Il Giorno Dopo - British Council
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Il Giorno Dopo - British Council
Il Giorno Dopo: Il futuro delle relazioni culturali tra il Regno Unito e le altre nazioni europee 1 Rebecca Walton Direttore Regionale, Unione Europea Prefazione l 23 giugno i cittadini britannici hanno preso la storica decisione di lasciare l’Unione Europea. Prima del referendum abbiamo commissionato questa raccolta di articoli a personalità di spicco operanti in diversi campi della cultura. Questi articoli offrono una panoramica delle profonde relazioni culturali esistenti tra il Regno Unito e gli altri Stati europei e propone una riflessione su come queste dovrebbero rafforzarsi negli anni a venire. I ABOUT THE BRITISH COUNCIL The aim of the British Council is to create ‘a basis of friendly knowledge and understanding’ between the people of the United Kingdom and the wider world. We do this by using the cultural resources of the UK to make a positive contribution to the people, institutions and governments of the countries we work with – creating opportunities, building connections and engendering trust. This makes a lasting difference to the security, prosperity and influence of the UK. Our work helps to keep the UK safe and secure by reducing extremism and improving stability and security in strategically important countries. It increases UK prosperity by encouraging more trade, investment and tourism. It also makes a lasting difference to the UK’s international influence by increasing connections and networks with key decision makers globally, increasing the number of people who know and trust the UK. www.britishcouncil.org/organisation/policy-insight-research https://twitter.com/InsightBritish Cover illustration: Pawel Kuczynski Additional illustrations by Andrzej Krauze and Sophie von Hellermann Abbiamo chiesto agli autori di raccontare la propria esperienza e riflettere in modo più ampio sul valore della cultura come elemento costante di congiunzione tra cittadini europei e non solo. Le illustrazioni commissionate rappresentano un commento ironico sulla “questione europea” nel Regno Unito e l’immagine in copertina suggerisce l’urgente bisogno di una (ri)definizione dei rapporti con i nostri vicini. Il titolo della raccolta, Il giorno dopo, vuole suggerire che il Regno Unito si trova ora di fronte all’opportunità di rivalutare profondamente i suoi rapporti con le altre nazioni europee e di riconsiderare i propri legami culturali con i popoli del continente. La natura eterogenea dell’Europa è sempre stata il cuore della sua produzione culturale. Dall’Edda all’Iliade, da Picasso a Lascaux, l’Europa offre un’impareggiabile ricchezza culturale in un territorio ristretto. A molti di noi le identità nazionali sembrano più facili da definire ma il continente è sempre stato de facto una realtà collettiva fondata sullo scambio e la cooperazione. Ed è stata proprio questa speciale cooperazione europea a generare la sovrabbondanza di creatività che distingue il nostro continente. La Commissione Europea ha avuto un ruolo di grande importanza nella costruzione dei legami culturali e formativi sia all’interno dell’Europa che al di fuori di essa. Ora che il Regno Unito ha deciso di uscire, tali questioni sono ancora più importanti e il probabile cambiamento nell’entità di risorse e supporto dovrà essere compensato al meglio attraverso altre fonti. Il British Council è l’istituzione nazionale britannica impegnata nella costruzione di una comprensione reciproca. Crediamo che, dato l’esito del referendum britannico sull’appartenenza all’Unione Europea, il legame culturale tra il Regno Unito e le altre nazioni europee rimarrà vitale e dovrà aiutarci a creare fiducia e sicurezza indipendentemente dall’assestamento politico ed economico che verrà raggiunto. Siamo un’organizzazione globale con sedi in tutto il mondo ma le nostre radici sono europee e siamo nati come parte della risposta britannica all’avanzata del fascismo negli anni Trenta. Finora abbiamo mantenuto le nostre sedi in tutta Europa, superando gli anni del Dopoguerra e i decenni della Guerra Fredda fino alle sfide del presente. In tutto questo tempo abbiamo coinvolto altre istituzioni in una conversazione basata sullo scambio tra culture, espresso attraverso il linguaggio, l’istruzione, la scienza e l’arte. Come i fronti meteorologici o le ondate migratorie, la cultura e le idee non si arrestano di fronte a dogane o a leggi sul passaporto. Ciò dovrebbe essere motivo di festeggiamento e consolazione in un momento di incertezza e grandi cambiamenti. Qualsiasi corso prenderà la politica nei prossimi mesi e anni, l’Europa rimarrà il luogo degli scambi culturali di tutti noi, come è stato per millenni. 3 © British Council Martin Roth Direttore del Victoria & Albert Museum Nadia El-Sebai Direttore esecutivo dell’Arab British Centre Possiamo votare per l’uscita dall’Europa, ma resteremo sempre europei l Regno Unito in cui abito e con cui mi identifico è un’entità che posso concepire solo all’interno dell’intricato contesto europeo. C’è ancora chi conserva un ricordo diretto del momento in cui lo Stato dove sono nato dichiarò guerra alla nazione che mi ha accolto e che ora chiamo casa. Una quantità quasi inconcepibile di città, vite e famiglie distrutte; eppure, solo pochi decenni più tardi, sorse definitivamente un’Europa ambiziosa, ottimista, tollerante e partecipativa. I Come unione formale, l’Unione Europea forse non ha soddisfatto le aspettative. Ma come unione culturale, l’Europa è impareggiabile. La Gran Bretagna – e Londra – è il cuore pulsante di questa Europa che conosco e amo. Londra non sarebbe Londra senza il costante scambio di persone, arti e idee che fluisce lungo tutto il continente. È il nostro spirito creativo comune a rendere le città europee così forti e invidiate in tutto il mondo. Io, un tedesco che dirige un museo inglese in una capitale europea internazionale, sono il fortunato beneficiario di questa apertura. Da bambino nella Stoccarda del Dopoguerra, i miei primi ricordi della Gran Bretagna non sono quelli di un’isola remota e lontana. L’identità e la cultura britanniche prosperavano a due passi da casa mia. Il Maggiolino Volkswagen rombava nelle nostre città grazie a un sindaco britannico, 4 Ivan Hirst, che alla fine degli anni Quaranta salvò la linea di produzione dalla chiusura. Apprendemmo della rinascita dell’Europa da Der Spiegel, il più importante settimanale di attualità tedesco fondato dall’inglese John Seymour Chaloner nel 1947. Una delle mostre in corso al Victoria & Albert Museum è dedicata alla vita di Ove Arup, il pioneristico ingegnere anglo-danese. Il trasferimento a Londra nel 1923 segnò profondamente la sua carriera e gli permise di collaborare con i più importanti teorici del Modernismo architettonico europeo come Walter Gropius e Le Corbusier. Collaborazioni successive favorirono l’ideazione di alcuni degli edifici più famosi del mondo e oggi ci si ispira ad Arup per progetti infrastrutturali innovativi come il Crossrail. Nel 1970 Ove Arup tenne un discorso al suo staff che ancora oggi viene letto a ogni nuovo impiegato nel giorno dell’assunzione. Dichiarò che “[ci sono] due strade per cercare di ottenere la felicità: la prima è puntare alle cose che ci piacciono senza alcuna remora, ossia, senza considerare nessun altro all’infuori di noi stessi. L’altra è riconoscere che nessun uomo è un’isola, che le nostre vite sono inestricabilmente collegate a quelle dei nostri simili e che non ci può essere felicità nell’isolamento”. Io, come Arup, propendo per la seconda. Espandere la narrazione accordo politico, di un trattato o di un’assemblea di burocrati. Le commissioni parlamentari e le Camere di Bruxelles sono le polverose sale macchine dell’Europa e i nostri musei, le gallerie, le università, le imprese, gli stadi e gli atelier ciò che fornisce loro il carburante. ll’inizio di quest’anno l’Arab British Centre ha ospitato otto stelle emergenti