Il Giorno Dopo - British Council

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Il Giorno Dopo - British Council
Il Giorno Dopo:
Il futuro delle relazioni culturali tra il Regno
Unito e le altre nazioni europee
1
Rebecca Walton
Direttore Regionale,
Unione Europea
Prefazione
l 23 giugno i cittadini
britannici hanno preso
la storica decisione di
lasciare l’Unione Europea.
Prima del referendum abbiamo
commissionato questa raccolta di
articoli a personalità di spicco operanti
in diversi campi della cultura. Questi
articoli offrono una panoramica delle
profonde relazioni culturali esistenti
tra il Regno Unito e gli altri Stati
europei e propone una riflessione
su come queste dovrebbero
rafforzarsi negli anni a venire.
I
ABOUT THE BRITISH COUNCIL
The aim of the British Council is to create ‘a basis of
friendly knowledge and understanding’ between the
people of the United Kingdom and the wider world.
We do this by using the cultural resources of the
UK to make a positive contribution to the people,
institutions and governments of the countries we work
with – creating opportunities, building connections
and engendering trust. This makes a lasting difference
to the security, prosperity and influence of the UK.
Our work helps to keep the UK safe and secure by
reducing extremism and improving stability and security
in strategically important countries. It increases UK
prosperity by encouraging more trade, investment and
tourism. It also makes a lasting difference to the UK’s
international influence by increasing connections and
networks with key decision makers globally, increasing
the number of people who know and trust the UK.
www.britishcouncil.org/organisation/policy-insight-research
https://twitter.com/InsightBritish
Cover illustration: Pawel Kuczynski
Additional illustrations by Andrzej Krauze
and Sophie von Hellermann
Abbiamo chiesto agli autori di
raccontare la propria esperienza
e riflettere in modo più ampio sul
valore della cultura come elemento
costante di congiunzione tra cittadini
europei e non solo. Le illustrazioni
commissionate rappresentano un
commento ironico sulla “questione
europea” nel Regno Unito e l’immagine
in copertina suggerisce l’urgente
bisogno di una (ri)definizione dei
rapporti con i nostri vicini.
Il titolo della raccolta, Il giorno dopo,
vuole suggerire che il Regno Unito
si trova ora di fronte all’opportunità
di rivalutare profondamente i suoi
rapporti con le altre nazioni europee
e di riconsiderare i propri legami
culturali con i popoli del continente.
La natura eterogenea dell’Europa
è sempre stata il cuore della
sua produzione culturale.
Dall’Edda all’Iliade, da Picasso
a Lascaux, l’Europa offre
un’impareggiabile ricchezza
culturale in un territorio ristretto.
A molti di noi le identità nazionali
sembrano più facili da definire ma
il continente è sempre stato de
facto una realtà collettiva fondata
sullo scambio e la cooperazione.
Ed è stata proprio questa speciale
cooperazione europea a generare
la sovrabbondanza di creatività che
distingue il nostro continente.
La Commissione Europea ha avuto
un ruolo di grande importanza nella
costruzione dei legami culturali e
formativi sia all’interno dell’Europa
che al di fuori di essa. Ora che il
Regno Unito ha deciso di uscire,
tali questioni sono ancora più
importanti e il probabile cambiamento
nell’entità di risorse e supporto
dovrà essere compensato al
meglio attraverso altre fonti.
Il British Council è l’istituzione
nazionale britannica impegnata nella
costruzione di una comprensione
reciproca. Crediamo che, dato
l’esito del referendum britannico
sull’appartenenza all’Unione Europea,
il legame culturale tra il Regno Unito
e le altre nazioni europee rimarrà
vitale e dovrà aiutarci a creare fiducia
e sicurezza indipendentemente
dall’assestamento politico ed
economico che verrà raggiunto. Siamo un’organizzazione globale
con sedi in tutto il mondo ma
le nostre radici sono europee
e siamo nati come parte della
risposta britannica all’avanzata
del fascismo negli anni Trenta.
Finora abbiamo mantenuto le nostre
sedi in tutta Europa, superando gli
anni del Dopoguerra e i decenni
della Guerra Fredda fino alle
sfide del presente. In tutto questo
tempo abbiamo coinvolto altre
istituzioni in una conversazione
basata sullo scambio tra culture,
espresso attraverso il linguaggio,
l’istruzione, la scienza e l’arte.
Come i fronti meteorologici o le
ondate migratorie, la cultura e le
idee non si arrestano di fronte a
dogane o a leggi sul passaporto.
Ciò dovrebbe essere motivo di
festeggiamento e consolazione
in un momento di incertezza
e grandi cambiamenti.
Qualsiasi corso prenderà la politica
nei prossimi mesi e anni, l’Europa
rimarrà il luogo degli scambi culturali
di tutti noi, come è stato per millenni.
3
© British Council
Martin Roth
Direttore del Victoria
& Albert Museum
Nadia El-Sebai
Direttore esecutivo
dell’Arab British Centre
Possiamo votare per l’uscita
dall’Europa, ma resteremo
sempre europei
l Regno Unito in cui abito
e con cui mi identifico
è un’entità che posso
concepire solo all’interno
dell’intricato contesto europeo. C’è
ancora chi conserva un ricordo diretto
del momento in cui lo Stato dove sono
nato dichiarò guerra alla nazione che
mi ha accolto e che ora chiamo casa.
Una quantità quasi inconcepibile di
città, vite e famiglie distrutte; eppure,
solo pochi decenni più tardi, sorse
definitivamente un’Europa ambiziosa,
ottimista, tollerante e partecipativa.
I
Come unione formale, l’Unione
Europea forse non ha soddisfatto
le aspettative. Ma come unione
culturale, l’Europa è impareggiabile.
La Gran Bretagna – e Londra – è il
cuore pulsante di questa Europa che
conosco e amo. Londra non sarebbe
Londra senza il costante scambio di
persone, arti e idee che fluisce lungo
tutto il continente. È il nostro spirito
creativo comune a rendere le città
europee così forti e invidiate in tutto
il mondo. Io, un tedesco che dirige un
museo inglese in una capitale europea
internazionale, sono il fortunato
beneficiario di questa apertura.
Da bambino nella Stoccarda del
Dopoguerra, i miei primi ricordi della
Gran Bretagna non sono quelli di
un’isola remota e lontana. L’identità e
la cultura britanniche prosperavano a
due passi da casa mia. Il Maggiolino
Volkswagen rombava nelle nostre
città grazie a un sindaco britannico,
4
Ivan Hirst, che alla fine degli anni
Quaranta salvò la linea di produzione
dalla chiusura. Apprendemmo della
rinascita dell’Europa da Der Spiegel,
il più importante settimanale di
attualità tedesco fondato dall’inglese
John Seymour Chaloner nel 1947.
Una delle mostre in corso al Victoria
& Albert Museum è dedicata alla vita
di Ove Arup, il pioneristico ingegnere
anglo-danese. Il trasferimento a Londra
nel 1923 segnò profondamente la sua
carriera e gli permise di collaborare
con i più importanti teorici del
Modernismo architettonico europeo
come Walter Gropius e Le Corbusier.
Collaborazioni successive favorirono
l’ideazione di alcuni degli edifici più
famosi del mondo e oggi ci si ispira
ad Arup per progetti infrastrutturali
innovativi come il Crossrail.
Nel 1970 Ove Arup tenne un discorso
al suo staff che ancora oggi viene
letto a ogni nuovo impiegato nel
giorno dell’assunzione. Dichiarò che
“[ci sono] due strade per cercare
di ottenere la felicità: la prima è
puntare alle cose che ci piacciono
senza alcuna remora, ossia, senza
considerare nessun altro all’infuori di
noi stessi. L’altra è riconoscere che
nessun uomo è un’isola, che le nostre
vite sono inestricabilmente collegate
a quelle dei nostri simili e che non ci
può essere felicità nell’isolamento”. Io,
come Arup, propendo per la seconda.
Espandere la narrazione
accordo politico, di un trattato o
di un’assemblea di burocrati. Le
commissioni parlamentari e le Camere
di Bruxelles sono le polverose sale
macchine dell’Europa e i nostri
musei, le gallerie, le università, le
imprese, gli stadi e gli atelier ciò
che fornisce loro il carburante.
ll’inizio di quest’anno
l’Arab British Centre
ha ospitato otto stelle
emergenti del design
libanese per mettere in mostra la
loro interpretazione del tema Fashion
Utopias all’International Fashion
Showcase al Somerset House.
