LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ Esigenze attuali e bisogni futuri nel

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LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ Esigenze attuali e bisogni futuri nel
LE PRIORITÀ DELLE CITTÀ
Esigenze attuali e bisogni futuri nel governo
della dimensione urbana.
La Priorità 8 del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013
Contributi dei relatori
Roma, 24 ottobre 2007
Le priorità delle città
INDICE
I SESSIONE – APPROFONDIMENTO DI SPECIFICI TEMI LEGATI ALLO
SVILUPPO DELLE CITTÀ
LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NELLE AGENDE POLITICHE URBANE
1
Ernesto d’Albergo, Università La Sapienza, Roma
TRASFORMAZIONI DELLA VITA URBANA NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA
21
Marco Cremaschi, Università Roma Tre
MOBILITÀ URBANA E METROPOLITANA: STRATEGIE POSSIBILI E MITI DA
SFATARE
29
Marco Ponti, Politecnico di Milano
I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA COSTRUZIONE DELLE POLITICHE URBANE
35
Chiara Sebastiani, Università di Bologna
II SESSIONE - LA QUESTIONE URBANA NEL QSN
UPDATE DELLA VALUTAZIONE INTERMEDIA DELL’ASSE CITTÀ NEL QCS 2000-200651
A cura dell’Unità di Valutazione del DPS − ottobre 2006
CITTALIA – ANCI RICERCHE
Le priorità delle città
LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NELLE AGENDE POLITICHE URBANE
Ernesto d’Albergo
1. Introduzione
Il peso attribuito dalla programmazione comunitaria 2007-2013 alle città e alla
governance urbana deve essere considerato come un indicatore di almeno due
aspetti. Da un lato, del riconoscimento del ruolo potenzialmente trainante che lo
sviluppo urbano può esercitare nei confronti di sistemi territoriali più ampi
(regionali, statali, comunitari). Solo potenzialmente, però, perché se se lasciate solo
a dinamiche di mercato le «lepri del capitalismo» [Mariotti 2007] possono in realtà
fare corsa a sé. Diverse ricerche indicano infatti l’indebolirsi – soprattutto nelle
cosiddette «città globali» – del rapporto fra tali regioni urbane e i territori
immediatamente circostanti, sostituito da flussi non solo economici e finanziari, ma
anche culturali, all’interno di reti transnazionali che coinvolgono primariamente
queste città, piuttosto che sistemi economici nazionali. Per questo per ottenere
effetti di spill-over territoriale dell’innovazione e dello sviluppo sembrano necessarie
politiche pubbliche mirate non solo ad aiutare le città, ma anche a favorire la
trasmissione degli impulsi allo sviluppo, politiche che al momento è difficile
immaginare al di fuori di processi e sistemi istituzionali di concertazione fra città,
regioni, stati e Unione europea (UE).
Da un altro lato, indica il consolidamento di una «politica urbana» nell’agenda e nei
flussi di spesa del’Ue, che è realistico considerare un risultato non tanto
«endogeno», ossia di processi interni alle élites e alle istituzioni comunitarie, quanto
da ricondurre al rinnovato attivismo delle città all’interno del sistema e dei processi
di governance multilivello. Un attivismo con caratteri in parte nuovi, che influenza
le agende dei sistemi politici a diversi livelli territoriali (nazionali e comunitario) e si
impone come oggetto di analisi per le scienze economiche, politiche e sociali.
Infatti,
se
si
escludono
le
pratiche
dei
gemellaggi
e
dell’associazionismo
multilaterale internazionale [Saunier 2000; Ewen e Hebbert 2007], la frequenza e
l’importanza con la quale, specialmente nelle grandi aree urbane, l’agenda della
politica e delle politiche urbane è occupata da temi, azioni e iniziative che portano
le città «all’estero» costituisce un fatto nuovo degli
ultimi due decenni. Questo contributo intende mettere a fuoco la natura di queste
attività e, in particolare, le analogie e le differenziazioni che le caratterizzano.
I processi di globalizzazione e di integrazione europea e la ridefinizione del ruolo e
delle politiche degli stessi stati nazionali all’interno di regimi di governance
transnazionale in formazione costituiscono il contesto ambientale – economico,
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Le priorità delle città
culturale e politico – di questa rinnovata agency internazionale delle città. Questo
contesto propone a tutti gli attori che operano entro la scala spaziale urbana –
imprese, società civile, governi locali – rischi e opportunità, margini di azione e
vincoli. Ma quali sono le effettive conseguenze? In particolare, repertori di azione e
strategie
internazionali
delle
città1
sono
effettivamente
caratterizzati
da
assimilazioni e convergenze, come i discorsi politici più «ortodossi» focalizzati sulla
crescita prima e sul binomio «crescita + coesione» in seguito lasciano immaginare?
In altri termini, è vero che per le città esiste sostanzialmente un solo modo per
confrontarsi con i mutati scenari transnazionali? Le risposte offerte di seguito sono
basate sui risultati di alcune ricerche empiriche sulla formazione delle strategie
internazionali di alcune grandi città (europee e non), i cui risultati smentiscono
un’interpretazione di questo tipo.
In particolare, contrariamente a quanto viene spesso affermato o sottinteso da
parte della politica e/o dei mezzi di comunicazione, cercare di essere competitive
sui mercati globali è solo una parte di ciò che le città possono fare (e fanno) in
campo internazionale, mentre questo stesso obiettivo può essere perseguito
attraverso attività anche molto diverse fra loro. Non tutte le città, infatti, hanno la
stessa vocazione e identità; non tutte hanno le medesime risorse a disposizione, o
devono fare i conti con gli stessi vincoli. Seguire la propria vocazione, valorizzando
al meglio le risorse – endogene ed esogene – significa per una città fare scelte
strategiche non scontate e, soprattutto, talvolta non corrispondenti al menù di
opzioni che le stesse organizzazioni internazionali2 le propongono.
La
differenziazione
delle
strategie
autorizza
a
considerare
la
dimensione
internazionale delle agende politiche urbane come un oggetto di analisi non
scontato. Sarebbe semplicistico, ad esempio, ritenere che l’una o l’altra, o l’insieme
delle attività di portata ultra-nazionale, configurino una «politica internazionale» o
1
Per motivi di spazio si prescinde in questa sede dal considerare un problema non solo teorico,
relativo alle implicazioni – in molti casi date frettolosamente per scontate – del riferirsi esplicitamente
o implicitamente alle città come «attori» che operano con strategie unitarie. Che le città possano
essere considerati tali, o piuttosto «luoghi» o «spazi» attraversati da stratificazioni, differenziazioni di
interessi e valori, se non da conflitti, non è scontato ed esistono infatti interpretazioni diverse (cfr.
Marcuse e Van Kempen [2000]; Le Galès [2002]; onsentono ad alcuni – prevalentemente i governi
urbani e i rappresentanti degli interessi economici – di «parlare per la città» in arene più ampie e ciò
consente di considerare, con tutti i caveat del caso, tale fenomeno come espressione di un processo di
formazione di Savitch e Kantor [2002]; Fedeli [2006] e d’Albergo e Lefèvre [2007], fra gli altri). Vi
sono però processi economici e politici che c una volontà collettiva. Gli orientamenti strategici –
normalmente prerogativa di attori razionali individuali e/o prodotto delle interazioni fra di loro – riferiti
in questo testo alle «città» devono essere perciò intesi come l’esito di processi di azione collettiva le
cui forme possono essere variamente stabilizzate e istituzionalizzate e che vedono spesso il concorso
di leadership politico-istituzionale, amministratori e attori economico-sociali fra loro diversi.
2
Si pensi al ruolo svolto non solo dall’Ue, ma anche da istituzioni come l’Ocse per le città dei paesi di
più consolidata industrializzazione o la Banca Mondiale per i paesi meno sviluppati o della transizione
post-sovietica.
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2
Le priorità delle città
«estera» di una città. Anche se talvolta questa metafora può essere evocata – ad
esempio quando si parla di «paradiplomazia» [Aldecoa e Keating 1999] – una
«strategia internazionale» non ha tutte le caratteristiche tipiche delle linee di azione
pubblica nelle «normali» aree di intervento dei governi locali (come l’urbanistica, i
trasporti, lo sviluppo economico, i rifiuti, etc.), né quelle delle politiche estere degli
stati. Per questo nelle agende politiche urbane non si trovano tanto «politiche
internazionali», quanto attività e strategie che si configurano come una proiezione
esterna, attraverso attività indirizzate verso arene sopranazionali, del più ampio e
frammentato policy making urbano. E’ a causa di questa frammentazione che il
ruolo di una strategia «prevalente» – capace di integrare in modo coerente la
maggior parte delle attività internazionali condotte in un’area urbana – è
particolarmente importante.
Al fine di chiarire la natura della dimensione internazionale delle agende politiche
urbane, nel paragrafo 2 vengono ricordate le caratteristiche più rilevanti per le città
e le loro agende del processo di rescaling dell’economia e della politica indotto dalla
globalizzazione e dell’integrazione europea. Nel paragrafo 3 sono esaminate le
azioni e le strategie internazionali delle città come emergono principalmente da due
ricerche. Nel paragrafo 4 sono individuati i principali fattori dai quali dipendono le
convergenze e le differenziazioni, i quali corrispondono in buona parte alle risorse e
ai vincoli e, quindi, ai margini di scelta per la definizione delle strategie
internazionali urbane. Fra di essi spicca per importanza la natura delle relazioni
intergovernative al cui interno sono incapsulati i governi urbani, in primo luogo con
i rispettivi stati e governi nazionali. Per questo nel paragrafo 5 sono illustrate le
coordinate principali di un programma di ricerca promosso da Cittalia per analizzare
il rapporto fra le «agende politiche urbane» e le «agende delle politiche urbane» di
alcuni stati europei.
2. Il nuovo contesto transnazionale delle politiche urbane
Il rescaling dell’economia
Lo scenario entro il quale hanno luogo – e devono essere interpretati – i
cambiamenti che interessano le agende delle politiche pubbliche delle città
contemporanee è dominato da quelle dinamiche di riarticolazione dell’economia, dei
processi culturali e delle istituzioni che vengono comunemente sintetizzate facendo
riferimento ai processi di «globalizzazione» ed «europeizzazione». Al loro interno il
rapporto fra le attività economiche e lo spazio non si è dissolto in uno spazio di
flussi in cui non ci sono più confini o ancoraggi territoriali, come pure è stato
sostenuto
nella
discussione
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sulla
globalizzazione.
3
E’
vero
che
a
causa
Le priorità delle città
dell’integrazione globale dei mercati finanziari, della crescita del commercio
internazionale e degli investimenti diretti all’estero le economie nazionali sono
attraversate da flussi transnazionali. I processi di delocalizzazione e rilocalizzazione
delle attività economiche producono anche una disaggregazione delle economie
statali in economie regionali e locali, con distretti industriali e reti locali, zone di
export processing a regime fiscale differenziato, sistemi di innovazione regionali o
urbani, condensazione di capacità di apprendimento nei territori (technopoli, parchi
scientifici), formazione di città e città-regioni globali. Le relazioni fra questi sistemi
oltrepassano i confini statali, sono competitive, ma anche cooperative, come è
evidenziato dai diversi tipi di reti fra città, e sono territorializzate su scale diverse.
In particolare, formano per lo più città-regioni, che costituiscono «nodi» o «cluster»
nell’economia globale. Ciò dà luogo a un intreccio fra le idee di politiche urbane e di
regionalismo competitivo [Jonas e Ward 2001, 7].
Le attività economiche, dunque, si ri-territorializzano e le città non agiscono più
solo «come punti di agglomerazione gerarchica dell’economia nei confini dei singoli
Stati» [Mariotti 2007, 86]. L’internazionalizzazione delle politiche urbane ha le sue
radici in questa riarticolazione (rescaling) del rapporto fra processi economici e
spazio, che avviene non in assenza, ma in presenza di politiche pubbliche, le quali a
loro volta acquistano caratteri nuovi, anche per quanto riguarda l’articolazione e
l’orizzonte spaziale delle azioni, degli attori e degli strumenti utilizzati. Per effetto di
questa riarticolazione, infatti, la dimensione statale non è più l’unico contenitore, né
il regolatore assoluto delle relazioni economiche e sociali, ma condivide tali funzioni
con altri soggetti e con altre dimensioni spaziali, mentre non emerge un altro
soggetto politico in grado di fornire le funzioni di coordinamento già tipiche degli
stati nazionali [Jessop 2002, 179].
Il rescaling della politica
Al processo di rescaling dell’economia fa così da contraltare una speculare
riarticolazione del rapporto fra ciò che fanno gli stati e ciò che fanno altri livelli
territoriali del potere politico, un rescaling della politica che si è sviluppato
simultaneamente su scale geografiche multiple e sovrapposte [Brenner 1999;
2004]. Le città sono al centro di questi cambiamenti: da un lato ne subiscono
direttamente o indirettamente le conseguenze; dall’altro ne sono protagoniste in
modo attivo e con l’internazionalizzazione delle loro agende contribuiscono in modo
importante a definire i nuovi scenari, non solo economici, ma anche culturali e
politici.
Questo processo e le sue conseguenze si possono osservare proprio nella doppia e
contestuale
dinamica
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di
rafforzamento
4
dei
poteri
istituzionali
su scala sia
Le priorità delle città
sopranazionale, sia locale. Senza questa contestualizzazione sarebbe difficile dare
senso alla diffusione dei processi di decentramento istituzionale e autonomizzazione
politica e fiscale dei governi locali. Le stesse innovazioni diffuse che riguardano la
struttura e il funzionamento degli enti locali – come ad esempio l’elezione diretta
del sindaco in Italia, il rafforzamento degli esecutivi in Spagna [Crespo 2006], il
decentramento pur «incompleto» in Francia [Pavani 2006], il rafforzamento della
leadership istituzionale in Inghilterra [Frosini 2006; Howard et al. 2006], si
comprendono alla luce della riconfigurazione territoriale della regolazione politica e
della riarticolazione delle gerarchie spaziali che coinvolgono gli stati, le città e i
poteri transnazionali.
Questa trasformazione «verticale», non priva di conflitti, contraddizioni e dilemmi,
si è accompagnata a una trasformazione «orizzontale» dei poteri locali e delle loro
modalità di azione, anch’essa poco comprensibile prescindendo dalla riarticolazione
spaziale sopra richiamata. Il cambiamento si è caratterizzato complessivamente
come un passaggio dal primato assoluto del governo attraverso le istituzioni
pubbliche
(government)
alla
governance
locale
(John
2001),
fondata
su
partnership-pubblico-privato e sistemi a rete. Si è affermata di conseguenza un’idea
di network management [Kickert, Klijn Koppenjan 1997] che risponde ad esigenze
di coordinamento nuove. Le politiche di sviluppo territoriale, ad esempio, richiedono
una governance locale compatta e integrata, inclusiva non solo di interessi
economici dotati di visioni a breve, ma anche di portatori di interessi diffusi. Si
spiega in questo modo la fioritura di una cultura dello sviluppo locale integrato e
fondato sulle partnership come quelle realizzate nei “patti territoriali” [Piselli 2005].
Questi principi alimentano anche la discussione sulle riforme istituzionali ispirando,
ad esempio, anche le soluzioni non-strutturali ai dilemmi dei governi metropolitani
(Lefèvre 1998; Jouve e Lefèvre 2002; Brenner 2004).
In sintesi, le scelte attraverso le quali si è prodotto l’adattamento degli stati europei
alla
globalizzazione,
alla
transizione
post-fordista
e
post-keynesiana
e
all’integrazione economica e politica continentale hanno favorito un processo di
riarticolazione territoriale della sovranità, al cui interno dinamiche contestuali di
upscaling e downscaling della statualità favoriscono sia il nuovo protagonismo delle
città europee, sia l’avvio di un’agenda urbana dell’Unione europea [Le Galès 2002].
La agency delle città nei regimi di governance transnazionali in formazione
Ai nuovi orizzonti spaziali delle azioni pubbliche corrisponde il formarsi di «regimi di
governance» multicentrici e transnazionali (Mayntz 2002), in cui i governi statali e
gli attori politici e sociali che operano su scala nazionale non sono più gli unici
protagonisti, ma parte di un intreccio di poteri che trasforma e mette in comune
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Le priorità delle città
l’autorità (Weiss 2005). Insieme agli stati, infatti, prendono parte alla produzione di
regolazioni e interventi su scala globale, regionale (ma anche nazionale) attori
internazionali – come le organizzazioni intergovernative, più o meno capaci e con
diverse modalità, di ottenere compliance (adeguamento delle proprie scelte agli
indirizzi da loro formulati) dai propri membri – e transnazionali, come le imprese
multinazionali o la cosiddetta «società civile globale» [Anehier et al. 2001 e ss.],
che evidenzia un orientamento dell’azione verso temi di scala regionale o globale e
sviluppa connessioni cross-border basate proprio sulle città [Taylor 2005, 722].
Non siamo di fronte a strutture e autorità di governo sovrastatali comparabili con
quelle dello stato-nazione, ma a sistemi d’azione in molti casi fluidi e a basso grado
di istituzionalizzazione, se confrontati con i modelli della statualità moderna, o in
altri casi più istituzionalizzati – come quelli dell’Europa comunitaria – che D. Held
[2005, 109 e ss; 122] ha genericamente definito:
una ragnatela sempre più fitta di accordi multilaterali, istituzioni, sistemi
normativi e reti di policy, che investe e regola molti aspetti della vita
nazionale e transnazionale, dalla finanza, alla flora e fauna (…) un’arena
di policy making globale, un sistema multistratificato, multidimensionale
e multi-attore (…), frammentato e competitivo al suo interno.
Mettendo in atto attività differenziate per fronteggiare le sfide e le opportunità della
globalizzazione e dell’integrazione europea, le città divengono così parte di questi
regimi di governance transnazionali e delle politiche pubbliche che all’interno degli
stessi si producono, introducendovi connessioni fra locale e globale più dirette che
nel passato e più problematiche, se osservate con una lente ancora abituata a
concepire in modo gerarchico la stratificazione fra i livelli territoriali dell’economia e
del potere politico.
Ma quali sono queste attività delle città? Cosa si deve intendere concretamente per
internazionalizzazione delle agende politiche urbane? E’ ciò che vedremo nel
paragrafo 3.
3. Azioni e strategie internazionali delle città
Il repertorio di attività e le strategie
Le (non ancora molte) ricerche dedicate alle attività internazionali delle città
evidenziano l’esistenza di alcune convergenze, ma soprattutto di diversificazioni,
che si devono al modo in cui ciascuna città sfrutta i margini di scelta e di autonomia
di azione esistenti anche a fronte di forze, pressioni e tendenze globali, che in
Europa si esprimo anche su scala continentale.
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Le priorità delle città
A differenziare il modo in cui aspetti internazionali sono presenti nelle agende
politiche urbane sono non solo le attività svolte, ma soprattutto le loro finalità e le
strategie ad esse sottese. Le principali attività internazionali possono consistere in:
-
iniziative per migliorare la competitività sul mercato internazionale, come le
pratiche di pianificazione strategica [Perulli 2004; Fedeli 2006], il city marketing,
i progetti di rigenerazione urbana, le candidature per i giochi olimpici e altri
eventi sportivi o culturali;
-
partnership bilaterali (gemellaggi) o multilaterali (associazioni e reti) fra città di
diversi paesi, più o meno connesse con l’Unione europea (UE);
-
attività di lobbying nei confronti dei livelli sopranazionali di decisione politica, in
primo luogo l’UE;
-
implementazione di programmi finanziati dall’UE;
-
azioni di solidarietà con il «Sud globale» come la cooperazione decentrata, o
altre attività per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la lotta contro la
povertà;
-
azioni di «diplomazia dal basso», finalizzate soprattutto a promuovere la pace e
a prevenire i conflitti.
Non in tutte le città viene condotta questa intera tipologia di attività, anche se le
probabilità di differenziazione crescono con il crescere delle dimensioni urbane.
Difficilmente, inoltre, tutte queste attività coinvolgono tutti gli attori che agiscono in
un sistema urbano. Questo repertorio di attività, peraltro, può fornire un indicatore
sul grado di internazionalizzazione dell’agenda politica di una città, ma di per sé non
dice molto sul modo in cui la stessa si forma e sui significati che questa acquista
all’interno dei processi di governo urbano. Più significativo è individuare se e quale
strategia – ossia un tentativo soggettivo di raggiungere coerenza fra gli scopi, i
mezzi e i valori sottostanti le attività – sottenda l’internazionalizzazione di
un’agenda politica urbana.
Le strategie sin qui rilevate possono avere diversi orientamenti. Una ricerca
focalizzata sul modo in cui le città (ne sono state comparate dieci) orientano la loro
posizione negoziale nei confronti del capitale internazionale ha messo in luce due
principali tipi di strategie, orientate rispettivamente più al «mercato», o in senso
«sociale» [Savitch e Kantor 2002]. Più recentemente, un’altra ricerca condotta su
altre dieci grandi città (prevalentemente europee) e dedicata a un più ampio raggio
di attività internazionali, ne ha potuto identificare tre principali – rispettivamente in
senso «economico», «sociale», o «politico» [d’Albergo e Lefèvre 2007]. In entrambi
i casi questi orientamenti sono da considerarsi «idealtipi», i quali delimitano poli
opposti di continuum entro i quali sono possibili diversi tipi di ibridazione.
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Le priorità delle città
• Strategie orientate in senso «economico»
Nei casi in cui prevale un orientamento economico, l’agenda è dominata da
preoccupazioni
relative
alla
crescita
economica
e
le
attività
internazionali,
normalmente realizzate attraverso partnership con attori economici, sono guidate
dall’obiettivo di migliorare la posizione e la competitività dell’area urbana nel
mercato globale. Le attività possono essere di tipo comprensivo (del tipo piano
strategico) o più ad hoc, come la promozione di una immagine reinventata della
città, la realizzazione di progetti di rigenerazione urbana, la realizzazione di
investimenti in infrastrutture di trasporto o comunicazione, o la candidatura per
ospitare grandi eventi internazionali, motivata dall’aspettativa che gli stessi si
rivelino fonti di vantaggi non solo direttamente (attraverso gli investimenti pubblici
e privati in programmi di rinnovamenti urbano o il turismo), ma anche
indirettamente (attraverso il miglioramento dell’immagine e il marketing della
città).
Questo tipo di strategia può assumere una torsione particolare laddove lo scopo sia
quello di mantenere, acquisire o migliorare lo status di «città globale», ossia di
metropoli
nella
quale
si
concentrano
i
quartieri
generali
delle
imprese
transnazionali, le quali fruiscono di servizi avanzati (creditizi, di consulenza
finanziaria e manageriale, legali, assicurativi, pubblicitari, etc.), manodopera
qualificata e, generalmente condizioni ambientali favorevoli all’insediamento del
business transnazionale. Tali luoghi sono centri non solo di servizio, ma anche di
comando dell’economia mondiale, nodi che hanno relazioni più con altri nodi simili
all’interno di reti transnazionali che con il territorio circostante, ma anche il
concentrato di contraddizioni sociali e disuguaglianze. Su questo processo di
polarizzazione socio-spaziale sono state sviluppate teorie e ricerche economiche e
sociologiche, tassonomie, graduatorie gerarchizzate e repertori di iniziative possibili
per migliorare la posizione nei ranking globali3. Il posizionamento delle città
italiane4 invita a riflettere da un lato sull’importanza che azioni finalizzate a
migliorare il grado di attrattività possono assumere sia nell’agenda politica urbana,
sia nelle politiche nazionali che esercitano il loro impatto nelle aree urbane. Da un
altro lato, sul pericolo che obiettivi da «wannabe global city» possano risultare
3
Tanto che non possono essere ricordate in questa sede, se non con riferimento ai lavori fondamentali
di J. Friedmann [1986], di S. Sassen [1991] e alle misurazione della connettività fra città globali di P.
Taylor [1995; 2004; 2005].
4
Le ricerche disponibili evidenziano come le città italiane più coinvolte nei processi di
internazionalizzazione della produzione di beni e servizi e interessate dalla connettività con altri nodi
economici globali siano soprattutto Milano – al posto n. 13 nel ranking proposto da P. Taylor, dopo
Londra, New York, Hong Kong, Parigi, Tokyo, Singapore, Toronto, Madrid, Bruxelles, Francoforte,
Amsterdam e Chicago – e poi Roma, Torino e Bologna, mentre non ve ne sono nel Mezzogiorno [cfr.