del design libanese per mettere in mostra la loro interpretazione del tema Fashion Utopias all’International Fashion Showcase al Somerset House. Se un’esigua minoranza dei cittadini britannici chiamati al voto farà uscire il Paese dall’Unione Europea, chi pensa che il Regno Unito potrà scivolare in un glorioso isolamento resterà profondamente deluso. Dentro o fuori, la Gran Bretagna sarà sempre, in quel suo modo peculiare, europea e l’Europa conserverà la britannicità nel suo DNA. Le sfide che il mondo deve fronteggiare non sono semplici. Che le si affronti tutti insieme come parte dell’Unione Europea o meno, i legami culturali del Regno Unito con l’Europa, molto più resistenti, non si scioglieranno. Durante la meravigliosa esposizione, curata dalla Starch Foundation di Beirut, gli artisti hanno presentato la loro versione di una Beirut utopica, eternamente ancorata alla sua eredità mediterranea. La mostra è stata accolta con entusiasmo dai professionisti del settore e dal pubblico generalista, desideroso di conoscere meglio la moda emergente di un Paese ancora troppo segnato dal conflitto. Con nostra grande sorpresa, sentivamo ripetere in continuazione: “Mediterraneo? E chi lo sapeva?” [Una versione più lunga del presente articolo è stata pubblicata sul London Evening Standard] A L’Arab British Centre è un ente no profit con sede nel Regno Unito creato nel 1977 allo scopo di diffondere la conoscenza del mondo arabo nei cittadini britannici. Dalla sua creazione, il centro ha permesso a varie comunità del Regno Unito di entrare in contatto con risorse provenienti da questa regione vasta e variegata attraverso il lavoro delle organizzazioni locali e del programma culturale del Centro stesso. ruolo fondamentale e continueranno a incoraggiare gli spazi di inclusione. Poiché le notizie e le immagini della guerra provenienti dal Medio Oriente pervadono i media, il Regno Unito si scontra con una visione impoverita del mondo arabo, spesso ridotto a una cultura omogenea, una cultura in cui le diversità di religione, etnia, lingua, pratiche artistiche e patrimonio culturale vengono meno. Per fortuna molte istituzioni artistiche e culturali del Regno Unito e del resto d’Europa forniscono uno spazio sicuro in cui le comunità di tutto il mondo possono raccontare le proprie esperienze, identità e desideri in diverse forme artistiche. La nostra storia, la lunga relazione con il Medio Oriente e la forza della nostra industria culturale e creativa faranno sì che Londra rimanga un punto d’incontro per le culture arabe e una risorsa per l’Europa e il resto del mondo. Allo stesso modo, negli ultimi mesi siamo stati esposti a un restringimento della narrazione nel dibattito sul ruolo del Regno Unito nell’Unione Europea, spesso ridotta a una partita di calcio – Regno Unito vs Europa. Impossibile non essere confusi da questo concetto omnicomprensivo di “Europa”. Qual è il nostro rapporto con “essa”, qual è il “suo” rapporto con noi? In realtà queste singole entità non sono possibili: le nostre identità sono intrinsecamente collegate. Se vogliamo assicurarci che i rapporti con le nazioni europee rimangano effettivi e dinamici, dobbiamo lavorare per spezzare le limitate narrazioni che spesso ci attribuiamo a vicenda. Qualunque sia il risultato del 23 giugno, gli enti culturali avranno un Come professionisti dell’arte e direttori di organizzazioni culturali britanniche, il nostro compito è assicurarci di mantenere le porte aperte alla partecipazione, alla scoperta, allo studio e al dibattito. Le istituzioni inclusive che incoraggiano la partecipazione continueranno a favorire l’interazione tra le persone e a dirigere e plasmare i propri rapporti con l’Europa, il mondo arabo e il resto del pianeta. Il Regno Unito è il cuore di tutte queste connessioni. E chi lo sapeva? L’Europa, e il rapporto del Regno Unito con essa, è molto più di un 5 Sean Rainbird Direttore della National Gallery of Ireland Menschen bewegen – Welten verbinden * volte gli slogan colgono in modo perfetto e conciso ciò che cerchiamo di ottenere in altri campi. Con i loro motti, le ferrovie tedesche collegano emozioni umane e movimento, inclusione e connessione. I legami culturali nelle arti visive uniscono il personale e il condiviso, il conservato e l’esposto, il nascosto e il mostrato segnando un passaggio tra il luogo in cui un oggetto è preparato e il suo potenziale immaginifico negli spettatori. A Le arti performative propongono sempre più spesso dirette live nei cinema. Eppure, in un certo senso, parte dell’immediatezza dell’esibizione si perde sullo schermo. Si avverte ancora il bisogno di andare di persona agli eventi. Nonostante gli spettacoli pieni di gente che molti di noi hanno vissuto siano ormai pronti per questo salto, sostituire la presenza reale delle opere d’arte anziché incoraggiarla, sembra più un impoverimento che un arricchimento. 6 L’inesorabile avanzata della digitalizzazione ha esteso a dismisura la sfera e la distanza degli oggetti a cui ci interessiamo e ha aumentato le attività nei nostri territori. Ormai riguarda i programmi e i progetti più disparati, che possono essere trasmessi a un numero di persone un tempo inimmaginabile attraverso un’infinità di canali. Il pubblico digitale è potenzialmente molto superiore al numero dei visitatori fisici di una galleria d’arte ma internet non potrà mai sostituire l’esperienza di una visita reale. Gli enti pubblici, le gallerie, i siti d’interesse storico e il patrimonio artistico sparsi per l’Europa offrono qualcosa di unico, accessibile a un pubblico notevolmente più ampio che in passato. Le collezioni e gli eventi sono aumentati grazie alla collaborazione tra progetti digitali, di esposizione, di ricerca e conservazione. Tali scambi sono stati favoriti dalle politiche, dai programmi e dai progetti dell’Unione Europea. La mostra di Vermeer a Dublino nel 2017, per esempio, accoglierà opere provenienti da diverse città. Mostrerà il modo in cui i pittori olandesi del Secolo d’Oro modificavano stile, tecniche e soggetti in risposta l’uno all’altro, in uno spirito di sana competizione, ispirazione e rispetto reciproco, il tutto nel contesto del fiorente mercato delle loro opere. La mostra è realizzata in collaborazione con altri progetti in Olanda, Francia e sul web, sullo schermo e all’interno dei nostri archivi. Questi legami tra colleghi sparsi in tutta Europa e in America ci consentiranno di ampliare la nostra conoscenza dell’arte olandese nel Secolo d’Oro. Che cosa ha a che fare questo con il fatto che il Regno Unito faccia parte – o meno – dell’Unione Europea? La collaborazione all’interno delle relazioni culturali internazionali si adeguerà alle circostanze, qualsiasi esse siano. Le barriere e la burocrazia che regolano i controlli interni, gli accordi di prestito e le ricerche oltreconfine *Muovere persone – collegare mondi diventeranno più o meno onerose. Ci saranno altri cambiamenti, più sottili. Se le persone non parteciperanno più alle conferenze nei gruppi prestabiliti, lavorando a temi di importanza condivisa e cercando di stabilire obiettivi comuni, i canali di comunicazione diventeranno muti, o si frammenteranno. L’instaurazione di nuove relazioni richiederà tempo e riacquisizione di fiducia. I programmi di ricerca di portata europea diventeranno meno accessibili. Se il Regno Unito non farà più parte dell’Unione Europea, le nazionalità che stanno sviluppando opportunità di lavoro in altri Stati si scontreranno con nuovi ostacoli. Alcuni fenomeni – si pensi al dialogo in corso tra il nord e il sud dell’Irlanda, in cui lo scambio culturale ha un ruolo importante – hanno tratto vantaggio dai canali alternativi esterni ai rapporti bilaterali tra due Stati. Gli interventi dell’ Unione Europea e Stati Uniti, per esempio, hanno fornito soluzioni diverse per la creazione di una maggiore comprensione reciproca. Gli enti culturali cercano di gettare ponti anziché dividere. Ma non sono immuni ai cambiamenti politici. Per quanto alcune procedure dell’Unione Europea si siano mostrate difettose, irritanti o troppo burocratiche, se il Regno Unito prenderà le distanze da sessant’anni di cooperazione europea alcune barriere faranno sicuramente ritorno. Tavoli diversi, persone diverse, qualche sedia vuota. Ci vorrà un po’ di tempo per capire quali saranno le conseguenze in questi intricati rapporti, ma le conseguenze ci saranno di certo, e non necessariamente a vantaggio del Regno Unito. 