LAM Invecchiamento - E. Frau 2011-12

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LAM Invecchiamento - E. Frau 2011-12
2011-2012
ELEONORA FRAU
CLASSE 4G
Morte o immortalità?
LAVORO DI
MATURITÀ
Studi recenti sui meccanismi di invecchiamento
cellulare e sull'attivazione
dell'enzima telomerasi.
Le basi biologiche della comunicazione e del comportamento animale
Docenti responsabili: professoresse Manuela Varini e Lisa Palme
Liceo cantonale di Lugano 1
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
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Immagine copertina: Passare del tempo rappresentato da una clessidra.
Fonte: www.blog.darrylepollack.com
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Indice
Abstract ................................................................................................................................................... 4
1. Introduzione ........................................................................................................................................ 5
1.1. Scopo ............................................................................................................................................ 5
1.2. Cosa si intende con il termine “morte”? ........................................................................................ 6
1.3. Livello evolutivo: concetto di invecchiamento ............................................................................... 6
1.4. Il problema di replicazione del DNA e i telomeri .......................................................................... 11
1.4.1. Biologia telomerica – contesto storico .................................................................................. 15
1.4.2.Telomeri e telomerasi............................................................................................................ 16
2. Svolgimento ....................................................................................................................................... 18
2.1. Livello macroscopico ................................................................................................................... 18
2.1.1. Influenza della dieta ............................................................................................................. 18
2.1.2. Influenza socio-psicologica ................................................................................................... 18
2.2. Livello molecolare: invecchiamento cellulare............................................................................... 19
2.3. Ricerche recenti sulla telomerasi ................................................................................................. 22
2.3.1. Il complesso “shelterin” e la struttura telomerica ................................................................. 23
2.3.2. Regolazione dell’attività della telomerasi. ............................................................................. 25
2.3.3. Comportamento della telomerasi all'accorciarsi dei telomeri ................................................ 33
3. Conclusioni ........................................................................................................................................ 34
3.1. Considerazioni personali ............................................................................................................. 35
3.1.1. Prospettive per l’allungamento della vita tramite la regolazione telomerica ......................... 35
3.1.2. Prospettive per l’allungamento della vita tramite dieta a calorie ridotte ............................... 35
3.1.3. Aspetti psicologici ................................................................................................................. 36
3.1.4. Le aspettative di vita nella società del ventunesimo secolo - riflessioni ................................. 36
4. Ringraziamenti ................................................................................................................................... 39
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5. Bibliografia......................................................................................................................................... 40
5.1. Sitografia ..................................................................................................................................... 42
5.2. Fonte immagini ........................................................................................................................... 43
6. Allegati............................................................................................................................................... 44
6.1. Lista di sequenze telomeriche scoperte fino a ottobre 2011 ........................................................ 44
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Abstract
Da quando esiste la riproduzione sessuata, la degenerazione fisiologica nel corso del tempo
rappresenta una caratteristica inalienabile degli esseri viventi. La ricerca di una soluzione a
questa degenerazione progressiva è da sempre un tema che tocca molto da vicino la specie
umana. In questo lavoro di maturità si è cercato di fare un inventario e di descrivere il
fenomeno dell’invecchiamento, focalizzandosi poi maggiormente su ciò che significa la
senescenza dal punto di vista della biologia molecolare. Tramite esperimenti condotti durante
uno stage al Politecnico di Losanna (EPFL) nel laboratorio del prof. Lingner, si è approfondito in
particolare il ruolo e il funzionamento dell’enzima telomerasi nell’invecchiamento cellulare e
dell’organismo. I risultati della ricerca hanno palesato un chiaro legame tra attività telomerasica
e senescenza, mostrando inoltre la difficoltà con la quale essa potrebbe venire controllata in
maniera artificiale per allungare la vita umana. Infine, si discute l’odierna aumentata speranza di
vita per le nuove generazioni e le moderne soluzioni, ancora in via di sviluppo, per il
rallentamento del processo d’invecchiamento.
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1. Introduzione
1.1. Scopo
Sin da quando l’evoluzione ha portato alla nascita di Homo Sapiens, gli individui della nostra
specie sono inevitabilmente portati a confrontarsi con il tema della morte. Da 200 mila anni o
più si affrontano domande come: “Che cosa accade dopo la morte?”, “Quanto a lungo si può
vivere?” e “Cosa fa sì che con il passare del tempo si diventi sempre più “stanchi” e“fragili”?”.
Riuscire a capire a fondo i processi che inducono l’invecchiamento e tutto ciò che potrebbe
implicare per il nostro corpo sopravvivere alle insidie del tempo è da epoche indeterminate un
tema centrale per l’essere umano.
In seguito allo sviluppo della genetica, gli studi riguardanti l’invecchiamento sono potuti
diventare progressivamente più dettagliati e complessi sino ad arrivare al punto in cui ci si trova
oggi: essere a pochi passi dall’avere un quadro quasi sufficientemente esaustivo da poter
iniziare a regolare la lunghezza della vita umana intervenendo sulla genetica dell’individuo; idea
che fino a poco tempo fa era considerata fantascienza.
Oltre a essere arricchente per la propria cultura generale, studiare a fondo l’invecchiamento
umano può aiutarci a capire e trascorrere meglio la nostra vita.
Prima di giungere alla parte più specifica della ricerca, che riguarderà il legame tra
l’invecchiamento e l’enzima telomerasi, si tratterà brevemente ciò che significano i termini
“invecchiamento” e “senescenza”. Questi saranno affrontati al livello concettuale di individuo in
quanto tale, passando agli organi e quindi alla cellula, per arrivare infine al livello molecolare.
Quindi, anche grazie ad uno stage pratico di due settimane effettuato dal 20 giugno al 1 luglio
presso un laboratorio ISREC, diretto dal Professor Lingner al Politecnico Federale di Losanna,
sotto la supervisione di: Joachim Lingner, Antonio Porro, Ivo Zemp e Chen Liuh-Yow, ci sarà un
approfondimento delle attuali conoscenze e ricerche sull’enzima telomerasi, la cui attività è
considerata essenziale per la regolazione del processo di invecchiamento cellulare. Diversi studi
recenti, infatti, vertono su alcune vie di modulazione dell’attività di questo enzima all’interno
del nucleo cellulare.
Da ultimo, si cercherà di riflettere riguardo alle implicazioni che la senescenza comporta
all’interno della nostra società e se, a livello evolutivo e biologico, potrebbe avere senso parlare
di immortalità di un organismo.
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1.2. Cosa si intende con il termine “morte”?
Quando una persona può essere definita morta?
Specialmente nel “mondo della medicina” questo tipo di domande evidenzia un problema
sostanziale: prima dell’arrivo delle tecniche di RCP1 e del defibrillatore, una persona era
considerata morta quando trovata priva di un battito cardiaco e di respirazione. In seguito allo
sviluppo tecnologico e alle tecniche di primo soccorso, questi criteri non potevano più essere
considerati affidabili. Si è passati quindi al criterio di “morte cerebrale”, dichiarando morta una
persona nel momento in cui ne cessasse completamente l’attività cerebrale (e quindi
ovviamente anche la respirazione e il battito cardiaco). Con il Decreto per la Determinazione
Uniforme di Morte (1981) da parte della “President’s Commission for the Study of Ethical
Problems in Medicine and Biomedical and Behavioral Research”2 in collaborazione con la
“National conference of Commissioners on Uniform State Laws”3 e altre organizzazioni, si è
arrivati infine ad indicare che “l’individuo affetto da cessazione irreversibile delle funzioni
circolatorie, respiratorie e di tutto il cervello, ivi incluso il tronco encefalico, è da considerarsi
morto” (UDDA4, 1981). Questi criteri non prendono però in considerazione tutte le
caratteristiche che differiscono dalla pura fisiologia dell’organismo; tralasciano infatti quelle che
caratterizzano l’individuo in quanto essere sociale. Criteri che definiscano la morte dell’
“umanezza” delle persone non si sono ancora stabiliti e il concetto di morte rimane quindi
legato unicamente alla funzionalità metabolica del corpo.
1.3. Livello evolutivo: concetto di invecchiamento
Rimanendo in ambito biologico, si possono di seguito definire i termini “senescenza” e
”invecchiamento”. Ciò che li accomuna risiede nel fatto che si riferiscono entrambi all’insieme
dei fenomeni che, nel corso del tempo, inducono cambiamenti e alterazioni nell’individuo per
tutta la durata della sua vita.
Con il termine “senescenza” si circoscrive però un sottoinsieme di questi fenomeni,
considerando soltanto quelli che portano a specifiche perdite di funzionalità dell’organismo
(Ricklefs, Finch, 1995) (Tabella 1).
1
RCP: Rianimazione Cardio-Polmonare
2
Commissione presidenziale per lo studio dei problemi etici in medicina e biomedicina e per la ricerca
comportamentale
3
Commissione nazionale sull’uniformità delle leggi dello stato
4
Uniform Declaration of Death Act
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Per riassumere:
Alterazioni nel corso del
tempo
Perdite specifiche di
funzionalità
Invecchiamento
Senescenza
Tabella 1: confronto tra invecchiamento e senescenza
Nel corso degli anni si è cercato svariate volte di creare modelli comprendenti caratteristiche e
aspetti, che descrivessero in maniera più completa possibile l’invecchiamento. Prendendo
coscienza però degli innumerevoli aspetti legati ad esso, ci si è resi conto che modellizzare e
standardizzare questo fenomeno comprendente fattori così vari (per esempio: gli sforzi a cui si
sottopone il proprio corpo durante il corso della vita, gli ormoni prodotti in risposta
all’alimentazione, lo stato emotivo dell’organismo e quindi la sua chimica, l’influsso non
trascurabile dell’ambiente esterno nel quale si vive,...) è incredibilmente complicato e quasi
impossibile (Ricklefs, Finch, 1995).
Per capire meglio i processi che si manifestano negli organismi complessi (come per esempio
l’essere umano) e per comprendere anche in maniera generale il motivo per cui la morte è un
avvenimento naturale e inevitabile, occorre fare qualche passo indietro e prendere in
considerazione alcuni degli organismi più antichi che abitano la Terra.
Dallo studio di rocce si è stabilito che i primi segni di vita risalgono a circa 3.5-3.8 miliardi di anni
fa (Schopf, 1993). I batteri ne sono la più semplice forma che conosciamo. Essi si riproducono
per fissione, ossia duplicando il proprio DNA e dividendosi in due, dando origine a cloni
perfettamente identici al batterio di origine. Quando i due cloni si riproducono, anche loro lo
fanno per fissione e di nuovo si hanno altri organismi unicellulari, identici a quelli di origine. È
per questo motivo che possiamo convenzionalmente dire che il patrimonio genetico di un
batterio ha un potenziale di immortalità. Il decesso dei batteri è infatti dovuto unicamente a
quelle che chiamiamo le “cause esterne”, ossia: carenza di sostanze nutritive, virus, improvvisi
cambiamenti nell’ambiente circostante o altri avvenimenti accidentali. In una situazione
ipotetica nella quale si riuscisse a garantire al batterio di origine l’immunità da pericoli esterni e
un approvvigionamento di nutrimento perpetuo, esso continuerebbe probabilmente a
riprodursi all’infinito e così anche i suoi cloni (Clark, 1996).
I batteri non hanno quindi insita la caratteristica inalienabile per tutti gli esseri pluricellulari: la
morte per invecchiamento.
