LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ Esigenze attuali e bisogni futuri nel
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LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ Esigenze attuali e bisogni futuri nel
LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ Esigenze attuali e bisogni futuri nel governo della dimensione urbana. La Priorità 8 del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 Contributi dei relatori Roma, 24 ottobre 2007 Le priorità delle città INDICE I SESSIONE – APPROFONDIMENTO DI SPECIFICI TEMI LEGATI ALLO SVILUPPO DELLE CITTÀ LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NELLE AGENDE POLITICHE URBANE 1 Ernesto d’Albergo, Università La Sapienza, Roma TRASFORMAZIONI DELLA VITA URBANA NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA 21 Marco Cremaschi, Università Roma Tre MOBILITÀ URBANA E METROPOLITANA: STRATEGIE POSSIBILI E MITI DA SFATARE 29 Marco Ponti, Politecnico di Milano I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA COSTRUZIONE DELLE POLITICHE URBANE 35 Chiara Sebastiani, Università di Bologna II SESSIONE - LA QUESTIONE URBANA NEL QSN UPDATE DELLA VALUTAZIONE INTERMEDIA DELL’ASSE CITTÀ NEL QCS 2000-200651 A cura dell’Unità di Valutazione del DPS − ottobre 2006 CITTALIA – ANCI RICERCHE Le priorità delle città LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NELLE AGENDE POLITICHE URBANE Ernesto d’Albergo 1. Introduzione Il peso attribuito dalla programmazione comunitaria 2007-2013 alle città e alla governance urbana deve essere considerato come un indicatore di almeno due aspetti. Da un lato, del riconoscimento del ruolo potenzialmente trainante che lo sviluppo urbano può esercitare nei confronti di sistemi territoriali più ampi (regionali, statali, comunitari). Solo potenzialmente, però, perché se se lasciate solo a dinamiche di mercato le «lepri del capitalismo» [Mariotti 2007] possono in realtà fare corsa a sé. Diverse ricerche indicano infatti l’indebolirsi – soprattutto nelle cosiddette «città globali» – del rapporto fra tali regioni urbane e i territori immediatamente circostanti, sostituito da flussi non solo economici e finanziari, ma anche culturali, all’interno di reti transnazionali che coinvolgono primariamente queste città, piuttosto che sistemi economici nazionali. Per questo per ottenere effetti di spill-over territoriale dell’innovazione e dello sviluppo sembrano necessarie politiche pubbliche mirate non solo ad aiutare le città, ma anche a favorire la trasmissione degli impulsi allo sviluppo, politiche che al momento è difficile immaginare al di fuori di processi e sistemi istituzionali di concertazione fra città, regioni, stati e Unione europea (UE). Da un altro lato, indica il consolidamento di una «politica urbana» nell’agenda e nei flussi di spesa del’Ue, che è realistico considerare un risultato non tanto «endogeno», ossia di processi interni alle élites e alle istituzioni comunitarie, quanto da ricondurre al rinnovato attivismo delle città all’interno del sistema e dei processi di governance multilivello. Un attivismo con caratteri in parte nuovi, che influenza le agende dei sistemi politici a diversi livelli territoriali (nazionali e comunitario) e si impone come oggetto di analisi per le scienze economiche, politiche e sociali. Infatti, se si escludono le pratiche dei gemellaggi e dell’associazionismo multilaterale internazionale [Saunier 2000; Ewen e Hebbert 2007], la frequenza e l’importanza con la quale, specialmente nelle grandi aree urbane, l’agenda della politica e delle politiche urbane è occupata da temi, azioni e iniziative che portano le città «all’estero» costituisce un fatto nuovo degli ultimi due decenni. Questo contributo intende mettere a fuoco la natura di queste attività e, in particolare, le analogie e le differenziazioni che le caratterizzano. I processi di globalizzazione e di integrazione europea e la ridefinizione del ruolo e delle politiche degli stessi stati nazionali all’interno di regimi di governance transnazionale in formazione costituiscono il contesto ambientale – economico, CITTALIA – ANCI RICERCHE 1 Le priorità delle città culturale e politico – di questa rinnovata agency internazionale delle città. Questo contesto propone a tutti gli attori che operano entro la scala spaziale urbana – imprese, società civile, governi locali – rischi e opportunità, margini di azione e vincoli. Ma quali sono le effettive conseguenze? In particolare, repertori di azione e strategie internazionali delle città1 sono effettivamente caratterizzati da assimilazioni e convergenze, come i discorsi politici più «ortodossi» focalizzati sulla crescita prima e sul binomio «crescita + coesione» in seguito lasciano immaginare? In altri termini, è vero che per le città esiste sostanzialmente un solo modo per confrontarsi con i mutati scenari transnazionali? Le risposte offerte di seguito sono basate sui risultati di alcune ricerche empiriche sulla formazione delle strategie internazionali di alcune grandi città (europee e non), i cui risultati smentiscono un’interpretazione di questo tipo. In particolare, contrariamente a quanto viene spesso affermato o sottinteso da parte della politica e/o dei mezzi di comunicazione, cercare di essere competitive sui mercati globali è solo una parte di ciò che le città possono fare (e fanno) in campo internazionale, mentre questo stesso obiettivo può essere perseguito attraverso attività anche molto diverse fra loro. Non tutte le città, infatti, hanno la stessa vocazione e identità; non tutte hanno le medesime risorse a disposizione, o devono fare i conti con gli stessi vincoli. Seguire la propria vocazione, valorizzando al meglio le risorse – endogene ed esogene – significa per una città fare scelte strategiche non scontate e, soprattutto, talvolta non corrispondenti al menù di opzioni che le stesse organizzazioni internazionali2 le propongono. La differenziazione delle strategie autorizza a considerare la dimensione internazionale delle agende politiche urbane come un oggetto di analisi non scontato. Sarebbe semplicistico, ad esempio, ritenere che l’una o l’altra, o l’insieme delle attività di portata ultra-nazionale, configurino una «politica internazionale» o 1 Per motivi di spazio si prescinde in questa sede dal considerare un problema non solo teorico, relativo alle implicazioni – in molti casi date frettolosamente per scontate – del riferirsi esplicitamente o implicitamente alle città come «attori» che operano con strategie unitarie. Che le città possano essere considerati tali, o piuttosto «luoghi» o «spazi» attraversati da stratificazioni, differenziazioni di interessi e valori, se non da conflitti, non è scontato ed esistono infatti interpretazioni diverse (cfr. Marcuse e Van Kempen [2000]; Le Galès [2002]; onsentono ad alcuni – prevalentemente i governi urbani e i rappresentanti degli interessi economici – di «parlare per la città» in arene più ampie e ciò consente di considerare, con tutti i caveat del caso, tale fenomeno come espressione di un processo di formazione di Savitch e Kantor [2002]; Fedeli [2006] e d’Albergo e Lefèvre [2007], fra gli altri). Vi sono però processi economici e politici che c una volontà collettiva. Gli orientamenti strategici – normalmente prerogativa di attori razionali individuali e/o prodotto delle interazioni fra di loro – riferiti in questo testo alle «città» devono essere perciò intesi come l’esito di processi di azione collettiva le cui forme possono essere variamente stabilizzate e istituzionalizzate e che vedono spesso il concorso di leadership politico-istituzionale, amministratori e attori economico-sociali fra loro diversi. 2 Si pensi al ruolo svolto non solo dall’Ue, ma anche da istituzioni come l’Ocse per le città dei paesi di più consolidata industrializzazione o la Banca Mondiale per i paesi meno sviluppati o della transizione post-sovietica. CITTALIA – ANCI RICERCHE 2 Le priorità delle città «estera» di una città. Anche se talvolta questa metafora può essere evocata – ad esempio quando si parla di «paradiplomazia» [Aldecoa e Keating 1999] – una «strategia internazionale» non ha tutte le caratteristiche tipiche delle linee di azione pubblica nelle «normali» aree di intervento dei governi locali (come l’urbanistica, i trasporti, lo sviluppo economico, i rifiuti, etc.), né quelle delle politiche estere degli stati. Per questo nelle agende politiche urbane non si trovano tanto «politiche internazionali», quanto attività e strategie che si configurano come una proiezione esterna, attraverso attività indirizzate verso arene sopranazionali, del più ampio e frammentato policy making urbano. E’ a causa di questa frammentazione che il ruolo di una strategia «prevalente» – capace di integrare in modo coerente la maggior parte delle attività internazionali condotte in un’area urbana – è particolarmente importante. Al fine di chiarire la natura della dimensione internazionale delle agende politiche urbane, nel paragrafo 2 vengono ricordate le caratteristiche più rilevanti per le città e le loro agende del processo di rescaling dell’economia e della politica indotto dalla globalizzazione e dell’integrazione europea. Nel paragrafo 3 sono esaminate le azioni e le strategie internazionali delle città come emergono principalmente da due ricerche. Nel paragrafo 4 sono individuati i principali fattori dai quali dipendono le convergenze e le differenziazioni, i quali corrispondono in buona parte alle risorse e ai vincoli e, quindi, ai margini di scelta per la definizione delle strategie internazionali urbane. Fra di essi spicca per importanza la natura delle relazioni intergovernative al cui interno sono incapsulati i governi urbani, in primo luogo con i rispettivi stati e governi nazionali. Per questo nel paragrafo 5 sono illustrate le coordinate principali di un programma di ricerca promosso da Cittalia per analizzare il rapporto fra le «agende politiche urbane» e le «agende delle politiche urbane» di alcuni stati europei. 2. Il nuovo contesto transnazionale delle politiche urbane Il rescaling dell’economia Lo scenario entro il quale hanno luogo – e devono essere interpretati – i cambiamenti che interessano le agende delle politiche pubbliche delle città contemporanee è dominato da quelle dinamiche di riarticolazione dell’economia, dei processi culturali e delle istituzioni che vengono comunemente sintetizzate facendo riferimento ai processi di «globalizzazione» ed «europeizzazione». Al loro interno il rapporto fra le attività economiche e lo spazio non si è dissolto in uno spazio di flussi in cui non ci sono più confini o ancoraggi territoriali, come pure è stato sostenuto nella discussione CITTALIA – ANCI RICERCHE sulla globalizzazione. 3 E’ vero che a causa Le priorità delle città dell’integrazione globale dei mercati finanziari, della crescita del commercio internazionale e degli investimenti diretti all’estero le economie nazionali sono attraversate da flussi transnazionali. I processi di delocalizzazione e rilocalizzazione delle attività economiche producono anche una disaggregazione delle economie statali in economie regionali e locali, con distretti industriali e reti locali, zone di export processing a regime fiscale differenziato, sistemi di innovazione regionali o urbani, condensazione di capacità di apprendimento nei territori (technopoli, parchi scientifici), formazione di città e città-regioni globali. Le relazioni fra questi sistemi oltrepassano i confini statali, sono competitive, ma anche cooperative, come è evidenziato dai diversi tipi di reti fra città, e sono territorializzate su scale diverse. In particolare, formano per lo più città-regioni, che costituiscono «nodi» o «cluster» nell’economia globale. Ciò dà luogo a un intreccio fra le idee di politiche urbane e di regionalismo competitivo [Jonas e Ward 2001, 7]. Le attività economiche, dunque, si ri-territorializzano e le città non agiscono più solo «come punti di agglomerazione gerarchica dell’economia nei confini dei singoli Stati» [Mariotti 2007, 86]. L’internazionalizzazione delle politiche urbane ha le sue radici in questa riarticolazione (rescaling) del rapporto fra processi economici e spazio, che avviene non in assenza, ma in presenza di politiche pubbliche, le quali a loro volta acquistano caratteri nuovi, anche per quanto riguarda l’articolazione e l’orizzonte spaziale delle azioni, degli attori e degli strumenti utilizzati. Per effetto di questa riarticolazione, infatti, la dimensione statale non è più l’unico contenitore, né il regolatore assoluto delle relazioni economiche e sociali, ma condivide tali funzioni con altri soggetti e con altre dimensioni spaziali, mentre non emerge un altro soggetto politico in grado di fornire le funzioni di coordinamento già tipiche degli stati nazionali [Jessop 2002, 179]. Il rescaling della politica Al processo di rescaling dell’economia fa così da contraltare una speculare riarticolazione del rapporto fra ciò che fanno gli stati e ciò che fanno altri livelli territoriali del potere politico, un rescaling della politica che si è sviluppato simultaneamente su scale geografiche multiple e sovrapposte [Brenner 1999; 2004]. Le città sono al centro di questi cambiamenti: da un lato ne subiscono direttamente o indirettamente le conseguenze; dall’altro ne sono protagoniste in modo attivo e con l’internazionalizzazione delle loro agende contribuiscono in modo importante a definire i nuovi scenari, non solo economici, ma anche culturali e politici. Questo processo e le sue conseguenze si possono osservare proprio nella doppia e contestuale dinamica CITTALIA – ANCI RICERCHE di rafforzamento 4 dei poteri istituzionali su scala sia Le priorità delle città sopranazionale, sia locale. Senza questa contestualizzazione sarebbe difficile dare senso alla diffusione dei processi di decentramento istituzionale e autonomizzazione politica e fiscale dei governi locali. Le stesse innovazioni diffuse che riguardano la struttura e il funzionamento degli enti locali – come ad esempio l’elezione diretta del sindaco in Italia, il rafforzamento degli esecutivi in Spagna [Crespo 2006], il decentramento pur «incompleto» in Francia [Pavani 2006], il rafforzamento della leadership istituzionale in Inghilterra [Frosini 2006; Howard et al. 2006], si comprendono alla luce della riconfigurazione territoriale della regolazione politica e della riarticolazione delle gerarchie spaziali che coinvolgono gli stati, le città e i poteri transnazionali. Questa trasformazione «verticale», non priva di conflitti, contraddizioni e dilemmi, si è accompagnata a una trasformazione «orizzontale» dei poteri locali e delle loro modalità di azione, anch’essa poco comprensibile prescindendo dalla riarticolazione spaziale sopra richiamata. Il cambiamento si è caratterizzato complessivamente come un passaggio dal primato assoluto del governo attraverso le istituzioni pubbliche (government) alla governance locale (John 2001), fondata su partnership-pubblico-privato e sistemi a rete. Si è affermata di conseguenza un’idea di network management [Kickert, Klijn Koppenjan 1997] che risponde ad esigenze di coordinamento nuove. Le politiche di sviluppo territoriale, ad esempio, richiedono una governance locale compatta e integrata, inclusiva non solo di interessi economici dotati di visioni a breve, ma anche di portatori di interessi diffusi. Si spiega in questo modo la fioritura di una cultura dello sviluppo locale integrato e fondato sulle partnership come quelle realizzate nei “patti territoriali” [Piselli 2005]. Questi principi alimentano anche la discussione sulle riforme istituzionali ispirando, ad esempio, anche le soluzioni non-strutturali ai dilemmi dei governi metropolitani (Lefèvre 1998; Jouve e Lefèvre 2002; Brenner 2004). In sintesi, le scelte attraverso le quali si è prodotto l’adattamento degli stati europei alla globalizzazione, alla transizione post-fordista e post-keynesiana e all’integrazione economica e politica continentale hanno favorito un processo di riarticolazione territoriale della sovranità, al cui interno dinamiche contestuali di upscaling e downscaling della statualità favoriscono sia il nuovo protagonismo delle città europee, sia l’avvio di un’agenda urbana dell’Unione europea [Le Galès 2002]. La agency delle città nei regimi di governance transnazionali in formazione Ai nuovi orizzonti spaziali delle azioni pubbliche corrisponde il formarsi di «regimi di governance» multicentrici e transnazionali (Mayntz 2002), in cui i governi statali e gli attori politici e sociali che operano su scala nazionale non sono più gli unici protagonisti, ma parte di un intreccio di poteri che trasforma e mette in comune CITTALIA – ANCI RICERCHE 5 Le priorità delle città l’autorità (Weiss 2005). Insieme agli stati, infatti, prendono parte alla produzione di regolazioni e interventi su scala globale, regionale (ma anche nazionale) attori internazionali – come le organizzazioni intergovernative, più o meno capaci e con diverse modalità, di ottenere compliance (adeguamento delle proprie scelte agli indirizzi da loro formulati) dai propri membri – e transnazionali, come le imprese multinazionali o la cosiddetta «società civile globale» [Anehier et al. 2001 e ss.], che evidenzia un orientamento dell’azione verso temi di scala regionale o globale e sviluppa connessioni cross-border basate proprio sulle città [Taylor 2005, 722]. Non siamo di fronte a strutture e autorità di governo sovrastatali comparabili con quelle dello stato-nazione, ma a sistemi d’azione in molti casi fluidi e a basso grado di istituzionalizzazione, se confrontati con i modelli della statualità moderna, o in altri casi più istituzionalizzati – come quelli dell’Europa comunitaria – che D. Held [2005, 109 e ss; 122] ha genericamente definito: una ragnatela sempre più fitta di accordi multilaterali, istituzioni, sistemi normativi e reti di policy, che investe e regola molti aspetti della vita nazionale e transnazionale, dalla finanza, alla flora e fauna (…) un’arena di policy making globale, un sistema multistratificato, multidimensionale e multi-attore (…), frammentato e competitivo al suo interno. Mettendo in atto attività differenziate per fronteggiare le sfide e le opportunità della globalizzazione e dell’integrazione europea, le città divengono così parte di questi regimi di governance transnazionali e delle politiche pubbliche che all’interno degli stessi si producono, introducendovi connessioni fra locale e globale più dirette che nel passato e più problematiche, se osservate con una lente ancora abituata a concepire in modo gerarchico la stratificazione fra i livelli territoriali dell’economia e del potere politico. Ma quali sono queste attività delle città? Cosa si deve intendere concretamente per internazionalizzazione delle agende politiche urbane? E’ ciò che vedremo nel paragrafo 3. 3. Azioni e strategie internazionali delle città Il repertorio di attività e le strategie Le (non ancora molte) ricerche dedicate alle attività internazionali delle città evidenziano l’esistenza di alcune convergenze, ma soprattutto di diversificazioni, che si devono al modo in cui ciascuna città sfrutta i margini di scelta e di autonomia di azione esistenti anche a fronte di forze, pressioni e tendenze globali, che in Europa si esprimo anche su scala continentale. CITTALIA – ANCI RICERCHE 6 Le priorità delle città A differenziare il modo in cui aspetti internazionali sono presenti nelle agende politiche urbane sono non solo le attività svolte, ma soprattutto le loro finalità e le strategie ad esse sottese. Le principali attività internazionali possono consistere in: - iniziative per migliorare la competitività sul mercato internazionale, come le pratiche di pianificazione strategica [Perulli 2004; Fedeli 2006], il city marketing, i progetti di rigenerazione urbana, le candidature per i giochi olimpici e altri eventi sportivi o culturali; - partnership bilaterali (gemellaggi) o multilaterali (associazioni e reti) fra città di diversi paesi, più o meno connesse con l’Unione europea (UE); - attività di lobbying nei confronti dei livelli sopranazionali di decisione politica, in primo luogo l’UE; - implementazione di programmi finanziati dall’UE; - azioni di solidarietà con il «Sud globale» come la cooperazione decentrata, o altre attività per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la lotta contro la povertà; - azioni di «diplomazia dal basso», finalizzate soprattutto a promuovere la pace e a prevenire i conflitti. Non in tutte le città viene condotta questa intera tipologia di attività, anche se le probabilità di differenziazione crescono con il crescere delle dimensioni urbane. Difficilmente, inoltre, tutte queste attività coinvolgono tutti gli attori che agiscono in un sistema urbano. Questo repertorio di attività, peraltro, può fornire un indicatore sul grado di internazionalizzazione dell’agenda politica di una città, ma di per sé non dice molto sul modo in cui la stessa si forma e sui significati che questa acquista all’interno dei processi di governo urbano. Più significativo è individuare se e quale strategia – ossia un tentativo soggettivo di raggiungere coerenza fra gli scopi, i mezzi e i valori sottostanti le attività – sottenda l’internazionalizzazione di un’agenda politica urbana. Le strategie sin qui rilevate possono avere diversi orientamenti. Una ricerca focalizzata sul modo in cui le città (ne sono state comparate dieci) orientano la loro posizione negoziale nei confronti del capitale internazionale ha messo in luce due principali tipi di strategie, orientate rispettivamente più al «mercato», o in senso «sociale» [Savitch e Kantor 2002]. Più recentemente, un’altra ricerca condotta su altre dieci grandi città (prevalentemente europee) e dedicata a un più ampio raggio di attività internazionali, ne ha potuto identificare tre principali – rispettivamente in senso «economico», «sociale», o «politico» [d’Albergo e Lefèvre 2007]. In entrambi i casi questi orientamenti sono da considerarsi «idealtipi», i quali delimitano poli opposti di continuum entro i quali sono possibili diversi tipi di ibridazione. CITTALIA – ANCI RICERCHE 7 Le priorità delle città • Strategie orientate in senso «economico» Nei casi in cui prevale un orientamento economico, l’agenda è dominata da preoccupazioni relative alla crescita economica e le attività internazionali, normalmente realizzate attraverso partnership con attori economici, sono guidate dall’obiettivo di migliorare la posizione e la competitività dell’area urbana nel mercato globale. Le attività possono essere di tipo comprensivo (del tipo piano strategico) o più ad hoc, come la promozione di una immagine reinventata della città, la realizzazione di progetti di rigenerazione urbana, la realizzazione di investimenti in infrastrutture di trasporto o comunicazione, o la candidatura per ospitare grandi eventi internazionali, motivata dall’aspettativa che gli stessi si rivelino fonti di vantaggi non solo direttamente (attraverso gli investimenti pubblici e privati in programmi di rinnovamenti urbano o il turismo), ma anche indirettamente (attraverso il miglioramento dell’immagine e il marketing della città). Questo tipo di strategia può assumere una torsione particolare laddove lo scopo sia quello di mantenere, acquisire o migliorare lo status di «città globale», ossia di metropoli nella quale si concentrano i quartieri generali delle imprese transnazionali, le quali fruiscono di servizi avanzati (creditizi, di consulenza finanziaria e manageriale, legali, assicurativi, pubblicitari, etc.), manodopera qualificata e, generalmente condizioni ambientali favorevoli all’insediamento del business transnazionale. Tali luoghi sono centri non solo di servizio, ma anche di comando dell’economia mondiale, nodi che hanno relazioni più con altri nodi simili all’interno di reti transnazionali che con il territorio circostante, ma anche il concentrato di contraddizioni sociali e disuguaglianze. Su questo processo di polarizzazione socio-spaziale sono state sviluppate teorie e ricerche economiche e sociologiche, tassonomie, graduatorie gerarchizzate e repertori di iniziative possibili per migliorare la posizione nei ranking globali3. Il posizionamento delle città italiane4 invita a riflettere da un lato sull’importanza che azioni finalizzate a migliorare il grado di attrattività possono assumere sia nell’agenda politica urbana, sia nelle politiche nazionali che esercitano il loro impatto nelle aree urbane. Da un altro lato, sul pericolo che obiettivi da «wannabe global city» possano risultare 3 Tanto che non possono essere ricordate in questa sede, se non con riferimento ai lavori fondamentali di J. Friedmann [1986], di S. Sassen [1991] e alle misurazione della connettività fra città globali di P. Taylor [1995; 2004; 2005]. 