Il Fanciullo e la Capra

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Il Fanciullo e la Capra
XIV Edizione
I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum
Umberto Saba “Ode la voce che viene dalle cose e dal profondo”
26 – 28 febbraio 2015, Firenze, Palazzo dei Congressi
MENZIONE D’ONORE SEZIONE TESINA BIENNIO
IL FANCIULLO E LA CAPRA
Saba, un “Esopo moderno”
Studenti: Anna Bruzzone, Elena Bruzzone, Maria Letizia Catanoso, Federica Ciprandi, Elisa Porzio
Delle classi V B, II F
Liceo Classico "Martin Luther King" Genova
Docente Referente Prof.ssa Giulia Del Giudice
Cosa vuol dire raccontare una storia? C’è chi è convinto che per raccontare qualcosa che sia
degno di questo nome sia necessario utilizzare termini aulici, descrivere un paesaggio concreto e
dei personaggi ben determinati. Ma a volte per far sì che un racconto penetri davvero e
concretamente nell’anima di chi lo legge è necessario che questo abbia il potere di farsi
identificare dal lettore.
La poesia di Saba fa questo: lascia pochi indizi, pochi spiragli di luce con i quali, chi davvero ha
voglia di conoscerla, deve costruire un gigantesco puzzle.
La poesia, però, non è la prima forma di racconto con la quale abbiamo a che fare fin da piccoli. La
prima vera domanda che tutti prima o poi ci ritroviamo a fare a una mamma, un papà, un nonno o
uno zio è : “MI RACCONTI UNA FAVOLA?”, e chi meglio di Esopo è adatto ad essere l’inventore dei
“racconti da lettino”?
Questo è stato il procedimento che abbiamo attuato per dare uno scheletro a tutto il nostro
lavoro. L’idea di vedere Saba come un racconta-storie ci è stata offerta da alcune poesie come
Favoletta, Il fanciullo e l’averla, A mia moglie e tutte le altre poesie con un ritmo favolistico o con
protagonisti animali o comunque presenze “Esopiche”.
Non è stato facile, tuttavia, creare un ponte tra queste due figure così lontane nel tempo, nello
spazio ma soprattutto nella cultura.
Da una parte c’è Esopo, che visse nel VI secolo a.C., autore considerato ancora oggi come
l’iniziatore della favola come forma letteraria scritta. I suoi componimenti sono brevi e trattano in
modo esplicito una morale ben precisa. Le sue favole hanno uno scopo principalmente educativo
e didattico, i protagonisti sono spesso animali personificati che interpretano quindi un ruolo
preciso e caratteristico.
Umberto Saba, invece, nacque nel 1883 a Trieste, città da lui amata e citata ripetutamente in
diverse poesie. Era figlio di madre ebrea e padre tedesco e questa netta separazione di etnia (o
“razza” come veniva ancora definita ai tempi di Saba) gli provocò una netta scissione dell’essere.
Saba nell’infanzia non ebbe, però, modo di approcciarsi alla cultura del padre. Guidata dal dolore
dell’abbandono ricevuto dal compagno la madre di Saba glielo “presentò” sempre come un
“assassino” (come messo in luce dalla poesia “Mio padre è stato per me l’assassino”).
Dopo l’incontro fra Umberto e suo padre però il poeta si ricredette e notò tra lui e il padre molte
somiglianze soprattutto nel vedere le cose nello stesso modo e con gli stessi occhi “ingenui” che
poi Saba attribuirà a sua figlia in una poesia intitolata “Ritratto della mia bambina”. In particolare
nei primi due versi grazie al cromatismo dell’azzurro è resa questa idea di ingenuità. Infatti l’autore
utilizza questo colore quando vuole mettere in evidenza l’aspetto positivo di qualcosa o qualcuno:
La mia bambina con la palla in mano,\ con gli occhi grandi colore del cielo.
La vita gli inflisse anche periodi di depressione, dovuti soprattutto al poco apprezzamento iniziale
delle sue poesie. Cominciò quindi un percorso di psicanalisi che durò diversi anni.
I temi affrontati dal poeta sono molteplici e durante la lettura del Canzoniere abbiamo notato
come la maggior parte di essi riguardino la quotidianità: la moglie, la campagna, la città, i suoi
ambienti e affetti più importanti. Abbiamo però anche constatato che, come espresso da Elio
Gioanola, Saba ci appare talvolta un po’ narcisista, troppo compiaciuto dei suoi versi e dei suoi
suoni (questa sua “vanità” ci pare palese ad esempio nella poesia “Amai”: Amai trite parole che
non uno\ osava. M’incantò la rima fiore\ amore,\ la più antica e difficile del mondo) .
