L`importanza dell`analisi di facies sedimentarie in studi di

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L`importanza dell`analisi di facies sedimentarie in studi di
APERTURA CONVEGNO
Modera Luigia Ierace
2^ sessione
ESPLORAZIONE
GEOLOGICA DEL
SOTTOSUOLO E
MODELLAZIONE DEI
SISTEMI PETROLIFERI
E DI GAS NATURALI
modera:
Franco Guglielmelli
sergio g.
longhitano
L’importanza dell’analisi di facies sedimentarie
in studi di caratterizzazione di reservoir di tipo clastico
Sergio G. Longhitano
Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento di Scienze,
Viale dell’Ateneo lucano, 10 – 85100 Potenza. E-mail: [email protected]
Parole chiave: facies sedimentarie; sedimentologia; reservoir; analoghi di
affioramento; idrocarburi.
Atti del 1º Congresso dell’Ordine dei Geologi di Basilicata,“Ricerca, Sviluppo ed Utilizzo delle Fonti Fossili:
Il Ruolo del Geologo”, Potenza, 30 Novembre - 2 Dicembre 2012.
Riassunto
Negli ultimi decenni, la ricerca di idrocarburi ha messo in evidenza una presenza di combustibili
fossili di grande importanza e precedentemente sottostimata, sconfessando le voci
allarmistiche sul loro imminente esaurimento a scala globale. Gran parte di questi giacimenti è
stata riconosciuta all’interno di rocce di natura sedimentaria presenti nel sottosuolo di svariati
contesti geologici, sia continentali che offshore.
L’investigazione di reservoir di tipo clastico viene affrontata in più fasi e, anche nel corso
degli stadi di più avanzata conoscenza, il grado di incertezza nei confronti dei giacimenti di
sottosuolo rimane molto alto, generando un grande numero di possibilità di sfruttamento, la
maggior parte delle quali possono rivelarsi improduttive.
Al fine di ridurre questo grado d’incertezza, una volta individuati la natura ed i caratteri generali
della roccia serbatoio, risulta molto utile lo studio di un analogo in affioramento. Tale analogo
viene generalmente investigato attraverso un approccio di tipo sedimentologico con lo studio
delle facies sedimentarie che lo costituiscono.
In questo articolo viene descritta la tecnica dell’Analisi di Facies, così come viene di solito
impiegata sia per la caratterizzazione di reservoir di tipo clastico sia per lo studio di corrispettivi
analoghi presenti in affioramento. Tale tecnica, la quale si basa su osservazioni ottenute
direttamente sul campo ma che possono essere affiancate da analisi di laboratorio, è ancora
oggi considerata uno degli approcci metodologici più efficaci, i cui risultati, se opportunamente
applicati ad analoghi reservoir clastici di sottosuolo, possono notevolmente migliorare la
produttività di giacimenti di idrocarburi fossili.
Il concetto di facies ed il suo significato
Il concetto di facies fu introdotto nelle Scienze della Terra da Nicholas Steno già a partire
dal 1669 (vedi Teichert, 1958). Con tale terminologia venivano riassunte tutte le caratteristiche
fisiche macroscopiche osservabili su rocce che affioravano sulla superficie terrestre e le quali,
intuitivamente, dovevano essere state generate durante un determinato intervallo di tempo
geologico.
L’uso moderno del termine facies nell’ambito della Geologia del Sedimentario fu più tardi
introdotto da Glessy (1838) il quale riferisce come, all’interno di una facies, possano essere
contemplati gli aspetti più specificatamente di tipo litologico e paleontologico rilevabili
all’interno di una determinata unità stratigrafica. Un significato più squisitamente genetico
viene successivamente fornito da Teichert (1958) e da Middelton (1973), i quali suggerirono
che una facies può essere considerata come il prodotto sedimentario generato da un
insieme di processi geologici che hanno agito nel passato. La corrispondenza tra ambienti del
passato ed ambienti attuali fu per altro già intuita da Walther nel 1893, il quale affermò che
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l’interpretazione più attendibile di un processo geologico avvenuto nel passato può essere
ottenuta soltanto attraverso l’analogia con il medesimo processo osservato oggi (Middleton,
1973, p. 981).