4 Le ricerche disponibili evidenziano come le città italiane più coinvolte nei processi di internazionalizzazione della produzione di beni e servizi e interessate dalla connettività con altri nodi economici globali siano soprattutto Milano – al posto n. 13 nel ranking proposto da P. Taylor, dopo Londra, New York, Hong Kong, Parigi, Tokyo, Singapore, Toronto, Madrid, Bruxelles, Francoforte, Amsterdam e Chicago – e poi Roma, Torino e Bologna, mentre non ve ne sono nel Mezzogiorno [cfr. Mariotti 2007, p. 97 e ss.]. CITTALIA – ANCI RICERCHE 8 Le priorità delle città sovradimensionati rispetto alle potenzialità della maggior parte delle aree metropolitane italiane, oltre a rischiare di concentrare l’agenda su di un solo profilo dell’internazionalizzazione possibile delle città. Attrattività e competitività, peraltro, possono essere ricercate attraverso scelte diverse. Ad esempio, una più semplice opzione di sfruttamento di vantaggi comparativi statici (riduzione di costi di produzione, a partire da quelli fiscali) versus una priorità assegnata alla creazione di vantaggi competitivi dinamici (capacità di produrre o favorire innovazione permanente nei fattori di produzione e, soprattutto, in fattori extraeconomici e costruiti socialmente che caratterizzano il luogo e lo spazio). Nel formulare le azioni per attrarre investimenti e lavoro, la città imprenditoriale «Schumpeteriana» non si limita a gestire un già esistente clima favorevole per le imprese, o a pratiche di marketing urbano, ma si dota anche di «un complesso spazializzato di istituzioni, norme, convenzioni, reti, organizzazioni, procedure e modalità di calcolo economico e sociale che incoraggiano l’imprenditorialità». Per sostenere un flusso di innovazione continuo sono perciò necessari da un lato accorgimenti istituzionali e organizzativi – per questo le riforme istituzionali e organizzative, come quelle dei governi metropolitani, possono essere presentate posizionamento un potenziale internazionale vantaggio delle città competitivo che – riguarda e dall’altro anche un sfere extraeconomiche, ossia culturali e politiche [Jessop 2002, 189]. Strategie orientate in senso «politico» L’obiettivo della crescita è importante e diffuso, infatti, ma non è l’unico praticato dalle città. Le strategie internazionali possono essere di tipo «politico», dominate cioè da preoccupazioni relative alla posizione e al ruolo svolto dalla città all’interno del suo contesto politico e istituzionale. Non essendo lo stesso più definito solo dal «contenitore» dello stato nazionale, ed avendo acquisito la connotazione multilivello sopra richiamata, le città finiscono per guardare a un contesto politico più ampio e, talvolta, a giocare contemporaneamente su diversi livelli, cercando di sfruttare i benefici di arene multiple (regionale, statale, europea). Gli obiettivi possono essere principalmente di due tipi, replicando in un contesto più complesso l’esperienza storicamente realizzata dagli enti locali nel rapporto con gli stati. Da un lato, ottenere risorse di vario tipo, in primo luogo economico, ma non solo (ad esempio, risorse cognitive da usare nelle politiche urbane, ma anche risorse di legittimazione). Dall’altro, l’obiettivo è più ambizioso, poiché consiste nel cercare di modificare le regole dell’ordine internazionale, o dei regimi di governance a livello europeo o globale, conquistando al loro interno un ruolo più autonomo e CITTALIA – ANCI RICERCHE 9 Le priorità delle città influente per la città e, spesso, più generalmente per le città. E’ questo il caso in cui una strategia internazionale assomiglia di più a una «politica estera», anche se in senso metaforico (in primo luogo perché gli interlocutori non sono stati nazionali). Le attività indirizzate dalle città europee verso l’arena UE sono spesso un misto fra i due tipi di strategia, essendo motivate da entrambe le intenzioni. Infatti le città possono agire non solo come policy takers cercando di ottenere risorse e ridurre il rischio di essere esclusi dalle decisioni di carattere distributivo, come quelle relative all’implementazione dei «fondi strutturali» e di altri programmi finanziati dall’Unione europea, ma anche agire (o proporsi di agire) contemporaneamente come policy makers, imitando lo stile di azione collettiva tipica degli stakeholders privati e prendendo parte anche alla fase «ascendente» del policy making comunitario. Anche se con modalità diverse fra loro, la rete Eurocities e il «Comitato delle regioni» sono arene e strumenti utilizzati per finalità di questo tipo [Kübler e Piliutyte 2007]. Queste due dimensioni sono state distinte da A. Marshall [2005, 672] in «europeizzazione del tipo download», ossia i cambiamenti che interessano le politiche, le pratiche e la formazione delle preferenze all’interno delle città come conseguenza dell’adattamento alle condizioni poste dall’Unione europea per prendere parte ai suoi programmi (si pensi al potenziale di innovazione e apprendimento attraverso il cosiddetto policy transfer) ed «europeizzazione del tipo upload», ossia il processo attraverso il quale si produce l’incorporazione delle iniziative e delle preferenze cittadine all’interno di politiche o programmi paneuropei, come conseguenza delle nuove opportunità offerte alle città per accedere al livello europeo di decision making. Nel secondo caso le attività consistono prevalentemente nel partecipare e nel cercare di assumere la guida di reti e coalizioni internazionali di città e nel praticare azioni di lobbying nei confronti di livelli internazionali o sopranazionali di decision making politico. Le iniziative della cosiddetta «diplomazia dal basso», in particolare, contendono agli stati un terreno tipico e storicamente costitutivo della loro sovranità. Questo tipo di sforzo implica la disponibilità e la mobilitazione di risorse particolari all’interno dell’area urbana, come l’originalità, la capacità di ideare e gestire scenari innovativi e di svolgere un ruolo di apripista, anche nei confronti degli stati nazionali, per facilitare processi di democratizzazione delle arene internazionali. Strategie orientate in senso «sociale» Meno diffuse, ma non di meno presenti sono strategie per effetto delle quali l’agenda delle attività CITTALIA – ANCI RICERCHE internazionali acquista 10 un carattere «solidarista» o Le priorità delle città «cosmopolita», essendo dominata da questioni e finalità come la lotta contro la povertà, le disuguaglianze sociali e le guerre, l’impegno a favore dello sviluppo sostenibile, dei diritti umani, della pace e di una nuova cittadinanza, specialmente nel «Sud globale». Le aspirazioni prevalenti – motivate dalle diffuse preoccupazioni a proposito dei deficit sociali e democratici della globalizzazione – consistono da un lato nel cambiare le agende delle politiche transnazionali caratterizzate da un indirizzo più radicalmente neo-liberista e, dall’altro, nel realizzare direttamente azioni (cooperazione decentrata) immediate contro le disuguaglianze, la povertà e le guerre nel mondo, talvolta collegate con la «diplomazia dal basso» della società civile transnazionale. Una città, quindi, può fare sforzi per promuovere la redistribuzione della ricchezza fra paesi sviluppati e in via di sviluppo, anziché agire secondo modalità che riproducono le disuguaglianze, così come può incoraggiare la diversità culturale, anziché ritrarsi nell’identità del solo gruppo sociale dominante [Jouve 2007]. Attraverso questo tipo di strategia le città e le coalizioni politiche che le governano cercano normalmente di stabilire una coerenza fra le preferenze orientate in senso sociale che caratterizzano il loro policy making interno (principalmente la subordinazione dello sviluppo economico all’inclusione sociale e più generalmente l’attenzione riservata ad obiettivi di sicurezza sociale, salvaguardia ambientale, etc.) e le loro attività internazionali. Queste strategie normalmente hanno un posto importante nelle più generali strategie politiche dei sindaci che le promuovono e sono rese possibili da reti e partnership fra il governo locale e gruppi e associazioni della società civile, i quali forniscono in questo modo all’azione internazionale insostituibili risorse tecniche e politiche, prendendo parte non solo all’organizzazione di singole iniziative, ma anche all’elaborazione della strategia internazionale della città. 4. Da che cosa dipende il prevalere dell’una o dell’altra strategia? Il peso delle condizioni economiche A far prevalere una strategia internazionale orientata in un senso o nell’altro sono quei fattori che rendono più generalmente le città differenti tra loro. In particolare, le ricerche qui considerate evidenziano l’influenza esercitata da fattori che hanno a che fare con condizioni strutturali, esogene e difficilmente manipolabili da una città, specialmente nel breve periodo, versus fattori che emergono dalla dinamica politica e sociale urbana e sono quindi maggiormente «a disposizione» degli attori locali. In particolare, quando nelle agende politiche urbane viene data priorità alla crescita il CITTALIA – ANCI RICERCHE 11 Le priorità delle città peso che le città sono disposte ad accordare a obiettivi e/o vincoli di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo, può essere diversificato e ciò produce delle conseguenze anche per il tipo di strategia e di attività internazionale che sarà prevalente. Non a caso questioni di portata internazionale – come ad esempio investimenti in infrastrutture come aeroporti, o grandi centri fieristici e commerciali – possono essere oggetto di controversie nell’agenda urbana, dando luogo a conflitti che possono cambiare il carattere stesso di una città [Savitch e Kantor 2002, 23]. Da cosa dipende l’equilibrio fra obiettivi di crescita e di sostenibilità dello sviluppo? Secondo la ricerca appena citata, l’approccio strategico di una città dipende dall’efficacia con la quale riesce a negoziare le proprie preferenze con gli investitori privati, sempre più spesso coincidenti con il capitale internazionale. La posizione negoziale di una città dipende da fattori e risorse relativi, per usare una metafora meccanica, sia «alla trasmissione» che conduce l’energia motrice (variabili «driving»: le condizioni e le dinamiche dell’economia; il sostegno che proviene dalle relazioni intergovernative in cui la città è inserita, la cui natura può essere integrata o dispersa), sia al «volante» che consente di scegliere un percorso (variabili «steering»: la natura sociale e culturale della società urbana; il sistema politico e istituzionale locale). Da un lato, quindi, dalla situazione economica e dal grado di supporto intergovernativo dipendono la posizione negoziale nei confronti delle forze di mercato e, quindi, i margini di scelta delle politiche urbane. Da un altro lato, dai fattori «steering» dipende l’orientamento o meno in senso «sociale» delle strategie di sviluppo. Laddove i vantaggi nella posizione negoziale si riducono (a causa di cattive condizioni economiche combinate con uno scarso sostegno intergovernativo) cresce la probabilità che prevalga una strategia di sviluppo orientata al mercato o «pro-growth» – come è accaduto in molte città colpite dalla deindustrializzazione – mentre una situazione economica buona, o percepita come tale5, può favorire strategie più orientate in senso «sociale» (o solidarista, o cosmopolita). 5 La situazione economica di un’area urbana potrebbe essere «buona», «soddisfacente» o «negativa», stando ad una comparazione fra i suoi dati e quelli relativi ad altre città, ma ciò nonostante essere percepita diversamente dagli attori locali. Ad esempio come sottoposta a nuove minacce, causate dal profilarsi di altre città particolarmente competitive. In altri termini la percezione della situazione economica ha aspetti «oggettivi», ma la sua traduzione in input per l’agenda politica si configura facilmente come un processo di «costruzione sociale». CITTALIA – ANCI RICERCHE 12 Le priorità delle città Fattori geo-politici La ricerca più recente fra le due principalmente richiamate ha messo in luce il ruolo esercitato anche da altri fattori nel determinare il tipo di strategia internazionale prevalente nelle agende politiche urbane. Un primo fattore, riconducibile a una dimensione geopolitica, riguarda la posizione di un’area urbana all’interno dell’arena mondiale o in arene regionali o subregionali. L’UE come struttura di opportunità (esserne o non esserne parte, e da quanto tempo) è ovviamente un fattore discriminante. Tuttavia, anche l’immagine politica ed economica che una città offre di sé sul piano internazionale svolge un ruolo e può aiutare a spiegare il motivo per il quale gli obiettivi economici e politici delle strategie internazionali di città adottano un orizzonte geografico o un altro (per rimanere in Europa: i Balcani, l’Est ex-sovietico, il Mediterraneo e il Mediooriente, la «blue banana» economica della parte centro-nord-occidentale del continente). Società urbana e «urban regimes» Un secondo fattore rinvia alla specifica natura della società urbana. Le città sono ovviamente diverse fra loro in termini sociali e culturali e i valori prevalenti possono essere caratterizzati da un orientamento «materialista versus non-materialista» [Savitch e Kantor 2002]. Laddove pace, giustizia sociale o solidarietà sono considerati importanti – e se ve ne sono le condizioni «strutturali», a partire dallo stato dell’economia – tende a prevalere una strategia internazionale orientata in senso «sociale» (o, per alcuni aspetti, anche in senso «politico»), ma una cultura locale di questo tipo deve essere canalizzata attraverso organizzazioni della società civile, o gruppi sociali dotati di efficaci connessioni con la leadership politica urbana. Il tipo di urban regime [DiGaetano e Klemanski 1999] che caratterizza una città è il risultato di una coalizione fra alcuni segmenti della società civile, che si può esprimere nelle elezioni comunali e/o attraverso l’agire di movimenti sociali, e la classe politica municipale. I sistemi di governo fondati sull’alternanza politica sono particolarmente propizi per la formazione e il cristallizzarsi di queste coalizioni. E’ proprio il modo in cui le reti della società civile in una città sono connesse da un lato con il potere politico locale e dall’altro con reti sociali transnazionali, più che i valori in sé presenti nella città, ad influenzare l’orientamento di una strategia internazionale. Dato che le società urbane sono di fatto caratterizzate da rivalità e tensioni fra gruppi sociali, specialmente intorno ai valori di cui ciascuno di essi è portatore, le autorità pubbliche locali si trovano spesso nella posizione di arbitri fra attori, interessi e visioni contrapposti che originano nella società urbana. CITTALIA – ANCI RICERCHE 13 Le priorità delle città Il tipo di coalizione che esiste fra determinati segmenti della società urbana e le autorità politiche locali spiega quindi almeno in parte l’orientamento delle strategie internazionali delle città. Questo sarà di tipo «sociale» se più generalmente nella produzione delle politiche urbane valori di tipo non-materialista prevalgono sulle preoccupazioni di tipo economico tipiche di una cultura pro-growth. In caso contrario sarà di tipo «economico». Le relazioni fra attori politici e sociali sono però instabili nel tempo e possono cambiare, in primo luogo a causa delle condizioni economiche all’interno delle quali operano le città e i loro governi. Quando queste condizioni si deteriorano, in particolare, le coalizioni «progressiste» possono essere messe in discussione [Jouve 2007]. Leadership e politica locale Due elementi nel sistema politico locale esercitano un impatto sulle strategie internazionali delle città: da un lato l’esistenza o meno di una forte leadership politica e le caratteristiche che la stessa assume; dall’altro il tipo di coalizione politica al governo. La presenza di una forte leadership politica costituisce una condizione per l’esistenza stessa di una forte strategia internazionale, dato che tende a svolgere un ruolo di catalizzatore delle molte spinte e attività internazionali poste in essere da diversi attori all’interno della città, fornendo non solo un coordinamento operativo fra le attività, ma anche finalità, immagini e valori condivisi. In questi casi nella città si forma una sorta di «ombrello» per l’azione internazionale, una cornice strategica all’interno della quale molte attività, anche diverse fra loro, possono avere una minima coerenza [d’Albergo e Lefèvre 2007]. Ciò si verifica nei casi in cui la leadership politica urbana è forte sul piano istituzionale e unita politicamente [Martins e Rodriguez 2007]. In città nelle quali la leadership politica è debole e frammentata non vi sono forti strategie internazionali. Anche l’orientamento di una strategia internazionale dipenderà dai valori di cui è portatrice la leadership politica della città, da identificarsi non solo nel sindaco, ma anche nella coalizione politica al governo. Importanti sono anche, come si è visto, i rapporti privilegiati fra queste elites politiche e settori diversi e spesso contrapposti – interessi economici versus società civile orientata ai beni comuni – della società urbana. 5. Le relazioni interistituzionali e la ridefinizione del ruolo statale Oltre ai fattori considerati nel precedente paragrafo, molto importante è il ruolo svolto dalle relazioni interistituzionali (o intergovernative), ossia dai rapporti orizzontali e verticali fra le unità e i livelli di governo che esercitano la propria CITTALIA – ANCI RICERCHE 14 Le priorità delle città autorità su una determinata area urbana, a partire dallo stato nazionale e dalle regioni, rapporti che possono essere cooperativi, ma anche conflittuali [Sebastiani 2007]. Come si è visto si tratta di una fonte di risorse «driving», che riducono o favoriscono la possibilità per gli attori dei governi locali di perseguire proprie strategie. Ovviamente, è importante il grado di centralizzazione o di decentramento istituzionale di un Paese. E’ nei casi in cui una strategia (specialmente economica) richiede un ammontare significativo di risorse che gli attori locali non possono fornire per proprio conto o attraverso partnership pubblico-privato (ad esempio, quelle necessarie per grandi infrastrutture), che la natura delle relazioni interistituzionali (buone o cattive, conflittuali o cooperative, centralizzate o decentrate) svolge un ruolo più importante. Per la agency internazionale delle città europee il prendere forma di un sistema di governance multilivello continentale e l’avvio di una seppur debole politica urbana dell’UE costituiscono, come detto, un riferimento fondamentale per strategie di tipo sia download, che upload e un incentivo a coalizzarsi attraverso reti e associazioni, grandi e piccole. Tuttavia, il ruolo degli stati nazionali rimane ancora molto importante. DA un lato, infatti, è vero che uno dei motivi per i quali le città e le regioni hanno adottato politiche più interventiste è da ricercare nel ritirarsi degli stati nazionali dallo svolgimento di alcune funzioni chiave nel campo dell’economia. Specialmente nel periodo e nei paesi in cui un orientamento neo-liberista delle politiche statali è stato attuato più radicalmente, le politiche urbane – e la loro proiezione internazionale – favorite dal decentramento di poteri, hanno compensato il ritiro degli stati di fronte alla necessità di gestire le crisi locali indotte dal confronto con i mercati globali [Brenner 1999]. Tuttavia, se negli anni ‘90 godeva di buon credito l’ipotesi circa un irreversibile destino di svuotamento degli stati nazionali e l’irrilevanza o l’obsolescenza dei confini nazionali [Ohmae 1995], oggi si tende a sottolineare come all’interno dei nuovi regimi di governance transnazionali in formazione il ruolo degli stati nazionali nel formulare, coordinare e implementare iniziative di politica urbana non riduca la sua importanza, anche se deve essere condiviso con altri luoghi e attori che producono regole, risorse e strategie per le città. Si modificano, quindi, le modalità con le quali viene esercitato [Brenner 2004; Weiss 2005]. Anche se il livello nazionale potrebbe apparire uno spazio economico che riduce la sua importanza, come spazio politico rimane centrale nell’orchestrare e dirigere lo stesso rescaling delle funzioni pubbliche nelle aree urbane (Jonas e Ward 2001, 21). Peraltro, come ricordano i sostenitori della tesi delle «varietà di capitalismo» [Amable 2003], molte competenze molto importanti nel disegnare le traiettorie dello sviluppo urbano – regolative, fiscali, etc. – sono ancora in capo agli stati-nazionali. CITTALIA – ANCI RICERCHE 15 Le priorità delle città Le iniziative internazionali delle città possono dunque difficilmente prescindere dal supporto dei governi centrali. In Italia, ad esempio, le grandi città non possono ancora aprire uffici a Bruxelles e magari si coalizzano con le regioni, ma i sindaci di città come Roma e Milano usufruiscono di un supporto di competenze diplomatiche offerto dal Ministero degli affari esteri. O ancora, la realizzazione di grandi infrastrutture per l’attrattività urbana o di grandi eventi internazionali non è pensabile in assenza di investimenti statali. Le situazioni però possono essere molto diverse da Paese a Paese, e questo aspetto merita un approfondimento, che l’analisi comparativa può permettere. Per questo ha interesse l’agenda di ricerca6 promossa da Cittalia e finalizzata a mettere a fuoco analogie e differenze che caratterizzano strategie, strumenti e configurazioni istituzionali attraverso i quali città e stati danno risposte alle sfide e alle opportunità globali ed europee. L’obiettivo è quello di mettere in luce sia l’esistenza di «stili» nazionali di politiche per le città degli stati europei, sia i margini di lesson-drawing esistenti per i diversi attori delle politiche urbane in Italia. Molti fattori hanno un’importanza specifica anche per quanto riguarda la dimensione internazionale nelle agende politiche urbane. Si pensi ad aspetti come: l’esistenza di un’agenda nazionale di politiche per le città integrata, oppure frammentata in rivoli di interventi non coordinati; l’esistenza o meno di arene politiche istituzionalizzate su scala nazionale e inclusive, all’interno delle quali le questioni urbane sono oggetto di confronto e cooperazione fra autorità di diverso livello; il frame cognitivo, le risorse attivate e l’orientamento strategico (ad esempio, orientato alla crescita o alla coesione sociale, selettivo a favore di aree urbane competitive o distributivo) che caratterizzano diverse politiche urbane nazionali. Tutti questi fattori disegnano per le città scenari potenzialmente alternativi. Gli stessi hanno ovviamente importanza in generale, per l’insieme delle politiche e delle agende politiche urbane. Tuttavia, hanno un rilevo specifico anche nel definire le condizioni nelle quali le città possono agire in modo produttivo nei nuovi scenari economici e politici della governance transnazionale. Quanto si tratti di competere o cooperare, scegliere obiettivi orientati alla crescita, alla coesione, alla solidarietà o all’affermazione del ruolo delle città nella governance transnazionale, etc. dipenderà dalle strategie specifiche che ciascuna città preferisce o riesce ad adottare. In questo contributo si è cercato di mettere in evidenza quanto e perché tali strategie – e di conseguenza il modo in cui la dimensione internazionale influenza e contraddistingue la natura delle agende politiche urbane – possano essere differenziate. Da quanto si è sinora sostenuto 6 Studio comparativo su «Le politiche urbane nell’agenda nazionale» (2007-08). CITTALIA – ANCI RICERCHE 16 Le priorità delle città dovrebbe risultare chiaro che una strategia internazionale non è di per sé migliore di altre. Ciò che conta è la sua appropriatezza per ciascuna città che, insieme probabilmente alla sua efficacia, dipenderà dal modo in cui gli attori locali sono in grado di interpretare la situazione, che ha sempre una natura sfaccettata e in cui, soprattutto, rischi e opportunità, vincoli e margini di scelta autonoma sono sia esogeni, sia endogeni a ogni contesto urbano. Bibliografia citata Aldecoa F. e Keating M. a cura di [1999], Paradiplomacy in action, London, Frank Cass Amable, B. [2003], Diversity of Modern Capitalism, Oxford, Oxford University Press. Anheier et al. [2001] e anni seguenti, Global Civil Society Yearbook, Oxford University Press, Oxford. Cfr. http://www.lse.ac.uk/Depts/global/researchgcspub.htm Brenner B. 