LA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO: LA DISCIPLINA SPECIFICA

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LA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO: LA DISCIPLINA SPECIFICA
LA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO: LA DISCIPLINA SPECIFICA
PER L’IMPRENDITORE AGRICOLO
Sommario: 1. Premessa – 2. La crisi da sovraindebitamento – 3. I soggetti interessati - 4.
L’imprenditore agricolo – 5. Motivi di incoerenza della scelta e correlata criticità – 6. La soluzione
ed il procedimento: conclusioni.
1) Premessa.
Si assiste, oggi, ad un fenomeno particolare cui dobbiamo, ormai, abituarci
al fine di trovare una plausibile giustificazione al fatto che il legislatore, in determinate
materie, rimasto inerte per lungo tempo, è diventato anche troppo solerte, come risulta
evidente proprio con riferimento alle disposizioni in materia di composizione delle crisi
da sovraindebitamento, che hanno trovato una prima regolamentazione con il d.l. 22
dicembre 2011, n.212, che al capo I individuava le regole in materia, prevedendo finalità
e definizioni, presupposti di ammissibilità, contenuto dell’accordo, il relativo
procedimento, l’omologa, l’esecuzione e, da ultimo, i criteri e la operatività degli
organismi di mediazione, cui risultavano affidati compiti ben precisi per la realizzazione
degli accordi di ristrutturazione dei debiti, sulla base di un piano in grado di assicurare il
regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso.
Il decreto legge, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 dicembre 2011,
n.297, serie generale1, ha avuto, però, vita decisamente breve, poiché con la legge 27
gennaio 2012, n.3, sono state riprodotte le norme già presenti nel richiamato
provvedimento, con modifiche di non poco rilievo, riguardanti l’insolvenza del
consumatore, l’attività del liquidatore e, in particolare, gli organismi di composizione
delle crisi da sovraindebitamento.
La legge 17 febbraio 2012, n.10, di conversione del d.l. n.212 del 2011,
coerentemente, ha difatti soppresso gli artt. da 1 ad 11 di quel decreto, relativi all’istituto
della composizione delle crisi da sovraindebitamento, già oggetto di attento commento
da parte della dottrina2.
1
In Il fallimento, 2012, 18.
GUIOTTO, Composizione della crisi da sovraindebitamento, in Il fallimento, 2012, 21, per una prima analisi
della normativa caratterizzata dalla presenza di elementi propri degli accordi di ristrutturazione del debito, regolato
dall’art.182 bis l.f., ed altri tipici del concordato preventivo.
2
1
Ma la solerzia, nella materia che ci occupa, risulta ancor più sottolineata
dall’attenzione che il legislatore ha inteso rivolgere alla stessa mettendo in “cantiere”
una proposta normativa finalizzata ad apportare modifiche all’impianto originario, con
l’obiettivo di aumentarne efficacia e capacità operativa, mediante l’introduzione di un
meccanismo di estinzione delle obbligazioni del soggetto sovraindebitato, non fallibile,
con un procedimento destinato, ora, al consumatore e trasformazione, “in chiave
concordataria”, di quello previsto per gli altri soggetti interessati.
Si legge nella relazione che le modifiche al testo della legge n.3 del 2012
sono state attuate attraverso la “tecnica della interpolazione”, nell’intento di realizzare
una “…ristrutturazione dell’articolato attraverso una ripartizione dello stesso in sezioni
e paragrafi che ne consentono una più agevole leggibilità”, con una divisione in tre
sezioni, di cui la prima dedicata alla procedure di composizione della crisi da
sovraindebitamento (artt.6-14 bis), la seconda alla liquidazione del patrimonio (artt. 14
ter – 14 duodecies), e la terza alle disposizioni comuni (artt.15 – 17).
Viene chiarito, ancora, che la prima sezione è stata ripartita in paragrafi
diversi, a seconda che la procedura riguardi il debitore, ovvero il consumatore, in
ragione dei differenti giudizi richiesti al tribunale.