Se un’esigua minoranza dei cittadini
britannici chiamati al voto farà
uscire il Paese dall’Unione Europea,
chi pensa che il Regno Unito potrà
scivolare in un glorioso isolamento
resterà profondamente deluso.
Dentro o fuori, la Gran Bretagna sarà
sempre, in quel suo modo peculiare,
europea e l’Europa conserverà la
britannicità nel suo DNA. Le sfide
che il mondo deve fronteggiare non
sono semplici. Che le si affronti tutti
insieme come parte dell’Unione
Europea o meno, i legami culturali
del Regno Unito con l’Europa, molto
più resistenti, non si scioglieranno.
Durante la meravigliosa esposizione,
curata dalla Starch Foundation di
Beirut, gli artisti hanno presentato la
loro versione di una Beirut utopica,
eternamente ancorata alla sua
eredità mediterranea. La mostra
è stata accolta con entusiasmo
dai professionisti del settore e dal
pubblico generalista, desideroso di
conoscere meglio la moda emergente
di un Paese ancora troppo segnato dal
conflitto. Con nostra grande sorpresa,
sentivamo ripetere in continuazione:
“Mediterraneo? E chi lo sapeva?”
[Una versione più lunga del
presente articolo è stata pubblicata
sul London Evening Standard]
A
L’Arab British Centre è un ente no
profit con sede nel Regno Unito creato
nel 1977 allo scopo di diffondere
la conoscenza del mondo arabo
nei cittadini britannici. Dalla sua
creazione, il centro ha permesso
a varie comunità del Regno Unito
di entrare in contatto con risorse
provenienti da questa regione vasta
e variegata attraverso il lavoro delle
organizzazioni locali e del programma
culturale del Centro stesso.
ruolo fondamentale e continueranno
a incoraggiare gli spazi di inclusione.
Poiché le notizie e le immagini
della guerra provenienti dal Medio
Oriente pervadono i media, il Regno
Unito si scontra con una visione
impoverita del mondo arabo, spesso
ridotto a una cultura omogenea, una
cultura in cui le diversità di religione,
etnia, lingua, pratiche artistiche e
patrimonio culturale vengono meno.
Per fortuna molte istituzioni artistiche
e culturali del Regno Unito e del
resto d’Europa forniscono uno spazio
sicuro in cui le comunità di tutto il
mondo possono raccontare le proprie
esperienze, identità e desideri in
diverse forme artistiche. La nostra
storia, la lunga relazione con il Medio
Oriente e la forza della nostra industria
culturale e creativa faranno sì che
Londra rimanga un punto d’incontro
per le culture arabe e una risorsa
per l’Europa e il resto del mondo.
Allo stesso modo, negli ultimi mesi
siamo stati esposti a un restringimento
della narrazione nel dibattito sul
ruolo del Regno Unito nell’Unione
Europea, spesso ridotta a una partita
di calcio – Regno Unito vs Europa.
Impossibile non essere confusi da
questo concetto omnicomprensivo
di “Europa”. Qual è il nostro rapporto
con “essa”, qual è il “suo” rapporto
con noi? In realtà queste singole entità
non sono possibili: le nostre identità
sono intrinsecamente collegate.
Se vogliamo assicurarci che i rapporti
con le nazioni europee rimangano
effettivi e dinamici, dobbiamo lavorare
per spezzare le limitate narrazioni
che spesso ci attribuiamo a vicenda.
Qualunque sia il risultato del 23
giugno, gli enti culturali avranno un
Come professionisti dell’arte e
direttori di organizzazioni culturali
britanniche, il nostro compito è
assicurarci di mantenere le porte
aperte alla partecipazione, alla
scoperta, allo studio e al dibattito. Le
istituzioni inclusive che incoraggiano
la partecipazione continueranno a
favorire l’interazione tra le persone
e a dirigere e plasmare i propri
rapporti con l’Europa, il mondo
arabo e il resto del pianeta.
Il Regno Unito è il cuore di tutte
queste connessioni. E chi lo sapeva?
L’Europa, e il rapporto del Regno
Unito con essa, è molto più di un
5
Sean Rainbird
Direttore della National
Gallery of Ireland
Menschen bewegen –
Welten verbinden
*
volte gli slogan colgono
in modo perfetto
e conciso ciò che
cerchiamo di ottenere
in altri campi. Con i loro motti, le
ferrovie tedesche collegano emozioni
umane e movimento, inclusione e
connessione. I legami culturali nelle
arti visive uniscono il personale e il
condiviso, il conservato e l’esposto,
il nascosto e il mostrato segnando
un passaggio tra il luogo in cui un
oggetto è preparato e il suo potenziale
immaginifico negli spettatori.
A
Le arti performative propongono
sempre più spesso dirette live nei
cinema. Eppure, in un certo senso,
parte dell’immediatezza dell’esibizione
si perde sullo schermo. Si avverte
ancora il bisogno di andare di
persona agli eventi. Nonostante gli
spettacoli pieni di gente che molti
di noi hanno vissuto siano ormai
pronti per questo salto, sostituire la
presenza reale delle opere d’arte
anziché incoraggiarla, sembra più un
impoverimento che un arricchimento.
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L’inesorabile avanzata della
digitalizzazione ha esteso a dismisura
la sfera e la distanza degli oggetti a
cui ci interessiamo e ha aumentato
le attività nei nostri territori.
Ormai riguarda i programmi e i
progetti più disparati, che possono
essere trasmessi a un numero di
persone un tempo inimmaginabile
attraverso un’infinità di canali.
Il pubblico digitale è potenzialmente
molto superiore al numero dei
visitatori fisici di una galleria d’arte
ma internet non potrà mai sostituire
l’esperienza di una visita reale.
Gli enti pubblici, le gallerie, i siti
d’interesse storico e il patrimonio
artistico sparsi per l’Europa offrono
qualcosa di unico, accessibile a
un pubblico notevolmente più
ampio che in passato. Le collezioni
e gli eventi sono aumentati
grazie alla collaborazione tra
progetti digitali, di esposizione,
di ricerca e conservazione.
Tali scambi sono stati favoriti dalle
politiche, dai programmi e dai
progetti dell’Unione Europea.
La mostra di Vermeer a Dublino nel
2017, per esempio, accoglierà opere
provenienti da diverse città. Mostrerà
il modo in cui i pittori olandesi del
Secolo d’Oro modificavano stile,
tecniche e soggetti in risposta
l’uno all’altro, in uno spirito di sana
competizione, ispirazione e rispetto
reciproco, il tutto nel contesto del
fiorente mercato delle loro opere. La
mostra è realizzata in collaborazione
con altri progetti in Olanda, Francia
e sul web, sullo schermo e all’interno
dei nostri archivi. Questi legami
tra colleghi sparsi in tutta Europa
e in America ci consentiranno di
ampliare la nostra conoscenza
dell’arte olandese nel Secolo d’Oro.
Che cosa ha a che fare questo con il
fatto che il Regno Unito faccia parte
– o meno – dell’Unione Europea?
La collaborazione all’interno delle
relazioni culturali internazionali
si adeguerà alle circostanze,
qualsiasi esse siano. Le barriere
e la burocrazia che regolano i
controlli interni, gli accordi di
prestito e le ricerche oltreconfine
*Muovere persone – collegare mondi
diventeranno più o meno onerose.
Ci saranno altri cambiamenti, più sottili.
Se le persone non parteciperanno
più alle conferenze nei gruppi
prestabiliti, lavorando a temi di
importanza condivisa e cercando
di stabilire obiettivi comuni, i canali
di comunicazione diventeranno
muti, o si frammenteranno.
L’instaurazione di nuove relazioni
richiederà tempo e riacquisizione
di fiducia. I programmi di ricerca di
portata europea diventeranno meno
accessibili. Se il Regno Unito non
farà più parte dell’Unione Europea, le
nazionalità che stanno sviluppando
opportunità di lavoro in altri Stati si
scontreranno con nuovi ostacoli.
Alcuni fenomeni – si pensi al dialogo
in corso tra il nord e il sud dell’Irlanda,
in cui lo scambio culturale ha un ruolo
importante – hanno tratto vantaggio
dai canali alternativi esterni ai rapporti
bilaterali tra due Stati. Gli interventi
dell’ Unione Europea e Stati Uniti,
per esempio, hanno fornito soluzioni
diverse per la creazione di una
maggiore comprensione reciproca.