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[ 2005], L’integrazione globale accresce il potere degli Stati, in Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 3, pp. 397-416 CITTALIA – ANCI RICERCHE 19 Le priorità delle città TRASFORMAZIONI DELLA VITA URBANA NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA Marco Cremaschi La narrazione arida della città globale Nella recente, grande, narrazione della globalizzazione, molti autorevoli studiosi hanno insistito sugli aspetti cruciali della nuova organizzazione del mondo, tra i quali si conta il superamento dello spazio geografico e dei luoghi. Questa rappresentazione è parziale, e implica alcuni corollari che penalizzano le città e i territori. In particolare, si può obiettare: a) la geografia e il territorio non si dissolvono nello spazio dei flussi, al contrario acquistano nuovi e più selettivi ruoli; b) sono disponibili più percorsi di quanto la nuova, egemonica narrazione della competitività territoriale riesca a raccontare; c) la dimensione locale agisce almeno in parte come una variabile indipendente, in particolare quando si traduce in azione politico-strategica. La globalizzazione di cui si parla è, in primo luogo, quella dello spazio finanziario -in costante e incredibile movimento- che investe i territori imponendo loro di adattarsi agli esiti delle decisioni presi nei centri della finanza mondiale. In questo narrazione si pone l’accento sui flussi di merci, persone, risorse finanziarie e informazioni, e sulla nuova ‘geografia’ immateriale che viene a crearsi nello spazio delle reti. Da questo nuovo spazio (lo spazio dell’informazione, della finanza, di internet, ma anche della divisione internazionale del lavoro, del turismo) le città e i territori sarebbero pressoché esclusi: la frizione della distanza è annullata; il rilievo della prossimità è abbattuto dalle tecnologie; la funzione di memoria collettiva è superata dalla (apparentemente) universale accessibilità delle informazioni. Questa rappresentazione incontra un vasto successo ed eco mediatico, e apre non poche prospettive interessanti di ricerca. Per esempio, ne è evidente il riflesso sul più importante documento di indirizzo della UE, la ‘strategia’ di Lisbona che punta a fare dell’economia del vecchio continente il centro più innovativo e competitivo di tutto il mondo. Innovazione e competitività sono infatti due dei temi con i quali le città si devono confrontare. A questo discorso si possono contrapporre alcune obiezioni. Non è vero, infatti, che lo spazio dei flussi sia l’ultimo stadio dello sviluppo territoriale, e la città globale il punto di arrivo delle dinamiche urbane. Anzi, se andiamo a guardare la letteratura scientifica, troviamo una varietà di combinazioni tra lo spazio dei flussi -delle informazioni, del capitale, delle tecnologie- e lo spazio dei luoghi, delle identità, delle conoscenze locali, delle qualità. Studi di caso hanno analizzato i centri CITTALIA – ANCI RICERCHE 21 Le priorità delle città dell’economia globale, e hanno in parte corretto l’idea della preminenza della società dei flussi. Proviamo ad indicare tre correzioni: - la prima correzione, rivincita forse del senso comune, riguarda la resistenza dei luoghi: anche nelle città globali, ha ricordato Saskia Sassen, le relazioni faccia a faccia sono importanti, la socialità e la geografia non scompaiono, anzi ‘ancorano’ il business più critico alle città dove si concentrano i professionisti rilevanti nei settori delicati, nonostante l'astrazione crescente della produzione. Si forma così una nuova gerarchia nel network urbano, con alcune città dove si concentrano le funzioni di comando, le città globali; altre che operano le connessioni tra i diversi sistemi, le città gateway, e i diversi territori, le capitali regionali. - una seconda correzione riguarda il senso del cambiamento. Le risorse mobili (quelle tipiche della società dei flussi: denaro, ceti sociali mobili…) che atterrano in un luogo, devono trovare un modo per relazionarsi con quelle immobili (risorse, infrastrutture; ma non solo risorse materiali, spesso infatti anche le persone sono stanziali) per valorizzarle. Chi svolge questo ruolo di cerniera? In gran parte l’attore città, che non solo ospita, ma opera un ruolo attivo in queste dinamiche economiche e territoriali. - infine, oltre ad attivare i nuovi intrecci tra flussi e luoghi, le città sono l'unico punto nell'assetto organizzativo del capitalismo dei flussi dove si provi a governarle. Perché? Perché gli stati sono piccoli e deboli alla scala globale, da un parte; e perché, dall’altra, le ‘poste’ del gioco si rivelano solo alla scala locale che rende manifesti profitti e perdite, e permette di valutare i trade-off tra e nella struttura delle decisioni (cosa cioè sacrifichiamo di un valore all'altro: della sostenibilità allo sviluppo, per esempio, o della coesione alla innovazione). La capacità locale di combinare i fattori di sviluppo diventa uno degli elementi della competitività territoriale. La grande narrazione della città globale porta a insistere sulla competitività dei luoghi rispetto a flussi di risorse svincolate dai vincoli locali. Letture più attente problematizzano questa visione, e riaffermano il ruolo del territorio. Su questo sfondo, si comprende l’autonomia e il ruolo specifico delle città. Una retorica scomoda per le città italiane La città ha avuto un posto importante nella storia, ma sempre un posto scomodo. La retorica recente sulla centralità delle città nello sviluppo è ambivalente. E’ una retorica positiva, che narra il successo di quelle città che hanno attraversato con successo gli stadi successivi di un presunto modello di ‘renaissance’. Così facendo, CITTALIA – ANCI RICERCHE 22 Le priorità delle città però penalizza quelle città che non hanno compiuto l’intero percorso o che scontano problemi e ritardi maggiori; tra queste molte città italiane e del Mediterraneo. Si può affermare da questo punto di vista che la città è un oggetto teoricamente insoddisfacente e conteso tra diverse discipline e saperi. Per esempio, sia nella retorica europea che nelle stesse rivendicazioni delle città si fa ricorso alternativamente ad uno dei due argomenti che seguono:da un lato, le città sono presentate come il luogo dove si concentrano i problemi più gravi; al tempo stesso, sono invocate come le levatrici dell’economia del vecchio continente. Come è possibile questa duplicità? Per spiegarla occorre fare riferimento alla natura ambivalente del discorso egemonico sul cambiamento urbano che si è affermato in Europa negli ultimi decenni. Questo discorso è importante perché seleziona episodi, riferimenti e iniziative che precostituiscono la tavolozza delle politiche urbane dei paesi europei. Ma, per come è stato costruito, rappresenta un terreno insidioso e poco conveniente per le città italiane e in generale del mediterraneo. Il discorso prevalente sulle città racconta infatti come negli ultimi decenni si siano susseguite delle diverse situazioni problematiche: - negli anni settanta le città apparivano in una crisi insanabile, per la delocalizzazione industriale e la diffusione residenziale; - negli anni ’80, l’epoca dei ‘grandi progetti’ ha dato una scossa a parti cruciali delle città (soprattutto ad alcune grandi attrezzature o ad aree dimostrative ed esemplari) e dimostrato, pur tra molte critiche, che qualcosa poteva essere cambiato; - negli anni ’90, tutte le parti delle città sono state investite da processi di ristrutturazione (molecolari o aggregati) del mercato fondiario e immobiliare, che hanno completamente rinnovato il modo in cui le città guardano a se stesse e alla trasformazione (è l’epoca dei Grandi eventi, ma anche della gentrification e della crescita del turismo); - infine, nel periodo più recente, le città nel loro insieme, come sede di vita associata e come infrastruttura, appaiono come il supporto delle componenti centrali della nuova economia della conoscenza. Molte osservazioni critiche potrebbero essere fatte a questo schema, che ovviamente non indica elementi tra loro in alternativa e, soprattutto, non considera tutte le variabile decisive. Ma se si accetta che questa sequenza riassuma sufficientemente bene il ‘sentire’ prevalente nei confronti della città, si possono considerare due rilevanti corollari: CITTALIA – ANCI RICERCHE 23 Le priorità delle città - il primo, è che la sequenza offerta tende a descrivere un progressivo miglioramento delle condizioni di base della città, che riscopre prima le attrezzature, poi gli spazi della vita quotidiana, infine una combinazione tra i due che viene posta al centro della nuova economia politica della città; - il secondo corollario, è che questa sequenza racconta l’evoluzione di una classe di città, in particolare di quelle che sono riuscite a percorrere - più o meno nell’ordine - tutte le tappe del percorso; tende cioè a definire un modello evolutivo a stadi. Questo modello è ben rappresentato da alcuni esempi che hanno ‘catturato’ il discorso sulle città in Europa, tra i quali il ‘modello’ per eccellenza è forse quello di Barcellona, generalizzato poi alle città del Nord Europa. Questo schema, va detto invece, mal si applica alle città del Mediterraneo e, in particolare, del Mezzogiorno. Soprattutto perché ignora il ruolo che le singole congiunture nazionali esercitano sulle possibilità di singole città di avviare processi incrementali come quelli descritti. E inoltre perché non considera i ritardi, il peso del dualismo, i vincoli che il sistema Paese pone all’agire degli attori città, particolarmente pesanti nel nostro Paese. Bisogna dunque guardare con più attenzione a cosa sono davvero le città italiane, ed evidenziare quale ruolo giocano sulle economie regionali e la cultura locale. La particolare distribuzione della città in Italia Le città italiane sono diverse dalle tradizionali metropoli globali (non beneficiano e, al tempo stesso, non soffrono dei problemi del relativo gigantismo di capitali come Londra e Parigi); e invece soffrono dei tipici problemi del sistema paese. I Paesi europei prevalentemente urbani sono organizzati alternativamente su due configurazioni: a) una grande agglomerazione metropolitana (oltre ai casi già citati, tutti i piccoli paesi) che concentra una quota oscillante tra il 30% e il 50% di tutti gli indicatori rilevanti (abitanti, reddito, addetti, ricerca…); b) una densa rete di città, geograficamente ben distribuita, che cumulativamente assume lo stesso peso pur funzionando in maniera ‘policentrica’ (è il caso per esempio dell’Olanda e della Germania). L’Italia sfugge a questa classificazione perché non ha grandi metropoli primaziali, né reti estese (salvo nella pianura padana centro orientale: la cosiddetta ‘città infinita’); in compenso, però, la maggior parte del territorio, con la sola eccezione delle aree montuose della Calabria, della Sardegna, delle regioni centrali ecc., si trova a una modesta distanza dalla città capoluogo. CITTALIA – ANCI RICERCHE 24 Le priorità delle città Quali sono invece i caratteri specifici delle città italiane? Se ne possono indicare almeno quattro: - in primo luogo, si tratta di forme urbane e modelli insediativi differenziati; per rileggere le aree urbane in Italia si possono utilizzare tre semplici criteri: la soglia demografica fissata a 150 mila abitanti; il riferimento ad un’area funzionale estesa oltre il comune capoluogo, fatta coincidere con i Sistemi locali del lavoro che misurano gli spostamenti casa-lavoro; i caratteri qualitativi della morfologia territoriale e della organizzazione conurbativa. L’Istat riconosce 76 SLL intorno alle maggiori città dove vivono oltre 32 milioni di persone; sono aree di taglia, forma e modello insediativo molto differenti tra loro; alcune sono contigue, in particolare intorno a Milano, Napoli, o sulla via Emilia, e possono essere considerate come un’unica organizzazione urbana; - in secondo, le città sono in calo demografico, come peraltro l’Italia nel suo insieme; soprattutto tendono ad allargarsi in ‘grandi’ agglomerati di minor densità. Dal punto di vista demografico, le metropoli storiche del triangolo industriale e le maggiori aree urbane storiche si trovano in una situazione di omogenea decrescita, con la sola eccezione delle aree metropolitane delle Prealpi e del Nord Est, le metropoli meridionali e dell’Emilia. Ma perdono popolazione anche alcune città e aree urbane meridionali, in particolari Bari e Taranto. I trend sono però molto differenziati tra i comuni presenti dentro le diverse aree metropolitane. Tutti i comuni centrali sono infatti in diminuzione demografica, senza eccezione. Alcune parti delle corone metropolitane registrano invece incrementi spettacolari; - inoltre, nei 76 SLL urbani sono presenti oltre 12 milioni di addetti. Le aree urbane del Nord accolgono più addetti rispetto alla quota di residenti, le aree urbane meridionali invece ne accolgono meno. Nell’intervallo censuario, gli addetti delle aree urbane crescono omogeneamente, in corrispondenza all’incremento che si è registrato a livello nazionale nello scorso decennio. L’aumento degli addetti è molto differenziato nelle aree metropolitane. In altre parole, le città da un lato decentrano i residenti e accelerano il processo di suburbanizzazione; dall’altro, incrementano il numero dei posti di lavoro, in parte nelle aree centrali, in parte nelle corone periferiche. Tendono quindi a riconcentrare gli addetti nel comune centrale, sia pur in posizione periferica; con la naturale conseguenza dell’incremento consistente del pendolarismo interno; - infine, le nostre città sono aree produttive. Non è vero che l’industria sia sparita dalla città. Tutte e due sono cambiate casomai. Le città del Nord Est, le uniche che crescono, sono proprio quelle più manifatturiere. Le aree metropolitane del Nord comprendono attività terziarie, manifatturiere e anche agricole; numerosi CITTALIA – ANCI RICERCHE 25 Le priorità delle città comuni urbani si specializzano in attività produttive. I comuni delle aree urbane del mezzogiorno sono invece terziari, con qualche eccezione in Puglia. Da queste premesse risulta una conclusione forse un po’ ovvia: caratteri e funzioni delle città coincidono in gran parte con quelli del Paese nel suo insieme. Già il Cattaneo sosteneva che l’identità locale italiana è definita dall’appartenenza alla città capoluogo, non al contado né alla regione. Settori produttivi, funzioni amministrative, rango e cultura sono suddivise tra città e province in modo meno oppositivo che in altri paesi europei. I pregi della città sono i pregi delle sua provincia. I limiti, però, sono quelli del Paese nel suo insieme. Città competitive: la situazione italiana Con questa particolare armatura urbana anche la capacità competitiva delle città italiane va riconsiderata. I caratteri competitivi spesso indicati negli studi di altri Paesi vanno rivisti alla luce delle specificità, del ruolo, della configurazione di insieme della rete urbana italiana. La Commissione Europea spera che crescita, innovatività, e consenso siano prodotti prevalentemente in ambito urbano. L’opinione è condivisa da alcuni stati membri. Il governo inglese, la Germania, la Svizzera, La Francia, ma anche l’Oecd, hanno elaborato documenti di indirizzi sulle politiche urbane, per sostenere la competitività territoriale e le agglomerazioni produttive, temi ripresi in parte dal Mit in Italia. Di solito, queste affermazioni portano a concentrare gli investimenti sulle capitali politiche ed economiche. Nel caso italiano, questa affermazione va ridimensionata alla luce del ruolo diverso che le singole città svolgono nelle rispettive economie regionali. Da questi riferimenti, e in particolare dal lavoro del governo inglese, si possono individuare alcune famiglie di obiettivi: la connettività (infrastrutture e reti sia materiali che immateriali); la capacità umana; la qualificazione della forza lavoro; l’innovazione; la qualità della vita o più in generale l’abitabilità di un territorio; e, infine, la capacità strategica di mobilitare e implementare strategie di sviluppo a lungo termine. Le teorie economiche faticano –comprensibilmente- a porre un ordine di priorità tra questi diversi elementi e, casomai, indicano delle preferenze condizionate da comporre in una prospettiva temporale. E abbiamo già detto come l’Italia in generale soffra di ritardi storici soprattutto per i primi di questi obiettivi, per la connettività, la produttività, l’alta educazione ecc. CITTALIA – ANCI RICERCHE 26 Le priorità delle città Sono limiti storici del sistema Paese al quale si è sempre supplito con l’attivazione di risorse locali, spesso sacrificando la dimensioni più qualitative della abitabilità. In molti casi, si potrebbe argomentare, il limite della competitività è raggiunto più per la crisi di abitabilità dei sistemi urbani che non per la mancanza delle infrastrutture –pur importanti- a sostegno della competitività. Ne sono un esempio l’inquinamento e la mancanza di case a prezzi accettabili, due elementi di vita quotidiana che influenzano le dinamiche cruciali del prossimo futuro: l’invecchiamento e l’immigrazione. Da questo punto di vista, sarebbe scorretto contrapporre investimenti e opere hard (per esempio, direttamente funzionali al rafforzamento della accessibilità) a iniziative soft dirette alla qualità e abitabilità di una regione urbana. Ma va anche detto che queste seconde rientrano nella responsabilità diretta delle città, e dovrebbero perciò costituire materia prima di intervento. Inoltre, le città sono particolarmente vulnerabili ad alcuni aspetti della trasformazione socio demografica dei prossimi. La vulnerabilità sociale delle città Alcuni aspetti della transizione demografica e della evoluzione del sistema abitativo agiscono in modo diretto sulle città, e costituiscono probabilmente una delle priorità nel prossimo futuro. Invecchiamento della popolazione, concentrazione dell’immigrazione, dispersione residenziale sono probabilmente le tre sfide più urgenti. Possono essere richiamate a questo proposito alcune delle questioni più importanti: - nelle previsioni fatte dall’Espon, l’osservatorio europeo del territorio, sono previsti già per la fine del prossimo decennio effetti negativi del cambiamento demografico sia sull’economia che sulla tenuta sociale. L'evoluzione demografica limiterà gradualmente le possibilità di crescita dell'occupazione; l'invecchiamento della popolazione limiterà il ricambio; la partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani verrà sollecitata con nuove revisioni degli accordi di welfare. - Nel quinquennio 1996-2001, due terzi delle città dell'Unione europea hanno registrato una crescita della popolazione, mentre nel terzo rimanente è diminuita (Audit urbano). Al contrario più dell’80% delle città italiane è in calo, tra cui tutte le città con più di 250 mila abitanti), con la sola eccezione di città medie (come Messina, Reggio Emilia, Prato, ecc.). Il saldo migratorio interno verso le grandi città è negativo, mentre cresce il numero di stranieri che scelgono i grossi centri. CITTALIA – ANCI RICERCHE 27 Le priorità delle città - Inoltre vi è stata una marcata tendenza alla suburbanizzazione: nel 90% degli agglomerati urbani, la popolazione delle periferie è cresciuta più che al centro. - Attualmente, la divisione sociale interna alle città è probabilmente inferiore in Italia rispetto all’Europa. Le misurazioni di questo fenomeno sono piuttosto difficili, ma pur nelle evidenti disparità, le divisioni di reddito e di opportunità tra quartieri ricchi e poveri di una stessa città sono inferiori a quelle che ancora esistono tra regioni del Nord e del Sud. Ma non è detto che la questione sociale urbana non debba peggiorare nel futuro prossimo. - Le città inoltre concentrano gli immigrati di cui la nostra economia ha fortemente bisogno. Se si detrae il movimento di persone interno ai Paesi dell'Unione (circa il 2%), la quota degli immigrati risulta pari al 6% per l'UE27, e all'8% per l'UE15, quando negli USA è allo 11%. Il dato italiano –circa il 5% - è appena superiore alla metà di quello europeo, ed è destinato a raddoppiare in pochi anni. Già ora è superiore nella maggior parte delle città: la concentrazione crea un evidente problema di accoglienza, ma in prospettiva anche delle opportunità. Due sono le principali conclusioni di questa riflessione. La prima, è che il deficit di competitività delle città dipende molto da condizioni aggregate che hanno a che fare con il sistema paese (educazione, tassazione, partecipazione al lavoro, grandi infrastrutture ecc.) e che vanno affrontate a quel livello. La seconda, è che occorre rovesciare lo sguardo. Le città hanno già realizzato investimenti esemplari che, se generalizzati, contribuiranno alla competitività complessiva del paese: sull’ambiente urbano (riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento, adeguamento dei trasporti pubblici); sulla qualità sociale (l’integrazione degli immigrati, i diritti civili, la mobilità residenziale ecc.); sulla attivazione di processi strategici locali. Tutti questi fattori della competitività territoriale dipendono largamente dalla azione della città, e se messi a regime, possono contribuire alla ripresa del sistema paese. CITTALIA – ANCI RICERCHE 28 Le priorità delle città MOBILITÀ URBANA E METROPOLITANA: STRATEGIE POSSIBILI E MITI DA SFATARE Marco Ponti 1. Il problema del traffico e della mobilità in aree dense e “storiche” non è sostanzialmente risolvibile. Il motivo è semplice: il modo di trasporto individuale è un “bene superiore” rispetto al trasporto collettivo (è più confortevole e flessibile nello spazio e nel tempo), e poiché l’offerta di strade urbane non è di fatto espandibile oltre certe soglie, lo squilibrio tra domanda e offerta tende a essere “strutturale” (più traffico si sposta sul mezzo pubblico, più se ne genera sulle strade, fino ad un nuovo “equilibrio di congestione”, che comunque in genere rappresenta un beneficio netto per la collettività, se si “mettono tra parentesi” gli aspetti ambientali: prima si muovevano meno persone). 2. Tuttavia la forma della “curva di deflusso” del traffico stradale è di tipo esponenziale: cioè i livelli di congestione (e di inquinamento, che peggiora rapidamente con la congestione) aumentano rapidamente oltre certe soglie di traffico. È allora sufficiente mantenere con misure adeguate un traffico stabilmente poco al di sotto dell’attuale per ottenere benefici vistosi, molto più che proporzionali alle quantità di traffico “espulso”. Occorre inoltre ricordare che il traffico urbano genera problemi ambientali un pò meno drammatici di quanto si pensi: il riscaldamento domestico vi contribuisce quasi altrettanto, e le emissioni che più nuocciono alla salute (CO, SOX e NOX) sono diminuite nel tempo grazie alle marmitte catalitiche. I particolati sono invece stabili, dopo essere fortemente diminuiti, mentre il CO2 totale (non quello unitario) è in moderata crescita, ma non nuoce alla salute. La tassazione sulle emissioni dei mezzi stradali tuttavia “internalizza” abbondantemente i costi ambientali (non quelli di congestione): a livello internazionale infatti si discute se mettere una “carbon tax” di 30 o 50 o 100 dollari a tonnellata di CO2 emessa (e 100 dollari fanno strillare l’industria tutta….), dimenticando che per tonnellata emessa i mezzi stradali in Europa ne pagano circa 450. 3. I problemi di traffico e quelli ambientali legati al traffico, come si è detto, sono determinati da esternalità, cioè da costi generati da altri (es. rallentamenti, emissioni) ma non percepiti da chi li genera. Ciò determina automaticamente l’impopolarità di qualsiasi politica che tenda a comprimere il traffico privato. CITTALIA – ANCI RICERCHE 29 Le priorità delle città Psicologicamente infatti l’automobilista si sente vittima della cattiva gestione del problema traffico, non causa del problema (“beggar my neighbour”, in inglese). Per di più, comprimere il traffico privato (e le soste abusive soprattutto), colpisce direttamente gli interessi dei commercianti, alleati "storicamente" alla vigilanza urbana. Le soste abusive costituiscono in realtà il nocciolo del problema: se fossero realmente perseguite si avrebbe contemporaneamente una riduzione dell’uso dell’auto privata a livelli “accettabili”, nel senso che si è sopra specificato, e mezzi pubblici più veloci e frequenti grazie alla ridotta congestione (e assai meno costosi per le casse pubbliche). 