Mariotti 2007, p. 97 e ss.].
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Le priorità delle città
sovradimensionati
rispetto
alle
potenzialità
della
maggior
parte
delle
aree
metropolitane italiane, oltre a rischiare di concentrare l’agenda su di un solo profilo
dell’internazionalizzazione possibile delle città.
Attrattività e competitività, peraltro, possono essere ricercate attraverso scelte
diverse. Ad esempio, una più semplice opzione di sfruttamento di vantaggi
comparativi statici (riduzione di costi di produzione, a partire da quelli fiscali)
versus una priorità assegnata alla creazione di vantaggi competitivi dinamici
(capacità di produrre o favorire innovazione permanente nei fattori di produzione e,
soprattutto, in fattori extraeconomici e costruiti socialmente che caratterizzano il
luogo e lo spazio). Nel formulare le azioni per attrarre investimenti e lavoro, la città
imprenditoriale «Schumpeteriana» non si limita a gestire un già esistente clima
favorevole per le imprese, o a pratiche di marketing urbano, ma si dota anche di
«un complesso spazializzato di istituzioni, norme, convenzioni, reti, organizzazioni,
procedure
e
modalità
di
calcolo
economico
e
sociale
che
incoraggiano
l’imprenditorialità». Per sostenere un flusso di innovazione continuo sono perciò
necessari da un lato accorgimenti istituzionali e organizzativi – per questo le
riforme istituzionali e organizzative, come quelle dei governi metropolitani, possono
essere
presentate
posizionamento
un
potenziale
internazionale
vantaggio
delle
città
competitivo
che
–
riguarda
e
dall’altro
anche
un
sfere
extraeconomiche, ossia culturali e politiche [Jessop 2002, 189].
Strategie orientate in senso «politico»
L’obiettivo della crescita è importante e diffuso, infatti, ma non è l’unico praticato
dalle città. Le strategie internazionali possono essere di tipo «politico», dominate
cioè da preoccupazioni relative alla posizione e al ruolo svolto dalla città all’interno
del suo contesto politico e istituzionale. Non essendo lo stesso più definito solo dal
«contenitore» dello stato nazionale, ed avendo acquisito la connotazione multilivello
sopra richiamata, le città finiscono per guardare a un contesto politico più ampio e,
talvolta, a giocare contemporaneamente su diversi livelli, cercando di sfruttare i
benefici di arene multiple (regionale, statale, europea).
Gli obiettivi possono essere principalmente di due tipi, replicando in un contesto più
complesso l’esperienza storicamente realizzata dagli enti locali nel rapporto con gli
stati. Da un lato, ottenere risorse di vario tipo, in primo luogo economico, ma non
solo (ad esempio, risorse cognitive da usare nelle politiche urbane, ma anche
risorse di legittimazione). Dall’altro, l’obiettivo è più ambizioso, poiché consiste nel
cercare di modificare le regole dell’ordine internazionale, o dei regimi di governance
a livello europeo o globale, conquistando al loro interno un ruolo più autonomo e
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Le priorità delle città
influente per la città e, spesso, più generalmente per le città. E’ questo il caso in cui
una strategia internazionale assomiglia di più a una «politica estera», anche se in
senso metaforico (in primo luogo perché gli interlocutori non sono stati nazionali).
Le attività indirizzate dalle città europee verso l’arena UE sono spesso un misto fra i
due tipi di strategia, essendo motivate da entrambe le intenzioni. Infatti le città
possono agire non solo come policy takers cercando di ottenere risorse e ridurre il
rischio di essere esclusi dalle decisioni di carattere distributivo, come quelle relative
all’implementazione dei «fondi strutturali» e di altri programmi finanziati dall’Unione
europea, ma anche agire (o proporsi di agire) contemporaneamente come policy
makers, imitando lo stile di azione collettiva tipica degli stakeholders privati e
prendendo parte anche alla fase «ascendente» del policy making comunitario.
Anche se con modalità diverse fra loro, la rete Eurocities e il «Comitato delle
regioni» sono arene e strumenti utilizzati per finalità di questo tipo [Kübler e
Piliutyte 2007]. Queste due dimensioni sono state distinte da A. Marshall [2005,
672] in «europeizzazione del tipo download», ossia i cambiamenti che interessano
le politiche, le pratiche e la formazione delle preferenze all’interno delle città come
conseguenza dell’adattamento alle condizioni poste dall’Unione europea per
prendere parte ai suoi programmi (si pensi al potenziale di innovazione e
apprendimento attraverso il cosiddetto policy transfer) ed «europeizzazione del tipo
upload», ossia il processo attraverso il quale si produce l’incorporazione delle
iniziative e delle preferenze cittadine all’interno di politiche o programmi paneuropei, come conseguenza delle nuove opportunità offerte alle città per accedere
al livello europeo di decision making.
Nel secondo caso le attività consistono prevalentemente nel partecipare e nel
cercare di assumere la guida di reti e coalizioni internazionali di città e nel praticare
azioni di lobbying nei confronti di livelli internazionali o sopranazionali di decision
making politico. Le iniziative della cosiddetta «diplomazia dal basso», in particolare,
contendono agli stati un terreno tipico e storicamente costitutivo della loro
sovranità. Questo tipo di sforzo implica la disponibilità e la mobilitazione di risorse
particolari all’interno dell’area urbana, come l’originalità, la capacità di ideare e
gestire scenari innovativi e di svolgere un ruolo di apripista, anche nei confronti
degli stati nazionali, per facilitare processi di democratizzazione delle arene
internazionali.
Strategie orientate in senso «sociale»
Meno diffuse, ma non di meno presenti sono strategie per effetto delle quali
l’agenda
delle
attività
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internazionali
acquista
10
un
carattere
«solidarista»
o
Le priorità delle città
«cosmopolita», essendo dominata da questioni e finalità come la lotta contro la
povertà, le disuguaglianze sociali e le guerre, l’impegno a favore dello sviluppo
sostenibile, dei diritti umani, della pace e di una nuova cittadinanza, specialmente
nel «Sud globale».
Le aspirazioni prevalenti – motivate dalle diffuse preoccupazioni a proposito dei
deficit sociali e democratici della globalizzazione – consistono da un lato nel
cambiare le agende delle politiche transnazionali caratterizzate da un indirizzo più
radicalmente
neo-liberista
e,
dall’altro,
nel
realizzare
direttamente
azioni
(cooperazione decentrata) immediate contro le disuguaglianze, la povertà e le
guerre nel mondo, talvolta collegate con la «diplomazia dal basso» della società
civile transnazionale. Una città, quindi, può fare sforzi per promuovere la
redistribuzione della ricchezza fra paesi sviluppati e in via di sviluppo, anziché agire
secondo modalità che riproducono le disuguaglianze, così come può incoraggiare la
diversità culturale, anziché ritrarsi nell’identità del solo gruppo sociale dominante
[Jouve 2007].
Attraverso questo tipo di strategia le città e le coalizioni politiche che le governano
cercano normalmente di stabilire una coerenza fra le preferenze orientate in senso
sociale che caratterizzano il loro policy making interno (principalmente la
subordinazione dello sviluppo economico all’inclusione sociale e più generalmente
l’attenzione riservata ad obiettivi di sicurezza sociale, salvaguardia ambientale,
etc.) e le loro attività internazionali.
Queste strategie normalmente hanno un posto importante nelle più generali
strategie politiche dei sindaci che le promuovono e sono rese possibili da reti e
partnership fra il governo locale e gruppi e associazioni della società civile, i quali
forniscono in questo modo all’azione internazionale insostituibili risorse tecniche e
politiche, prendendo parte non solo all’organizzazione di singole iniziative, ma
anche all’elaborazione della strategia internazionale della città.
4. Da che cosa dipende il prevalere dell’una o dell’altra strategia?
Il peso delle condizioni economiche
A far prevalere una strategia internazionale orientata in un senso o nell’altro sono
quei fattori che rendono più generalmente le città differenti tra loro. In particolare,
le ricerche qui considerate evidenziano l’influenza esercitata da fattori che hanno a
che fare con condizioni strutturali, esogene e difficilmente manipolabili da una città,
specialmente nel breve periodo, versus fattori che emergono dalla dinamica politica
e sociale urbana e sono quindi maggiormente «a disposizione» degli attori locali. In
particolare, quando nelle agende politiche urbane viene data priorità alla crescita il
CITTALIA – ANCI RICERCHE
11
Le priorità delle città
peso che le città sono disposte ad accordare a obiettivi e/o vincoli di sostenibilità
ambientale e sociale dello sviluppo, può essere diversificato e ciò produce delle
conseguenze anche per il tipo di strategia e di attività internazionale che sarà
prevalente. Non a caso questioni di portata internazionale – come ad esempio
investimenti in infrastrutture come aeroporti, o grandi centri fieristici e commerciali
– possono essere oggetto di controversie nell’agenda urbana, dando luogo a
conflitti che possono cambiare il carattere stesso di una città [Savitch e Kantor
2002, 23].
Da cosa dipende l’equilibrio fra obiettivi di crescita e di sostenibilità dello sviluppo?
Secondo la ricerca appena citata, l’approccio strategico di una città dipende
dall’efficacia con la quale riesce a negoziare le proprie preferenze con gli investitori
privati, sempre più spesso coincidenti con il capitale internazionale. La posizione
negoziale di una città dipende da fattori e risorse relativi, per usare una metafora
meccanica, sia «alla trasmissione» che conduce l’energia motrice (variabili
«driving»: le condizioni e le dinamiche dell’economia; il sostegno che proviene dalle
relazioni intergovernative in cui la città è inserita, la cui natura può essere integrata
o dispersa), sia al «volante» che consente di scegliere un percorso (variabili
«steering»: la natura sociale e culturale della società urbana; il sistema politico e
istituzionale locale).
Da
un lato,
quindi,
dalla situazione
economica
e
dal
grado
di
supporto
intergovernativo dipendono la posizione negoziale nei confronti delle forze di
mercato e, quindi, i margini di scelta delle politiche urbane. Da un altro lato, dai
fattori «steering» dipende l’orientamento o meno in senso «sociale» delle strategie
di sviluppo. Laddove i vantaggi nella posizione negoziale si riducono (a causa di
cattive condizioni economiche combinate con uno scarso sostegno intergovernativo)
cresce la probabilità che prevalga una strategia di sviluppo orientata al mercato o
«pro-growth» – come è accaduto in molte città colpite dalla deindustrializzazione –
mentre una situazione economica buona, o percepita come tale5, può favorire
strategie più orientate in senso «sociale» (o solidarista, o cosmopolita).
5
La situazione economica di un’area urbana potrebbe essere «buona», «soddisfacente» o «negativa»,
stando ad una comparazione fra i suoi dati e quelli relativi ad altre città, ma ciò nonostante essere
percepita diversamente dagli attori locali. Ad esempio come sottoposta a nuove minacce, causate dal
profilarsi di altre città particolarmente competitive. In altri termini la percezione della situazione
economica ha aspetti «oggettivi», ma la sua traduzione in input per l’agenda politica si configura
facilmente come un processo di «costruzione sociale».
CITTALIA – ANCI RICERCHE
12
Le priorità delle città
Fattori geo-politici
La ricerca più recente fra le due principalmente richiamate ha messo in luce il ruolo
esercitato anche da altri fattori nel determinare il tipo di strategia internazionale
prevalente nelle agende politiche urbane.
Un primo fattore, riconducibile a una dimensione geopolitica, riguarda la posizione
di un’area urbana all’interno dell’arena mondiale o in arene regionali o subregionali. L’UE come struttura di opportunità (esserne o non esserne parte, e da
quanto tempo) è ovviamente un fattore discriminante. Tuttavia, anche l’immagine
politica ed economica che una città offre di sé sul piano internazionale svolge un
ruolo e può aiutare a spiegare il motivo per il quale gli obiettivi economici e politici
delle strategie internazionali di città adottano un orizzonte geografico o un altro
(per rimanere in Europa: i Balcani, l’Est ex-sovietico, il Mediterraneo e il Mediooriente, la «blue banana» economica della parte centro-nord-occidentale del
continente).
Società urbana e «urban regimes»
Un secondo fattore rinvia alla specifica natura della società urbana. Le città sono
ovviamente diverse fra loro in termini sociali e culturali e i valori prevalenti possono
essere caratterizzati da un orientamento «materialista versus non-materialista»
[Savitch e Kantor 2002]. Laddove pace, giustizia sociale o solidarietà sono
considerati importanti – e se ve ne sono le condizioni «strutturali», a partire dallo
stato dell’economia – tende a prevalere una strategia internazionale orientata in
senso «sociale» (o, per alcuni aspetti, anche in senso «politico»), ma una cultura
locale di questo tipo deve essere canalizzata attraverso organizzazioni della società
civile, o gruppi sociali dotati di efficaci connessioni con la leadership politica urbana.
Il tipo di urban regime [DiGaetano e Klemanski 1999] che caratterizza una città è il
risultato di una coalizione fra alcuni segmenti della società civile, che si può
esprimere nelle elezioni comunali e/o attraverso l’agire di movimenti sociali, e la
classe politica municipale. I sistemi di governo fondati sull’alternanza politica sono
particolarmente propizi per la formazione e il cristallizzarsi di queste coalizioni.
E’ proprio il modo in cui le reti della società civile in una città sono connesse da un
lato con il potere politico locale e dall’altro con reti sociali transnazionali, più che i
valori in sé presenti nella città, ad influenzare l’orientamento di una strategia
internazionale. Dato che le società urbane sono di fatto caratterizzate da rivalità e
tensioni fra gruppi sociali, specialmente intorno ai valori di cui ciascuno di essi è
portatore, le autorità pubbliche locali si trovano spesso nella posizione di arbitri fra
attori, interessi e visioni contrapposti che originano nella società urbana.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
13
Le priorità delle città
Il tipo di coalizione che esiste fra determinati segmenti della società urbana e le
autorità politiche locali spiega quindi almeno in parte l’orientamento delle strategie
internazionali delle città. Questo sarà di tipo «sociale» se più generalmente nella
produzione delle politiche urbane valori di tipo non-materialista prevalgono sulle
preoccupazioni di tipo economico tipiche di una cultura pro-growth. In caso
contrario sarà di tipo «economico». Le relazioni fra attori politici e sociali sono però
instabili nel tempo e possono cambiare, in primo luogo a causa delle condizioni
economiche all’interno delle quali operano le città e i loro governi. Quando queste
condizioni si deteriorano, in particolare, le coalizioni «progressiste» possono essere
messe in discussione [Jouve 2007].
Leadership e politica locale
Due elementi nel sistema politico locale esercitano un impatto sulle strategie
internazionali delle città: da un lato l’esistenza o meno di una forte leadership
politica e le caratteristiche che la stessa assume; dall’altro il tipo di coalizione
politica al governo.
La presenza di una forte leadership politica costituisce una condizione per
l’esistenza stessa di una forte strategia internazionale, dato che tende a svolgere un
ruolo di catalizzatore delle molte spinte e attività internazionali poste in essere da
diversi attori all’interno della città, fornendo non solo un coordinamento operativo
fra le attività, ma anche finalità, immagini e valori condivisi. In questi casi nella
città si forma una sorta di «ombrello» per l’azione internazionale, una cornice
strategica all’interno della quale molte attività, anche diverse fra loro, possono
avere una minima coerenza [d’Albergo e Lefèvre 2007].
Ciò si verifica nei casi in cui la leadership politica urbana è forte sul piano
istituzionale e unita politicamente [Martins e Rodriguez 2007]. In città nelle quali la
leadership politica è debole e frammentata non vi sono forti strategie internazionali.
Anche l’orientamento di una strategia internazionale dipenderà dai valori di cui è
portatrice la leadership politica della città, da identificarsi non solo nel sindaco, ma
anche nella coalizione politica al governo. Importanti sono anche, come si è visto, i
rapporti privilegiati fra queste elites politiche e settori diversi e spesso contrapposti
– interessi economici versus società civile orientata ai beni comuni – della società
urbana.
5. Le relazioni interistituzionali e la ridefinizione del ruolo statale
Oltre ai fattori considerati nel precedente paragrafo, molto importante è il ruolo
svolto dalle relazioni interistituzionali (o intergovernative), ossia dai rapporti
orizzontali e verticali fra le unità e i livelli di governo che esercitano la propria
CITTALIA – ANCI RICERCHE
14
Le priorità delle città
autorità su una determinata area urbana, a partire dallo stato nazionale e dalle
regioni, rapporti che possono essere cooperativi, ma anche conflittuali [Sebastiani
2007]. Come si è visto si tratta di una fonte di risorse «driving», che riducono o
favoriscono la possibilità per gli attori dei governi locali di perseguire proprie
strategie. Ovviamente, è importante il grado di centralizzazione o di decentramento
istituzionale di un Paese. E’ nei casi in cui una strategia (specialmente economica)
richiede un ammontare significativo di risorse che gli attori locali non possono
fornire per proprio conto o attraverso partnership pubblico-privato (ad esempio,
quelle
necessarie
per
grandi
infrastrutture),
che
la
natura
delle
relazioni
interistituzionali (buone o cattive, conflittuali o cooperative, centralizzate o
decentrate) svolge un ruolo più importante.
Per la agency internazionale delle città europee il prendere forma di un sistema di
governance multilivello continentale e l’avvio di una seppur debole politica urbana
dell’UE costituiscono, come detto, un riferimento fondamentale per strategie di tipo
sia download, che upload e un incentivo a coalizzarsi attraverso reti e associazioni,
grandi e piccole. Tuttavia, il ruolo degli stati nazionali rimane ancora molto
importante. DA un lato, infatti, è vero che uno dei motivi per i quali le città e le
regioni hanno adottato politiche più interventiste è da ricercare nel ritirarsi degli
stati nazionali dallo svolgimento di alcune funzioni chiave nel campo dell’economia.
Specialmente nel periodo e nei paesi in cui un orientamento neo-liberista delle
politiche statali è stato attuato più radicalmente, le politiche urbane – e la loro
proiezione internazionale – favorite dal decentramento di poteri, hanno compensato
il ritiro degli stati di fronte
alla necessità di gestire le crisi locali indotte dal
confronto con i mercati globali [Brenner 1999]. Tuttavia, se negli anni ‘90 godeva di
buon credito l’ipotesi circa un irreversibile destino di svuotamento degli stati
nazionali e l’irrilevanza o l’obsolescenza dei confini nazionali [Ohmae 1995], oggi si
tende a sottolineare come all’interno dei nuovi regimi di governance transnazionali
in formazione il ruolo degli stati nazionali nel formulare, coordinare e implementare
iniziative di politica urbana non riduca la sua importanza, anche se deve essere
condiviso con altri luoghi e attori che producono regole, risorse e strategie per le
città. Si modificano, quindi, le modalità con le quali viene esercitato [Brenner 2004;
Weiss 2005]. Anche se il livello nazionale potrebbe apparire uno spazio economico
che riduce la sua importanza, come spazio politico rimane centrale nell’orchestrare
e dirigere lo stesso rescaling delle funzioni pubbliche nelle aree urbane (Jonas e
Ward 2001, 21). Peraltro, come ricordano i sostenitori della tesi delle «varietà di
capitalismo» [Amable 2003], molte competenze molto importanti nel disegnare le
traiettorie dello sviluppo urbano – regolative, fiscali, etc. – sono ancora in capo agli
stati-nazionali.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
15
Le priorità delle città
Le iniziative internazionali delle città possono dunque difficilmente prescindere dal
supporto dei governi centrali. In Italia, ad esempio, le grandi città non possono
ancora aprire uffici a Bruxelles e magari si coalizzano con le regioni, ma i sindaci di
città come Roma e Milano usufruiscono di un supporto di competenze diplomatiche
offerto dal Ministero degli affari esteri. O ancora, la realizzazione di grandi
infrastrutture per l’attrattività urbana o di grandi eventi internazionali non è
pensabile in assenza di investimenti statali.
Le situazioni però possono essere molto diverse da Paese a Paese, e questo aspetto
merita un approfondimento, che l’analisi comparativa può permettere. Per questo
ha interesse l’agenda di ricerca6 promossa da Cittalia e finalizzata a mettere a fuoco
analogie e differenze che caratterizzano strategie, strumenti e configurazioni
istituzionali attraverso i quali città e stati danno risposte alle sfide e alle opportunità
globali ed europee. L’obiettivo è quello di mettere in luce sia l’esistenza di «stili»
nazionali di politiche per le città degli stati europei, sia i margini di lesson-drawing
esistenti per i diversi attori delle politiche urbane in Italia.
Molti fattori hanno un’importanza specifica anche per quanto riguarda la dimensione
internazionale nelle agende politiche urbane. Si pensi ad aspetti come: l’esistenza
di un’agenda nazionale di politiche per le città integrata, oppure frammentata in
rivoli
di
interventi
non
coordinati;
l’esistenza
o
meno
di
arene
politiche
istituzionalizzate su scala nazionale e inclusive, all’interno delle quali le questioni
urbane sono oggetto di confronto e cooperazione fra autorità di diverso livello; il
frame cognitivo, le risorse attivate e l’orientamento strategico (ad esempio,
orientato alla crescita o alla coesione sociale, selettivo a favore di aree urbane
competitive o distributivo) che caratterizzano diverse politiche urbane nazionali.
Tutti questi fattori disegnano per le città scenari potenzialmente alternativi. Gli
stessi hanno ovviamente importanza in generale, per l’insieme delle politiche e delle
agende politiche urbane. Tuttavia, hanno un rilevo specifico anche nel definire le
condizioni nelle quali le città possono agire in modo produttivo nei nuovi scenari
economici e politici della governance transnazionale.
Quanto si tratti di competere o cooperare, scegliere obiettivi orientati alla crescita,
alla coesione, alla solidarietà o all’affermazione del ruolo delle città nella
governance transnazionale, etc. dipenderà dalle strategie specifiche che ciascuna
città preferisce o riesce ad adottare. In questo contributo si è cercato di mettere in
evidenza quanto e perché tali strategie – e di conseguenza il modo in cui la
dimensione internazionale influenza e contraddistingue la natura delle agende
politiche urbane – possano essere differenziate. Da quanto si è sinora sostenuto
6
Studio comparativo su «Le politiche urbane nell’agenda nazionale» (2007-08).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
16
Le priorità delle città
dovrebbe risultare chiaro che una strategia internazionale non è di per sé migliore
di altre. Ciò che conta è la sua appropriatezza per ciascuna città che, insieme
probabilmente alla sua efficacia, dipenderà dal modo in cui gli attori locali sono in
grado di interpretare la situazione, che ha sempre una natura sfaccettata e in cui,
soprattutto, rischi e opportunità, vincoli e margini di scelta autonoma sono sia
esogeni, sia endogeni a ogni contesto urbano.
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CITTALIA – ANCI RICERCHE
19
Le priorità delle città
TRASFORMAZIONI DELLA VITA URBANA NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA
Marco Cremaschi
La narrazione arida della città globale
Nella recente, grande, narrazione della globalizzazione, molti autorevoli studiosi
hanno insistito sugli aspetti cruciali della nuova organizzazione del mondo, tra i
quali si conta il superamento dello spazio geografico e dei luoghi. Questa
rappresentazione è parziale, e implica alcuni corollari che penalizzano le città e i
territori. In particolare, si può obiettare: a) la geografia e il territorio non si
dissolvono nello spazio dei flussi, al contrario acquistano nuovi e più selettivi ruoli;
b) sono disponibili più percorsi di quanto la nuova, egemonica narrazione della
competitività territoriale riesca a raccontare; c) la dimensione locale agisce almeno
in parte come una variabile indipendente, in particolare quando si traduce in azione
politico-strategica.
La globalizzazione di cui si parla è, in primo luogo, quella dello spazio finanziario -in
costante e incredibile movimento- che investe i territori imponendo loro di adattarsi
agli esiti delle decisioni presi nei centri della finanza mondiale. In questo narrazione
si pone l’accento sui flussi di merci, persone, risorse finanziarie e informazioni, e
sulla nuova ‘geografia’ immateriale che viene a crearsi nello spazio delle reti. Da
questo nuovo spazio (lo spazio dell’informazione, della finanza, di internet, ma
anche della divisione internazionale del lavoro, del turismo) le città e i territori
sarebbero pressoché esclusi: la frizione della distanza è annullata; il rilievo della
prossimità è abbattuto dalle tecnologie; la funzione di memoria collettiva è superata
dalla (apparentemente) universale accessibilità delle informazioni.