Viene offerta una vera e propria definizione del consumatore, individuato
nel “..debitore, persona fisica che ha assunto obbligazioni preventivamente per scopi
estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, riservata a
questi la possibilità di prevedere un pagamento anche non integrale, dei creditori
privilegiati, pur se con l’esclusione di determinati crediti tributari e previdenziali, per i
quali è possibile la sola rateazione.
La proposta, poi, una volta omologata e sempre che abbia superato il vaglio
della “convenienza”, e quello della “meritevolezza”, nel caso del consumatore, è
vincolante anche nei confronti dei creditori che non abbiano aderito ad essa.
Per la parte che interessa il tema oggetto della presente indagine, si precisa
essere stata inserita una “…espressa disposizione normativa” volta a prevedere l’accesso
alla procedura di composizione della crisi dell’imprenditore agricolo, che viene
espressamente citato una sola volta (art.14 ter), dal momento che la rivisitazione delle
norme è servita, in particolare, per colmare una evidente lacuna, presente nella legge n.3
del 2012, per avere questa fatto riferimento, nello specificare i presupposti di
ammissibilità, in modo generico, alla figura del “debitore”, omettendo, poi, ai fini della
omologazione, di stabilire una diversa percentuale ai fini dell’approvazione da parte dei
creditori nel caso del consumatore, che, al contrario, era presente nel d.l. 21 febbraio
2011.
2
Un siffatto modo di legiferare non può, ormai, meravigliare, sol che si
consideri attraverso quante disposizioni e modifiche è stata attuata la stessa riforma
organica della disciplina delle procedure concorsuali, iniziata con il d.l. 14 marzo 2005,
n.35, cui ha fatto seguito la previsione - contenuta all’art.1, quinto comma, della legge 14
maggio 2005, n.80, di conversione del primo - contenente la delega al Governo per la
riforma, realizzata, dapprima, con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n.5, che sembrava aver
trovato il suo compimento con il d.lgs. 12 settembre 2007, n.169, per l’apporto di quelle
disposizioni correttive ed integrative di cui era stata avvertita l’esigenza, con l’art.3,
terzo comma, della legge 12 luglio 2006, n.5, che aveva consentito al Governo, entro un
anno dalla entrata in vigore del d.lgs. n.5 del 2006, di intervenire sulle recenti norme per
rimuovere le prime difficoltà insorte in sede di applicazione delle stesse.
Ed altresì, nell’ambito della disciplina di riforma delle procedure
concorsuali, vi sono state altre significative integrazioni che hanno riguardato la
erogazione di nuova finanza, diretta a consentire la ristrutturazione ed il risanamento
della impresa in crisi, tramite l’accordo tra il debitore ed i creditori, nell’intento di
scongiurarne la liquidazione3 o, ancora, attraverso le disposizioni che hanno riguardato
proprio l’imprenditore agricolo in crisi, con riconoscimento della possibilità per questi di
accedere alle procedure di cui agli artt. 182 bis e 182 ter4, e che sembra non aver tregua,
come appare evidente dallo schema di decreto legge sulle “misure urgenti per il riordino
degli incentivi, la crescita e lo sviluppo sostenibile”, che al capo II ha previsto nuovi
interventi per le imprese in materia finanziaria e fallimentare (artt.14, 15 e 16) e, al capo
III, interventi per l’imprenditore agricolo (art.36), ancora una volta mediante una tecnica
normativa affatto soddisfacente, sol che si consideri che in più parti delle norme
rivisitate si fa ancora riferimento alla abrogata e defunta amministrazione controllata5.
Non diversa la situazione per quel che attiene le vicende circolatorie
dell’azienda, o rami di essa, quando attuate da una impresa in crisi, ovvero insolvente,
con riferimento alla possibilità per le parti interessate di ottenere la flessibilizzazione
degli obblighi derivanti dall’art.2112 cod.civ., attraverso la conclusione di accordi
collettivi trilateri, diversamente regolamentati quando richiamati:
 dall’art.47, quinto e sesto comma, della legge n.428 del 1990;
 dall’art.63 del d.lgs. n.270 del 1999, con riferimento all’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi;
 dagli artt. 104 bis, secondo comma e 105, terzo comma, del d.lgs. n.169 del 2007,
rispettivamente, per l’affitto e la vendita nel caso del fallimento;
 dall’art.182, quarto comma, del d.lgs. n.169 del 2007, per la cessione di aziende
da parte del liquidatore giudiziale nel concordato preventivo con cessione dei beni
omologato;
3
4
5
Legge 30 luglio 2010, n.122.