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In seguito si sono evoluti i protisti5 (prime cellule eucariotiche6). Una differenza fondamentale
tra batteri (Figura 1) e protisti (Figura 2) sta nell’organizzazione del patrimonio genetico
all’interno della struttura cellulare. Mentre nei batteri il filamento di materiale genetico è unico,
in forma circolare e non si trova all’interno di un nucleo, nei protisti è spesso suddiviso in più
filamenti doppi e si trova delimitato all’interno
di una membrana nucleare. La presenza di
doppi filamenti, o cromosomi, è dovuta al fatto
che con questi eucarioti comincia a farsi piede
la riproduzione sessuata; ogni coppia di
cromosomi ha origine sia materna sia paterna
(diploidia). In questo caso, gli acidi nucleici
sono arrotolati attorno a molecole proteiche
dette istoni, e protetti agli estremi dai telomeri
(brevi segmenti di DNA), che impediscono che i
filamenti si uniscano tra loro (Muller, 1938
citato da: Blackburn, Lundblad, de Lange,
2006).
7
Figura 1: Cellula batterica
8
Figura 2: Cellula eucariote
Il vantaggio della diploidia dei protisti è
piuttosto evidente: avendo i geni in
duplice copia, rimediare a errori di
natura
genetica
diventa
meno
problematico di quanto sia per i batteri.
Vi è pure una maggiore possibilità di
ricombinare i geni e di apportare
modifiche per favorire l’evoluzione. La
differenza che ci interessa di più è però
che, come abbiamo visto, i batteri non
sono soggetti alla morte programmata
‘per invecchiamento’, mentre i protisti,
5
Ad esempio alghe, ciliati, amebe, eulgene.
6
Cellula caratterizzata dalla presenza di un nucleo ben definito e di attività metaboliche complesse.
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Fonte: www.it.wikipedia.org/wiki/Cellula
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Fonte: www.it.wikipedia.org/wiki/Cellula
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che si riproducono in maniera sessuata invece lo sono.
Ciò significa che da qualche parte tra il passaggio evolutivo da batteri a protisti la morte
programmata è comparsa, protraendosi sino al giorno d’oggi (Clark, 1996).
Cos’è quindi che ha reso necessario questo processo?
Come già menzionato, la morte programmata si è manifestata con la riproduzione sessuata. Una
delle forme più semplici di riproduzione sessuata tra cellule eucariotiche (i cui primi tentativi si
trovano già tra cellule batteriche) è la coniugazione, ossia il mutuo scambio di pezzetti di codice
genetico tra due organismi, che si allontanano in seguito l’uno dall’altro dividendosi poi per
fissione e creando quindi cellule figlie che sono geneticamente diverse dalle cellule originarie
(Clark, 1996).
Osservando alcuni tra i primi rappresentanti della riproduzione sessuata, i parameci9 (Figura 3),
si è scoperto che essi hanno materiale genetico diviso in due siti diversi: il micronucleo,
contenente materiale inattivo durante la maggior parte della vita dell’organismo, e il
macronucleo, contenente materiale responsabile per l’attività metabolica dell’organismo (Clark,
1996).
Figura 3: Diagramma di Paramecio
10
Soltanto al momento della riproduzione tra due parameci entrerà in gioco il DNA micronucleico
che si ricombinerà con il DNA micronucleico di un altro paramecio, lasciando in completa
disparte il DNA macronucleico. È qui che troviamo per la prima volta la presenza di DNA che non
9
Protisti ciliati
10
Fonte: http://testscuola.metid.polimi.it/index.php?title=Seconda_G/Anno_scolastico_20082009/GRUPPO_2/I_CILIATI&file=156 (figura formattata)
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sarà passato alle generazioni successive. Si può concludere quindi che il macronucleo non serve
a nulla per quel che riguarda la creazione del nuovo individuo e potrà quindi essere distrutto e
rimpiazzato. Questo DNA, che è stato attivo per tutta la vita dell’organismo e che ha avuto
tempo largamente sufficiente per accumulare danni ed errori genetici, non rappresenterà di
certo la prima scelta per quel che riguarda l’idoneità alla riproduzione. Per questo ci sarà
appunto il micronucleo, rimasto protetto e quieto durante tutta la vita del paramecio (Clark,
1996).
Andando per analogia, si potrebbe comparare il corpo umano e tutte le sue cellule somatiche al
macronucleo del paramecio. Il micronucleo con potenziale di immortalità è invece comparabile
alle cellule germinali dell’umano, che avranno la possibilità di tramandare la propria
informazione combinata a quella di altre cellule germinali per formare nuovi individui, senza mai
andare incontro alla sorte inevitabile del resto del corpo. Quando passano a un nuovo individuo
si può dire che, per le cellule germinali, l’orologio biologico si “azzera”; per questo si parla di
potenziale d’immortalità. È comunque chiaro che buona parte di esse morirà con la morte del
resto dell’organismo (Clark, 1996).
In merito al processo evolutivo, la riproduzione sessuata rappresenta un grande passo avanti: la
condivisione di geni e il mescolamento di linee evolutive, che con la sola fissione sarebbero
isolate, porta a una variabilità genetica molto più grande e quindi a un adattamento più rapido
e potenzialmente più efficace rispetto alle condizioni ambientali. Una volta che un organismo ha
avuto la possibilità di tramandare il proprio materiale genetico a nuovi individui, man mano
sempre più adattati, in realtà non serve più e anzi, in alcuni casi la sua presenza potrebbe
intralciare lo sviluppo degli organismi figli. Con questo ragionamento possiamo così arrivare a
comprendere e considerare sensato il processo di morte, perché più economico e conveniente
per il meccanismo evolutivo.
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1.4. Il problema di replicazione del DNA e i telomeri
Un singolo filamento di DNA è formato da una sequenza di nucleotidi ed è orientato: significa
che ha un’estremità 5' (dove si trova un gruppo fosfato libero) e un’estremità 3' (dove vi è un
gruppo idrossile libero) (Figura 4).
Il DNA è costituito da due filamenti uniti tra loro
tramite legami idrogeno e orientati in maniera
asimmetrica l’uno rispetto all’altro. I filamenti
saranno dunque appaiati in maniera: 5'-3' / 3'-5'.
Affinché si possa compiere la replicazione del
DNA, i legami idrogeno tra i due filamenti
vengono spezzati da enzimi come l'elicasi e la
girasi. Questo permetterà la creazione di bolle di
replicazione (Figura 5).
11
Figura 4: Singolo filamento di DNA, sequenza di nucleotidi.
Figura 5: Bolle di replicazione lungo una molecola di DNA.
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A ognuna delle due estremità di ogni bolla ci sarà una forca di replicazione. La duplicazione del
DNA avverrà in maniera simultanea a partire da due origini, situate a metà tra le due forche di
replicazione, una su ognuno dei filamenti (Figura 6).
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Fonte: www.avery.rutgers.edu
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Fonte : www.bio3400.nicerweb.net/Locked/media/ch11/replication_bubbles.html
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Le origini sono formate dall’enzima primasi che sintetizza diversi inneschi di RNA (costituiti da 510 basi di nucleotidi), complementari a vari siti del DNA. Essi garantiscono dei siti di partenza
per la DNA polimerasi che sintetizzerà in seguito i nuovi filamenti di DNA.
La sintesi, grazie all’enzima DNA polimerasi, si dice essere monodirezionale, poiché può avvenire
unicamente in direzione 5'-3' (Campell, Reece, Urry, Cain, Wasserman, Minorsky, Jackson,
2009).
Figura 6: A. Separazione di due filamenti di DNA per formare
una bolla di replicazione. A ogni lato della bolla (destro e
sinistro) si trova una forca di replicazione, mentre alle
estremità opposte della bolla (alto e basso) si troverà
un’origine di replicazione. B. Da ogni origine, la sintesi dei
nuovi filamenti avverrà sia verso destra sia verso sinistra. Il
filamento orientato in direzione 5’-3’ verrà replicato in
maniera lineare, mentre quello di orientamento 3’-5’ vedrà la
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formazione di frammenti di Okazaki.
Uno dei due filamenti viene detto guida (“leading strand”), ossia filamento primario, orientato
in direzione 3'-5’; esso servirà da stampo per costruire in maniera lineare il primo dei due nuovi
filamenti (orientato a sua volta in direzione 5'-3'). L'altro filamento è il filamento ritardato
(“lagging strand”), ossia il filamento secondario, che sarà un po’ più complicato da replicare
poiché anche lui orientato in direzione 5'-3'.
Per far sì che, anche in questo caso, la DNA polimerasi possa costruire il nuovo filamento, diversi
inneschi di RNA saranno sintetizzati sullo stampo, così da permettere all’enzima di duplicare il
DNA, anche se in maniera frammentata (Figure 6, 7). La DNA polimerasi passerà quindi da un
innesco di RNA all’altro, sintetizzando i cosiddetti frammenti di Okazaki in direzione 5’-3’ e
avvicinandosi nel contempo alla forca di replicazione (Campell, Reece, Urry, Cain, Wasserman,
Minorsky, Jackson, 2009).
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Fonte: Campell, Reece, Urry, Cain, Wasserman, Minorsky, Jackson, Biologia, ottava edizione, Ed. Pearson, 2009
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Figura 7: Schema riassuntivo della replicazione del DNA.
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Una volta finita la replicazione, a ogni estremità delle molecole figlie si troverà un innesco di
RNA, reduce dalla duplicazione dei due filamenti ritardati. Come tutti gli altri inneschi, anche
questi verranno eliminati, lasciando così scoperte le ultime 5 – 10 basi all’estremità del DNA.
Questo, essendo orientato in direzione 5’-3’ e in assenza di un innesco, non potrà più essere
duplicato (Figura 8).
Questa impossibilità di completare la duplicazione dei due filamenti ritardati, viene spesso
ricordata come “problema di replicazione”, poiché a ogni ciclo replicativo del DNA, le nuove
molecole risulteranno sempre più corte a causa dei filamenti scoperti non duplicati. Per questo,
la lunghezza dei cromosomi sarà progressivamente più corta in seguito a ogni ciclo riproduttivo
cellulare (Alberts, Bray, Hopkin, Johnson, Lewis, Raff, Roberts, Walter, 2010).
Al fine di proteggere i geni dal ripetuto accorciarsi dei cromosomi, alle estremità di questi ultimi
vi sono i telomeri (Figura 9), che sono formati da DNA costituito da numerose ripetizioni della
sequenza ‘TTAGGG’, o da sequenze molto ricche di ‘G’. Grazie ai telomeri, il DNA può preservare
l'integrità dei propri geni per più cicli cellulari. La lunghezza dei telomeri si accorcia a ogni ciclo
cellulare diminuendo perciò con l’aumentare dell’età dell’individuo. A causa di questo processo,
la lunghezza dei telomeri è quindi in relazione diretta con l'invecchiamento. Più sono corti i
14
Fonte: Campell, Reece, Urry, Cain, Wasserman, Minorsky, Jackson, BIOLOGIA, ottava edizione, Ed. Pearson, 2009
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telomeri, meno cicli cellulari potranno essere compiuti, più anziano sarà l'individuo (Campell,
Reece, Urry, Cain, Wasserman, Minorsky, Jackson, 2009).
Figura 8: I filamenti ritardati si accorciano in seguito a ogni replicazione del DNA.
15
Figura 9: Terminazioni ricche di ripetizioni telomeriche alle estremità dei cromosomi agiscono da protettori dei
16
geni .
15
Fonte: Campell, Reece, Urry, Cain, Wasserman, Minorsky, Jackson, BIOLOGIA, ottava edizione, Ed. Pearson, 2009
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Fonte: www.rockbot.in/conquering-cancer/
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1.4.1. Biologia telomerica – contesto storico
I primi studi concernenti i telomeri risalgono a quasi un secolo fa con Theodor Boveri, Barbara
McClintock e Hermann Muller. Si trattava principalmente di studi riguardanti i cromosomi e il
loro ruolo nelle cellule. Di particolare interesse erano le rotture nei cromosomi (spesso indotte
da irradiazione con raggi X) e in alcuni casi, la riparazione delle estremità dei filamenti
danneggiati. Boveri osservò che, durante le prime divisioni cellulari di un organismo, i
cromosomi rotti hanno la tendenza a consolidarsi in cromosomi più corti, intatti alle estremità
senza mostrare la tendenza ad attaccarsi fra loro (Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006).