Gli enti culturali cercano di gettare
ponti anziché dividere. Ma non sono
immuni ai cambiamenti politici.
Per quanto alcune procedure
dell’Unione Europea si siano
mostrate difettose, irritanti o troppo
burocratiche, se il Regno Unito
prenderà le distanze da sessant’anni
di cooperazione europea alcune
barriere faranno sicuramente ritorno.
Tavoli diversi, persone diverse,
qualche sedia vuota. Ci vorrà
un po’ di tempo per capire
quali saranno le conseguenze
in questi intricati rapporti, ma
le conseguenze ci saranno di
certo, e non necessariamente a
vantaggio del Regno Unito.
7
© Stavros Petropoulos
Christos Carras
Direttore generale
dell’Onassis Cultural
Centre di Atene
Elogio all’apertura
’interazione tra una
vasta gamma di ambiti
sociali e professionali
è fondamentale per il
successo dei progetti culturali, e unica
nel suo settore. La cultura coinvolge
le persone sotto il profilo intellettuale,
emotivo e psicologico, mettendo in
campo tecnologie e teorie innovative,
sfidando i pregiudizi e aprendo
nuove opportunità di relazione.
L
Queste caratteristiche innate del
lavoro culturale hanno un valore
intrinseco che è stato spesso
oscurato dal recente bisogno di
giustificare gli investimenti nella
cultura prima di tutto in termini di
(innegabile) impatto economico.
Può darsi che la cecità di una scala
di tali valori orientata al mercato
e profondamente burocratica,
unita al tardivo riconoscimento
dell’importanza sociale ed economica
della cultura, porti conseguenze
catastrofiche. L’Unione Europea non
ha mai elargito risorse sufficienti
per convogliare le dinamiche delle
identità locali (e culturali) nella
visione di un contesto comune e
condiviso. Questa sottovalutazione
del lavoro culturale ha finito col
ritorcersi contro di noi e le peggiori
modalità di percezione delle differenze
culturali riemergono sotto forma di
nazionalismo, isolazionismo e forze
politiche intolleranti. Una concezione
8
di identità culturale che vada oltre la
nazionalità potrebbe controbilanciare
questa pericolosa tendenza.
Ciononostante, la facilità con cui negli
ultimi decenni è possibile scambiarsi
opere artistiche all’interno
dell’Europa ha contribuito
a creare una sorta di
sfera comune di pratiche
ed esperienze con
risultati che solo
l’azione culturale
può ottenere.
Come avviene
nella maggior
parte dei (tanti)
validi aspetti del
Progetto Europeo,
questa facilità si è
palesata al punto
tale da perdere il suo
valore percepito.
Da una parte, lo
scambio culturale
non dipende dalle
forme di unione
politica. Nel corso
della storia le idee,
gli stili, i materiali
e le conoscenze
hanno sempre
trovato il modo
di valicare
confini
altrimenti
impermeabili.
Le idee dell’arte risuonano
e gli echi si propagano.
Eppure, l’unicità dell’Unione
Europea è rappresentata
da un lato dalla
libertà di
movimento
e di
produzione delle opere culturali
all’interno dell’Unione e dall’altro
dagli incentivi messi in campo
per creare e mantenere viva la
collaborazione tra
enti culturali.
Questi due
elementi
devono
essere non solo mantenuti ma
consolidati. Non ci devono
essere barriere che impediscano
agli artisti di lavorare ed esporre
liberamente le proprie
opere in Europa e le
istituzioni devono
sviluppare e
condividere il
lavoro culturale
a livello
internazionale. La
libera circolazione
di idee e pratiche
è un punto di
forza per la (ri)
formulazione
delle esigenze
contemporanee
in una forma che
non si limiti a una
prospettiva storica
o culturale. Per le
istituzioni, i vantaggi
della collaborazione
in termini di
esposizione,
di scambio di
conoscenze, di
mobilità degli attori
della cultura e altri
effetti sono
evidenti,
ma questa
collaborazione ha anche un peso
economico e gestionale e gli incentivi
devono essere mantenuti ed estesi.
Per un ente culturale greco
specializzato in opere contemporanee
di danza, teatro, musica, arti visive
e applicate, critica culturale e
formazione artistica, i vantaggi di una
cooperazione europea sono evidenti
tutti i giorni: incentivi alla mobilità dei
giovani artisti, scambio di competenze
e buone pratiche, partecipazione
all’elaborazione di nuove prassi di
cooperazione che garantiscono la
massa critica necessaria alla loro
realizzazione, supporto economico per
azioni spesso innovative e sperimentali
ma che forniscono spunti importanti,
oltre a esperienza. Questi aspetti del
nostro lavoro, e tanti altri, sarebbero
spesso impossibili o quanto meno
molto difficili da realizzare al di fuori
dell’Unione Europea e delle strutture
che essa contribuisce a sviluppare.
Se si vuole preservare e
aumentare lo scambio culturale,
non ha senso abbandonare
una struttura transnazionale
che lo rende più semplice.
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Agnès Catherine
Poirier
Giornalista, scrittrice
e conduttrice
John Dubber
Responsabile delle relazioni
politiche e internazionali
del British Council
Gli opposti si attraggono
ualsiasi sfida ci lanci
la Storia, l’attrazione di
spiriti opposti esisterà
sempre. A quindici anni
dal momento in cui le compagnie
aeree low-cost hanno letteralmente
aperto i cieli europei ai loro cittadini
meno abbienti e agli studenti affamati
di novità e scoperte, non ci può essere
ritorno a una mentalità dei confini
chiusi, indipendentemente dal fatto
di avere o no un mercato comune.
La Gran Bretagna e il continente
saranno sempre uniti da un punto di
vista culturale, intellettuale, artistico,
scientifico e, naturalmente, economico.
Alla domanda “Che cos’è la
britannicità?” i cittadini britannici
spesso non trovano una risposta
comune. Noi, dal continente, abbiamo
forse una visione più chiara e
distaccata. Per molti europei è una
questione di lingua, letteratura e
teatro. La Gran Bretagna ha dato al
mondo un idioma ricco e armonioso
ormai diventato lingua franca. Per
molti aspetti, l’inglese è diventato
anche la lingua dell’Europa. Se i
giovani europei affollano le università
britanniche, è per prendere parte
a questo scambio linguistico e alla
celebrazione di un tesoro comune.
Le nostre differenze nel modo di
pensare, vivere, parlare, vestirsi,
mangiare, bere e amare, per elencarne
solo alcune, dimostrano soltanto
che finché ci saranno spiriti curiosi,
giovani e meno giovani vorranno
viaggiare, scoprire, capire i propri
vicini e fare nostre le meraviglie
che hanno scoperto oltreconfine.
L’Europa, composta o meno dai
membri dell’Unione, è un insieme di
culture diverse, ognuna particolare
e affascinante a modo suo. E la Gran
Bretagna è sempre stata, e sempre
sarà, uno degli elementi più attrattivi.
Spesso i cittadini britannici pensano
in modo diverso, scatenando dibattiti
avvincenti, che arricchiscono e alzano
il livello delle discussioni condivise.
In compenso, la Gran Bretagna trae
un grande vantaggio dall’influsso di
giovani menti europee che approdano
sulle sue coste e le contaminazioni
più fruttuose si vedono in tutti i
campi, dalla scienza all’arte. Tutti
mostriamo uno specchio ai nostri
vicini e questo scambio di idee e
prospettive diverse arricchisce il
dibattito europeo. È ormai parte delle
nostre vite e non è possibile fare un
Q
10
Non chiedete cosa l’Europa
può fare per noi…
passo indietro. Oggi, molte delle più
importanti istituzioni artistiche sono
affidate a brillanti storici dell’arte nati
oltreconfine. È straordinario pensare
che alcune icone nazionali come il
British Museum, la Galleria degli Uffizi
o l’Accademia di Venezia siano diretti
da storici dell’arte tedeschi. Solo
vent’anni fa sarebbe stato impensabile
ed è proprio questa l’Europa in azione,
un’Europa di eccellenza e di scambi
che superano i pregiudizi nazionali.
Fino a quando le persone
sceglieranno di cambiare Paese e fino
a quando vorranno scoprire cosa c’è
oltre l’orizzonte, lo spirito europeo
sarà vivo e vegeto. Vive la différence!
a campagna referendaria
ha infiammato gli animi
ma non ha generato
la stessa quantità di
luce. Nella corsa per sostenere i
relativi vantaggi dell’accesso a un
singolo mercato, della tutela dei diritti
dei lavoratori o della capacità di
controllare l’immigrazione, i portavoce
di entrambe le parti hanno spesso
trascurato che il vasto settore della
cultura è parte integrante della
discussione sull’identità nazionale e
sul ruolo del Regno Unito nel mondo.