7 © Stavros Petropoulos Christos Carras Direttore generale dell’Onassis Cultural Centre di Atene Elogio all’apertura ’interazione tra una vasta gamma di ambiti sociali e professionali è fondamentale per il successo dei progetti culturali, e unica nel suo settore. La cultura coinvolge le persone sotto il profilo intellettuale, emotivo e psicologico, mettendo in campo tecnologie e teorie innovative, sfidando i pregiudizi e aprendo nuove opportunità di relazione. L Queste caratteristiche innate del lavoro culturale hanno un valore intrinseco che è stato spesso oscurato dal recente bisogno di giustificare gli investimenti nella cultura prima di tutto in termini di (innegabile) impatto economico. Può darsi che la cecità di una scala di tali valori orientata al mercato e profondamente burocratica, unita al tardivo riconoscimento dell’importanza sociale ed economica della cultura, porti conseguenze catastrofiche. L’Unione Europea non ha mai elargito risorse sufficienti per convogliare le dinamiche delle identità locali (e culturali) nella visione di un contesto comune e condiviso. Questa sottovalutazione del lavoro culturale ha finito col ritorcersi contro di noi e le peggiori modalità di percezione delle differenze culturali riemergono sotto forma di nazionalismo, isolazionismo e forze politiche intolleranti. Una concezione 8 di identità culturale che vada oltre la nazionalità potrebbe controbilanciare questa pericolosa tendenza. Ciononostante, la facilità con cui negli ultimi decenni è possibile scambiarsi opere artistiche all’interno dell’Europa ha contribuito a creare una sorta di sfera comune di pratiche ed esperienze con risultati che solo l’azione culturale può ottenere. Come avviene nella maggior parte dei (tanti) validi aspetti del Progetto Europeo, questa facilità si è palesata al punto tale da perdere il suo valore percepito. Da una parte, lo scambio culturale non dipende dalle forme di unione politica. Nel corso della storia le idee, gli stili, i materiali e le conoscenze hanno sempre trovato il modo di valicare confini altrimenti impermeabili. Le idee dell’arte risuonano e gli echi si propagano. Eppure, l’unicità dell’Unione Europea è rappresentata da un lato dalla libertà di movimento e di produzione delle opere culturali all’interno dell’Unione e dall’altro dagli incentivi messi in campo per creare e mantenere viva la collaborazione tra enti culturali. Questi due elementi devono essere non solo mantenuti ma consolidati. Non ci devono essere barriere che impediscano agli artisti di lavorare ed esporre liberamente le proprie opere in Europa e le istituzioni devono sviluppare e condividere il lavoro culturale a livello internazionale. La libera circolazione di idee e pratiche è un punto di forza per la (ri) formulazione delle esigenze contemporanee in una forma che non si limiti a una prospettiva storica o culturale. Per le istituzioni, i vantaggi della collaborazione in termini di esposizione, di scambio di conoscenze, di mobilità degli attori della cultura e altri effetti sono evidenti, ma questa collaborazione ha anche un peso economico e gestionale e gli incentivi devono essere mantenuti ed estesi. Per un ente culturale greco specializzato in opere contemporanee di danza, teatro, musica, arti visive e applicate, critica culturale e formazione artistica, i vantaggi di una cooperazione europea sono evidenti tutti i giorni: incentivi alla mobilità dei giovani artisti, scambio di competenze e buone pratiche, partecipazione all’elaborazione di nuove prassi di cooperazione che garantiscono la massa critica necessaria alla loro realizzazione, supporto economico per azioni spesso innovative e sperimentali ma che forniscono spunti importanti, oltre a esperienza. Questi aspetti del nostro lavoro, e tanti altri, sarebbero spesso impossibili o quanto meno molto difficili da realizzare al di fuori dell’Unione Europea e delle strutture che essa contribuisce a sviluppare. Se si vuole preservare e aumentare lo scambio culturale, non ha senso abbandonare una struttura transnazionale che lo rende più semplice. 9 Agnès Catherine Poirier Giornalista, scrittrice e conduttrice John Dubber Responsabile delle relazioni politiche e internazionali del British Council Gli opposti si attraggono ualsiasi sfida ci lanci la Storia, l’attrazione di spiriti opposti esisterà sempre. A quindici anni dal momento in cui le compagnie aeree low-cost hanno letteralmente aperto i cieli europei ai loro cittadini meno abbienti e agli studenti affamati di novità e scoperte, non ci può essere ritorno a una mentalità dei confini chiusi, indipendentemente dal fatto di avere o no un mercato comune. La Gran Bretagna e il continente saranno sempre uniti da un punto di vista culturale, intellettuale, artistico, scientifico e, naturalmente, economico. Alla domanda “Che cos’è la britannicità?” i cittadini britannici spesso non trovano una risposta comune. Noi, dal continente, abbiamo forse una visione più chiara e distaccata. Per molti europei è una questione di lingua, letteratura e teatro. La Gran Bretagna ha dato al mondo un idioma ricco e armonioso ormai diventato lingua franca. Per molti aspetti, l’inglese è diventato anche la lingua dell’Europa. Se i giovani europei affollano le università britanniche, è per prendere parte a questo scambio linguistico e alla celebrazione di un tesoro comune. Le nostre differenze nel modo di pensare, vivere, parlare, vestirsi, mangiare, bere e amare, per elencarne solo alcune, dimostrano soltanto che finché ci saranno spiriti curiosi, giovani e meno giovani vorranno viaggiare, scoprire, capire i propri vicini e fare nostre le meraviglie che hanno scoperto oltreconfine. L’Europa, composta o meno dai membri dell’Unione, è un insieme di culture diverse, ognuna particolare e affascinante a modo suo. E la Gran Bretagna è sempre stata, e sempre sarà, uno degli elementi più attrattivi. Spesso i cittadini britannici pensano in modo diverso, scatenando dibattiti avvincenti, che arricchiscono e alzano il livello delle discussioni condivise. In compenso, la Gran Bretagna trae un grande vantaggio dall’influsso di giovani menti europee che approdano sulle sue coste e le contaminazioni più fruttuose si vedono in tutti i campi, dalla scienza all’arte. Tutti mostriamo uno specchio ai nostri vicini e questo scambio di idee e prospettive diverse arricchisce il dibattito europeo. È ormai parte delle nostre vite e non è possibile fare un Q 10 Non chiedete cosa l’Europa può fare per noi… passo indietro. Oggi, molte delle più importanti istituzioni artistiche sono affidate a brillanti storici dell’arte nati oltreconfine. È straordinario pensare che alcune icone nazionali come il British Museum, la Galleria degli Uffizi o l’Accademia di Venezia siano diretti da storici dell’arte tedeschi. Solo vent’anni fa sarebbe stato impensabile ed è proprio questa l’Europa in azione, un’Europa di eccellenza e di scambi che superano i pregiudizi nazionali. Fino a quando le persone sceglieranno di cambiare Paese e fino a quando vorranno scoprire cosa c’è oltre l’orizzonte, lo spirito europeo sarà vivo e vegeto. Vive la différence! a campagna referendaria ha infiammato gli animi ma non ha generato la stessa quantità di luce. Nella corsa per sostenere i relativi vantaggi dell’accesso a un singolo mercato, della tutela dei diritti dei lavoratori o della capacità di controllare l’immigrazione, i portavoce di entrambe le parti hanno spesso trascurato che il vasto settore della cultura è parte integrante della discussione sull’identità nazionale