Art.23, comma quarantatre, del d.l. 6 luglio 2011 n.98.
Art.67, terzo comma, lettere e) e g), nel testo risultante dalla revisione operata dall’art.15.
3
 dall’art.56, terzo comma bis, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 28
gennaio 2009, n.2 - di conversione del d.l. 29 novembre 2008, n.185 - che ha addirittura
previsto non costituire trasferimenti di azienda, di rami o di parti della stessa, le
alienazioni poste in essere in esecuzione di un programma di cessione dei complessi
aziendali per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali;
 dall’art.19 quater della legge 20 novembre 2009, n.166, emanato in conseguenza
della necessaria attuazione degli obblighi comunitari, per effetto della sentenza resa dalla
Corte di Giustizia l’11 giugno 2009, che ha modificato l’art.47 della legge n.428 del
1990, mediante l’inserimento del comma quattro bis, volto a regolamentare la
flessibilizzazione degli obblighi discendenti dall’art.2112 cod.civ. quante volte il
trasferimento riguardi aziende di cui sia stato accertato lo stato di crisi, ai sensi dell’art.2,
quinto comma, lett.c), della legge 12 agosto 1977 n.75, ovvero per le quali sia stata
disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del d.lgs.n.270 del 1999, in caso di
continuazione o di mancata cessazione dell’attività;
 dall’art.48, ottavo comma, lettere a) e b), del d.lgs.6 settembre 2011, n.159, volto
a regolare l’affitto o la vendita di aziende in sequestro, quale conseguenza dell’adozione
delle misure di prevenzione.
In particolare, come vedremo, la disciplina in tema di vicende circolatorie
dell’azienda, o rami di essa, trova applicazione anche con riferimento all’azienda
agricola, dal momento che è configurabile un trasferimento, ai sensi dall’art.2112
cod.civ., ogni qual volta venga a mutare la sola persona del titolare, qualunque sia lo
strumento tecnico giuridico utilizzato, purchè permanga l’oggetto dell’attività e la
struttura organica6.
2) La crisi da sovraindebitamento.
L’esigenza di una regolamentazione appropriata per l’insolvenza del
debitore civile, quale rimedio alle conseguenze derivanti dal sovraindebitamento7, era
stata avvertita, ancora prima che la legge fallimentare riformata, poi corretta8, operasse
6
Cass., 16 dicembre 1995, n.12872, in Giust.civ.mass., 1995, fasc.12; Cass., 14 luglio 1993, n.7795; Cass., 29
maggio 1993, n.6016; Cass., 22 febbraio 1992, n.2202; Cass., 10 marzo 1992, n.2887, con riferimento proprio
all’azienda agricola.
7
MARCUCCI, Insolvenza del debitore civile “fresh start”. Le ragioni di una regolamentazione, in L’insolvenza
del debitore civile dalla prigione alla liberazione, a cura di PRESTI, STANGHELLINI, F. VELLA, Milano, 2004,
231; FALCONE, L’indebitamento delle famiglie e le soluzioni normative: tra misure di sostegno e liberazione dei
debiti, in La ristrutturazione dei debiti civile e commerciale, a cura di BONFATTI-FALCONE, Milano, 2011, 189;
GIRONE, Il tentativo del legislatore italiano di allinearsi agli ordinamenti internazionali con un provvedimento in
materia di “sovraindebitamento” dei soggetti non fallibili, nonché interventi in materia di usura ed estorsione
(disegno di legge C2364), in Dir.fall., I, 2009, 818.