Questa rappresentazione incontra un vasto successo ed eco mediatico, e apre non
poche prospettive interessanti di ricerca. Per esempio, ne è evidente il riflesso sul
più importante documento di indirizzo della UE, la ‘strategia’ di Lisbona che punta a
fare dell’economia del vecchio continente il centro più innovativo e competitivo di
tutto il mondo. Innovazione e competitività sono infatti due dei temi con i quali le
città si devono confrontare.
A questo discorso si possono contrapporre alcune obiezioni. Non è vero, infatti, che
lo spazio dei flussi sia l’ultimo stadio dello sviluppo territoriale, e la città globale il
punto di arrivo delle dinamiche urbane. Anzi, se andiamo a guardare la letteratura
scientifica, troviamo una varietà di combinazioni tra lo spazio dei flussi -delle
informazioni, del capitale, delle tecnologie- e lo spazio dei luoghi, delle identità,
delle conoscenze locali, delle qualità. Studi di caso hanno analizzato i centri
CITTALIA – ANCI RICERCHE
21
Le priorità delle città
dell’economia globale, e hanno in parte corretto l’idea della preminenza della
società dei flussi.
Proviamo ad indicare tre correzioni:
-
la prima correzione, rivincita forse del senso comune, riguarda la resistenza dei
luoghi: anche nelle città globali, ha ricordato Saskia Sassen, le relazioni faccia a
faccia sono importanti, la socialità e la geografia non scompaiono, anzi
‘ancorano’ il business più critico alle città dove si concentrano i professionisti
rilevanti nei settori delicati, nonostante l'astrazione crescente della produzione.
Si forma così una nuova gerarchia nel network urbano, con alcune città dove si
concentrano le funzioni di comando, le città globali; altre che operano le
connessioni tra i diversi sistemi, le città gateway, e i diversi territori, le capitali
regionali.
-
una seconda correzione riguarda il senso del cambiamento. Le risorse mobili
(quelle tipiche della società dei flussi: denaro, ceti sociali mobili…) che atterrano
in un luogo, devono trovare un modo per relazionarsi con quelle immobili
(risorse, infrastrutture; ma non solo risorse materiali, spesso infatti anche le
persone sono stanziali) per valorizzarle. Chi svolge questo ruolo di cerniera? In
gran parte l’attore città, che non solo ospita, ma opera un ruolo attivo in queste
dinamiche economiche e territoriali.
-
infine, oltre ad attivare i nuovi intrecci tra flussi e luoghi, le città sono l'unico
punto nell'assetto organizzativo del capitalismo dei flussi dove si provi a
governarle. Perché? Perché gli stati sono piccoli e deboli alla scala globale, da un
parte; e perché, dall’altra, le ‘poste’ del gioco si rivelano solo alla scala locale
che rende manifesti profitti e perdite, e permette di valutare i trade-off tra e
nella struttura delle decisioni (cosa cioè sacrifichiamo di un valore all'altro: della
sostenibilità allo sviluppo, per esempio, o della coesione alla innovazione). La
capacità locale di combinare i fattori di sviluppo diventa uno degli elementi della
competitività territoriale.
La grande narrazione della città globale porta a insistere sulla competitività dei
luoghi rispetto a flussi di risorse svincolate dai vincoli locali. Letture più attente
problematizzano questa visione, e riaffermano il ruolo del territorio. Su questo
sfondo, si comprende l’autonomia e il ruolo specifico delle città.
Una retorica scomoda per le città italiane
La città ha avuto un posto importante nella storia, ma sempre un posto scomodo.
La retorica recente sulla centralità delle città nello sviluppo è ambivalente. E’ una
retorica positiva, che narra il successo di quelle città che hanno attraversato con
successo gli stadi successivi di un presunto modello di ‘renaissance’. Così facendo,
CITTALIA – ANCI RICERCHE
22
Le priorità delle città
però penalizza quelle città che non hanno compiuto l’intero percorso o che scontano
problemi e ritardi maggiori; tra queste molte città italiane e del Mediterraneo.
Si può affermare da questo punto di vista che la città è un oggetto teoricamente
insoddisfacente e conteso tra diverse discipline e saperi.
Per esempio, sia nella retorica europea che nelle stesse rivendicazioni delle città si
fa ricorso alternativamente ad uno dei due argomenti che seguono:da un lato, le
città sono presentate come il luogo dove si concentrano i problemi più gravi; al
tempo stesso, sono invocate come le levatrici dell’economia del vecchio continente.
Come è possibile questa duplicità? Per spiegarla occorre fare riferimento alla natura
ambivalente del discorso egemonico sul cambiamento urbano che si è affermato in
Europa negli ultimi decenni. Questo discorso è importante perché seleziona episodi,
riferimenti e iniziative che precostituiscono la tavolozza delle politiche urbane dei
paesi europei. Ma, per come è stato costruito, rappresenta un terreno insidioso e
poco conveniente per le città italiane e in generale del mediterraneo.
Il discorso prevalente sulle città racconta infatti come negli ultimi decenni si siano
susseguite delle diverse situazioni problematiche:
-
negli anni settanta
le città apparivano in una crisi insanabile, per la
delocalizzazione industriale e la diffusione residenziale;
-
negli anni ’80, l’epoca dei ‘grandi progetti’ ha dato una scossa a parti cruciali
delle città (soprattutto ad alcune grandi attrezzature o ad aree dimostrative ed
esemplari) e dimostrato, pur tra molte critiche, che qualcosa poteva essere
cambiato;
-
negli anni ’90, tutte le parti delle città sono state investite da processi di
ristrutturazione (molecolari o aggregati) del mercato fondiario e immobiliare,
che hanno completamente rinnovato il modo in cui le città guardano a se stesse
e alla trasformazione (è l’epoca dei Grandi eventi, ma anche della gentrification
e della crescita del turismo);
-
infine, nel periodo più recente, le città nel loro insieme, come sede di vita
associata e come infrastruttura, appaiono come il supporto delle componenti
centrali della nuova economia della conoscenza.
Molte osservazioni critiche potrebbero essere fatte a questo schema, che
ovviamente non indica elementi tra loro in alternativa e, soprattutto, non considera
tutte le variabile decisive. Ma se si accetta che questa sequenza riassuma
sufficientemente bene il ‘sentire’ prevalente nei confronti della città, si possono
considerare due rilevanti corollari:
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23
Le priorità delle città
-
il primo, è che la sequenza offerta tende a descrivere un progressivo
miglioramento delle condizioni di base della città, che riscopre prima le
attrezzature, poi gli spazi della vita quotidiana, infine una combinazione tra i due
che viene posta al centro della nuova economia politica della città;
-
il secondo corollario, è che questa sequenza racconta l’evoluzione di una classe
di città, in particolare di quelle che sono riuscite a percorrere - più o meno
nell’ordine - tutte le tappe del percorso; tende cioè a definire un modello
evolutivo a stadi. Questo modello è ben rappresentato da alcuni esempi che
hanno ‘catturato’ il discorso sulle città in Europa, tra i quali il ‘modello’ per
eccellenza è forse quello di Barcellona, generalizzato poi alle città del Nord
Europa.
Questo schema, va detto invece, mal si applica alle città del Mediterraneo e, in
particolare, del Mezzogiorno. Soprattutto perché ignora il ruolo che le singole
congiunture nazionali esercitano sulle possibilità di singole città di avviare processi
incrementali come quelli descritti. E inoltre perché non considera i ritardi, il peso del
dualismo, i
vincoli che il sistema
Paese pone all’agire degli
attori
città,
particolarmente pesanti nel nostro Paese. Bisogna dunque guardare con più
attenzione a cosa sono davvero le città italiane, ed evidenziare quale ruolo giocano
sulle economie regionali e la cultura locale.
La particolare distribuzione della città in Italia
Le città italiane sono diverse dalle tradizionali metropoli globali (non beneficiano e,
al tempo stesso, non soffrono dei problemi del relativo gigantismo di capitali come
Londra e Parigi); e invece soffrono dei tipici problemi del sistema paese.
I Paesi europei prevalentemente urbani sono organizzati alternativamente su due
configurazioni: a) una grande agglomerazione metropolitana (oltre ai casi già citati,
tutti i piccoli paesi) che concentra una quota oscillante tra il 30% e il 50% di tutti
gli indicatori rilevanti (abitanti, reddito, addetti, ricerca…); b) una densa rete di
città, geograficamente ben distribuita, che cumulativamente assume lo stesso peso
pur funzionando in maniera ‘policentrica’ (è il caso per esempio dell’Olanda e della
Germania).
L’Italia sfugge a questa classificazione perché non ha grandi metropoli primaziali,
né reti estese (salvo nella pianura padana centro orientale: la cosiddetta ‘città
infinita’); in compenso, però, la maggior parte del territorio, con la sola eccezione
delle aree montuose della Calabria, della Sardegna, delle regioni centrali ecc., si
trova a una modesta distanza dalla città capoluogo.
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24
Le priorità delle città
Quali sono invece i caratteri specifici delle città italiane? Se ne possono indicare
almeno quattro:
-
in primo luogo, si tratta di forme urbane e modelli insediativi differenziati; per
rileggere le aree urbane in Italia si possono utilizzare tre semplici criteri: la
soglia demografica fissata a 150 mila abitanti; il riferimento ad un’area
funzionale estesa oltre il comune capoluogo, fatta coincidere con i Sistemi locali
del lavoro che misurano gli spostamenti casa-lavoro; i caratteri qualitativi della
morfologia territoriale e della organizzazione conurbativa. L’Istat riconosce 76
SLL intorno alle maggiori città dove vivono oltre 32 milioni di persone; sono aree
di taglia, forma e modello insediativo molto differenti tra loro; alcune sono
contigue, in particolare intorno a Milano, Napoli, o sulla via Emilia, e possono
essere considerate come un’unica organizzazione urbana;
-
in secondo, le città sono in calo demografico, come peraltro l’Italia nel suo
insieme; soprattutto tendono ad allargarsi in ‘grandi’ agglomerati di minor
densità. Dal punto di vista demografico, le metropoli storiche del triangolo
industriale e le maggiori aree urbane storiche si trovano in una situazione di
omogenea decrescita, con la sola eccezione delle aree metropolitane delle
Prealpi e del Nord Est, le metropoli meridionali e dell’Emilia. Ma perdono
popolazione anche alcune città e aree urbane meridionali, in particolari Bari e
Taranto. I trend sono però molto differenziati tra i comuni presenti dentro le
diverse aree metropolitane. Tutti i comuni centrali sono infatti in diminuzione
demografica,
senza
eccezione.
Alcune
parti
delle
corone
metropolitane
registrano invece incrementi spettacolari;
-
inoltre, nei 76 SLL urbani sono presenti oltre 12 milioni di addetti. Le aree
urbane del Nord accolgono più addetti rispetto alla quota di residenti, le aree
urbane meridionali invece ne accolgono meno. Nell’intervallo censuario, gli
addetti
delle
aree
urbane
crescono
omogeneamente,
in
corrispondenza
all’incremento che si è registrato a livello nazionale nello scorso decennio.
L’aumento degli addetti è molto differenziato nelle aree metropolitane. In altre
parole, le città da un lato decentrano i residenti e accelerano il processo di
suburbanizzazione; dall’altro, incrementano il numero dei posti di lavoro, in
parte nelle aree centrali, in parte nelle corone periferiche. Tendono quindi a
riconcentrare gli addetti nel comune centrale, sia pur in posizione periferica; con
la naturale conseguenza dell’incremento consistente del pendolarismo interno;
-
infine, le nostre città sono aree produttive. Non è vero che l’industria sia sparita
dalla città. Tutte e due sono cambiate casomai. Le città del Nord Est, le uniche
che crescono, sono proprio quelle più manifatturiere. Le aree metropolitane del
Nord comprendono attività terziarie, manifatturiere e anche agricole; numerosi
CITTALIA – ANCI RICERCHE
25
Le priorità delle città
comuni urbani si specializzano in attività produttive. I comuni delle aree urbane
del mezzogiorno sono invece terziari, con qualche eccezione in Puglia.
Da queste premesse risulta una conclusione forse un po’ ovvia: caratteri e funzioni
delle città coincidono in gran parte con quelli del Paese nel suo insieme. Già il
Cattaneo sosteneva che l’identità locale italiana è definita dall’appartenenza alla
città capoluogo, non al contado né alla regione. Settori produttivi, funzioni
amministrative, rango e cultura sono suddivise tra città e province in modo meno
oppositivo che in altri paesi europei. I pregi della città sono i pregi delle sua
provincia. I limiti, però, sono quelli del Paese nel suo insieme.
Città competitive: la situazione italiana
Con questa particolare armatura urbana anche la capacità competitiva delle città
italiane va riconsiderata. I caratteri competitivi spesso indicati negli studi di altri
Paesi vanno rivisti alla luce delle specificità, del ruolo, della configurazione di
insieme della rete urbana italiana.
La Commissione Europea spera che crescita, innovatività, e consenso siano prodotti
prevalentemente in ambito urbano. L’opinione è condivisa da alcuni stati membri. Il
governo inglese, la Germania, la Svizzera, La Francia, ma anche l’Oecd, hanno
elaborato
documenti
di
indirizzi
sulle
politiche
urbane,
per
sostenere
la
competitività territoriale e le agglomerazioni produttive, temi ripresi in parte dal Mit
in Italia.
Di solito, queste affermazioni portano a concentrare gli investimenti sulle capitali
politiche ed economiche. Nel caso italiano, questa affermazione va ridimensionata
alla luce del ruolo diverso che le singole città svolgono nelle rispettive economie
regionali.
Da questi riferimenti, e in particolare dal lavoro del governo inglese, si possono
individuare alcune famiglie di obiettivi: la connettività (infrastrutture e reti sia
materiali che immateriali); la capacità umana; la qualificazione della forza lavoro;
l’innovazione; la qualità della vita o più in generale l’abitabilità di un territorio; e,
infine, la capacità strategica di mobilitare e implementare strategie di sviluppo a
lungo termine.
Le teorie economiche faticano –comprensibilmente- a porre un ordine di priorità tra
questi diversi elementi e, casomai, indicano delle preferenze condizionate da
comporre in una prospettiva temporale. E abbiamo già detto come l’Italia in
generale soffra di ritardi storici soprattutto per i primi di questi obiettivi, per la
connettività, la produttività, l’alta educazione ecc.
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26
Le priorità delle città
Sono limiti storici del sistema Paese al quale si è sempre supplito con l’attivazione
di risorse locali, spesso sacrificando la dimensioni più qualitative della abitabilità. In
molti casi, si potrebbe argomentare, il limite della competitività è raggiunto più per
la crisi di abitabilità dei sistemi urbani che non per la mancanza delle infrastrutture
–pur importanti- a sostegno della competitività. Ne sono un esempio l’inquinamento
e la mancanza di case a prezzi accettabili, due elementi di vita quotidiana che
influenzano
le
dinamiche
cruciali
del
prossimo
futuro:
l’invecchiamento
e
l’immigrazione.
Da questo punto di vista, sarebbe scorretto contrapporre investimenti e opere hard
(per esempio, direttamente funzionali al rafforzamento della accessibilità) a
iniziative soft dirette alla qualità e abitabilità di una regione urbana. Ma va anche
detto che queste seconde rientrano nella responsabilità diretta delle città, e
dovrebbero perciò costituire materia prima di intervento. Inoltre, le città sono
particolarmente vulnerabili ad alcuni aspetti della trasformazione socio demografica
dei prossimi.
La vulnerabilità sociale delle città
Alcuni aspetti della transizione demografica e della evoluzione del sistema abitativo
agiscono in modo diretto sulle città, e costituiscono probabilmente una delle priorità
nel
prossimo
futuro.
Invecchiamento
della
popolazione,
concentrazione
dell’immigrazione, dispersione residenziale sono probabilmente le tre sfide più
urgenti.
Possono essere richiamate a questo proposito alcune delle questioni più importanti:
-
nelle previsioni fatte dall’Espon, l’osservatorio europeo del territorio, sono
previsti già per la fine del prossimo decennio effetti negativi del cambiamento
demografico sia sull’economia che sulla tenuta sociale. L'evoluzione demografica
limiterà gradualmente le possibilità di crescita dell'occupazione; l'invecchiamento
della popolazione limiterà il ricambio; la partecipazione delle donne e dei
lavoratori più anziani verrà sollecitata con nuove revisioni degli accordi di
welfare.
-
Nel quinquennio 1996-2001, due terzi delle città dell'Unione europea hanno
registrato una crescita della popolazione, mentre nel terzo rimanente è diminuita
(Audit urbano). Al contrario più dell’80% delle città italiane è in calo, tra cui
tutte le città con più di 250 mila abitanti), con la sola eccezione di città medie
(come Messina, Reggio Emilia, Prato, ecc.). Il saldo migratorio interno verso le
grandi città è negativo, mentre cresce il numero di stranieri che scelgono i grossi
centri.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
27
Le priorità delle città
-
Inoltre vi è stata una marcata tendenza alla suburbanizzazione: nel 90% degli
agglomerati urbani, la popolazione delle periferie è cresciuta più che al centro.
-
Attualmente, la divisione sociale interna alle città è probabilmente inferiore in
Italia rispetto all’Europa. Le misurazioni di questo fenomeno sono piuttosto
difficili, ma pur nelle evidenti disparità, le divisioni di reddito e di opportunità tra
quartieri ricchi e poveri di una stessa città sono inferiori a quelle che ancora
esistono tra regioni del Nord e del Sud. Ma non è detto che la questione sociale
urbana non debba peggiorare nel futuro prossimo.
-
Le città inoltre concentrano gli immigrati di cui la nostra economia ha
fortemente bisogno. Se si detrae il movimento di persone interno ai Paesi
dell'Unione (circa il 2%), la quota degli immigrati risulta pari al 6% per l'UE27, e
all'8% per l'UE15, quando negli USA è allo 11%. Il dato italiano –circa il 5% - è
appena superiore alla metà di quello europeo, ed è destinato a raddoppiare in
pochi anni. Già ora è superiore nella maggior parte delle città: la concentrazione
crea un evidente problema di accoglienza, ma in prospettiva anche delle
opportunità.
Due sono le principali conclusioni di questa riflessione.
La prima, è che il deficit di competitività delle città dipende molto da condizioni
aggregate che hanno a che fare con il sistema paese (educazione, tassazione,
partecipazione al lavoro, grandi infrastrutture ecc.) e che vanno affrontate a quel
livello.
La seconda, è che occorre rovesciare lo sguardo. Le città hanno già realizzato
investimenti esemplari che, se generalizzati, contribuiranno alla competitività
complessiva del paese: sull’ambiente urbano (riduzione dei consumi energetici e
dell’inquinamento, adeguamento dei trasporti pubblici); sulla qualità sociale
(l’integrazione degli immigrati, i diritti civili, la mobilità residenziale ecc.); sulla
attivazione di processi strategici locali. Tutti questi fattori della competitività
territoriale dipendono largamente dalla azione della città, e se messi a regime,
possono contribuire alla ripresa del sistema paese.
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28
Le priorità delle città
MOBILITÀ URBANA E METROPOLITANA:
STRATEGIE POSSIBILI E MITI DA SFATARE
Marco Ponti
1. Il problema del traffico e della mobilità in aree dense e “storiche” non è
sostanzialmente risolvibile. Il motivo è semplice: il modo di trasporto individuale
è un “bene superiore” rispetto al trasporto collettivo (è più confortevole e
flessibile nello spazio e nel tempo), e poiché l’offerta di strade urbane non è di
fatto espandibile oltre certe soglie, lo squilibrio tra domanda e offerta tende a
essere “strutturale” (più traffico si sposta sul mezzo pubblico, più se ne genera
sulle strade, fino ad un nuovo “equilibrio di congestione”, che comunque in
genere rappresenta un beneficio netto per la collettività, se si “mettono tra
parentesi” gli aspetti ambientali: prima si muovevano meno persone).
2. Tuttavia la forma della “curva di deflusso” del traffico stradale è di tipo
esponenziale: cioè i livelli di congestione (e di inquinamento, che peggiora
rapidamente con la congestione) aumentano rapidamente oltre certe soglie di
traffico. È allora sufficiente mantenere con misure adeguate un traffico
stabilmente poco al di sotto dell’attuale per ottenere benefici vistosi, molto più
che proporzionali alle quantità di traffico “espulso”. Occorre inoltre ricordare che
il traffico urbano genera problemi ambientali un pò meno drammatici di quanto
si pensi: il riscaldamento domestico vi contribuisce quasi altrettanto, e le
emissioni che più nuocciono alla salute (CO, SOX e NOX) sono diminuite nel
tempo grazie alle marmitte catalitiche. I particolati sono invece stabili, dopo
essere fortemente diminuiti, mentre il CO2 totale (non quello unitario) è in
moderata crescita, ma non nuoce alla salute.
La
tassazione
sulle
emissioni
dei
mezzi
stradali
tuttavia
“internalizza”
abbondantemente i costi ambientali (non quelli di congestione): a livello
internazionale infatti si discute se mettere una “carbon tax” di 30 o 50 o 100
dollari a tonnellata di CO2 emessa (e 100 dollari fanno strillare l’industria
tutta….), dimenticando che per tonnellata emessa i mezzi stradali in Europa ne
pagano circa 450.
3. I problemi di traffico e quelli ambientali legati al traffico, come si è detto, sono
determinati da esternalità, cioè da costi generati da altri (es. rallentamenti,
emissioni) ma non percepiti da chi li genera.
Ciò determina automaticamente l’impopolarità di qualsiasi politica che tenda a
comprimere il traffico privato.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
29
Le priorità delle città
Psicologicamente infatti l’automobilista si sente vittima della cattiva gestione del
problema traffico, non causa del problema (“beggar my neighbour”, in inglese).
Per di più, comprimere il traffico privato (e le soste abusive soprattutto),
colpisce direttamente gli interessi dei commercianti, alleati "storicamente" alla
vigilanza urbana. Le soste abusive costituiscono in realtà il nocciolo del
problema: se fossero realmente perseguite si avrebbe contemporaneamente una
riduzione dell’uso dell’auto privata a livelli “accettabili”, nel senso che si è sopra
specificato, e mezzi pubblici più veloci e frequenti grazie alla ridotta congestione
(e assai meno costosi per le casse pubbliche).
4. Ciò comporta che le politiche per il traffico dovrebbero essere presentate in
modo “asimmetrico”, con forte enfasi alle iniziative positive (es. tariffe dei taxi
abbassate, migliori trasporti pubblici e migliore viabilità, ecc.) mentre si
dovrebbe mantenere in sordina l'incremento della repressione delle infrazioni.
Tale incremento deve essere tuttavia di un ordine di grandezza rispetto ai livelli
attuali: la probabilità di essere sanzionato per un’infrazione deve raggiungere
livelli “statunitensi”, cioè dell’ordine del 50%, mentre attualmente è dell’ordine
di pochi punti percentuali, cioè tale da rendere economicamente conveniente
l’infrazione (l'aumento recente del numero delle contravvenzioni in città è
statisticamente
irrilevante,
infatti
non
ha
modificato
minimamente
i
comportamenti). A Milano per esempio si stima che vi siano almeno 100.000
infrazioni quotidiane alla sosta, mentre le sanzioni annue comminate sono
dell’ordine dei due milioni. Milano è stata definita dall’”Economist” la capitale
mondiale della sosta in doppia fila, e un periodo di inasprimento delle sanzioni,
sostenuto anche dal locale Automobil Club (!) ha determinato una durissima
reazione di alcuni partiti della maggioranza al governo della città, con
conseguente rapida ridiscesa delle sanzioni stesse, e ovvia recrudescenza dei
comportamenti irregolari, a riprova della natura strettamente ed esclusivamente
politica del problema. Vi sono cioè molte “lamentazioni” delle amministrazioni
locali che suonano del tutto ipocrite.
