Riflessi di Adolescenza sullo specchio del Web

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Riflessi di Adolescenza sullo specchio del Web
Riflessi di Adolescenza sullo specchio del
Web
di Laura Chiesa
La Dott.ssa Irene Ruggiero, psicoanalista SPI, in un suo articolo pubblicato sul sito
ufficiale della Società Italiana di Psicoanalisi, affronta il tema dei social network e della
rete in adolescenza.
“Penso che la Rete sia uno strumento formidabile per reperire e scambiarsi informazioni, e che, in
quanto tale, promuova potenzialmente una maggiore democrazia. Tuttavia, la Rete comporta anche
dei rischi, soprattutto per gli adolescenti più fragili.”
Questo è il punto di partenza dell’autrice, che permette di addentrarci nella questione dei pericoli o
dei potenziali segnali di allarme, ricordando però che la Rete non è in sé negativa.
Quali attrezzature psicologiche per affrontare le sfide adolescenziali?
Per capire alcuni aspetti delle fragilità che si possono incontrare in adolescenza e che poi
potrebbero esporre ad un uso problematico della Rete, la Dott.ssa Ruggiero ripercorre le tappe
evolutive della prima infanzia che permettono uno sviluppo mediamente armonico e consentono
quindi al futuro adolescente di arrivare sufficientemente attrezzato alla tempesta emotiva e
identitaria dell’adolescenza appunto.
L’attrezzatura in questione consiste in un buon narcisismo, positivo “senso di sé, base
dell’autostima e della fiducia in se stessi”.
L’esperienza di rispecchiamento
Per raggiungere un buon narcisismo, un’esperienza infantile fondamentale è quella del
rispecchiamento: quando il bambino guarda la madre, vede se stesso riflesso nei suoi occhi, nella
sua espressione, nelle sue emozioni, poiché lei riesce ad intuire cosa lui vive in quel momento e
riesce ad esprimerlo in parole e stati d’animo. In questo modo il bambino acquisisce gradualmente il
senso di esistere; è negli occhi della madre che inizia a costruire il proprio senso di sé. Questo nella
misura in cui la madre (o chi per essa) riesce a cogliere quelli che potrebbero essere i vissuti del
bambino in quel momento.
“Se il rispecchiamento materno funziona in modo sufficientemente buono, si pongono le basi per lo
sviluppo di un sentimento di autenticità e pienezza, su cui si edificheranno l’autostima e la fiducia in
se stessi”.
Rispecchiamenti non riusciti
È fisiologico che l’esperienza di rispecchiamento abbia delle imperfezioni e degli aggiustamenti,
tuttavia, per diversi motivi può accadere che questa complessiva esperienza di rispecchiamento non
si sviluppi in modo sereno, a causa di sofferenze da parte di chi si occupa del bambino, o
semplicemente a causa di una difficoltà a sintonizzarsi della coppia. In questo caso “accadrà che il
lattante veda riflessi negli occhi di sua madre non se stesso ma gli stati d’animo di lei, spesso la sua
angoscia, la sua rabbia o le sue difese da queste emozioni. Invece che curiosità, fiducia e apertura
verso il mondo, si struttureranno apprensione e preoccupazione […] a scapito della sua possibilità di
sognare […]. Il rispecchiamento mancato o carente creerà nel mondo interno aree di orfanità e
sentimenti di vuoto che il bambino cercherà di colmare aggrappandosi concretamente alla madre e,
più avanti nella vita, a persone o oggetti esterni che diventeranno imprescindibili proprio in quanto
sostituti di qualche cosa che non si è costituito nel mondo interno. E’ così che si strutturano le
dipendenze patologiche.”
Rispecchiamenti in adolescenza
I cambiamenti adolescenziali impongono di entrare in contatto con nuovi aspetti di sé, che possono
far sentire disorientati, incompresi, frammentati…esperienza simile a quella dell’infante che non ha
ancora un linguaggio per comprendersi e descriversi. Ecco quindi che “la funzione di
rispecchiamento svolta da persone affettivamente significative (ti capisco, sento quello che tu senti e
ti aiuto a metterlo in parole), importante in tutte le fasi della vita, sarà di nuovo cruciale in
adolescenza “. “Nel difficile compito di integrare e dare un senso soggettivo alle trasformazioni in
atto, la condivisione con il gruppo dei pari costituisce un sostegno formidabile.”