8
La Commissione istituita con D.M. 27 febbraio 2004, per la redazione di uno schema del disegno di legge di
riforma delle procedure concorsuali, aveva previsto al capo 14° una procedura semplificata per la liquidazione
concorsuale del piccolo imprenditore (art.187), attraverso la nomina facoltativa del consiglio dei creditori,
l’acquisizione dei beni mediante redazione dell’inventario e redazione dello stato passivo da parte del curatore,
sulla base delle scritture contabili e delle dichiarazioni del debitore o delle altre notizie da questi assunte, rimesso,
4
una rivisitazione dei presupposti previsti per essere assoggettati alle disposizioni sul
fallimento e sul concordato preventivo, al fine di riservare la disciplina esclusivamente
agli imprenditori esercenti una attività commerciale – con esclusione degli enti pubblici
- alla condizione, però, del superamento dei limiti dimensionali derivanti dai parametri,
dapprima alternativi, e, quindi, congiunti.
Il legislatore della riforma ha ritenuto, in un primo momento, con
riferimento all’imprenditore commerciale, di far affidamento sui due criteri in grado di
rispecchiare, in maniera congrua, l’effettiva consistenza delle dimensioni assunte
dall’impresa, per escludere dalla disciplina fallimentare, secondo le indicazioni
contenute nelle decisioni rese dalla Corte Costituzionale, l’insolvente civile ed il piccolo
imprenditore, sul presupposto che questi, per la circoscritta attività, non avrebbero avuto
la possibilità di incidere sugli interessi della collettività, in quanto non in grado di
arrecare danno all’economia, pur prendendo atto della opportunità di attuare una diversa
regolamentazione per coloro che ne fossero esclusi9.
Non può sfuggire, d'altronde, che la legge 14 maggio 2005, n.80, nel
convertire, con modificazioni, il d.l. 14 marzo 2005, n.35, attraverso la delega al
Governo, con riferimento alla modifica della disciplina del fallimento, aveva previsto
precisi principi e, primo tra questi, la necessità di una semplificazione “…attraverso
l’estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto e l’accelerazione delle
procedure applicabili alle controversie in materia”.
Non a caso, pertanto, il d.lgs. n.5 del 2006, aveva operato una rivisitazione
dell’art.1 l.f., introducendo una rilevante novità attraverso la previsione di precisi
requisiti dimensionali, per la individuazione dell’imprenditore soggetto al fallimento ed
al concordato preventivo, precisando non essere piccoli imprenditori coloro che avessero
effettuato investimenti nell’azienda per un capitale di valore superiore ad € 300.000,00
(lettera a), ovvero realizzato ricavi lordi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni,
ovvero dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore, per un ammontare complessivo
annuo superiore ad € 200.000,00.
La possibilità di essere esonerati dal fallimento dipendeva dall’essere
l’imprenditore individuale, o collettivo, al di sotto degli indici quantitativi, sul cui
significato economico e contabile non vi è stata, però, condivisione, essendosi su di essi
confrontate interpretazioni contrastanti, sì da risultare minata quella semplificazione
della disciplina che il legislatore aveva inteso attuare.
poi, al giudice delegato per la conseguente attestazione di regolarità formale ed esecutività dello stesso, mediante
deposito in cancelleria.
9
Corte Cost., 27 luglio 1982, n.145, in Foro it., 1982, I, 2006; Corte Cost., 16 giugno 1970, n.94, in Giur.Comm.,
1970, III, 308.
5
Il decreto correttivo ha tentato di risolvere parte dei problemi interpretativi
che erano conseguiti dall’applicazione delle precedenti disposizioni, ma ne ha sollevati
altri10.
Nella stessa relazione accompagnatoria del d.lgs. 12 settembre 2007, n.169,
sono state introdotte sostanziali novità “…al fine di definire in maniera più chiara e
precisa l’area della fallibilità…”, in ordine al “presupposto soggettivo del fallimento”,
ciò in quanto l’eccessiva riduzione venutasi a determinare, in conseguenza della novella
del 2006, aveva impedito di assoggettare al fallimento ed alle correlate sanzioni penali11
imprenditori “…di rilevanti dimensioni con elevati livelli di indebitamento…”, con ciò
determinando un danno per i creditori insoddisfatti12.