4. Ciò comporta che le politiche per il traffico dovrebbero essere presentate in modo “asimmetrico”, con forte enfasi alle iniziative positive (es. tariffe dei taxi abbassate, migliori trasporti pubblici e migliore viabilità, ecc.) mentre si dovrebbe mantenere in sordina l'incremento della repressione delle infrazioni. Tale incremento deve essere tuttavia di un ordine di grandezza rispetto ai livelli attuali: la probabilità di essere sanzionato per un’infrazione deve raggiungere livelli “statunitensi”, cioè dell’ordine del 50%, mentre attualmente è dell’ordine di pochi punti percentuali, cioè tale da rendere economicamente conveniente l’infrazione (l'aumento recente del numero delle contravvenzioni in città è statisticamente irrilevante, infatti non ha modificato minimamente i comportamenti). A Milano per esempio si stima che vi siano almeno 100.000 infrazioni quotidiane alla sosta, mentre le sanzioni annue comminate sono dell’ordine dei due milioni. Milano è stata definita dall’”Economist” la capitale mondiale della sosta in doppia fila, e un periodo di inasprimento delle sanzioni, sostenuto anche dal locale Automobil Club (!) ha determinato una durissima reazione di alcuni partiti della maggioranza al governo della città, con conseguente rapida ridiscesa delle sanzioni stesse, e ovvia recrudescenza dei comportamenti irregolari, a riprova della natura strettamente ed esclusivamente politica del problema. Vi sono cioè molte “lamentazioni” delle amministrazioni locali che suonano del tutto ipocrite. 5. La strategia di base dovrebbe essere “a forcella” (modello che ha avuto pieno successo per esempio a Singapore). Ogni inasprimento repressivo deve essere affiancato (o meglio preceduto) da miglioramenti del sistema dei trasporti, sia privati che collettivi, al fine di dare segnali che rendano accettabile la repressione. La repressione stessa poi, come si è detto, aumenterà la velocità, l’utenza e la redditività del trasporto pubblico, e svilupperà spontaneamente forme di car-pooling (più persone usano la stessa auto per recarsi al lavoro), car-sharing (auto in proprietà collettiva) ecc., cioè forme d’uso innovative del CITTALIA – ANCI RICERCHE 30 Le priorità delle città mezzo privato, che oggi hanno poco spazio (ovviamente conviene lasciare l’auto individuale in sosta vietata). 6. Entrando in merito alle iniziative "positive", il rafforzamento radicale delle corsie riservate presenta costi bassi e rapida realizzabilità, ma rischia di essere molto inefficiente, se applicato come ora. Occorre l’estensione del loro uso, dato che se rimangono confinate ai mezzi pubblici ed ai taxi sono fortemente sottoutilizzate, come molte analisi dimostrano. Occorrerebbe dunque estenderne l’uso a: a) carpooling e veicoli con tre o più persone a bordo, b) auto con propulsione non inquinante, e c) auto di lunghezza inferiore ai tre metri. Queste estensioni sono indispensabili per utilizzare in modo efficiente una risorsa scarsissima come lo spazio viario urbano. Richiede l’estensione dei controlli automatici (telecamere) ma anche diretti (per car-pooling, ecc.). In una fase immediatamente successiva si introdurrà una tariffa via telepass o "sticker" (adesivi da esporre all’esterno) per l’uso delle corsie da parte di chiunque (in anticipazione o probabilmente in alternativa al road-pricing generalizzato, cioè alle tariffe di ingresso nelle aree urbane più dense, che a Londra sta funzionando nel complesso bene, ma che è problematico da realizzare nelle realtà metropolitane o urbane del nostro paese). Per rendere fluida la circolazione sulle corsie tuttavia è indispensabile realizzare fermate “fuori asse” per i mezzi pubblici. Per le corsie riservate è necessario infine prevedere interventi infrastrutturali negli svincoli più critici. Infine si possono costruire in molte città tunnel automobilistici sotterranei, che hanno avuto ottimo successo a Marsiglia, a Oslo e a Boston. Se ben progettate, tali opere presentano tre vantaggi clamorosi (e poco noti): a) si pagano da sé, al contrario delle metropolitane; b) le emissioni in sotterraneo sono molto facilmente abbattibili con filtri (al contrario di quelle in superfice); c) la tariffazione dei flussi consente di modulare il traffico che usa l’infrastruttura, divenendo di fatto uno strumento di regolazione della congestione. 7. Occorrerebbe aumentare il numero di taxi e diminuirne le assurde tariffe. I due fenomeni sono strettamente correlati: alte tariffe generano ridotta utenza, in una spirale perversa, propria del monopolio. Si può pensare anche a sussidiare i taxi in modo “soft”, per esempio con la fornitura di veicoli non inquinanti. Ma soprattutto occorre creare sistemi all’inglese, di concorrenza vera da parte di autonoleggiatori chiamabili solo per telefono. Non ci si può illudere comunque che la rottura del monopolio e l’abbattimento delle tariffe sia privo di costi iniziali. Un’alternativa di taxi, individuali e/o collettivi ad abbonamento, a costi più contenuti degli attuali, consentirebbe di togliere al mezzo privato una quota di utenti a reddito medio-alto (cfr.il caso di New York, dove cresce la popolazione “affluente” priva di automobile individuale). L’insuccesso della CITTALIA – ANCI RICERCHE 31 Le priorità delle città timidissima riforma Bersani ha tuttavia messo in luce come ogni forma di monopolio sia protetta a livello locale (a danno dei cittadini). La rilevanza del settore può essere dedotta dal fatturato, che in una città come Milano è dello stesso ordine di quello dell’ATM (l’azienda di trasporto pubblico cittadino). 8. In parallelo alla repressione, è urgentissimo intervenire con una diversa qualità dell’”arredo urbano” per il traffico, con aree di sosta ben definite (a volte anche sui marciapiedi se indispensabile e realistico per ragioni di consenso), corsie di traffico delimitate in modo preciso (“alla svizzera”), con sanzioni certe e tempestive per chi non le rispetta. Tale ultimo intervento in particolare può portare su moltissimi assi stradali ad un raddoppio della capacità attuale. Paradossalmente, su alcuni tronchi stradali in zone non prossime ai semafori può essere consentita una breve sosta in doppia fila, la cui brevità sia garantita dall’obbligo delle frecce lampeggianti e dei fari accesi. 9. Ancora in parallelo alla repressione generalizzata e certa della sosta vietata, è necessario sviluppare la strategia del “park pricing”, esteso a tutta la città e ai residenti. Tale strategia deve però essere selettiva, ed esattamente corrispondente a quella suggerita per le corsie riservate, cioè distinguere per tipo di veicolo (con diversi “gratta e sosta”). Veicoli corti e non inquinanti (“Smart elettriche”, per intenderci) non dovrebbero pagare nulla, mentre le berline di 5 metri a combustione interna dovrebbero pagare moltissimo. (Si ricorda anzi che occorrerebbe al più presto intervenire anche incoraggiando la sostituzione delle marmitte catalitiche vecchie, che sembra perdano rapidamente efficacia ambientale con il tempo). I ricavi del “park pricing” possono essere utilizzati per abbattere le tariffe dei taxi, ed anche quelle dei trasporti pubblici se utile per ragioni di consenso (infatti si tratta di una operazione più che altro di immagine, dati i bassissimi livelli attuali delle tariffe, se confrontati con quelli di altri paesi europei). 10.Vi è un’opinione diffusa, fatta circolare dagli interessi colpiti, che l’apertura alla concorrenza del trasporto pubblico andrebbe a scapito della socialità del servizio. E’ vero il contrario, nel modello di concorrenza scelto dall’Italia, che si limiterebbe, se applicato, a mettere in gara servizi le cui caratteristiche e le cui tariffe sarebbero sempre decise e controllate dall’amministrazione pubblica. (Si chiama concorrenza “per il mercato”, contrapposta alla concorrenza piena, cioè “nel mercato”). Infatti servizi in gara costerebbero di meno alle amministrazioni, e quindi a parità di risorse pubbliche vi potrebbero essere più servizi o tariffe inferiori. Dunque la messa in gara delle aziende di trasporto pubblico, osteggiata inspiegabilmente dal passato governo “liberale” (e perseguita molto debolmente CITTALIA – ANCI RICERCHE 32 Le priorità delle città da quello attuale), nonostante le capacità di lobbying delle imprese monopoliste e degli interessi a queste legati, deve essere perseguita con convinzione, con lotti di gara piccoli per favorire l’ingresso di nuovi operatori senza troppi rischi per le amministrazioni. Occorre soprattutto “normalizzare” il mercato del lavoro nel settore, distorto da decenni di un uso clientelare delle assunzioni: si noti infatti che qui, al contrario degli altri paesi europei, non vi sono extracomunitari (non votano……). Tale “normalizzazione” va perseguita istituendo un apposito “fondo sociale” per tutelare temporaneamente gli eventuali addetti espulsi (la produttività del settore è molto bassa, ed è illusorio pensare a riforme senza costi, come si è detto). L’attuale tendenza a ricorrere a una “clausola sociale” come in generale si propone per garantire lo status quo agli addetti, cioè per perpetuare le anomalie attuali, significa negare nei fatti ogni possibilità di vera riforma del settore. I risparmi ottenibili da gare vere possono essere usati, insieme agli aumenti di efficienza ottenibili dai provvedimenti sopra descritti, per generare risorse per la mobilità complessiva. Occorre ricordare in particolare che, fatto 100 il costo di esercizio di un servizio di trasporto pubblico in Italia, è di 48 quello in Inghilterra, che certo ha visto intensi fenomeni di liberalizzazione, ma è di 78 in Francia, paese che protegge il lavoro non meno che l’Italia. Cioè, anche portando i costi solo a livello di quelli francesi, si potrebbe erogare il 22% di servizi in più, o, a parità di sussidi, si potrebbero ridurre drasticamente le tariffe, e, nel mezzogiorno, si potrebbe addirittura azzerarle senza difficoltà. Uno “scandalo” particolarmente intollerabile infine è quello connesso alle gare che sono state fatte (un centinaio circa) in cui il bando, i segnali politici delle amministrazioni che lo emanavano, e la cartellizzazione del settore, hanno fatto sì che solo in un caso (Genova) abbia vinto un concorrente dell’azienda incumbent (cioè preesistente). Era più onesto dichiarare pubblicamente che si intendeva proteggere il monopolio piuttosto che i cittadini….ma su questa inqualificabile vicenda sta indagando finalmente l’Antitust. 11. Per quanto concerne infine investimenti specifici per il trasporto pubblico, nuove linee metropolitane sono giustificabili solo in presenza di strategie urbanistiche tali da garantirne il pieno utilizzo (si tratta di opere estremamente costose). Occorrerebbe cioè una politica di altissime densità (“grattacieli”). Per esempio, la linea 3 milanese è da anni sostanzialmente sottoutilizzata. A scala metropolitana, è più urgente e meno oneroso potenziare e migliorare le linee su ferro esistenti, consentendo elevate densità alle stazioni per massimizzarne l’uso. Anche l’attuale “moda” delle linee tranviarie non trova giustificazione tecnico-economica: linee in corsia riservata di autobus ecologici consentono maggior flessibilità nel tempo e nello spazio, costi nettamente inferiori, e CITTALIA – ANCI RICERCHE 33 Le priorità delle città possono evitare fastidiose “rotture di carico” (cioè cambio di mezzo), servendo direttamente la domanda nelle aree meno dense (senza più la necessità di corsie riservate). 12.Tornando ad considerazioni un’ottica metropolitana, strategiche rilevanti, occorre e tuttavia scarsamente avanzare considerate. alcune L’attuale tendenza a investire moltissimo in servizi pubblici, per investimenti ed esercizio, necessariamente centripeti (gli spostamenti non centripeti non sono in generale servibili da mezzi collettivi) generano fenomeni di rendita molto consistenti, sia nelle aree centrali che in quelle esterne servite. Il risultato sociale è che si sussidia la rendita e i pendolari dei settori a più alto reddito che lavorano in centro, mentre le categorie operaie, che risiedono e lavorano in aree esterne, sono costrette a servirsi del mezzo privato (cfr. le statistiche sulla mobilità), sussidiando di fatto, con le altissime imposte sui carburanti, categorie a reddito più elevato. Tale fenomeno è stato recentemente discusso e anche in una tavola rotonda dell’OCDE, in cui è stato presentato il caso di Parigi, oltre a quello milanese). 13.CONCLUSIONI PROVVISORIE: I due problemi strutturali che sembrano attraversare tutta la vasta casistica qui presentata sembrano riconducibili a due categorie logiche proprie degli economisti: i fenomeni di “cattura”, e quelli di “finanza derivata”. Per “cattura” si intende il prevalere di obiettivi egoistici di breve termine (“hidden agendas”) dei decisori politici locali (rielezione, relazioni improprie con gli interessi costituiti ecc.) rispetto ad obiettivi più strategici riconducibili all’interesse generale. Per “finanza derivata” si intende l’irresponsabilità rispetto all’uso delle risorse di provenienza da livelli superiori dello stato (amministrazione centrale, regioni). Risorse che sono percepite come da massimizzare comunque, non percependone alcun costo-opportunità (“perché disciplinare il traffico perdendo consenso, se posso ottenere fondi per una metropolitana, anche se di molto dubbia utilità?”). Una delle soluzioni possibili è quella delle “tasse di scopo”, proprie del modello amministrativo nordamericano, l’altra è quella del decentramento “non- earmarked” dei fondi delle amministrazioni centrali, in modo da consentire un dibattito esplicito su come impegnarli. Ma sono considerazioni che certo approfondimento. CITTALIA – ANCI RICERCHE 34 richiedono ben diversi livelli di Le priorità delle città I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA COSTRUZIONE DELLE POLITICHE URBANE Chiara Sebastiani 1. La “svolta partecipativa” degli anni Novanta. La partecipazione dei cittadini alla costruzione delle politiche pubbliche e la loro inclusione nei processi decisionali è oggi un tema – e una retorica – dominante nel discorso pubblico e in quello politico. Il discorso della partecipazione presenta due caratteristiche: a) la sua introduzione è tanto recente quanto caratterizzata da rapido successo; b) esso riguarda prevalentemente le politiche locali e soprattutto le politiche urbane, vale a dire le politiche messe in atto dalle città per le città. Un esame della letteratura in materia indica abbastanza chiaramente che questa svolta si colloca agli inizi degli anni Novanta, vale a dire in concomitanza con i processi di riforma del governo locale e quelli di unificazione europea1. Decentramento e riforma del governo locale riguardano in qualche misura tutti i paesi europei, e tutte le città europee hanno visto importanti trasformazioni delle loro politiche nel nuovo contesto dello spazio europeo unificato (trattato di Maastricht, entrata in vigore degli accordi di Schengen) e anche, in termini più generali, nel nuovo contesto della globalizzazione. Vi sono poi delle specificità italiane che vanno anch’esse collegate all’emergere di quelle nuove istanze partecipative a cui di solito si allude quando si parla di “democrazia diretta”, “democrazia deliberativa”, “percorsi partecipativi”, “processi inclusivi” o simili. Si tratta della crisi delle istituzioni e di quella dei partiti, che a partire dalle vicende di Tangentopoli e dalla caduta del muro di Berlino, portano al passaggio dalla prima alla seconda repubblica e alla dissoluzione dei grandi partiti di massa (Dc e Pci). Pur trattandosi di vicende di portata nazionale e internazionale, esse hanno contribuito in maniera decisiva a dare forma nuova al processo politico locale. Sono allora comparse espressioni come quelle di “federalismo dei comuni” (Manzella) o “repubblica delle città” (Bassolino) per descrivere sia il rinnovamento delle istituzioni sia il ruolo delle città come “soggetto politico” e non solo “oggetto di politiche pubbliche” (LeGalès). E’ stata evocata la “città-stato” e si è parlato di 1 Un libro come quello di Ham e Hill (1984) tradotto in italiano a metà degli anni Ottanta quando mancava ancora nel nostro paese una letteratura consistente sulle politiche pubbliche si occupa tutt’al più di esclusione dai processi decisionali, e non di partecipazione ai medesimi. Dieci anni più tardi, un libro di Luigi Bobbio (1996) sottolinea come il problema della costruzione del consenso tramite procedure di partecipazione ai processi decisionali politico-amministrativi fatichi ancora ad affermarsi. Ma dalla fine del decennio e agli albori del secondo millennio è tutto un fiorire di letteratura sulla partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche (Sclavi, Bosetti, ecc.), tanto di produzione italiana quanto di traduzioni di opere meno recenti prodotte nei paesi anglosassoni. CITTALIA – ANCI RICERCHE 35 Le priorità delle città “modello anseatico” (Pichierri) per indicare il nuovo protagonismo politico delle città, non soltanto luoghi e nodi fondamentali dei processi economico-sociali e delle dinamiche del mutamento politico e culturale ma attori in prima persona di questi processi, in grado di determinare esse stesse gli indirizzi del mutamento. E si è incominciato ad analizzare in termini nuovi il modo in cui esse svolgono questa azione: non soltanto, cioè, tramite le loro istituzioni politico-amministrative di rappresentanza e di governo – le cui architetture, nonostante gli importanti processi di riforma del governo locale, appaiono sempre troppo strette o troppo in ritardo rispetto ai processi che debbono governare – ma tramite reti di attori pubblici e privati che mettono in atto una grande varietà di azioni ed interazioni. L’attenzione al protagonismo politico ha portato alla concettualizzazione delle città come “attori collettivi”, quella ai modi concreti e in particolare a quelli nuovi di governare ha portato all’introduzione, con grande successo, del termine anglo-sassone di governance. Tanto l’idea della città come attore collettivo, quanto il concetto di governance nella sua accezione più marcatamente normativa (cioè come sinonimo di “buon governo” piuttosto che di azione – concreta – del governare2) hanno alimentato un ampio dibattito critico. Della rappresentazione delle città come attori collettivi si è sottolineata la duplice debolezza o ambiguità (Caillosse, LeGalès). Da un lato le città sono deboli sul piano delle definizioni giuridiche e delle competenze e dei poteri formali: il concetto di città, sia dal punto di vista del territorio, sia dal punto di vista dei poteri, non trova propriamente nessuna istituzione giuridica che le corrisponda. Gli sforzi volti a garantire una migliore corrispondenza tra la città “reale” e la città “legale”, tramite processi di accorpamento, scissione, o instaurazione di nuovi livelli di governo come la città metropolitana, da un lato incontrano resistenze dall’altro si trovano necessariamente a rincorrere sul piano giuridico e politico una realtà che è sempre più avanti delle istituzioni che vogliono rappresentarla. Dall’altro la rappresentazione dell’attore collettivo rischia di non tener conto della pluralità di istanze ed interessi conflittuali che compongono il tessuto socio-economico urbano. Quelli che LeGalès chiama i grandi “miti mobilitatori” dell’interesse collettivo e della comune identità si scontrano con le difficoltà concrete del “governare la frammentazione” nonché, più recentemente e più pericolosamente, con il potenziale disgregativo di certe derive identitarie xenofobe e razziste. Così pure all’iniziale entusiasmo per la governance come ricetta per il buon governo ha fatto presto riscontro una varietà di critiche (Vicari 2 Questa accezione è stata accentuata nella recezione ccontinentale del termine anglo-sassone. Mentre nel contesto internazionale influenzato dai frames anglo-sassoni si specifica cosa debba intendersi per “good governance” in Italia la “governance” di carcia di un implicito contenuto valoriale positivo. CITTALIA – ANCI RICERCHE 36 Le priorità delle città Haddock). Tra queste il fatto che quelli che vengono chiamati “processi di governance” spesso ricalcano le forme consolidate della concertazione, che talvolta si distinguono poco da accordi tra attori forti, che sottraggono il processo decisionale alle garanzie offerte dalla pubblicità e dalle istituzioni rappresentative quando addirittura non si riducono a modelli comunicativi finalizzati alla legittimazione di decisioni concertate. Così l’emergere di nuove istanze partecipative si manifesta in qualche misura come un fattore di contropeso e riequilibrio a quelle che sono percepite come le criticità del nuovo modo di fare le politiche urbane. La “partecipazione dei cittadini ai processi decisionali” risponderebbe infatti alle seguenti finalità: a) garantire una migliore presa in conto del territorio di quella fornita dalle architetture politico-amministrative istituzionali, con l’individuazione, a seconda delle issues, del territorio di riferimento – o “comunità di vicinato” – interessato;3 b) garantire una presenza nel processo decisionale a quelle reti e comunità deterritorializzate che sempre più caratterizzano il tessuto relazionale urbano; c) riconoscere la frammentazione degli interessi e delle appartenenze predisponendo uno spazio ad hoc per la mediazione dei conflitti e la “facilitazione” dell’accordo; d) includere gli attori meno favoriti e favorire l’emergere di istanze e punti di vista troppo deboli per affermarsi nella sfera pubblica; e) integrare l’azione delle istituzioni rappresentative con l’apporto di voci e contenuti che servano a colmare il distacco tra società politica e società civile; f) mobilitare risorse diverse da quelle a cui gli attori istituzionali di solito si rivolgono (economiche in primis) e valorizzare la presenza diffusa di altre risorse e competenze (capitale sociale, conoscenza del territorio, volontariato). In che misura le forme di partecipazione alle politiche urbane oggi poste in essere tanto in virtù di dispositivi istituzionali quanto a seguito di sperimentazione di forme innovative rispondono a queste finalità? Per cercare non tanto di dare risposte certe quanto di individuare alcune tendenze esamineremo dapprima le grandi tipologie a cui si possono ricondurre le politiche urbane (par. 2), poi le modalità di applicazione di alcuni modelli diffusi e sperimentali di partecipazione (par. 3), infine alcuni aspetti discorsivi e comunicativi delle politiche partecipative (par. 4). 