Paul Badura-Skoda A tie is a tie is a tie
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Paul Badura-Skoda A tie is a tie is a tie
I quaderni dell’Accademia numeri precedenti n° 1 (Dicembre 1999) Stefano Fiuzzi Il recupero del fortepiano e la sua presenza nella vita musicale contemporanea n° 2 (Dicembre 2000) Jörg Demus "Wandererfantasie" di Franz Schubert ACCADEMIA BARTOLOMEO CRISTOFORI amici del Fortepiano Paul Badura-Skoda A tie is a tie is a tie (Una legatura è una legatura!) Riflessioni sulle coppie di note legate in Beethoven I quaderni dell’Accademia n° 3 Dicembre 2001 NOTE 1) Secondo me il fortissimo della battuta “1” che si trova in alcune edizioni è semplicemente un malinteso del segno dell’entrata da capo sul manoscritto. 2) E’ emblematico il fatto che che le indicazioni “non ligato” di Beethoven nei movimenti finali delle Sonate op. 31 n° 3 [batt. 275] e op. 106 [batt. 184] siano state cambiate in “ben legato” nell’edizione completa (1880 circa). 3) G. D. F. Türk, Klavierschule (Halle, 2/1802); vedi anche E. e P. Badura-Skoda, Interpreting Mozart on the Keyboard (New York, R1986), pp. 54f 4) C. Czerny, On the Performance of all Beethoven’s works for the Piano, ed. P. Badura-Skoda (Vienna, 1970) [facs. edn. of Czerny’s Pianoforte-Schule op. 500, iv, chapters 2f]. Czerny non dà nessuna spiegazione sugli analoghi passaggi delle opp. 106 e 110. 5) H. von Bülow, Beethoven’s Werke für Pianoforte Solo (Stuttgart, 1886) 6) A: Schnabel, Beethoven: 32 Sonate per Pianoforte (Milano, 1891) 7) Czerny (ed. Badura Skoda), op. cit. p. 5 8) H: Schenker, Beethoven: Die letzten Sonaten (Sonate As dur op. 110) (Vienna 1972) 9) Schenker, op. cit. p. 71 10) Ibid Una legatura è una legatura! Riflessioni sulle coppie di note legate in Beethoven Un’antichissima regola comanda che quando due note della stessa altezza sono collegate da una legatura, il valore della seconda nota va sommato a quello di quella prima senza produrre un nuovo suono. In molti casi la legatura è uguale al puntino di prolungamento: Mozart, ad esempio, preferisce usare questo tipo di notazione a quest’altra. Secondo alcuni pianisti il solo Beethoven può contravvenire talvolta a queste regole. Tuttavia, esiste una norma quasi ugualmente antica per le note ripetute, che dovrebbero essere in questo caso separate leggermente: questa notazione è una combinazione di legatura e puntini, ed è convenzionalmente definita come il “portato” o il “portamento”. Stranamente questa notazione è poco conosciuta, se non spesso fraintesa dai pianisti e dagli strumentisti ad arco, che sovente suonano le note tenendole troppo poco. Forse potrebbe essere utile cambiare questa notazione consueta per evitare l'interpretazione errata, per esempio nel movimento con variazioni della Sonata per pianoforte op. 109 di Beethoven, le battute 153 e seguenti 11) Schnabel, op. cit. pp. 235f, fn 12) Schenker, op. cit. pp. 66f; traduz. P: Badura-Skoda 13) Bülow, op. cit. pp. 53, 108 (fns) potrebbero essere scritte così. Traduzione di Rodolfo Alessandrini -12- -1- In almeno tre delle sue opere, Beethoven ha creato ulteriore confusione aggiungendo la diteggiatura 4-3 alle coppie di note legate, cosa che provoca una legittima domanda: perchè il compositore avrebbe richiesto due diteggiature differenti per suonare una sola nota? Queste notazioni si presentano nello Scherzo della Sonata per violoncello e pianoforte op. 69, 1 nell’Adagio della Sonata per pianoforte op. 106, e due volte nella Sonata op. 110. nista è costretto a rimanere sul tasto più a lungo, ed in secondo luogo, una pressione del tasto proveniente da un movimento del polso, porta le dita ad assumere una posizione rilassata ed un tocco morbido. Infine consideriamo l’ultimo caso di legature ripetute, vale a dire quelle dell’Arioso dolente. Molti pianisti ripetono queste note usando il doppio scappamento (come nell’esempio qui sotto), ma dovrebbero ricordare che questo brevetto di Erard non esisteva ancora ai tempi di Beethoven. Anche qui è molto probabile che le legature siano reali. Qualcuno ha citato anche il “vibrato” del clavicordo per giustificare la separazione (leggera) delle note legate, come se Beethoven avesse provato ad imitare una caratteristica di uno strumento ormai estinto. 