Durante i suoi studi svolti sui moscerini della frutta sottoposti a radiazioni, Muller concluse che i
cromosomi rimasti apparentemente intatti dopo esposizioni a raggi X, nella maggior parte dei
casi dovevano essere invece il frutto dell’unione di due o più cromosomi frazionati. Un'altra
importante osservazione a cui giunse fu che, “tra due estremità originariamente considerate
intatte o tra un’estremità rotta e un’estremità originariamente intatta non si manifestano mai
legami di nessun genere”. Queste estremità intatte furono conseguentemente chiamate
telomeri (Muller, 1938 - citato da: Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006).
Già nel 1931 Barbara McClintock, studiando i cromosomi nel mais, aveva concluso che
“Un'estremità creata dalla rottura di un cromosoma non si sarebbe mai attaccata a quella di un
cromosoma intatto” (McClintock, 1931 - citato da: Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006). Una
successiva scoperta data da esperimenti di delezione dei telomeri mostrò che essi possono
essere riparati anche se soltanto in specifiche circostanze (McClintock, 1939 - citato da:
Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006).
In seguito alla scoperta della doppia elica (Watson, Crick, 1953) e del processo di replicazione
del DNA, fu possibile iniziare a chiarire la struttura dei telomeri e la loro funzionalità.
Nel 1978 ci fu una prima determinazione della sequenza nucleotidica dei telomeri del protozoo
Tetrahymena thermophila (Blackburn e Gall, 1978; Blackburn et al., 1983 - citato da: Blackburn,
Lundblad, de Lange, 2006): una limitata ripetizione del modulo CCCCAA/GGGGTT. Sequenze di
tipologia simile furono scoperte in altri organismi eucariotici. Finalmente nel 1988 si arrivò a
determinare che i telomeri umani sono composti da una serie di ripetizioni del codice TTAGGG
(Moyzis et al. 1988 - citato da: Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006) fino ad arrivare a circa
10kb di lunghezza17.
Chiaramente, anche la funzionalità dei telomeri era oggetto di interesse e nel corso degli anni
'80 furono compiuti numerosissimi esperimenti riguardanti l’argomento. Si tentò per esempio di
integrare telomeri di una specie nel materiale genetico (es: plasmidi lineari) di altre, con il
17
Per una lista aggiornata delle sequenze telomeriche finora scoperte vedi allegato 1
(http://telomerase.asu.edu/sequencestelomere.html)
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risultato che essi sembravano apportare stabilità ai cromosomi trasfettati. Questa
complementarietà e simile funzionamento tra specie si spiega osservando la struttura a livello
molecolare dei telomeri che, pur essendo diversi tra loro per quel che riguarda il codice,
mostrano caratteristiche (per esempio l'alta presenza di gruppi di 'G' o la struttura geometrica
dei complessi molecolari) e quindi proprietà molto simili (Blackburn, Lundblad, de Lange, 2006).
Un'altra caratteristica molto studiata è la serie di proteine reclutate dai telomeri e le loro varie
funzioni, solitamente aventi a che fare con la limitazione della lunghezza stessa dei telomeri
(alcune di esse verranno trattate nei paragrafi seguenti). Alcune di queste proteine sono in
grado di far sì che l'accorciamento dei telomeri non avvenga affatto al momento della
replicazione del DNA (in particolare l'enzima telomerasi, di cui si parlerà in seguito)
(Comunicazione personale A. Porro, 2011).
Finalmente, attribuendo l'accorciarsi nel tempo dei cromosomi all'accorciarsi dei telomeri in
seguito ai cicli riproduttivi cellulari, si è potuto arrivare a determinare un legame piuttosto
indiscutibile tra senescenza e riduzione delle dimensioni dei telomeri. Per supportare la teoria
della telomerasi, come componente chiave nella riproduzione e mantenimento dei telomeri, si è
trovato che nelle cellule somatiche umane questo enzima è presente, ma in bassissime quantità
(insufficienti a far sì che i telomeri possano essere ricostituiti). Nelle cellule cancerogene invece,
si trova una presenza costante ed elevata di telomerasi, che fa sì che i telomeri possano essere
mantenuti nella loro lunghezza se non addirittura allungati. Ciò spiega la mancanza di
senescenza nelle cellule tumorali. Cellule che divengono cancerogene sono quindi soggette a un
aumento della quantità di attività telomerasica al loro interno (Kim et al., 1994).
Gli anni '90 videro quindi la formazione di idee aventi come oggetto la regolazione della
telomerasi al fine di regolare la vita cellulare e di conseguenza anche quella umana: o per
uccidere le cellule, nel caso di quelle cancerogene (Kim et al., 1994), o per prolungarne la vita,
nel caso delle cellule somatiche umane (Levy et al., 1992 - citato da: Blackburn, Lundblad, de
Lange, 2006).
1.4.2.Telomeri e telomerasi
Come visto in precedenza, i telomeri si accorciano in seguito a ogni replicazione del DNA.
Successivamente a varie ricerche si è scoperto che la telomerasi, poco espressa nelle cellule
somatiche, ma molto più presente nelle cellule germinali, è in grado di ricostituire la lunghezza
dei telomeri. Questo enzima è costituito da 3 componenti: una componente RNA (hTER), una
subunità proteica che funge da catalizzatore per l’enzima (hTERT) e la proteina TP1,
responsabile per il mantenimento della struttura della telomerasi stessa (Ćukušić, Škrobot
16
Eleonora Frau
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2011-2012
Vidaček et al., 2008). Vi è inoltre una serie di ulteriori
proteine che si legano alla telomerasi, che saranno
elencate più tardi. Quando un telomero è troppo corto e
vi è un reclutamento dell’enzima, la sua componente
RNA (hTER) si appaia alle ultime basi azotate del
filamento, scoperto all’estremità 3’, e funziona come
stampo per l’estensione del telomero stesso ad opera
della telomerasi (Alberts, Bray et al., 2010). Di
conseguenza ci sarà nuovamente spazio sufficiente
perché una RNA polimerasi si unisca a sua volta al
filamento per creare un innesco di RNA e quindi una
nuova DNA polimerasi sarà in grado di costruire il
rispettivo filamento complementare (Figura 10). Alla fine
della costruzione del nuovo doppio filamento rimarrà,
nonostante la lunghezza ripristinata del telomero, una
nuova sequenza scoperta18 (Alberts, Bray et al., 2010). È
tuttavia importante ricordare che tante delle
caratteristiche della telomerasi sono state osservate in
organismi più semplici dell'essere umano e che l’azione di questa non è del tutto chiara negli
eucarioti più complessi, essere umano compreso.
Figura 10: Allungamento del telomero da
19
parte dell’enzima telomerasi. (© 2001
Terese Winslow).
18
Questo a causa dell’orientamento del filamento (5’-3’) e della direzionalità invariabile della DNA polimerasi.
19
Fonte: www.teresewinslow.com
17
Eleonora Frau
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2. Svolgimento
Avendo dato nei paragrafi precedenti una definizione e contestualizzazione ai concetti di
invecchiamento, senescenza e morte, si è descritta l’instaurazione della morte programmata nel
corso dell’evoluzione e identificato l’accorciamento dei telomeri come una delle cause per la
limitazione della vita degli organismi. Di seguito si analizzeranno più a fondo i diversi processi
determinanti la senescenza, a partire dal livello macroscopico, caratterizzato da fattori esterni
alla sfera strettamente individuale. Si passerà quindi alla senescenza legata al metabolismo
cellulare indipendente dai fattori esterni e infine al funzionamento specifico della telomerasi.
2.1. Livello macroscopico
2.1.1. Influenza della dieta
Un esperimento condotto nel 1934 da Clive McCay alla Cornell University dimostrò che la vita di
topi da laboratorio si allungava del 30% se la loro dieta veniva parecchio ridotta (McCay,
Crowell, 1934 – citato da Shurtleff, Aoyagi, 2009). Nel 1991 un gruppo di studiosi confinati per
due anni nella Biosphere 2 a Tucson notò un miglioramento delle prestazioni intellettuali e un
aumento del benessere fisico complessivo, nonché un abbassamento del colesterolo, dovuti a
un regime dietetico molto parsimonioso ideato da R.F. Walford (Walford, Harris, Gunion, 1992).
Nel 2007, uno studio in collaborazione con la Harvard Medical School ha mostrato infine che
seguendo una dieta RC (“restricted calories”, a calorie ridotte) vi è un aumento notevole
dell’attività di due geni che stanno nei mitocondri: SIRT3 e SIRT4, i quali sembrano responsabili
della longevità cellulare (Cameron, 2007). Si può concludere quindi che riducendo l’attività
metabolica del corpo, esso è meno sottoposto ai cambiamenti tipici dell’invecchiamento.
2.1.2. Influenza socio-psicologica
Per quel che riguarda l’aspetto psicologico, faccio riferimento agli studi condotti da Ellen Langer
nel 1979 (“Counterclockwise study”) (SC Magazine, 2010) e a una replica simile condotta da
Michael Mosley nel 2010 (BBC NEWS Magazine, 2010). Gli studi erano architettati così da
portare “indietro” nel tempo le menti dei partecipanti anziani, in modo da riuscire a
comprendere se anche il loro corpo avrebbe subito una sorta di ringiovanimento. Obbligati a
una maggiore attività fisica, in assenza dell’assistenza tipica che solitamente asseconda i più
anziani, i partecipanti erano confinati a vivere in un fittizio ambiente della loro infanzia. Per i
soggetti dell’esperimento di Ellen Langer si architettò un ambiente simile alla realtà dell’inizio
degli anni ‘60, mentre nel caso di Michael Mosley i partecipanti furono ospitati per una
settimana in una casa (e una realtà circostante ricreata) risalente al 1979. Al termine degli studi
la replica di test fisici e psicologici mostrarono un miglioramento delle prestazioni in entrambi i
gruppi.
18
Eleonora Frau
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2.2. Livello molecolare: invecchiamento cellulare
Una cellula è considerata viva quando essa è in grado di svolgere le reazioni legate al suo
metabolismo. Per essere più precisi: “la possibilità di vita è il prodotto dell’interazione
dell’energia termodinamica, reperibile dunque con specifiche macromolecole biologiche
organizzate in strutture determinate” (Clark, 1996). Seguendo questa definizione, si può
identificare senescenza nelle cellule, nel momento in cui si manifestano dei danni e
malfunzionamenti nel loro metabolismo. Ci sono diversi fenomeni che stanno alla base di questa
degenerazione, che si manifesta con il passare del tempo.
Il primo fattore importante, di cui tenere conto, è il limite di Hayflick (Hayflick, 1961), ossia il
limite dei cicli mitotici20, che una cellula è in grado di portare a termine. L. Hayflick, studiando i
fibroblasti, notò che in un individuo giovane essi possono andare incontro a circa 50 cicli
cellulari prima di morire, mentre nelle cellule di un anziano, questo limite è posto a circa 12 cicli.
Durante l’invecchiamento si nota una progressiva diminuzione del numero di cicli riproduttivi
cellulari (ciò non significa però che il numero di cellule dell’individuo si riduce).
Va inoltre considerato, che certi tipi di cellule non sono in grado di riprodursi del tutto e che una
volta morte, non si potranno più rimpiazzare. La limitata riproduttività cellulare può anche
essere causa di un peggioramento delle condizioni del sistema immunitario dell’individuo.
Inoltre, a livello morfologico si è notata una forma più appiattita nelle cellule più anziane (Yang,
2008).
Un’altra causa per l’invecchiamento delle cellule può essere dato dall’accumulo di danni al
genoma e quindi di mutazioni genetiche.