3 Venendo incontro a quelle teorie che vedono oggi nel territorio non un luogo geografico dato ma un costrutto sociale (cfr. Amin e Thrift). CITTALIA – ANCI RICERCHE 37 Le priorità delle città 2. Trasformazione e diversificazione delle politiche locali. Tradizionalmente le politiche locali si potevano ricondurre alle due grandi categorie di politiche di assetto del territorio e politiche di welfare (Dente). In essa si iscrivono, con maggiore o minore estensione, le competenze tradizionali degli enti locali nella maggioranza dei paesi europei. Tuttavia si conviene ormai che a questi due ambiti ne vada aggiunto un terzo, quello delle politiche per lo sviluppo (Brugué e Gomà 1998, cit. in Bobbio 2002). In realtà, come ho cercato di mostrare altrove (Sebastiani 2007), è assai più ampia la categoria di nuove politiche urbane che derivano dal trasferimento di compiti e funzioni dallo stato ai governi locali, o addirittura dall’ “appropriazione” di funzioni dello stato da parte dei governi locali. Vi rientrano quelle che ormai vengono chiamate le “politiche estere” delle città, le politiche della sicurezza, le politiche di coesione sociale. La stessa categoria di politiche per lo sviluppo si presta ad usi diversi, uno più restrittivo che assegna a questa categoria fondamentalmente le politiche economiche, uno più ampio che fa riferimento ad una pluralità di dimensioni dello sviluppo: sociale, culturale, politico, relazionale (Sordini 2006). E ancora, la promozione della coesione, della conoscenza, della partecipazione possono essere considerate dimensioni intrinseche dello sviluppo o, secondo altri approcci, fattori di vantaggio competitivo ai fini dello sviluppo economico. Sul piano empirico, tuttavia, ovvero sulla base dell’osservazione dei processi concreti di definizione e implementazione delle politiche urbane, pare essersi consolidato un approccio sostanzialmente dicotomico che distingue tra politiche di sviluppo e politiche di welfare, ricomprendendo nelle prime buona parte delle politiche di assetto del territorio, delle infrastrutture, della mobilità ma sempre più anche politiche che chiameremmo culturali, includendo nelle seconde i “servizi”, in particolare quelli per l’infanzia, i giovani, gli anziani, le persone disabili o non autosufficienti (cioè l’ampia categoria di “cura delle persone dipendenti”), in condizione di fragilità o marginalità sociale. A questa seconda categoria – che in senso ampio viene definita delle politiche sociali – sono state assegnate d’ufficio le politiche per gli immigrati4 e vi rientrano altresì, di norma, tutte quelle infrastrutture concepite in termini di costi, assistenziali o sociali: biblioteche pubbliche, impianti sportivi, ma anche, implicitamente, edifici scolastici, abitazioni, giardini pubblici. Si tratta di una dicotomia che più che sui contenuti intrinseci delle politiche si basa sul modo di concepire le loro finalità in termini di soddisfazione di bisogni interni o di reperimento di risorse all’esterno, e che viene espressa dalla 4 Distinte dalle politiche dell’immigrazione, che rimangono di competenza statale (cfr. Caponio). CITTALIA – ANCI RICERCHE 38 Le priorità delle città tendenziale contrapposizione tra politiche “competitive” e “solidaristiche” (Gaudin), politiche distributive e redistributive. A determinare questa impostazione hanno largamente contribuito i processi di decentramento che hanno assegnato alle città insieme nuovi poteri e nuovi compiti, rendendole al contempo sempre più responsabili del reperimento delle risorse per farvi fronte, tanto più che ovunque ai processi di trasferimento dei compiti non corrisponde un analogo trasferimento di risorse da parte dello stato. Tra le sue conseguenze vi è la percezione di una crescente divaricazione tra politiche rivolte all’esterno – cioè volte ad attirare nuovi investimenti e nuovi city-users – e politiche rivolte all’interno, cioè volte a soddisfare i bisogni dei residenti e in particolare delle categorie più deboli di cittadini. Gli evidenti vantaggi a livello macro che le politiche impostate (framed) in termini di sviluppo portano sul piano di risorse aggiuntive ai fini dell’implementazione di politiche solidaristiche non sono di solito sufficienti a generare sufficiente legittimità, consenso e cooperazione per la messa in atto delle azioni specifiche a livello micro. Tanto è vero che spesso quelle che a un livello più astratto appaiono soluzioni diventano problemi al livello più concreto della vita quotidiana degli abitanti delle città, che si tratti della costruzione di infrastrutture o di processi di riqualificazione di centri urbani, dell’implementazione di servizi per le imprese o della realizzazione di “grandi eventi”. Ma la crescente divaricazione tra “politiche sociali” e “politiche per lo sviluppo” è anche largamente radicata negli assetti tradizionali e burocratici della macchina amministrativa dei governi locali, delle impostazioni settoriali ed astratte delle competenze, modellate sulla struttura del welfare state, e delle resistenze che essa oppone frequentemente allo scompaginamento dell’organizzazione consolidata. E se certamente, dopo le riforme del governo locale, i sindaci hanno fatto uso dei loro nuovi poteri “inventando” assessorati che esprimevano non solo simbolicamente l’intento di implementare politiche innovative, molto spesso però la composizione delle giunte è rimasta ancorata all’organizzazione tradizionale della macchina burocratica, con assessorati che richiamano “competenze” piuttosto che aiutare a pensare le “politiche”. Crescente estensione ma anche divaricazione delle politiche urbane, persistenza di frames politico-amministrativi tradizionali sono dunque i due dati di contesto nel quale vengono calati i nuovi processi di partecipazione dei cittadini alle politiche urbane. CITTALIA – ANCI RICERCHE 39 Le priorità delle città 3. Domanda e offerta di partecipazione. In primo luogo, che cosa si intende per partecipazione? Va anzitutto chiarito che a partire dagli anni Novanta le politiche del decentramento incorporano man mano una serie di dispositivi di natura diversa volti a promuovere la partecipazione diretta dei cittadini alle politiche locali. Questi dispositivi possono essere ricondotti a tre grandi categorie: dispositivi legati al diritto all’informazione (dall’accesso agli atti alle nuove forme di rendicontazione), dispositivi legati al principio di sussidiarietà, volti a garantire la possibilità di partecipazione alla produzione di beni pubblici, dispositivi di inclusione nel processo decisionale, volti a garantire la partecipazione alla definizione e implementazione di politiche pubbliche. Una grande parte di questi dispositivi sono dunque diventati legge, mentre alcuni sono di tipo sperimentale. La crescente domanda di partecipazione da parte dei cittadini viene attribuita ad una varietà di motivazioni. Sul piano politico, alla consapevolezza dei limiti della democrazia rappresentativa e l’esigenza di sperimentare forme di democrazia diretta: ad un modello di democrazia limitata alla selezione dei capi si contrappone quello di una democrazia fatta dal confronto costante tra governanti e governati, e dalla capacità di questi ultimi di esercitare funzioni di indirizzo e di controllo sull’azione dei governanti con modalità che vanno dalla consultazione al coinvolgimento in veri e propri momenti decisionali. Sul piano amministrativo, alla crescente consapevolezza dei cittadini dei propri diritti nei confronti dell’amministrazione e la necessità del superamento del modello burocratico tradizionale verso un modello di amministrazione più vicino ai cittadini. Sul piano istituzionale, alle trasformazioni degli ultimi vent’anni: la dissoluzione dei grandi partiti di massa che costituivano in Italia il canale privilegiato di partecipazione, l’integrazione europea ed il crescente accento posto sul principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale, oltre ai generali processi di decentramento di cui si è parlato. Sul piano sociale, alla necessità di mediare tra istanze sociali sempre più frammentate e composite, e che sempre più spingono per un accesso diretto degli interessi alla sfera politica al di fuori dei canali tradizionali dei partiti e della rappresentanza. La rappresentazione dominante delle istanze partecipative è comunque quella di una domanda di partecipazione che parte dal basso e che in questi anni ha trovato espressione nei movimenti sociali urbani e nelle pressioni della nuova società civile, fatta di una pluralità di associazioni e organizzazioni che rivendicano la capacità ed il diritto di partecipare in prima persona alla definizione e alla messa in atto di politiche pubbliche. Va tuttavia osservato che questa è soltanto una parte della CITTALIA – ANCI RICERCHE 40 Le priorità delle città storia. Altrettanto importante è il ruolo, nella svolta partecipativa, della offerta di partecipazione che parte dall’alto, cioè dalle istituzioni. Questa offerta può essere dettata da varie motivazioni tra cui: il bisogno di legittimazione e visibilità dei politici locali, la crescente intraprendenza di una nuova burocrazia, gli incentivi e talvolta le costrizioni che provengono dall’Unione europea. Se andiamo a guardare che cosa succede nella pratica, sul piano empirico, vediamo che domanda e offerta di partecipazione spesso non coincidono. In altri termini, la messa in atto di percorsi partecipativi spesso non avviene in risposta ad una domanda dei cittadini, ma a seguito di una offerta delle istituzioni. Questo peraltro, in una certa misura, appare conforme ai dettami della teoria sulle “strategie inclusive di policy-making”: la partecipazione non deve essere mera reazione a una domanda (rivendicazione, protesta) ma va stimolata in determinate circostanze, in particolare quando si tratta di fare appello a risorse che l’attore istituzionale non possiede o di prevenire prevedibili conflitti. Dobbiamo osservare tuttavia spesso la partecipazione viene offerta in casi in cui le risorse sono concentrate nelle mani del decisore e su issues distributive che non generano conflitti. Tipicamente il coinvolgimento nella progettazione di nuovi spazi o servizi pubblici: giardini, palestre, centri giovanili. Se questo coinvolgimento può rispondere anche talvolta ad una necessità di mobilitare risorse (per esempio per la custodia e la cura dei nuovi spazi ed impianti) e di prevenire conflitti (per esempio intorno alle preferenze per gli usi degli spazi in questione), si tratta apparentemente di esigenze secondarie rispetto a quelle di dare visibilità a questo o quel settore amministrativo o assessorato. Ma non si tratta solo di una “politica dell’immagine”. Sempre più la messa in atto di percorsi partecipativi è legata a opportunità e vincoli inerenti al reperimento di risorse. Le crescenti necessità delle città in materia hanno favorito l’emergere di una nuova classe burocratica pubblica e di una nuova categoria di consulenti liberoprofessionisti, esperti in vere e proprie attività di fund-raising, tipicamente tramite la partecipazione a bandi regionali, nazionali, europei. Sicché l’implementazione di percorsi partecipativi, da metodo per la ricerca di soluzione di problemi appare talvolta, per dirla con Dente, piuttosto l’effetto dell’esistenza di “soluzioni alla ricerca di problemi”. A questo bisogna aggiungere che, particolarmente nel caso di bandi europei – ma la pratica si sta diffondendo sempre più anche a livello nazionale – l’indicazione di percorsi di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini alla progettazione ed implementazione delle politiche è una delle condizioni determinanti per l’accesso al finanziamento sicché abbiamo il secondo paradosso inerente alle pratiche della partecipazione, cioè quello di “processi partecipativi dal basso implementati dall’alto” (Tedesco). CITTALIA – ANCI RICERCHE 41 Le priorità delle città Va peraltro notato che questi aspetti paradossali relativi alla messa in atto di percorsi partecipativi di per sé non inficiano la possibilità di realizzare gli obiettivi c), d), e) e f) elencati nel primo paragrafo, il cui effettivo raggiungimento o meno dipenderà da una grande varietà di fattori. Vi sono invece delle costanti critiche che sembrano emergere per quanto riguarda gli obiettivi a) e b). Per quanto riguarda la presa in conto del territorio, questa appare scontrasi sistematicamente con le architetture amministrative e l’organizzazione burocratica delle competenze. A qualunque livello (circoscrizione, comune, provincia) e su qualunque materia di impatto territoriale (costruzione di un parco o di un supermercato, di una scuola o di un impianto sportivo) la progettazione tenderà a venire impostata sulle linee invisibili delle mappe amministrative e sulle astratte ripartizioni delle competenze burocratiche, generando una delle maggiori difficoltà di dialogo tra cittadini e istituzioni ma anche impoverendo in generale la portata dell’azione progettuale. E’ questo uno dei problemi tipici delle politiche partecipative su issues che toccano l’assetto del territorio. Viceversa, nel caso di issues che toccano, o che sono concepite (framed) come politiche sociali l’attenzione si sposterà drasticamente verso le reti di attori e le comunità di utenti individuate perlopiù con le categorie astratte del welfare (giovani, anziani, immigrati, ecc.), trascurando gli effetti specifici, e le potenzialità, della collocazione territoriale di quelle strutture che vengono concepite esclusivamente in termini di “servizi” (e non, per esempio, di spazi pubblici). Queste criticità nell’individuazione degli stakeholders e dei livelli appropriati di intervento si riflettono anche in una tendenziale divaricazione nelle modalità partecipative che riflette l’impostazione dicotomica politiche di welfare/politiche territoriali e di sviluppo. Nel primo caso – tipicamente nell’implementazione dei Piani di zona - i partecipanti saranno essenzialmente comunità di utenti (genitori, famiglie, comunità etniche) e reti di operatori del privato sociale e del volontariato con una forte componente professionale; nel secondo caso saranno prevalentemente le aggregazioni di vicinato, tipicamente comitati di residenti e associazionismo civico. Tale dicotomia infine rimanda a quella più generale tra due accezioni di partecipazione: quella che la intende come partecipazione alla produzione di beni pubblici e più specificamente partecipazione al processo amministrativo di erogazione di servizi tramite l’applicazione del principio di sussidiarietà (la partecipazione del “fare”); e quella che la intende come partecipazione alle scelte di policy tramite meccanismi che garantiscano una influenza più o meno vincolante sulla decisione (la partecipazione del “decidere”). Due ulteriori trend che emergono dall’osservazione empirica della messa in atto della partecipazione vanno infine segnalati. Il primo segnala l’esistenza di issues per CITTALIA – ANCI RICERCHE 42 Le priorità delle città le quali vi è sistematicamente più domanda che offerta di partecipazione. Queste sono tipicamente quelle attinenti alla mobilità urbana in tutti i suoi aspetti – dalle pedonalizzazioni al traffico, dalle modalità di erogazione del servizio pubblico all’implementazione di nuove infrastrutture di trasporto. Si tratta di problemi che vanno da una accesa e costante microconflittualità (tipica dei centri urbani) tra interessi molto frammentati (residenti, city-users, commercianti, ambientalisti) ad una altrettanto costante anche se meno mediatizzata discussione intorno a grandi scelte strategiche (metropolitane, tram, tangenziali, ecc.). Lo scarso ricorso a processi partecipativi in questo caso sembra contraddire la teoria esplicita della partecipazione come “problem-solving” e confermare la “teoria in uso” della partecipazione come un percorso a cui si ricorre quando ci sono soluzioni a portata di mano. Nella stessa direzione sembra andare il secondo trend, quello che vede applicare anche alla partecipazione dei cittadini la tendenza generalizzata all’“amministrazione per progetti”. Anche questa tendenza risponde largamente alle nuove necessità di reperimento di finanziamenti con l’attivazione di risorse esterne. Diventano così oggetto di “percorsi partecipativi” volti alla realizzazione di progetti specifici una serie di materie che dovrebbero riguardare la normale amministrazione, che si tratti della manutenzione degli spazi pubblici, la cura del verde, il monitoraggio del traffico, l’erogazione di servizi. Questa modalità di attivazione di risorse – se corrisponde all’intento positivo di attivare risorse nella società – spesso non è in grado di garantire la continuità o meglio la sostenibilità delle soluzioni, sia per l’esaurimento dei finanziamenti estemporanei, sia per la difficoltà di garantire un impegno costante del volontariato. 4. La partecipazione tra retoriche e strategie comunicative. In questo frastagliato panorama delle pratiche partecipative alle politiche urbane, che la partecipazione al processo decisionale sia anche fatta di partecipazione alla produzione di discorsi pubblici, tramite la partecipazione alla sfera pubblica (intesa come ambito di formazione della pubblica opinione) è invece un’idea assai meno diffusa apparentemente. E questo malgrado il fatto che numerosi studi abbiano sottolineato l’importanza delle attività di framing e agenda-setting nella costruzione delle politiche pubbliche e che il processo di policy-making delle politiche urbane incorpori ormai numerosi dispositivi volti a garantire un diritto non solo formale all’informazione ma anche degli strumenti per la comprensione e la valutazione delle ricadute delle politiche messe in atto. Questa scarsa attenzione va attribuita probabilmente da un lato al fatto che le funzioni di framing e agenda-setting svolte CITTALIA – ANCI RICERCHE 43 Le priorità delle città da mezzi di comunicazione di massa sempre più autonomizzati da un lato, e subordinati alle logiche del mercato o del potere politico dall’altro sottraggono attenzione alle altre possibilità di partecipare comunicando, dall’altro che i nuovi strumenti di rendicontazione sono ancora molto embrionali e che l’attività di monitoraggio e valutazione delle politiche da parte dei cittadini ha un ruolo del tutto marginale nel processo politico. Inoltre, mentre la partecipazione si configura come un processo di coinvolgimento dal basso – anche se promosso dall’alto – o un processo di interazione tra partners su un piano di parità – anche se attivato da un attore istituzionale che si pone come primo inter pares – la comunicazione, così come l’informazione e la rendicontazione, si configurano come processi top-down messi in atto da un attore che concentra in sé il massimo delle risorse, sia che ciò venga fatto in maniera tecnica e neutrale (come quando vengono fornite informazioni alle giurie di cittadini che debbono deliberare) sia che essi siano strumenti di legittimazione, di produzione di consenso o di manipolazione. In realtà la comunicazione (informazione, rendicontazione) non sono mai per definizione azioni puramente tecniche, mentre d’altro canto un processo discorsivo di costruzione delle politiche può mettere utilmente a confronto diversi frames in competizione per la produzione di legittimazione e mobilitazione. L’importanza di questi processi è stata messo in luce da diversi studi sulla “svolta argomentativa” nell’analisi delle politiche pubbliche (Fischer e Forester). I frames aiutano a pensare le politiche e a definire il senso delle numerose azioni e interazioni di cui si compongono. Sono in altri termini uno strumento importante di coordinamento degli attori, di messa a sistema delle risorse, di integrazione delle azioni e di produzione di feed-back efficaci (basati su valutazioni condivise). E la partecipazione dei cittadini attraverso la sfera pubblica rappresenta una estensione di quelle funzioni di indirizzo che, allocate all’ambito delle istituzioni elettive rappresentative, sono venute indebolendosi con il crescente trasferimento dei poteri agli organismi esecutivi Dobbiamo allora soffermarci su quegli strumenti recenti che cercano di tenere insieme governance e partecipazione, scelte strategiche e micro-interventi, portatori di risorse concentrate e diffuse, punti di vista generali e particolari. Essi possono ricondursi a due grandi “famiglie” di strumenti politico-amministrativi: i piani territoriali (Piani strutturali, strategici, di riqualificazione, dei tempi della città) e i bilanci (Bilancio sociale, bilancio di genere, ecobudget e percorsi di Bilancio partecipativo). In queste tipologie astratte rientrano una serie di casi e pratiche diversissime. Qui ci limitiamo a fare una piccola rassegna di problemi e tendenze emergenti: CITTALIA – ANCI RICERCHE 44 Le priorità delle città a) i piani territoriali sono importanti strumenti di comunicazione e di mobilitazione ma possono altresì essere strumenti di produzione di spazio pubblico. Questo aspetto non va trascurato. Il Piano strategico non è solo city-marketing. Ci sono piani “di cui si parla” – o si è parlato molto – come quello di Torino, altri la cui esistenza risultava sconosciuta a un gran numero di cittadini, come quello di Verona. Questa variabile (tecnicamente di anchoring) non appare indifferente in quanto agli esiti del processo. b) i frames dei piani territoriali integrati (per esempio quelli di riqualificazione) svolgono un ruolo fondamentale nel tenere insieme impostazione “competitiva” e “solidaristica” delle politiche. Bassolino ha messo mano alla riqualificazione del centro storico di Napoli creando un assessorato all’identità e alla coesione sociale, cioè facendo appello all’identità e all’orgoglio civico. Rutelli ha inquadrato le sue politiche di riqualificazione degli spazi pubblici “Centopiazze per Roma”, cioè ha segnalato la volontà di tenere insieme centro e periferia. c) l’aspetto simbolico della comunicazione è molto di più dell’invenzione di slogan accattivanti. Mettendo mano al progetto Urban per la riqualificazione del centro storico di Cosenza Mancini ha prodotto una varietà di azioni simboliche che andavano dall’esposizione della bandiera europea su tutti i cantieri al trasferimento della propria residenza nel palazzo di famiglia del centro storico, chiuso da tempo come molti dei palazzi nobiliari di un centro storico profondamente degradato. Si trattava di azioni che coniugavano la rispondenza alle radici identitarie e la proiezione verso l’innovazione. d) nei piani territoriali, di lungo termine, e che causano spesso disagi contingenti alla popolazione, alcuni risultati devono vedersi a scadenza relativamente breve. E’ quello che a Verona si è tentato di fare con i “progetti-bandiera”. Il timing è importante, purché inserito in una cornice più ampia che non faccia perdere di vista la visione d’insieme ( “visione del futuro”). e) e)i piani territoriali non riguardano solo ciò che si costruisce sul territorio ma riguardano il come il territorio funziona. E’ ciò che oggi vanno ripetendo i geografi, col rischio però che a furia di insistere sui luoghi come costrutto sociale si perda di vista lo spazio fisico come spazio del re-embedding (Giddens) cioè della ricontestualizzazione nelle coordinate spazio-temporali di flussi, reti e relazioni molteplici ed astratte o virtuali. Da questo punto di vista i “Piani dei tempi della città”, inventati negli anni Ottanta (da amministratrici donne) rimangono ancora oggi un modello avanzato, capace di inglobare via via nuove istanze e problemi come quello della sicurezza urbana. L’attenzione a tutte queste variabili implica una idea di partecipazione assai più ampia e articolata di quella applicata ai “percorsi partecipativi” su issues settoriali. CITTALIA – ANCI RICERCHE 45 Le priorità delle città Rimanda altresì al problema della relazione che deve intercorrere tra partecipazione amministrativa settoriale e partecipazione alla costruzione delle politiche urbane, radicata nella partecipazione politica. Anche sul bilancio come strumento di partecipazione si possono individuare alcuni temi e tendenze emergenti: a) con l’adozione sperimentale di nuove forme di bilancio (sociale, di genere, ecc.) si sta diffondendo la consapevolezza – particolarmente in certi settori amministrativi – della differenza tra strumenti di rendicontazione conformi alle leggi contabili (e del tutto incomprensibili non solo ai cittadini ma anche a buona parte dei politici) e strumenti di rendicontazione che la legge non prevede ma nemmeno vieta (purché si ottemperi anche ai primi) e che servono a spiegare le politiche ai cittadini e renderli capaci di valutarle; b) queste forme di rendicontazione sono altresì strumenti per “pensare le politiche” e per costruirle. In altri termini servono non solo a misurare le ricadute concrete delle politiche (per esempio in termini di genere) ma anche a costruire le politiche in termini di ricadute attese, coinvolgendo su queste i cittadini; c) si sta diffondendo la consapevolezza della differenza tra forme di comunicazione politica volte al consenso (certi “bilanci sociali” altro non sono che l’esposizione su carta patinata di tutto ciò che di bello l’amministrazione ha fatto) e forme di comunicazione istituzionale che strutturano i requisiti per la partecipazione informata (mettendo a confronto opzioni e priorità, risultati attesi e conseguiti; d) mentre l’implementazione di “Bilanci partecipativi” presenta spesso forti limiti – per esempio il fatto che la partecipazione dei cittadini venga indirizzata su quote residuali di bilanci già strutturati, o che essi rendano invisibili i costi ordinari dell’amministrazione – il bilancio come strumento di rendicontazione e comunicazione per i cittadini presenta delle potenzialità ancora solo in minima parte sviluppate. In altri termini, con questo strumento i cittadini sono chiamati a partecipare non semplicemente all’allocazione delle risorse ma alla “costruzione di senso” delle politiche della città. 