In un ambiente come quello triestino, Saba fu fortemente influenzato da Freud e dalla psicanalisi,
e l’approccio psicanalitico fece, a parer nostro, sì che Saba scrivesse per scavare dentro se stesso,
per mettersi veramente in ascolto della voce che viene dal profondo e interpretare l’uomo
contemporaneo.
Il suo stile di scrittura si rifà molto a Leopardi, ma è anche caratterizzato da un linguaggio semplice
che gli permette di avere un diretto dialogo con il lettore e di trasmettere onestà e chiarezza nella
sua poesia. Per questo possiamo definire Saba come un poeta “onesto”, proprio perché non è
interessato a rendere la sua poesia “bella”, ma sincera ed autentica espressione dell’io del poeta.
Consideriamo Saba un poeta controcorrente e moderno. Egli si distingue infatti da tutte le
correnti letterarie del ‘900, ponendosi in netto contrasto con il Decadentismo, troppo ricercato nei
termini e nella forma, e l’Ermetismo, che al contrario è troppo freddo e criptico, ostentando,
quindi, una sicurezza tale da fargli credere di scrivere le uniche poesie vere. Nei confronti
dell’esistenza Saba ha un atteggiamento di nostalgia e di incertezza. Infatti per tutta la vita egli
riterrà degne dei suoi versi solo cose o persone considerate da lui “CONCRETE e PURE”.
Ma cosa hanno realmente in comune questi due autori così lontani e allo stesso tempo così vicini?
Quali le similitudini della loro arte quali le loro differenze nel modo di rappresentarla?
Leggendo Il Canzoniere di Umberto Saba e Le Favole di Esopo possiamo trarre le nostre riflessioni
che qui seguono.
ANIMALI COME SIMBOLI
La prima cosa che salta all’occhio in alcune poesie come Il fanciullo e l’averla oppure La fanciulla e
la gazza è proprio l’impostazione del titolo tipica di Esopo di associare “personaggio e
personaggio” come titolo ( per esempio L’assiuolo e lo sparviero, Il ricco e il povero, etc).
Un’altra caratteristica molto importante è la scelta dei personaggi che entrambi gli autori fanno
nelle loro opere: infatti sia Saba che Esopo tendono a utilizzare elementi tratti dal quotidiano e
persone umili come semplici contadini, mozzi o pescatori.
Pensiamo che questa scelta sia dettata da due importanti motivazioni: sia il poeta che il favolista
infatti vedevano riassunte nelle creature umili del mondo i difetti, i pregi e le caratteristiche
universali di tutti i mortali.
Un altro punto in comune che hanno i due autori è la scelta di un linguaggio semplice e colloquiale
con il quale fanno emergere l’umiltà dei loro pezzi, scelta che li rende vicini a chiunque li legga, sia
esso un imperatore, un ingegnere, un muratore o più semplicemente un bambino.
Saba, però, a tutto ciò aggiunge un’altra motivazione; egli infatti dopo un’infanzia sola, triste e con
gli affetti familiari totalmente confusi (infatti ritrovò sua madre in una balia: ….Un grido\ s’alza di
bimbo sulle scale. E piange\ anche la donna che va via. Si frange\ per sempre un cuore in quel
momento, e suo padre in un bambino: Allora ho visto ch’egli era un bambino,\ e il dono ch’io ho
da lui l’ho avuto.) ha bisogno di una sola cosa: di certezze, ma non filosofiche; lui ha bisogno di
guardarsi intorno e vedere che le cose attorno a sé sono reali e eterne.
Quindi spesso ad essere protagonisti delle sue poesie sono le bestie, che per il poeta
rappresentano il nucleo di verità della vita che si manifesta con immediatezza e semplicità.
Queste, come dice nella poesia A mia moglie, “avvicinano a Dio”, la qual cosa ci riporta alla
memoria San Francesco d’Assisi e il suo Cantico delle creature: Laudato si’, mi’ Signore, per frate
vento\ et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,\ per lo quale a le tue creature dài
sustentamento.