In genere, le molecole di DNA vanno incontro a modificazioni di tipo spontaneo al momento
della riproduzione mitotica. Nel momento in cui la cellula con DNA mutato riesce ancora a
rimanere attiva, le proteine da essa prodotte in alcuni casi non risultano più funzionali. L’idea
delle mutazioni spontanee si collega all’invecchiamento, poiché si nota un accumulo di proteine
mal funzionanti negli organismi con l’avanzare della loro vita (Ricklefs, Finch, 1995). Come causa
dell’accumulo di proteine erronee bisogna anche tener conto delle mutazioni dovute a
modificazioni chimiche del DNA. Per esempio, uno studio condotto nel 1989 da Kurt ed Erika
Randerath ha svelato l’accumulo di I-spot, ossia di modificazioni insolite che aumentano con il
passare dell’età (Randerath, Liehr, Gladek, Randerath, 1989)(Randerath , Putman et al., 1992).
Le mutazioni genetiche si possono inoltre verificare a causa di esposizioni corte e intense a
radiazioni nocive, o semplicemente a esposizioni di minore intensità, ma su un arco di tempo
più lungo, oppure grazie ad agenti mutageni. Dunque, più una persona ha avuto occasione di
20
Mitosi: riproduzione cellulare il cui prodotto finale vede la formazione di due cellule figlie, identiche a quella
“materna”.
19
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essere esposta a radiazioni, più sarà probabile che il suo codice genetico vada incontro a errori
di trascrizione o di riparazione (Figura 11).
21
Figura 11: 4 melanomi, spesso causati da un’eccessiva esposizione al sole.
Un altro problema individuabile durante il corso dell’invecchiamento, dato dalla riproduzione
del DNA, è la delezione spontanea, di solito riferita al DNA mitocondriale. Essa implica la perdita
di una base, di più basi o di un gene intero.
A causa della rapida e costante riparazione da parte delle cellule, non si è in grado di conoscere
con precisione la quantità di mutazioni subite dal DNA. Alcune di queste non riescono
comunque ad essere corrette in tempo o nel modo giusto. Nel peggiore dei casi si può talvolta
arrivare alla generazione di cellule tumorali maligne, frutto di mutazioni delle proteine p1622 e
p5323, responsabili per il rallentamento della duplicazione cellulare. Nella senescenza cellulare si
è notata inoltre una soppressione delle proteine p16, p2124 e p53 (Yang, 2008).
21
Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Melanoma
22
Una delle proteine regolatrici del ciclo cellulare
23
Proteina tumorale 53: regola il ciclo cellulare ed è responsabile per l’induzione dell’apoptosi nella cellula. Nelle
cellule tumorali si nota sovente una mutazione nel gene p53 (Alberts, Bray, Hopkin, Johnson, Lewis, Raff, Roberts,
Walter, 2010).
24
Proteina regolata da p53, regolatrice del ciclo cellulare
20
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Le cellule tumorali hanno potenziale d’immortalità: per anni si sono svolti studi sulle cellule
cancerose di Henrietta Lacks, morta di cancro alla cervice negli anni ‘50. Ancora oggi
sopravvivono le sue cellule (chiamate HeLa) in numerosi laboratori sparsi in tutto il mondo
(Skloot, 2010). La proliferazione incontrollata di queste cellule, solitamente con un numero
sopraelevato di cromosomi, può presentare gravi problemi per l’organismo proprio perché un
tessuto immortale in un corpo mortale porta a degli squilibri (Clark, 1996). Sorge dunque il
problema di riuscire a bloccare la diminuzione della proliferazione cellulare e al contempo di
riuscire a riportarla a uno svolgimento controllato in caso di tumori.
Le cellule cancerose non invecchiano, poiché tramite la telomerasi (nell’85% dei casi) o tramite
l’Allungamento Alternativo dei Telomeri (ALT)25 (nel 15% dei casi), non raggiungono mai il limite
di Hayflick (Yang, 2008).
Un ulteriore problema oltre alle mutazioni genetiche cui va incontro l’incolumità delle cellule è
rappresentato dalle reazioni con i radicali liberi.
I radicali liberi sono frammenti di molecole o atomi con un elettrone spaiato, prodotti
allontanando uno o più elettroni da un atomo di una molecola. Hanno prima di tutto una
funzione non nociva, in quanto in alcuni casi fungono da neurotrasmettitori (es. radicale libero
“NO”). Inoltre, essendo incredibilmente reattivi, sono in grado di legarsi a molecole non-self26
per renderle innocue per il nostro organismo (Ricklefs, Finch, 1995 (2002). Il loro
comportamento altamente reattivo e non selettivo le rende però una grave minaccia anche per
il self27. I radicali liberi fanno scattare catene di reazioni per trasferimento di elettroni
(ossidoriduzione), che possono recare pure esse danni al DNA. Le proteine ossidate sono rese
inattive, mentre i lipidi ossidati portano ad un ispessimento delle arterie (caratteristica molto
presente durante l’invecchiamento). Alcuni studi (Sinclair, Barnett, Lunec, 1990) (Koutsilieri,
Scheller, Grünblatt, Nara, Li, Riederer, 2002) riportano che una delle cause del morbo di
Parkinson sia legato all’accumulo di radicali liberi nel cervello. La reazione tra radicali liberi e
glucosio può, in certi casi, portare a legami incrociati di molecole adiacenti, provocando nel caso
dei tessuti (per esempio), una riduzione dell’elasticità, caratteristica tipica dell’anziano.
25
Nei processi ALT studiati si è riscontrata un’elevata attività da parte di componenti di riparazione e
ricombinazione del DNA (es: RAD52 “proteina di riparazione e ricombinazione”, exo1 “exonuclease 1” – riparazione
del DNA). Una differenza sostanziale tra l’allungamento dei telomeri tramite la telomerasi e tramite ALT è che
mentre la lunghezza telomerica dopo l’intervento della telomerasi è mediamente tra 5 e 20 kb, il meccanismo ALT
opera in maniera molto più imprevedibile e disordinata; la lunghezza telomerica reduce da ALT può variare infatti
da qualche centinaio di basi fino ad arrivare a 50kb (N.J. Royle, J. Foxon et al., 2008).
26
Non-self: riconosciute come estranee dal sistema immunitario
27
Self: molecole riconosciute come proprie dell’organismo
21
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2.3. Ricerche recenti sulla telomerasi
Come si è già spiegato nei paragrafi introduttivi, l’accorciamento dei telomeri sembra giocare un
ruolo cruciale nella regolazione della senescenza cellulare. L’immortalità delle cellule
cancerogene è data dalla preservazione dei telomeri da parte dell’enzima telomerasi (o in minor
misura da meccanismi ALT). Come è in grado di agire quindi la telomerasi, e cosa fa sì che essa
non venga espressa in quantità elevate nelle cellule somatiche? Di seguito si cercherà di
approfondire un po' di più i processi coinvolti nel mantenimento dei telomeri.
Due aspetti fondamentali da considerare quando parliamo di attività e regolazione della
telomerasi ai telomeri sono il processo di sintesi dell'enzima stesso e la regolazione data dal
substrato telomerico (e quindi l'accessibilità dell'enzima al telomero).
Nello sviluppo embrionale troviamo un altissimo grado di espressione della telomerasi che viene
poi silenziata in seguito all'inibizione del gene hTERT28 (presente nel 5° cromosoma) (Ćukušić,
Škrobot, Vidaček et al., 2008). La soppressione del funzionamento di hTERT può essere data da
diversi fattori: oltre ad aver identificato p53, Mad1, MZF2, pRb E2F, WT1 e il progesterone come
inibitori trascrizionali di hTERT (Ćukušić, Škrobot, Vidaček et al., 2008), è stato individuato nel
terzo cromosoma un gene soppressore di hTERT (Abe et al., 2010). I meccanismi precisi di come
questa subunità proteica della telomerasi venga regolata non si sono ancora riusciti a
determinare con esattezza. In aggiunta ai repressori trascrizionali di hTERT, se ne sono
identificati alcuni come regolatori positivi: estrogeno, cMyc, Sp1 e HPV E6 (Ćukušić, Škrobot,
Vidaček et al., 2008). Nel caso delle cellule germinali vi è comunque una moderata espressione
del gene hTERT, mentre in alcuni casi vi è un sua alta espressione nelle cellule somatiche, ma la
funzionalità della telomerasi è comunque inibita da altri fattori che codificano la trascrittasi
inversa29 (Chech, 2004). L’espressione di hTERT può anche verificarsi nociva alla longevità
cellulare nel caso in cui ce ne sia una sovra-espressione rispetto alla media generale presente
nelle cellule circostanti: si può verificare infatti un rallentamento nei cicli riproduttivi (Ćukušić,
Škrobot, Vidaček et al., 2008).
La telomerasi è composta da più strutture distinte: una molecola di RNA, una sub-unità di TERT
(Telomerase Reverse Transcriptase) e una serie di sub-unità proteiche (ad esempio l'EST1A30 o la
28
hTERT = human Telomerase Reverse Transcriptase – la trascrittasi inversa è un enzima che sintetizza DNA a
partire da RNA.
29
Enzima che sintetizza molecole di DNA a partire da uno stampo di RNA
30
Omologo della proteina Est1p trovata in precedenza nel lievito. In questo caso Est1p è responsabile per il
reclutamento e l'attivazione della telomerasi all'estremità del cromosoma (Chech, 2004).
22
Eleonora Frau
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sub-unità Ku31). La molecola di RNA non funge solamente da stampo per la trascrittasi inversa,
ma fornisce anche numerosi siti di attacco per le sub-unità proteiche.
E’ interessante notare la struttura della telomerasi in quanto, come già accennato, nonostante
le differenze nella composizione molecolare dell’enzima, la geometria della molecola rimane
piuttosto costante per tutti gli organismi. La complessità della struttura segue inoltre piuttosto
bene la linea evolutiva degli esseri viventi.
Per quel che riguarda la regolazione della telomerasi a partire dal substrato telomerico, ci sono
due fattori importanti da osservare: la geometria del telomero e il complesso di proteine legate
ad esso. I due sono strettamente legati tra loro in quanto le proteine sono direttamente
coinvolte nella conformazione geometrica dei telomeri.
2.3.1. Il complesso “shelterin” e la struttura telomerica
Le proteine principali conosciute, che si trovano attorno ai telomeri sono 6 e assieme prendono
il nome di “shelterin”(Figura 12) (de Lange, 2005):
TRF1 (“TTAGGG-repeat-binding factor 1”): proteina composta da 439 amminoacidi e
costruita da 3 domini (dominio acidico, dominio di dimerizzazione e dominio di
terminazione carbossile che si lega al DNA). TRF1 rimane localizzata ai telomeri durante
tutto il corso del ciclo cellulare in quanto si lega alle sequenze di TTAGGG
(indipendentemente dalla loro posizione nei cromosomi). Nelle cellule che presentano
un’alta espressione di telomerasi, TRF1 si comporta da regolatore negativo della
lunghezza dei telomeri32. Fungendo da protettore dei telomeri, embrioni senza TRF1
muoiono.
TRF2 (“TTAGGG-repeat-binding factor 2”): proteina composta da 500 amminoacidi, è
simile a TRF1. Sembra essere una proteina essenziale alla sopravvivenza degli organismi,
in quanto gli embrioni sprovvisti di TRF2 muoiono. La sua presenza nei telomeri viene
resa stabile dalla collaborazione di TRF1 e TIN2. TRF2 non si lega a filamenti singoli di
DNA.
TIN2 (“TRF1-interacting nuclear protein 2”): proteina composta da 354 amminoacidi,
interagisce con TRF1, TRF2 e TPP1, rappresentando così una componente centrale del
complesso ‘shelterin’. Una mutazione del gene codificante TIN2 è stata dimostrata
essere strettamente associata a pazienti affetti da discheratosi congenita33 (così,
aiutando a dimostrare il fatto che TIN2 è un’importante componente dello “shelterin”
per quel che riguarda la regolazione dell’enzima telomerasi) (Savage, Giri, et al., 2008) .