e sul ruolo del Regno Unito nel mondo. L Oggi il Regno Unito è un punto d’incontro tra Europa, Commonwealth e resto del pianeta, uno snodo globale in cui si incontrano persone, culture, idee, lingue e relazioni. Eppure, sebbene la nostra condizione di centro mondiale della cultura porti grandi vantaggi, non sempre ci ha aiutato a concepire noi stessi come nazione. Il Regno Unito ha faticato molto per venire a patti con la sua storia e la sua identità europea, atlantica e imperiale. Siamo combattuti tra la nostra posizione geografica e la storia e la cultura condivise con il continente, i nostri legami linguistici e culturali con il mondo di lingua inglese e le nostre relazioni storiche e culturali con il più ampio Commonwealth. Dopo il referendum, la cultura può assumere un ruolo importante, aiutandoci a sviluppare una concezione più chiara di noi stessi come nazione e a definire meglio le nostre aspirazioni internazionali. Un dibattito culturale nazionale può farci comprendere cosa significa essere cittadini britannici oggi. Può essere un’occasione per chiederci in che nazione vogliamo vivere e quale crediamo che sia il nostro ruolo nel mondo. La particolare storia del Regno Unito e la sua memoria collettiva fanno sì che molti di noi concepiscano l’Unione Europea in modo diverso dagli altri cittadini del continente. Per molti, l’appartenenza all’Unione Europea è più un calcolo pragmatico che una questione affettiva. Da parte loro, molti europei sono confusi dall’ambivalenza britannica riguardo al “Progetto Europeo”. Gli scambi culturali possono aiutarci a vedere il mondo con gli occhi degli altri popoli, europei e non, e a comprendere le loro convinzioni e aspirazioni. È anche fondamentale costruire e ri-costruire un’amicizia e una fiducia internazionali, indipendentemente dal fatto che il nostro futuro sia dentro o fuori dall’Unione Europea. Continueremo certamente a condividere le maggiori sfide internazionali (dal cambiamento climatico all’ascesa dell’estremismo) con i nostri vicini e dovremo lavorare insieme per superarle. In uno dei discorsi più incisivi del XX secolo, il neoeletto Presidente degli Stati Uniti John F Kennedy si rivolse al mondo intero dicendo che “la fiaccola è stata consegnata a una nuova generazione” di americani, ed esortò così il suo pubblico: “Non chiedete cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Meno nota è la frase che seguì: “Concittadini del mondo, non chiedete cosa può fare l’America per voi, ma cosa possiamo fare, insieme, per la libertà dell’uomo”. Questo passaggio riassume l’importante sfida che deve affrontare oggi il Regno Unito. Qualunque sia l’esito del referendum, è giunto il momento di riflettere più a fondo sull’identità culturale britannica e sui suoi valori. È anche un’occasione per indagare non solo sui benefici a breve termine che vogliamo ottenere dalla relazione con gli altri Stati europei, ma su come immaginiamo il nostro apporto futuro all’Europa e al mondo. 11 Sir Martyn Poliakoff Professore e ricercatore di chimica all’Università di Nottingham, vicepresidente dell’European Academies Science Advisory Council; divulgatore scientifico su YouTube* Nick Barley Direttore dell’International Book Festival di Edimburgo Una data da ricordare? l 23 giugno è sempre una data importante per me. È il mio anniversario di matrimonio. Quest’anno ho prenotato un tavolo per le sei, in modo che la nostra cena non sia guastata dagli exit poll. Ma sto correndo troppo. I Ho una formazione internazionale e ho lavorato presso istituzioni scientifiche internazionali per diversi anni. Sono un professore universitario di chimica. Mio padre era russo, mia madre inglese ed io sono cresciuto in una casa in cui si parlavano russo, francese e tedesco. Eppure, ho trascorso tutta la vita nel Regno Unito e mi sento cittadino britannico. Il mio bisnonno era un Lord e un mio prozio è stato Ministro durante la Prima Guerra Mondiale. Dal 2011 sono anche segretario degli esteri della Royal Society e durante questo periodo sono stato una sorta di ambasciatore della scienza britannica. Quando a novembre scadrà il mio mandato, avrò visitato trenta Stati esteri, quindici dei quali nell’Unione Europea, per far conoscere il lavoro degli scienziati britannici e il ruolo della scienza come impresa mondiale. Sono anche attivo nella ricerca e, come molti miei colleghi, passo la maggior parte del tempo a cercare fondi. In tutta la mia carriera assicurarsi i finanziamenti per la ricerca è sempre stato difficile e ora la competizione è sempre più dura. Le mie ricerche 12 sono state finanziate dall’Unione Europea per più di trent’anni. Non sono solo. All’interno del programma dell’Unione Europea Framework 7, solo la Germania riceve più fondi di ricerca del Regno Unito. Eppure, il Regno Unito riceve più fondi dall’Unione Europea di quanto non vi contribuisca; le statistiche ufficiali indicano che tra il 2007 e il 2013 abbiamo contribuito ad attività di ricerca e sviluppo dell’Unione Europea per 4,5 miliardi di euro e nello stesso periodo abbiamo ricevuto 8,8 miliardi di fondi europei per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione. Di questi fondi fanno parte anche quelli della Marie Skłodowska-Curie Actions (MSCA) che finanzia borse di post-dottorato e di studio per giovani ricercatori che vengono nel Regno Unito, anche nel mio laboratorio. Al momento ho un promettente post-doc e studente che lavora grazie alla MSCA, che ha contribuito anche a tre matrimoni internazionali tra miei collaboratori, e due coppie sono rimaste qui per sviluppare la ricerca nell’industria britannica. Naturalmente, intorno ai fondi europei c’è molta burocrazia, ma meno che in alcuni programmi di finanziamento del Regno Unito. Per me e per molti altri ricercatori del Regno Unito il valore reale dell’Unione Europea è l’incentivo alla collaborazione. Molti fondi sono elargiti Lo sviluppo dello spirito umano a gruppi di scienziati dislocati in diversi paesi dell’Unione che lavorano insieme per vincere importanti sfide della ricerca. In concreto, la collaborazione del Regno Unito con i partner europei si sta espandendo più velocemente di quella con gli statunitensi. Nel 2015 circa il 30% dei risultati della ricerca britannica hanno visto la collaborazione di colleghi europei, compreso il mio migliore lavoro dell’anno scorso. Ho anche un terzo incarico. Sono il Vicepresidente della European Academy of Sciences Advidory Council, che stila autorevoli rapporti per informare i politici europei su questioni come i cambiamenti climatici estremi o la sostenibilità dei mari. Sono studi importanti perché riguardano problemi transnazionali che hanno effetti sull’intero continente e non solo. Gli scienziati britannici possono dare un grande contributo ma non possono risolvere i problemi da soli. Quando leggerete questo articolo, il risultato del referendum sarà ormai noto ed io sarò impegnato a valutarne gli impatti sulla scienza nel Regno Unito. Qualunque sia l’esito, il 23 giugno rimarrà una data felice per me, ma solo il tempo ci saprà dire se il risultato del referendum sarà ricordato con affetto. *www.periodicvideos.com no degli aspetti più singolari del dibattito sul referendum britannico è stato la relativa assenza di voci appassionate a favore dell’Unione Europea. La maggior parte dei cittadini europei non era ancora nata quando nel 1950 i Paesi cominciarono ad aggregarsi, mossi dalla convinzione che lavorando insieme avrebbero potuto garantire una pace duratura. E dopo nemmeno settant’anni, i suoi critici hanno guadagnato consenso sostenendo che l’Unione Europea è spesso troppo democratica, quasi sempre piena di burocrazia e in un certo senso poco adatta ai fini che si è prefissata. U Questi critici hanno liquidato troppo in fretta i successi dell’Unione Europea. A prescindere dal fatto che è un fiorente spazio di scambi economici, l’Europa unita ha raggiunto i suoi scopi sotto molteplici aspetti e, cosa forse più importante, in due settori chiave. In