5. La strategia di base dovrebbe essere “a forcella” (modello che ha avuto pieno
successo per esempio a Singapore). Ogni inasprimento repressivo deve essere
affiancato (o meglio preceduto) da miglioramenti del sistema dei trasporti, sia
privati che collettivi, al fine di dare segnali che rendano accettabile la
repressione. La repressione stessa poi, come si è detto, aumenterà la velocità,
l’utenza e la redditività del trasporto pubblico, e svilupperà spontaneamente
forme di car-pooling (più persone usano la stessa auto per recarsi al lavoro),
car-sharing (auto in proprietà collettiva) ecc., cioè forme d’uso innovative del
CITTALIA – ANCI RICERCHE
30
Le priorità delle città
mezzo privato, che oggi hanno poco spazio (ovviamente conviene lasciare l’auto
individuale in sosta vietata).
6. Entrando in merito alle iniziative "positive", il rafforzamento radicale delle corsie
riservate presenta costi bassi e rapida realizzabilità, ma rischia di essere molto
inefficiente, se applicato come ora. Occorre l’estensione del loro uso, dato che se
rimangono confinate ai mezzi pubblici ed ai taxi sono fortemente sottoutilizzate,
come molte analisi dimostrano. Occorrerebbe dunque estenderne l’uso a: a) carpooling e veicoli con tre o più persone a bordo, b) auto con propulsione non
inquinante, e c) auto di lunghezza inferiore ai tre metri. Queste estensioni sono
indispensabili per utilizzare in modo efficiente una risorsa scarsissima come lo
spazio viario urbano. Richiede l’estensione dei controlli automatici (telecamere)
ma anche diretti (per car-pooling, ecc.). In una fase immediatamente successiva
si introdurrà una tariffa via telepass o "sticker" (adesivi da esporre all’esterno)
per l’uso delle corsie da parte di chiunque (in anticipazione o probabilmente in
alternativa al road-pricing generalizzato, cioè alle tariffe di ingresso nelle aree
urbane più dense, che a Londra sta funzionando nel complesso bene, ma che è
problematico da realizzare nelle realtà metropolitane o urbane del nostro
paese). Per rendere fluida la circolazione sulle corsie tuttavia è indispensabile
realizzare fermate “fuori asse” per i mezzi pubblici. Per le corsie riservate è
necessario infine prevedere interventi infrastrutturali negli svincoli più critici.
Infine si possono costruire in molte città tunnel automobilistici sotterranei, che
hanno avuto ottimo successo a Marsiglia, a Oslo e a Boston. Se ben progettate,
tali opere presentano tre vantaggi clamorosi (e poco noti): a) si pagano da sé, al
contrario delle metropolitane; b) le emissioni in sotterraneo sono molto
facilmente abbattibili con filtri (al contrario di quelle in superfice); c) la
tariffazione dei flussi consente di modulare il traffico che usa l’infrastruttura,
divenendo di fatto uno strumento di regolazione della congestione.
7. Occorrerebbe aumentare il numero di taxi e diminuirne le assurde tariffe. I due
fenomeni sono strettamente correlati: alte tariffe generano ridotta utenza, in
una spirale perversa, propria del monopolio. Si può pensare anche a sussidiare i
taxi in modo “soft”, per esempio con la fornitura di veicoli non inquinanti. Ma
soprattutto occorre creare sistemi all’inglese, di concorrenza vera da parte di
autonoleggiatori chiamabili solo per telefono. Non ci si può illudere comunque
che la rottura del monopolio e l’abbattimento delle tariffe sia privo di costi
iniziali. Un’alternativa di taxi, individuali e/o collettivi ad abbonamento, a costi
più contenuti degli attuali, consentirebbe di togliere al mezzo privato una quota
di utenti a reddito medio-alto (cfr.il caso di New York, dove cresce la
popolazione “affluente” priva di automobile individuale). L’insuccesso della
CITTALIA – ANCI RICERCHE
31
Le priorità delle città
timidissima riforma Bersani ha tuttavia messo in luce come ogni forma di
monopolio sia protetta a livello locale (a danno dei cittadini). La rilevanza del
settore può essere dedotta dal fatturato, che in una città come Milano è dello
stesso ordine di quello dell’ATM (l’azienda di trasporto pubblico cittadino).
8. In parallelo alla repressione, è urgentissimo intervenire con una diversa qualità
dell’”arredo urbano” per il traffico, con aree di sosta ben definite (a volte anche
sui marciapiedi se indispensabile e realistico per ragioni di consenso), corsie di
traffico delimitate in modo preciso (“alla svizzera”), con sanzioni certe e
tempestive per chi non le rispetta. Tale ultimo intervento in particolare può
portare su moltissimi assi stradali ad un raddoppio della capacità attuale.
Paradossalmente, su alcuni tronchi stradali in zone non prossime ai semafori può
essere consentita una breve sosta in doppia fila, la cui brevità sia garantita
dall’obbligo delle frecce lampeggianti e dei fari accesi.
9. Ancora in parallelo alla repressione generalizzata e certa della sosta vietata, è
necessario sviluppare la strategia del “park pricing”, esteso a tutta la città e ai
residenti.
Tale
strategia
deve
però
essere
selettiva,
ed
esattamente
corrispondente a quella suggerita per le corsie riservate, cioè distinguere per
tipo di veicolo (con diversi “gratta e sosta”). Veicoli corti e non inquinanti
(“Smart elettriche”, per intenderci) non dovrebbero pagare nulla, mentre le
berline di 5 metri a combustione interna dovrebbero pagare moltissimo. (Si
ricorda anzi che occorrerebbe al più presto intervenire anche incoraggiando la
sostituzione
delle
marmitte
catalitiche
vecchie,
che
sembra
perdano
rapidamente efficacia ambientale con il tempo).
I ricavi del “park pricing” possono essere utilizzati per abbattere le tariffe dei
taxi, ed anche quelle dei trasporti pubblici se utile per ragioni di consenso (infatti
si tratta di una operazione più che altro di immagine, dati i bassissimi livelli
attuali delle tariffe, se confrontati con quelli di altri paesi europei).
10.Vi è un’opinione diffusa, fatta circolare dagli interessi colpiti, che l’apertura alla
concorrenza del trasporto pubblico andrebbe a scapito della socialità del servizio.
E’ vero il contrario, nel modello di concorrenza scelto dall’Italia, che si
limiterebbe, se applicato, a mettere in gara servizi le cui caratteristiche e le cui
tariffe sarebbero sempre decise e controllate dall’amministrazione pubblica. (Si
chiama concorrenza “per il mercato”, contrapposta alla concorrenza piena, cioè
“nel mercato”). Infatti servizi in gara costerebbero di meno alle amministrazioni,
e quindi a parità di risorse pubbliche vi potrebbero essere più servizi o tariffe
inferiori. Dunque la messa in gara delle aziende di trasporto pubblico, osteggiata
inspiegabilmente dal passato governo “liberale” (e perseguita molto debolmente
CITTALIA – ANCI RICERCHE
32
Le priorità delle città
da quello attuale), nonostante le capacità di lobbying delle imprese monopoliste
e degli interessi a queste legati, deve essere perseguita con convinzione, con
lotti di gara piccoli per favorire l’ingresso di nuovi operatori senza troppi rischi
per le amministrazioni. Occorre soprattutto “normalizzare” il mercato del lavoro
nel settore, distorto da decenni di un uso clientelare delle assunzioni: si noti
infatti che qui, al contrario degli altri paesi europei, non vi sono extracomunitari
(non votano……). Tale “normalizzazione” va perseguita istituendo un apposito
“fondo sociale” per tutelare temporaneamente gli eventuali addetti espulsi (la
produttività del settore è molto bassa, ed è illusorio pensare a riforme senza
costi, come si è detto). L’attuale tendenza a ricorrere a una “clausola sociale”
come in generale si propone per garantire lo status quo agli addetti, cioè per
perpetuare le anomalie attuali, significa negare nei fatti ogni possibilità di vera
riforma del settore. I risparmi ottenibili da gare vere possono essere usati,
insieme agli aumenti di efficienza ottenibili dai provvedimenti sopra descritti, per
generare risorse per la mobilità complessiva. Occorre ricordare in particolare
che, fatto 100 il costo di esercizio di un servizio di trasporto pubblico in Italia, è
di 48 quello in Inghilterra, che certo ha visto intensi fenomeni di liberalizzazione,
ma è di 78 in Francia, paese che protegge il lavoro non meno che l’Italia. Cioè,
anche portando i costi solo a livello di quelli francesi, si potrebbe erogare il 22%
di servizi in più, o, a parità di sussidi, si potrebbero ridurre drasticamente le
tariffe, e, nel mezzogiorno, si potrebbe addirittura azzerarle senza difficoltà. Uno
“scandalo” particolarmente intollerabile infine è quello connesso alle gare che
sono state fatte (un centinaio circa) in cui il bando, i segnali politici delle
amministrazioni che lo emanavano, e la cartellizzazione del settore, hanno fatto
sì che solo in un caso (Genova) abbia vinto un concorrente dell’azienda
incumbent (cioè preesistente). Era più onesto dichiarare pubblicamente che si
intendeva proteggere il monopolio piuttosto che i cittadini….ma su questa
inqualificabile vicenda sta indagando finalmente l’Antitust.
11. Per quanto concerne infine investimenti specifici per il trasporto pubblico, nuove
linee metropolitane sono giustificabili solo in presenza di strategie urbanistiche
tali da garantirne il pieno utilizzo (si tratta di opere estremamente costose).
Occorrerebbe cioè una politica di altissime densità (“grattacieli”). Per esempio, la
linea
3
milanese
è
da
anni
sostanzialmente
sottoutilizzata.
A
scala
metropolitana, è più urgente e meno oneroso potenziare e migliorare le linee su
ferro esistenti, consentendo elevate densità alle stazioni per massimizzarne
l’uso. Anche l’attuale “moda” delle linee tranviarie non trova giustificazione
tecnico-economica: linee in corsia riservata di autobus ecologici consentono
maggior flessibilità nel tempo e nello spazio, costi nettamente inferiori, e
CITTALIA – ANCI RICERCHE
33
Le priorità delle città
possono evitare fastidiose “rotture di carico” (cioè cambio di mezzo), servendo
direttamente la domanda nelle aree meno dense (senza più la necessità di corsie
riservate).
12.Tornando
ad
considerazioni
un’ottica
metropolitana,
strategiche
rilevanti,
occorre
e
tuttavia
scarsamente
avanzare
considerate.
alcune
L’attuale
tendenza a investire moltissimo in servizi pubblici, per investimenti ed esercizio,
necessariamente centripeti (gli spostamenti non centripeti non sono in generale
servibili da mezzi collettivi) generano fenomeni di rendita molto consistenti, sia
nelle aree centrali che in quelle esterne servite. Il risultato sociale è che si
sussidia la rendita e i pendolari dei settori a più alto reddito che lavorano in
centro, mentre le categorie operaie, che risiedono e lavorano in aree esterne,
sono costrette a servirsi del mezzo privato (cfr. le statistiche sulla mobilità),
sussidiando di fatto, con le altissime imposte sui carburanti, categorie a reddito
più elevato. Tale fenomeno è stato recentemente discusso e anche in una tavola
rotonda dell’OCDE, in cui è stato presentato il caso di Parigi, oltre a quello
milanese).
13.CONCLUSIONI PROVVISORIE:
I due problemi strutturali che sembrano attraversare tutta la vasta casistica qui
presentata
sembrano
riconducibili
a
due categorie logiche proprie degli
economisti: i fenomeni di “cattura”, e quelli di “finanza derivata”.
Per “cattura” si intende il prevalere di obiettivi egoistici di breve termine
(“hidden agendas”) dei decisori politici locali (rielezione, relazioni improprie con
gli interessi costituiti ecc.) rispetto ad obiettivi più strategici riconducibili
all’interesse generale.
Per “finanza derivata” si intende l’irresponsabilità rispetto all’uso delle risorse di
provenienza da livelli superiori dello stato (amministrazione centrale, regioni).
Risorse che sono percepite come da massimizzare comunque, non percependone
alcun costo-opportunità (“perché disciplinare il traffico perdendo consenso, se
posso ottenere fondi per una metropolitana, anche se di molto dubbia utilità?”).
Una delle soluzioni possibili è quella delle “tasse di scopo”, proprie del modello
amministrativo
nordamericano,
l’altra
è
quella
del
decentramento
“non-
earmarked” dei fondi delle amministrazioni centrali, in modo da consentire un
dibattito esplicito su come impegnarli.
Ma
sono
considerazioni
che
certo
approfondimento.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
34
richiedono
ben
diversi
livelli
di
Le priorità delle città
I PROCESSI PARTECIPATIVI NELLA COSTRUZIONE DELLE
POLITICHE URBANE
Chiara Sebastiani
1.
La “svolta partecipativa” degli anni Novanta.
La partecipazione dei cittadini alla costruzione delle politiche pubbliche e la loro
inclusione nei processi decisionali è oggi un tema – e una retorica – dominante nel
discorso pubblico e in quello politico. Il discorso della partecipazione presenta due
caratteristiche: a) la sua introduzione è tanto recente quanto caratterizzata da
rapido successo; b) esso riguarda prevalentemente le politiche locali e soprattutto
le politiche urbane, vale a dire le politiche messe in atto dalle città per le città. Un
esame della letteratura in materia indica abbastanza chiaramente che questa svolta
si colloca agli inizi degli anni Novanta, vale a dire in concomitanza con i processi di
riforma del governo locale e quelli di unificazione europea1. Decentramento e
riforma del governo locale riguardano in qualche misura tutti i paesi europei, e tutte
le città europee hanno visto importanti trasformazioni delle loro politiche nel nuovo
contesto dello spazio europeo unificato (trattato di Maastricht, entrata in vigore
degli accordi di Schengen) e anche, in termini più generali, nel nuovo contesto della
globalizzazione. Vi sono poi delle specificità italiane che vanno anch’esse collegate
all’emergere di quelle nuove istanze partecipative a cui di solito si allude quando si
parla di “democrazia diretta”, “democrazia deliberativa”, “percorsi partecipativi”,
“processi inclusivi” o simili. Si tratta della crisi delle istituzioni e di quella dei partiti,
che a partire dalle vicende di Tangentopoli e dalla caduta del muro di Berlino,
portano al passaggio dalla prima alla seconda repubblica e alla dissoluzione dei
grandi partiti di massa (Dc e Pci). Pur trattandosi di vicende di portata nazionale e
internazionale, esse hanno contribuito in maniera decisiva a dare forma nuova al
processo politico locale.
Sono allora comparse espressioni come quelle di “federalismo dei comuni”
(Manzella) o “repubblica delle città” (Bassolino) per descrivere sia il rinnovamento
delle istituzioni sia il ruolo delle città come “soggetto politico” e non solo “oggetto di
politiche pubbliche” (LeGalès). E’ stata evocata la “città-stato” e si è parlato di
1
Un libro come quello di Ham e Hill (1984) tradotto in italiano a metà degli anni Ottanta quando
mancava ancora nel nostro paese una letteratura consistente sulle politiche pubbliche si occupa tutt’al
più di esclusione dai processi decisionali, e non di partecipazione ai medesimi. Dieci anni più tardi, un
libro di Luigi Bobbio (1996) sottolinea come il problema della costruzione del consenso tramite
procedure di partecipazione ai processi decisionali politico-amministrativi fatichi ancora ad affermarsi.
Ma dalla fine del decennio e agli albori del secondo millennio è tutto un fiorire di letteratura sulla
partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche (Sclavi, Bosetti, ecc.), tanto di produzione italiana
quanto di traduzioni di opere meno recenti prodotte nei paesi anglosassoni.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
35
Le priorità delle città
“modello anseatico” (Pichierri) per indicare il nuovo protagonismo politico delle
città, non soltanto luoghi e nodi fondamentali dei processi economico-sociali e delle
dinamiche del mutamento politico e culturale ma attori in prima persona di questi
processi, in grado di determinare esse stesse gli indirizzi del mutamento. E si è
incominciato ad analizzare in termini nuovi il modo in cui esse svolgono questa
azione: non soltanto, cioè, tramite le loro istituzioni politico-amministrative di
rappresentanza e di governo – le cui architetture, nonostante gli importanti processi
di riforma del governo locale, appaiono sempre troppo strette o troppo in ritardo
rispetto ai processi che debbono governare – ma tramite reti di attori pubblici e
privati che mettono in atto una grande varietà di azioni ed interazioni. L’attenzione
al protagonismo politico ha portato alla concettualizzazione delle città come “attori
collettivi”, quella ai modi concreti e in particolare a quelli nuovi di governare ha
portato all’introduzione, con grande successo, del termine anglo-sassone di
governance.
Tanto l’idea della città come attore collettivo, quanto il concetto di governance nella
sua accezione più marcatamente normativa (cioè come sinonimo di “buon governo”
piuttosto che di azione – concreta – del governare2) hanno alimentato un ampio
dibattito critico. Della rappresentazione delle città come attori collettivi si è
sottolineata la duplice debolezza o ambiguità (Caillosse, LeGalès). Da un lato le
città sono deboli sul piano delle definizioni giuridiche e delle competenze e dei
poteri formali: il concetto di città, sia dal punto di vista del territorio, sia dal punto
di vista dei poteri, non trova propriamente nessuna istituzione giuridica che le
corrisponda. Gli sforzi volti a garantire una migliore corrispondenza tra la città
“reale” e la città “legale”, tramite processi di accorpamento, scissione, o
instaurazione di nuovi livelli di governo come la città metropolitana, da un lato
incontrano resistenze dall’altro si trovano necessariamente a rincorrere sul piano
giuridico e politico una realtà che è sempre più avanti delle istituzioni che vogliono
rappresentarla. Dall’altro la rappresentazione dell’attore collettivo rischia di non
tener conto della pluralità di istanze ed interessi conflittuali che compongono il
tessuto socio-economico urbano. Quelli che LeGalès chiama i grandi “miti
mobilitatori” dell’interesse collettivo e della comune identità si scontrano con le
difficoltà concrete del “governare la frammentazione” nonché, più recentemente e
più pericolosamente, con il potenziale disgregativo di certe derive identitarie
xenofobe e razziste. Così pure all’iniziale entusiasmo per la governance come
ricetta per il buon governo ha fatto presto riscontro una varietà di critiche (Vicari
2
Questa accezione è stata accentuata nella recezione ccontinentale del termine anglo-sassone. Mentre
nel contesto internazionale influenzato dai frames anglo-sassoni si specifica cosa debba intendersi per
“good governance” in Italia la “governance” di carcia di un implicito contenuto valoriale positivo.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
36
Le priorità delle città
Haddock). Tra queste il fatto che quelli che vengono chiamati “processi di
governance” spesso ricalcano le forme consolidate della concertazione, che talvolta
si distinguono poco da accordi tra attori forti, che sottraggono il processo
decisionale alle garanzie offerte dalla pubblicità e dalle istituzioni rappresentative
quando
addirittura
non
si
riducono
a
modelli
comunicativi
finalizzati
alla
legittimazione di decisioni concertate.
Così l’emergere di nuove istanze partecipative si manifesta in qualche misura come
un fattore di contropeso e riequilibrio a quelle che sono percepite come le criticità
del nuovo modo di fare le politiche urbane. La “partecipazione dei cittadini ai
processi decisionali” risponderebbe infatti alle seguenti finalità:
a)
garantire una migliore presa in conto del territorio di quella fornita dalle
architetture
politico-amministrative
istituzionali,
con
l’individuazione,
a
seconda delle issues, del territorio di riferimento – o “comunità di vicinato” –
interessato;3
b)
garantire una presenza nel processo decisionale a quelle reti e comunità
deterritorializzate che sempre più caratterizzano il tessuto relazionale urbano;
c)
riconoscere
la
frammentazione
degli
interessi
e
delle
appartenenze
predisponendo uno spazio ad hoc per la mediazione dei conflitti e la
“facilitazione” dell’accordo;
d)
includere gli attori meno favoriti e favorire l’emergere di istanze e punti di vista
troppo deboli per affermarsi nella sfera pubblica;
e)
integrare l’azione delle istituzioni rappresentative con l’apporto di voci e
contenuti che servano a colmare il distacco tra società politica e società civile;
f)
mobilitare risorse diverse da quelle a cui gli attori istituzionali di solito si
rivolgono (economiche in primis) e valorizzare la presenza diffusa di altre
risorse e competenze (capitale sociale, conoscenza del territorio, volontariato).
In che misura le forme di partecipazione alle politiche urbane oggi poste in essere
tanto in virtù di dispositivi istituzionali quanto a seguito di sperimentazione di forme
innovative rispondono a queste finalità?
Per cercare non tanto di dare risposte certe quanto di individuare alcune tendenze
esamineremo dapprima le grandi tipologie a cui si possono ricondurre le politiche
urbane (par. 2), poi le modalità di applicazione di alcuni modelli diffusi e
sperimentali di partecipazione (par. 3), infine alcuni aspetti discorsivi e comunicativi
delle politiche partecipative (par. 4).
3
Venendo incontro a quelle teorie che vedono oggi nel territorio non un luogo geografico dato ma un
costrutto sociale (cfr. Amin e Thrift).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
37
Le priorità delle città
2.
Trasformazione e diversificazione delle politiche locali.
Tradizionalmente le politiche locali si potevano ricondurre alle due grandi categorie
di politiche di assetto del territorio e politiche di welfare (Dente). In essa si
iscrivono, con maggiore o minore estensione, le competenze tradizionali degli enti
locali nella maggioranza dei paesi europei. Tuttavia si conviene ormai che a questi
due ambiti ne vada aggiunto un terzo, quello delle politiche per lo sviluppo (Brugué
e Gomà 1998, cit. in Bobbio 2002). In realtà, come ho cercato di mostrare altrove
(Sebastiani 2007), è assai più ampia la categoria di nuove politiche urbane che
derivano dal trasferimento di compiti e funzioni dallo stato ai governi locali, o
addirittura dall’ “appropriazione” di funzioni dello stato da parte dei governi locali.
Vi rientrano quelle che ormai vengono chiamate le “politiche estere” delle città, le
politiche della sicurezza, le politiche di coesione sociale. La stessa categoria di
politiche per lo sviluppo si presta ad usi diversi, uno più restrittivo che assegna a
questa categoria fondamentalmente le politiche economiche, uno più ampio che fa
riferimento ad una pluralità di dimensioni dello sviluppo: sociale, culturale, politico,
relazionale
(Sordini
2006).
E
ancora,
la
promozione
della
coesione,
della
conoscenza, della partecipazione possono essere considerate dimensioni intrinseche
dello sviluppo o, secondo altri approcci, fattori di vantaggio competitivo ai fini dello
sviluppo economico.
Sul piano empirico, tuttavia, ovvero sulla base dell’osservazione dei processi
concreti di definizione e implementazione delle politiche urbane, pare essersi
consolidato un approccio sostanzialmente dicotomico che distingue tra politiche di
sviluppo e politiche di welfare, ricomprendendo nelle prime buona parte delle
politiche di assetto del territorio, delle infrastrutture, della mobilità ma sempre più
anche politiche che chiameremmo culturali, includendo nelle seconde i “servizi”, in
particolare quelli per l’infanzia, i giovani, gli anziani, le persone disabili o non
autosufficienti (cioè l’ampia categoria di “cura delle persone dipendenti”), in
condizione di fragilità o marginalità sociale. A questa seconda categoria – che in
senso ampio viene definita delle politiche sociali – sono state assegnate d’ufficio le
politiche per gli immigrati4 e vi rientrano altresì, di norma, tutte quelle
infrastrutture concepite in termini di costi, assistenziali o sociali: biblioteche
pubbliche, impianti sportivi, ma anche, implicitamente, edifici scolastici, abitazioni,
giardini pubblici. Si tratta di una dicotomia che più che sui contenuti intrinseci delle
politiche si basa sul modo di concepire le loro finalità in termini di soddisfazione di
bisogni interni o di reperimento di risorse all’esterno, e che viene espressa dalla
4
Distinte dalle politiche dell’immigrazione, che rimangono di competenza statale (cfr. Caponio).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
38
Le priorità delle città
tendenziale contrapposizione tra politiche “competitive” e “solidaristiche” (Gaudin),
politiche distributive e redistributive.