RAP1 (“Ras-related protein 1”): proteina composta da 399 amminoacidi e costruita da 4
31
Responsabile per i legami tra cromosomi danneggiati. Ku è inoltre responsabile per l’attività della componente
RNA della telomerasi (Thomas R. Chech, 2004).
32
Regolatore negativo: fa sì che i telomeri non si allunghino.
33
Forma di anemia congenita (Wikipedia)
23
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domini (BRCT34, Myb35, dominio di terminazione carbossile36, regione a spirale). È
presente in uguale quantità alla proteina TRF2. Quando TRF2 è assente, non si lega ai
telomeri e la quantità complessiva presente nella cellula diminuisce.
TPP1 (“tripeptidyl peptidase 1”): proteina importante per il reclutamento di POT1, può
legarsi direttamente a hTERT (Yang, 2008), la sua terminazione carbossile si lega a TIN2.
POT1 (“protection of telomeres 1”): proteina che si lega ai filamenti singoli di DNA ricchi
di ‘G’, potrebbe essere la componente chiave per quel che riguarda la formazione delle
strutture a cappio (“t-loop”), consolidando i nodi con l’aiuto di TRF2 (Yang, 2008).
Embrioni con carenza di POT1 sviluppano difetti nella crescita.
Per studiare il complesso ‘shelterin’ spesso si osserva il suo comportamento in caso di danni e il
conseguente impatto sulla struttura telomerica. Quando i telomeri si accorciano troppo e il
complesso ‘shelterin’ è assente, vi è una risposta ai danni del DNA che provoca l’apoptosi della
cellula (Yang, 2008). Il ‘shelterin’ è quindi essenziale per la protezione dei telomeri.
Figura 12: A. Complesso shelterin, B. introduzione del filamento 3’ nel doppio filamento, C. stabilizzazione del t-loop
37
da parte del complesso ‘shelterin’ .
TRF1 piega il DNA e forma strutture ricurve, mentre TRF2 è direttamente responsabile per la
formazione dei t-loop (l’agganciamento del filamento all’interno del doppio filamento di DNA)
(Figure 12, 13).
34
BRCA1 C-Terminus
35
Myb ha una carica sufficientemente positiva per interagire con il DNA (avente carica negativa).
36
Interagisce con TRF2
37
Fonte:www.bioscience.org
24
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Figura 13: Tre diversi tipi di struttura a cappio dei telomeri. A./B. Due diversi tipi di inserimento del filamento 3’ nel
38
doppio filamento. C. formazione di un G-quadruplex .
2.3.2. Regolazione dell’attività della telomerasi.
Al giorno d’oggi, i meccanismi dettagliati a livello molecolare riguardo la regolazione dell’enzima
telomerasi non sono ancora chiari. Sono infatti tutt’ora in corso ricerche in molti laboratori,
volte a capire meglio i processi legati all’argomento (comunicazione personale A. Porro, 2011)
(Redon, Reichenbach, Lingner, 2010). Nonostante ciò, ci si può comunque già riferire a un’ampia
quantità di informazioni, come presentato nei prossimi paragrafi.
2.3.2.1. Ruolo delle molecole TIN2 e TPP1 nel reclutamento della telomerasi
Da studi recenti su cellule HeLa “super-telomerasiche” e non (in entrambi i casi con un’alta
espressione della telomerasi rispetto alle cellule somatiche) si è scoperto che tramite delezione
di TIN2 e TPP1, la presenza della telomerasi diminuisce in maniera significativa presso i telomeri.
La perdita di TIN2 e TPP1 provoca l’attivazione di molecole responsabili per la riparazione del
DNA. La più bassa espressione della telomerasi si potrebbe dunque attribuire all’intervento di
tali molecole. È però stato dimostrato che esse non influiscono nella diminuzione
dell’espressione della telomerasi. È inoltre stato verificato che nonostante il legame tra TPP1 e
POT1, quest’ultima proteina non è coinvolta in maniera significativa nel processo di
38
Struttura complessa a quattro filamenti, Fonte: www.bioscience.org
25
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reclutamento dell’enzima. Da ciò si deduce quindi che sia TIN2 che TPP1 siano degli importanti
regolatori per il reclutamento della telomerasi ai telomeri (E. Abreu, E. Aritonovska, P.
Reichenbach, G. Cristofari, B. Culp, R. M. Terns, J. Lingner, M. P. Terns, 2010).
2.3.2.2 Ruolo di TERRA (“Telomeric repeat-containing RNA”39) – inibizione dell’azione
dell’enzima telomerasi
I telomeri umani sono strutture eterocromatiche40 e quindi
molto compatte; proprio per queste caratteristiche per molto
tempo si considerava che non fossero trascrizionalmente attivi.
Recentemente però diversi studi hanno rivelato che anche i
telomeri possono essere trascritti da RNA PolII41 per produrre
lunghi RNA non codificanti
a localizzazione nucleare,
conosciuti come gli RNA TERRA (Figura 14) (Luke, Lingner,
2009). TERRA è espresso nella maggior parte dei tessuti, anche
se non è ancora ben chiaro quali e quanti telomeri siano
trascizionalmente attivi in una singola cellula (Luke, Lingner,
2009). La trascrizione dei telomeri inizia a livello delle
sequenze sub-telomeriche, dove sono presenti sequenze
genomiche che fungono come promotori trascrizionali. TERRA
si trova nel nucleo cellulare, dove è strettamente associato
alle proteine telomeriche TRF1 e TRF2 e quindi ai telomeri
stessi.
Figura 14: Studio dell’espressione di Terra (puntini rossi) alle estremità dei
42
cromosomi tramite RNA-FISH . Le molecole di hRAP1 e quindi i telomeri
sono individuati utilizzando un anticorpo contro l’hRAP1 telomerico (puntini
verdi). Si noti come i puntini rossi e i puntini verdi si sovrappongono (nelle
39
RNA di lunghezza che varia da 100 a più di 10’000 nucleotidi (Lingner, 2011), contenente codici di ripetizioni
telomeriche e subtelomeriche, formato dalla trascrizione dei telomeri stessi (Redon, Reichenbach, Lingner, 2010).
40
Materiale cromosomico molto condensato
41
RNA polimerasi
42
FISH: ibridazione in sito con fluorescenza (metodo che permette di isolare e individuare determinate molecole
localizzate in punti specifici del DNA o RNA tramite fluorescenza)
26
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43 44
caselle “merge”), significando che Terra è espressa ai telomeri (le cellule utilizzate sono HeLa e U2OS ) .
Quest’ultima scoperta porta questa nuova classe di RNA non codificanti a presentare un nuovo
e ulteriore livello di complessità nel funzionamento e nella regolazione dei telomeri. Diversi
studi hanno trattato la funzione e il ruolo di TERRA nell’omeostasi telomerica. Alcune esperienze
suggeriscono che a causa della sua complementarietà di sequenza con uno dei due filamenti
telomerici, TERRA possa interferire e quindi regolare la replicazione delle estremità
cromosomiche. Per rafforzare questa ipotesi, recentemente è pure stato dimostrato come
TERRA interagisca con il complesso di origine di replicazione (ORC2), che normalmente coordina
il processo di replicazione ai telomeri (comunicazione personale A. Porro, 2011) . Inoltre, la
natura telomerica di TERRA fa sì che la sua sequenza nucleotidica, contenente ripetizioni di
codice telomerico sia esattamente complemetare anche al modulo di RNA presente nell’enzima
telomerasi (Redon, Reichenbach, Lingner, 2010). A questo riguardo, recentemente è stato
dimostrato che le molecole di TERRA sono in grado di interagire con la telomerasi, reprimendo
così l’azione della stessa e intralciando l’allungamento dei telomeri. Quindi, oltre alla possibilità
di ostacolare l’azione dell’enzima telomerasi tramite la formazione di strutture a cappio al
telomero come si è visto nei paragrafi precedenti, essa può anche essere repressa tramite la
formazione di legami chimici tra la componente RNA della telomerasi e le molecole di TERRA. Si
può quindi dichiarare che TERRA sia un “diretto inibitore della telomerasi” (Redon, Reichenbach,
Lingner, 2010) e che la sua presenza possa prevenire allo stesso tempo la replicazione e
l’allungamento delle estremità cromosomiche (Redon, Reichenbach, Lingner, 2010).
Un’ulteriore evidenza, che rafforza l’ipotesi che TERRA possa regolare la replicazione e
l’allungamento dei telomeri, deriva dal fatto che la localizzazione di TERRA ai telomeri sia
regolata in dettaglio. Innanzitutto, le molecole di TERRA sono regolate durante il ciclo cellulare.
Infatti, TERRA si accumula all’inizio della fase G1, mentre i suoi livelli di trascrizione sono
fortemente ridotti durante la fase S (cioè la fase in cui il DNA viene replicato). La modulazione
durante il ciclo cellulare è importante affinché TERRA possa evitare di interferire con la
replicazione dei telomeri e con il loro allungamento durante la fase S, in cui tutto il genoma
cellulare viene duplicato. Oltre a questa regolazione trascizionale, anche la localizzazione
nucleare di TERRA è sottoposta a uno stretto meccanismo di controllo. Infatti, la localizzazione
di TERRA ai telomeri viene controllata da un complesso di proteine, tutte appartenenti alla
stessa famiglia: UPF1, hEST1A e SMG1 (Chawla, Azzalin, 2008). Di solito questi tre fattori proteici
sono coinvolti nella degradazione di molecole di RNA prodotte da eventi trascrizionali erronei.
Recentemente la loro azione è stata correlata con la dissociazione di TERRA dalle strutture
telomeriche. In conclusione, la trascrizione dei telomeri e di TERRA può promuovere allo stesso
43
Cellule di osteosarcoma, un tumore maligno del tessuto osseo (U.S. National Library of Medicine)
44
Fonte: www.lingner-lab.epfl.ch/page-37810-en.html
27
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tempo la formazione di una struttura eterocromatica e compatta ai telomeri e d’altro canto
prevenire la replicazione e l’allungamento dei telomeri stessi. A questo stadio, sono comunque
ancora tanti i processi molecolari ancora sconosciuti che riguardano il metabolismo e la
regolazione di TERRA. Pertanto, la maggiore chiarezza riguardo la biogenesi di questa nuova
classe di RNA non codificanti potrà fornire importanti strumenti, utili a manipolare i livelli di
TERRA in vivo e di conseguenza l’omeostasi delle strutture telomeriche. In definitiva, TERRA è
solo uno degli ultimi esempi che testimoniano la complessità funzionale e strutturale dei
telomeri (Luke, Lingner, 2009).
2.3.1.1. Stage di biologia molecolare al laboratorio ISREC del Professor Lingner al Politecnico
Federale di Losanna
Qui di seguito vengono riportate alcune ricerche ed analisi effettuate durante lo stage svolto a
Losanna sotto la supervisione di: Joachim Lingner, Antonio Porro, Ivo Zemp e Chen Liuh-Yow dal
20 giugno al 1 luglio 2011.