primo luogo, le battaglie per i diritti umani e la democrazia hanno reso l’Europa uno dei luoghi in cui molti aspirano a vivere. Secondo, dopo secoli di massacri, l’Unione Europea è riuscita a mantenere una pace in modo più o meno costante in tutto il continente. A metà del XX secolo, in nome della pace, Edimburgo, Amsterdam e Avignone furono scelte come città dei festival per offrire “uno spazio che consenta lo sviluppo dello spirito umano”. Oggi, i festival di Edimburgo hanno raggiunto una fama mondiale e ogni agosto la popolazione della città raddoppia: persone provenienti da ogni angolo del pianeta si radunano in Scozia per partecipare a una festa della cultura. Questo successo mostra pochi segni di cedimento. I festival sono l’espansione industriale del XXI secolo applicata alla cultura: non solo quelli letterari come il mio, ma anche di musica, teatro, commedia, arte e di ogni altro tipo. La leader politica Shirley Williams una volta mi ha fatto notare che i festival hanno sostituito i raduni politici e le congregazioni religiose, diventando la forma di aggregazione più importante per i cittadini britannici. Il suo commento vale anche per molti altri Stati europei. I festival rappresentano per l’Europa uno straordinario incentivo agli scambi interculturali, come il festival del teatro di Avignone, l’Eisteddfod in Galles o il Joseph Conrad Literary Festival di Cracovia. nel loro insieme, spingono ogni anno milioni di cittadini europei a celebrare lo “spirito umano”, dando voce ad attività locali organizzate dal basso e presentante accanto ad artisti di fama internazionale. Le possibilità di collaborazione sono pressoché infinite. I media digitali e i canali di diffusione permettono di registrare gli incontri che avvengono nei festival e riproporli online o persino nei cinema, consentendo un’ampissima diffusione delle idee. Inoltre l’espansione di piattaforme di apprendimento online come i Massive Open Online Courses (MOOC) offre ai festival la possibilità concreta di instaurare rapporti di collaborazione a lungo termine che coinvolgano sia il pubblico sia le istituzioni accademiche. Esuberanti, indipendenti e spesso anarchici, i festival non sono una panacea e non inducono necessariamente i loro frequentatori ad amare l’Unione Europea. Ma di certo possono rivestire un ruolo di primo piano nella crescita culturale del continente. Molti festival artistici richiedono alcuni investimenti pubblici per la loro organizzazione, ma generano notevoli ritorni in termini sia economici sia culturali. Considerati 13 © Goethe-Institut/ Loredana La Rocca Johannes Ebert Segretario generale del Goethe-Institut Verso la linea di faglia L La collaborazione con i partner europei dentro e fuori dall’Europa ci consente di contribuire alla definizione del futuro del continente attraverso un dialogo creativo, critico e allo stesso tempo costruttivo. I nostri progetti vincenti e perfezionati insieme ne sono la prova! Indipendentemente dal risultato del referendum britannico sull’appartenenza all’Unione Europea (mentre scrivo questo testo, spero sinceramente che quelli che voteranno per rimanere nell’Unione, e dunque per un’Europa comune e condivisa, siano la maggioranza), il GoetheInstitut si impegnerà a continuare il dialogo con il suo partner di lunga data nel Regno Unito. In particolare vorremmo focalizzarci su quegli aspetti di cui, in un dibattito spesso infuocato, si è parlato meno ma che restano fondamentali. Poiché al momento si discute soprattutto di temi politici, economici e finanziari, sembra passato in secondo piano il discorso più ampio sui valori condivisi: le questioni riguardanti la diversità culturale o la possibilità di un lavoro culturale e formativo volto alla coesione dell’Europa e al suo ruolo nel mondo. Ma se non li affrontiamo in modo adeguato, questi temi cruciali che in definitiva riguardano la costituzione 14 ‘So Glad You Stayed, Britannia.’ Artist: Sophie Von Hellermann a cooperazione europea riveste un’importanza strategica per il Goethe-Institut ed è stato un elemento costante del nostro lavoro per diversi anni. di un’identità europea saranno ignorati. Il Goethe-Insitut sta lavorando attivamente e con dedizione nel Regno Unito e vuole sfruttare le relazioni con altre istituzioni culturali e formative per riavviare la discussione. A mio parere sarebbe particolarmente importante – e molto stimolante – concentrare l’attenzione sulla linea di faglia della società. Se gli scetticismi sull’unità e la solidarietà europea sono diffusi in diversi settori della popolazione, dobbiamo chiederci con quali argomenti, con quali proposte e modalità possiamo raggiungere e parlare a chi è critico verso l’Europa. Le sedi del Goethe-Institut di Londra e Glasgow sono coinvolte in diverse reti locali ed europee e forniscono un punto di incontro non solo per progetti specifici ma anche per considerazioni di tipo strategico, importanti per una definizione comune del futuro dell’Europa. Indipendentemente dall’esito del referendum del 23 giugno, le discussioni fondamentali e la spaccatura all’interno della società britannica, così come in altri Stati dell’Unione in cui sono presenti sostenitori e oppositori dell’Europa, rappresentano una sfida, e una rivitalizzazione, nello scambio tra culture. Speriamo che il referendum si trasformi in un’occasione per dare avvio a importanti discussioni e progressi, non solo nel Regno Unito ma in tutta Europa! 15 © Katherine Leedale Gail Cardew Docente di Scienza, cultura e società presso il Royal Institution e presidente dell’EuroScience Open Forum Supervisory Committee Frank Burnet Docente di Scienze della comunicazione Le città europee della scienza o sapevate che la città europea della scienza del 2016 è Manchester, nel Regno Unito? Il titolo le è stato conferito perché a luglio di quest’anno, poche settimane dopo il voto dei cittadini britannici sul referendum europeo, la città ospiterà l’EuroScience Open Forum (ESOF), la più grande conferenza scientifica d’Europa. L Per anni ho partecipato fedelmente alle attività dell’EuroScience, l’organizzazione apolitica e gestita dal basso che organizza la conferenza, e ora presiedo la commissione incaricata di selezionare le città che ospiteranno l’ESOF. Mi piace pensare che sia un po’ come scegliere la città delle Olimpiadi, solo della scienza anziché dello sport. Il paragone è più calzante di quanto si potrebbe pensare. Lo scopo dell’ESOF è riunire i più importanti scienziati d’Europa (gli “atleti di punta” della scienza europea, per così dire) per discutere e riflettere di scienza nel senso più ampio. Gli scienziati condividono i propri lavori con esperti di altre discipline, discutono dei fattori che incidono sulle modalità di lavoro – come etica, politica, industria, fondi e carriera – e sulle tendenze dominanti nella comunità scientifica. Ci sono anche premi, riconoscimenti e borse di studio per giovani ricercatori e giornalisti scientifici. 