A determinare questa impostazione hanno largamente contribuito i processi di
decentramento che hanno assegnato alle città insieme nuovi poteri e nuovi compiti,
rendendole al contempo sempre più responsabili del reperimento delle risorse per
farvi fronte, tanto più che ovunque ai processi di trasferimento dei compiti non
corrisponde un analogo trasferimento di risorse da parte dello stato. Tra le sue
conseguenze vi è la percezione di una crescente divaricazione tra politiche rivolte
all’esterno – cioè volte ad attirare nuovi investimenti e nuovi city-users – e politiche
rivolte all’interno, cioè volte a soddisfare i bisogni dei residenti e in particolare delle
categorie più deboli di cittadini. Gli evidenti vantaggi a livello macro che le politiche
impostate (framed) in termini di sviluppo portano sul piano di risorse aggiuntive ai
fini dell’implementazione di politiche solidaristiche non sono di solito sufficienti a
generare sufficiente legittimità, consenso e cooperazione per la messa in atto delle
azioni specifiche a livello micro. Tanto è vero che spesso quelle che a un livello più
astratto appaiono soluzioni diventano problemi al livello più concreto della vita
quotidiana degli abitanti delle città, che si tratti della costruzione di infrastrutture o
di processi di riqualificazione di centri urbani, dell’implementazione di servizi per le
imprese o della realizzazione di “grandi eventi”.
Ma la crescente divaricazione tra “politiche sociali” e “politiche per lo sviluppo” è
anche largamente radicata negli assetti tradizionali e burocratici della macchina
amministrativa dei governi locali, delle impostazioni settoriali ed astratte delle
competenze, modellate sulla struttura del welfare state, e delle resistenze che essa
oppone frequentemente allo scompaginamento dell’organizzazione consolidata. E se
certamente, dopo le riforme del governo locale, i sindaci hanno fatto uso dei loro
nuovi poteri “inventando” assessorati che esprimevano non solo simbolicamente
l’intento di implementare politiche innovative, molto spesso però la composizione
delle giunte è rimasta ancorata all’organizzazione tradizionale della macchina
burocratica, con assessorati che richiamano “competenze” piuttosto che aiutare a
pensare le “politiche”.
Crescente estensione ma anche divaricazione delle politiche urbane, persistenza di
frames politico-amministrativi tradizionali sono dunque i due dati di contesto nel
quale vengono calati i nuovi processi di partecipazione dei cittadini alle politiche
urbane.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
39
Le priorità delle città
3.
Domanda e offerta di partecipazione.
In primo luogo, che cosa si intende per partecipazione? Va anzitutto chiarito che a
partire dagli anni Novanta le politiche del decentramento incorporano man mano
una serie di dispositivi di natura diversa volti a promuovere la partecipazione diretta
dei cittadini alle politiche locali. Questi dispositivi possono essere ricondotti a tre
grandi categorie: dispositivi legati al diritto all’informazione (dall’accesso agli atti
alle nuove forme di rendicontazione), dispositivi legati al principio di sussidiarietà,
volti a garantire la possibilità di partecipazione alla produzione di beni pubblici,
dispositivi di inclusione nel processo decisionale, volti a garantire la partecipazione
alla definizione e implementazione di politiche pubbliche. Una grande parte di questi
dispositivi sono dunque diventati legge, mentre alcuni sono di tipo sperimentale.
La crescente domanda di partecipazione da parte dei cittadini viene attribuita ad
una varietà di motivazioni. Sul piano politico, alla consapevolezza dei limiti della
democrazia rappresentativa e l’esigenza di sperimentare forme di democrazia
diretta: ad un modello di democrazia limitata alla selezione dei capi si contrappone
quello di una democrazia fatta dal confronto costante tra governanti e governati, e
dalla capacità di questi ultimi di esercitare funzioni di indirizzo e di controllo
sull’azione
dei
governanti
con
modalità
che
vanno
dalla
consultazione
al
coinvolgimento in veri e propri momenti decisionali. Sul piano amministrativo, alla
crescente
consapevolezza
dei
cittadini
dei
propri
diritti
nei
confronti
dell’amministrazione e la necessità del superamento del modello burocratico
tradizionale verso un modello di amministrazione più vicino ai cittadini. Sul piano
istituzionale, alle trasformazioni degli ultimi vent’anni: la dissoluzione dei grandi
partiti di massa che costituivano in Italia il canale privilegiato di partecipazione,
l’integrazione europea ed il crescente accento posto sul principio di sussidiarietà
verticale ed orizzontale, oltre ai generali processi di decentramento di cui si è
parlato. Sul piano sociale, alla necessità di mediare tra istanze sociali sempre più
frammentate e composite, e che sempre più spingono per un accesso diretto degli
interessi alla sfera politica al di fuori dei canali tradizionali dei partiti e della
rappresentanza.
La rappresentazione dominante delle istanze partecipative è comunque quella di
una domanda di partecipazione che parte dal basso e che in questi anni ha trovato
espressione nei movimenti sociali urbani e nelle pressioni della nuova società civile,
fatta di una pluralità di associazioni e organizzazioni che rivendicano la capacità ed
il diritto di partecipare in prima persona alla definizione e alla messa in atto di
politiche pubbliche. Va tuttavia osservato che questa è soltanto una parte della
CITTALIA – ANCI RICERCHE
40
Le priorità delle città
storia. Altrettanto importante è il ruolo, nella svolta partecipativa, della offerta di
partecipazione che parte dall’alto, cioè dalle istituzioni. Questa offerta può essere
dettata da varie motivazioni tra cui: il bisogno di legittimazione e visibilità dei
politici locali, la crescente intraprendenza di una nuova burocrazia, gli incentivi e
talvolta le costrizioni che provengono dall’Unione europea.
Se andiamo a guardare che cosa succede nella pratica, sul piano empirico, vediamo
che domanda e offerta di partecipazione spesso non coincidono. In altri termini, la
messa in atto di percorsi partecipativi spesso non avviene in risposta ad una
domanda dei cittadini, ma a seguito di una offerta delle istituzioni. Questo peraltro,
in una certa misura, appare conforme ai dettami della teoria sulle “strategie
inclusive di policy-making”: la partecipazione non deve essere mera reazione a una
domanda (rivendicazione, protesta) ma va stimolata in determinate circostanze, in
particolare quando si tratta di fare appello a risorse che l’attore istituzionale non
possiede o di prevenire prevedibili conflitti. Dobbiamo osservare tuttavia spesso la
partecipazione viene offerta in casi in cui le risorse sono concentrate nelle mani del
decisore e su issues distributive che non generano conflitti. Tipicamente il
coinvolgimento nella progettazione di nuovi spazi o servizi pubblici: giardini,
palestre, centri giovanili. Se questo coinvolgimento può rispondere anche talvolta
ad una necessità di mobilitare risorse (per esempio per la custodia e la cura dei
nuovi spazi ed impianti) e di prevenire conflitti (per esempio intorno alle preferenze
per gli usi degli spazi in questione), si tratta apparentemente di esigenze
secondarie rispetto a quelle di dare visibilità a questo o quel settore amministrativo
o assessorato.
Ma non si tratta solo di una “politica dell’immagine”. Sempre più la messa in atto di
percorsi partecipativi è legata a opportunità e vincoli inerenti al reperimento di
risorse. Le crescenti necessità delle città in materia hanno favorito l’emergere di
una nuova classe burocratica pubblica e di una nuova categoria di consulenti liberoprofessionisti, esperti in vere e proprie attività di fund-raising, tipicamente tramite
la partecipazione a bandi regionali, nazionali, europei. Sicché l’implementazione di
percorsi partecipativi, da metodo per la ricerca di soluzione di problemi appare
talvolta, per dirla con Dente, piuttosto l’effetto dell’esistenza di “soluzioni alla
ricerca di problemi”. A questo bisogna aggiungere che, particolarmente nel caso di
bandi europei – ma la pratica si sta diffondendo sempre più anche a livello
nazionale – l’indicazione di percorsi di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini
alla progettazione ed implementazione delle politiche è una delle condizioni
determinanti per l’accesso al finanziamento sicché abbiamo il secondo paradosso
inerente alle pratiche della partecipazione, cioè quello di “processi partecipativi dal
basso implementati dall’alto” (Tedesco).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
41
Le priorità delle città
Va peraltro notato che questi aspetti paradossali relativi alla messa in atto di
percorsi partecipativi di per sé non inficiano la possibilità di realizzare gli obiettivi
c), d), e) e f) elencati nel primo paragrafo, il cui effettivo raggiungimento o meno
dipenderà da una grande varietà di fattori. Vi sono invece delle costanti critiche che
sembrano emergere per quanto riguarda gli obiettivi a) e b). Per quanto riguarda la
presa in conto del territorio, questa appare scontrasi sistematicamente con le
architetture amministrative e l’organizzazione burocratica delle competenze. A
qualunque livello (circoscrizione, comune, provincia) e su qualunque materia di
impatto territoriale (costruzione di un parco o di un supermercato, di una scuola o
di un impianto sportivo) la progettazione tenderà a venire impostata sulle linee
invisibili delle mappe amministrative e sulle astratte ripartizioni delle competenze
burocratiche, generando una delle maggiori difficoltà di dialogo tra cittadini e
istituzioni ma anche impoverendo in generale la portata dell’azione progettuale. E’
questo uno dei problemi tipici delle politiche partecipative su issues che toccano
l’assetto del territorio. Viceversa, nel caso di issues che toccano, o che sono
concepite (framed) come politiche sociali l’attenzione si sposterà drasticamente
verso le reti di attori e le comunità di utenti individuate perlopiù con le categorie
astratte del welfare (giovani, anziani, immigrati, ecc.), trascurando gli effetti
specifici, e le potenzialità, della collocazione territoriale di quelle strutture che
vengono concepite esclusivamente in termini di “servizi” (e non, per esempio, di
spazi pubblici).
Queste criticità nell’individuazione degli stakeholders e dei livelli appropriati di
intervento si riflettono anche in una tendenziale divaricazione nelle modalità
partecipative che riflette l’impostazione dicotomica politiche di welfare/politiche
territoriali e di sviluppo. Nel primo caso – tipicamente nell’implementazione dei
Piani di zona - i partecipanti saranno essenzialmente comunità di utenti (genitori,
famiglie, comunità etniche) e reti di operatori del privato sociale e del volontariato
con
una
forte
componente
professionale;
nel
secondo
caso
saranno
prevalentemente le aggregazioni di vicinato, tipicamente comitati di residenti e
associazionismo civico. Tale dicotomia infine rimanda a quella più generale tra due
accezioni di partecipazione: quella che la intende come partecipazione alla
produzione di beni pubblici e più specificamente partecipazione al processo
amministrativo di erogazione di servizi tramite l’applicazione del principio di
sussidiarietà (la partecipazione del “fare”); e quella che la intende come
partecipazione alle scelte di policy tramite meccanismi che garantiscano una
influenza più o meno vincolante sulla decisione (la partecipazione del “decidere”).
Due ulteriori trend che emergono dall’osservazione empirica della messa in atto
della partecipazione vanno infine segnalati. Il primo segnala l’esistenza di issues per
CITTALIA – ANCI RICERCHE
42
Le priorità delle città
le quali vi è sistematicamente più domanda che offerta di partecipazione. Queste
sono tipicamente quelle attinenti alla mobilità urbana in tutti i suoi aspetti – dalle
pedonalizzazioni al traffico, dalle modalità di erogazione del servizio pubblico
all’implementazione di nuove infrastrutture di trasporto. Si tratta di problemi che
vanno da una accesa e costante microconflittualità (tipica dei centri urbani) tra
interessi molto frammentati (residenti, city-users, commercianti, ambientalisti) ad
una altrettanto costante anche se meno mediatizzata discussione intorno a grandi
scelte strategiche (metropolitane, tram, tangenziali, ecc.). Lo scarso ricorso a
processi partecipativi in questo caso sembra contraddire la teoria esplicita della
partecipazione come “problem-solving” e confermare la “teoria in uso” della
partecipazione come un percorso a cui si ricorre quando ci sono soluzioni a portata
di mano.
Nella stessa direzione sembra andare il secondo trend, quello che vede applicare
anche
alla
partecipazione
dei
cittadini
la
tendenza
generalizzata
all’“amministrazione per progetti”. Anche questa tendenza risponde largamente alle
nuove necessità di reperimento di finanziamenti con l’attivazione di risorse esterne.
Diventano così oggetto di “percorsi partecipativi” volti alla realizzazione di progetti
specifici
una
serie
di
materie
che
dovrebbero
riguardare
la
normale
amministrazione, che si tratti della manutenzione degli spazi pubblici, la cura del
verde, il monitoraggio del traffico, l’erogazione di servizi. Questa modalità di
attivazione di risorse – se corrisponde all’intento positivo di attivare risorse nella
società – spesso non è in grado di garantire la continuità o meglio la sostenibilità
delle soluzioni, sia per l’esaurimento dei finanziamenti estemporanei, sia per la
difficoltà di garantire un impegno costante del volontariato.
4.
La partecipazione tra retoriche e strategie comunicative.
In questo frastagliato panorama delle pratiche partecipative alle politiche urbane,
che la partecipazione al processo decisionale sia anche fatta di partecipazione alla
produzione di discorsi pubblici, tramite la partecipazione alla sfera pubblica (intesa
come ambito di formazione della pubblica opinione) è invece un’idea assai meno
diffusa apparentemente. E questo malgrado il fatto che numerosi studi abbiano
sottolineato l’importanza delle attività di framing e agenda-setting nella costruzione
delle politiche pubbliche e che il processo di policy-making delle politiche urbane
incorpori ormai numerosi dispositivi volti a garantire un diritto non solo formale
all’informazione ma anche degli strumenti per la comprensione e la valutazione
delle ricadute delle politiche messe in atto. Questa scarsa attenzione va attribuita
probabilmente da un lato al fatto che le funzioni di framing e agenda-setting svolte
CITTALIA – ANCI RICERCHE
43
Le priorità delle città
da mezzi di comunicazione di massa sempre più autonomizzati da un lato, e
subordinati alle logiche del mercato o del potere politico dall’altro sottraggono
attenzione alle altre possibilità di partecipare comunicando, dall’altro che i nuovi
strumenti di rendicontazione
sono ancora molto embrionali e che l’attività di
monitoraggio e valutazione delle politiche da parte dei cittadini ha un ruolo del tutto
marginale nel processo politico.
Inoltre, mentre la partecipazione si configura come un processo di coinvolgimento
dal basso – anche se promosso dall’alto – o un processo di interazione tra partners
su un piano di parità – anche se attivato da un attore istituzionale che si pone come
primo
inter
pares
–
la
comunicazione,
così
come
l’informazione
e
la
rendicontazione, si configurano come processi top-down messi in atto da un attore
che concentra in sé il massimo delle risorse, sia che ciò venga fatto in maniera
tecnica e neutrale (come quando vengono fornite informazioni alle giurie di cittadini
che debbono deliberare) sia che essi siano strumenti di legittimazione, di
produzione
di
consenso
o
di
manipolazione.
In
realtà
la
comunicazione
(informazione, rendicontazione) non sono mai per definizione azioni puramente
tecniche, mentre d’altro canto un processo discorsivo di costruzione delle politiche
può mettere utilmente a confronto diversi frames in competizione per la produzione
di legittimazione e mobilitazione. L’importanza di questi processi è stata messo in
luce da diversi studi sulla “svolta argomentativa” nell’analisi delle politiche
pubbliche (Fischer e Forester). I frames aiutano a pensare le politiche e a definire il
senso delle numerose azioni e interazioni di cui si compongono. Sono in altri termini
uno strumento importante di coordinamento degli attori, di messa a sistema delle
risorse, di integrazione delle azioni e di produzione di feed-back efficaci (basati su
valutazioni condivise). E la partecipazione dei cittadini attraverso la sfera pubblica
rappresenta una estensione di quelle funzioni di indirizzo che, allocate all’ambito
delle istituzioni elettive rappresentative, sono venute indebolendosi con il crescente
trasferimento dei poteri agli organismi esecutivi
Dobbiamo allora soffermarci su quegli strumenti recenti che cercano di tenere
insieme governance
e
partecipazione,
scelte strategiche
e
micro-interventi,
portatori di risorse concentrate e diffuse, punti di vista generali e particolari. Essi
possono ricondursi a due grandi “famiglie” di strumenti politico-amministrativi: i
piani territoriali (Piani strutturali, strategici, di riqualificazione, dei tempi della città)
e i bilanci (Bilancio sociale, bilancio di genere, ecobudget e percorsi di Bilancio
partecipativo). In queste tipologie astratte rientrano una serie di casi e pratiche
diversissime. Qui ci limitiamo a fare una piccola rassegna di problemi e tendenze
emergenti:
CITTALIA – ANCI RICERCHE
44
Le priorità delle città
a)
i piani territoriali sono importanti strumenti di comunicazione e di mobilitazione
ma possono altresì essere strumenti di produzione di spazio pubblico. Questo
aspetto non va trascurato. Il Piano strategico non è solo city-marketing. Ci
sono piani “di cui si parla” – o si è parlato molto – come quello di Torino, altri
la cui esistenza risultava sconosciuta a un gran numero di cittadini, come
quello di Verona. Questa variabile (tecnicamente di anchoring) non appare
indifferente in quanto agli esiti del processo.
b)
i frames dei piani territoriali integrati (per esempio quelli di riqualificazione)
svolgono un ruolo fondamentale nel tenere insieme impostazione “competitiva”
e “solidaristica” delle politiche. Bassolino ha messo mano alla riqualificazione
del centro storico di Napoli creando un assessorato all’identità e alla coesione
sociale, cioè facendo appello all’identità e all’orgoglio civico. Rutelli ha
inquadrato le sue politiche di riqualificazione degli spazi pubblici “Centopiazze
per Roma”, cioè ha segnalato la volontà di tenere insieme centro e periferia.
c)
l’aspetto simbolico della comunicazione è molto di più dell’invenzione di slogan
accattivanti. Mettendo mano al progetto Urban per la riqualificazione del centro
storico di Cosenza Mancini ha prodotto una varietà di azioni simboliche che
andavano dall’esposizione della bandiera europea su tutti i cantieri al
trasferimento della propria residenza nel palazzo di famiglia del centro storico,
chiuso da tempo come molti dei palazzi nobiliari di un centro storico
profondamente
degradato.
Si
trattava
di
azioni
che
coniugavano
la
rispondenza alle radici identitarie e la proiezione verso l’innovazione.
d)
nei piani territoriali, di lungo termine, e che causano spesso disagi contingenti
alla popolazione, alcuni risultati devono vedersi a scadenza relativamente
breve. E’ quello che a Verona si è tentato di fare con i “progetti-bandiera”. Il
timing è importante, purché inserito in una cornice più ampia che non faccia
perdere di vista la visione d’insieme ( “visione del futuro”).
e)
e)i piani territoriali non riguardano solo ciò che si costruisce sul territorio ma
riguardano il come il territorio funziona. E’ ciò che oggi vanno ripetendo i
geografi, col rischio però che a furia di insistere sui luoghi come costrutto
sociale si perda di vista lo spazio fisico come spazio del re-embedding
(Giddens) cioè della ricontestualizzazione nelle coordinate spazio-temporali di
flussi, reti e relazioni molteplici ed astratte o virtuali. Da questo punto di vista i
“Piani dei tempi della città”, inventati negli anni Ottanta (da amministratrici
donne) rimangono ancora oggi un modello avanzato, capace di inglobare via
via nuove istanze e problemi come quello della sicurezza urbana.
L’attenzione a tutte queste variabili implica una idea di partecipazione assai più
ampia e articolata di quella applicata ai “percorsi partecipativi” su issues settoriali.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
45
Le priorità delle città
Rimanda altresì al problema della relazione che deve intercorrere tra partecipazione
amministrativa settoriale e partecipazione alla costruzione delle politiche urbane,
radicata nella partecipazione politica.
Anche sul bilancio come strumento di partecipazione si possono individuare alcuni
temi e tendenze emergenti:
a)
con l’adozione sperimentale di nuove forme di bilancio (sociale, di genere,
ecc.) si sta diffondendo la consapevolezza – particolarmente in certi settori
amministrativi – della differenza tra strumenti di rendicontazione conformi alle
leggi contabili (e del tutto incomprensibili non solo ai cittadini ma anche a
buona parte dei politici) e strumenti di rendicontazione che la legge non
prevede ma nemmeno vieta (purché si ottemperi anche ai primi) e che
servono a spiegare le politiche ai cittadini e renderli capaci di valutarle;
b)
queste forme di rendicontazione sono altresì strumenti per “pensare le
politiche” e per costruirle. In altri termini servono non solo a misurare le
ricadute concrete delle politiche (per esempio in termini di genere) ma anche a
costruire le politiche in termini di ricadute attese, coinvolgendo su queste i
cittadini;
c)
si
sta
diffondendo
la
consapevolezza
della
differenza
tra
forme
di
comunicazione politica volte al consenso (certi “bilanci sociali” altro non sono
che l’esposizione su carta patinata di tutto ciò che di bello l’amministrazione ha
fatto) e forme di comunicazione istituzionale che strutturano i requisiti per la
partecipazione informata (mettendo a confronto opzioni e priorità, risultati
attesi e conseguiti;
d)
mentre l’implementazione di “Bilanci partecipativi” presenta spesso forti limiti
– per esempio il fatto che la partecipazione dei cittadini venga indirizzata su
quote residuali di bilanci già strutturati, o che essi rendano invisibili i costi
ordinari dell’amministrazione – il bilancio come strumento di rendicontazione e
comunicazione per i cittadini presenta delle potenzialità ancora solo in minima
parte sviluppate. In altri termini, con questo strumento i cittadini sono
chiamati a partecipare non semplicemente all’allocazione delle risorse ma alla
“costruzione di senso” delle politiche della città.
5.
Conclusioni: a che punto siamo?
Chiedersi a cosa serva la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali è
domanda mal posta. Chiedersi quali saranno gli sviluppi futuri dei processi
partecipativi è domanda troppo ampia. Ci limitiamo qui a constatare che allo stato
attuale la partecipazione dei cittadini alla politica delle città è una realtà ineludibile
CITTALIA – ANCI RICERCHE
46
Le priorità delle città
nel nuovo contesto europeo e nel nuovo contesto politico- istituzionale locale:
dall’alto e dal basso vi sono pressioni concomitanti per la messa in atto di processi
di inclusione nelle politiche urbane.
Si può però ipotizzare l’emergere di una esigenza di spostamento dell’accento dalla
partecipazione come inclusione nel processo decisionale su issues specifiche alla
partecipazione come inclusione nel processo di costruzione delle politiche, cioè della
“cornice di senso” in cui si iscrivono e delle loro finalità come ricadute attese. Solo
nell’ambito di questo processo è possibile superare la divaricazione tra politiche per
i cittadini e politiche per l’esterno, integrandole in une definizione condivisa di
sviluppo, che vada oltre la crescente divaricazione tra governance e partecipazione,
tra grandi processi decisionali (nella loro parte pubblica) e piccole forme di
consultazione e corresponsabilizzazione.
E si può altresì ipotizzare l’emergere di una esigenza di attenzione maggiore al
carattere processuale della partecipazione. A fronte dell’esigenza dell’apparato
politico-amministrativo di “prendere decisioni”, la partecipazione dei cittadini come
partecipazione alla produzione di discorso pubblico è quella che serve a non perdere
di vista il senso generale delle singole decisioni e anche a garantire la permanenza
dei loro effetti nel tempo
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CITTALIA – ANCI RICERCHE
49
Le priorità delle città
Update della valutazione intermedia dell’Asse Città nel QCS 2000-2006
A cura dell’Unità di Valutazione del DPS − ottobre 2006
Estratto dall’ Aggiornamento della Valutazione Intermedia del QCS 2000-2007
Documento disponibile su: http://www.dps.mef.gov.it/qcs/qcs_valutazione.asp risultatiavq
CITTALIA – ANCI RICERCHE
51
Le priorità delle città
I. CONFRONTO TRA STRATEGIA E PROGRAMMAZIONE
A.