Di qui la scelta di individuare i soggetti esonerati dal fallimento, non già,
attraverso la utilizzazione della nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma
mediante una rivisitazione dei precedenti requisiti, con indicazione di quelli dimensionali
massimi, che devono essere posseduti congiuntamente per non essere assoggettati alle
disposizioni del fallimento e sul concordato preventivo, dell’esistenza dei quali è stato
onerato il debitore, in quanto intesi quali fatti impeditivi dell’apertura del concorso13.
Dall’operata regolamentazione è conseguito che non tutte le imprese
possono essere dichiarate fallite ma, esclusivamente, quelle commerciali e, peraltro, tra
queste sono escluse quelle piccole per le quali non ricorrono i parametri previsti
dall’art.1 della legge fallimentare e, comunque, anche quando concorrendo essi
10
La letteratura sui nuovi requisiti dimensionali, in ragione anche della evoluzione normativa della materia, è
estremamente vasta: FERRI Jr., In tema di piccola impresa tra codice civile e legge fallimentare, in Riv.dir.comm.,
2007, I, 735; MARASA’, Prime notazioni sui presupposti soggettivi del fallimento nel nuovo art.1 l.fall., in
Riv.dir.civ., 2006, I, 58; FAUCEGLIA, Condizioni soggettive ed oggettive di fallibilità: la nuova nozione di piccolo
imprenditore, in Dir.fall., 2006, I, 1039; SANDULLI, L’ambito soggettivo delle procedure concorsuali, in I
soggetti esclusi dal fallimento. Le procedure concorsuali: dalla piccola impresa al consumatore, a cura di
SANDULLI, 2007, 26, STANGHELLINI, La crisi di impresa fra diritto ed economia. Le procedure di insolvenza,
Bologna, 2007, 161, che ritiene essere dovuta l’esenzione dell’imprenditore agricolo “….a ragioni economiche
esistenti in passato ma non più oggi”; FORTUNATO, Commento sub art.1 l.fall., in Il nuovo diritto fallimentare,
diretto da JORIO-FABIANI, Bologna, 2006, 61; ROSSI, Il presupposto soggettivo del fallimento, in Giur.comm.,
2006, I, 789; SILVESTRINI, I presupposti soggettivi del fallimento a seguito della legge di riforma, in Il
fallimento, 2007, 30.
11
SANDRELLI, La riforma della legge fallimentare: riflessi penali, in Cass.pen., 2006, 1296; SOCCI, Gli effetti
delle riforme del fallimento e del diritto societario sui reati fallimentari e societari, successioni di leggi non penali
e conseguenze sulle fattispecie penali, in Giur.mer., 2007, 3054.
12
La rivisitazione dei criteri e la previsione del possesso congiunto dei tre parametri dimensionali relativi all’attivo
patrimoniale, ai ricavi lordi ed all’ammontare dei debiti, anche non scaduti, ha comportato un incremento delle
procedure che, tuttavia, non ha risolto ovviamente il relativo problema: LO CASCIO, Il fallimento e le altre
procedure concorsuali, aggiornamento al d.lgs. n.169/2007, Milano, 2008, 4, JORIO-FABIANI, Il nuovo diritto
fallimentare, aggiornamento al d.lgs. n.169/2007, Bologna, 2008, 1 e segg.; CAIAFA A., Il fallimento e le altre
procedure concorsuali, Roma, 2011, 8
13
Corte Cost., 1 luglio 2009, n.198, in Il fallimento, 2009, 1141, che ha dichiarato inammissibile ed infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art.1, secondo comma, l.f., nel testo modificato dal correttivo, nella parte
in cui esclude dalle disposizioni sul fallimento gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto
dei tre requisiti elencati alle lettere a), b) e c) della norma censurata; sul tema DE MATTEIS, Istruttoria
prefallimentare: il procedimento, in Le procedure concorsuali, a cura di CAIAFA A., coordinato da DE
MATTEIS-SCARAFONI, Padova, 2011, I, 136 e segg.