La definizione forse più universalmente accettata è stata infine quella di Middelton (1978)
il quale afferma che una facies può essere individuata su rocce affioranti sulla base delle
sue proprie e distintive caratteristiche sedimentarie, quali litologia, colore, granulometria dei
sedimenti, strutture interne, fossili.
Una volta documentate e catalogate, anche nell’ottica della loro reciproca posizione latero/
verticale osservabile all’interno di una successione stratigrafica, le facies sedimentarie possono
quindi essere interpretate in termini ambientali. Tale interpretazione consiste nell’attribuire a
ciascuna facies il significato di ‘ambiente deposizionale’ il quale, se riferito ad altri ambienti
ad esso limitrofi e geneticamente collegati tra di essi, contribuisce a formare un più complesso
insieme di ambienti che viene definito ‘sistema deposizionale’ (Walker, 1979; 1984).
Ad esempio, una successione di strati lenticolari costituiti dominatamente da ghiaia (facies a)
ed alternati a strati arenacei (facies b), caratterizzati al loro interno dalla presenza di strutture
sedimentarie diagnostiche, può costituire un’associazione di facies (Ass. di Facies 1 = facies a
+ facies b), la quale può avere avuto origine all’interno di un ambiente deposizionale di tipo
fluviale (Fig. 1). A sua volta, tale ambiente può costituire un elemento di un più complesso ed
esteso sistema deposizionale di tipo alluvionale (Fig. 1).
Come si può notare, il concetto di facies rappresenta il termine più piccolo ed elementare di
una serie gerarchica di ‘elementi’ i quali, una volta documentati e messi in relazione ‘genetica’
l’uno con l’altro, formano l’espressione di corpi geologici più grandi e complessi. Tali corpi, se
costituiti da sedimenti clastici e porosi, e quindi capaci di immagazzinare fluidi in particolari
condizioni di confinamento geologico (‘trappole’), rappresentano dei reservoir dotati di una
certa rilevanza economica.
Il metodo dell’Analisi di Facies
e la scelta dell’Analogo di affioramento
Al fine di poter definire le caratteristiche di rocce sedimentarie presenti a diverse migliaia di
metri di profondità nel sottosuolo e potenzialmente serbatoio di fluidi o di gas, il metodo ancora
oggi più adottato è quello dell’Analisi di Facies (e.g., Longhitano, 2012). Con questa tecnica
s’intende la dettagliata descrizione dei caratteri fisici di una determinata roccia sedimentaria
o di un sedimento non consolidato, con particolare riferimento alla litologia, granulometria,
colore, strutture sedimentarie eventualmente presenti, così come al contenuto fossilifero, etc.
…, al fine di stabilire le relazioni spaziali (latero/verticali) tra tutte le varie componenti che
possono essere riconosciute (Slatt, 2006).
Tale metodologia, la cui efficacia dipende dall’esperienza dell’operatore, nonché da tutta
una serie di analisi corredate e che necessitano di strumentazioni di laboratorio (analisi
morfometriche su elementi clastici macroscopici, analisi petrografiche in sezione sottile,
analisi granulometriche, mineralogiche e geochimiche, etc. …), può essere effettuata sia in
affioramento (Fig. 2A), e cioè su rocce sedimentarie esposte all’osservazione del geologo, sia
su carote (Fig. 2B), campioni cilindrici di roccia estratta durante una perforazione geognostica.
Tale ultima condizione permette, ovviamente, un’osservazione molto più parziale della roccia
sedimentaria e pertanto spesso dubitativa, incompleta o incerta (vedi discussione in Martinius
& Næss, 2005).
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Fig. 1 Livelli di documentazione a scala gerarchica crescente tipici del metodo dell’Analisi di Facies. Partendo
dall’identificazione delle singole facies alla scala dell’affioramento, le stesse vengono poi riferite ad associazioni di
facies, ad ambienti e, in ultimo, al sistema deposizionale. Nell’esempio, le facies e gli affioramenti rappresentano
conglomerati ed arenarie oligo-mioceniche affioranti lungo il margine sud-orientale del Bacino di Rift Sardo
(Simone et al., 2011; 2012), mentre il sistema deposizionale ritrae una conoide alluvionale attuale nel Taklimakan
Desert, Cina.