L
Oggi il Regno Unito è un punto
d’incontro tra Europa, Commonwealth
e resto del pianeta, uno snodo globale
in cui si incontrano persone, culture,
idee, lingue e relazioni. Eppure,
sebbene la nostra condizione di centro
mondiale della cultura porti grandi
vantaggi, non sempre ci ha aiutato a
concepire noi stessi come nazione.
Il Regno Unito ha faticato molto per
venire a patti con la sua storia e la sua
identità europea, atlantica e imperiale.
Siamo combattuti tra la nostra
posizione geografica e la storia e la
cultura condivise con il continente,
i nostri legami linguistici e culturali
con il mondo di lingua inglese e le
nostre relazioni storiche e culturali
con il più ampio Commonwealth.
Dopo il referendum, la cultura può
assumere un ruolo importante,
aiutandoci a sviluppare una
concezione più chiara di noi stessi
come nazione e a definire meglio
le nostre aspirazioni internazionali.
Un dibattito culturale nazionale può
farci comprendere cosa significa
essere cittadini britannici oggi.
Può essere un’occasione per
chiederci in che nazione vogliamo
vivere e quale crediamo che sia
il nostro ruolo nel mondo.
La particolare storia del Regno Unito
e la sua memoria collettiva fanno
sì che molti di noi concepiscano
l’Unione Europea in modo diverso
dagli altri cittadini del continente.
Per molti, l’appartenenza all’Unione
Europea è più un calcolo pragmatico
che una questione affettiva. Da parte
loro, molti europei sono confusi
dall’ambivalenza britannica riguardo
al “Progetto Europeo”. Gli scambi
culturali possono aiutarci a vedere il
mondo con gli occhi degli altri popoli,
europei e non, e a comprendere le
loro convinzioni e aspirazioni. È anche
fondamentale costruire e ri-costruire
un’amicizia e una fiducia internazionali,
indipendentemente dal fatto che
il nostro futuro sia dentro o fuori
dall’Unione Europea. Continueremo
certamente a condividere le maggiori
sfide internazionali (dal cambiamento
climatico all’ascesa dell’estremismo)
con i nostri vicini e dovremo
lavorare insieme per superarle.
In uno dei discorsi più incisivi del
XX secolo, il neoeletto Presidente
degli Stati Uniti John F Kennedy si
rivolse al mondo intero dicendo che
“la fiaccola è stata consegnata a una
nuova generazione” di americani,
ed esortò così il suo pubblico: “Non
chiedete cosa il vostro Paese può fare
per voi, chiedete cosa potete fare
voi per il vostro Paese”. Meno nota è
la frase che seguì: “Concittadini del
mondo, non chiedete cosa può fare
l’America per voi, ma cosa possiamo
fare, insieme, per la libertà dell’uomo”.
Questo passaggio riassume
l’importante sfida che deve affrontare
oggi il Regno Unito. Qualunque sia
l’esito del referendum, è giunto il
momento di riflettere più a fondo
sull’identità culturale britannica e sui
suoi valori. È anche un’occasione per
indagare non solo sui benefici a breve
termine che vogliamo ottenere dalla
relazione con gli altri Stati europei,
ma su come immaginiamo il nostro
apporto futuro all’Europa e al mondo.
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Sir Martyn Poliakoff
Professore e ricercatore di chimica
all’Università di Nottingham,
vicepresidente dell’European
Academies Science Advisory Council;
divulgatore scientifico su YouTube*
Nick Barley
Direttore
dell’International Book
Festival di Edimburgo
Una data da ricordare?
l 23 giugno è sempre
una data importante per
me. È il mio anniversario
di matrimonio.
Quest’anno ho prenotato un tavolo
per le sei, in modo che la nostra
cena non sia guastata dagli exit
poll. Ma sto correndo troppo.
I
Ho una formazione internazionale e ho
lavorato presso istituzioni scientifiche
internazionali per diversi anni. Sono un
professore universitario di chimica. Mio
padre era russo, mia madre inglese ed
io sono cresciuto in una casa in cui si
parlavano russo, francese e tedesco.
Eppure, ho trascorso tutta la vita nel
Regno Unito e mi sento cittadino
britannico. Il mio bisnonno era un
Lord e un mio prozio è stato Ministro
durante la Prima Guerra Mondiale.
Dal 2011 sono anche segretario degli
esteri della Royal Society e durante
questo periodo sono stato una sorta di
ambasciatore della scienza britannica.
Quando a novembre scadrà il mio
mandato, avrò visitato trenta Stati
esteri, quindici dei quali nell’Unione
Europea, per far conoscere il lavoro
degli scienziati britannici e il ruolo
della scienza come impresa mondiale.
Sono anche attivo nella ricerca e,
come molti miei colleghi, passo la
maggior parte del tempo a cercare
fondi. In tutta la mia carriera assicurarsi
i finanziamenti per la ricerca è sempre
stato difficile e ora la competizione
è sempre più dura. Le mie ricerche
12
sono state finanziate dall’Unione
Europea per più di trent’anni.
Non sono solo. All’interno del
programma dell’Unione Europea
Framework 7, solo la Germania riceve
più fondi di ricerca del Regno Unito.
Eppure, il Regno Unito riceve più
fondi dall’Unione Europea di quanto
non vi contribuisca; le statistiche
ufficiali indicano che tra il 2007 e il
2013 abbiamo contribuito ad attività
di ricerca e sviluppo dell’Unione
Europea per 4,5 miliardi di euro e
nello stesso periodo abbiamo ricevuto
8,8 miliardi di fondi europei per la
ricerca, lo sviluppo e l’innovazione.
Di questi fondi fanno parte anche
quelli della Marie Skłodowska-Curie
Actions (MSCA) che finanzia borse di
post-dottorato e di studio per giovani
ricercatori che vengono nel Regno
Unito, anche nel mio laboratorio.
Al momento ho un promettente
post-doc e studente che lavora
grazie alla MSCA, che ha contribuito
anche a tre matrimoni internazionali
tra miei collaboratori, e due coppie
sono rimaste qui per sviluppare
la ricerca nell’industria britannica.
Naturalmente, intorno ai fondi
europei c’è molta burocrazia, ma
meno che in alcuni programmi di
finanziamento del Regno Unito.
Per me e per molti altri ricercatori
del Regno Unito il valore reale
dell’Unione Europea è l’incentivo alla
collaborazione. Molti fondi sono elargiti
Lo sviluppo dello
spirito umano
a gruppi di scienziati dislocati in
diversi paesi dell’Unione che lavorano
insieme per vincere importanti
sfide della ricerca. In concreto, la
collaborazione del Regno Unito con
i partner europei si sta espandendo
più velocemente di quella con gli
statunitensi. Nel 2015 circa il 30%
dei risultati della ricerca britannica
hanno visto la collaborazione di
colleghi europei, compreso il mio
migliore lavoro dell’anno scorso.
Ho anche un terzo incarico. Sono
il Vicepresidente della European
Academy of Sciences Advidory
Council, che stila autorevoli rapporti
per informare i politici europei su
questioni come i cambiamenti climatici
estremi o la sostenibilità dei mari. Sono
studi importanti perché riguardano
problemi transnazionali che hanno
effetti sull’intero continente e non
solo. Gli scienziati britannici possono
dare un grande contributo ma non
possono risolvere i problemi da soli.
Quando leggerete questo articolo,
il risultato del referendum sarà
ormai noto ed io sarò impegnato a
valutarne gli impatti sulla scienza nel
Regno Unito. Qualunque sia l’esito,
il 23 giugno rimarrà una data felice
per me, ma solo il tempo ci saprà
dire se il risultato del referendum
sarà ricordato con affetto.
*www.periodicvideos.com
no degli aspetti più
singolari del dibattito sul
referendum britannico
è stato la relativa
assenza di voci appassionate a favore
dell’Unione Europea. La maggior
parte dei cittadini europei non era
ancora nata quando nel 1950 i Paesi
cominciarono ad aggregarsi, mossi
dalla convinzione che lavorando
insieme avrebbero potuto garantire
una pace duratura. E dopo nemmeno
settant’anni, i suoi critici hanno
guadagnato consenso sostenendo
che l’Unione Europea è spesso troppo
democratica, quasi sempre piena di
burocrazia e in un certo senso poco
adatta ai fini che si è prefissata.