Rispecchiamenti in Rete
Uso positivo che aiuta la crescita
La dott.ssa Ruggiero ricorda che la Rete non è in sé positiva o negativa, ma come per ogni strumento
della cultura, è l’uso che se ne fa ad essere positivo o negativo. Tra le opportunità offerte dalla Rete
in adolescenza, la Dott.ssa ricorda “la possibilità di un contatto facile con coetanei con cui
condividere esperienze, impressioni, sensazioni e pensieri […] sappiamo quanto sia importante per
gli adolescenti condividere abitudini e modelli di comportamento, quanto siano portati a cercare
l’identicità, come piccole differenze nell’abbigliamento – ma anche nella musica preferita – possano
diventare elementi identitari sulla cui base dividersi in gruppi dai confini rigidi, la cui funzione
sembra quella di rafforzare l’identità dei propri membri, esasperando le differenze rispetto agli
altri”. La Rete può quindi essere un terreno utile per l’adolescente per il confronto con i coetanei,
uno tra i vari contesti in cui misurarsi e costruire la propria unicità: “Il compito che l’adolescente ha
di fronte è quello, tutt’altro che facile, di trovare un equilibrio tra appartenenza (conformismo,
omologazione) e differenziazione, tra bisogno di contatto e difesa di una quota minimale di
soggettività. E’ questo il processo di soggettivazione, grazie al quale l’adolescente diventa
gradualmente un adulto, caratterizzato da una identità personale differenziata, capace al contempo
di autonomia e di dipendenza sana (non coattiva) dagli altri”.
Uso negativo che impedisce la crescita
La Rete è usata in modo negativo quando, anziché aiutare nella crescita personale, diventa uno
strumento per evitare il confronto, il contatto con gli altri. Tra i possibili usi patologici, la Dott.ssa
ricorda la dipendenza da Internet, il bisogno compulsivo di stare al computer: “Il meccanismo
coinvolto sembra essere quello implicato nelle più varie forme di dipendenza patologica (da cibo, da
sostanze, da alcol, dal sesso, dal gioco d’azzardo)”: una modalità relazionale in cui viene cercato un
contatto perenne con un ‘oggetto’ sempre disponibile. “Rispetto ad altre dipendenze, questa sembra
socialmente più accettata, forse perché ritenuta meno dannosa, ed è in genere individuata con un
ritardo molto maggiore. Le ragioni per cui si instaura una dipendenza dalla Rete possono essere
svariate”, tra le principali:
Il bisogno di apparire, che sostituisce un bisogno di rispecchiamento rimasto in sospeso.
“La ricerca coattiva di una conferma della propria esistenza/consistenza nell’essere visti dagli altri.
Occorre allora essere in Rete (su Facebook o YouTube o altri social network) per sentire di esistere,
di esserci. La Rete diventa il sostituto degli occhi della madre nella primissima infanzia.“
Nei casi estremi questo bisogno può portare a costruire una falsa identità, con il rischio di rimanerci
intrappolato; infatti gli “amici” in Rete non hanno possibilità di conoscere la persona reale ed il
ragazzo potrebbe finire per pensare di non essere apprezzabile per ciò che è realmente, ma solo per
come si è mostrato, costruito.
Un altro caso estremo è l’esibizione di atti violenti e antisociali: “apparentemente senza rendersi ben
conto di ciò che fanno, e poi si fotografano, si filmano, si registrano e diffondono le loro “gesta”
attraverso Internet, alla ricerca di una prova di esistenza negli occhi di chi immaginano assistere alle
loro imprese sbigottito, scandalizzato o indignato. Le reazioni del “pubblico” vengono utilizzate come
tasselli nella costruzione di un’immagine di sé che possa colmare le loro falle identitarie.”
Anche questo è un preoccupante segnale, che indica la presenza di un vuoto di identità che toglie al
ragazzo libertà, creatività e possibilità di esprimersi. È una situazione in cui la persona sentendosi
inconsistente si costruisce un’identità negativa nel disperato tentativo di sentire di esistere.
L’evitamento delle relazioni “in carne e ossa” (Hello Denise).