Strategia e obiettivi
L’asse città rappresenta lo strumento dedicato a rafforzare e valorizzare il ruolo
delle città nelle programmazione regionale. Pur se a titolarità regionale, il disegno e
l’attuazione di progetti e interventi dell’asse sono stati quasi interamente devoluti a
comuni singoli o associati. Nell’impostazione del QCS, l’asse città si distingue come
l’unica priorità strategica di carattere territoriale −ancorché affiancato sin dalle fasi
iniziali dell’impostazione dei POR dalla vasta e variegata esperienza dei progetti
integrati territoriali (PIT).
L’impostazione metodologica dell’analisi valutativa sconta le difficoltà generate dalla
natura trasversale, multi-dimensionale, e talvolta indefinita delle politiche e progetti
di sviluppo urbano definiti autonomamente e successivamente dalle amministrazioni
comunali comuni. La sequenza dal QCS Da ciò, la debole relazione settoriale tra
indicatori e scelte programmatiche e di investimento che ne limita la capacità di
spiegare gli effetti e la poca utilità a tal fine delle variabili di contesto non prese in
considerazione in questa analisi.
Alcune di queste caratteristiche si riflettono positivamente, ma anche con peculiari
complessità, nella strategia e negli obiettivi multi-settoriali scanditi nella strategia
del QCS, dove i grandi e comprensibili propositi di trasformazione e sviluppo urbano
sono accompagnati da un persistente e forse inevitabile rischio di genericità.
L’obiettivo generale del QCS (peraltro, riformulato e “semplificato” nel corso della
Mid-Term Review)1 ben rappresenta queste diverse tensioni:
“Migliorare l’articolazione funzionale e la qualità del sistema urbano del Mezzogiorno
attraverso la definizione del ruolo delle città nel loro contesto regionale, e in
particolare: riqualificare il contesto socioeconomico, fisico e ambientale di quartieri
e aree urbane, migliorando la loro vivibilità e creando condizioni adatte allo sviluppo
imprenditoriale; favorire la localizzazione di nuove iniziative di servizi alle persone e
alle
imprese,
rilanciando
la
competitività
dei
sistemi
economici
territoriali;
combattere la marginalità sociale e favorire i processi di recupero della fiducia
sociale”.
Il QCS articola poi gli obiettivi specifici, qui espressi in forma sintetica rispetto al
testo originario:
1
Per meglio riflettere le scelte effettive della programmazione regionale e locale, ma anche per
alleggerirlo.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
52
Le priorità delle città
1. Migliorare l’articolazione del ruolo e delle funzioni e servizi specializzati dei
centri urbani (ob. “competitività”). Rafforzare le potenzialità dei centri urbani,
aree metropolitane o centri medio-piccoli, come luogo di attrazione di
funzioni e servizi specializzati, valorizzando le potenzialità specifiche di
ciascuna città nel contesto regionale e promuovendo esperienze più avanzate
di governance e pianificazione.
2. Migliorare la qualità della vita, aumentando la fruizione dello spazio urbano
da parte dei cittadini (mobilità, congestione, l’inquinamento acustico e
atmosferico). Migliorare la qualità della vita nelle aree urbane (in particolare,
aree periferiche e dismesse, e con azioni per i bisogni dell’infanzia,
l’integrazione sociale e la lotta alla marginalità). Riqualificare il tessuto
edilizio urbano, con particolare attenzione al recupero dei centri storici e dei
centri minori.
3. Rafforzare il capitale sociale, mediante il soddisfacimento dei bisogni sociali
di base, la riduzione del tasso di esclusione, la promozione dell’economia
sociale,
la
professionali
qualificazione
in
ambito
dei
servizi,
sociale
e
la
definizione
ambientale,
di
anche
nuove
nella
figure
Pubblica
Amministrazione.
Agli obiettivi di sviluppo, il QCS affianca alcuni principi strategici (d’ora in poi
definiti come “obiettivi strumentali”) funzionali ad una maggiore efficacia e
efficienza dei programmi di intervento:
a)
Il rafforzamento del ruolo di indirizzo strategico delle Regioni nella creazione di
reti e sistemi competitivi di città a livello regionale.
b)
La concentrazione finanziaria degli interventi per evitare la dispersione e
frammentazione degli investimenti.
c)
L’attuazione dell’asse attraverso progetti integrati per lo sviluppo e/o il
potenziamento di funzioni strategiche anche in collaborazione con il settore
privato.
d)
L’utilizzo e diffusione di strumenti innovativi per il coinvolgimento del settore
privato nella realizzazione dei progetti (Società di Trasformazione Urbana,
Società Miste, etc.).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
53
Le priorità delle città
I prossimi paragrafi descrivono come la programmazione delle Regioni e dei Comuni
abbia interpretato e tradotto in interventi concreti l’impostazione strategica, gli
obiettivi e i principi del QCS. Nella parte conclusiva dell’analisi, la strategia del QCS
e i programmi di intervento approvati nel dettaglio dei POR, CdP e di progetti
comunali vengono confrontati con i processi, gli stati di avanzamento e i risultati di
attuazione ad oggi visibili.
B
I riflessi del QCS nella programmazione regionale dell’asse città
L’asse città ha un peso finanziario sul totale delle risorse disponibili che varia tra il
5,1% della Basilicata e l’8,8% della Sardegna. Nel corso della Mid-Term Review,
tutte le Regioni ne hanno aumentato il peso finanziario assoluto (in particolare, per
le misure del FESR), mentre in quattro Regioni su sei, è anche aumentato il peso
relativo sul totale delle risorse del POR. Questo dato (evidenziato nella Tabella 1) è
già di per sé indicativo: dal momento che l’attuazione dell’asse città già mostrasse
una relativa difficoltà di spesa rispetto ad altri assi dei POR, tale decisione può
essere interpretata come un’implicita e ulteriore conferma da parte delle istituzioni
interessate (Regioni, Governo e Commissione) della rilevanza strategica del
potenziamento di progetti e interventi nelle città.
Tabella 1. Il rafforzamento dell’asse città (AC) nella Mid-Term Review
I fase
Basilicata
Variaz. incidenza sul POR
Calabria
Campania
Puglia
Sardegna
Sicilia
Totale P.O. Regionali
II fase
Variazione
% risorse AC
71,973 86,368
20%
5,7%
5,1%
278,758 314,052
13%
7,4%
7,8%
377,513 436,6689
16%
5,5%
5,7%
316,784 366,784
16%
6,8%
7,0%
233,48 371,902
59%
6,0%
8,8%
487,826 533,9501
9%
6,4%
6,3%
1.766
6,2%
2.110
6,6%
19%
Fonte: Rapporto Annuale DPS 2004
In sintesi, e in ordine decrescente per rilevanza strategica e finanziaria, la
programmazione dell’asse città ha privilegiato le seguenti modalità e settori di
intervento:
CITTALIA – ANCI RICERCHE
54
Le priorità delle città
a. Progetti integrati urbani (PIU) in 22 comuni capoluogo, che impegnano circa il
55% delle risorse complessive dell’asse, talvolta co-finanziati con misure FESR e
FSE, e alimentati in alcune regioni anche da altri assi del QCS (in particolare,
Sicilia e Sardegna). Le Regioni hanno attribuito una notevole autonomia alle
amministrazioni comunali nel decidere la strategia, gli obiettivi e i pacchetti di
interventi dei singoli progetti.
b. Piani integrati inter-comunali e infrastrutture per servizi sociali e alla persona
che, nelle regioni in cui contribuiscono all’applicazione della L.328/20002,
adottano un approccio integrato che definiamo di tipo “settoriale”.
c. Contributi a PIT o progetti complessi in reti di comuni “minori”, in particolare in
Sardegna, Sicilia, Calabria e, per un unico tipo di investimenti (centri servizi per
l’impresa), in Campania.
d. La quota residuale è stata destinata a varie tipologie d’intervento, tra cui citiamo
alcune significative infrastrutture
di
trasporto o
un sistema informativo
territoriale in (Sicilia), e piccoli interventi puntuali per mobilità sostenibile e
mitigazione ambientale nei centri urbani (Puglia).
La
distribuzione
delle
risorse
programmate
permette
alcune
osservazioni
preliminari: benché sia difficile dare misure certe, si può stimare che circa il 70%
delle risorse pubbliche siano destinate a interventi in comuni capoluogo, mentre più
dell’85% delle stesse è programmato con approccio integrato e territoriale, con
piani di intervento prevalentemente intersettoriali (i PIU e i PIT) o, in due regioni,
mono-settoriali (i piani di zona sociali). Questo dato pone in evidenza che i POR
hanno tradotto in scelte concrete due obiettivi “strumentali” indicati dal QCS: la
concentrazione e l’integrazione degli interventi. Meno positivi, come vedremo, sono
invece i dati e le indicazioni raccolte per altri obiettivi strumentali, con particolare
riferimento alla mobilitazione di operatori e capitali privati.
C.
La programmazione dei progetti integrati urbani (PIU)
Per formulare un giudizio tecnico-strategico sulle scelte di programmazione è
necessario considerare il contenuto dei progetti approvati nei singoli POR. Nel
contesto dell’asse città, è rilevante soffermarsi sui 22 progetti integrati urbani (PIU)
a cui le strategie regionali affidano il ruolo principale nel favorire processi di
sviluppo e trasformazione socio-economica delle città e dei sistemi urbani, dando
così seguito agli obiettivi prevalenti nel QCS per l’asse. La Figura 1 evidenzia la
2
Per approfondimenti, si veda anche la relazione su Inclusione sociale e riduzione del disagio nei programmi operativi del Quadro
Comunitario di Sostegno Obiettivo 1 - 2000-2006, UVAL-DPS, Roma, 11/2004
http://www.dps.tesoro.it/documentazione/uval/rapporto_inclusione_sociale.pdf
CITTALIA – ANCI RICERCHE
55
Le priorità delle città
localizzazione geografica dei progetti, mentre la Tabella 2, sulla base di un’analisi
dei documenti progettuali, evidenzia la localizzazione degli interventi secondo il tipo
di quartiere-bersaglio o area urbana che le scelte dei comuni hanno messo al centro
dei loro piani d’intervento.
Figura 1. Localizzazione geografica dei Tabella 2. Aree urbane selezionate nei progetti
PIU
integrati urbani e risorse POR
Quartieri
bersaglio*
(n°)
4
Risorse
finanziarie (%
totale PIU)
9
Centri storici
9
30
Nuove centralità
urbane
9
29
Intero comune o area
metropolitana
7
32
assegnate
Periferie disagiate
Fonte: Elaborazione UVAL- DPS (2004) su di 21 PIU.
*Alcuni PI urbani investono due distinte aree-bersaglio dunque il
numero di quartieri è superiore al numero di progetti considerati.
Una lettura disaggregata per Regione, evidenzia alcuni indirizzi specifici nelle scelte
di localizzazione realizzate dalle amministrazioni regionali e comunali. Ad esempio,
in Puglia (unica Regione il cui POR ha peraltro stabilito un criterio di concentrazione
in termini di tetto minimo di investimento pro-capite), i cinque progetti nei
capoluoghi provinciali sono per lo più circoscritti in zone periferiche caratterizzate
da situazioni di disagio sociale. Un altro esempio sono le città della Campania, che
hanno selezionato centri storici (Benevento, Avellino e Caserta), aree non
urbanizzate in zone semiperiferiche (Salerno) o direttrici urbane privilegiate
(Napoli). Queste scelte, proprio in quanto realizzate autonomamente dai comuni,
rappresentano un importante segnale positivo: possono infatti essere interpretate
come
un
crescente
grado
di
maturità
nelle
attività
di
pianificazione
e
programmazione di investimenti che, evitando interventi dispersi sull’intera area
urbana, prediligono zone suscettibili di modifica e mirano a un più elevato ritorno
socioeconomico degli investimenti con risorse aggiuntive.
Le questioni più rilevanti, tuttavia, emergono dall’analisi degli specifici interventi
ammessi a finanziamento: di che tipo di investimenti si tratta? In che misura
perseguono o favoriscono il perseguimento degli obiettivi del QCS? Per questa
analisi, ci basiamo sui piani di intervento dei singoli PIU3, la cui varietà strategica si
traduce in un insieme altrettanto diversificato di mix di investimenti. Poiché i dati
CITTALIA – ANCI RICERCHE
56
Le priorità delle città
Monit generalmente non registrano gli interventi programmati prima che abbiano
prodotto impegni o spesa, l’unica fonte cui fare riferimento è la documentazione dei
PIU, che include la lista degli interventi. I risultati dell’analisi sono riportati nella
Figura 2 costruita attraverso l’attribuzione a sette classi tipologiche di circa 500
interventi ammessi a finanziamento in 21 PIU4.
Figura 2. Distribuzione delle risorse per tipologia di intervento nei PIU (% risorse pubbl. POR)
15%
INFRAST. ECONOMICA
4%
INFRAST. SPORT, RICREATIVE
14%
INFRAST. SOCIO-CULTURALE
21%
STRADE, TRASPORTI
VERDE/SPAZIO PUBBL., RESTAURO
29%
6%
ALTRI INTERVENTI
9%
REGIMI DI AIUTO
3%
FORMAZIONE
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2004)
La distribuzione settoriale e tipologica degli interventi programmati evidenzia due
elementi principali:
Gli
interventi
in
“strade/trasporti”
e
“verde,
spazio
pubblico
e
restauro”
rappresentano le categorie settoriali dominanti, con circa il 50% delle risorse (ancor
più elevato in alcuni Regioni come la Basilicata, dove supera il 70%). Tale
inclinazione è frutto di scelte strategiche su priorità d’investimento evidentemente
importanti per migliorare la qualità della vita urbana. Tuttavia, è possibile inferire
che
l’orientamento
sia
anche
risultato
della
naturale
propensione
delle
amministrazioni comunali verso tipologie progettuali su cui hanno competenze e
esperienze più consolidate (in questo senso “tradizionali”), ossia interventi di
infrastruttura viaria in genere di impatto limitato sulla mobilità complessiva della
città, e di miglioramento dello spazio pubblico fisico.
I PIU approvati prevedono un numero molto limitato di interventi −stimabile in un
20-25% secondo i criteri adottati per combinare le tipologie evidenziate− per lo
4
Per un PIU, non è stato possibile recuperare la documentazione necessaria. Anticipiamo che, per la diversità delle fonti e dei
momenti di rilevazione, la classificazione qui riportata non corrisponde a quella utilizzata nel prosieguo dell’analisi per gli interventi
in attuazione, ottenuta invece da Monit attraverso una riclassificazione dell’informazione su “tipologie” e “sottotipologie” di progetto.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
57
Le priorità delle città
sviluppo economico-produttivo, il sostegno a servizi specializzati, direzionali e
commerciali, ovvero per gli interventi finalizzati al rilancio delle città e delle sue
funzioni sui mercati obiettivo extra-regionali. Tra le parziali eccezioni, si possono
individuare i PIU di Cagliari e, almeno nelle intenzioni, di Napoli, Salerno, Crotone,
Palermo e Catania, che prevedono interessanti investimenti di trasformazione
economica e funzionale di alcune aree urbane (in alcuni casi, con strategie centrate
sull’offerta culturale e museale di potenziale ricaduta sul tessuto economico).
Tuttavia, la maggioranza di queste città hanno incontrato difficoltà attuative che, in
alcuni casi e come vedremo in seguito, hanno anche indotto ripensamenti e
modifiche sui piani di investimenti inizialmente programmati.
Le scelte di dettaglio nella programmazione dei PIU hanno dunque tradotto solo
parzialmente gli obiettivi e le strategie del QCS e dei POR, in particolare rispetto
agli obiettivi di sviluppo economico (sintetizzati nel primo obiettivo specifico). Tra i
motivi di tale carenza, individuiamo la scarsa solidità dell’impianto strategico dei
singoli PIU. I documenti strategici richiesti (su suggerimento della CE) dal QCS e
dai POR alle città con più di 100mila abitanti (soglia per alcuni versi arbitraria)
come una condizione preliminare di ammissibilità per i PIU, sono stati redatti dai
Comuni e analizzati dalle Regioni con l’approssimazione e la leggerezza di chi
affronta un mero adempimento formale e burocratico, con il risultato di produrre
documenti di inquadramento strategico a dir poco evanescenti. Peraltro, le stesse
Regioni, nel 2002, non disponevano di strumenti effettivi o priorità consolidate per
la programmazione di città e reti di comuni sul proprio territorio e che potessero
indirizzare i comuni verso un uso più efficace delle risorse.
La fragilità delle strategie ha anche avuto effetti negativi sulla funzionalità di criteri
di selezione per progetti e interventi: ambiziosi e condivisibili sulla carta, ma poco
incisivi nella loro applicazione5. Senza chiari obiettivi strategici, l’impianto dei criteri
si indebolisce: tale situazione è stata un’importante concausa per spiegare le
caratteristiche dei PIU e degli interventi che li compongono, nonché, come
vedremo, il loro limitato contributo al raggiungimento degli obiettivi del QCS.
Le osservazioni sulle strategie e i sistemi di selezione ci conducono ad un ulteriore
aspetto critico visibile sin dalla fase di programmazione: la scarsa partecipazione di
capitale e operatori privati nei progetti. Su questo tema, è evidente il contrasto tra
gli obiettivi, gli espliciti richiami, e i criteri di selezione contenuti in tutti i
programmi operativi e nei singoli progetti sulla finanza di progetto o altri strumenti
di PPP, e la realtà di quanto programmato i cui risultati hanno dimostrano delle
5
Esempi di criteri presenti in tutti i POR/CdP ma rimasti virtualmente inapplicati sono: (i) cofinanziamento privato; (ii) parternariato e partecipazione della società civile; (iii) analisi economicofinanziaria per la sostenibilità degli interventi; (iv) analisi di domanda per i servizi generati.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
58
Le priorità delle città
tutto velleitaria l’enfasi posta nei POR e nei CDP. Tale situazione nasce da ostacoli e
problemi diffusi lungo tutta la catena di pianificazione e governance della
programmazione comunitaria (incluso, alcune regole stabilite a nel Regolamenti dei
FS o effetti perversi della prassi di programmazione), la mancanza di incentivi
adeguati e di assistenza tecnica specializzata per i comuni e le Regioni ha
pregiudicato un maggiore impegno e efficacia nel mobilizzare capitali privati nei
progetti urbani. La controprova è che, laddove ci si è provato, alcuni risultati sono
arrivati:è il caso della positiva (ancorché perfettibile) esperienza della Regione
Campania con una riserva di premialità regionale che ha attribuito il 40% delle ricca
misura 5.1a alle città capaci di programmare e chiudere gare per interventi in
finanza di progetto nei propri PIU6. Questo tema sarà ripreso nella sezione che
segue, dove dalla programmazione si passa all’analisi della realtà attuativa dei
progetti e degli interventi dell’asse città.
II. CONFRONTO TRA PROGRAMMAZIONE E RISULTATI DI ATTUAZIONE
A.
Una performance finanziaria più lenta
Una lettura dei dati finanziari complessivi illustra un ritardo dell’asse città
nell’impegnare e erogare le risorse. I livelli di impegni e pagamenti estratti da Monit
al 31/12/2005 evidenziano una performance finanziaria al di sotto dei valori medi
del QCS, in particolare inferiore del 29% per gli impegni (49% dell’asse città contro
il 79% del QCS) e del 17% per i pagamenti (il 32% contro il 49% del QCS). Nel
mostrare i dati di spesa, la Tabella 3 distingue tra i progetti indotti direttamente dai
POR (d’ora in avanti, per brevità: interventi nuovi) dalla progettazione coperta da
altra fonte finanziaria (d’ora in avanti: interventi coerenti), introducendo una
differenziazione che ci accompagnerà nel prosieguo di questa analisi.
6
Per approfondimenti: Marco Magrassi, “Development Funding as a Catalyst for Urban Reform in Southern Italy”, in Creative
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CITTALIA – ANCI RICERCHE
59
Le priorità delle città
Tabella 3. La spesa dell’asse città al 31/12/2005
COSTO
PAGAMEN
IMPEGNI
IMP/PR
AMMESSO
TI
(€ M)
OG
(€ M)
(€ M)
Asse Città
Interventi
coerenti (IC)
Progetti nuovi
(IN)
PAG/PROG
% IC e IN
Intervent
% IC e IN su
su TOT.
i
TOT. PAG
IMP
(n°)
2.059
1.000
664
49%
32%
100%
100%
1949
843
497
376
59%
45%
41%
57%
803
1.216
503
288
41%
24%
59%
43%
1146
Fonte: Elaborazione DPS-UVAL su dati Monit (2006)
A seguire, la Tabella 4 mostra l’andamento della spesa nelle diverse Regioni. Un
confronto tra il totale delle risorse programmate nei POR e nei CdP, i dati finanziari
(costo ammesso-CA, impegni-IMP e pagamenti-PAG) riportati in Monit per il
complesso dell’asse città e limitatamente ai nuovi interventi, permettono una
lettura più profonda e articolata.
Tabella 4. La spesa dell’asse città nelle regioni: risorse programmate POR e
rilevazione Monit
Asse Città - tutti gli interventi
Risorse POR programmate Costo ammesso
(€,000)
(CA) (€,000)
IMP/CA
PAG/CA
Asse Città - nuovi interventi
Costo ammesso
(CA) (€,000)
IMP/CA
PAG/CA
Basilicata
86.368
39.839
99%
20%
25.220
98%
2%
Calabria
314.052
487.021
52%
35%
323.376
28%
14%
Campania
436.668
406.940
46%
29%
90.030
23%
14%
Puglia
366.784
143.107
100%
68%
125.770
100%
68%
Sardegna
371.902
338.441
47%
33%
237.589
48%
30%
Sicilia
533.950
643.657
34%
24%
413.957
30%
17%
2.109.725
2.059.005
49%
32%
1.215.942
41%
24%
Totale POR
Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006)
Infatti, il confronto con le risorse programmate nei CdP è una scelta obbligata: per
finalità valutative sarebbe infatti molto fuorviante analizzare la performance
finanziaria a attuativa ottenuta da meramente dai dati Monit, che le Regioni
popolano (con una certa disinvoltura) in modo molti differente. Ad esempio, dai dati
Monit parrebbe che Basilicata avrebbero assunto impegni giuridicamente vincolanti
sulla totalità degli interventi ammessi, come anche la Puglia che in più ne avrebbe
anche liquidato quasi i due terzi. Ma tale ricavata da Monit sarebbe erronea poiché
in entrambi i casi gli interventi ammessi coprono approssimativamente poco più di
un terzo delle risorse programmate. Un ultimo esempio ci viene dal contro-intuitivo
CITTALIA – ANCI RICERCHE
60
Le priorità delle città
il dato della Sicilia e della Calabria, dove il costo ammesso risulta notevolmente
superiore alle risorse disponibili per l’asse città. La lettura e interpretazione dei dati
finanziari di Monit, dunque integrata dall’informazione delle finanza programmata,
evidenzia che:
•
La Calabria sembra distinguersi positivamente per l’andamento complessivo
della spesa (con un costo ammesso addirittura superiore alla dotazione
dell’asse), ma il risultato è generato soprattutto dagli interventi coerenti,
mentre la capacità di progettare e attuare nuovi interventi (ovvero, quanto
previsto nelle strategie del programma regionale e dei PIU comunali) appare
molto limitata. Tale valutazione investe anche la Campanile e la Basilicata, non
solamente in evidente difficoltà nell’attuazione dei nuovi interventi, ma con
una performance al di sotto della media anche prendendo in considerazione gli
interventi coerenti.
•
Secondo questa chiave di lettura, dobbiamo “rileggere” i dati di spesa di Sicilia,
Puglia e Sardegna: benché questi si collochino apparentemente al di sotto della
performance media dell’asse,
assumono invece un rilievo decisamente più
positivo dal momento che le tre Regioni (e soprattutto le ultime due) hanno
promosso quasi esclusivamente nuovi interventi indotti direttamente dal
programma.