Durante lo stage ho aiutato uno dei miei supervisori, Antonio Porro, a studiare come TERRA
possa condizionare il metabolismo dei telomeri quando si è in presenza di un danno localizzato
esclusivamente alle estremità cromosomiche di cellule umane. È importante sapere che i
telomeri possono essere resi non funzionali nel caso in cui le proteine appartenenti al
complesso “shelterin” vengano rimosse. I telomeri, infatti, quando depleti45 per esempio di
TRF2 non sono più protetti e vengono di conseguenza riconosciuti dalla cellula come DNA
danneggiato che deve essere riparato. Tutto ciò porta all’attivazione di un articolato
meccanismo molecolare che coinvolge il complesso multiproteico MRN (MRE11-RAD50-NBS1)
che porta alla fusione dei telomeri e alla perdita della struttura a singolo filamento presente alle
terminazioni cromosomiche, meglio nota come “G-overhang”46. In ultima analisi, tutti questi
eventi compromettono la stabilità genomica della cellula, che verte quindi sull’apoptosi. In
questo contesto, cioè in assenza della proteina TRF2, nel laboratorio del prof. Lingner è stato
rivelato un aumento trascrizionale di TERRA e contemporaneamente un accumulo ai telomeri di
un enzima ad attività demetilasica conosciuto come LSD1. È stato pure dimostrato come TERRA
e LSD1 possano interagire tra loro. Poiché TERRA è una componente indispensabile per la
struttura telomerica, questi dati supportano l’ipotesi secondo la quale sia proprio TERRA a
guidare LSD1 verso i telomeri, soprattutto in un contesto in cui essi non risultano essere protetti
a causa della deplezione di TRF2. LSD1 è un enzima che presenta attività demetilasica, e può
quindi rimuovere i gruppi metilici da differenti substrati proteici. Comunemente, LSD1 è stata
45
In assenza/sprovvisti di
46
A causa del problema di replicazione del DNA c’è un monofilamento scoperto agli estremi dei cromosomi, ricco
di G. Esso si chiama “G-overhang” o “sporgenza-G”.
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identificata come demetilasi delle lisine dell’istone H3, più precisamente di quelle localizzate in
posizione 4 (K4) e 9 (K9). Tuttavia è da considerare che LSD1 è in grado di demetilare anche
substrati non-istonici. Durante lo stage, si sono studiate le variazioni nella cromatina telomerica
in termini di demetilazione degli istoni H3 in posizione K4 e K9 (vedi punto 1) in un contesto in
cui i telomeri risultano danneggiati per la deplezione di TRF2. Inoltre, visto che il fenotipo
risultante dalla deplezione di TRF2 consiste nella perdita del G-overhang, si è cercato di
comprendere come LSD1 possa influenzare la formazione di tale struttura genomica (vedi punto
2):
1. Sapendo che la proteina LSD1 è in grado di dimetilare l’istone H3, si transfettano47 cellule
HeLa con quattro sh RNA (“short interfering RNA”, ossia RNA corti interferenti capaci di
spegnere la traduzione proteica in maniera specifica e mirata) diversi: shEV (empty vector, usato
come controllo), shLSD1 (impedisce la traduzione di LSD1), shTRF2 (impedisce la traduzione di
TRF2) e shLSD1 + shTRF2.
Tramite ChIP (Chromatin Immuno Precipitation48, ossia immunoprecipitazione della cromatina),
si analizza la quantità di LSD1, o TRF2 presenti nelle diverse condizioni (Figura 15). Si nota che
nel “silenziare” TRF2, si manifesta un aumento sia di LSD1, sia del complesso gH2AX (forma
istonica, che si accumula ai telomeri, indicando la presenza di un danno alla struttura del DNA)
(Figura 15). L’aumento di LSD1 potrebbe essere indicativo di una possibile demetilazione
dell’istone H3, studiata in seguito (Figura 16):
H3K4 monometilato non è presente ai telomeri in nessuna delle quattro condizioni, mentre la
quantità di H3K4 dimetilato non varia, indicando che non è dipendente dalla presenza di LSD1. Il
risultato interessante da notare è la diminuzione di H3K9 mono- e dimetilato in seguito alla
diminuzione di TRF2, ma non di LSD1. La diminuzione di H3K9 alla condizione shTR2 + shLSD1
porta alla conclusione che LSD1 non è in grado di ripristinare H3K9, quindi, nemmeno H3K9
dipende da LSD1. Questi risultati, suggeriscono che la presenza di LSD1 ai telomeri in un
contesto di danno al DNA non è correlato con la modificazione della cromatina telomerica.
Piuttosto, si può ipotizzare che LSD1 possa incidere sul fenotipo telomerico attraverso la demetilazione di un substrato non istonico, al momento non ancora identificato.
2. Quando si toglie TRF2 dai telomeri, essi si fondono assieme. Ciò significa che la sporgenza-G
sparisce. Per individuare la sporgenza-G, si digerisce il DNA genomico con gli enzimi RsaI e HinfI
per isolare i telomeri. Il materiale digerito viene quindi immesso in un gel, al quale viene
aggiunta una sonda telomerica. Poichè il DNA non è denaturato, gli unici monofilamenti che si
potranno legare alle sonde telomeriche saranno le sporgenze-G. Per essere sicuri che si tratta di
47
Gli RNA corti interferenti vengono introdotti nelle cellule HeLa per alterarne le condizioni.
48
Tecnica utilizzata per calcolare la quantità di proteine in una data zona del DNA tramite immunoprecipitazione.
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sporgenze-G, si tratta tutto con ExoI (un’esonucleasi), che degrada tutti i DNA a singolo
filamento in direzione 3’-5’. Il trattamento con ExoI comporta la perdita del segnale dovuto alla
sporgenza-G (sempre tenendo in considerazione il gel non denaturato, ossia quello nativo). Lo
stesso gel sarà poi completamente denaturato, facendo sì che tutti i filamenti siano singoli.
Questo gel si potrà usare come controllo della quantità totale di telomeri presente in ciascuna
delle condizioni analizzate (Figura 17).
Si è osservato che la quantità di sporgenze-G diminuisce in condizione shTRF2. Si è inoltre
notato che quando si aggiunge shTRF2 + shLSD1 una parte delle sporgenze-G vengono
ripristinate. Non è ancora stato chiarito né il motivo, né quale substrato di LSD1 sia responsabile
di questo fenotipo, ma è attualmente materia di ricerca (Figura 18).
Le seguenti figure riportano i risultati delle analisi (2011) :
Figura 15: A sinistra in alto: Blott 49risultante dalla ChIP, a destra in alto: espressione di LSD1 nelle quattro
diverse condizioni ed espressione di gH2AX (forma istonica che si accumula ai telomeri, indicando un
danno agli stessi) nelle quattro diverse condizioni. In basso a sinistra e a destra, stesso esperimento,
effettuato ai centromeri, come termine di paragone per i risultati ai telomeri.
49
Tecnica usata per osservare la quantità di determinate molecole in una certa sostanza.
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Figura 16: Analisi delle modifiche istoniche controllate da LSD1. Le variazioni di H3K4 e H3K9 indicano
che LSD1 non è responsabile per la dimetilazione degli istoni.
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Figura 17: Gel nativo50 e gel denaturato 51mostrante la presenza di sporgenze-G sotto le diverse
condizioni.
50
51
Non denaturato
Gel nel quale i filamenti di DNA sono stati staccati gli uni dagli altri per far sì che ci siano solo monfilamenti.
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Figura 18: diminuzione delle sporgenze-G sotto la condizione shTRF2, ripristino della quantità delle
sporgenze-G sotto la condizione shTRF2-shLSD1.
2.3.3. Comportamento della telomerasi all'accorciarsi dei telomeri
I ricercatori del laboratorio del professor Lingner hanno constatato che la telomerasi diviene più
attiva man mano che i telomeri diventano più corti. La telomerasi è attivata dall’espressione di
hTERT (Yang, 2008). Questo è dato da un alto numero di legami da parte delle proteine Rif1, Rif2
e Rap1 al telomero quando questo è più lungo di 125basi: il legame di queste proteine
garantisce la struttura a cappio (“t-loop”) del telomero, non permettendo quindi l'intervento
dell'enzima telomerasi. Man mano che il telomero si accorcia tramite la riproduzione cellulare,
le proteine non trovano più siti di legame ai telomeri e diminuiscono, facendo sì che la struttura
a cappio si riapra, lasciando che le chinasi Tel1 e Tbf1p (proteina presente nelle regioni
subtelomeriche) richiamino la telomerasi a ricostituire la lunghezza del telomero. Il ciclo si potrà
quindi ripetere (nuovi legami con Rif1,Rif2 e Rap1,...) (Lingner et al., 2011). I telomeri
danneggiati dall’invecchiamento possono portare a un’inibizione della replicazione cellulare e
all’erosione del filamento con terminazione 3’ dei telomeri.
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Eleonora Frau
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3. Conclusioni
Da secoli l’essere umano è alla ricerca di metodi per prolungare la vita umana e contrastare la
morte. Lo scopo di questo lavoro di maturità è stato di investigare più da vicino gli studi attuali
concernenti il tema. Prima di tutto si è dovuto comprendere cosa significassero i termini
“invecchiamento” e “senescenza” e quindi anche l’inevitabile conseguenza dei due: la morte.
Importante notare, che la morte per invecchiamento ha la sua origine nella riproduzione
sessuata. Infatti un batterio, che si duplica in maniera asessuata non muore mai “di vecchiaia”,
in quanto parte di esso si ritrova nelle cellule figlie e viene quindi considerato “immoratale”.
Tale organismo muore solo a causa di fattori esterni (mancanza di cibo, sostanze tossiche,
disidratazione, virus etc.). Con gli eucarioti, e i primi tentativi di riproduzione sessuata, gli
organismi sono in grado di riprodursi e di rimanere in vita essi stessi dopo aver dato origine alla
propria prole. A questo punto, è stato necessario “inventare” la morte per vecchiaia. Difatti, una
volta trasmesso il proprio materiale genetico alla prole, l’organismo genitore diventa,
biologicamente parlando, “inutile”. La riproduzione sessuata è essenziale per garantire una
maggiore variabilità genetica e quindi maggiori capacità adattative e probabilità di
sopravvivenza per la specie. Il prezzo da pagare, per la continuità della vita, è stata quindi la
morte di vecchiaia dell’individuo.
Studiando in seguito i fattori determinanti per la senescenza, se ne sono identificati alcuni di
provenienza esterna, quali la dieta, l’influenza socio-psicologica e influenza delle radiazioni sul
genoma. Altri, di provenienza interna al corpo, sono stati studiati più a fondo: il limite di
Hayflick, in costante diminuzione con l’avanzare dell’età, modificazioni genetiche, influenza di
radicali liberi e la nascita di tumori.
A livello molecolare è stato analizzato in dettaglio il problema della replicazione del DNA, causa
dell’accorciamento progressivo dei telomeri: lunghe sequenze di codice ripetitivo, ricco della
base azotata “G”. Di conseguenza è stato approfondito lo studio della struttura telomerica,
mantenuta dal complesso “shelterin”, composto da 6 proteine.
È stato studiato l’enzima telomerasi, complesso formato da più elementi, in grado di appaiarsi
alle estremità dei telomeri in modo da allungarli. Cellule con un’alta attività telomerasica, come
per esempio le cellule tumorali, non avranno mai i telomeri corti abbastanza per indurre la
cellula all’apoptosi e potranno quindi essere considerate “immortali”.
È stata identificata infine la molecola TERRA: un RNA non codificante in grado di interferire con
la replicazione delle estremità cromosomiche e di inibire l’azione della telomerasi. Durante uno
stage nel laboratorio del Prof. Lingner al Politecnico Federale di Losanna si è investigato più da
vicino il comportamento di TERRA nel caso di un danno strutturale ai telomeri (tramite
deplezione della proteina TRF2). Si è notato sia un aumento di TERRA, sia un aumento della
proteina demetilasica LSD1, di cui non si è però ancora identificato il ruolo.