5. Conclusioni: a che punto siamo? Chiedersi a cosa serva la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali è domanda mal posta. Chiedersi quali saranno gli sviluppi futuri dei processi partecipativi è domanda troppo ampia. Ci limitiamo qui a constatare che allo stato attuale la partecipazione dei cittadini alla politica delle città è una realtà ineludibile CITTALIA – ANCI RICERCHE 46 Le priorità delle città nel nuovo contesto europeo e nel nuovo contesto politico- istituzionale locale: dall’alto e dal basso vi sono pressioni concomitanti per la messa in atto di processi di inclusione nelle politiche urbane. Si può però ipotizzare l’emergere di una esigenza di spostamento dell’accento dalla partecipazione come inclusione nel processo decisionale su issues specifiche alla partecipazione come inclusione nel processo di costruzione delle politiche, cioè della “cornice di senso” in cui si iscrivono e delle loro finalità come ricadute attese. Solo nell’ambito di questo processo è possibile superare la divaricazione tra politiche per i cittadini e politiche per l’esterno, integrandole in une definizione condivisa di sviluppo, che vada oltre la crescente divaricazione tra governance e partecipazione, tra grandi processi decisionali (nella loro parte pubblica) e piccole forme di consultazione e corresponsabilizzazione. E si può altresì ipotizzare l’emergere di una esigenza di attenzione maggiore al carattere processuale della partecipazione. A fronte dell’esigenza dell’apparato politico-amministrativo di “prendere decisioni”, la partecipazione dei cittadini come partecipazione alla produzione di discorso pubblico è quella che serve a non perdere di vista il senso generale delle singole decisioni e anche a garantire la permanenza dei loro effetti nel tempo Riferimenti bibliografici Aa. Vv., [1996], Urbanistica e analisi delle politiche, Milano, Franco Angeli/DST. Amin, A. e Thrift N., [2001], Città, Bologna, Il Mulino. Bagnasco, A. e Le Galès, P., « Les villes européennes comme société et comme acteur » in A. Bagnasco e P. Le Galès, Villes en Europe, La Découverte, Paris, 1997. Bassolino, A. [1996], La repubblica delle città, Roma, Donzelli. Bifulco, L. (a cura di), [2003], Il Genius loci del welfare, Roma, Officina Edizioni. Bobbio, L. [1996], La democrazia non abita a Gordio, Milano, Franco Angeli. Bobbio, L., [2002], I governi locali nelle democrazie contemporanee, Roma, Laterza. 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Pur se a titolarità regionale, il disegno e l’attuazione di progetti e interventi dell’asse sono stati quasi interamente devoluti a comuni singoli o associati. Nell’impostazione del QCS, l’asse città si distingue come l’unica priorità strategica di carattere territoriale −ancorché affiancato sin dalle fasi iniziali dell’impostazione dei POR dalla vasta e variegata esperienza dei progetti integrati territoriali (PIT). L’impostazione metodologica dell’analisi valutativa sconta le difficoltà generate dalla natura trasversale, multi-dimensionale, e talvolta indefinita delle politiche e progetti di sviluppo urbano definiti autonomamente e successivamente dalle amministrazioni comunali comuni. La sequenza dal QCS Da ciò, la debole relazione settoriale tra indicatori e scelte programmatiche e di investimento che ne limita la capacità di spiegare gli effetti e la poca utilità a tal fine delle variabili di contesto non prese in considerazione in questa analisi. Alcune di queste caratteristiche si riflettono positivamente, ma anche con peculiari complessità, nella strategia e negli obiettivi multi-settoriali scanditi nella strategia del QCS, dove i grandi e comprensibili propositi di trasformazione e sviluppo urbano sono accompagnati da un persistente e forse inevitabile rischio di genericità. L’obiettivo generale del QCS (peraltro, riformulato e “semplificato” nel corso della Mid-Term Review)1 ben rappresenta queste diverse tensioni: “Migliorare l’articolazione funzionale e la qualità del sistema urbano del Mezzogiorno attraverso la definizione del ruolo delle città nel loro contesto regionale, e in particolare: riqualificare il contesto socioeconomico, fisico e ambientale di quartieri e aree urbane, migliorando la loro vivibilità e creando condizioni adatte allo sviluppo imprenditoriale; favorire la localizzazione di nuove iniziative di servizi alle persone e alle imprese, rilanciando la competitività dei sistemi economici territoriali; combattere la marginalità sociale e favorire i processi di recupero della fiducia sociale”. Il QCS articola poi gli obiettivi specifici, qui espressi in forma sintetica rispetto al testo originario: 1 Per meglio riflettere le scelte effettive della programmazione regionale e locale, ma anche per alleggerirlo. CITTALIA – ANCI RICERCHE 52 Le priorità delle città 1. Migliorare l’articolazione del ruolo e delle funzioni e servizi specializzati dei centri urbani (ob. “competitività”). Rafforzare le potenzialità dei centri urbani, aree metropolitane o centri medio-piccoli, come luogo di attrazione di funzioni e servizi specializzati, valorizzando le potenzialità specifiche di ciascuna città nel contesto regionale e promuovendo esperienze più avanzate di governance e pianificazione. 2. Migliorare la qualità della vita, aumentando la fruizione dello spazio urbano da parte dei cittadini (mobilità, congestione, l’inquinamento acustico e atmosferico). Migliorare la qualità della vita nelle aree urbane (in particolare, aree periferiche e dismesse, e con azioni per i bisogni dell’infanzia, l’integrazione sociale e la lotta alla marginalità). Riqualificare il tessuto edilizio urbano, con particolare attenzione al recupero dei centri storici e dei centri minori. 3. Rafforzare il capitale sociale, mediante il soddisfacimento dei bisogni sociali di base, la riduzione del tasso di esclusione, la promozione dell’economia sociale, la professionali qualificazione in ambito dei servizi, sociale e la definizione ambientale, di anche nuove nella figure Pubblica Amministrazione. Agli obiettivi di sviluppo, il QCS affianca alcuni principi strategici (d’ora in poi definiti come “obiettivi strumentali”) funzionali ad una maggiore efficacia e efficienza dei programmi di intervento: a) Il rafforzamento del ruolo di indirizzo strategico delle Regioni nella creazione di reti e sistemi competitivi di città a livello regionale. b) La concentrazione finanziaria degli interventi per evitare la dispersione e frammentazione degli investimenti. c) L’attuazione dell’asse attraverso progetti integrati per lo sviluppo e/o il potenziamento di funzioni strategiche anche in collaborazione con il settore privato. d) L’utilizzo e diffusione di strumenti innovativi per il coinvolgimento del settore privato nella realizzazione dei progetti (Società di Trasformazione Urbana, Società Miste, etc.). CITTALIA – ANCI RICERCHE 53 Le priorità delle città I prossimi paragrafi descrivono come la programmazione delle Regioni e dei Comuni abbia interpretato e tradotto in interventi concreti l’impostazione strategica, gli obiettivi e i principi del QCS. Nella parte conclusiva dell’analisi, la strategia del QCS e i programmi di intervento approvati nel dettaglio dei POR, CdP e di progetti comunali vengono confrontati con i processi, gli stati di avanzamento e i risultati di attuazione ad oggi visibili. B I riflessi del QCS nella programmazione regionale dell’asse città L’asse città ha un peso finanziario sul totale delle risorse disponibili che varia tra il 5,1% della Basilicata e l’8,8% della Sardegna. Nel corso della Mid-Term Review, tutte le Regioni ne hanno aumentato il peso finanziario assoluto (in particolare, per le misure del FESR), mentre in quattro Regioni su sei, è anche aumentato il peso relativo sul totale delle risorse del POR. Questo dato (evidenziato nella Tabella 1) è già di per sé indicativo: dal momento che l’attuazione dell’asse città già mostrasse una relativa difficoltà di spesa rispetto ad altri assi dei POR, tale decisione può essere interpretata come un’implicita e ulteriore conferma da parte delle istituzioni interessate (Regioni, Governo e Commissione) della rilevanza strategica del potenziamento di progetti e interventi nelle città. Tabella 1. Il rafforzamento dell’asse città (AC) nella Mid-Term Review I fase Basilicata Variaz. incidenza sul POR Calabria Campania Puglia Sardegna Sicilia Totale P.O. Regionali II fase Variazione % risorse AC 71,973 86,368 20% 5,7% 5,1% 278,758 314,052 13% 7,4% 7,8% 377,513 436,6689 16% 5,5% 5,7% 316,784 366,784 16% 6,8% 7,0% 233,48 371,902 59% 6,0% 8,8% 487,826 533,9501 9% 6,4% 6,3% 1.766 6,2% 2.110 6,6% 19% Fonte: Rapporto Annuale DPS 2004 In sintesi, e in ordine decrescente per rilevanza strategica e finanziaria, la programmazione dell’asse città ha privilegiato le seguenti modalità e settori di intervento: CITTALIA – ANCI RICERCHE 54 Le priorità delle città a. Progetti integrati urbani (PIU) in 22 comuni capoluogo, che impegnano circa il 55% delle risorse complessive dell’asse, talvolta co-finanziati con misure FESR e FSE, e alimentati in alcune regioni anche da altri assi del QCS (in particolare, Sicilia e Sardegna). Le Regioni hanno attribuito una notevole autonomia alle amministrazioni comunali nel decidere la strategia, gli obiettivi e i pacchetti di interventi dei singoli progetti. b. Piani integrati inter-comunali e infrastrutture per servizi sociali e alla persona che, nelle regioni in cui contribuiscono all’applicazione della L.328/20002, adottano un approccio integrato che definiamo di tipo “settoriale”. c. Contributi a PIT o progetti complessi in reti di comuni “minori”, in particolare in Sardegna, Sicilia, Calabria e, per un unico tipo di investimenti (centri servizi per l’impresa), in Campania. d. La quota residuale è stata destinata a varie tipologie d’intervento, tra cui citiamo alcune significative infrastrutture di trasporto o un sistema informativo territoriale in (Sicilia), e piccoli interventi puntuali per mobilità sostenibile e mitigazione ambientale nei centri urbani (Puglia). La distribuzione delle risorse programmate permette alcune osservazioni preliminari: benché sia difficile dare misure certe, si può stimare che circa il 70% delle risorse pubbliche siano destinate a interventi in comuni capoluogo, mentre più dell’85% delle stesse è programmato con approccio integrato e territoriale, con piani di intervento prevalentemente intersettoriali (i PIU e i PIT) o, in due regioni, mono-settoriali (i piani di zona sociali). Questo dato pone in evidenza che i POR hanno tradotto in scelte concrete due obiettivi “strumentali” indicati dal QCS: la concentrazione e l’integrazione degli interventi. Meno positivi, come vedremo, sono invece i dati e le indicazioni raccolte per altri obiettivi strumentali, con particolare riferimento alla mobilitazione di operatori e capitali privati. C. La programmazione dei progetti integrati urbani (PIU) Per formulare un giudizio tecnico-strategico sulle scelte di programmazione è necessario considerare il contenuto dei progetti approvati nei singoli POR. Nel contesto dell’asse città, è rilevante soffermarsi sui 22 progetti integrati urbani (PIU) a cui le strategie regionali affidano il ruolo principale nel favorire processi di sviluppo e trasformazione socio-economica delle città e dei sistemi urbani, dando così seguito agli obiettivi prevalenti nel QCS per l’asse. La Figura 1 evidenzia la 2 Per approfondimenti, si veda anche la relazione su Inclusione sociale e riduzione del disagio nei programmi operativi del Quadro Comunitario di Sostegno Obiettivo 1 - 2000-2006, UVAL-DPS, Roma, 11/2004 http://www.dps.tesoro.it/documentazione/uval/rapporto_inclusione_sociale.pdf CITTALIA – ANCI RICERCHE 55 Le priorità delle città localizzazione geografica dei progetti, mentre la Tabella 2, sulla base di un’analisi dei documenti progettuali, evidenzia la localizzazione degli interventi secondo il tipo di quartiere-bersaglio o area urbana che le scelte dei comuni hanno messo al centro dei loro piani d’intervento. Figura 1. Localizzazione geografica dei Tabella 2. Aree urbane selezionate nei progetti PIU integrati urbani e risorse POR Quartieri bersaglio* (n°) 4 Risorse finanziarie (% totale PIU) 9 Centri storici 9 30 Nuove centralità urbane 9 29 Intero comune o area metropolitana 7 32 assegnate Periferie disagiate Fonte: Elaborazione UVAL- DPS (2004) su di 21 PIU. *Alcuni PI urbani investono due distinte aree-bersaglio dunque il numero di quartieri è superiore al numero di progetti considerati. Una lettura disaggregata per Regione, evidenzia alcuni indirizzi specifici nelle scelte di localizzazione realizzate dalle amministrazioni regionali e comunali. Ad esempio, in Puglia (unica Regione il cui POR ha peraltro stabilito un criterio di concentrazione in termini di tetto minimo di investimento pro-capite), i cinque progetti nei capoluoghi provinciali sono per lo più circoscritti in zone periferiche caratterizzate da situazioni di disagio sociale. Un altro esempio sono le città della Campania, che hanno selezionato centri storici (Benevento, Avellino e Caserta), aree non urbanizzate in zone semiperiferiche (Salerno) o direttrici urbane privilegiate (Napoli). Queste scelte, proprio in quanto realizzate autonomamente dai comuni, rappresentano un importante segnale positivo: possono infatti essere interpretate come un crescente grado di maturità nelle attività di pianificazione e programmazione di investimenti che, evitando interventi dispersi sull’intera area urbana, prediligono zone suscettibili di modifica e mirano a un più elevato ritorno socioeconomico degli investimenti con risorse aggiuntive. Le questioni più rilevanti, tuttavia, emergono dall’analisi degli specifici interventi ammessi a finanziamento: di che tipo di investimenti si tratta? In che misura perseguono o favoriscono il perseguimento degli obiettivi del QCS? Per questa analisi, ci basiamo sui piani di intervento dei singoli PIU3, la cui varietà strategica si traduce in un insieme altrettanto diversificato di mix di investimenti. Poiché i dati CITTALIA – ANCI RICERCHE 56 Le priorità delle città Monit generalmente non registrano gli interventi programmati prima che abbiano prodotto impegni o spesa, l’unica fonte cui fare riferimento è la documentazione dei PIU, che include la lista degli interventi. I risultati dell’analisi sono riportati nella Figura 2 costruita attraverso l’attribuzione a sette classi tipologiche di circa 500 interventi ammessi a finanziamento in 21 PIU4. Figura 2. Distribuzione delle risorse per tipologia di intervento nei PIU (% risorse pubbl. POR) 15% INFRAST. ECONOMICA 4% INFRAST. SPORT, RICREATIVE 14% INFRAST. SOCIO-CULTURALE 21% STRADE, TRASPORTI VERDE/SPAZIO PUBBL., RESTAURO 29% 6% ALTRI INTERVENTI 9% REGIMI DI AIUTO 3% FORMAZIONE 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2004) La distribuzione settoriale e tipologica degli interventi programmati evidenzia due elementi principali: Gli interventi in “strade/trasporti” e “verde, spazio pubblico e restauro” rappresentano le categorie settoriali dominanti, con circa il 50% delle risorse (ancor più elevato in alcuni Regioni come la Basilicata, dove supera il 70%). Tale inclinazione è frutto di scelte strategiche su priorità d’investimento evidentemente importanti per migliorare la qualità della vita urbana. Tuttavia, è possibile inferire che l’orientamento sia anche risultato della naturale propensione delle amministrazioni comunali verso tipologie progettuali su cui hanno competenze e esperienze più consolidate (in questo senso “tradizionali”), ossia interventi di infrastruttura viaria in genere di impatto limitato sulla mobilità complessiva della città, e di miglioramento dello spazio pubblico fisico. I PIU approvati prevedono un numero molto limitato di interventi −stimabile in un 20-25% secondo i criteri adottati per combinare le tipologie evidenziate− per lo 4 Per un PIU, non è stato possibile recuperare la documentazione necessaria. Anticipiamo che, per la diversità delle fonti e dei momenti di rilevazione, la classificazione qui riportata non corrisponde a quella utilizzata nel prosieguo dell’analisi per gli interventi in attuazione, ottenuta invece da Monit attraverso una riclassificazione dell’informazione su “tipologie” e “sottotipologie” di progetto. CITTALIA – ANCI RICERCHE 57 Le priorità delle città sviluppo economico-produttivo, il sostegno a servizi specializzati, direzionali e commerciali, ovvero per gli interventi finalizzati al rilancio delle città e delle sue funzioni sui mercati obiettivo extra-regionali. Tra le parziali eccezioni, si possono individuare i PIU di Cagliari e, almeno nelle intenzioni, di Napoli, Salerno, Crotone, Palermo e Catania, che prevedono interessanti investimenti di trasformazione economica e funzionale di alcune aree urbane (in alcuni casi, con strategie centrate sull’offerta culturale e museale di potenziale ricaduta sul tessuto economico). Tuttavia, la maggioranza di queste città hanno incontrato difficoltà attuative che, in alcuni casi e come vedremo in seguito, hanno anche indotto ripensamenti e modifiche sui piani di investimenti inizialmente programmati. Le scelte di dettaglio nella programmazione dei PIU hanno dunque tradotto solo parzialmente gli obiettivi e le strategie del QCS e dei POR, in particolare rispetto agli obiettivi di sviluppo economico (sintetizzati nel primo obiettivo specifico). Tra i motivi di tale carenza, individuiamo la scarsa solidità dell’impianto strategico dei singoli PIU. I documenti strategici richiesti (su suggerimento della CE) dal QCS e dai POR alle città con più di 100mila abitanti (soglia per alcuni versi arbitraria) come una condizione preliminare di ammissibilità per i PIU, sono stati redatti dai Comuni e analizzati dalle Regioni con l’approssimazione e la leggerezza di chi affronta un mero adempimento formale e burocratico, con il risultato di produrre documenti di inquadramento strategico a dir poco evanescenti. Peraltro, le stesse Regioni, nel 2002, non disponevano di strumenti effettivi o priorità consolidate per la programmazione di città e reti di comuni sul proprio territorio e che potessero indirizzare i comuni verso un uso più efficace delle risorse. La fragilità delle strategie ha anche avuto effetti negativi sulla funzionalità di criteri di selezione per progetti e interventi: ambiziosi e condivisibili sulla carta, ma poco incisivi nella loro applicazione5. Senza chiari obiettivi strategici, l’impianto dei criteri si indebolisce: tale situazione è stata un’importante concausa per spiegare le caratteristiche dei PIU e degli interventi che li compongono, nonché, come vedremo, il loro limitato contributo al raggiungimento degli obiettivi del QCS. Le osservazioni sulle strategie e i sistemi di selezione ci conducono ad un ulteriore aspetto critico visibile sin dalla fase di programmazione: la scarsa partecipazione di capitale e operatori privati nei progetti. Su questo tema, è evidente il contrasto tra gli obiettivi, gli espliciti richiami, e i criteri di selezione contenuti in tutti i programmi operativi e nei singoli progetti sulla finanza di progetto o altri strumenti di PPP, e la realtà di quanto programmato i cui risultati hanno dimostrano delle 5 Esempi di criteri presenti in tutti i POR/CdP ma rimasti virtualmente inapplicati sono: (i) cofinanziamento privato; (ii) parternariato e partecipazione della società civile; (iii) analisi economicofinanziaria per la sostenibilità degli interventi; (iv) analisi di domanda per i servizi generati. CITTALIA – ANCI RICERCHE 58 Le priorità delle città tutto velleitaria l’enfasi posta nei POR e nei CDP. Tale situazione nasce da ostacoli e problemi diffusi lungo tutta la catena di pianificazione e governance della programmazione comunitaria (incluso, alcune regole stabilite a nel Regolamenti dei FS o effetti perversi della prassi di programmazione), la mancanza di incentivi adeguati e di assistenza tecnica specializzata per i comuni e le Regioni ha pregiudicato un maggiore impegno e efficacia nel mobilizzare capitali privati nei progetti urbani. La controprova è che, laddove ci si è provato, alcuni risultati sono arrivati:è il caso della positiva (ancorché perfettibile) esperienza della Regione Campania con una riserva di premialità regionale che ha attribuito il 40% delle ricca misura 5.1a alle città capaci di programmare e chiudere gare per interventi in finanza di progetto nei propri PIU6. Questo tema sarà ripreso nella sezione che segue, dove dalla programmazione si passa all’analisi della realtà attuativa dei progetti e degli interventi dell’asse città. II. CONFRONTO TRA PROGRAMMAZIONE E RISULTATI DI ATTUAZIONE A. Una performance finanziaria più lenta Una lettura dei dati finanziari complessivi illustra un ritardo dell’asse città nell’impegnare e erogare le risorse. I livelli di impegni e pagamenti estratti da Monit al 31/12/2005 evidenziano una performance finanziaria al di sotto dei valori medi del QCS, in particolare inferiore del 29% per gli impegni (49% dell’asse città contro il 79% del QCS) e del 17% per i pagamenti (il 32% contro il 49% del QCS). Nel mostrare i dati di spesa, la Tabella 3 distingue tra i progetti indotti direttamente dai POR (d’ora in avanti, per brevità: interventi nuovi) dalla progettazione coperta da altra fonte finanziaria (d’ora in avanti: interventi coerenti), introducendo una differenziazione che ci accompagnerà nel prosieguo di questa analisi. 