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Proprio perché le indagini petrolifere ‘dirette’ vengono svolte sulla base di quest’ultimo tipo
di campionatura, l’interpretazione di corpi sedimentari sepolti viene riferita a cluster di dati
di importanza molto locale (REV = Rapresentative Elementary Volume, sensu Bear, 1972). Per
questo motivo, l’estrapolazione di dati quasi puntiformi al resto del sistema investigato diventa
problematica, a meno che gli stessi sedimenti osservati in sottosuolo non vengano raffrontati a
situazioni analoghe di affioramento.
La scelta del così detto ‘analogo’ di affioramento è generalmente condotta attraverso
l’individuazione di un contesto geologico molto simile alla situazione da investigare in
sottosuolo, non necessariamente presente in settori regionalmente confinanti all’area che
include il potenziale reservoir. Questa similarità consiste nel riconoscere uno stesso tipo di
bacino sedimentario (e.g., estensionale, compressivo, etc.), caratterizzato dalla stessa
evoluzione stratigrafica della successione di riempimento (e.g., trasgressiva, regressiva, etc.),
la quale possibilmente include sistemi deposizionali molto simili (e.g., continentali, transizionali,
marino prossimali, etc.).
Fig. 2 (A) Gruppo di sedimentologi durante l’Analisi di Facies di arenarie ben stratificate affioranti all’interno della
successione oligo-miocenica del Bacino di Rift Sardo (Simone et al., 2012).
(B) Analisi di Facies condotta su carote disposte in laboratorio.
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Generalmente, l’Analisi di Facies condotta su rocce sedimentarie affioranti, parte da una
serie di osservazioni che, gerarchicamente, documentano gruppi di dati (e.g., caratteri fisici
dei sedimenti) caratterizzati da un decrescente livello di dettaglio. Ad esempio, una prima
osservazione può derivare dalla geometria degli strati eventualmente presenti, dal loro
spessore, dalla variazione verticale della loro dimensione (Fig. 3A), in modo tale da potere
riconoscere gruppi o ‘set’ di strati accomunati da medesime caratteristiche geometriche.
Un altro tipo di osservazione che viene fatta a questa scala è sulla geometria delle superfici
che separano gli strati (Fig. 3B). Sulla base di questo elemento, infatti, può essere dedotta la
natura di queste discontinuità (deposizionale, erosiva, di discordanza, etc.). Ad una scala di
maggiore dettaglio, quello che può essere rilevato con immediatezza è la litologia (arenaria,
calcare, etc.) e la granulometria (ruditica, arenitica, pelitica) degli elementi clastici che la
Fig. 3 (A) Esempio di affioramento di rocce sedimentarie. Si noti la presenza di superfici di stratificazione e di erosione,
elementi fisici chiave che vengono identificati a questo livello di dettaglio di analisi. (B) Stratificazione a scala di
maggiore dettaglio dello stesso affioramento. (C) Caratteristiche granulometriche osservabili in affioramento.
(D) Esempio di sezioni sottili ottenute da campioni di roccia estratti dall’affioramento madre.
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costituiscono (Fig. 3C). Le considerazioni più efficaci, ma che al contempo richiedono grande
esperienza e capacità di osservazione, sono quelle relative alle eventuali strutture sedimentarie
presenti all’interno di una roccia clastica (Weber, 1982; Haldorsen & Chang, 1986; Hurst, 1993;
Hartkamp-Bakker & Donselaar, 1993). Per struttura sedimentaria s’intende l’architettura che
le particelle clastiche incluse in una roccia formano durante il processo deposizionale che le
accumula, trasformandole in deposito sedimentario o strato. Tali strutture possono essere quindi
interpretate come la registrazione di determinati processi dinamici o idrodinamici, nel caso in
cui tali sedimenti si siano depositati per effetto di un agente idrico (Allen, 1984). Osservazioni a
scala di maggiore dettaglio, per esempio su rocce costituite da particelle granulometricamente
fini, e quindi macroscopicamente non risolvibili (e.g., rocce carbonatiche), oppure sulla natura
mineralogica delle particelle che costituiscono il sedimento, vengono generalmente ottenute
attraverso il prelievo di un campione e dalla sua successiva analisi in laboratorio tramite
tecniche micrometriche (Fig. 3D).