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3.1. Considerazioni personali
3.1.1. Prospettive per l’allungamento della vita tramite la regolazione
telomerica
Le aspettative di vita rispetto a qualche centinaio di anni fa, o semplicemente a qualche decina
di anni fa sono largamente aumentate. Almeno in parte, le cause di ciò si possono attribuire al
costante e veloce sviluppo manifestato negli ultimi secoli in ambito medico. Innovazioni come la
vaccinazione, i trapianti di organi, l’uso del defibrillatore o la chemioterapia non sono più
fantascienza. Sembra che in futuro potrebbero addirittura diventare pratiche antiquate. Lo
sviluppo di organi a partire da cellule staminali potrebbe per esempio sostituire il bisogno di
pazienti donatori di organi, spesso carenti. Un’altra idea, che si è sviluppata negli ultimi decenni,
più inerente alla biologia molecolare, è quella di cercare di regolare l’azione dell’enzima
telomerasi al fine di allungare la vita o di combattere il cancro. Essendoci una netta correlazione
tra cancro e senescenza, ed essendo l’aspettativa di vita in continuo aumento, la lotta contro il
cancro sta diventando sempre più importante nella nostra società (Boncinelli, 2010). Discutendo
con i membri del laboratorio del professor Lingner è parso chiaro quanto l’idea di poter
allungare la vita, allungando quella delle cellule somatiche tramite un’elevata espressione della
telomerasi sia poco realizzabile: riuscire infatti a regolare la quantità di telomerasi in ogni
singolo tessuto del corpo umano in maniera specifica e diversificata, senza alterarne
significativamente le condizioni o provocare per esempio tumori o problemi di altro genere è al
momento impensabile, non si saprebbe neanche da dove cominciare.
Riuscire però a combattere il cancro tramite un’inibizione della telomerasi è un’idea più
applicabile: anche trovando un metodo generalizzato per diminuire l’espressione della
telomerasi all’interno di tutto il corpo, non si creerebbero particolari rischi poiché le cellule
somatiche non presentano comunque una grande espressione dell’enzima. Molte delle ricerche
recenti riguardo all’azione della telomerasi sono volte appunto all’elaborazione di un metodo
per silenziare l’espressione di questo enzima nelle cellule tumorali. Come è stato visto nei
paragrafi precedenti però, la strada per comprendere appieno i meccanismi regolatori
dell’azione di questa molecola è ancora lunga.
3.1.2. Prospettive per l’allungamento della vita tramite dieta a calorie ridotte
Seguendo una dieta a calorie troppo ridotte bisognerebbe ridurre anche l’attività fisica del
proprio corpo. Si potrebbe immaginare che una dieta a calorie ridotte potrebbe rappresentare
una soluzione, anche se soltanto in maniera parziale, per quel che riguarda le malattie di
invecchiamento precoce.
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Eleonora Frau
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3.1.3. Aspetti psicologici
A seguito di un piccolo sondaggio tra molti miei coetanei, ho scoperto che ce ne sono pochi che
aspirano ad una vita lunga, che oltrepassi gli 80 anni. La maggior parte di loro attribuiscono il
titolo di “vecchio” a individui che hanno oltrepassato i 65 anni, a volte addirittura i 50 o i 45.
Spessissimo si sentono frasi da individui di “mezz’età” che, a volte anche scherzosamente, si
definiscono “già vecchi”. È quindi chiaro quanto sia instaurata nella nostra società una chiara
idea, seppur approssimativa, della durata della nostra vita. In seguito agli esperimenti descritti
nel paragrafo 2.1.2. si può concludere che parte del nostro invecchiamento può essere
influenzato da questi pregiudizi propri della nostra cultura, dettati dalla società. Per esempio:
l’idea che a 80 anni si sia “vecchi” o che a 65 si sia vecchi “abbastanza” per andare in pensione,
o che un 80enne non sia in grado di sollevare con successo dei pesi o muoversi con totale
indipendenza, possono tutti essere fattori condizionanti l’invecchiamento. Vivere in una società,
che ha determinate idee e usanze legate alla vecchiaia può risultare a nostra insaputa un
condizionamento per i “vecchi” attuali e anche per quelli futuri.
3.1.4. Le aspettative di vita nella società del ventunesimo secolo - riflessioni
Anche se la scienza riuscisse a riparare e prevenire ogni singolo aspetto che caratterizza la
senescenza nell’essere umano, cosa assai improbabile, ci sarebbe sempre da considerare
l’influenza dei fattori ambientali. Nessuno (o quasi), riuscirebbe a essere immortale proprio per
una questione di probabilità. Neanche la scienza potrà mai garantire l’immunità da incidenti
legati all’ambiente nel quale viviamo. Da un punto di vista teorico sarebbe però possibile
raggiungere delle età molto avanzate. Per esempio, tra l’età di 10-15 anni, i decessi sono quasi
totalmente causati da fattori esterni al nostro corpo e il tasso di mortalità è pari allo 0,05%. Se si
riuscisse a mantenere questo tasso per tutta la durata della nostra vita, significherebbe che il
50% della popolazione sarebbe in grado di raggiungere l’età di 1200 anni (Clark, 1996). Come si
strutturerebbe la società qualora la vita media si allungasse in maniera così importante? Negli
ultimi 10 mesi ho cercato assiduamente e ricevuto una varietà incredibile di risposte a questa
domanda, la maggior parte inaspettate. Per convenzione è più semplice riflettere riguardo alla
possibilità di una società immortale, piuttosto che definire una cifra precisa per quel che
riguarda l’aspettativa di vita media (che risulterebbe relativa e scorretta), così da essere certi di
prendere in considerazione tutti gli aspetti caratterizzanti una vita prolungata oltre ogni norma
e regola. Si parte dalle risposte più tecniche, riguardanti il problema dell’aumento della
popolazione: già al giorno d’oggi si guarda con occhio critico e preoccupato la cifra esorbitante
che rappresenta il numero di individui presenti sul pianeta. Anche se fosse possibile, garantire
l’immortalità, anche soltanto alla metà della popolazione umana, porterebbe a una netta
diminuzione di decessi, accentuando di conseguenza la crescita demografica. Nei paragrafi
precedenti troviamo una situazione analoga, in quanto abbiamo descritto come una
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popolazione di batteri potenzialmente immortali non possa riprodursi all’infinito, a causa della
sua esistenza in un sistema finito. Per quanto il numero di esseri umani e la velocità di
riproduzione della specie siano nettamente inferiori a quelli dei batteri, si potrebbe applicare lo
stesso discorso alla presenza umana sul sistema finito “pianeta”: una società completamente
immortale non potrebbe che esistere in dimensioni e quantità di individui controllate. A questo
punto tanti hanno ipotizzato un controllo delle nascite per poter risolvere, almeno in parte, il
problema. Un’ulteriore riflessione porta però a domandarsi se limitare in maniera tale l’umanità
stessa degli individui, in cambio di una vita più lunga, sia un prezzo accettabile.
Si passa di seguito a un approccio più sociologico, andando a riflettere prima di tutto riguardo la
religione: rimandare considerevolmente o addirittura vincere la morte contrasterebbe le basi
della maggior parte delle religioni conosciute a noi oggi, per cui vi è una continuazione
ultraterrena alla nostra permanenza sulla Terra. La religione, in quanto esperienza comune tra
individui, compendio di riti e di promozione della solidarietà, vedrebbe un drammatico crollo del
proprio sistema. È molto difficile immaginare quali cambiamenti avverrebbero e a che velocità;
si potrebbe immaginare di trovare una risposta studiando la struttura di società laiche.
In secondo luogo, si può considerare la struttura politica della società: tante persone con cui ho
parlato hanno dichiarato impossibile l’esistenza di una società immortale se prima non vi fosse
una solida e funzionale struttura politica. Considerando poi l’occupazione vitale delle persone, il
fatto di vivere così a lungo farebbe sì che andare in pensione a 65 anni risulterebbe assurdo.
Inoltre, il rapporto tra tempo impiegato per la formazione e tempo lavorativo verrebbe
completamente sbilanciato. L’esperienza di ogni singolo individuo potrebbe raggiungere una
ricchezza, che oggi ci è impossibile raggiungere a causa del tempo finito che passiamo in vita. Ci
sarebbe per esempio meno bisogno di fissare nozioni e testimonianze storiche delle persone per
paura di perderle nel corso del tempo: al giorno d’oggi riuscire a intervistare un ex-soldato della
prima guerra mondiale è considerata un’opportunità molto speciale e preziosa, poiché si sa che
le memorie e la testimonianza spariranno per sempre tra poco tempo. Poter studiare con
“vecchi” esperti di una certa materia è un’opportunità da non perdere, perché tra “poco” questi
saggi specialisti non ci saranno più. L’aumentata longevità farebbe sì che ogni individuo avrebbe
più tempo per accumulare nozioni e memorie. Il bisogno di istruire nuove persone per poter
progredire con una certa ricerca o studio diminuirebbe e forse il progresso tecnologico sarebbe
ancora più spedito di quanto non sia oggi.
Infine, riguardo la psicologia della società, il fatto di vivere per un tempo indeterminato porta a
una rivalutazione piuttosto importante per quel che riguarda il senso della vita. Spesso si dice
che lo scopo per l’essere umano è trovare la “felicità”; non per niente la ricerca della felicità è
considerato un diritto inalienabile dell’essere umano. Cosa sia esattamente la felicità e come la
si trovi, sono domande senza una chiara risposta, alle quali si cerca di rispondere da migliaia di
anni. Parlando di immortalità, uno dei temi più ricorrenti nelle mie conversazioni e riflessioni è
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quello del senso della vita. Tanti hanno il timore che vivendo più a lungo si potrebbe perdere
facilmente l’interesse per la vita; esistono innumerevoli libri che trattano il tema dell’apatia,
scaturita da anni e anni di vita passata sulla Terra, senza un preciso obiettivo od occupazione52.
Ciò che risulta di solito da tali riflessioni è quanto la felicità sia importante ed essenziale per una
prospettiva di vita immortale. L’aspetto interessante di questa conclusione è che si può tornare
indietro e dire che la felicità è importante ed essenziale per qualsiasi vita, lunga o corta che sia.
Sappiamo anche che chi raggiunge la felicità è anche riuscito a realizzarsi in quanto essere
umano. Da secoli l’uomo si permette di fantasticare riguardo la possibilità di allungare la vita e
di diventare immortale. L’aspetto dell’infinità di una vita diventa però irrilevante quando si
mette in gioco l’aspetto della felicità: l’immortalità non è la chiave per trovare la felicità e la
realizzazione eterna; essa deve infatti venire cercata e forse trovata per altre vie, in maniera
indipendente dalla durata della vita. Chi si rattrista di fronte alla finitezza della propria vita può
quindi concentrarsi sull’idea, che non è nella finitezza che non si è in grado di trovare felicità e
che essa è da cercare indipendentemente dal passare del tempo.
52
Per esempio: Simone de Beauvoir , “Tous les hommes sont mortels”
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4. Ringraziamenti
Vorrei ringraziare in primo luogo tutti i membri del laboratorio del prof. Lingner, che si sono
dimostrati incredibilmente disponibili e pazienti nel rispondere a tutte le mie domande e nel
condividere con me il loro lavoro durante il mio stage. In particolare, il prof. Lingner, per avermi
dato la possibilità di visitare il laboratorio e Antonio Porro per tutta l’energia, preziosissima, con
la quale mi ha aiutata a portare a termine questo lavoro di maturità. Un grazie colossale va
inoltre alla prof.ssa Varini per tutto l’impegno, le ore, e la pazienza rivoltimi durante questo
anno di lavoro.
Ci terrei inoltre a ringraziare famiglia, amici e la prof. Palme per tutta la sopportazione e la
disponibilità al dialogo durante i miei interminabili brain-storming, dubbi e momenti difficili.
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restricted low-fat nutrient-dense diet in Biosphere 2 significantly lowers blood glucose, total
leukocyte count, cholesterol, and blood pressure in humans.
Watson, J.D., Crick, F. H. C. 1953. Nature. Genetical implications of the structure of
desoxyribonucleic acid.