A mia moglie è proprio la poesia simbolo di quanto sopra espresso; in essa infatti il poeta prende
tutti gli animali da cortile e li mette in paragone con sua moglie. La scelta potrebbe sembrare
scortese, quasi sgarbata, offensiva e crudele e nei confronti della donna amata. Invece sta proprio
qui la grande abilità del poeta: egli non si limita a un paragone fisico ma va ben oltre ed estrapola
da ogni singolo animale le caratteristiche che più lo rendono unico, che più lo rendono vivo. Infatti
se si potesse riassumere tutta questa poesia in un singola frase pensiamo che sarebbe “ Io ti vedo
come una certezza, come qualcosa di comune, ma perfettamente unico”.
UCCELLI: simbologie per entrambi.
Tra tutte le tipologie di animali sia Saba che Esopo prediligono gli uccelli, da sempre considerati
simbolo di libertà e purezza. In particolare entrambi prediligono volatili piccoli, dalla palese
innocenza e genuinità. Per esempio le rondini: Tu sei come la rondine che torna in primavera.\
Ma in autunno riparte;\ e tu non hai quest'arte. (A mia moglie), i passeri: più non mi temono i
passeri. Vanno vengono alla finestra indifferenti al mio tranquillo muovermi nella stanza (Quasi
una moralità), canarini: ci trovi un canarino e tutto il mondo (Al lettore), e altri.
Esopo dona a ogni tipo di uccello una caratteristica bene precisa, mentre Saba li utilizza in modo
più universale. Troviamo che in entrambi gli autori gli uccelli siano simbolo di leggerezza (cosa
molto cara a Saba e che ricompare spesso nelle sue liriche, per esempio nei versi anche alle nubi\
insensibili nubi che si fanno e disfanno in chiaro cielo;\ e ad altre cose leggere e vaganti è messo in
risalto ciò). D’altra parte, però, si può dire che gli uccelli siano qualcosa di scostante. Essi infatti
hanno il dono di volare e quindi possono “fuggire via” in qualunque momento. Questo è in netto
contrasto con la personalità di Saba, il quale ha invece bisogno di stabilità.
CAPRA.
Capra: mammifero ruminante cavicorno degli ordini degli artiodattili, di piccole dimensioni, con
gambe corte e robuste, mento provvisto di barba mantello a pelo corto bianco o pezzato.
Questa è la definizione tratta dal dizionario di uno degli animali più comuni del panorama europeo
e americano. E allora perché questo animale, così semplice, così “usuale” diventa un protagonista
nelle opere di Saba ed Esopo?
Il raccontastorie le dona molte “caratteristiche” e personalità diverse. A volte (come ne L’asino e la
capra) le attribuisce una personalità meschina e calcolatrice, quasi invidiosa e priva di animo
buono, altre volte le dona (come ne Il toro e le capre selvatiche) un aspetto violento ma
protettivo, altre ancora (cfr. Il contadino e le capre) le dipinge come astute e furbe.
Saba invece nella sua celeberrima poesia La capra riflette nell’umiltà e nella sofferenza della capra
un’immagine più universale. Egli infatti non si limita a parlare del dolore di UNA capra, ma parla
DELLA capra, come se quest’ultima fosse una rappresentazione dell’umanità e che comprendesse
nel dolore della bestiola, nelle sue lacrime e nei suoi lamenti la fatica del genere umano.
Ovviamente, essendo per metà semita, coglie l’occasione di personificare l’animale come mezzo
per mettere in risalto positivamente una parte del suo vivere.
Nasce così una profonda antitesi tra la stabilità terrena della capra e la leggerezza delle nuvole e
del cielo che spesso le fan da contorno, ed è la rappresentazione fisica, ma allo stesso tempo del
tutto immateriale, delle radici contrastanti e conflittuali dell’uomo. Saba infatti essendo nato da
due razze in antica tenzone ritrova spesso in se stesso una grande spaccatura. Secondo noi il fatto
di avere una figura materna così “pesante”, mia madre\ tutti sentiva della vita i pesi, e una paterna
così leggera, egli era gaio e leggero, si è ritrovato a stare come in una situazione a “mezz’aria”,
che lo ha portato a rifugiarsi tra le braccia della poesia.
VITE DIFFERENTI, DIFFERENTE UMANITA’
Mentre della vita di Esopo si conosce ben poco, addirittura da far mettere in dubbio la sua intera
esistenza , di quella di Saba si sa moltissimo.