6
l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risulti essere complessivamente inferiore ad
€ 30.000,00 (art.15, ultimo comma, l.f.).
Il problema, tuttavia, del sovraindebitamento14, e la necessità, poi, di
prevedere regole per il piccolo imprenditore, ovvero quello comunque escluso dalla
legge fallimentare, al fine di individuare anche per tali soggetti una procedura
esdebitativa per il superamento della constatata e persistente difficoltà per questi di
adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte, ha sollecitato la presentazione, nel
tempo, di una pluralità di proposte di contenuto non difforme rispetto a quello della
legge 27 gennaio 2012, n.3, in ragione della avvertita esigenza di dover trovare soluzioni
adeguate per una corretta individuazione15:
 delle condizioni di ammissione (presupposto soggettivo ed oggettivo);
 del contenuto della domanda, con riferimento ai proponenti e destinatari di essa;
 del procedimento, per la valutazione della proposta di accordo e degli effetti
discendenti dalla presentazione, con riferimento, partitamente, al proponente, ai
creditori ed ai terzi;
 delle regole per l’accertamento dei crediti ai fini della partecipazione, con riserva
di competenza in favore dell’autorità giudiziaria ordinaria, ovvero degli
organismi di conciliazione;
 della gestione del patrimonio, in ragione della necessità di stabilire regole
precise nell’ipotesi in cui si ritenga indispensabile la prosecuzione dell’attività,
tenuto conto degli effetti derivanti dalla chiusura della procedura per le parti ad
essa interessate (proponente, creditori le cui ragioni sono state riconosciute e
quelli estranei).
Non meno importante l’avvertita esigenza di stabilire se mantenere, o
meno, una distinzione fra creditori privilegiati e chirografari e, in ipotesi affermativa,
l’opportunità di consentire una suddivisione degli stessi in classi, con individuazione dei
criteri per la formazione, attesa la difficoltà di individuare interessi omogenei laddove il
sovraindebitamento riguardi il debitore civile e non già il piccolo imprenditore16.
14
La necessità della introduzione di una regolamentazione non diversa da quella prevista dalla legge fallimentare,
per regolare l’insolvenza del debitore civile, è stata sottolineata in dottrina da CASTAGNOLA, L’insolvenza del
debitore civile nel sistema della responsabilità patrimoniale, in Ann.giur.ecc., 2004, II, 243.
15
GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Il
fallimento, 2012, 21, per un primo commento della nuova disciplina; FABIANI M., La gestione del
sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it doc.278/2012.
16
Si vedano, al riguardo, la proposta di legge n.412 della Camera dei Deputati, presentata il 3 maggio 2006, in tema
di “Disposizioni per il superamento delle situazioni di sovraindebitamento delle famiglie, mediante l’istituzione
della procedura di concordato delle persone fisiche insolventi con i creditori, in Atti parlamentari – Camera dei
Deputati, XV Legislatura, sezione documenti – disegni di legge e relazioni – nonché il disegno di legge, in Atti del
Senato 307, XVI Legislatura, rimessa alla Camera dei Deputati con il n.2364, recante al capo II alcune norme
dedicate ad un procedimento definito “per la composizione delle crisi da sovraindebitamento”. (c.d. disegno di
legge Centaro), dal nome parlamentare proponente, approvato all’unanimità dal Senato il 1 aprile 2009 (A.S.
307/B), commentato da PUSTERLA, Il d.l. sull’insolvenza del debitore civile e del piccolo imprenditore: prime
note, in AA.VV., Grandi e piccole insolvenze, Atti del Convegno di Alba del 2 novembre 2009, Torino, 2010, 57.