“Si pensi all’elenco degli “amici” in Facebook e alla sua funzione di conferma narcisistica (più amici
ho, più sono popolare e importante); una sorta di collezionismo in cui manca l’incontro “carnale”, in
cui sia il soggetto che l’altro sono coinvolti con tutti i sensi e non solo con la loro immagine. Il
mostrarsi prende il posto dell’incontrarsi, il contatto quello della conoscenza e dell’intimità. Per
esempio, non occorre più tenere in mente la storia di un amico, ricordare le sue confidenze o anche
semplicemente la data del suo compleanno, tanto “è in Facebook”. Così può accadere che stormi di
messaggi di auguri anonimi e preconfezionati si sostituiscano ad un pensiero autentico, frutto di una
relazione dotata di spessore, in cui ci sia spazio per il ricordo, il desiderio e l’attesa. I contatti si
fanno sempre più rapidi e superficiali, si diffonde un lessico impoverito e spersonalizzato, la velocità
prende il posto della profondità. Sms, chat, twit… Forme di comunicazione veloce, che mantengono
in continuo contatto concreto con “amici” virtuali, carburante narcisistico a poca spesa rispetto
all’impegno richiesto da una reale conoscenza e da una relazione profonda. […] Queste modalità
relazionali sono fisiologiche e anche utili nell’arco dei primi anni dell’adolescenza, diventano invece
inquietanti se si cristallizzano”. Manifestano il terrore di esporsi ad offese narcisistiche, segnale di
una profonda fragilità, segnale dell’incapacità di essere orgogliosi di ciò che si è, segnale del fatto
che l’opinione sbagliata degli altri ha il potere di annientare. “Ad un certo punto però, occorre uscire
dal nido e affrontare le esperienze “in carne e ossa”, esponendosi alle intense emozioni che esse
suscitano; solo così, si può fruire dell’esperienza fondamentale di scoprirsi anche attraverso gli occhi
degli altri. Questo non può accadere nei rapporti virtuali, in cui manca una verifica multi-sensoriale.”
Manca lo scarto tra l’immagine che vorremmo dare di noi e ciò che gli altri dimostrano di aver colto:
è “l’esperienza della scoperta di sé attraverso gli altri che, seppure non esente da rischi di potenziali
traumatismi, ha un’enorme potenzialità maturativa, in quanto consente anche una bonifica del senso
di sé, fornita da uno sguardo altrui capace di accettare (o amare) dell’adolescente aspetti di sé che
egli non accetta.”
In generale, poi, la Rete sollecita l’onnipotenza: c’è l’idea di trovare tutto, subito e sempre. Manca il
tempo sufficiente a far nascere una curiosità e una tensione conoscitiva, […] c’è un possesso
concreto privo di spessore soggettivo invece che conquista personale stabile.” Questo porta ad una
minore capacità di tollerare le “frustrazioni, una tendenza ad agire nel concreto (fosse anche solo
sulla tastiera), una negazione della dipendenza dall’altro e un progressivo impoverimento della
capacità di provare desiderio e piacere, tutti elementi che mi pare si vadano infiltrando anche nella
nostra società adulta.”
Adulti, Società e Adolescenza
“Nonostante oggi gli adolescenti siano oggetto di innumerevoli studi e dibattiti la Società attuale
appare poco attrezzata a sostenere il processo adolescenziale, proprio per il moltiplicarsi di elementi
adolescenziali nella cosiddetta società adulta: il crescente sfumare di limiti differenzianti tra i sessi e
le generazioni, l’espandersi di aree di ambiguità sempre più ampie (tra vero e falso, fra immagine e
realtà, tra essere e apparire). Molti dei genitori di oggi condividono con i figli adolescenti uno stesso
senso di smarrimento. E’ dunque più difficile che l’adolescente possa trovare nello sguardo dei
genitori un rispecchiamento adeguato che lo sostenga nel processo di crescita; capita anzi sempre
più spesso che i genitori cerchino nello sguardo dei figli un supporto per un proprio equilibrio
precario. Non sono solo gli adolescenti ad avere un’attenzione quasi ossessiva per l’apparire e per
l’apparenza, anche tra gli adulti ha preso sempre più piede una cultura in cui l’abito fa il monaco.
Gioca un ruolo importante anche la drammatica marginalizzazione in cui la Società attuale pone gli
adolescenti, perlopiù relegati al ruolo di spettatori passivi di un mondo su cui non hanno il potere di
incidere, costretti a sopportare una tragica divaricazione tra le loro potenzialità fisiche e intellettive
e la loro impotenza reale nel modificare la Società in cui vivono”.
Radici dell’uso patologico della Rete
“Concludendo, direi che nell’uso patologico (non nell’uso in sé e per sé) della Rete e dei social
network trova espressione di un senso di inconsistenza che ha una duplice radice, da una parte nella
storia personale di ognuno, dall’altra nella marginalizzazione degli adolescenti nelle attuali società
occidentali.
Costretti ad una sosta eccessivamente prolungata nel guado adolescenziale, deprivati del potere di
incidere sull’ambiente in cui vivono, possono ritrovarsi costretti a “giocare” in modo compulsivo e
ripetitivo in un universo virtuale che li ripari da frustrazioni eccessive. In questa prospettiva, certi
usi patologici e perversi della Rete costituiscono anche la punta dell’iceberg di un crescente disagio
sociale.”