Da questa profonda conoscenza di tutti gli aspetti e le evoluzioni della vita e della psicologia di
Saba nascono le differenze dei livelli interpretativi delle opere dei due autori: mentre del primo
possiamo interpretare le sue parole solo oggettivamente, nel secondo è d’obbligo
contestualizzarle ed andare quindi ad un livello ben oltre a quello testuale.
Questa nostra conoscenza della sua vita, del suo sentire, del suo animo ce lo rende quasi un
famigliare e ci fa riscoprire in lui aspetti della nostra persona dal punto di vista intimo e segreto.
Infatti spesso nelle sue poesie ritroviamo aspetti facilmente riconducibili a noi stessi.
Ad esempio, leggendo L’ora nostra abbiamo provato una sensazione di profonda comprensione.
Noi in questa poesia, e specialmente nel verso è l’ora grande l’ora che accompagna\meglio la
nostra vendemmiante età riconosciamo un giovane adolescente che dopo tutti i turbamenti che
hanno caratterizzato la sua giornata può finalmente diventare “il vero sé” e uscire al mondo come
per gridare a tutti la gioia dell’essere giovane, forte e vivo.
Questo ovviamente non può accadere con Esopo, il quale è come se fosse egli stesso un
personaggio di fantasia come quelli presenti nelle sue Favole.
Può essere facile riconoscere in Saba un “maestro di vita” che cerca di far uscire dal nostro intimo
le cose più recondite e tipiche della nostra età. Non è possibile fare esempi su quest’aspetto della
sua poesia poiché, come andremo ad analizzare in seguito, gli insegnamenti che il poeta ci dona
non sono universali ma estremamente soggettivi.
Anche Esopo può essere considerato un insegnante, ma di tipo totalmente diverso. Lui si limita a
parlare a una massa, come se le sue parole toccassero ognuno con la stessa forza e intensità. Saba
è invece un maestro privato, ci dà ripetizioni di sentimenti e ci obbliga a dargli un’attenzione più
specifica.
Diciamo quindi che la differenza più evidente tra le due figure è che, se pur simile il modo di
raccontare le loro storie, Esopo enuncia i suoi insegnamenti quasi come se fossero leggi universali
e lui si ponesse al di sopra di tutto e di tutti.
Saba, al contrario, pur avendo una personalità narcisistica, non riesce a sentirsi al di sopra del
resto del mondo, ma anzi qualche volta si sente addirittura inferiore: in entrambi i casi rimane ai
margini del “gruppo”, cosa che lo farà soffrire per tutta la vita e che gli darà spunto per capolavori
quali Goal, (Presso la rete inviolata il portiere\ - l’altro - è rimasto[…] Della festa - egli dice - anch’io
son parte), e Trieste (Ho attraversato tutta la città\ Poi ho salito un erta,\ popolosa in principio, in
là deserta,\ chiusa da un muricciolo;\ un cantuccio in cui solo\ siedo; e mi pare che dove esso
termina\ termini la città.) In quest’opera è evidente un parallelismo con la poesia Infinito di
Leopardi, in particolare con i versi Sempre caro mi fu quest'ermo colle,\ E questa siepe, che da
tanta parte.\ Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
MORALE TRA LE RIGHE
La caratteristica principale delle favole di Esopo è il classico e oramai celebre “Ο μύθος διδάσκει
ότι” cioè “la favola insegna che, il racconto mostra che”. Il favolista infatti alla fine di ogni sua
favola spiega apertamente l’insegnamento che intende lasciare ai lettori. Questa Saba non lo fa.
Pur definendosi un poeta sincero, pur trattando temi che ad una lettura superficiale possono
sembrare scontati o normali, egli gioca con le nostre anime.
Commentando in classe alcune sue poesie come ad esempio Il fanciullo e l’averla ( già citato in
precedenza per via della struttura del titolo molto simile allo stile di Esopo) è emerso che, a
seconda delle nostre esperienze personali e del nostro carattere, tredici versi possono dare vita a
molte sensazioni differenti. Inizialmente l’opzione sul messaggio della poesia è stato unanime:
Saba vuole far notare come l’uomo si rende spesso conto di quanto tiene a qualcosa solo nel
momento in cui la perde (morale molto spesso utilizzata da Esopo nelle sue favole). Rileggendola,
discutendone, e stabilendo un contatto sia con il fanciullo che con l’averla è emerso che alcuni di
noi provano il dispiacere dell’abbandono, il rimpianto della dimenticanza e il senso di vuoto che
questi due sentimenti lasciano al loro passaggio. Altri invece, pur avendo sentito in sé tutto
questo, vi hanno aggiunto la freschezza della libertà che l’averla riguadagna alla fine, non soltanto
scappando dalle mani del fanciullo, ma smettendo di amarlo.