7
La relazione accompagnatoria dello schema di disegno di legge volto a
modificare l’attuale disciplina in materia di composizione delle crisi da
sovraindebitamento non ha ritenuto di dover affrontare il relativo tema e risolvere, in
particolare, il problema della regolazione della posizione dei creditori privilegiati, pur se
ha riconosciuto la possibilità di proporre un pagamento parziale entro il limite, però,
dell’importo realizzabile sul ricavato dei beni in caso di liquidazione, salva l’ipotesi di
rinuncia, anche parziale, al privilegio, con conseguente estensione, dunque, del principio
espresso dall’art.54, primo comma, l.f., che riconosce a tale categoria di creditori
privilegiati di poter far valere il loro diritto, per l’appunto, su quanto realizzato dalla
vendita del bene sul quale l’ipoteca, il pegno, ovvero il privilegio speciale insiste, e di
concorrere, ove non soddisfatti integralmente, per quanto ancora loro dovuto, con i
creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo.
E’ stato mantenuto l’obbligo dell’integrale soddisfacimento, pur se il piano
può prevedere una dilazione del pagamento, nel caso dei tributi costituenti risorse
proprie dell’Unione Europea, dell’imposta sul valore aggiunto, e per le ritenute operate e
non versate.
Si tratta di una disciplina che, come vedremo, incide sensibilmente sulla
stessa decisione dell’imprenditore agricolo, cui viene riconosciuta la facoltà di accedere
alla procedura di composizione della crisi, ovvero a quelle regolate, rispettivamente,
dagli artt.182 bis e 182 ter l.f., oggetto di un privilegio del tutto ingiustificato e che, per
quanto diremo in seguito, può incidere sulla decisione di poter ricorrere, in via
alternativa, alle stesse attesi i diversi vantaggi che derivano, soprattutto, dalla transazione
fiscale, in termini non solo di consolidamento del debito ma anche, e soprattutto, per
poter soddisfare parzialmente quelli per i quali è consentito.
De iure condito, il sovraindebitamento è concetto diverso dalla insolvenza,
dal momento che il primo sottolinea una situazione di difficoltà, non temporanea, di
adempiere regolarmente alle obbligazioni assunte facendo ricorso ai redditi, comunque,
conseguibili, ovvero ai beni mobili ed immobili di proprietà, laddove la seconda indica,
secondo il parametro interpretativo discendente dall’art.5 l.f., l’incapacità di far fronte
agli obblighi per scopi non già attinenti ai bisogni della famiglia, quanto per far fronte ai
debiti contratti per esigenze diverse, che possono coincidere, o meno, con lo svolgimento
di una attività imprenditoriale.
Dalla relazione allo schema di disegno di legge recante modifiche
all’attuale si apprende della diversa scelta di modificare la stessa definizione di
“sovraindebitamento”, operandone, a tutti gli effetti, una equiparazione con il concetto
di “insolvenza”, eliminando il richiamo allo “squilibrio patrimoniale”, come ulteriore
elemento di connotazione del fenomeno.
8
Mentre per il consumatore deve intendersi debitore la persona fisica che ha
assunto obbligazioni prevalentemente per scopi estranei all’attività imprenditoriale,
ovvero professionale eventualmente svolta, per l’imprenditore sotto la soglia e, dunque,
anche per l’imprenditore agricolo, il sovraindebitamento coincide con la situazione di
definitiva incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni ed è, pertanto,
coincidente con la nozione di insolvenza propria dell’impresa che non è in grado di
reperire i mezzi finanziari adeguati, e che non ha, dunque, più la capacità di adempiere
le obbligazioni assunte e si trovi, quindi, nella condizione di dover sollecitare tutte le
possibili iniziative dirette alla salvaguardia della propria organizzazione produttiva,
richiedendo, attraverso la conclusione di precise intese creditorie, una moratoria per
ripristinare la propria gestione.
Una situazione di illiquidità del patrimonio aziendale costituisce, per lo
più, sufficiente dimostrazione di uno stato di insolvenza, anche se, al tempo stesso, non
sempre lo squilibrio patrimoniale coincide con la prima, potendosi parlare anche di crisi
temporanea senza che questa si traduca, necessariamente, in uno stato patologico
irreversibile, tale da legittimare l’apertura di una procedura concorsuale liquidatoria.