16 Tutto questo è discusso in forma pubblica, nel cuore della città, accanto al resto del panorama culturale. Ci sono dimostrazioni scientifiche, letture di poesie, caffè letterari, festival cinematografici, giochi e una miriade di altre attività che ispirano, stimolano e stuzzicano l’interesse di un pubblico più vasto (o di “spettatori” per dirla in termini olimpici). Tutto questo è molto importante per me. La scienza plasma le nostre vite, le nostre culture e il nostro futuro in diversi modi. Il compito di trarne il massimo vantaggio a favore della società è, a mio avviso, troppo importante perché sia lasciato ai soli scienziati. Nonostante l’idea di collocare la scienza nel cuore stesso della “cultura” possa sembrare un approccio molto moderno, in realtà non è completamente nuovo. Per 200 anni la Royal Institution, attraverso conferenze pubbliche sull’arte e le scienze umane, oltre che su matematica e scienza, ha fatto proprio questo concetto per cercare di superare la tendenza a dividerle nelle “due culture” definite da Charles Percy Snow. Ci siamo chiesti che cosa fare a Manchester nel caso in cui i cittadini britannici votino per l’uscita dall’Unione Europea. Molti scienziati sono preoccupati per le conseguenze a breve e lungo termine, soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti e la mobilità degli scienziati più giovani, Appunti dalla Casa della Sapienza essenziale per raggiungere una buona esperienza nel campo della ricerca. Altri si chiedono se il Regno Unito saprà avere un ruolo d’influenza nei grandi progetti scientifici paneuropei. a scienza ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella creazione e nel mantenimento dei rapporti culturali. Ma ancora più oscuro è l’effetto a lungo termine che l’uscita dall’Unione Europea provocherebbe sugli aspetti sociali e culturali della scienza. In termini di scienza e cultura, l’uscita dall’Europa renderebbe la società britannica più forte o più debole o la lascerebbe invariata? Si potrebbe sostenere che il più importante esempio di ciò risalga al primo Millennio, quando il Califfato abbaside con capitale a Bagdad istituì la Casa della Sapienza e vi radunò testi scientifici provenienti da Grecia, India, Persia e Cina per farli tradurre in arabo. In una certa misura dipenderà dai rapporti tra gli scienziati, rapporti personali stabiliti tra individui spinti da un interesse comune verso la scoperta scientifica e l’innovazione tecnologica. Questi legami sono molto forti e spesso superano i confini di qualsiasi nazione o organismo sovranazionale. Ma dipenderà anche dagli sforzi per continuare a collocare la scienza nel cuore della cultura e coinvolgere un settore più ampio e trasversale della società nella discussione sul nostro futuro comune che dipende dalla scienza e dalla tecnologia. Qualunque sia l’esito del referendum, una cosa non cambierà: continuerò a sostenere il programma di scienza, cultura e società di Manchester di questo luglio. L Il Califfato si servì anche di brillanti scienziati, come i leggendari fratelli Banū Mūsā, per applicare ed estendere le conoscenze scientifiche apprese tramite tali testi, sia con progetti di ingegneria civile su larga scala con cui, ad esempio, migliorare i sistemi di irrigazione, sia per dotare il Califfo dei primi giocattoli scientifici con cui intrattenere, stupire e probabilmente intimidire gli ospiti di corte. Ci fu un altro Califfato con capitale a Cordova, in Andalusia, che favorì la diffusione delle conoscenze scientifiche in Europa alla fine del primo Millennio. Ai nostri giorni uno dei risultati scientifici europei di maggiore spicco, il Large Hadron Collider, è figlio di questo ponte tra culture. Alla sua realizzazione hanno contribuito più di 100 nazioni, molte con storie di reciproca ostilità ma desiderose di lavorare insieme per condividere le conoscenze e le competenze necessarie per ricreare le condizioni esistenti un nanosecondo dopo il Big Bang e poi riuscire a scovare l’elusivo bosone di Higgs. È stato fatto notare che andrebbe creata al più presto una struttura internazionale specializzata su modello di questa con cui affrontare una minaccia che riguarda tutte le culture del pianeta: il cambiamento climatico. Che questa possa diventare un’ipotesi concreta è testimoniato dalla natura globale del metodo di lavoro degli scienziati britannici e dalla natura dei loro viaggi di scoperta che li immergono in una fitta rete di collaborazioni internazionali solo marginalmente dipendenti dalla geopolitica. Ho avuto il privilegio di far parte del team che ha ideato il FameLab, un contest internazionale che dà a ogni scienziato tre minuti di tempo per illustrare un fatto scientifico al grande pubblico. Ora il FameLab è organizzato in più di trenta Paesi in tutto il mondo, compresi quest’anno tredici membri dell’Unione Europa, e la finale internazionale raggruppa tutti i vincitori nazionali. Molti di questi scienziati sono all’inizio della loro carriera e rimarranno amici per tutta la vita. Il prossimo grande passo da compiere è convogliare il loro impegno e le loro energie per far sì che tutti i cittadini del mondo abbiano la possibilità di condividere i propri percorsi di scoperta: in fondo, si tratta di un viaggio nel futuro di tutta l’umanità. Questa condivisione deve essere portata avanti dagli scienziati con le giuste competenze e tramite nuove appassionanti forme di diffusione della conoscenza. E farò lo stesso a Tolosa per ESOF 2018 e in qualsiasi città europea decideremo di ospitare ESOF 2020. 17 Michael Bird Direttore del British Council Russia Lyubov Kostova Direttore del British Council Bulgaria Persone, rispetto, fiducia: una prospettiva a lungo termine dalla Russia urante la campagna referendaria sull’Unione Europea, ricordo solo di due russi che mi hanno chiesto se il Regno Unito stava davvero per uscire dall’Europa, mentre per il referendum scozzese sostenevo almeno due conversazioni al giorno sulla possibile spaccatura all’interno del Regno Unito. D Mi sono chiesto il motivo di questa differenza e sono giunto alla conclusione che la possibilità di un’indipendenza scozzese affascinasse i russi perché non si inserisce nella loro concezione di Regno Unito mentre la complessità dei rapporti tra Regno Unito ed Europa è riconducibile alla relazione tra l’Europa e la stessa Russia. La Russia, si sa, ha un passato imprevedibile ma c’è un interrogativo che attraversa tutta la sua storia, ovvero se sia parte dell’Europa o abbia un destino a sé stante. Lo troviamo nel XIX secolo nella polemica tra slavofilismo e occidentalismo, lo troviamo nel XX secolo nella battaglia ideologica che ha portato al socialismo in una sola nazione e lo troviamo oggi, venticinque anni dopo la fine dell’Unione Sovietica, nella ridefinizione dei “valori culturali russi”. 18 La scienza: linguaggio mondiale Nel XXI secolo lo ritrovo nello scontro tra modernità e conservatorismo. Le persone, le nazioni, l’umanità sono interconnesse o l’idea di uno stato nazione autosufficiente ha ancora un futuro? della Gran Bretagna nel 2016 sta celebrando Shakespeare, “il più russo degli scrittori europei”, secondo la definizione del consigliere presidenziale per i rapporti culturali internazionali, Mikhail Shvydkoy. Lavorando in un’organizzazione che mette in contatto persone di tutto il mondo, ho già una mia risposta e lavorando per il British Council in Russia considero questo impegno un modo per ricordare alla Russia che fa parte dell’Europa e del mondo. Abbiamo bisogno di tante altre iniziative simili. Valerij Gergiev, Direttore del Mariinksy Theatre, ha dichiarato: “La Russia senza la cultura non è uno Stato: è solo una sterminata distesa di terra”. Nel XXI secolo le piattaforme digitali ci forniscono gli strumenti per mettere in contatto le persone, con la cultura, attraverso questa sterminata distesa di terra. È interessante come allo stesso tempo molti credano che la Russia si stia ripiegando su se stessa mentre tanti in Russia pensano che siano l’Europa e il mondo a ripiegarsi su se stessi. Per me non è una questione di intenti politici ma un’affermazione di valori culturali condivisi. In Russia, più i rapporti politici sono difficili e più si dà valore alle relazioni culturali. Il nostro Anno incrociato delle culture della Russia e della Gran Bretagna nel 2014, l’anno in cui i rapporti politici si sono seriamente incrinati, è stato descritto da Martin Roth, Direttore del Victoria & Albert Museum (e tra gli autori di questa raccolta) come “un kit di pronto soccorso culturale in una situazione difficile”. Il nostro Anno delle lingue e delle letterature della Russia e Le relazioni culturali con la Russia si fondano tutte sulle persone, il rispetto e la fiducia. Ci impongono anche una prospettiva a lungo termine. Non possiamo permettere che il nostro lavoro sia determinato dai cicli politici, che in Russia tendono a essere estremi. Quando guardo oltre i problemi quotidiani e assumo una prospettiva a lungo termine, l’idea fondamentale è quella espressa da Mikhail Gorbachev al tempo