13 Ironia vuole che il segno per questo effetto di vibrato non fosse la legatura ma il segno di portato. E comunque sia, una nota con l’effetto del vibrato sul clavicordo non va ripetuta per nulla! Anzi l'estremità della leva del tasto deve rimanere costantemente in contatto con la corda mentre un delicato movimento ondulatorio della punta delle dita produce un leggero cambiamento di intonazione. Ed è difficile capire per quale ragione Beethoven dovrebbe aver sentito la nostalgia di uno strumento che ha significato poco o niente per lui. Così in definitiva, propongo di trattare queste legature di Beethoven come semplici legature. Paul Badura-Skoda © -2- -11- cui la relativa vocale ha una importanza sentimentale, e può variare nell'intensità fra il più tenero sospiro etereo e l’invocatione più appassionata (in Inglese “you” è identico nel significato e nel suono della vocale, ma 'Du' è più intimo, espressivo e caldo). 11 Nessuno nega il valore interpretativo del pianista Schnabel, ma in questo caso immaginare la parola 'du-u-u-u…' pronunciata 14 volte nelle figurazioni successive diventa ridicolo. Inoltre il suggerimento di Schnabel crea un ulteriore problema, perché tutto questo passaggio che appare come un graduale sottinteso accelerando, con l’interpretazione di Schnabel assume invece un ritmo irregolare, per più con una inattesa fermata sulla prima nota senza legatura: la semicroma puntata del sesto la. La spiegazione più chiara di questo passaggio è stata offerta da Schenker. «possiamo notare che il la in partitura è ripetuto continuamente a intervalli sempre più vicini, la prima volta (croma puntata) dura tre sedicesimi, poi dura due sedicesimi, poi un sedicesimo e mezzo, ed infine nove volte un sedicesimo». 12 Egli riporta anche un grafico di queste sincopi: È interessante osservare che tutte queste legature si trovano sulle note sincopate. Per di più, la maggior parte di queste figurazioni potrebbe esser scritta semplicemente raddoppiando il valore della nota, evitando così le legature. Prima di trarre qualsiasi conclusione però, dobbiamo analizzare le notazioni simili in alcuni altri lavori, e riflettere bene sulle intenzioni dell’autore. Altre coppie di note legate possono essere trovate nell’Adagio del Quartetto in mi minore op. 59 n° 2, nella Grande Fuga op. 133, Schenker insiste sul fatto che la diteggiatura 4-3 non suggerisce di ripetere il suono, ma di premere silenziosamente il tasto per ragioni di agogica espressiva. Io trovo che questa interpretazione quasi una emissione vocale trascritta per pianoforte - sia la più convincente. La diteggiatura 4-3 (con la sostituzione silenziosa) offre due vantaggi: in primo luogo, il pia-10- -3- nel secondo movimento della Sonata per pianoforte op. 111, e naturalmente nella parte del violoncello dello stesso Scherzo dall’op. 69. Gli esempi più intriganti sono quelli dell’op. 59 n° 2 e dell’op. 111. Cosa ha indotto Beethoven ad usare una notazione complicata e inconsueta, quando quella più semplice avrebbe prodotto apparentemente lo stesso risultato nelle esecuzioni? Paragonate questa scrittura di Beethoven Czerny, sostiene Schenker, ha frainteso: malgrado le indicazioni della diteggiatura 4 - 3 sullo stesso tasto, la nota non deve essere ripetuta. Il suo ragionamento è basato sul fatto che il violoncello può rispettare il testo di Beethoven soltanto con un’arcata lunga. 9 Allo stesso modo, sempre secondo Schenker, le coppie di note legate dell’op. 106 riportate nell’esempio a pag. 2, devono essere suonate come legature reali di valore, così come nella battuta precedente a quella. 10 Effettivamente è musicalmente sbagliato ripetere dodici note al posto di questa più ovvia e pacifica soluzione. con quest’altra possibile. Oppure quest’altra sempre usata da Beethoven Però non c’è una terza soluzione: o si sceglie di legare queste note, oppure no! Per ciò che riguarda la questione più controversa, quella sulle legature che si trovano nel recitativo dell’op.110, Schnabel dichiara quanto segue: con questa anche possibile. Per dare una risposta corretta a questo problema dobbiamo esaminare le abitudini interpretative dell’epoca, che sono radicalmente cambiate durante il diciannovesimo secolo. Il periodo tra la fine del diciottesimo secolo e l’inizio del diciannovesimo, ha dato risalto ad una maniera di suonare chiaramente articolata che tendeva Quando il terzo dito tocca il tasto dopo il quarto, dovrebbe produrre un impulso aggiunto, qualcosa fra un suono reale ed immaginato, ma udibile in ogni caso. Potrebbe essere utile pensare ad una parola per rappresentare il suono e l'espressione voluti, una sillaba per il gruppo di due note: forse la parola 'Du', in -4- -9- di modo che suoni quasi come segue: così, la prima nota (col 4° dito) molto “tenuto” e l'altra (col 3° dito) elegantemente staccata come segnato, e così nelle zone analoghe. Il 4° dito deve quindi scivolare da parte e fare spazio al 3°. (Commento di Carl Czerny sullo scherzo di Beethoven dalla Sonata per violoncello e pianoforte, op. 69.) Poiché Czerny era allievo di Beethoven, è ovvio che la sua opinione sia stata considerata attendibile, e che sia quindi stata seguita da generazioni di pianisti, compresi Hans von Bülow 5 ed Artur Schnabel. 