6 Per approfondimenti: Marco Magrassi, “Development Funding as a Catalyst for Urban Reform in Southern Italy”, in Creative Governance in City Regions, DISP 158 (3/2004), Zurigo. http://www.nsl.ethz.ch/index.php/en/content/view/full/926 CITTALIA – ANCI RICERCHE 59 Le priorità delle città Tabella 3. La spesa dell’asse città al 31/12/2005 COSTO PAGAMEN IMPEGNI IMP/PR AMMESSO TI (€ M) OG (€ M) (€ M) Asse Città Interventi coerenti (IC) Progetti nuovi (IN) PAG/PROG % IC e IN Intervent % IC e IN su su TOT. i TOT. PAG IMP (n°) 2.059 1.000 664 49% 32% 100% 100% 1949 843 497 376 59% 45% 41% 57% 803 1.216 503 288 41% 24% 59% 43% 1146 Fonte: Elaborazione DPS-UVAL su dati Monit (2006) A seguire, la Tabella 4 mostra l’andamento della spesa nelle diverse Regioni. Un confronto tra il totale delle risorse programmate nei POR e nei CdP, i dati finanziari (costo ammesso-CA, impegni-IMP e pagamenti-PAG) riportati in Monit per il complesso dell’asse città e limitatamente ai nuovi interventi, permettono una lettura più profonda e articolata. Tabella 4. La spesa dell’asse città nelle regioni: risorse programmate POR e rilevazione Monit Asse Città - tutti gli interventi Risorse POR programmate Costo ammesso (€,000) (CA) (€,000) IMP/CA PAG/CA Asse Città - nuovi interventi Costo ammesso (CA) (€,000) IMP/CA PAG/CA Basilicata 86.368 39.839 99% 20% 25.220 98% 2% Calabria 314.052 487.021 52% 35% 323.376 28% 14% Campania 436.668 406.940 46% 29% 90.030 23% 14% Puglia 366.784 143.107 100% 68% 125.770 100% 68% Sardegna 371.902 338.441 47% 33% 237.589 48% 30% Sicilia 533.950 643.657 34% 24% 413.957 30% 17% 2.109.725 2.059.005 49% 32% 1.215.942 41% 24% Totale POR Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006) Infatti, il confronto con le risorse programmate nei CdP è una scelta obbligata: per finalità valutative sarebbe infatti molto fuorviante analizzare la performance finanziaria a attuativa ottenuta da meramente dai dati Monit, che le Regioni popolano (con una certa disinvoltura) in modo molti differente. Ad esempio, dai dati Monit parrebbe che Basilicata avrebbero assunto impegni giuridicamente vincolanti sulla totalità degli interventi ammessi, come anche la Puglia che in più ne avrebbe anche liquidato quasi i due terzi. Ma tale ricavata da Monit sarebbe erronea poiché in entrambi i casi gli interventi ammessi coprono approssimativamente poco più di un terzo delle risorse programmate. Un ultimo esempio ci viene dal contro-intuitivo CITTALIA – ANCI RICERCHE 60 Le priorità delle città il dato della Sicilia e della Calabria, dove il costo ammesso risulta notevolmente superiore alle risorse disponibili per l’asse città. La lettura e interpretazione dei dati finanziari di Monit, dunque integrata dall’informazione delle finanza programmata, evidenzia che: • La Calabria sembra distinguersi positivamente per l’andamento complessivo della spesa (con un costo ammesso addirittura superiore alla dotazione dell’asse), ma il risultato è generato soprattutto dagli interventi coerenti, mentre la capacità di progettare e attuare nuovi interventi (ovvero, quanto previsto nelle strategie del programma regionale e dei PIU comunali) appare molto limitata. Tale valutazione investe anche la Campanile e la Basilicata, non solamente in evidente difficoltà nell’attuazione dei nuovi interventi, ma con una performance al di sotto della media anche prendendo in considerazione gli interventi coerenti. • Secondo questa chiave di lettura, dobbiamo “rileggere” i dati di spesa di Sicilia, Puglia e Sardegna: benché questi si collochino apparentemente al di sotto della performance media dell’asse, assumono invece un rilievo decisamente più positivo dal momento che le tre Regioni (e soprattutto le ultime due) hanno promosso quasi esclusivamente nuovi interventi indotti direttamente dal programma. Complessivamente, rappresentando il i progetti 41% delle coerenti risorse sono stati programmate. ampiamente Nel seguito utilizzati, dell’analisi confronteremo i tipi di investimento che caratterizzano i progetti coerenti rispetto ai nuovi interventi, comparazione che permette di ottenere alcune indicazioni sullo stato di attuazione dell’asse rispetto a strategia e obiettivi. Ancora sugli aspetti finanziari, segnaliamo invece una notazione su, per così dire, l’ offerta di progettazione coerente nell’asse città: la lettura disaggregata dei dati Monit, nelle singole misure e azioni nei diversi POR, segnala che la progettazione coerente è stata alimentata prevalentemente dalle misure del FESR centrate su progetti nei comuni capoluogo. Questo dato, di per sé non sorprendente, evidenzia che il maggior volume e capacità progettuale di amministrazioni locali più grandi e consolidate hanno indotto le Regioni a sollecitarle maggiormente come “fornitori” di interventi coerenti (esemplare il caso dei comuni della Calabria). Meno scontata è invece la risposta a due domande legate a tale questione: la maggiore capacità dei comuni medio-grandi si è poi manifestata anche nell’attuazione dei nuovi interventi e dei progetti integrati? Le Autorità di Gestione dei POR hanno poi ricambiato (ad CITTALIA – ANCI RICERCHE 61 Le priorità delle città es. in termini efficacia istituzionale, assistenza tecnica, sensibilità alle istanze locali) l’ “aiuto” ricevuto dai comuni per alimentare il circuito finanziario e soddisfare le regole dell’ n+2? L’evidenza e le considerazioni nei paragrafi a seguire suggeriscono un riscontro tendenzialmente negativo su entrambe le questioni. In conclusione, le ipotesi sulla più debole performance finanziaria dell’asse città sono legate a considerazioni articolate nel seguito dell’analisi perché legate ad aspetti strategici, istituzionali e amministrativi. Tuttavia, possiamo anticipare che, anche in un’ottica esclusivamente di efficienza della spesa (e scontando il maggior tempo fisiologicamente necessario a strategie e progetti integrati), freni significativi sono giunti da: (i) incertezze, ritardi e inefficienze nella definizione dei rapporti amministrativi e istituzionali tra le Regioni e le amministrazioni comunali; (ii) ostacoli interni alle amministrazioni comunali, sia di carattere organizzativo che legati al processo di avanzamento della progettazione tecnica per i singoli interventi. B. L’attuazione e i risultati degli interventi L’incompletezza del quadro informativo sugli investimenti nel loro complesso, e il lag temporale tra la programmazione e approvazione degli interventi da un lato e, dall’altro, l’avvio della loro fase attuativa, rendono molto difficile ad oggi misurare o stimare gli effetti già dispiegatisi dei progetti/interventi per lo sviluppo economico, qualità urbana, o ampliamento dei servizi a cittadini e imprese. Tuttavia, un’osservazione concentrata esclusivamente sui nuovi interventi rappresenta una proxy abbastanza robusta per riflettere su come ciò che è oggi in attuazione possa verosimilmente contribuire, da qui al 2008, al perseguimento degli indirizzi e degli obiettivi di programmazione. I dati Monit riportano che, al termine del 2005, un totale di poco meno di 2.000 interventi dell’asse città aveva generato impegni giuridicamente vincolanti e che, nella grande maggioranza, gli stessi hanno dato luogo a pagamenti. Tra questi, una porzione significativa è rappresentata dai progetti coerenti −circa 800 interventi per quasi il 50% degli impegni. Come già argomentato, per valutare l’efficacia dei POR e del QCS nell’approssimarsi agli obiettivi stabiliti, è utile isolare i nuovi interventi: indotti direttamente dal programma, identificati e selezionati dalle Autorità di Gestione secondo i criteri, le procedure, e meccanismi istituzionali previsti, sono questi che dovranno dare piena attuazione alla strategia. CITTALIA – ANCI RICERCHE 62 Le priorità delle città Per facilitare la lettura e interpretazione della situazione attuale, le Figura Q illustra i risultati di una classificazione degli interventi realizzata attraverso l’organizzazione e ri-aggregazione delle numerose “tipologie” e “sottotipologie” di progetto 7 formalmente utilizzate da Monit . Le colonne misurano la distribuzione percentuale (ovvero, il peso finanziario relativo) degli impegni e dei pagamenti di nuovi interventi in diversi tipologie/settori di investimento, mentre la linea fornisce la stessa informazione sugli interventi coerenti ma limitandosi al dato relativo agli impegni. Figura Q. Distribuzione interventi in attuazione per tipologia (% su Totale di € XXX) Interventi Nuovi Interventi Coerenti 60% 60% 53% 55% IMP interventi nuovi 50% PAG interventi nuovi IMP interventi coerenti 50% 40% 40% 30% 30% 20% 20% 12% 14% 11% 13% 8% 10% 10% 8% 4% 3% 4% 0% 0% Infrastrut. urbane Strutture servizi pubblici, sociali Strutture sportive, ricreative Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006) Piani, studi e Formaz. privati monitor. occupati 2% 5% 2% 0% Infrastrut. trasporto 0% Trasferimenti al Opere tutela, no-profit valorizz. ambiente Tipologie d'Intervento 7 Per chiarezza, consideriamo soltanto le prime otto delle 16 tipologie che hanno prodotto impegni o spesa per l’asse città, visto il dato trascurabile per le altre. Sono invece 27 in totale le tipologie individuate per riaggregare le centinaia di tipologie e sottotipologie di progetto previste in Monit. CITTALIA – ANCI RICERCHE 63 Le priorità delle città Tabella 5. Dimensione media degli interventi dell’asse città Dimensione Media Interventi (€,000) Numero Interventi 398 44 9.070 1.382 818 122 559 1.077 349 52 752 18 458 258 179 116 Formazione a privati occupati Infrastrutture di trasporto Infrastrutture urbane Opere di tutela/valorizzazione ambiente Piani, studi e monitoraggio Strutture per servizi pubblici e sociali Strutture sportive, ricreative Trasferimenti a enti no-profit Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006) Queste elaborazioni restituiscono un’utile fotografia sullo stato di attuazione dell’asse città, con alcuni spunti in particolare evidenza: • La decisa prevalenza di interventi di infrastruttura urbana che, in termini finanziari, ammontano alla metà di quanto realizzato o in via di realizzazione. Tale variegata categoria di interventi include i più classici (e spesso micro) investimenti per la riqualificazione fisica dei luoghi delle città: arredo urbano, illuminazione, verde pubblico e, in questa classificazione, anche i mezzi e l’attrezzatura per il trasporto di superficie e i parcheggi. L’incidenza delle infrastrutture urbane in fase attuazione trova, in linea di massima, una certa corrispondenza al loro peso in fase di programmazione (cfr. Figura 2 sulla programmazione PIU). Combinando le informazioni sulla programmazione e attuazione, è possibile inferire una relativa predisposizione e prontezza delle amministrazioni comunali nel progettare e realizzare interventi in questo settore. • Il peso significativo di strutture per servizi pubblici e sociali. Numerosi interventi in atto hanno per oggetto la costruzione, ampliamento o adeguamento di strutture e contenitori fisici destinati all’erogazione di servizi pubblici o di pubblico interesse. Considerando anche l’implementazione di interventi per strutture sportive e ricreative, gli investimenti per ampliare i servizi per la cittadinanza (e talvolta per il turismo) contano per circa un quarto degli impegni e un terzo dei pagamenti. Tali interventi sono localizzati in misura maggiore in quelle Regioni che hanno incluso nei POR misure per servizi sociali e alla persona sostenute dal FSE. In particolare, si distinguono i casi di Calabria e Campania, dove i circa 150 nuovi interventi in attuazione per € 21 milioni (di cui 74 già conclusi) svolgono un’importante ruolo di traino per la spesa indotta dall’intero asse città (mentre la Basilicata, secondo dati forniti dalla stessa Regione, pur avendo una misura dedicata e avendo impegnato il CITTALIA – ANCI RICERCHE 64 Le priorità delle città 75% del costo ammesso, non mostra alcun progresso negli indici di avanzamento fisico o finanziari). Altro particolare interessante, gli investimenti in attuazione del FSE sono quelli esclusi, dai PIU, mentre mostrano rallentamenti o addirittura una situazione di stallo quando incorporati a tali progetti multi-settoriali. Inoltre, in alcune regioni, lo sforzo attuativo per dotare il territorio di maggiori strutture e infrastrutture di servizi è plausibilmente rafforzato dagli effetti sinergici dei trasferimenti a enti no profit (aiuti alle imprese sociali in Calabria) oppure a investimenti per la realizzazione di piani e studi (i Piani di Zona Sociali-PZS in Campania). • L’incidenza della tipologia piani e studi e attività di monitoraggio assume un certo rilievo sia per le risorse che per il numero di progetti realizzati o in via di realizzazione, e va peraltro interpretata alla luce del costo unitario molto contenuto (cfr. Tabella 5). Gli interventi materiali e immateriali in questione riguardano esclusivamente tre Regioni che hanno scelto di sostenere la realizzazione in numerosi comuni e su scala regionale di strumentazione di pianificazione, informazione, monitoraggio e controllo in tre distinti settori, specificamente: la preparazione dei Piani di Zona Sociale in Campania; misure di controllo e mitigazione per la sostenibilità ambientale urbana in Puglia (ad esempio, l’elettrosmog o inquinamento acustico); e, in Sicilia, la costruzione di un sistema informativo geografico satellitare con cartografia e snodi informativi e informatici in numerosi comuni della Regione. • Le infrastrutture di trasporto hanno rappresentato un importante volano finanziario per l’alto numero di interventi coerenti dall’alto costo unitario (spicca la metropolitana di Napoli che, in due diversi lotti, misura circa € 200 M di quota ammessa e un livello di impegni di € 35 M). Per quanto riguarda i nuovi interventi, anche scontando la scelta metodologica che nella nostra classificazione pone infrastrutture “minori” (trasporto di superficie e parcheggi), si segnala il basso livello di utilizzo dell’asse città per sistemi integrati di mobilità o per il trasporto metropolitano. • Risultano pressoché assenti dal panorama attuativo (meno dell’uno per cento) gli interventi per trasferimenti e i servizi per le imprese. I dati registrati in Monit non riportano alcun intervento attivo nelle misure dell’asse città di sostegno diretto all’impresa nell’ambito dei PIU inclusi da alcuni programmi regionali nell’asse città. E’ il caso di Campania, Puglia e Sardegna (in quest’ultimo caso, per un errore in fase di programmazione dell’asse città nella predisposizione dei PIU). Fa eccezione la Sicilia, dove però gli aiuti alle imprese già in attuazione nei progetti integrati urbani di Catania e Palermo vanno a CITTALIA – ANCI RICERCHE 65 Le priorità delle città valere su bandi regionali (ancorché con la preferenza PIT) dell’asse IV “sviluppo locale”. • Le maggiori difficoltà incontrate nell’ attuazione sui progetti per lo sviluppo economico-produttivo sono confermate dall’analisi dei dati puntuali in quei pochi PIU dove gli interventi per il sostegno all’imprenditorialità costituiscono un elemento centrale della strategia del progetto locale. E’ il caso, ad esempio, del progetto di Crotone, dove su un insieme diversificato di dieci interventi per lo sviluppo economico per un valore di € 10 M si registra un avanzamento nullo e una spesa di appena € 20 mila8. • A parte qualche eccezione, assenti tra gli interventi in attuazione quegli interventi in fasi di programmazione (e comunque in numero molto limitato), finanziariamente importanti e con potenziale di incidere positivamente sulle funzioni, sulla attrattività e sulla competitività di un quartiere o di una città (il paragrafo successivo menziona alcuni casi specifici). • Infine, si segnala la bassa o nulla incidenza tra gli interventi in attuazione di: (i) opere per il patrimonio culturale; e (ii) opere per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente. Per le prime, le informazioni sui programmi investimento dei PIU segnalano che risorse abbastanza consistenti vi erano comunque state dedicate e ci troviamo dunque di fronte a un mancato avvio degli interventi. Per le infrastrutture per l’ambiente, il discorso è diverso: con poche eccezioni (quanto già citato per la Puglia, oppure pochi interventi programmati in progetti puntali in Sardegna e Campania), il settore è stato penalizzato anche nella programmazione degli interventi nelle città, tendenza da invertire in futuro dal momento che l’obiettivo è assurto a priorità decisiva per la programmazione urbana nel 2007-2013. Il quadro generale appena tracciato si caratterizza per alcuni elementi positivi e diversi aspetti problematici. Prima di operare una ricomposizione complessiva delle informazioni disponibili per ricondurre i processi e gli interventi in attuazione alla strategia del QCS, appare utile concentrare l’analisi su alcune difficoltà attuative dei PIU, arricchendo quanto già esposto con indicazioni raccolte da altre fonti informative quantitative e qualitative. 8 Anche se la situazione di spesa non è diversa negli altri cinque PIU calabresi con diversa “dominante” strategica. Fonte: dati della Regione Calabria sull’avanzamento dei Progetti di Sviluppo Urbano (04/2006). CITTALIA – ANCI RICERCHE 66 Le priorità delle città C. I L’attuazione dei progetti integrati urbani progetti integrati (PIU) urbani in attuazione nei 22 comuni capoluogo rappresentano un caso particolarmente interessante ed anche innovativo nella panorama della programmazione comunitaria a livello Europeo, dal momento che anticipano molte delle indicazioni contenute nelle Linee Guida e nei Regolamenti emanati dalla CE per il periodo 2007-2013 (il cosiddetto mainstreaming dell’approccio Urban proposto). La loro programmazione e l’attuazione è quindi un importante serbatoio d’esperienza per la futura programmazione sulla urban dimension. La raccolta di dati completi e uniformi sull’avanzamento e sui i risultati dei PIU e dei pacchetti di interventi che li compongono è molto problematico, dal momento che il sistema Monit risulta inadatto a confrontare gli interventi in esso riportati con i piani e pacchetti di interventi PIU programmati e formalmente approvati dalle Regioni. Sono infatti “momenti” tecnico-decisionali distinti, con fonti e sistemi di informazione operativo e di reporting amministrativo e progettuale che non si incrociano. Tuttavia, controllando per quanto possibile gli inevitabili rischi indotti dall’uso di fonti plurali e disomogenee, è possibile elaborare alcune osservazioni sulla modalità attuativa integrata dell’asse città nelle città delle diverse Regioni: • Nelle due città della Basilicata si intravedono i primi risultati a livello di realizzazioni fisiche, almeno per quanto riguarda le dedicate a “strutture e spazi urbani” ed alcuni interventi di collegamento viario. Se i 14 interventi previsti dal PIU di Potenza sono in corso di realizzazione, mentre per altri sei sono in corso le procedure per l’affidamento delle progettazioni. Gli interventi previsti a Matera sono in fase di progettazione avanzata ma mostrano complessivamente un forte ritardo dovuto, soprattutto, ai continui avvicendamenti dei responsabili nell’amministrazione comunale. La Misura V.2, invece, registra un buon livello di efficienza gestionale avendo concluso 4 dei 5 progetti avviati mentre gli indici di avanzamento fisico non mostrano alcun progresso. Complessivamente risulta l’impegno di spesa per interventi di riqualificazione urbana ambientale (parchi e aree verdi), di riqualificazione di alcuni dei quartieri previsti in fase di programmazione e di miglioramento della viabilità. • La Calabria ha approvato a fine 2003 i sei PIU (nel caso, definiti dalla Regione come Progetti di Sviluppo Urbano-PSU) presentati un anno prima dai cinque CITTALIA – ANCI RICERCHE 67 Le priorità delle città comuni capoluogo9 cui si aggiunge Lamezia Terme. Nei due anni successivi all’approvazione della giunta regionale, i progetti non hanno sperimentato una situazione di stallo: se, da un lato, la Regione ha impiegato più di un anno a predisporre l’Accordo di Programma, (presupposto essenziale per dare il via alle procedure di erogazione), dall’altro i comuni hanno proceduto con grande lentezza nella attività di progettazione tecnica ex Legge Merloni. Dopo aver concesso nel maggio del 2005 alle amministrazioni comunali un’anticipazione finanziaria del 20%, la Regione ha realizzato un’azione di monitoraggio della spesa rendicontata che risulta di appena il 3% del totale delle risorse sul valore delle risorse POR assegnate10. • In Campania, i due maggiori progetti a Napoli e Salerno paiono in difficoltà, con livelli di spesa molto limitati. Peraltro, le due città hanno perso le ingenti risorse inizialmente allocate ai rispettivi progetti da un meccanismo di premialità regionale centrato sulla finanza di progetto, non riuscendo ad assegnare le gare per la selezione dell’operator privato entro i termini prefissati dal sistema premiale. Anche per questo motivo, gli interventi di maggiori dimensioni e più significativi per potenziale di sviluppo non sono stati ancora avviati. A Napoli, ad esempio, difficoltà ingegneristiche e burocratiche (tra cui, pareri contrari delle Soprintendenze), bloccano la realizzazione di un’ambiziosa opera per il sottopasso di Via Acton e la connessa pedonalizzazione di Piazza Municipio, interventi del PIU oggi a rischio definanziamento. Tra le eccezioni positive, possiamo menzionare il PalaSalerno, una facility multi-funzione (sport e spettacolo) la cui costruzione è oggi iniziata (pur se con procedure d’appalto d’opera, mentre era inizialmente prevista in finanza di progetto)11. Nei PIU degli altri comuni capoluogo, il sistema Monit riporta nella colonna dei “Costi Ammessi” un numero limitato di piccoli interventi di riqualificazione e infrastruttura urbana, che avevano però prodotto, al 31/12/05, livelli molto bassi di impegni e pagamenti. Le azioni di sostegno alle imprese hanno un grado di avanzamento nullo. • I PIU programmati nei comuni capoluogo della Puglia registrano oggi un discreto avanzamento degli interventi di riqualificazione urbana, degli interventi a carattere socio-assistenziale, ma si tratta prevalentemente di realizzazione di strutture culturali, sportive e scolastiche, e di infrastrutture 9 A valere sulla Misura 5.1.a., mentre l’azione 5.1.b ha finanziato pacchetti di piccoli interventi di riqualificazione urbana in altri 13 comuni che ad oggi presentano una performance attuativa egualmente negativa (pagamenti al 1,3% al 31/12/2005). 10 Ricordiamo che il dato presentato influenza solo parzialmente la performance di spesa dell’asse città in Calabria, alimentata da un forte volume di interventi coerenti. 11 Da notare che, nonostante, secondo il Nucleo della Campania e il responsabile di Misura, l’appalto sia stato assegnato, un significativo anticipo finanziario trasferito al Comune, e i cantieri per l’opera aperti, il progetto non appare nei report di Monit. CITTALIA – ANCI RICERCHE 68 Le priorità delle città viarie di completamento. Anche in queste cinque città, nonostante un discreto avanzamento della spesa rispetto alle altre Regioni, non risultano avviati gli interventi previsti per il sostegno all’impresa e al commercio. • In Sardegna, la misura 5.1 (che contribuisce a tutti i PIT multiasse della Regione) mostra una buona attività di spesa sui nuovi interventi, soprattutto considerando che l’utilizzo limitato di interventi coerenti da parte della Regione sull’asse città. In particolare, il PIU della città di Cagliari non solamente presenta un buon numero di interventi attivi ma, secondo i responsabili regionali, ha anche prodotto importanti effetti di revitalizzazione complessiva dell’area interessata, dove sono stati concordati e realizzati grossi investimenti del settore privato per attività culturali e alberghiere già funzionanti e, successivamente, concentrati ulteriori fondi della Riserva Aree Urbane del Fondo Aree Sottoutilizzate. Tra gli ostacoli che hanno compromesso una più agile e efficace attuazione dei PIU, molti sono di carattere gestionale, istituzionale e tecnico-amministrativo: • I tempi lunghi e i momenti di stasi che hanno contraddistinto la definizione delle procedure tecnico-amministrative tra Regioni e Comuni. Ad esempio, in Campania e Calabria è trascorso più di un anno tra l’approvazione del progetto da parte delle Regioni e la definizione del modello e approvazione da parte delle giunte regionali degli Accordi di Programma necessari a dare il via all’attuazione degli interventi, poi seguiti da altri atti di perfezionamento amministrativo. Ancora maggiori le incertezze sugli interventi compresi nei PIU e finanziati dal il FSE o in regime di aiuto con il FESR, per i quali le Regioni hanno generalmente mantenuto una forte responsabilità attuativa da espletare attraverso bandi regionali, ma il maggiore accentramento regionale ha sottratto competenze alle amministrazioni comunali nella gestione unitaria del progetto, senza però garantire maggior tempismo e efficienza. • Lo scarso livello di maturazione tecnica e altri problemi che hanno reso lento l’avanzamento della progettazione comunale nei passaggi dalla fase preliminare all’affidamento dei lavori. Pur nell’ impossibilità di fornire dati precisi, è presumibile che moltissimi comuni abbiano presentato programmi con semplici idee-intervento. Il passaggio da un progetto preliminare a un progetto esecutivo pende un minimo di 12 mesi, molto spesso di più. Inoltre, molti comuni sono refrattari ad avviare la progettazione Merloni sino quando a la giunta Regionale non approvi i decreti di impegno finanziario, atto che può avvenire mesi dopo l’approvazione dei progetti e la firma dell’Accordo di Programma. Le difficoltà di progettazione hanno peraltro comportato aggravi e rischi aggiuntivi su alcuni interventi grandi e significativi, come il già citato CITTALIA – ANCI RICERCHE 69 Le priorità delle città investimento viario di Napoli, ma anche in alcuni importanti interventi nelle città della Sicilia. • Le difficoltà organizzative interne alle amministrazioni comunali tra le unità dirigenziali investite dell’attuazione del PIU e altri assessorati o uffici tecnici hanno creato incertezze, vuoti di responsabilità e, talvolta, ostruzionismo politico-istituzionali. Le Regioni, che tra le più evidenti manifestazioni dei problemi organizzativi interni alle strutture comunali segnalano i continui avvicendamenti tra i responsabili unici di procedimento (i tre Rup a Matera, o i tre ingegneri-capo che si sono succeduti a Cosenza…) o le modifiche tra gli uffici responsabili per il progetto integrato. In conclusione, segnaliamo che i dati raccolti indicano che i PIU non si distinguono per una migliore performance o maggiore innovazione rispetto all’universo dei Progetti Integrati Territoriali (PIT) con un’attuazione che, in linea generale, ha per i due tipi di progettuali -per un unico comune i PIU, e inter-comunali i PIT- lo stesso andamento (con l’eccezione della Puglia dove i PIU evidenziano un attuazione decisamente più avanzata degli altri PIT). Questo dato non ha valore interpretativo neutrale, bensì negativo: le attese di programmatori e analisti prevedevano infatti che città di maggiori dimensioni, cui venissero attribuite risorse da investire esclusivamente nel proprio comune (dunque, senza la complicazione aggiuntiva dell’inter-comunalità) avrebbero utilizzato una presunta maggiore capacità tecnicoistituzionale per fare meglio e più rapidamente. Da questa prospettiva, le difficoltà di attuazione tecnica e finanziaria dei PIU rappresentano un quadro inatteso e che nega un importante presupposto nella teoria del programma sottesa all’impianto strategico dell’asse