Porosità e Permeabilità in una roccia clastica
Quando l’Analisi di Facies è condotta con la finalità di caratterizzare un reservoir, grande
attenzione viene rivolta alla stima delle caratteristiche di Porosità e Permeabilità di una
roccia o di un sedimento (e.g., Slatt, 2006). La porosità è determinata dall’insieme dei vuoti
potenzialmente colmabili da fluidi o gas presenti nella roccia serbatoio, rappresentati dai pori
della roccia stessa, ma anche da eventuali cavità interstizie o fratture, che intersecano la
roccia. La porosità si valuta in percentuale volumetrica rispetto alla roccia serbatoio e cioè
dal rapporto del volume dei vuoti sul volume totale della roccia (i.e., affinché un giacimento
sia sfruttabile, la porosità deve essere di norma superiore al 5%, ma a grandi profondità e
conseguenti alte pressioni si può operare anche con valori di porosità inferiori). La permeabilità
(Tab. 1) rappresenta invece la proprietà di una roccia ad essere attraversata da fluidi o da
gas, se dotati di una certa pressione (Brayshaw et al., 1996).
Tab. 1 Esempi di sedimenti non consolidati e rocce clastiche con relativi valori di permeabilità
(modificato, da Brayshaw et al., 1996).
Tali caratteristiche possono essere approssimativamente stimate su rocce affioranti, utilizzando
metodi di digitalizzazione fotografica o attraverso stime comparative (Fig. 4A e 4B), ma
vengono più scrupolosamente ottenute attraverso analisi di laboratorio condotte su campioni
estratti dalla roccia affiorante o dalla carota (core plug) (Fig. 4C). Porosità e Permeabilità
in rocce sedimentarie sono implicitamente influenzate dal diametro medio delle particelle
clastiche (Fig. 5A) e le stesse proprietà possono grandemente variare anche all’interno della
stessa associazione di facies, a seconda del grado di eterogeneità di facies del volume di
roccia sedimentaria considerata (Fig. 5B; Brayshaw et al., 1996). A titolo di esempio, un’arenaria
costituita da clasti arenitici medio-grossolani, può raggiungere una porosità pari al 30-35%, se
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i granuli non hanno subito un’eccessiva pressione litostatica (packing) e se i pori intra-clasti
sono rimasti liberi da precipitati chimici che possono formarsi in fase sin- e post-diagenetica
(Fig. 6A). Al contrario, una roccia sedimentaria costituita da particelle clastiche molto fini o
ben compattate tra di esse, può ridurre la sua porosità fino al 3-5%, con valori di permeabilità
piuttosto bassi (0,1 mD < K < 1 mD) (Fig. 6B) (Vinopal & Coogan, 1978; Enos & Sawatsky, 1981).
La distribuzione della porosità e della permeabilità all’interno di rocce presenti nel sottosuolo,
può essere ottenuta attraverso delle estrapolazioni indirette di dati puntiformi utilizzando
specifici software e modelli di flusso. I più comuni tra questi analizzano i processi sedimentari che
Fig. 4 Elaborazione digitale ottenuta da foto di affioramento (A = breccia; B = conglomerato) processate attraverso
una conversione in bianco e nero. Con questa tecnica speditiva, il software (Image J ®) considera come ‘vuoti’
(volumi porosi) gli spazi in scuro, mentre calcola come ‘pieni’ le aree in chiaro, stimandone così la porosità in
percentuale (modificato, da Simone et al., 2011). (C) Esempio di core plug estratto da un cilindro di carota di
perforazione.
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Fig.5 (A) Porosità e permeabilità considerate in funzione del diametro medio (granulometria) e del grado di
classazione (o cernita) di un sedimento clastico (modificato da Brayshaw et al., 1996). (B) Porosità e permeabilità
ottenute da un core plug proveniente da un reservoir clastico di tipo fluviale (Trias, sud Inghilterra) (modificato da
Brayshaw et al., 1996).
Fig. 6 Sezioni sottili a confronto e relative ad un arenaria grossolana molto porosa (A) ed un arenaria fine poco porosa
(B).