del mio primo incarico a Mosca: la Casa comune europea. Non so ancora come possa funzionare nel mondo politico, ma nel mondo della cultura, a mio avviso, funziona proprio bene. urante una festa in un affollato locale di Stoccolma, Bo ordina una birra. La cameriera lo guarda ed esclama: “Ehi, ma tu sei un FameLabber! Ti ho visto al museo a Londra!” D Bo è un dottorando bulgaro in Svezia ed è appena tornato dall’evento Hall of FameLab che abbiamo organizzato per la Notte europea dei ricercatori al Natural History Museum di Londra. Ha partecipato insieme ad altri giovani scienziati provenienti da vari Paesi europei, tutti studenti di FameLab, il prodotto dello Science Festival di Cheltenham. È una gara di divulgazione scientifica in cui i partecipanti hanno solo tre minuti per spiegare un concetto scientifico a scelta e sono giudicati per il contenuto, la chiarezza e la forza carismatica della loro presentazione. Dal 2007, grazie alla collaborazione con il British Council, il FameLab è diventato internazionale. Ora, nemmeno dieci anni più tardi, è ormai “virale” e più di trenta Stati in tutto il mondo organizzano gare nazionali. I partecipanti dichiarano all’unanimità che la cosa più importante sono i due giorni di conferenze tenute da divulgatori scientifici britannici in ogni Stato. E la rete internazionale degli studenti. Solo nel 2016, i vincitori nazionali di tredici Stati dell’Unione Europea si sono sfidati alla finale di Cheltenham. La scienza è davvero mondiale: il 48% degli articoli scientifici britannici è il risultato di collaborazioni internazionali e il 40% dei ricercatori che lavorano nel Regno Unito sono stranieri. Più del 50% dei dottorandi nel Regno Unito provengono dall’estero. Inoltre, una percentuale compresa tra il 10 e il 20% dei fondi britannici per la ricerca sono utilizzati per collaborazioni internazionali e le ricerche condotte negli istituti di alta formazione britannici hanno portato un contributo in ogni nazione del mondo. La geografia del FameLab è altrettanto ricca e complessa. Insieme ad altri FameLabber provenienti da Italia e Grecia, Bo ha lavorato all’organizzazione della gara in Svezia. Uno studente croato ha convinto la sua università svizzera ad avviare un suo FameLab e ora si svolge anche al CERN. La vincitrice austriaca del 2008 è un’italiana, la quale ha poi ispirato il lancio di FameLab in Italia e più tardi un altro vincitore del FameLab austriaco si è consultato con il suo team in Spagna per organizzare la gara che alla fine ha attirato l’attenzione… dell’attuale regina di Spagna! Ogni anno in Bulgaria invitiamo FameLabber internazionali allo Science Festival di Sofia grazie alla collaborazione tra i nostri rispettivi centri nazionali di cultura. Qui incontrano gli idoli della scienza britannica, Robert Winston o Richard Dawkins, anche loro relatori al festival. Questi incontri non sono una coincidenza: la scienza è un linguaggio mondiale. Ed è anche un potente strumento di relazione culturale. Il Regno Unito ha un ruolo speciale in questa sfida mondiale verso il progresso e la prosperità, grazie anche a reti come il FameLab International. Per tornare al locale, Bo ha intavolato una conversazione con la cameriera la quale si è rivelata essere una studentessa britannica di biochimica che sta facendo un anno di studio in Svezia. Ora, concluso il dottorato, Bo ha ottenuto una borsa di post-doc a Oxford. Segnatevi le mie parole: un giorno il suo nome sarà in qualche notizia legata a un’importante scoperta nel campo della nanotecnologia. Ma per il momento mi ricorderò le sue parole: “Ciao, sono un FameLabber e sono dipendente… dagli amici che mi ha fatto conoscere”. 19 © Shekhar Bhatia Bidisha Scrittrice e conduttrice Eliminare le barriere culturali n questo momento mi trovo a Pechino. Dalla Cina, l’Inghilterra sembra una piccola terra lacerata dall’ineguaglianza e dalla mancanza di opportunità, tormentata da paure infondate: dei profughi, dei terroristi, dei migranti, delle persone che sembrano “diverse”, dell’invasione o controllo da parte di qualche forza esterna, che si tratti della burocrazia di Bruxelles o della violenza radicalizzata. I La Gran Bretagna ha parecchio lavoro da fare in termini di relazioni culturali. Dobbiamo dimostrare di non essere fatalmente impigliati in ingenui e monorazziali ricordi di grandezza che partono da Beowulf e arrivano a Virginia Woolf passando per Guglielmo il Conquistatore e William Morris. Dobbiamo dimostrare di non essere dei filistei culturalmente arroganti che vogliono giocare nella grande arena di sabbia pubblica solo se possono essere i capi e impartire ordini o essere i pupilli dei giocatori più potenti, o ancora giocare solo con quelli identici a noi. Dobbiamo accettare che le fonti predominanti del potere culturale non sono solo quelle in lingua inglese e americana ma possono arrivare da qualsiasi parte, dai registi cinesi, indiani e iraniani, dagli artisti visivi e dai coreografi dell’America Latina, dai poeti del Medio Oriente e dagli scrittori dell’Europa centrale, fino ai documentaristi dell’Est Europa. 20 Il Regno Unito continuerà a essere un attore degno di rispetto nella comunità artistica e politica internazionale solo se si aprirà ed eliminerà le barriere culturali. Dobbiamo iniziare ad accogliere le lingue dei nostri vicini e anche di chi non è geograficamente prossimo, insegnando ai nostri figli idiomi diversi già a scuola, aiutandoci con lo studio di romanzi, film, arti e storia di altri Paesi. Sono favorevole a rendere obbligatorio lo studio di almeno una lingua che non abbia l’alfabeto latino, come il cinese, l’arabo, il farsi o il russo. Potremmo ricominciare a investire nell’arte e nelle scienze umane a livello universitario, offrendo posizioni di prestigio a importanti accademici e artisti internazionali e incoraggiare l’iscrizione di studenti stranieri, chiedendo loro tasse ragionevoli, non esorbitanti. Potremmo anche consentire a queste persone di lavorare come artisti o studiare come apprendisti o assumerli come impiegati nelle istituzioni culturali britanniche una volta terminati gli studi. Potremmo garantire soggiorni a lungo termine e scambi tra artisti di qualsiasi disciplina, dalla poesia alla ceramica, in collaborazione con università, gallerie d’arte e fondazioni di tutto il mondo. Vorrei vedere un maggiore investimento nella pubblicazione di letteratura tradotta in lingua inglese e un impegno da parte dei principali teatri britannici a rappresentare opere teatrali contemporanee di drammaturghi europei; lo stesso vale per gli spazi e i festival dedicati a film, arte e danza. Dobbiamo anche convincere i mass media a inaugurare una nuova tradizione di rigoroso impegno critico nei confronti dei creativi europei, senza cinismo o facili concessioni. Questo significa aprirsi, non serrare le file; abbassare il ponte levatoio, non ritirare la scala; farsi ispirare dalle nuove tendenze e creare una comunità culturale diversa dal passato senza sentirsi minacciati o superiori o isolati. Significa fare un grande sforzo per cambiare le cose prima che sia troppo tardi e si finisca col diventare davvero una piccola isola sperduta in un mare ghiacciato. 