Complessivamente,
rappresentando
il
i
progetti
41%
delle
coerenti
risorse
sono
stati
programmate.
ampiamente
Nel
seguito
utilizzati,
dell’analisi
confronteremo i tipi di investimento che caratterizzano i progetti coerenti rispetto ai
nuovi interventi, comparazione che permette di ottenere alcune indicazioni sullo
stato di attuazione dell’asse rispetto a strategia e obiettivi. Ancora sugli aspetti
finanziari, segnaliamo invece una notazione su, per così dire, l’ offerta di
progettazione coerente nell’asse città: la lettura disaggregata dei dati Monit, nelle
singole misure e azioni nei diversi POR, segnala che la progettazione coerente è
stata alimentata prevalentemente dalle misure del FESR centrate su progetti nei
comuni capoluogo. Questo dato, di per sé non sorprendente, evidenzia che il
maggior volume e capacità progettuale di amministrazioni locali più grandi e
consolidate hanno indotto le Regioni a sollecitarle maggiormente come “fornitori” di
interventi coerenti (esemplare il caso dei comuni della Calabria). Meno scontata è
invece la risposta a due domande legate a tale questione: la maggiore capacità dei
comuni medio-grandi si è poi manifestata anche nell’attuazione dei nuovi interventi
e dei progetti integrati? Le Autorità di Gestione dei POR hanno poi ricambiato (ad
CITTALIA – ANCI RICERCHE
61
Le priorità delle città
es. in termini efficacia istituzionale, assistenza tecnica, sensibilità alle istanze locali)
l’ “aiuto” ricevuto dai comuni per alimentare il circuito finanziario e soddisfare le
regole dell’ n+2? L’evidenza e le considerazioni nei paragrafi a seguire suggeriscono
un riscontro tendenzialmente negativo su entrambe le questioni.
In conclusione, le ipotesi sulla più debole performance finanziaria dell’asse città
sono legate a considerazioni articolate nel seguito dell’analisi perché legate ad
aspetti strategici, istituzionali e amministrativi. Tuttavia, possiamo anticipare che,
anche in un’ottica esclusivamente di efficienza della spesa (e scontando il maggior
tempo fisiologicamente necessario a strategie e progetti integrati), freni significativi
sono giunti da: (i) incertezze, ritardi e inefficienze nella definizione dei rapporti
amministrativi e istituzionali tra le Regioni e le amministrazioni comunali; (ii)
ostacoli interni alle amministrazioni comunali, sia di carattere organizzativo che
legati al processo di avanzamento della progettazione tecnica per i singoli
interventi.
B.
L’attuazione e i risultati degli interventi
L’incompletezza del quadro informativo sugli investimenti nel loro complesso, e il
lag temporale tra la programmazione e approvazione degli interventi da un lato e,
dall’altro, l’avvio della loro fase attuativa, rendono molto difficile ad oggi misurare o
stimare gli effetti già dispiegatisi dei progetti/interventi per lo sviluppo economico,
qualità urbana, o ampliamento dei servizi a cittadini e imprese.
Tuttavia,
un’osservazione
concentrata
esclusivamente
sui
nuovi
interventi
rappresenta una proxy abbastanza robusta per riflettere su come ciò che è oggi in
attuazione possa verosimilmente contribuire, da qui al 2008, al perseguimento degli
indirizzi e degli obiettivi di programmazione.
I dati Monit riportano che, al termine del 2005, un totale di poco meno di 2.000
interventi dell’asse città aveva generato impegni giuridicamente vincolanti e che,
nella grande maggioranza, gli stessi hanno dato luogo a pagamenti. Tra questi, una
porzione significativa è rappresentata dai progetti coerenti −circa 800 interventi per
quasi il 50% degli impegni.
Come già argomentato, per valutare l’efficacia dei POR e del QCS nell’approssimarsi
agli obiettivi stabiliti, è utile isolare i nuovi interventi: indotti direttamente dal
programma, identificati e selezionati dalle Autorità di Gestione secondo i criteri, le
procedure, e meccanismi istituzionali previsti, sono questi che dovranno dare piena
attuazione alla strategia.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
62
Le priorità delle città
Per facilitare la lettura e interpretazione della situazione attuale, le Figura Q illustra
i risultati di una classificazione degli interventi realizzata attraverso l’organizzazione
e ri-aggregazione delle numerose
“tipologie” e
“sottotipologie” di
progetto
7
formalmente utilizzate da Monit . Le colonne misurano la distribuzione percentuale
(ovvero, il peso finanziario relativo) degli impegni e dei pagamenti di nuovi
interventi in diversi tipologie/settori di investimento, mentre la linea fornisce la
stessa informazione sugli interventi coerenti ma limitandosi al dato relativo agli
impegni.
Figura Q. Distribuzione interventi in attuazione per tipologia
(% su Totale di € XXX)
Interventi Nuovi
Interventi Coerenti
60%
60%
53%
55%
IMP interventi nuovi
50%
PAG interventi nuovi
IMP interventi coerenti
50%
40%
40%
30%
30%
20%
20%
12%
14%
11% 13%
8%
10%
10%
8%
4%
3%
4%
0%
0%
Infrastrut.
urbane
Strutture
servizi pubblici,
sociali
Strutture
sportive,
ricreative
Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006)
Piani, studi e Formaz. privati
monitor.
occupati
2% 5%
2%
0%
Infrastrut.
trasporto
0%
Trasferimenti al Opere tutela,
no-profit
valorizz.
ambiente
Tipologie d'Intervento
7
Per chiarezza, consideriamo soltanto le prime otto delle 16 tipologie che hanno prodotto impegni o
spesa per l’asse città, visto il dato trascurabile per le altre. Sono invece 27 in totale le tipologie
individuate per riaggregare le centinaia di tipologie e sottotipologie di progetto previste in Monit.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
63
Le priorità delle città
Tabella 5. Dimensione media degli interventi dell’asse città
Dimensione Media
Interventi (€,000)
Numero
Interventi
398
44
9.070
1.382
818
122
559
1.077
349
52
752
18
458
258
179
116
Formazione a privati occupati
Infrastrutture di trasporto
Infrastrutture urbane
Opere di tutela/valorizzazione ambiente
Piani, studi e monitoraggio
Strutture per servizi pubblici e sociali
Strutture sportive, ricreative
Trasferimenti a enti no-profit
Fonte: Elaborazione DPS-UVAL (2006)
Queste elaborazioni restituiscono un’utile
fotografia sullo stato di attuazione
dell’asse città, con alcuni spunti in particolare evidenza:
•
La decisa prevalenza di interventi di infrastruttura urbana che, in termini
finanziari, ammontano alla metà di quanto realizzato o in via di realizzazione.
Tale variegata categoria di interventi include i più classici (e spesso micro)
investimenti per la riqualificazione fisica dei luoghi delle città: arredo urbano,
illuminazione, verde pubblico e, in questa classificazione, anche i mezzi e
l’attrezzatura per il trasporto di superficie e i parcheggi. L’incidenza delle
infrastrutture urbane in fase attuazione trova, in linea di massima, una certa
corrispondenza al loro peso in fase di programmazione (cfr. Figura 2 sulla
programmazione PIU). Combinando le informazioni sulla programmazione e
attuazione, è possibile inferire una relativa predisposizione e prontezza delle
amministrazioni comunali nel progettare e realizzare interventi in questo
settore.
•
Il peso significativo di strutture per servizi pubblici e sociali. Numerosi
interventi
in
atto
hanno
per
oggetto
la
costruzione,
ampliamento
o
adeguamento di strutture e contenitori fisici destinati all’erogazione di servizi
pubblici o di pubblico interesse. Considerando anche l’implementazione di
interventi per strutture sportive e ricreative, gli investimenti per ampliare i
servizi per la cittadinanza (e talvolta per il turismo) contano per circa un
quarto degli impegni e un terzo dei pagamenti. Tali interventi sono localizzati
in misura maggiore in quelle Regioni che hanno incluso nei POR misure per
servizi sociali e alla persona sostenute dal FSE. In particolare, si distinguono i
casi di Calabria e Campania, dove i circa 150 nuovi interventi in attuazione per
€ 21 milioni (di cui 74 già conclusi) svolgono un’importante ruolo di traino per
la spesa indotta dall’intero asse città (mentre la Basilicata, secondo dati forniti
dalla stessa Regione, pur avendo una misura dedicata e avendo impegnato il
CITTALIA – ANCI RICERCHE
64
Le priorità delle città
75% del costo ammesso, non mostra alcun progresso negli indici di
avanzamento fisico o finanziari). Altro particolare interessante, gli investimenti
in attuazione del FSE sono quelli esclusi, dai PIU, mentre mostrano
rallentamenti o addirittura una situazione di stallo quando incorporati a tali
progetti multi-settoriali. Inoltre, in alcune regioni, lo sforzo attuativo per
dotare
il
territorio di
maggiori
strutture
e
infrastrutture
di
servizi
è
plausibilmente rafforzato dagli effetti sinergici dei trasferimenti a enti no profit
(aiuti alle imprese sociali in Calabria) oppure a investimenti per la realizzazione
di piani e studi (i Piani di Zona Sociali-PZS in Campania).
•
L’incidenza della tipologia piani e studi e attività di monitoraggio assume un
certo rilievo sia per le risorse che per il numero di progetti realizzati o in via di
realizzazione, e va peraltro interpretata alla luce del costo unitario molto
contenuto (cfr. Tabella 5). Gli interventi materiali e immateriali in questione
riguardano esclusivamente tre Regioni che hanno scelto di sostenere la
realizzazione in numerosi comuni e su scala regionale di strumentazione di
pianificazione, informazione, monitoraggio e controllo in tre distinti settori,
specificamente: la preparazione dei Piani di Zona Sociale in Campania; misure
di controllo e mitigazione per la sostenibilità ambientale urbana in Puglia (ad
esempio, l’elettrosmog o inquinamento acustico); e, in Sicilia, la costruzione di
un
sistema
informativo
geografico
satellitare
con
cartografia
e
snodi
informativi e informatici in numerosi comuni della Regione.
•
Le infrastrutture di trasporto hanno rappresentato un importante volano
finanziario per l’alto numero di interventi coerenti dall’alto costo unitario
(spicca la metropolitana di Napoli che, in due diversi lotti, misura circa € 200 M
di quota ammessa e un livello di impegni di € 35 M). Per quanto riguarda i
nuovi interventi, anche scontando la scelta metodologica che nella nostra
classificazione
pone
infrastrutture
“minori”
(trasporto
di
superficie
e
parcheggi), si segnala il basso livello di utilizzo dell’asse città per sistemi
integrati di mobilità o per il trasporto metropolitano.
•
Risultano pressoché assenti dal panorama attuativo (meno dell’uno per cento)
gli interventi per trasferimenti e i servizi per le imprese. I dati registrati in
Monit non riportano alcun intervento attivo nelle misure dell’asse città di
sostegno diretto all’impresa nell’ambito dei PIU inclusi da alcuni programmi
regionali nell’asse città. E’ il caso di Campania, Puglia e Sardegna (in
quest’ultimo caso, per un errore in fase di programmazione dell’asse città nella
predisposizione dei PIU). Fa eccezione la Sicilia, dove però gli aiuti alle imprese
già in attuazione nei progetti integrati urbani di Catania e Palermo vanno a
CITTALIA – ANCI RICERCHE
65
Le priorità delle città
valere su bandi regionali (ancorché con la preferenza PIT) dell’asse IV
“sviluppo locale”.
•
Le maggiori difficoltà incontrate nell’ attuazione sui progetti per lo sviluppo
economico-produttivo sono confermate dall’analisi dei dati puntuali in quei
pochi
PIU
dove
gli
interventi
per
il
sostegno
all’imprenditorialità
costituiscono un elemento centrale della strategia del progetto locale. E’ il
caso, ad esempio, del progetto di Crotone, dove su un insieme diversificato
di dieci interventi per lo sviluppo economico per un valore di € 10 M si
registra un avanzamento nullo e una spesa di appena € 20 mila8.
•
A parte qualche eccezione, assenti tra gli interventi in attuazione quegli
interventi in fasi di programmazione (e comunque in numero molto
limitato),
finanziariamente
importanti
e
con
potenziale
di
incidere
positivamente sulle funzioni, sulla attrattività e sulla competitività di un
quartiere o di una città (il paragrafo successivo menziona alcuni casi
specifici).
•
Infine, si segnala la bassa o nulla incidenza tra gli interventi in attuazione
di: (i) opere per il patrimonio culturale; e (ii) opere per la tutela e la
valorizzazione dell’ambiente. Per le prime, le informazioni sui programmi
investimento dei PIU segnalano che risorse abbastanza consistenti vi erano
comunque state dedicate e ci troviamo dunque di fronte a un mancato
avvio degli interventi. Per le infrastrutture per l’ambiente, il discorso è
diverso: con poche eccezioni (quanto già citato per la Puglia, oppure pochi
interventi programmati in progetti puntali in Sardegna e Campania), il
settore è stato penalizzato anche nella programmazione degli interventi
nelle città, tendenza da invertire in futuro dal momento che l’obiettivo è
assurto a priorità decisiva per la programmazione urbana nel 2007-2013.
Il quadro generale appena tracciato si caratterizza per alcuni elementi positivi e
diversi aspetti problematici. Prima di operare una ricomposizione complessiva delle
informazioni disponibili per ricondurre i processi e gli interventi in attuazione alla
strategia del QCS, appare utile concentrare l’analisi su alcune difficoltà attuative dei
PIU, arricchendo quanto già esposto con indicazioni raccolte da altre fonti
informative quantitative e qualitative.
8
Anche se la situazione di spesa non è diversa negli altri cinque PIU calabresi con diversa “dominante” strategica. Fonte: dati della
Regione Calabria sull’avanzamento dei Progetti di Sviluppo Urbano (04/2006).
CITTALIA – ANCI RICERCHE
66
Le priorità delle città
C.
I
L’attuazione dei progetti integrati urbani
progetti
integrati
(PIU)
urbani
in
attuazione
nei
22
comuni
capoluogo
rappresentano un caso particolarmente interessante ed anche innovativo nella
panorama della programmazione comunitaria a livello Europeo, dal momento che
anticipano molte delle indicazioni contenute nelle Linee Guida e nei Regolamenti
emanati
dalla
CE
per
il
periodo
2007-2013
(il
cosiddetto
mainstreaming
dell’approccio Urban proposto). La loro programmazione e l’attuazione è quindi un
importante serbatoio d’esperienza per la futura programmazione sulla urban
dimension.
La raccolta di dati completi e uniformi sull’avanzamento e sui i risultati dei PIU e dei
pacchetti di interventi che li compongono è molto problematico, dal momento che il
sistema Monit risulta inadatto a confrontare gli interventi in esso riportati con i piani
e pacchetti di interventi PIU programmati e formalmente approvati dalle Regioni.
Sono
infatti
“momenti”
tecnico-decisionali
distinti,
con
fonti
e
sistemi
di
informazione operativo e di reporting amministrativo e progettuale che non si
incrociano. Tuttavia, controllando per quanto possibile gli inevitabili rischi indotti
dall’uso di fonti plurali e disomogenee, è possibile elaborare alcune osservazioni
sulla modalità attuativa integrata dell’asse città nelle città delle diverse Regioni:
•
Nelle due città della Basilicata si intravedono i primi risultati a livello di
realizzazioni fisiche, almeno per quanto riguarda le dedicate a “strutture e
spazi urbani” ed alcuni interventi di collegamento viario. Se i 14 interventi
previsti dal PIU di Potenza sono in corso di realizzazione, mentre per altri sei
sono in corso le procedure per l’affidamento delle progettazioni. Gli interventi
previsti a Matera sono in fase di progettazione avanzata ma mostrano
complessivamente
un
forte
ritardo
dovuto,
soprattutto,
ai
continui
avvicendamenti dei responsabili nell’amministrazione comunale. La Misura V.2,
invece, registra un buon livello di efficienza gestionale avendo concluso 4 dei 5
progetti avviati mentre gli indici di avanzamento fisico non mostrano alcun
progresso. Complessivamente risulta l’impegno di spesa per interventi di
riqualificazione urbana ambientale (parchi e aree verdi), di riqualificazione di
alcuni dei quartieri previsti in fase di programmazione e di miglioramento della
viabilità.
•
La Calabria ha approvato a fine 2003 i sei PIU (nel caso, definiti dalla Regione
come Progetti di Sviluppo Urbano-PSU) presentati un anno prima dai cinque
CITTALIA – ANCI RICERCHE
67
Le priorità delle città
comuni capoluogo9 cui si aggiunge Lamezia Terme. Nei due anni successivi
all’approvazione della giunta regionale, i progetti non hanno sperimentato una
situazione di stallo: se, da un lato, la Regione ha impiegato più di un anno a
predisporre l’Accordo di Programma, (presupposto essenziale per dare il via
alle procedure di erogazione), dall’altro i comuni hanno proceduto con grande
lentezza nella attività di progettazione tecnica ex Legge Merloni. Dopo aver
concesso nel maggio del 2005 alle amministrazioni comunali un’anticipazione
finanziaria del 20%, la Regione ha realizzato un’azione di monitoraggio della
spesa rendicontata che risulta di appena il 3% del totale delle risorse sul valore
delle risorse POR assegnate10.
•
In Campania, i due maggiori progetti a Napoli e Salerno paiono in difficoltà,
con livelli di spesa molto limitati. Peraltro, le due città hanno perso le ingenti
risorse inizialmente allocate ai rispettivi progetti da un meccanismo di
premialità regionale centrato sulla finanza di progetto, non riuscendo ad
assegnare le gare per la selezione dell’operator privato entro i termini prefissati dal sistema premiale. Anche per questo motivo, gli interventi di
maggiori dimensioni e più significativi per potenziale di sviluppo non sono stati
ancora avviati. A Napoli, ad esempio, difficoltà ingegneristiche e burocratiche
(tra cui, pareri contrari delle Soprintendenze), bloccano la realizzazione di
un’ambiziosa
opera
per
il
sottopasso
di
Via
Acton
e
la
connessa
pedonalizzazione di Piazza Municipio, interventi del PIU oggi a rischio definanziamento. Tra le eccezioni positive, possiamo menzionare il PalaSalerno,
una facility multi-funzione (sport e spettacolo) la cui costruzione è oggi iniziata
(pur se con procedure d’appalto d’opera, mentre era inizialmente prevista in
finanza di progetto)11. Nei PIU degli altri comuni capoluogo, il sistema Monit
riporta nella colonna dei “Costi Ammessi” un numero limitato di piccoli
interventi di riqualificazione e infrastruttura urbana, che avevano però
prodotto, al 31/12/05, livelli molto bassi di impegni e pagamenti. Le azioni di
sostegno alle imprese hanno un grado di avanzamento nullo.
•
I PIU programmati nei comuni capoluogo della Puglia registrano oggi un
discreto
avanzamento
degli
interventi
di
riqualificazione
urbana,
degli
interventi a carattere socio-assistenziale, ma si tratta prevalentemente di
realizzazione di strutture culturali, sportive e scolastiche, e di infrastrutture
9
A valere sulla Misura 5.1.a., mentre l’azione 5.1.b ha finanziato pacchetti di piccoli interventi di
riqualificazione urbana in altri 13 comuni che ad oggi presentano una performance attuativa
egualmente negativa (pagamenti al 1,3% al 31/12/2005).
10
Ricordiamo che il dato presentato influenza solo parzialmente la performance di spesa dell’asse città
in Calabria, alimentata da un forte volume di interventi coerenti.
11
Da notare che, nonostante, secondo il Nucleo della Campania e il responsabile di Misura, l’appalto
sia stato assegnato, un significativo anticipo finanziario trasferito al Comune, e i cantieri per l’opera
aperti, il progetto non appare nei report di Monit.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
68
Le priorità delle città
viarie di completamento. Anche in queste cinque città, nonostante un discreto
avanzamento della spesa rispetto alle altre Regioni, non risultano avviati gli
interventi previsti per il sostegno all’impresa e al commercio.
•
In Sardegna, la misura 5.1 (che contribuisce a tutti i PIT multiasse della
Regione) mostra una buona attività di spesa sui nuovi interventi, soprattutto
considerando che l’utilizzo limitato di interventi coerenti da parte della Regione
sull’asse città. In particolare, il PIU della città di Cagliari non solamente
presenta un buon numero di interventi attivi ma, secondo i responsabili
regionali, ha anche prodotto importanti effetti di revitalizzazione complessiva
dell’area interessata, dove sono stati concordati e realizzati grossi investimenti
del settore privato per attività culturali e alberghiere già funzionanti e,
successivamente, concentrati ulteriori fondi della Riserva Aree Urbane del
Fondo Aree Sottoutilizzate.
Tra gli ostacoli che hanno compromesso una più agile e efficace attuazione dei PIU,
molti sono di carattere gestionale, istituzionale e tecnico-amministrativo:
•
I tempi lunghi e i momenti di stasi che hanno contraddistinto la definizione
delle procedure tecnico-amministrative tra Regioni e Comuni. Ad esempio, in
Campania e Calabria è trascorso più di un anno tra l’approvazione del progetto
da parte delle Regioni e la definizione del modello e approvazione da parte
delle giunte regionali degli Accordi di Programma necessari a dare il via
all’attuazione degli interventi, poi seguiti da altri atti di perfezionamento
amministrativo. Ancora maggiori le incertezze sugli interventi compresi nei PIU
e finanziati dal il FSE o in regime di aiuto con il FESR, per i quali le Regioni
hanno generalmente mantenuto una forte responsabilità attuativa da espletare
attraverso bandi regionali, ma il maggiore accentramento regionale ha
sottratto competenze alle amministrazioni comunali nella gestione unitaria del
progetto, senza però garantire maggior tempismo e efficienza.
•
Lo scarso livello di maturazione tecnica e altri problemi che hanno reso lento
l’avanzamento
della
progettazione
comunale
nei
passaggi
dalla
fase
preliminare all’affidamento dei lavori. Pur nell’ impossibilità di fornire dati
precisi, è presumibile che moltissimi comuni abbiano presentato programmi
con semplici idee-intervento. Il passaggio da un progetto preliminare a un
progetto esecutivo pende un minimo di 12 mesi, molto spesso di più. Inoltre,
molti comuni sono refrattari ad avviare la progettazione Merloni sino quando a
la giunta Regionale non approvi i decreti di impegno finanziario, atto che può
avvenire mesi dopo l’approvazione dei progetti e la firma dell’Accordo di
Programma. Le difficoltà di progettazione hanno peraltro comportato aggravi e
rischi aggiuntivi su alcuni interventi grandi e significativi, come il già citato
CITTALIA – ANCI RICERCHE
69
Le priorità delle città
investimento viario di Napoli, ma anche in alcuni importanti interventi nelle
città della Sicilia.
•
Le difficoltà organizzative interne alle amministrazioni comunali tra le unità
dirigenziali investite dell’attuazione del PIU e altri assessorati o uffici tecnici
hanno creato incertezze, vuoti di responsabilità e, talvolta, ostruzionismo
politico-istituzionali. Le Regioni, che tra le più evidenti manifestazioni dei
problemi organizzativi interni alle strutture comunali segnalano i continui
avvicendamenti tra i responsabili unici di procedimento (i tre Rup a Matera, o i
tre ingegneri-capo che si sono succeduti a Cosenza…) o le modifiche tra gli
uffici responsabili per il progetto integrato.
In conclusione, segnaliamo che i dati raccolti indicano che i PIU non si distinguono
per una migliore performance o maggiore innovazione rispetto all’universo dei
Progetti Integrati Territoriali (PIT) con un’attuazione che, in linea generale, ha per i
due tipi di progettuali -per un unico comune i PIU, e inter-comunali i PIT- lo stesso
andamento (con l’eccezione della Puglia dove i PIU evidenziano un attuazione
decisamente più avanzata degli altri PIT). Questo dato non ha valore interpretativo
neutrale, bensì negativo: le attese di programmatori e analisti prevedevano infatti
che città di maggiori dimensioni, cui venissero attribuite risorse da investire
esclusivamente nel proprio comune (dunque, senza la complicazione aggiuntiva
dell’inter-comunalità) avrebbero utilizzato una presunta maggiore capacità tecnicoistituzionale per fare meglio e più rapidamente.
Da questa prospettiva, le difficoltà di attuazione tecnica e finanziaria dei PIU
rappresentano un quadro inatteso e che nega un importante presupposto nella
teoria del programma sottesa all’impianto strategico dell’asse città. In particolare,
l’evidenza empirica disponibile segnala che la amministrazioni comunali hanno
avviato poche realizzazioni per interventi che, in generale, interessano settori
piuttosto tradizionali (verde pubblico, arredo urbano, infrastrutture di servizio),
mentre molto rari sono gli interventi già avviati per grandi infrastrutture o
riconducibili a obiettivi di sviluppo economico.