Fig. 7 (A) Esempio di stratificazione incrociata a truogoli o festoni in arenarie bioclastiche, tipica di depositi tidali
di alta energia (Pliocene, Stretto di Catanzaro; da Longhitano et al., 2012). (B) Scansione dei vari stadi di una
simulazione di iniezione di fluidi secondo percentuali progressive (da destra verso sinistra) all’interno di depositi
caratterizzati da un’architettura deposizionale simile a quella osservabile in (A) (da Massart et al., 2012).
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hanno generato una determinata facies sedimentaria (process-based model), ricostruendone
il grado di eterogeneità interna sulla base della complessità del processo genetico (e.g.,
Slatt, 2008). Recentemente, maggiore attenzione è stata rivolta allo studio delle superfici di
discontinuità interne presenti in un ammasso roccioso di natura sedimentaria (surface-based
model). Un tale approccio parte da una stima bi-dimensionale di una discreta superficie di
roccia, identificandone il valore della permeabilità verticale (Kv) rispetto alla permeabilità
orizzontale (Kh). Il rapporto tra questi due valori (Kv/Kh) non dipende soltanto dalla presenza
di pori interconnessi tra di essi all’interno della roccia, ma anche dalla presenza di superfici di
discontinuità (strati, lamine, superfici erosive), da fratture o da faglie eventualmente presenti
all’interno dell’ammasso roccioso che si sta considerando (e.g., Massart et al., 2012; Longhitano
et al., 2012). Una volta effettuata la stima bidimensionale all’interno di una superficie di estensione
nota, si procede alla modellizzazione tri-dimensionale, la quale viene inizialmente simulata in
condizioni statiche e successivamente dinamiche secondo, ad esempio, percentuali via via
crescenti di iniezione di un flusso (Koltermann, 1996; Nordahl & Ringrose, 2008) (Fig. 7).
L’interpretazione dei dati sedimentologici
Le caratteristiche fisiche che sono state sommariamente elencate nei paragrafi precedenti
rappresentano soltanto alcuni degli elementi che concorrono all’ottenimento di un modello di
facies, un insieme cioè di elementi i quali, se geneticamente correlati tra di loro, suggeriscono
l’esistenza di uno specifico contesto deposizionale. Ad esempio, l’insieme di più facies
sedimentarie che sono state accumulate da processi che notoriamente vengono osservati
in zone costiere di bacini di sedimentazione attuali, possono identificare l’esistenza di un
sistema deposizionale di tipo ‘deltizio’ antico. Tali facies hanno registrato la distribuzione di
sedimenti trasportati in bacino dall’azione dei fiumi i quali, una volta giunti in mare, perdendo
la loro capacità di trasporto, formavano corpi complessi di sedimenti (ad esempio, così come
può essere oggi osservato lungo il margine meridionale pliocenico del Bacino di Potenza;
Longhitano, 2008a,b). L’architettura deposizionale di questi corpi, le loro varie componenti
(ambienti) e le loro caratteristiche fisiche interne (facies), una volta riassunte, possono essere
riconosciute e confrontate con ‘modelli deposizionali’ noti in letteratura (e.g., Posamentier &
Walker, 2006).
Quando una determinata successione sedimentaria viene investigata in sottosuolo, anche in
questo caso l’interpretazione parte da dati a grande scala (scala sismica, e cioè secondo la
dimensione di profili che generalmente hanno lunghezze chilometriche e spessori di alcune
centinaia di metri), per poi scendere in dettaglio attraverso l’analisi di facies condotta sulle
carote estratte da perforazioni la cui ubicazione è stata precedentemente posizionata
in modo strategico (Fig. 8). Il dataset che si ha a disposizione risulta pertanto altamente
discontinuo ed incerto e, in un ottica di caratterizzazione di un reservoir e delle sue proprietà
fisiche tridimensionali, tali dati necessitano di una fase di ‘previsione’, durante la quale
vengono effettuate le scelte su dove la fase di esplorazione potrà fornire i risultati migliori (e.g.,
Martinius & Næss, 2005). Tale fase rappresenta forse lo stadio più delicato in un progetto di
caratterizzazione di un reservoir di tipo clastico, in quanto descrive il momento in cui gli operatori
propongono alcune ipotesi alternative sulla natura dei sistemi deposizionali che compongono
il reservoir (e.g., sistemi continentali? deltizi? sistemi deposizionali di mare più profondo?) e sul
loro sviluppo spaziale (i.e., volumetria e geometria delle parti componenti i sistemi e previsione
delle aree maggiormente produttive in termini di idrocarburi).