6 Tuttavia è improbabile che Czerny abbia ricevuto questo insegnamento dallo stesso Beethoven. Anche se sappiamo con certezza che egli studiò proprio con l’autore un certo numero opere giovanili di Beethoven, sappiamo anche che successivamente i suoi contatti col grande Ludwig divennero sempre più rari. Sarebbe ingenuo supporre che Czerny abbia avuto regolari consultazioni con Beethoven sulle questioni interpretative; tantopiù che questo avrebbe lasciato una traccia tangibile nei quaderni di conversazione. Inoltre constatiamo che Czerny non aveva studiato l’op. 69 in questione con Beethoven, infatti in una lista (rilasciata a Nottebohm) delle opere studiate col grande maestro, la suddetta Sonata per violoncello non risulta in catalogo. 7 Il primo musicologo a rendersi conto che l’interpretazione di Czerny era errata - nell’op. 69 così come nelle opp. 106 e 110 - fu l’eminente Heinrich Schenker. La sua edizione critica dell’op. 110 è un monumento di precisione e consapevolezza, e l’analisi è di gran lunga la migliore mai realizzata di una delle ultime Sonate di Beethoven. 8 -8- allo staccato, e in cui le lunghe legature di portamento erano l'eccezione alla regola. Nel corso del diciannovesimo secolo, invece, lo stile predominante nell’esecuzione è divenuto gradualmente il legato. 2 Quindi il tipo tocco comune nell’800 era una sorta di “non-legato”, cosa che implica una riduzione della durata della nota: quando la partitura indicava delle note senza segni di articolazione, cioè nè staccate nè legate, il tasto veniva rilasciato in genere un attimo prima di quanto il valore teorico della nota non richiedesse. 3 Sembra che al tempo di Beethoven una semiminima senza un segno di articolazione fosse ridotta generalmente al valore di una croma se non di una croma puntata. È improbabile però che i grandi compositori viennesi approvassero questa abitudine che impoverisce non di poco la musica delle sue intenzioni espressive. Così il solo modo che essi avevano per dare all’esecutore un suggerimento che lo obbligasse a mantenere i valori della nota, era questo “tenuto” o “sostenuto” supplementare, artificiale. Quindi ad esempio capiamo perchè nell’ultimo Haydn e nel primo Beethoven la parola “tenuto” in partitura è usata così spesso in occasioni in cui a noi oggi sembrano inutili: per esempio, nelle variazioni in fa minore di Haydn (Hob XVII/4), -5- o nel secondo movimento della Sonata op. 7 di Beethoven. In questi casi noi troviamo scritta la parola “tenuto” sugli accordi della mano sinistra o della destra. Ma una parola scritta in partitura, si sa, è facilmente trascurata dall' esecutore. Di conseguenza Beethoven ha scelto un metodo personale nella notazione che ha reso chiaramente visibile la durata più lunga delle note, di modo che l’esecutore fosse obbligato a realizzare correttamente le sue intenzioni. Con la notazione dell’op. 59 n° 2 o dell’op. 111, soltanto un dilettante potrebbe eseguire il passaggio così anziché così. Come abbiamo detto prima, il nostro equivoco è dovuto al fatto che due diteggiature differenti sullo stesso tasto sembrano suggerire la presenza di due suoni, malgrado la legatura che collega le note. Il primo autore a darci una sua interpretare di questa figurazione fu Carl Czerny, il cui commento alla Sonata per violoncello e pianoforte op. 69 è riportato nell’illustrazione seguente 4 Oppure così anziché così Infatti non ho mai sentito nessun pianista o violinista ripetere le note nei passaggi appena citati delle op. 111 e 59 n° 2. Nella Grande Fuga specialmente, una ripetizione delle note legate storpierebbe il tema fino a renderlo irriconoscibile! Inoltre, a riprova di questo, troviamo alcune entrate del tema che Beethoven scrive in notazione convenzionale: Le legature nella mano destra e la diteggiatura disposta sopra di esse, qui indicano ovviamente qualcosa di particolare. Quindi, la seconda nota va ripetuta in maniera udibile con il terzo dito, -6- -7-