U
Questi critici hanno liquidato troppo in
fretta i successi dell’Unione Europea.
A prescindere dal fatto che è un
fiorente spazio di scambi economici,
l’Europa unita ha raggiunto i suoi
scopi sotto molteplici aspetti e, cosa
forse più importante, in due settori
chiave. In primo luogo, le battaglie
per i diritti umani e la democrazia
hanno reso l’Europa uno dei luoghi in
cui molti aspirano a vivere. Secondo,
dopo secoli di massacri, l’Unione
Europea è riuscita a mantenere
una pace in modo più o meno
costante in tutto il continente.
A metà del XX secolo, in nome della
pace, Edimburgo, Amsterdam e
Avignone furono scelte come città
dei festival per offrire “uno spazio
che consenta lo sviluppo dello
spirito umano”. Oggi, i festival di
Edimburgo hanno raggiunto una
fama mondiale e ogni agosto la
popolazione della città raddoppia:
persone provenienti da ogni angolo
del pianeta si radunano in Scozia per
partecipare a una festa della cultura.
Questo successo mostra pochi
segni di cedimento. I festival sono
l’espansione industriale del XXI secolo
applicata alla cultura: non solo quelli
letterari come il mio, ma anche di
musica, teatro, commedia, arte e
di ogni altro tipo. La leader politica
Shirley Williams una volta mi ha fatto
notare che i festival hanno sostituito
i raduni politici e le congregazioni
religiose, diventando la forma di
aggregazione più importante per i
cittadini britannici. Il suo commento
vale anche per molti altri Stati
europei. I festival rappresentano per
l’Europa uno straordinario incentivo
agli scambi interculturali, come
il festival del teatro di Avignone,
l’Eisteddfod in Galles o il Joseph
Conrad Literary Festival di Cracovia.
nel loro insieme, spingono ogni
anno milioni di cittadini europei a
celebrare lo “spirito umano”, dando
voce ad attività locali organizzate
dal basso e presentante accanto
ad artisti di fama internazionale.
Le possibilità di collaborazione sono
pressoché infinite. I media digitali e
i canali di diffusione permettono di
registrare gli incontri che avvengono
nei festival e riproporli online o
persino nei cinema, consentendo
un’ampissima diffusione delle idee.
Inoltre l’espansione di piattaforme di
apprendimento online come i Massive
Open Online Courses (MOOC) offre
ai festival la possibilità concreta di
instaurare rapporti di collaborazione
a lungo termine che coinvolgano sia il
pubblico sia le istituzioni accademiche.
Esuberanti, indipendenti e spesso
anarchici, i festival non sono
una panacea e non inducono
necessariamente i loro frequentatori
ad amare l’Unione Europea. Ma
di certo possono rivestire un
ruolo di primo piano nella crescita
culturale del continente.
Molti festival artistici richiedono
alcuni investimenti pubblici per la
loro organizzazione, ma generano
notevoli ritorni in termini sia
economici sia culturali. Considerati
13
© Goethe-Institut/
Loredana La Rocca
Johannes Ebert
Segretario generale
del Goethe-Institut
Verso la linea di faglia
L
La collaborazione con i partner europei
dentro e fuori dall’Europa ci consente
di contribuire alla definizione del futuro
del continente attraverso un dialogo
creativo, critico e allo stesso tempo
costruttivo. I nostri progetti vincenti e
perfezionati insieme ne sono la prova!
Indipendentemente dal risultato
del referendum britannico
sull’appartenenza all’Unione Europea
(mentre scrivo questo testo, spero
sinceramente che quelli che voteranno
per rimanere nell’Unione, e dunque
per un’Europa comune e condivisa,
siano la maggioranza), il GoetheInstitut si impegnerà a continuare
il dialogo con il suo partner di
lunga data nel Regno Unito.
In particolare vorremmo focalizzarci
su quegli aspetti di cui, in un dibattito
spesso infuocato, si è parlato meno
ma che restano fondamentali. Poiché
al momento si discute soprattutto di
temi politici, economici e finanziari,
sembra passato in secondo piano il
discorso più ampio sui valori condivisi:
le questioni riguardanti la diversità
culturale o la possibilità di un lavoro
culturale e formativo volto alla coesione
dell’Europa e al suo ruolo nel mondo.
Ma se non li affrontiamo in modo
adeguato, questi temi cruciali che in
definitiva riguardano la costituzione
14
‘So Glad You Stayed, Britannia.’
Artist: Sophie Von Hellermann
a cooperazione europea
riveste un’importanza
strategica per il
Goethe-Institut ed è
stato un elemento costante del
nostro lavoro per diversi anni.
di un’identità europea saranno
ignorati. Il Goethe-Insitut sta lavorando
attivamente e con dedizione nel
Regno Unito e vuole sfruttare le
relazioni con altre istituzioni culturali e
formative per riavviare la discussione.
A mio parere sarebbe particolarmente
importante – e molto stimolante –
concentrare l’attenzione sulla linea di
faglia della società. Se gli scetticismi
sull’unità e la solidarietà europea
sono diffusi in diversi settori della
popolazione, dobbiamo chiederci con
quali argomenti, con quali proposte
e modalità possiamo raggiungere e
parlare a chi è critico verso l’Europa.
Le sedi del Goethe-Institut di Londra
e Glasgow sono coinvolte in diverse
reti locali ed europee e forniscono
un punto di incontro non solo per
progetti specifici ma anche per
considerazioni di tipo strategico,
importanti per una definizione
comune del futuro dell’Europa.
Indipendentemente dall’esito del
referendum del 23 giugno, le
discussioni fondamentali e la spaccatura
all’interno della società britannica,
così come in altri Stati dell’Unione
in cui sono presenti sostenitori e
oppositori dell’Europa, rappresentano
una sfida, e una rivitalizzazione,
nello scambio tra culture.
Speriamo che il referendum si trasformi
in un’occasione per dare avvio a
importanti discussioni e progressi, non
solo nel Regno Unito ma in tutta Europa!
15
© Katherine Leedale
Gail Cardew
Docente di Scienza, cultura
e società presso il Royal
Institution e presidente
dell’EuroScience Open Forum
Supervisory Committee
Frank Burnet
Docente di Scienze
della comunicazione
Le città europee
della scienza
o sapevate che la
città europea della
scienza del 2016 è
Manchester, nel Regno
Unito? Il titolo le è stato conferito
perché a luglio di quest’anno, poche
settimane dopo il voto dei cittadini
britannici sul referendum europeo,
la città ospiterà l’EuroScience
Open Forum (ESOF), la più grande
conferenza scientifica d’Europa.
L
Per anni ho partecipato fedelmente
alle attività dell’EuroScience,
l’organizzazione apolitica e gestita dal
basso che organizza la conferenza, e
ora presiedo la commissione incaricata
di selezionare le città che ospiteranno
l’ESOF. Mi piace pensare che sia un po’
come scegliere la città delle Olimpiadi,
solo della scienza anziché dello sport.
Il paragone è più calzante di quanto
si potrebbe pensare. Lo scopo
dell’ESOF è riunire i più importanti
scienziati d’Europa (gli “atleti di
punta” della scienza europea, per
così dire) per discutere e riflettere
di scienza nel senso più ampio.
Gli scienziati condividono i propri
lavori con esperti di altre discipline,
discutono dei fattori che incidono
sulle modalità di lavoro – come
etica, politica, industria, fondi e
carriera – e sulle tendenze dominanti
nella comunità scientifica. Ci sono
anche premi, riconoscimenti
e borse di studio per giovani
ricercatori e giornalisti scientifici.
16
Tutto questo è discusso in forma
pubblica, nel cuore della città, accanto
al resto del panorama culturale.
Ci sono dimostrazioni scientifiche,
letture di poesie, caffè letterari,
festival cinematografici, giochi e una
miriade di altre attività che ispirano,
stimolano e stuzzicano l’interesse di
un pubblico più vasto (o di “spettatori”
per dirla in termini olimpici).
Tutto questo è molto importante
per me. La scienza plasma le nostre
vite, le nostre culture e il nostro
futuro in diversi modi. Il compito
di trarne il massimo vantaggio
a favore della società è, a mio
avviso, troppo importante perché
sia lasciato ai soli scienziati.