III. CONCLUSIONI
A conclusione dell’analisi, è possibile estrarre alcune considerazioni generali
sull’attuazione
della
strategia
dell’asse
città.
La
Tabella
6
fornisce
una
rappresentazione con giudizio di sintesi del quadro degli obiettivi dell’asse nel QCS
e nei POR, di come questi siano stati tradotti in scelte di programmazione, e di
come la fotografia attuale degli interventi oggi in attuazione appaia rispondere alla
CITTALIA – ANCI RICERCHE
70
Le priorità delle città
strategia generale e a quanto programmato. Per la programmazione, il numero uno
o il colore verde indicano che elementi quantitativi e qualitativi emersi nella
valutazione segnalano un allineamento soddisfacente delle scelte programmatiche
con la strategia del QCS. Il volgere verso il colore rosso o verso il numero più basso
nella scala (4) indica una corrispondenza sempre più debole tra strategia e scelte
programmatiche. Lo stessa scala interpretativa è utilizzata per formulare un
giudizio sull’attuazione, che evidenzia se i processi di implementazione i atto
appaiano complessivamente accentuare o invertire le scelte allocative (più o meno
conformi rispetto alla strategia del QCS) già operate dalla programmazione
operativa: notiamo subito che il divario di quanto concretamente in attuazione dagli
obiettivi generali e specifici tende in alcuni casi ad allargarsi, ma può anche darsi il
caso in cui lo stesso gap si restringa, indicando come l’attuazione possa anche
contribuire a superare alcune incertezze o limiti della programmazione.
Tabella 6. Obiettivi del QCS, programmazione e attuazione: giudizi di
sintesi
Programmazio
Attuazione
ne
OBIETTIVI STRATEGICI
Trasformazione
economica
3
4
Qualità urbana
1
1
1
2
Integrazione
1
2
Concentrazione
1
2
Partecipazione privati
3
4
Sviluppo sistemi di
pianificazione regionale
e locale
3
2
Sviluppo sociale
OBIETTIVI STRUMENTALI
In primo luogo, va ricordato che la strategia del QCS ha individuato come primo
obiettivo specifico la trasformazione economica della città, delineata come lo
sviluppo di funzioni avanzate e servizi specializzati e, in generale, lo sviluppo
economico delle maggiori aree urbane anche al fine di trainare le economie
regionali (finalità che appaiono peraltro preponderanti anche nella formulazione
dell’obiettivo generale per l’asse città).
I POR, i CdP e i singoli progetti integrati (anch’essi dotati di una propria strategia e
obiettivi)
hanno
ripreso
CITTALIA – ANCI RICERCHE
e
rilanciato
71
fedelmente
l’obiettivo
trasformazione
Le priorità delle città
economica, ma l’analisi delle specifiche scelte programmatiche −i piani finanziari e
dei pacchetti d’interventi approvati da regioni e enti locali per singoli progetti e/o
misure−
mostrano (pur con eccezioni) una limitata volontà e/o capacità di “dare
gambe” alla strategia (da qui l’arancione, o il valore 3 attribuito nella Tabella). Già
dunque ridimensionati nelle risorse programmate rispetto alla strategia d’asse, i
processi di attuazione indicano che le difficoltà degli interventi di sviluppo
economico (in termini di maggiore lentezza e incertezza, ridimensionamento o
cancellazione di alcuni interventi) siano superiori che in altri settori di investimento.
Gli investimenti previsti (ad esempio, trasferimenti alle imprese, infrastrutture
economiche e di servizi significative, sostegno all’imprenditorialità) sono quasi del
tutto invisibili nei dati di monitoraggio. Secondo la metodologia interpretativa qui
proposta, il peggioramento ottenuto dall’ampliarsi del gap tra quanto programmato
e lo stato reale degli interventi è segnalato dal passaggio dal valore [3] al [4] e dal
colore arancio al rosso. Alcuni PIU o singoli interventi più incoraggianti (individuabili
in alcune città della Campania, della Sicilia, e della Sardegna) non sono sufficienti a
indicare che i progetti possano realmente avvicinarsi alle ambizioni strategiche del
QCS di influire sensibilmente su crescita economica e innovazione delle città.
Il secondo obiettivo specifico dell’asse insisteva sul miglioramento della qualità
della vita della cittadinanza da perseguire attraverso azioni sulle molteplici sfere
che su di essa agiscono. Forse per l’ampiezza del ventaglio di interventi possibili, o
forse per la maggiore competenze e esperienza delle amministrazioni comunali in
tali settori, la programmazione operativa di dettaglio presentava numerosi progetti
e interventi per sostenere l’obiettivo. Il dato si mantiene anche nella fase attuativa:
le informazioni estratte da Monit e presentate in precedenza testimoniano il buono
stato di avanzamento di progetti (infrastruttura urbana e altro) per aumentare la
vivibilità e fruibilità dello spazio e del verde urbano, per restauri funzionali o
storico-artistici del patrimonio pubblico, e per interventi puntuali di mobilità e
accessibilità. Il giudizio positivo si alimenta anche per il concretizzarsi di interventi
(nuovi, ma anche coerenti) per impianti sportivi e per la cultura e il tempo libero,
tipologie di investimento che possiamo presumere abbiano connessioni causali e
una certa continuità concettuale con il terzo obiettivo specifico dell’asse città, che
pone come priorità i servizi e le infrastrutture sociali.
La fase di programmazione ha infatti destinato all’obiettivo (non semplice da
circoscrivere) del rafforzamento del capitale sociale una porzione significativa
delle risorse disponibili. Tutte le Regioni hanno previsto misure per servizi alla
persona (finanziate con FSE), talvolta integrate nei piani di investimento dei PIU
nelle città capoluogo, mentre in altri casi hanno finanziato piani per l’erogazione di
servizi sociali e altri beni collettivi, con un approccio integrato-settoriale che
CITTALIA – ANCI RICERCHE
72
Le priorità delle città
interessa raggruppamenti inter-comunali su tutto il territorio regionale. Alle misure
per esplicitamente mirate allo sviluppo dei servizi sociali, si aggiungono gli
investimenti per infrastrutture sociali (FESR) inclusi, con decisioni autonome, dai
comuni capoluogo nei PIU. Per la peculiare attenzione dedicata a questo obiettivo,
si
segnala il POR della Puglia che ha indicato la lotta all’esclusione e alla
marginalità come obiettivi prioritari per i cinque PIU, orientando con decisione (e
con criteri misurabili e vincolanti) i comuni responsabili verso la selezione di areeprogetto nelle zone periferiche o degradate delle cinque città.
L’attuazione dei progetti evidenzia alcuni elementi di debolezza nei ritardi di alcune
regioni nell’attivare gli interventi. Tuttavia, il giudizio è complessivamente positivo
per i buoni risultati di alcune regioni (ad es.: completamento dei piani di zona
sociale e qualificazione professionale in Campania, terziarizzazione e erogazione di
servizi sociali in Calabria attraverso il sostegno alle imprese sociali). Da rilevare che
i dati di attuazione mostrano che una porzione importante dei interventi nuovi per
lo sviluppo sociale sia localizzato in comuni piccoli e medi, che in questo settore
mostrano dunque delle qualità non inferiori da quelle (presunte) nei maggiori centri
urbani e amministrativi, ovvero: un intensità di domanda piuttosto sostenuta, la
capacità di strutturarla in una proposta progettuale tecnicamente solida, e
successivamente di procedere con buona rapidità nell’attuazione degli interventi.
L’analisi che precede presenta informazioni empiriche sui processi e i risultati
relativi agli obiettivi (o princìpi) “strumentali” della strategia del QCS. In primo
luogo, abbiamo rilevato come le scelte di programmazione avessero traslato in
modo soddisfacente l’obiettivo di concentrazione delle strategie e dei piani
operativi attraverso approcci che hanno prediletto l’integrazione degli interventi
(opzioni programmatiche che peraltro tendono a rinforzarsi reciprocamente). Dai
processi di attuazione emerge però qualche sfilacciamento della scelta ex ante
apparentemente così netta, individuabile in un’attuazione relativamente lenta e
disomogenea dei PIU, ovvero dell’approccio progettuale dove dell’integrazione e
concentrazione trovano la più “pura” traduzione operativa.
Le dinamiche di attuazione hanno poi confermato e accentuato la valutazione
negativa già espressa in precedenza riguardo l’inadeguatezza (in termini di qualità
e quantità) degli sforzi finalizzati alla partecipazione di risorse e operatori
privati nei progetti e processi di sviluppo dell’asse città. Al di là delle enfatiche e
onnipresenti dichiarazioni di intenti strategici (e presenza di criteri di selezione ad
hoc in tutti i POR) per il partenariato pubblico-privato (PPP) nelle città, i pochi
progetti programmati hanno mostrato ulteriori limiti con l’avvicinarsi della fase
attuativa. A fronte di alcuni segnali positivi in interventi puntuali in PPP in Campania
CITTALIA – ANCI RICERCHE
73
Le priorità delle città
e Sardegna, notiamo che le istituzioni regionali e locali inizialmente più ambiziose
(e non sempre consapevoli sulle “tecnicalità” degli strumenti di PPP) hanno spesso
desistito dall’utilizzo della finanza di progetto stabilito nei loro POR: per diversi
interventi, importanti in termini finanziari e di contenuto (strutture fieristiche,
palazzi dello sport, centri congressi), modificando il CdP (Sicilia) o talvolta senza
formalizzare la decisione (Campania, Calabria), si è passati da un progetto in PPP
ad un più usuale appalto d’opera, e in alcuni casi l’investimento previsto è stato
tout court accantonato.
Nel segnalare che questo limite non riguarda solo l’asse città ma il QCS nel suo
complesso, va ribadito che alla sua origine troviamo ostacoli molteplici e complessi,
che peraltro non pervengono esclusivamente al contesto locale, regionale o
nazionale delle politiche: le stesse regole generali e sistemi di incentivi diretti e
indiretti dei Fondi Strutturali potrebbero e dovrebbero fare di più per sostenere, o
per lo meno per creare condizioni favorevoli, all’espansione del partenariato
pubblico privato (PPP).
Infine, se la programmazione operativa ha trattato in modo incidentale e accessorio
il
sostegno
al
rafforzamento
di
strumenti
e
tecnologie
per
la
pianificazione/monitoraggio strategico e settoriale del territorio, i dati
disponibili evidenziano che l’attuazione di interventi per tale obiettivo −ancorché
diversificati per settore interessato e approccio operativo− mostrano una buona
performance di attuazione: piani sociali, sistemi di informazione geografica, o di
monitoraggio ambientale e di mobilità sono oggi già operativi in diverse regioni.
Una considerazione a parte meritano i circa 55 piani strategici oggi in via di
elaborazione in tutti i comuni capoluogo ed in alcune reti inter-comunali finanziati in
tutte le otto Regioni del Mezzogiorno. Un’analisi valutativa condotta nel 200312
aveva evidenziato come la mancanza nelle città di una strategia condivisa, rigorosa
e credibile avesse indebolito la capacità di produrre innovazione e valore aggiunto
nelle scelte di programmazione operate dai comuni sui PIU. Il processo di revisione
della Mid-Term ha fatto propria tale valutazione, inserendo la pianificazione
strategica come un’attività da privilegiare nell’eventuale ri-programmazione dei
fondi dell’asse per il periodo 2004-2006, decisione ripresa nei diversi POR. La
creazione della Riserva Aree Urbane per il Mezzogiorno con la Delibera del CIPE
20/2004 ha prodotto una più agevole fonte di finanziamento per i piani strategici in
12
Relazione DPS-UVAL al Comitato di Sorveglianza sullo Stato e Prospettive di Attuazione dei Progetti
Integrati
dell’Asse
Città
nei
Comuni
Capoluogo,
Roma,
03/2003.
http://www.dps.tesoro.it/documentazione/docs/all/Punto_12_Approf_Comuni_Capoluogo_UVAL_CDS.pdf
CITTALIA – ANCI RICERCHE
74
Le priorità delle città
preparazione che, a parte le maggiori città della Puglia (dove la fonte è invece
l’Asse Città), sono sostenuti dal Fondo per le Aree Sottoutilizzate.
Nel loro complesso, queste attività −già completate o in attuazione− testimoniano
un tentativo consapevole e potenzialmente incisivo per lo sviluppo di strumenti e
tecnologie finalizzate a migliorare le politiche, e dunque la performance istituzionale
di regioni e enti locali. In questo senso, sembra che l’attuazione abbia non soltanto
ripreso ma anche rilanciato gli obiettivi definiti nel QCS e negli stessi POR.
I paragrafi che precedono segnalano gli obiettivi per cui la strategia del QCS sia
stata seguita da processi attuazione soddisfacenti e dove, di converso, gli obiettivi
appaiano lontani e forse non raggiungibili, formulando ipotesi che contribuiscano a
spiegare questa distanza. Tra gli elementi positivi e problematici evidenziati,
selezioniamo alcune indicazioni più rilevanti per migliorare dell’azione di sviluppo
interventi nelle città:
1. Rafforzare e focalizzare l’impianto strategico generale degli interventi. Gli
obiettivi e l’impostazione strategica stabiliti a monte dall’asse città sono ampi e
trasversali. Pur riflettendo la multi-settorialità dello sviluppo urbano, essi
hanno dimostrato una ridotta capacità di orientare le scelte a valle del
processo programmazione a livello regionale e comunale. Piuttosto che
concentrarsi sull’oggetto delle politiche (il “cosa”), sarebbe probabilmente
risultato più efficace e realistico elaborare un impianto strategico generale che
fornisse indicazioni vincolanti o forti incentivi per orientare il “come”, ovvero le
modalità e i criteri di selezione, e le condizioni di attuazione per progetti e
interventi (non necessariamente attraverso il testo del QCS, ma soprattutto
orientando adeguatamente i programmi operativi). Considerazioni diverse
riguardano invece le strategie o strumenti di pianificazione per reti urbane
regionali o per singole città, dove la limitata addizionalità o impatto atteso dei
PIU o dei singoli interventi in attuazione o anche solo programmati è in parte
riconducibile alla mancanza di strategie di sviluppo redatte con i tempi
necessari,
interrelate
con
piani
e
strumenti
urbanistico-territoriali,
caratterizzate da solidità analitica e credibilità politico-istituzionale, e realizzata
con metodologie inclusive e di condivisione con partner socioeconomici,
avanguardie locali e cittadinanza; se dotati di queste caratteristiche, i piani
strategici in elaborazione nelle città del Mezzogiorno potranno contribuire al
superamento di questi limiti nel prossimo periodo di programmazione.
2. Migliorare i sistemi e i criteri di selezione. La fragilità delle strategie comunali e
regionali ha avuto effetti negativi sulla funzionalità dei criteri di selezione per
CITTALIA – ANCI RICERCHE
75
Le priorità delle città
progetti e interventi: ambiziosi e condivisibili sulla carta, meno incisivi
nell’effettivo utilizzo. La parziale applicazione dei criteri di selezione13,
indebolendo la trasposizione concreta degli obiettivi di programmazione,
spiega ad esempio: (i) l’incerta sostenibilità finanziaria e gestionale di mediolungo periodo di numerose strutture finanziate per l’erogazione di servizi
pubblici e semi-pubblici (sociali, culturali, di formazione, turismo, sport, tempo
libero, incubatori d’impresa, ecc.); oppure (ii) la scarsa (in molte Regioni
inesistente) partecipazione finanziaria del settore privato nei progetti. Su
quest’ultimo punto, l’esperienza positiva (ancorché perfettibile) realizzata dalla
Campania con un fondo di premialità regionale nell’asse città finalizzata ad
espandere l’utilizzo della finanza di progetto da parte dei comuni capoluogo
conferma il potenziale incentivante dei sistemi premiali.
3. Restringere il gap temporale tra programmazione finanziaria e progettazione
tecnica. Il processo di approvazione per i pacchetti di interventi compresi nei
PIU si sono estremamente dilatati, con incertezze e periodi di stasi intercorsi
nelle diverse fasi: (i) emanazione da parte delle Regioni di linee guida, schede
progetto e intervento, etc.; (ii) predisposizione da parte dei comuni della
documentazione progettuale; (iii) processo di valutazione e approvazione
tecnica e formale da parte delle Regioni; (iv) delibere di approvazione delle
giunte regionali e firma degli accordi di programma. Le diverse Regioni e città
hanno completato tale processo soltanto tra il 2003 e il 2004. Per problemi di
liquidità nel finanziarie la progettazione, per margini di incertezza sull’esito
finale
del
finanziamento,
o
per
banale
inerzia
o
inefficienza
tecnico-
amministrativa, o per avvicendamenti continui tra i dirigenti responsabili per la
direzione dei progetti, le amministrazioni comunali non hanno generalmente
avviato il processo di progettazione tecnica per le opere pubbliche previsto
dalla Legge Merloni prima della conclusione del processo di cui sopra e
dell’approvazione del decreto di spesa. Per un’infrastruttura “media” e senza
prevedere ricorsi o altre difficoltà in fase di affidamento delle gare, i processi di
progettazione ex novo e affidamento tramite gara assorbono dai 12 a 18 mesi
(che possono notevolmente aumentare per i progetti più complessi e
ambiziosi, per le procedure in PPP, o per ricorsi amministrativi), che si
sommano ai tempi di programmazione. Tutto ciò spiega non poco nei ritardo
nell’attuazione dei PIU, (mentre le procedure a bando o negoziali per singoli
interventi e di dimensioni ridotte hanno meno problemi in tal senso). In futuro,
13
Esempi di specifici criteri presenti in tutti i POR/CdP ma rimasti virtualmente inapplicati sono: (i) cofinanziamento privato; (ii) partenariato e partecipazione della società civile; (iii) analisi economicofinanziaria per la sostenibilità degli interventi; (iv) analisi di domanda per i servizi generati.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
76
Le priorità delle città
sarà necessario prendere iniziative per comprimere i tempi e le fasi lungo
l’intera sequenza.
4. Prevedere chiari impegni sulle strutture, poteri e risorse locali per la gestione
dei
progetti.
L’
indefinitezza
nei
meccanismi
inter-istituzionali
e
nella
meccanica gestionale dei progetti ne danneggia l’efficacia. Su questo punto, è
sintomatico che i documenti dei singoli PIU sottoposti al vaglio regionale
presentassero
poca
o
nessuna
analisi
e
informazione
sui
meccanismi
istituzionali di raccordo orizzontale (con istituzionali locali direttamente
coinvolte negli interventi: autorità portuali, soprintendenze, società pubbliche
di servizi o altro, organismi privati, etc.) o verticale (con la Regione o con altri
enti pubblici coinvolti), né sulla struttura gestionale predisposta dal comune
responsabile per il progetto. Il nodo gestionale non si limita a lacune
“documentali”: è impressione generale che il tema sia stato sottovalutato e
abbia generato gravi inefficienze nello start-up e messa a regime di progetti e
interventi. Infatti, le realtà comunali non hanno oggi, nei loro limitati organici
di tecnici e dirigenti, adeguata disponibilità di risorse umane e strumenti da
dedicare alla programmazione strategica, progettazione tecnica e gestione
amministrativa dei progetti. Ma con la decisione di fornire a città o a comuni
minori un’opportunità da decine di milioni di euro (centinaia, nelle città
maggiori) per investimenti straordinari, può essere in molti casi irrealistico
supporre che le istituzioni locali possano utilizzarle in modo efficace con
capacità e risorse umane “ordinarie”. Spesso, i comuni e le regioni hanno fatto
fronte
ai
problemi
sopravvenienti
con
delle
“second
best”,
ovvero
improvvisazione creativa o aggiustamenti finanziari in corsa. Né hanno risolto il
problema gestionale i numerosi programmi di assistenza tecnica, spesso
dall’alto e orientati all’offerta, che con ogni probabilità risultano più costosi e
meno efficaci di un sostegno diretto alla crescita delle competenze nei comuni
e nelle istituzioni locali. In sintesi, le esperienze in corso suggeriscono che la
programmazione ex ante regionale e locale dovrebbe affrontare i temi
gestionali e istituzionali locali in modo diretto, esauriente e comprensivo. I
documenti di progetto delle città dovrebbero quantificare le risorse umane e
materiali necessarie, tradurle in costi con fonti e usi, e spiegare quali altri
istituzioni e con che ruolo parteciperanno nell’attuazione degli interventi.
5. Migliorare e semplificare i meccanismi di raccordo istituzionale tra Regioni e
Comuni. Con l’asse città, per la prima volta un alto numero di progetti urbani
di
notevole
portata
programmazione
finanziaria
regionale.
Pur
sono
stati
parte
considerando
integrante
l’attenuante
della
della
sperimentazione, è indubbio che alcune indefinitezze nei processi decisionali e
CITTALIA – ANCI RICERCHE
77
Le priorità delle città
inefficienze nelle procedure operative e amministrative tra istituzioni comunali
e regionali, abbiano spesso ostacolato una efficace programmazione e
esecuzione dei progetti. Molti dei vincoli da sciogliere sono oggi noti, tra cui, ad
esempio, l’esigenza di un maggiore decentramento e semplificazione della
gestione finanziaria e amministrativa dei progetti integrati e singoli interventi
(non necessariamente con meccanismi di sovvenzione globale, che pure
restano un’ipotesi da considerare). In futuro, una ancor più accentuata delega
comunale dovrà essere però bilanciata da maggiori e più rigorose istanze di
monitoraggio e valutazione da parte di livelli di governo sovra-comunali
(provinciali, regionali e/o nazionali) volte ad assicurare che gli interventi
finanziati perseguano effettivamente gli obiettivi stabiliti in fase di definizione
strategica e progettuale, massimizzando il valore aggiunto e l’impatto di
sviluppo. Un maggiore raccordo in fase di definizione dei POR e dei singoli
progetti/interventi dovrebbe anche interessare la relazione tra le batterie di
indicatori di monitoraggio e valutazione di programma (e di asse) con quelli di
progetto che nel 2000-2006 risultano spesso completamente diversi, rendendo
dunque impossibile il monitoraggio e la valutazione di risultato e impatto degli
indici regionali come effetto complessivo dell’attuazione dei singoli progetti. In
conclusione, facciamo nostre le considerazioni di un recente studio sui progetti
integrati territoriali, laddove afferma che14:
"Nei confronti degli enti locali le Regioni appaiono avere, da questo punto di
vista, la chance di influenza di gran lunga più significativa. Sono infatti così
fitte e dense le relazioni che collegano gli enti locali con la propria Regione, a
una quantità di livelli formali e informali, e così forte la capacità di indirizzo
che la Regione possiede attraverso tutti questi canali, che buona parte della
quota di innovazione realizzata o mancata che si vede circolare tra i progetti
integrati può essere attribuita a quanto le Regioni abbiano o non abbiano
fatto buon uso del proprio potere di influenza.La realtà empirica suggerisce
che nello spazio delle relazioni tra i politici, gli amministrativi, i tecnici degli
enti locali, e i politici, gli amministrativi, i tecnici della Regione si può formare
un ambiente che motiva, incoraggia, sollecita all'innovazione, o al contrario
disincentiva e assopisce. E' in questo spazio che i dispositivi dei progetti
integrati sono presi sul serio o lasciati svilire, realizzano il loro potenziale
innovativo o decadono in adempimenti [p.13]”.
14
DPS, Lo sviluppo ai margini. Due anni sul campo a sostegno dei progetti integrati in aree periferiche
del
Mezzogiorno,
Roma,
2006,
http://www.dps.tesoro.it/documentazione/docs/2006/1865_losviluppoaimargini.pdf
CITTALIA – ANCI RICERCHE
78
Le priorità delle città
Se tali considerazioni emergono dall’analisi di processi di sviluppo locale in aree
periferiche del Mezzogiorno, le responsabilità collettive degli amministratori pubblici
di ogni livello per l’innovazione mancata nelle grandi città −luoghi dotati di
significativa massa critica, con connessione ai mercati infra- e extra-regionali, e
snodi di flussi di informazione globali− sarebbero decisamente maggiori; dunque, è
più che mai opportuno fare tesoro dell’esperienza dell’asse città per permettere in
futuro che le politiche di sviluppo nelle aree urbane possano davvero svolgere in
futuro il ruolo trainante che il QCS inizialmente prevedeva ma realizzate solo
parzialmente nella programmazione 2000-2006.
CITTALIA – ANCI RICERCHE
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