5.1.Sitografia
www.ascensionhealth.org (Marzo 2011)
www.bbc.co.uk/news (Marzo 2011)
www.boston.cbslocal.com (Gennaio 2011)
www.digilander.libero.it/gerontology/page_3.htm (Maggio 2011)
www.ensembl.org/index.html (Agosto 2011)
www.geragogia.net/editoriali/medicinaantiageing.html (Maggio 2011)
www.it.wikipedia.org/wiki/Radicale_libero#Biologia (Maggio 2011)
www.it.wikipedia.org/wiki/Malattia_idiopatica_di_Parkinson (Maggio 2011)
www.it.wikipedia.org/wiki/Artrosi (Maggio 2011)
www.lingner-lab.epfl.ch (Marzo 2011)
www.newsweek.com/2009/07/09/eat-less-live-longer.html (Agosto 2011)
www.salk.edu/ (Febbraio 2011)
www.science-of-aging.healthaliciousness.com (Agosto 2011)
www.superconsciousness.com/topics/health/aging-reverse-counterclockwise-study (August 2011)
www.web.med.harvard.edu/sites/RELEASES/html/sinclair.html (Agosto 2011)
42
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
2011-2012
5.2. Fonte immagini
Figura 1: www.it.wikipedia.org/wiki/Cellula
Figura 2: www.it.wikipedia.org/wiki/Cellula
Figura 3: www.testscuola.metid.polimi.it/index.php?title=Seconda_G/Anno_scolastico_20082009/GRUPPO_2/I_CILIATI&file=156
Figura 4: www.avery.rutgers.edu/WSSP/StudentScholars/project/archives/onions/orien.html
Figura 5: www.bio3400.nicerweb.net/Locked/media/ch11/replication_bubbles.html
Figura 6-8: Campell, Reece, Urry, Cain,
edizione, Ed. Pearson, 2009
Wasserman, Minorsky, Jackson, BIOLOGIA, ottava
Figura 9: www.rockbot.in/conquering-cancer
Figura 10: www.teresewinslow.com
Figura 11: www.en.wikipedia.org/wiki/Melanoma
Figura 12: www.bioscience.org/2007/v12/af/2412/fulltext.asp?bframe=figures.htm&doi=yes
Figura 13: www.bioscience.org/2007/v12/af/2412/fulltext.asp?bframe=figures.htm&doi=yes
Figura 14: www.lingner-lab.epfl.ch/page-37810-en.html
Figura 15-18: Immagini procurate da A. Porro, Laboratorio professor Lingner, EPFL
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Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
2011-2012
6. Allegati
6.1. Lista di sequenze telomeriche scoperte fino a ottobre 2011
Fonte: http://telomerase.asu.edu/sequencestelomere.html
Vertebrati
vertebrato sp.
Sequenze
TTAGGG
Referenze
Meyne et al, 1989
Invertebrati
Sequenze
Referenze
Ciona sp.
TTAGGG
Ciona savignyi
TTAGGG
Oikopleura dioica
TTAGGG
Schulmeister et al,
2007
Botryllus schlosseri
TTAGGG
Laird and Weissman,
2004
Strongylocentrotus
purpuratus
TTAGGG
Sinclair et al, 2007
Donax trunculus
TTAGGG
Sinclair et al, 2007
Argopecten irradians
TTAGGG
Sinclair et al, 2007
Cassiopeidae sp.
TTAGGG
Ojimi et al, 2008
Gammarus pulex
TTAGG
Sahara et al, 1999
Drosophila melanogaster
retrotransposons
Biessmann et al,
1990
Drosophila virilis
retrotransposons satellite
sequence
Frydrychová et al,
2004
Chironomus tentans
satellite sequence
Nielsen et al, 1993
Anopheles gambiae
unequal recombination
Roth et al, 1997
Sialis lutaria
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Protidricerus japonicus
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Stenopsyche japonica
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Limnephilus decipiens
TTAGG
Frydrychová et al,
44
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
2011-2012
2004
Apis mellifera
TTAGG
Sahara et al, 1999
Bombyx mori
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Bombyx mandarina
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Samia cynthia ricini
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Antheraea pernyi
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Antheraea yamamai
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Mamestra brassicae
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Papilio xuthus
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Galleria mellonella
TTAGG
Sahara et al, 1999
Ephestia kuehniella
TTAGG
Sahara et al, 1999
Agrius convolvuli
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Locusta migratoria
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Diestrammena japonica
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Hodotermopsis japonicus
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Periplaneta fuliginosa
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Tapinoma nigerrimum
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Manica yessensis
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Myrmecia sp.
TTAGG
Meyne et al, 1995
Diacanthous undosus
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Graphoderus cinereus
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Stegobium paniceum
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Arhopalus coreanus
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Spondylis buprestoides
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Leptinotarsa decemlineata
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Ips typographus
TTAGG
Sahara et al, 1999
45
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
Oryzaephilus surinamensis
Tribolium castaneum
2011-2012
Frydrychová et al,
2004
TTAGG
Tribolium Gen. Seq.
Con., 2008
TCAGG
Osanai et al, 2006
Agrilus viridis
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Ampedus sanguineus
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Melanotus legatus
TTAGG
Okazaki et al, 1993
Silpha obscura
TTAGG
Frydrychová et al,
2004
Ascaris lumbricoides
TTAGGC
Müller et al, 1991
Ascaris suum
TTAGGC
Teixeria et al, 2005
Parascaris univalens
TTGCA
Teschke et al, 1991
Caenorhabditis elegans
TTAGGC
Cangiano et al, 1993
Funghi
Schizosaccharomyces
pombe
Sequenze
G2–8TTAC(A)
Referenze
Joseph et al,
2007
Murray et al,
1986
Shampay et al,
1984
Saccharomyces cerevisiae
T(G)2-3(TG)1-6
Saccharomyces bayanus
T(G)2-3(TG)1-6
Teixeria et al,
2005
Saccharomyces paradoxus
T(G)2-3(TG)1-6
Teixeria et al,
2005
Saccharomyces mikatae
T(G)2-3(TG)1-6
Teixeria et al,
2005
Saccharomyces exiguus
T(G)2-3(TG)1-6
Cohn et al, 1998
TCTGGG(TG)1-3
Cohn et al, 1998
Saccharomyces
dairenensis
McEachern and
Blackburn, 1994
TCTGGG
46
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
2011-2012
Saccharomyces castellii
TCTGGG(TG)1-4
Cohn et al, 1995
Saccharomyces kluyveri
GGGTGGACATGCGTACTGTGAGGTCT
Cohn et al, 1998
Kluyveromyces lactis
ACGGATTTGATTAGGTATGTGGTGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida albicans
ACGGATGTCTAACTTCTTGGTGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida glabrata
CTGGGTGCTGTGGGGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida guillermondii
ACTGGTGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida maltosa
ACGGATGCAGACTCGCTTGGTGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida metapsilosis
GGTTAGGATGTCCAAAGTATTGA
Gunisova et al,
2009
Candida orthopsilosis
GGTTAGGATGTAGACAATACTGC
Gunisova et al,
2009
Candida parapsilosis
GGTCCGGATGTTGATTATACTGA
Gunisova et al,
2009
Candida pseudotropicalis
ACGGATTTGATTAGTTATGTGGTGT
McEachern and
Blackburn, 1994
Candida sojae
TGTAAGGATGCAAAACCGCTATTCG
Gunisova et al,
2009
A[C/A]GGATGTCACGATCATTGGTGT
Candida tropicalis
Gunisova et al,
2009
McEachern and
Blackburn, 1994
AAGGATGTCACGATCATTGGTGT
Debaryomyces hansenii
ATGTTGAGGTGTAGGG
Lépingle et al,
2000
Ashbya gossypii
GTGTGGTGTATGGGTCTCTCAGCG
Dietrich et al,
2004
Lodderomyces
elongisporus
CGGTGTAAGGATGCACTTGAAACT
Gunisova et al,
2009
Pichia guilliermondii
ACTGGTGT
Teixeria et al,
2005
Pichia stipitis
GGATCTTTTCACGTCTTGCGGTA
Jeffries et al,
47
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
2011-2012
2007
Yarrowia lipolytica
GGACGATTG
Teixeria et al,
2005
Clavispora lusitaniae
TCTTTAGGGAGGTACTGATGT
Gunisova et al,
2009
Aspergillus fumigatus
TTAGGG
Nierman et al,
2005
Aspergillus oryzae
TTAGGGTCAACA
Kusumoto et al,
2003
Aspergillus nidulans
TTAGGG
Bhattacharyya
et al, 1997
Histoplasma capsulatum
TTAGGG
Woods et al,
1992
Cladosporium fulvum
TTAGGG
Coleman et al,
1993
Magnaporthe grisea
TTAGGG
Teixeria et al,
2005
Podospora anserina
TTAGGG
Javerzat et al,
1993
Neurospora crassa
TTAGGG
Schechtman,
1990
Cryptococcus neoformans
TTA(G)4-6
Edman, 1992
G[A/G]GCCT[C/T]CT
Peyret et al,
2001
Encephalitozoon cuniculi
GAGCCTTGTTT
GAGACGCAGTGTTGCCAGGATG
Rhizopus oryzae
TTGTGG
Ma et al, 2009
Dictyostelium discoideum
A(G)1-8
Emery et al,
1981
Physarum polycephalum
TTAGGG
Forney et al,
1987
Didymium iridis
TTAGGG
Forney et al,
1987
48
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
Piante
2011-2012
Sequenze
Referenze
Nicotiana tabacum
TTAGGG
Weiss et al, 2002
Solanum lycopersicum
TT[T/A]GGG
Ganal et al, 1991
Strombosia pustulata
TTTTAGGG
Teixeria et al, 2005
Arabidopsis thaliana
TTTAGGG
Richards et al, 1988
Aloe sp.
TTAGGG
Weiss et al, 2002
Hyacinthella dalmatica
TTAGGG
Puizina et al, 2003
Othocallis siberica
TTAGGG
Weiss-Schneeweiss et al, 2004
Alghe
Sequenze
Referenze
Cyanidioschyzon merolae
AATGGGGGG
Nozaki et al, 2007
Chlamydomonas reinhardtii
TTTTAGGG
Petracek et al, 1990
Ciliati
Sequenze
Referenze
Glaucoma chattoni
TTGGGG
Katzen et al, 1981
Tetrahymena thermophila
TTGGGG
Blackburn et al, 1978
Paramecium tetraurelia
TT[T/G]GGG
Forney et al, 1988
Paramecium primaurelia
TT[T/G]GGG
Forney et al, 1988
Paramecium multimicronucleatum
TT[T/G]GGG
Forney et al, 1988
Paramecium caudatum
TT[T/G]GGG
Forney et al, 1988
Euplotes aediculatus
TTTTGGGG
Klobutcher et al, 1981
Euplotes eurystomus
TTTTGGGG
Klobutcher et al, 1981
Euplotes crassus
TTTTGGGG
Klobutcher et al, 1981
Oxytricha nova
TTTTGGGG
Klobutcher et al, 1981
Oxytricha trifallax
TTTTGGGG
Klobutcher et al, 1981
49
Eleonora Frau
Lavoro di Maturità
Altri protisti
Sequenze
2011-2012
Referenze
Plasmodium falciparum
TT[T/C]AGGG
Vernick et al, 1988
Plasmodium berghei
TT[T/C]AGGG
Ponzi et al, 1985
Theileria annulata
TTTTAGGG
Sohanpal et al, 1995
Cryptosporidium parvum
TTTAGG
Liu et al, 1998
Giardia lamblia
TTAGG
Morrison et al, 2007
Giardia intestinalis
TAGGG
Le Blancq et al, 1991
Leishmania major
TTAGGG
Teixeria et al, 2005
Trypanosoma brucei
TTAGGG
Blackburn et al, 1984
50