Durante gli ultimi decenni, grande influenza ha riscosso l’utilizzo della Stratigrafia Sequenziale
nell’interpretazione dei sistemi deposizionali sepolti e della loro possibile evoluzione nello spazio
e nel tempo. La Stratigrafia Sequenziale, introdotta da Mitchum et al. (1977) durante il corso
degli anni ’70 (vedi anche Brown & Fisher, 1977) e rapidamente diffusasi nell’approccio di
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uso comune della stratigrafia moderna a partire dagli anni ’80 (Van Wagoner et al., 1988),
collega l’origine di ciascuna successione sedimentaria esistente all’interno di un bacino alle
oscillazioni relative del livello del mare, al tasso di apporto sedimentario ed allo spazio esistente
e potenzialmente colmabile da sedimenti (‘spazio di accomodamento’) (Sloss, 1988; Ross,
1991; Dott, 1992; Emery & Myers, 1996; Miall, 1997) (Fig. 9). Pertanto, quando il livello del mare
occupa una posizione più bassa rispetto ad esempio a quella attuale (stazionamento basso o
lowstand), hanno origine determinati sistemi deposizionali (ad esempio sistemi di tipo torbiditico
o cunei sabbiosi posizionati nei settori più profondi dei bacini sedimentari). Al contrario, durante
le fasi di stazionamento alto del livello del mare (highstand), i sistemi deposizionali tendono ad
avere altre caratteristiche, così come durante le fasi intermedie di caduta e risalita del livello
del mare (e.g., Longhitano et al., 2010). Tramite l’applicazione dei concetti della Stratigrafia
Sequenziale, che si sono notevolmente evoluti ed ammodernati durante il corso degli ultimi
decenni (vedi discussione in Catuneanu et al., 2009), è stato possibile ‘prevedere’ come
determinati sistemi deposizionali si possano sviluppare nello spazio e nel tempo in funzione
delle variazioni del livello del mare ricostruite a scala globale. Pertanto, all’interno di reservoir di
sottosuolo, è stato così possibile effettuare perforazioni esplorative in quei settori del bacino in
cui l’aspettativa di rinvenire corpi porosi fosse stata corroborata dall’applicazione dei concetti
della Stratigrafia Sequenziale. Sulla base di questi concetti, anche reservoir che erano stati da
tempo abbandonati perché ritenuti ormai esauriti hanno, al contrario, rivelato risorse che fino
a quel punto erano state precedentemente sottovalutate o ignorate.
Fig. 8 Esempi di alcuni differenti tipi di dati utilizzati nello studio di reservoir clastici (modificato, da Slatt, 2006).
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L’Analisi di facies applicata a reservoir di tipo clastico
Fig. 9. Modello di evoluzione sequenziale di un sistema deposizionale costiero in relazione alle oscillazioni relative
del livello del mare. (A) Depositi sabbiosi costieri grossolani (shoreface) passano distalmente a depositi marini più
profondi e fini (offhsore). (B) Durante un ciclo di oscillazione, tali depositi progradano producendo alternate fasi di
progradazione (crescita orizzontale) ed aggradazione (crescita verticale) degli strati. (C) Durante fasi di significativa
trasgressione, i sedimenti crescono in spessore, producendo una importante aggradazione delle facies argillose
continentali nei settori più interni. (D) I vecchi depositi costieri sabbiosi e porosi vengono così ad essere intrappolati
tra due intervalli di sedimenti fini e poco porosi (E). (F) In questo modo, si viene a determinare l’esistenza di un
livello ‘serbatoio’ inglobato in sedimenti meno permeabili ed all’interno del quale può potenzialmente essere
immagazzinata materia organica. Utilizzando i criteri della Stratigrafia Sequenziale, attraverso la ricostruzione di
ognuna di queste fasi, può essere possibile individuare in sottosuolo il settore in cui i depositi costieri porosi, e quindi
potenzialmente più produttivi, possano essersi sviluppati secondo il loro spessore massimo (modificato, da Pomar,
1993).