Nonostante l’idea di collocare la
scienza nel cuore stesso della
“cultura” possa sembrare un approccio
molto moderno, in realtà non è
completamente nuovo. Per 200 anni la
Royal Institution, attraverso conferenze
pubbliche sull’arte e le scienze
umane, oltre che su matematica
e scienza, ha fatto proprio questo
concetto per cercare di superare la
tendenza a dividerle nelle “due culture”
definite da Charles Percy Snow.
Ci siamo chiesti che cosa fare a
Manchester nel caso in cui i cittadini
britannici votino per l’uscita dall’Unione
Europea. Molti scienziati sono
preoccupati per le conseguenze a
breve e lungo termine, soprattutto
per quanto riguarda i finanziamenti e
la mobilità degli scienziati più giovani,
Appunti dalla Casa
della Sapienza
essenziale per raggiungere una buona
esperienza nel campo della ricerca.
Altri si chiedono se il Regno Unito
saprà avere un ruolo d’influenza nei
grandi progetti scientifici paneuropei.
a scienza ha sempre avuto
un ruolo fondamentale
nella creazione e
nel mantenimento
dei rapporti culturali.
Ma ancora più oscuro è l’effetto a
lungo termine che l’uscita dall’Unione
Europea provocherebbe sugli aspetti
sociali e culturali della scienza.
In termini di scienza e cultura,
l’uscita dall’Europa renderebbe la
società britannica più forte o più
debole o la lascerebbe invariata?
Si potrebbe sostenere che il più
importante esempio di ciò risalga al
primo Millennio, quando il Califfato
abbaside con capitale a Bagdad istituì
la Casa della Sapienza e vi radunò testi
scientifici provenienti da Grecia, India,
Persia e Cina per farli tradurre in arabo.
In una certa misura dipenderà dai
rapporti tra gli scienziati, rapporti
personali stabiliti tra individui spinti da
un interesse comune verso la scoperta
scientifica e l’innovazione tecnologica.
Questi legami sono molto forti e
spesso superano i confini di qualsiasi
nazione o organismo sovranazionale.
Ma dipenderà anche dagli sforzi per
continuare a collocare la scienza nel
cuore della cultura e coinvolgere
un settore più ampio e trasversale
della società nella discussione sul
nostro futuro comune che dipende
dalla scienza e dalla tecnologia.
Qualunque sia l’esito del referendum,
una cosa non cambierà: continuerò
a sostenere il programma di
scienza, cultura e società di
Manchester di questo luglio.
L
Il Califfato si servì anche di brillanti
scienziati, come i leggendari fratelli
Banū Mūsā, per applicare ed estendere
le conoscenze scientifiche apprese
tramite tali testi, sia con progetti di
ingegneria civile su larga scala con
cui, ad esempio, migliorare i sistemi
di irrigazione, sia per dotare il Califfo
dei primi giocattoli scientifici con cui
intrattenere, stupire e probabilmente
intimidire gli ospiti di corte. Ci fu un
altro Califfato con capitale a Cordova,
in Andalusia, che favorì la diffusione
delle conoscenze scientifiche in
Europa alla fine del primo Millennio.
Ai nostri giorni uno dei risultati
scientifici europei di maggiore spicco,
il Large Hadron Collider, è figlio di
questo ponte tra culture. Alla sua
realizzazione hanno contribuito più
di 100 nazioni, molte con storie di
reciproca ostilità ma desiderose di
lavorare insieme per condividere
le conoscenze e le competenze
necessarie per ricreare le condizioni
esistenti un nanosecondo dopo il
Big Bang e poi riuscire a scovare
l’elusivo bosone di Higgs.
È stato fatto notare che andrebbe
creata al più presto una struttura
internazionale specializzata su modello
di questa con cui affrontare una
minaccia che riguarda tutte le culture
del pianeta: il cambiamento climatico.
Che questa possa diventare
un’ipotesi concreta è testimoniato
dalla natura globale del metodo
di lavoro degli scienziati britannici
e dalla natura dei loro viaggi di
scoperta che li immergono in
una fitta rete di collaborazioni
internazionali solo marginalmente
dipendenti dalla geopolitica.
Ho avuto il privilegio di far parte
del team che ha ideato il FameLab,
un contest internazionale che dà a
ogni scienziato tre minuti di tempo
per illustrare un fatto scientifico al
grande pubblico. Ora il FameLab
è organizzato in più di trenta
Paesi in tutto il mondo, compresi
quest’anno tredici membri dell’Unione
Europa, e la finale internazionale
raggruppa tutti i vincitori nazionali.
Molti di questi scienziati sono
all’inizio della loro carriera e
rimarranno amici per tutta la vita.
Il prossimo grande passo da compiere
è convogliare il loro impegno e le loro
energie per far sì che tutti i cittadini
del mondo abbiano la possibilità
di condividere i propri percorsi di
scoperta: in fondo, si tratta di un
viaggio nel futuro di tutta l’umanità.
Questa condivisione deve essere
portata avanti dagli scienziati con
le giuste competenze e tramite
nuove appassionanti forme di
diffusione della conoscenza.
E farò lo stesso a Tolosa per ESOF
2018 e in qualsiasi città europea
decideremo di ospitare ESOF 2020.
17
Michael Bird
Direttore del British
Council Russia
Lyubov Kostova
Direttore del British
Council Bulgaria
Persone, rispetto, fiducia:
una prospettiva a lungo
termine dalla Russia
urante la campagna
referendaria sull’Unione
Europea, ricordo solo
di due russi che mi
hanno chiesto se il Regno Unito
stava davvero per uscire dall’Europa,
mentre per il referendum scozzese
sostenevo almeno due conversazioni
al giorno sulla possibile spaccatura
all’interno del Regno Unito.
D
Mi sono chiesto il motivo di
questa differenza e sono giunto
alla conclusione che la possibilità
di un’indipendenza scozzese
affascinasse i russi perché non si
inserisce nella loro concezione di
Regno Unito mentre la complessità
dei rapporti tra Regno Unito ed
Europa è riconducibile alla relazione
tra l’Europa e la stessa Russia.
La Russia, si sa, ha un passato
imprevedibile ma c’è un interrogativo
che attraversa tutta la sua storia,
ovvero se sia parte dell’Europa o
abbia un destino a sé stante.
Lo troviamo nel XIX secolo
nella polemica tra slavofilismo e
occidentalismo, lo troviamo nel XX
secolo nella battaglia ideologica
che ha portato al socialismo in
una sola nazione e lo troviamo
oggi, venticinque anni dopo la
fine dell’Unione Sovietica, nella
ridefinizione dei “valori culturali russi”.
18
La scienza: linguaggio mondiale
Nel XXI secolo lo ritrovo nello scontro
tra modernità e conservatorismo.
Le persone, le nazioni, l’umanità
sono interconnesse o l’idea di
uno stato nazione autosufficiente
ha ancora un futuro?
della Gran Bretagna nel 2016
sta celebrando Shakespeare, “il
più russo degli scrittori europei”,
secondo la definizione del consigliere
presidenziale per i rapporti culturali
internazionali, Mikhail Shvydkoy.
Lavorando in un’organizzazione che
mette in contatto persone di tutto
il mondo, ho già una mia risposta
e lavorando per il British Council in
Russia considero questo impegno un
modo per ricordare alla Russia che
fa parte dell’Europa e del mondo.
Abbiamo bisogno di tante altre
iniziative simili. Valerij Gergiev,
Direttore del Mariinksy Theatre, ha
dichiarato: “La Russia senza la cultura
non è uno Stato: è solo una sterminata
distesa di terra”. Nel XXI secolo le
piattaforme digitali ci forniscono gli
strumenti per mettere in contatto le
persone, con la cultura, attraverso
questa sterminata distesa di terra.
È interessante come allo stesso tempo
molti credano che la Russia si stia
ripiegando su se stessa mentre tanti
in Russia pensano che siano l’Europa
e il mondo a ripiegarsi su se stessi.
Per me non è una questione di intenti
politici ma un’affermazione di valori
culturali condivisi. In Russia, più i
rapporti politici sono difficili e più
si dà valore alle relazioni culturali.
Il nostro Anno incrociato delle culture
della Russia e della Gran Bretagna nel
2014, l’anno in cui i rapporti politici
si sono seriamente incrinati, è stato
descritto da Martin Roth, Direttore
del Victoria & Albert Museum (e
tra gli autori di questa raccolta)
come “un kit di pronto soccorso
culturale in una situazione difficile”.