21 Tim Supple Regista Teatrale Internazionale Elif Shafak Scrittrice, saggista e relatrice Il Matto del Re Lear e l’Europa e il 23 giugno il Regno Unito voterà per l’uscita dall’Unione Europea, io sposterò la mia casa e la mia sede artistica da un’altra parte. Non è negativo come potrebbe sembrare, è solo una presa di coscienza che l’appartenenza del Regno Unito all’Unione Europea non è fondamentale per fare teatro. La decisione di andarmene sarebbe in parte dovuta alle mie congetture su chi guiderebbe il Paese, su come finirebbe e con quale mandato. E d’altra parte sarebbe un bel modo per conservare quella relazione aperta e fluida con il resto del mondo di cui sento il bisogno. S La questione cruciale su come conservare collaborazioni culturali dinamiche e fruttuose con l’Europa si affronta meglio partendo da un punto fermo: le nazioni vanno e vengono ma lo spirito dell’arte è indistruttibile. La creazione e la fruizione di ciò che intendiamo con cultura (teatro, film, arte, libri, musica) mostra un Paese globale che prescinde dalle barriere nazionali e sovranazionali. Non c’è dubbio che l’identità nazionale, gli interessi, le tradizioni e a volte le espressioni concorrono tutti a una creazione artistica dinamica e fruttuosa. Ma le opere e le esperienze più grandi non si limitano a questa prospettiva. Come i migliori genitori, le nazioni devono nutrire l’arte senza mai sperare di esserne i proprietari. Chi ora pensa che le opere teatrali dell’antica Grecia “appartengano” allo Stato greco moderno? Spero che lo stesso si possa dire un giorno di Shakespeare. Brexit da parte di un ente di finanziamento sarebbe l’immediato annuncio delle seguenti misure: Il dialogo e la collaborazione tra artisti dovrebbero essere il più liberi possibile da interessi nazionali (ed economici, religiosi, ideologici e tribali). Quando la cultura è frenata da queste forze, diventa uno dei tanti organismi del potere e un mezzo di controllo. Raramente è una buona cosa. L’attività artistica fiorisce come spazio libero e alternativo. È strano, lo so, dover chiedere a quelli che hanno soldi e potere di dare senza aspettarsi nulla in cambio; al massimo gratitudine, ma non certo lealtà, sostegno, discrezione. Eppure questo è il migliore accordo che si possa stringere con gli artisti, lo sapeva bene Re Lear con il Matto: che senso avrebbe la sua figura se non gli lasciasse dire quello che vuole? 2. Riformulazione radicale del procedimento di assegnazione dei fondi: è diventato troppo regolato, troppi schemi con criteri precisi… dovrebbe essere più aperto a quello che gli artisti vogliono fare. Con o senza l’Unione Europea, il modo migliore per tenere vivi i rapporti culturali è finanziarli, supportarli e soprattutto lasciarli esistere liberamente. In termini pratici la risposta più forte alla 1. Aumento radicale dei fondi per scambi e collaborazioni artistiche (visite, co-produzioni e comunicazione): i soldi non bastano mai. 3. Pressione sul governo per semplificare il rilascio del visto agli artisti: per molti è vergognosamente difficile. Ma consiglierei queste tre misure indipendentemente dal risultato del referendum. Con o senza la recente istituzione dell’Unione Europea, dobbiamo lavorare sodo per conservare collaborazioni culturali dinamiche e fruttuose. Che sono auspicabili e necessarie e sono la ragione fondamentale per cui faccio teatro. Sognare in più lingue urante la mia prima visita a Londra, parecchi anni fa, girai per le strade osservando le targhette blu sulle facciate degli edifici. Erano dedicate ad artisti, filosofi, uomini di Stato, scienziati, scrittori… Venendo da Istanbul, una città dalla grande storia ma affetta da un’amnesia collettiva ancora più grande, ero sorpresa dal modo in cui la memoria urbana era tenuta viva. Mi fermai davanti a un grande edificio bianco, gli occhi incollati su un cartello tondo: “Qui visse Mustafa Reshid Pasha, uomo di Stato e diplomatico ottomano”. Reshid Pasha è stato il promotore delle Tanzimat, una serie di riforme progressiste (introdotte dall’Impero Ottomano nel XIX secolo), tra cui l’abolizione della schiavitù e della tratta degli schiavi. È stata una bella sorpresa scoprire che la città di Londra ricorda e rende onore a quest’uomo, probabilmente più di quanto non l’abbia mai ricordato e onorato la madrepatria. D I legami culturali sono onde che si spingono lontano, raggiungendo sponde sconosciute. Da bambina mi sono sempre sentita vicina all’Inghilterra grazie a Charles Dickens, Oscar Wilde, Roald Dahl e altri scrittori. Con il tempo, ho trovato nella lingua inglese una seconda patria. Nonostante in Turchia sia stata aspramente criticata per aver scritto in inglese e in turco, continuo a credere che sia possibile, e abbastanza naturale, sognare in più lingue. Purtroppo, non tutti possono essere nomadi o globetrotter. Un allarmante numero di persone non ha mai messo piede in “terra straniera” né si è mai 22 trovata davanti a persone con un diverso background culturale, etnico o religioso. L’isolamento fomenta la xenofobia. In presenza di un divario cognitivo tra “noi” e “loro” è molto più semplice fare generalizzazioni che alimentano la paura, i cliché e gli stereotipi. Per un essere umano, niente è più pericoloso del non sapere di essere intrappolato in una narrazione a senso unico. La prima cosa che le società non democratiche negano ai propri cittadini è la molteplicità. Uno dei più grandi problemi della Turchia e del Medio Oriente oggi è che a milioni di persone sia imposta dall’alto una narrazione a senso unico che riguarda la loro storia, il loro regime e la situazione mondiale. In questo contesto, i legami culturali di qualsiasi tipo possono fare un’enorme differenza. L’arte del raccontare storie sostituisce l’unicità con la diversità. La cultura raggiunge coloro che altrimenti sarebbero rimasti isolati per sempre. Per fortuna, le storie non hanno bisogno del passaporto. I politici bruciano i ponti. La letteratura li costruisce. I politici dividono il popolo in categorie. La letteratura le contesta e distrugge. I politici fanno leva sull’affermazione che “Noi siamo meglio di loro”. La letteratura sussurra “L’Altro sono io”. D’ora in avanti, i legami culturali del Regno Unito con l’Europa e il resto del mondo saranno ancora più importanti. Oggi non è soltanto l’Unione Europea come istituzione a essere messa in questione, ma la nozione stessa di democrazia. Sempre più persone in Medio Oriente cominciano a pensare: “Forse la democrazia non è l’unica strada percorribile. Quello che ci serve è un leader forte e una squadra di tecnocrati competenti e di burocrati fedeli”. E cominciano a sostenere che i diritti delle donne e della comunità LGBT, così come la libertà di parola, siano valori occidentali e non universali. Sono affermazioni cupe e pericolose. C’è un’allarmante diffusione di democrazie illiberali: Stati (come la Turchia) che hanno una sorta di sistema elettorale senza un vero codice di leggi, una netta separazione dei poteri, mezzi di informazione non omologati e libertà di parola. E senza libertà di pensiero, nessuna “democrazia” può essere davvero tale. Noi scrittori siamo creature solitarie. Ma non possiamo più concederci il lusso di essere apolitici o distaccati. È arrivato il momento di alzare la voce e inserirci nel dibattito pubblico per rianimare l’umanesimo e i valori fondamentali dell’essere umano. La cultura è diventata il terreno di battaglia di questo secolo. Possiamo ottenere un mondo migliore, più sicuro e pacifico solo se costruiamo solidi legami culturali che vadano oltre i confini religiosi, nazionali o etnici. Nel nuovo ordine mondiale, più che i politici o i diplomatici come Mustafa Reshid Pasha, saranno i singoli cittadini a fare la differenza, in meglio o in peggio. È una scelta che spetta a ognuno di noi: saremo quelli che costruiranno ponti o quelli che li distruggeranno? 23 Editor: Roy Bacon The views expressed in this publication are those of the individual authors and not of the British Council, unless otherwise stated. The rights of Martin Roth, Nadia El-Sebai, Sean Rainbird, Agnès Catherine Poirier, Christos Carras, John Dubber, Martyn Poliakoff, Nick Barley, Gail Cardew, Johannes Ebert, Frank Burnet, Michael Bird, Lyubov Kostova, Tim Supple, Bidisha, and Elif Shafak to be identified as authors of this work has been asserted by them in accordance with the (United Kingdom) Copyright, Designs and Patents Act 1988. The rights of Pawel Kuczynski, Andrzej Krauze and Sophie Von Hellermann are similarly asserted. With thanks to: Stephen Benians, Tony Buckby, Cortina Butler, Alice Campbell-Cree, Jacqueline Cohen, Alasdair Donaldson, David Green, Llywelyn Lehnert, Alistair MacDonald, Tim Slingsby and Ruth Ur. © British Council, 2016. 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