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I reservoir di tipo clastico vengono individuati all’interno di sistemi deposizionali che, durante
il loro sviluppo, si sono auto-organizzati in ‘comparti’ caratterizzati da sedimenti porosi e
quindi potenzialmente serbatoio. Uno degli esempi che più spesso viene citato in letteratura
è rappresentato da un sistema costiero il quale, a causa della sua natura ‘transizionale’
(originatosi cioè a cavallo della transizione tra terra emersa e mare), è costituito da sedimenti fini
di natura continentale nei suoi ambienti deposizionali più interni, e da sedimenti più grossolani
e sabbiosi negli ambienti deposizionali più esterni e subacquei, i quali passano lateralmente
e verso il bacino a sedimenti più fini e distali (Fig. 9A). Durante l’evoluzione stratigrafica di un
sistema del genere, in seguito ad esempio a ripetute fasi di oscillazione relativa del livello del
mare (Figs. 9B-D), gli ambienti più prossimali continentali tenderanno a sovrapporsi a quelli
più distali e marini (Fig. 9E). Il risultato deposizionale di un’evoluzione di questo tipo porta ad
ottenere una successione stratigrafica in cui i corpi più sabbiosi e porosi si troveranno ad
essere ‘impacchettati’ all’interno di corpi più fini ed impermeabili, venendo così a generare
un perfetto esempio di trappola stratigrafica per il potenziale immagazzinamento di fluidi o
gas (Fig. 9F). In un modello di questo tipo, il fatto che i sedimenti più profondi siano quelli di
natura marina, e quindi potenzialmente ricchi di materia organica intrappolata al loro interno
in condizioni di anossicità, determina un’alta probabilità di generare combustibili fossili al
loro interno (roccia ‘madre’ o source rock) (Fig. 9F) i quali, una volta trasformatisi attraverso il
processo di ‘petrogenesi’, tendono a migrare verso l’alto per effetto della loro ridotta densità,
e ad essere immagazzinati all’interno della roccia serbatoio (reservoir rock), costituita dai
sovrastanti sedimenti porosi (Fig. 9F).
Sulla base di questo semplicistico modello di facies, il quale spesso si discosta dalla realtà
a causa dell’intervento di fenomeni e processi aggiuntivi, quali discontinuità stratigrafiche,
tettonica, variazioni climatiche e di apporto sedimentario, etc., si può intuire come il ruolo
dell’Analisi di Facies rivesta una importanza fondamentale nel riconoscimento di ognuno degli
elementi che costituiscono un sistema deposizionale o più sistemi tra di loro interconnessi (Walker,
2006). Risulta inoltre sostanziale la correttezza nell’interpretazione delle facies, soprattutto se
le deduzioni che da essa derivano possono profondamente condizionare l’interpretazione
sulla natura di uno o più sistemi deposizionali presenti nel sottosuolo. Infatti, proprio da questa
importante fase deriva successivamente la stima sulla estensione spaziale dei corpi porosi, sulla
loro possibile interconnessione e sul loro potenziale di immagazzinamento di fluidi o gas di una
qualche rilevanza economica.
Conclusioni
L’Analisi di Facies applicata allo studio ed all’interpretazione sulla natura e sull’evoluzione dei
corpi sedimentari affioranti in superficie e presenti in sottosuolo è stata ampiamente accettata
come uno dei metodi più efficaci per la comprensione dei processi geologici che agiscono
all’interno di un bacino sedimentario. Tale comprensione è fondamentale se le successioni
stratigrafiche inglobate all’interno del record sedimentario di un bacino possono essere ritenute
economicamente rilevanti.
Nel caso specifico della caratterizzazione di reservoir di tipo clastico al fine del reperimento di
combustibili fossili, l’approccio metodologico dell’Analisi di Facies viene ancora oggi ritenuto
essenziale per la ricerca di idrocarburi eventualmente immagazzinati in rocce clastiche,
nonostante questa tecnica ‘di campo’ faccia risalire le sue origini agli albori stessi delle Scienze
della Terra.
Si consideri che tale metodo viene correntemente applicato nell’investigazione di dati di
sottosuolo anche al fine di reperire risorse idriche (‘idrostratigrafia’) o con lo scopo di individuare
‘sorgenti’ di sedimenti clastici presenti in offshore o in onshore di aree costiere, il cui utilizzo
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può essere utile ai fini del ripascimento di aree di spiaggia soggette ad erosione (Longhitano,
2008c).
