a farci le Olimpiadi, infrastrutture, orparadisi fiscali o soluzioni furbette (l’Irlan- ganizzazione e tutto, ci dovrebbero parlare
da, il Lussemburgo, eccetera). Che so, ma- loro, con er Cecato e con gli altri gentiluogari costruiscono le piscine in tempo per mini come lui. Magari impareremmo
farci le gare, da queste parti sarebbe già qualcosa, chissà.