Il nostro Anno delle lingue e
delle letterature della Russia e
Le relazioni culturali con la Russia
si fondano tutte sulle persone, il
rispetto e la fiducia. Ci impongono
anche una prospettiva a lungo
termine. Non possiamo permettere
che il nostro lavoro sia determinato
dai cicli politici, che in Russia
tendono a essere estremi.
Quando guardo oltre i problemi
quotidiani e assumo una prospettiva
a lungo termine, l’idea fondamentale
è quella espressa da Mikhail
Gorbachev al tempo del mio primo
incarico a Mosca: la Casa comune
europea. Non so ancora come
possa funzionare nel mondo politico,
ma nel mondo della cultura, a mio
avviso, funziona proprio bene.
urante una festa in
un affollato locale
di Stoccolma, Bo
ordina una birra. La
cameriera lo guarda ed esclama:
“Ehi, ma tu sei un FameLabber! Ti
ho visto al museo a Londra!”
D
Bo è un dottorando bulgaro in Svezia
ed è appena tornato dall’evento Hall
of FameLab che abbiamo organizzato
per la Notte europea dei ricercatori al
Natural History Museum di Londra.
Ha partecipato insieme ad altri
giovani scienziati provenienti da
vari Paesi europei, tutti studenti di
FameLab, il prodotto dello Science
Festival di Cheltenham. È una gara
di divulgazione scientifica in cui i
partecipanti hanno solo tre minuti
per spiegare un concetto scientifico
a scelta e sono giudicati per il
contenuto, la chiarezza e la forza
carismatica della loro presentazione.
Dal 2007, grazie alla collaborazione
con il British Council, il FameLab
è diventato internazionale. Ora,
nemmeno dieci anni più tardi, è
ormai “virale” e più di trenta Stati
in tutto il mondo organizzano gare
nazionali. I partecipanti dichiarano
all’unanimità che la cosa più
importante sono i due giorni di
conferenze tenute da divulgatori
scientifici britannici in ogni Stato. E
la rete internazionale degli studenti.
Solo nel 2016, i vincitori nazionali di
tredici Stati dell’Unione Europea si
sono sfidati alla finale di Cheltenham.
La scienza è davvero mondiale: il 48%
degli articoli scientifici britannici è il
risultato di collaborazioni internazionali
e il 40% dei ricercatori che lavorano
nel Regno Unito sono stranieri. Più
del 50% dei dottorandi nel Regno
Unito provengono dall’estero.
Inoltre, una percentuale compresa
tra il 10 e il 20% dei fondi britannici
per la ricerca sono utilizzati per
collaborazioni internazionali e le
ricerche condotte negli istituti di alta
formazione britannici hanno portato un
contributo in ogni nazione del mondo.
La geografia del FameLab è
altrettanto ricca e complessa. Insieme
ad altri FameLabber provenienti
da Italia e Grecia, Bo ha lavorato
all’organizzazione della gara in Svezia.
Uno studente croato ha convinto la
sua università svizzera ad avviare un
suo FameLab e ora si svolge anche al
CERN. La vincitrice austriaca del 2008
è un’italiana, la quale ha poi ispirato
il lancio di FameLab in Italia e più
tardi un altro vincitore del FameLab
austriaco si è consultato con il suo
team in Spagna per organizzare la gara
che alla fine ha attirato l’attenzione…
dell’attuale regina di Spagna!
Ogni anno in Bulgaria invitiamo
FameLabber internazionali allo
Science Festival di Sofia grazie alla
collaborazione tra i nostri rispettivi
centri nazionali di cultura. Qui
incontrano gli idoli della scienza
britannica, Robert Winston o Richard
Dawkins, anche loro relatori al festival.
Questi incontri non sono una
coincidenza: la scienza è un linguaggio
mondiale. Ed è anche un potente
strumento di relazione culturale. Il
Regno Unito ha un ruolo speciale
in questa sfida mondiale verso il
progresso e la prosperità, grazie anche
a reti come il FameLab International.
Per tornare al locale, Bo ha
intavolato una conversazione con
la cameriera la quale si è rivelata
essere una studentessa britannica
di biochimica che sta facendo
un anno di studio in Svezia.
Ora, concluso il dottorato, Bo ha
ottenuto una borsa di post-doc a
Oxford. Segnatevi le mie parole: un
giorno il suo nome sarà in qualche
notizia legata a un’importante scoperta
nel campo della nanotecnologia. Ma
per il momento mi ricorderò le sue
parole: “Ciao, sono un FameLabber
e sono dipendente… dagli amici
che mi ha fatto conoscere”.
19
© Shekhar Bhatia
Bidisha
Scrittrice e conduttrice
Eliminare le barriere culturali
n questo momento mi
trovo a Pechino. Dalla
Cina, l’Inghilterra sembra
una piccola terra lacerata
dall’ineguaglianza e dalla mancanza
di opportunità, tormentata da paure
infondate: dei profughi, dei terroristi,
dei migranti, delle persone che
sembrano “diverse”, dell’invasione o
controllo da parte di qualche forza
esterna, che si tratti della burocrazia di
Bruxelles o della violenza radicalizzata.
I
La Gran Bretagna ha parecchio
lavoro da fare in termini di relazioni
culturali. Dobbiamo dimostrare di
non essere fatalmente impigliati
in ingenui e monorazziali ricordi di
grandezza che partono da Beowulf
e arrivano a Virginia Woolf passando
per Guglielmo il Conquistatore e
William Morris. Dobbiamo dimostrare
di non essere dei filistei culturalmente
arroganti che vogliono giocare nella
grande arena di sabbia pubblica
solo se possono essere i capi e
impartire ordini o essere i pupilli
dei giocatori più potenti, o ancora
giocare solo con quelli identici a noi.
Dobbiamo accettare che le fonti
predominanti del potere culturale
non sono solo quelle in lingua inglese
e americana ma possono arrivare
da qualsiasi parte, dai registi cinesi,
indiani e iraniani, dagli artisti visivi e
dai coreografi dell’America Latina,
dai poeti del Medio Oriente e dagli
scrittori dell’Europa centrale, fino
ai documentaristi dell’Est Europa.
20
Il Regno Unito continuerà a
essere un attore degno di
rispetto nella comunità artistica
e politica internazionale solo
se si aprirà ed eliminerà le
barriere culturali. Dobbiamo
iniziare ad accogliere le lingue
dei nostri vicini e anche di
chi non è geograficamente
prossimo, insegnando ai nostri
figli idiomi diversi già a scuola,
aiutandoci con lo studio di
romanzi, film, arti e
storia di altri Paesi.
Sono favorevole a
rendere obbligatorio
lo studio di almeno
una lingua che non
abbia l’alfabeto
latino, come il cinese,
l’arabo, il farsi o il
russo. Potremmo
ricominciare a
investire nell’arte e
nelle scienze umane
a livello universitario,
offrendo posizioni di
prestigio a importanti
accademici e artisti
internazionali e
incoraggiare
l’iscrizione
di studenti
stranieri,
chiedendo
loro tasse
ragionevoli,
non esorbitanti.
Potremmo anche
consentire a
queste persone
di lavorare come
artisti o studiare
come apprendisti
o assumerli
come
impiegati
nelle
istituzioni culturali britanniche
una volta terminati gli studi.
Potremmo garantire soggiorni a lungo
termine e scambi tra artisti di qualsiasi
disciplina, dalla poesia alla ceramica,
in collaborazione con università,
gallerie d’arte e fondazioni di tutto il
mondo. Vorrei vedere un maggiore
investimento nella pubblicazione di
letteratura tradotta in lingua inglese
e un impegno da parte dei principali
teatri britannici a rappresentare
opere teatrali contemporanee di
drammaturghi europei; lo stesso
vale per gli spazi e i festival
dedicati a film, arte e danza.
Dobbiamo anche convincere i
mass media a inaugurare una nuova
tradizione di rigoroso impegno critico
nei confronti dei creativi europei,
senza cinismo o facili concessioni.
Questo significa aprirsi, non serrare
le file; abbassare il ponte levatoio,
non ritirare la scala; farsi ispirare
dalle nuove tendenze e creare una
comunità culturale diversa dal passato
senza sentirsi minacciati o superiori
o isolati. Significa fare un grande
sforzo per cambiare le cose prima
che sia troppo tardi e si finisca col
diventare davvero una piccola isola
sperduta in un mare ghiacciato.