Tuttavia, non si può fare a meno di notare come l’Analisi di Facies, tecnica di estrazione
sedimentologica e stratigrafica efficacemente trasmessa alle giovani generazioni da una
gloriosa scuola accademica italiana durante gli scorsi decenni, stia rapidamente scomparendo
dai corsi di laurea triennali e magistrali italiani in Geologia o in Scienze della Terra. Tale
orientamento deriva probabilmente dalla ormai generalizzata tendenza al rimpiazzo delle
vecchie discipline ‘di campo’ con più moderne tecniche di rilevamento di dati di tipo remote
sensing, molto più agevoli e solo apparentemente più efficaci.
Anche in funzione della grande richiesta che i Sedimentologi italiani, formati durante quella
gloriosa fase accademico-culturale degli anni 80 e 90, continuano ad avere presso l’industria
delle georisorse internazionale, sarebbe fortemente auspicabile una maggiore attenzione nella
perpetuazione accademica di discipline geologiche più ‘classiche’ e che, avendo contribuito
in modo sostanziale alla crescita della Geologia in Italia, formerebbero nuove generazioni si
sedimentologi al passo con i tempi moderni.
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Teatro Stabile,
Piazza M. Pagano
Sede Parco Nazionale dell’Appennino
Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese
30 NOVEMBRE > Potenza
01 DICEMBRE > Potenza
02 DICEMBRE > Marsico Nuovo
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1° CONGRESSO DEI GEOLOGI DI BASILICATA
RICERCA, SVILUPPO ED UTILIZZO
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IL RUOLO DEL GEOLOGO
ATTI DEL CONGRESSO
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DI BASILICATA
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PRESIDENZA DEL CONGRESSO
Dott. Raffaele Nardone
RESPONSABILE ATTI CONGRESSUALI
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COMITATO PROMOTORE| Geol. Carlo Accetta, Geol. Raffaele Carbone, Geol. Filippo Cristallo,
Geol. Franco Guglielmelli, Geol. Domenico Laviola, Geol. Maurizio Lazzari, Geol. Raffaele Nardone,
Geol. Nunzio Oriolo, Geol. Mary William
COMITATO ORGANIZZATORE|Geol. Raffaele Nardone - Coordinatore, Geol. Annamaria Andresini,
Geol. Maurizio Lazzari, Geol. Nunzio Oriolo, Geol. Mary William
COMITATO SCIENTIFICO|Dott. Raffaele Nardone - Coordinatore,
Dott. Fabrizio Agosta, Dott. Mario Bentivenga, Dott. Claudio Berardi, Dott. Gerardo Colangelo,
Ing. Ersilia Di Muro, Arch. Vincenzo L. Fogliano, Dott. Ivo Giano, Dott. Fabrizio Gizzi, Dott. Vincenzo
Lapenna, Dott. Maurizio Lazzari, Dott. Sergio Longhitano, Ing. Maria Marino, Prof. Marco Mucciarelli,
Dott. Lucia Possidente, Prof. Giacomo Prosser, Prof. Marcello Schiattarella, Prof. Vincenzo Simeone,
Prof. Marcello Tropeano, Dott. Maria Pia Vaccaro, Dott. Donato Viggiano.
Tre intense giornate di sessioni ed interventi organizzate per i tecnici di
tutti gli Ordini e Collegi, Operatori del settore Oil&Gas, Top Manager,
Amministratori, Dirigenti e Funzionari della Pubblica Amministrazione,
Studenti.
L’obiettivo primario è quello di focalizzare l’attenzione sul ruolo che
il geologo ha assunto in relazione allo sfruttamento compatibile e
sostenibile delle fonti fossili naturali.
La tematica verrà affrontata grazie all’intervento di relatori di
altissimo livello tecnico ed istituzionale, con interessanti d i b a tti ti
e d una t a v o l a ro to nd a su lla ge s t io n e ambientale e formazione
professionale .
Proprietà letteraria riservata
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1a edizione: 2013
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sono utilizzate in questa pubblicazione ad esclusivo scopo
didattico e divulgativo.