città. In particolare, l’evidenza empirica disponibile segnala che la amministrazioni comunali hanno avviato poche realizzazioni per interventi che, in generale, interessano settori piuttosto tradizionali (verde pubblico, arredo urbano, infrastrutture di servizio), mentre molto rari sono gli interventi già avviati per grandi infrastrutture o riconducibili a obiettivi di sviluppo economico. III. CONCLUSIONI A conclusione dell’analisi, è possibile estrarre alcune considerazioni generali sull’attuazione della strategia dell’asse città. La Tabella 6 fornisce una rappresentazione con giudizio di sintesi del quadro degli obiettivi dell’asse nel QCS e nei POR, di come questi siano stati tradotti in scelte di programmazione, e di come la fotografia attuale degli interventi oggi in attuazione appaia rispondere alla CITTALIA – ANCI RICERCHE 70 Le priorità delle città strategia generale e a quanto programmato. Per la programmazione, il numero uno o il colore verde indicano che elementi quantitativi e qualitativi emersi nella valutazione segnalano un allineamento soddisfacente delle scelte programmatiche con la strategia del QCS. Il volgere verso il colore rosso o verso il numero più basso nella scala (4) indica una corrispondenza sempre più debole tra strategia e scelte programmatiche. Lo stessa scala interpretativa è utilizzata per formulare un giudizio sull’attuazione, che evidenzia se i processi di implementazione i atto appaiano complessivamente accentuare o invertire le scelte allocative (più o meno conformi rispetto alla strategia del QCS) già operate dalla programmazione operativa: notiamo subito che il divario di quanto concretamente in attuazione dagli obiettivi generali e specifici tende in alcuni casi ad allargarsi, ma può anche darsi il caso in cui lo stesso gap si restringa, indicando come l’attuazione possa anche contribuire a superare alcune incertezze o limiti della programmazione. Tabella 6. Obiettivi del QCS, programmazione e attuazione: giudizi di sintesi Programmazio Attuazione ne OBIETTIVI STRATEGICI Trasformazione economica 3 4 Qualità urbana 1 1 1 2 Integrazione 1 2 Concentrazione 1 2 Partecipazione privati 3 4 Sviluppo sistemi di pianificazione regionale e locale 3 2 Sviluppo sociale OBIETTIVI STRUMENTALI In primo luogo, va ricordato che la strategia del QCS ha individuato come primo obiettivo specifico la trasformazione economica della città, delineata come lo sviluppo di funzioni avanzate e servizi specializzati e, in generale, lo sviluppo economico delle maggiori aree urbane anche al fine di trainare le economie regionali (finalità che appaiono peraltro preponderanti anche nella formulazione dell’obiettivo generale per l’asse città). I POR, i CdP e i singoli progetti integrati (anch’essi dotati di una propria strategia e obiettivi) hanno ripreso CITTALIA – ANCI RICERCHE e rilanciato 71 fedelmente l’obiettivo trasformazione Le priorità delle città economica, ma l’analisi delle specifiche scelte programmatiche −i piani finanziari e dei pacchetti d’interventi approvati da regioni e enti locali per singoli progetti e/o misure− mostrano (pur con eccezioni) una limitata volontà e/o capacità di “dare gambe” alla strategia (da qui l’arancione, o il valore 3 attribuito nella Tabella). Già dunque ridimensionati nelle risorse programmate rispetto alla strategia d’asse, i processi di attuazione indicano che le difficoltà degli interventi di sviluppo economico (in termini di maggiore lentezza e incertezza, ridimensionamento o cancellazione di alcuni interventi) siano superiori che in altri settori di investimento. Gli investimenti previsti (ad esempio, trasferimenti alle imprese, infrastrutture economiche e di servizi significative, sostegno all’imprenditorialità) sono quasi del tutto invisibili nei dati di monitoraggio. Secondo la metodologia interpretativa qui proposta, il peggioramento ottenuto dall’ampliarsi del gap tra quanto programmato e lo stato reale degli interventi è segnalato dal passaggio dal valore [3] al [4] e dal colore arancio al rosso. Alcuni PIU o singoli interventi più incoraggianti (individuabili in alcune città della Campania, della Sicilia, e della Sardegna) non sono sufficienti a indicare che i progetti possano realmente avvicinarsi alle ambizioni strategiche del QCS di influire sensibilmente su crescita economica e innovazione delle città. Il secondo obiettivo specifico dell’asse insisteva sul miglioramento della qualità della vita della cittadinanza da perseguire attraverso azioni sulle molteplici sfere che su di essa agiscono. Forse per l’ampiezza del ventaglio di interventi possibili, o forse per la maggiore competenze e esperienza delle amministrazioni comunali in tali settori, la programmazione operativa di dettaglio presentava numerosi progetti e interventi per sostenere l’obiettivo. Il dato si mantiene anche nella fase attuativa: le informazioni estratte da Monit e presentate in precedenza testimoniano il buono stato di avanzamento di progetti (infrastruttura urbana e altro) per aumentare la vivibilità e fruibilità dello spazio e del verde urbano, per restauri funzionali o storico-artistici del patrimonio pubblico, e per interventi puntuali di mobilità e accessibilità. Il giudizio positivo si alimenta anche per il concretizzarsi di interventi (nuovi, ma anche coerenti) per impianti sportivi e per la cultura e il tempo libero, tipologie di investimento che possiamo presumere abbiano connessioni causali e una certa continuità concettuale con il terzo obiettivo specifico dell’asse città, che pone come priorità i servizi e le infrastrutture sociali. La fase di programmazione ha infatti destinato all’obiettivo (non semplice da circoscrivere) del rafforzamento del capitale sociale una porzione significativa delle risorse disponibili. Tutte le Regioni hanno previsto misure per servizi alla persona (finanziate con FSE), talvolta integrate nei piani di investimento dei PIU nelle città capoluogo, mentre in altri casi hanno finanziato piani per l’erogazione di servizi sociali e altri beni collettivi, con un approccio integrato-settoriale che CITTALIA – ANCI RICERCHE 72 Le priorità delle città interessa raggruppamenti inter-comunali su tutto il territorio regionale. Alle misure per esplicitamente mirate allo sviluppo dei servizi sociali, si aggiungono gli investimenti per infrastrutture sociali (FESR) inclusi, con decisioni autonome, dai comuni capoluogo nei PIU. Per la peculiare attenzione dedicata a questo obiettivo, si segnala il POR della Puglia che ha indicato la lotta all’esclusione e alla marginalità come obiettivi prioritari per i cinque PIU, orientando con decisione (e con criteri misurabili e vincolanti) i comuni responsabili verso la selezione di areeprogetto nelle zone periferiche o degradate delle cinque città. L’attuazione dei progetti evidenzia alcuni elementi di debolezza nei ritardi di alcune regioni nell’attivare gli interventi. Tuttavia, il giudizio è complessivamente positivo per i buoni risultati di alcune regioni (ad es.: completamento dei piani di zona sociale e qualificazione professionale in Campania, terziarizzazione e erogazione di servizi sociali in Calabria attraverso il sostegno alle imprese sociali). Da rilevare che i dati di attuazione mostrano che una porzione importante dei interventi nuovi per lo sviluppo sociale sia localizzato in comuni piccoli e medi, che in questo settore mostrano dunque delle qualità non inferiori da quelle (presunte) nei maggiori centri urbani e amministrativi, ovvero: un intensità di domanda piuttosto sostenuta, la capacità di strutturarla in una proposta progettuale tecnicamente solida, e successivamente di procedere con buona rapidità nell’attuazione degli interventi. L’analisi che precede presenta informazioni empiriche sui processi e i risultati relativi agli obiettivi (o princìpi) “strumentali” della strategia del QCS. In primo luogo, abbiamo rilevato come le scelte di programmazione avessero traslato in modo soddisfacente l’obiettivo di concentrazione delle strategie e dei piani operativi attraverso approcci che hanno prediletto l’integrazione degli interventi (opzioni programmatiche che peraltro tendono a rinforzarsi reciprocamente). Dai processi di attuazione emerge però qualche sfilacciamento della scelta ex ante apparentemente così netta, individuabile in un’attuazione relativamente lenta e disomogenea dei PIU, ovvero dell’approccio progettuale dove dell’integrazione e concentrazione trovano la più “pura” traduzione operativa. Le dinamiche di attuazione hanno poi confermato e accentuato la valutazione negativa già espressa in precedenza riguardo l’inadeguatezza (in termini di qualità e quantità) degli sforzi finalizzati alla partecipazione di risorse e operatori privati nei progetti e processi di sviluppo dell’asse città. Al di là delle enfatiche e onnipresenti dichiarazioni di intenti strategici (e presenza di criteri di selezione ad hoc in tutti i POR) per il partenariato pubblico-privato (PPP) nelle città, i pochi progetti programmati hanno mostrato ulteriori limiti con l’avvicinarsi della fase attuativa. A fronte di alcuni segnali positivi in interventi puntuali in PPP in Campania CITTALIA – ANCI RICERCHE 73 Le priorità delle città e Sardegna, notiamo che le istituzioni regionali e locali inizialmente più ambiziose (e non sempre consapevoli sulle “tecnicalità” degli strumenti di PPP) hanno spesso desistito dall’utilizzo della finanza di progetto stabilito nei loro POR: per diversi interventi, importanti in termini finanziari e di contenuto (strutture fieristiche, palazzi dello sport, centri congressi), modificando il CdP (Sicilia) o talvolta senza formalizzare la decisione (Campania, Calabria), si è passati da un progetto in PPP ad un più usuale appalto d’opera, e in alcuni casi l’investimento previsto è stato tout court accantonato. Nel segnalare che questo limite non riguarda solo l’asse città ma il QCS nel suo complesso, va ribadito che alla sua origine troviamo ostacoli molteplici e complessi, che peraltro non pervengono esclusivamente al contesto locale, regionale o nazionale delle politiche: le stesse regole generali e sistemi di incentivi diretti e indiretti dei Fondi Strutturali potrebbero e dovrebbero fare di più per sostenere, o per lo meno per creare condizioni favorevoli, all’espansione del partenariato pubblico privato (PPP). Infine, se la programmazione operativa ha trattato in modo incidentale e accessorio il sostegno al rafforzamento di strumenti e tecnologie per la pianificazione/monitoraggio strategico e settoriale del territorio, i dati disponibili evidenziano che l’attuazione di interventi per tale obiettivo −ancorché diversificati per settore interessato e approccio operativo− mostrano una buona performance di attuazione: piani sociali, sistemi di informazione geografica, o di monitoraggio ambientale e di mobilità sono oggi già operativi in diverse regioni. Una considerazione a parte meritano i circa 55 piani strategici oggi in via di elaborazione in tutti i comuni capoluogo ed in alcune reti inter-comunali finanziati in tutte le otto Regioni del Mezzogiorno. Un’analisi valutativa condotta nel 200312 aveva evidenziato come la mancanza nelle città di una strategia condivisa, rigorosa e credibile avesse indebolito la capacità di produrre innovazione e valore aggiunto nelle scelte di programmazione operate dai comuni sui PIU. Il processo di revisione della Mid-Term ha fatto propria tale valutazione, inserendo la pianificazione strategica come un’attività da privilegiare nell’eventuale ri-programmazione dei fondi dell’asse per il periodo 2004-2006, decisione ripresa nei diversi POR. La creazione della Riserva Aree Urbane per il Mezzogiorno con la Delibera del CIPE 20/2004 ha prodotto una più agevole fonte di finanziamento per i piani strategici in 12 Relazione DPS-UVAL al Comitato di Sorveglianza sullo Stato e Prospettive di Attuazione dei Progetti Integrati dell’Asse Città nei Comuni Capoluogo, Roma, 03/2003. http://www.dps.tesoro.it/documentazione/docs/all/Punto_12_Approf_Comuni_Capoluogo_UVAL_CDS.pdf CITTALIA – ANCI RICERCHE 74 Le priorità delle città preparazione che, a parte le maggiori città della Puglia (dove la fonte è invece l’Asse Città), sono sostenuti dal Fondo per le Aree Sottoutilizzate. Nel loro complesso, queste attività −già completate o in attuazione− testimoniano un tentativo consapevole e potenzialmente incisivo per lo sviluppo di strumenti e tecnologie finalizzate a migliorare le politiche, e dunque la performance istituzionale di regioni e enti locali. In questo senso, sembra che l’attuazione abbia non soltanto ripreso ma anche rilanciato gli obiettivi definiti nel QCS e negli stessi POR. I paragrafi che precedono segnalano gli obiettivi per cui la strategia del QCS sia stata seguita da processi attuazione soddisfacenti e dove, di converso, gli obiettivi appaiano lontani e forse non raggiungibili, formulando ipotesi che contribuiscano a spiegare questa distanza. Tra gli elementi positivi e problematici evidenziati, selezioniamo alcune indicazioni più rilevanti per migliorare dell’azione di sviluppo interventi nelle città: 1. Rafforzare e focalizzare l’impianto strategico generale degli interventi. Gli obiettivi e l’impostazione strategica stabiliti a monte dall’asse città sono ampi e trasversali. Pur riflettendo la multi-settorialità dello sviluppo urbano, essi hanno dimostrato una ridotta capacità di orientare le scelte a valle del processo programmazione a livello regionale e comunale. Piuttosto che concentrarsi sull’oggetto delle politiche (il “cosa”), sarebbe probabilmente risultato più efficace e realistico elaborare un impianto strategico generale che fornisse indicazioni vincolanti o forti incentivi per orientare il “come”, ovvero le modalità e i criteri di selezione, e le condizioni di attuazione per progetti e interventi (non necessariamente attraverso il testo del QCS, ma soprattutto orientando adeguatamente i programmi operativi). Considerazioni diverse riguardano invece le strategie o strumenti di pianificazione per reti urbane regionali o per singole città, dove la limitata addizionalità o impatto atteso dei PIU o dei singoli interventi in attuazione o anche solo programmati è in parte riconducibile alla mancanza di strategie di sviluppo redatte con i tempi necessari, interrelate con piani e strumenti urbanistico-territoriali, caratterizzate da solidità analitica e credibilità politico-istituzionale, e realizzata con metodologie inclusive e di condivisione con partner socioeconomici, avanguardie locali e cittadinanza; se dotati di queste caratteristiche, i piani strategici in elaborazione nelle città del Mezzogiorno potranno contribuire al superamento di questi limiti nel prossimo periodo di programmazione. 2. Migliorare i sistemi e i criteri di selezione. La fragilità delle strategie comunali e regionali ha avuto effetti negativi sulla funzionalità dei criteri di selezione per CITTALIA – ANCI RICERCHE 75 Le priorità delle città progetti e interventi: ambiziosi e condivisibili sulla carta, meno incisivi nell’effettivo utilizzo. La parziale applicazione dei criteri di selezione13, indebolendo la trasposizione concreta degli obiettivi di programmazione, spiega ad esempio: (i) l’incerta sostenibilità finanziaria e gestionale di mediolungo periodo di numerose strutture finanziate per l’erogazione di servizi pubblici e semi-pubblici (sociali, culturali, di formazione, turismo, sport, tempo libero, incubatori d’impresa, ecc.); oppure (ii) la scarsa (in molte Regioni inesistente) partecipazione finanziaria del settore privato nei progetti. Su quest’ultimo punto, l’esperienza positiva (ancorché perfettibile) realizzata dalla Campania con un fondo di premialità regionale nell’asse città finalizzata ad espandere l’utilizzo della finanza di progetto da parte dei comuni capoluogo conferma il potenziale incentivante dei sistemi premiali. 3. Restringere il gap temporale tra programmazione finanziaria e progettazione tecnica. Il processo di approvazione per i pacchetti di interventi compresi nei PIU si sono estremamente dilatati, con incertezze e periodi di stasi intercorsi nelle diverse fasi: (i) emanazione da parte delle Regioni di linee guida, schede progetto e intervento, etc.; (ii) predisposizione da parte dei comuni della documentazione progettuale; (iii) processo di valutazione e approvazione tecnica e formale da parte delle Regioni; (iv) delibere di approvazione delle giunte regionali e firma degli accordi di programma. Le diverse Regioni e città hanno completato tale processo soltanto tra il 2003 e il 2004. Per problemi di liquidità nel finanziarie la progettazione, per margini di incertezza sull’esito finale del finanziamento, o per banale inerzia o inefficienza tecnico- amministrativa, o per avvicendamenti continui tra i dirigenti responsabili per la direzione dei progetti, le amministrazioni comunali non hanno generalmente avviato il processo di progettazione tecnica per le opere pubbliche previsto dalla Legge Merloni prima della conclusione del processo di cui sopra e dell’approvazione del decreto di spesa. Per un’infrastruttura “media” e senza prevedere ricorsi o altre difficoltà in fase di affidamento delle gare, i processi di progettazione ex novo e affidamento tramite gara assorbono dai 12 a 18 mesi (che possono notevolmente aumentare per i progetti più complessi e ambiziosi, per le procedure in PPP, o per ricorsi amministrativi), che si sommano ai tempi di programmazione. Tutto ciò spiega non poco nei ritardo nell’attuazione dei PIU, (mentre le procedure a bando o negoziali per singoli interventi e di dimensioni ridotte hanno meno problemi in tal senso). In futuro, 13 Esempi di specifici criteri presenti in tutti i POR/CdP ma rimasti virtualmente inapplicati sono: (i) cofinanziamento privato; (ii) partenariato e partecipazione della società civile; (iii) analisi economicofinanziaria per la sostenibilità degli interventi; (iv) analisi di domanda per i servizi generati. CITTALIA – ANCI RICERCHE 76 Le priorità delle città sarà necessario prendere iniziative per comprimere i tempi e le fasi lungo l’intera sequenza. 4. Prevedere chiari impegni sulle strutture, poteri e risorse locali per la gestione dei progetti. L’ indefinitezza nei meccanismi inter-istituzionali e nella meccanica gestionale dei progetti ne danneggia l’efficacia. Su questo punto, è sintomatico che i documenti dei singoli PIU sottoposti al vaglio regionale presentassero poca o nessuna analisi e informazione sui meccanismi istituzionali di raccordo orizzontale (con istituzionali locali direttamente coinvolte negli interventi: autorità portuali, soprintendenze, società pubbliche di servizi o altro, organismi privati, etc.) o verticale (con la Regione o con altri enti pubblici coinvolti), né sulla struttura gestionale predisposta dal comune responsabile per il progetto. Il nodo gestionale non si limita a lacune “documentali”: è impressione generale che il tema sia stato sottovalutato e abbia generato gravi inefficienze nello start-up e messa a regime di progetti e interventi. Infatti, le realtà comunali non hanno oggi, nei loro limitati organici di tecnici e dirigenti, adeguata disponibilità di risorse umane e strumenti da dedicare alla programmazione strategica, progettazione tecnica e gestione amministrativa dei progetti. Ma con la decisione di fornire a città o a comuni minori un’opportunità da decine di milioni di euro (centinaia, nelle città maggiori) per investimenti straordinari, può essere in molti casi irrealistico supporre che le istituzioni locali possano utilizzarle in modo efficace con capacità e risorse umane “ordinarie”. Spesso, i comuni e le regioni hanno fatto fronte ai problemi sopravvenienti con delle “second best”, ovvero improvvisazione creativa o aggiustamenti finanziari in corsa. Né hanno risolto il problema gestionale i numerosi programmi di assistenza tecnica, spesso dall’alto e orientati all’offerta, che con ogni probabilità risultano più costosi e meno efficaci di un sostegno diretto alla crescita delle competenze nei comuni e nelle istituzioni locali. In sintesi, le esperienze in corso suggeriscono che la programmazione ex ante regionale e locale dovrebbe affrontare i temi gestionali e istituzionali locali in modo diretto, esauriente e comprensivo. I documenti di progetto delle città dovrebbero quantificare le risorse umane e materiali necessarie, tradurle in costi con fonti e usi, e spiegare quali altri istituzioni e con che ruolo parteciperanno nell’attuazione degli interventi. 5. Migliorare e semplificare i meccanismi di raccordo istituzionale tra Regioni e Comuni. Con l’asse città, per la prima volta un alto numero di progetti urbani di notevole portata programmazione finanziaria regionale. Pur sono stati parte considerando integrante l’attenuante della della sperimentazione, è indubbio che alcune indefinitezze nei processi decisionali e CITTALIA – ANCI RICERCHE 77 Le priorità delle città inefficienze nelle procedure operative e amministrative tra istituzioni comunali e regionali, abbiano spesso ostacolato una efficace programmazione e esecuzione dei progetti. Molti dei vincoli da sciogliere sono oggi noti, tra cui, ad esempio, l’esigenza di un maggiore decentramento e semplificazione della gestione finanziaria e amministrativa dei progetti integrati e singoli interventi (non necessariamente con meccanismi di sovvenzione globale, che pure restano un’ipotesi da considerare). In futuro, una ancor più accentuata delega comunale dovrà essere però bilanciata da maggiori e più rigorose istanze di monitoraggio e valutazione da parte di livelli di governo sovra-comunali (provinciali, regionali e/o nazionali) volte ad assicurare che gli interventi finanziati perseguano effettivamente gli obiettivi stabiliti in fase di definizione strategica e progettuale, massimizzando il valore aggiunto e l’impatto di sviluppo. Un maggiore raccordo in fase di definizione dei POR e dei singoli progetti/interventi dovrebbe anche interessare la relazione tra le batterie di indicatori di monitoraggio e valutazione di programma (e di asse) con quelli di progetto che nel 2000-2006 risultano spesso completamente diversi, rendendo dunque impossibile il monitoraggio e la valutazione di risultato e impatto degli indici regionali come effetto complessivo dell’attuazione dei singoli progetti. In conclusione, facciamo nostre le considerazioni di un recente studio sui progetti integrati territoriali, laddove afferma che14: "Nei confronti degli enti locali le Regioni appaiono avere, da questo punto di vista, la chance di influenza di gran lunga più significativa. Sono infatti così fitte e dense le relazioni che collegano gli enti locali con la propria Regione, a una quantità di livelli formali e informali, e così forte la capacità di indirizzo che la Regione possiede attraverso tutti questi canali, che buona parte della quota di innovazione realizzata o mancata che si vede circolare tra i progetti integrati può essere attribuita a quanto le Regioni abbiano o non abbiano fatto buon uso del proprio potere di influenza.La realtà empirica suggerisce che nello spazio delle relazioni tra i politici, gli amministrativi, i tecnici degli enti locali, e i politici, gli amministrativi, i tecnici della Regione si può formare un ambiente che motiva, incoraggia, sollecita all'innovazione, o al contrario disincentiva e assopisce. E' in questo spazio che i dispositivi dei progetti integrati sono presi sul serio o lasciati svilire, realizzano il loro potenziale innovativo o decadono in adempimenti [p.13]”. 14 DPS, Lo sviluppo ai margini. Due anni sul campo a sostegno dei progetti integrati in aree periferiche del Mezzogiorno, Roma, 2006, http://www.dps.tesoro.it/documentazione/docs/2006/1865_losviluppoaimargini.pdf CITTALIA – ANCI RICERCHE 78 Le priorità delle città Se tali considerazioni emergono dall’analisi di processi di sviluppo locale in aree periferiche del Mezzogiorno, le responsabilità collettive degli amministratori pubblici di ogni livello per l’innovazione mancata nelle grandi città −luoghi dotati di significativa massa critica, con connessione ai mercati infra- e extra-regionali, e snodi di flussi di informazione globali− sarebbero decisamente maggiori; dunque, è più che mai opportuno fare tesoro dell’esperienza dell’asse città per permettere in futuro che le politiche di sviluppo nelle aree urbane possano davvero svolgere in futuro il ruolo trainante che il QCS inizialmente prevedeva ma realizzate solo parzialmente nella programmazione 2000-2006. CITTALIA – ANCI RICERCHE 79