21
Tim Supple
Regista Teatrale
Internazionale
Elif Shafak
Scrittrice,
saggista e relatrice
Il Matto del Re Lear e l’Europa
e il 23 giugno il Regno
Unito voterà per l’uscita
dall’Unione Europea, io
sposterò la mia casa
e la mia sede artistica da un’altra
parte. Non è negativo come potrebbe
sembrare, è solo una presa di
coscienza che l’appartenenza del
Regno Unito all’Unione Europea non
è fondamentale per fare teatro. La
decisione di andarmene sarebbe in
parte dovuta alle mie congetture su
chi guiderebbe il Paese, su come
finirebbe e con quale mandato. E
d’altra parte sarebbe un bel modo
per conservare quella relazione
aperta e fluida con il resto del
mondo di cui sento il bisogno.
S
La questione cruciale su come
conservare collaborazioni culturali
dinamiche e fruttuose con l’Europa si
affronta meglio partendo da un punto
fermo: le nazioni vanno e vengono
ma lo spirito dell’arte è indistruttibile.
La creazione e la fruizione di ciò che
intendiamo con cultura (teatro, film,
arte, libri, musica) mostra un Paese
globale che prescinde dalle barriere
nazionali e sovranazionali. Non c’è
dubbio che l’identità nazionale,
gli interessi, le tradizioni e a volte
le espressioni concorrono tutti a
una creazione artistica dinamica e
fruttuosa. Ma le opere e le esperienze
più grandi non si limitano a questa
prospettiva. Come i migliori genitori, le
nazioni devono nutrire l’arte senza mai
sperare di esserne i proprietari. Chi ora
pensa che le opere teatrali dell’antica
Grecia “appartengano” allo Stato
greco moderno? Spero che lo stesso
si possa dire un giorno di Shakespeare.
Brexit da parte di un ente di
finanziamento sarebbe l’immediato
annuncio delle seguenti misure:
Il dialogo e la collaborazione tra
artisti dovrebbero essere il più liberi
possibile da interessi nazionali (ed
economici, religiosi, ideologici e tribali).
Quando la cultura è frenata da queste
forze, diventa uno dei tanti organismi
del potere e un mezzo di controllo.
Raramente è una buona cosa. L’attività
artistica fiorisce come spazio libero
e alternativo. È strano, lo so, dover
chiedere a quelli che hanno soldi e
potere di dare senza aspettarsi nulla
in cambio; al massimo gratitudine, ma
non certo lealtà, sostegno, discrezione.
Eppure questo è il migliore accordo
che si possa stringere con gli artisti, lo
sapeva bene Re Lear con il Matto: che
senso avrebbe la sua figura se non
gli lasciasse dire quello che vuole?
2. Riformulazione radicale del
procedimento di assegnazione dei
fondi: è diventato troppo regolato,
troppi schemi con criteri precisi…
dovrebbe essere più aperto a
quello che gli artisti vogliono fare.
Con o senza l’Unione Europea,
il modo migliore per tenere vivi
i rapporti culturali è finanziarli,
supportarli e soprattutto lasciarli
esistere liberamente. In termini
pratici la risposta più forte alla
1. Aumento radicale dei fondi
per scambi e collaborazioni
artistiche (visite, co-produzioni
e comunicazione): i soldi
non bastano mai.
3. Pressione sul governo per
semplificare il rilascio del
visto agli artisti: per molti è
vergognosamente difficile.
Ma consiglierei queste tre misure
indipendentemente dal risultato
del referendum. Con o senza la
recente istituzione dell’Unione
Europea, dobbiamo lavorare sodo
per conservare collaborazioni
culturali dinamiche e fruttuose.
Che sono auspicabili e necessarie
e sono la ragione fondamentale
per cui faccio teatro.
Sognare in più lingue
urante la mia prima visita
a Londra, parecchi anni
fa, girai per le strade
osservando le targhette
blu sulle facciate degli edifici. Erano
dedicate ad artisti, filosofi, uomini di
Stato, scienziati, scrittori… Venendo da
Istanbul, una città dalla grande storia
ma affetta da un’amnesia collettiva
ancora più grande, ero sorpresa
dal modo in cui la memoria urbana
era tenuta viva. Mi fermai davanti a
un grande edificio bianco, gli occhi
incollati su un cartello tondo: “Qui visse
Mustafa Reshid Pasha, uomo di Stato e
diplomatico ottomano”. Reshid Pasha
è stato il promotore delle Tanzimat, una
serie di riforme progressiste (introdotte
dall’Impero Ottomano nel XIX secolo),
tra cui l’abolizione della schiavitù e della
tratta degli schiavi. È stata una bella
sorpresa scoprire che la città di Londra
ricorda e rende onore a quest’uomo,
probabilmente più di quanto non l’abbia
mai ricordato e onorato la madrepatria.
D
I legami culturali sono onde che si
spingono lontano, raggiungendo
sponde sconosciute. Da bambina mi
sono sempre sentita vicina all’Inghilterra
grazie a Charles Dickens, Oscar Wilde,
Roald Dahl e altri scrittori. Con il tempo,
ho trovato nella lingua inglese una
seconda patria. Nonostante in Turchia
sia stata aspramente criticata per aver
scritto in inglese e in turco, continuo a
credere che sia possibile, e abbastanza
naturale, sognare in più lingue.
Purtroppo, non tutti possono essere
nomadi o globetrotter. Un allarmante
numero di persone non ha mai messo
piede in “terra straniera” né si è mai
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trovata davanti a persone con un
diverso background culturale, etnico
o religioso. L’isolamento fomenta la
xenofobia. In presenza di un divario
cognitivo tra “noi” e “loro” è molto
più semplice fare generalizzazioni
che alimentano la paura, i cliché e gli
stereotipi. Per un essere umano, niente
è più pericoloso del non sapere di
essere intrappolato in una narrazione
a senso unico. La prima cosa che le
società non democratiche negano
ai propri cittadini è la molteplicità.
Uno dei più grandi problemi della
Turchia e del Medio Oriente oggi è
che a milioni di persone sia imposta
dall’alto una narrazione a senso unico
che riguarda la loro storia, il loro
regime e la situazione mondiale.
In questo contesto, i legami culturali di
qualsiasi tipo possono fare un’enorme
differenza. L’arte del raccontare storie
sostituisce l’unicità con la diversità.
La cultura raggiunge coloro che
altrimenti sarebbero rimasti isolati
per sempre. Per fortuna, le storie
non hanno bisogno del passaporto.
I politici bruciano i ponti. La letteratura
li costruisce. I politici dividono il
popolo in categorie. La letteratura le
contesta e distrugge. I politici fanno
leva sull’affermazione che “Noi siamo
meglio di loro”. La letteratura sussurra
“L’Altro sono io”. D’ora in avanti, i legami
culturali del Regno Unito con l’Europa e
il resto del mondo saranno ancora più
importanti. Oggi non è soltanto l’Unione
Europea come istituzione a essere
messa in questione, ma la nozione
stessa di democrazia. Sempre più
persone in Medio Oriente cominciano
a pensare: “Forse la democrazia non
è l’unica strada percorribile. Quello
che ci serve è un leader forte e una
squadra di tecnocrati competenti e
di burocrati fedeli”. E cominciano a
sostenere che i diritti delle donne e
della comunità LGBT, così come la
libertà di parola, siano valori occidentali
e non universali. Sono affermazioni
cupe e pericolose. C’è un’allarmante
diffusione di democrazie illiberali: Stati
(come la Turchia) che hanno una sorta
di sistema elettorale senza un vero
codice di leggi, una netta separazione
dei poteri, mezzi di informazione
non omologati e libertà di parola. E
senza libertà di pensiero, nessuna
“democrazia” può essere davvero tale.
Noi scrittori siamo creature solitarie.
Ma non possiamo più concederci il
lusso di essere apolitici o distaccati.
È arrivato il momento di alzare la
voce e inserirci nel dibattito pubblico
per rianimare l’umanesimo e i valori
fondamentali dell’essere umano.
La cultura è diventata il terreno
di battaglia di questo secolo.
Possiamo ottenere un mondo migliore,
più sicuro e pacifico solo se costruiamo
solidi legami culturali che vadano oltre
i confini religiosi, nazionali o etnici. Nel
nuovo ordine mondiale, più che i politici
o i diplomatici come Mustafa Reshid
Pasha, saranno i singoli cittadini a fare
la differenza, in meglio o in peggio.
È una scelta che spetta a ognuno di
noi: saremo quelli che costruiranno
ponti o quelli che li distruggeranno?
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Editor: Roy Bacon
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