Facendoci guidare dai versi del poeta possiamo così cogliere un’ulteriore morale: possiamo
davvero liberarci di qualcosa che ci appesantisce il cuore tenendoci incatenati a terra, solo nel
momento in cui troviamo la forza di spezzare le catene, ritrovare la nostra LEGGEREZZA e spiccare
finalmente il volo.
Un altro esempio è riscontrabile nella poesia Ulisse. Infatti mentre affrontavamo questi 13 versi
abbiamo colto un invito a non abbandonare mai il nostro non domato spirito, ma di essere sempre
nella vita come l’eroe greco, che inseguendo la saggezza ha ottenuto in cambio di numerose
sofferenze una gloria immortale. […] Il porto\ accende ad altri i suoi lumi; me al largo\ sospinge
ancora il non domato spirito,\ e della vita il doloroso amore. In questo caso è d’obbligo un
riferimento a A Zacinto di Foscolo, poesia nella quale è esaltata la figura di Ulisse e messa a
diretto confronto con il poeta.
L’INSEGAMENTO DI SABA
E’ come se, in un primo momento, Saba volesse farci credere di mettere sulla carta tutto quello
che c’è da dire. Ad esempio nella poesia Al lettore egli afferma che nei suoi versi ci trovi un
canarino e tutto il mondo”. Noi pensiamo che questo sia un dolce inganno poetico.
Infatti il canarino si trova sulla carta, è vero, ma tutto il mondo è nelle nostre teste, nei nostri
cuori.
Il primo passo da fare quando si legge una lirica di Saba è quello di leggerla, cercare di capire
perché il poeta abbia usato una parola piuttosto che un’altra, cioè “invadere” la poesia,
segmentarla, prenderla verso per verso e spremerla fino a farci rivelare ogni dettaglio della sua
forma.
Il secondo, ed è come se fosse Saba stesso a insegnarci questo, è quello di ascoltare la poesia, farci
da essa guidare nei suoi antri più misteriosi e profondi. Insomma dobbiamo essere qualcuno che
non studia un insieme di versi endecasillabi divisi in quartine e legati da cinque enjambement, ma
più semplicemente, come il poeta dona a noi frammenti della sua anima attraverso la carta, noi
dobbiamo aprirgli la nostra permettendogli di entrarvi e farci sentire qualcuno che “ODE LA VOCE
CHE VIENE DALLE COSE E DAL PROFONDO”. E’ in questo che viene fuori la musicalità di Saba, il suo
essere un cantastorie. E’ qui che più che mai diventa vicino\distante a ognuno di noi. Infatti tutti
sono capaci di sentire, ma sono pochi coloro che possono ascoltare. Ed è a questi pochi che è
riservata l’immensità e la purezza della sua poesia. E’ come se Saba volesse che i suoi lettori
fossero in grado di cogliere le sfumature della poesia, che non si fermino alle banalità. Non vuole
avere un pubblico di “studiosi”, bensì uno di sognatori. Ci chiede di dargli la possibilità di renderci
delle persone come lui, a metà tra il cielo di suo padre e la pesante durezza terrena di sua madre.
Conclusione
Inizialmente eravamo titubanti, quasi delusi dal fatto che ci fosse capitato come poeta su cui
lavorare proprio Saba. Infatti nella nostra poca conoscenza dell’autore egli ci sembrava essere
capace soltanto di una poesia “spicciola” e troppo semplice per essere degna d’attenzione. Invece,
grazie a questa possibilità che abbiamo avuto, abbiamo imparato a conoscerlo e a scavare nel suo
profondo fino a comprendere la sua natura tutt’altro che elementare, ma piuttosto molto più
raffinata ed elevata di quella di molti altri poeti del suo tempo.
Inoltre, grazie all’idea di fare un paragone con Esopo, tutto il lavoro di analisi ci è risultato
piacevole, poiché è sempre bellissimo ritrovare noi stessi in una favola che eravamo abituati a farci
raccontare da bambini. Insomma è stato per noi un viaggio nel tempo, a ritroso, ai tempi
dell’ormai abbandonata infanzia con il piccolo bagaglio delle esperienze e delle sensazioni
amplificate della nostra ancora giovane età.