La consistenza dei beni può costituire solo un elemento, anche se di
indubbio valore, per poter ritenere sussistente, in ragione della incampienza degli stessi,
uno stato di insolvenza; essa, a causa del diverso contenuto del piano liquidatorio, è
decisiva per l’insolvente civile e può avere una diversa importanza quante volte riguardi
l’imprenditore non fallibile, attesa la necessità di prendere in considerazione, per questi,
il possibile sviluppo potenziale dei futuri affari e, quindi, il credito che l’attività svolta
può ancora riscuotere per lasciar ritenere possibile la predisposizione di un piano, non
già, liquidatorio, quanto, piuttosto, conservativo.
Ai fini della individuazione del sovraindebitamento, de iure condendo, non
bisognerebbe più far riferimento alla concreta sussistenza della capacità di adempiere intesa come equivalente di una situazione di difficoltà per il soggetto interessato di
soddisfare con tempestività le obbligazioni assunte - ovvero di poter disporre, pur se non
già nell’imminenza, della sufficiente liquidità per far fronte ai debiti contratti.
Sovraindebitamento ed insolvenza costituiscono il presupposto oggettivo
per l’accesso alla composizione della crisi e, mentre il primo, nel caso del consumatore,
sottolinea una situazione di difficoltà che può essere imputata alla cattiva sorte (malattie,
perdita di lavoro ed altri eventi negativi), ovvero all’assunzione di impegni finanziari
insostenibili in relazione al livello di reddito corrente, anche considerando la ragionevole
liquidazione del patrimonio disponibile, la seconda consiste in una situazione di effettiva
impotenza economica funzionale, non transitoria, riferibile all’imprenditore non fallibile,
per non essere questi più in grado di far fronte, regolarmente e con mezzi normali, alle
9
obbligazioni, a causa del venir, meno, non solo, delle condizioni di liquidità, ma anche, e
soprattutto, di credito necessarie per la prosecuzione dell’attività17.
Il procedimento non può essere diverso, anche se differenti, certamente,
sono le conseguenze che derivano dal sovraindebitamento, ovvero dalla insolvenza, dal
momento che il primo riguarda il debitore civile18, pur se tra le obbligazioni inadempiute
di questi possono rientrare anche quelle riferibili ad altri debiti, laddove nel caso
dell’imprenditore sotto soglia il passivo è, per lo più, in via esclusiva, attinente allo
svolgimento dell’attività imprenditoriale, ed una regolamentazione del fenomeno è resa
indispensabile dalla necessità di prevedere, anche per questi, un meccanismo che regoli
il concorso sul patrimonio acquisibile dai creditori e consenta la esdebitazione, pur se
l’insolvenza non è espressione di particolare allarme sociale19.
3. I soggetti interessati.
A fianco del consumatore sovraindebitato ed al piccolo imprenditore20 si
colloca quello civile, che risulti essere insolvente per aver assunto obblighi di garanzia,
ovvero per essere chiamato a rispondere di danni derivanti dall’attività gestoria
(amministratori), ovvero da omissione di controllo (componenti del collegio sindacale).
Pur trattandosi di situazioni non omologhe, è evidente che solo attraverso
un accordo con i creditori, ovvero, in alternativa, prevedendo regole precise per attuare
una liquidazione del patrimonio celere che possa consentire, da un lato, il
soddisfacimento delle ragioni creditorie e, dall’altro, l’esdebitamento, la soluzione non
17
SANDULLI M., Il nuovo diritto fallimentare, a cura di JORIO-M. FABIANI, Bologna, 2007, 84; BONFATTICENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 19; TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare,
Padova, 2007, 31; CAIAFA A., Nuovo diritto delle procedure concorsuali, Padova, 2006, 187.
18
Al riguardo, il d.l. 22 dicembre 2011, n.212, all’art.6, nel regolamentare il raggiungimento dell’accordo, aveva
fatto riferimento a due distinte maggioranze, ai fini dell’omologazione, richiedendo l’espressione di voto dei
creditori rappresentanti almeno il 70% dei crediti, con riduzione al 50% quante volte il sovraindebitamento avesse
riguardato il consumatore.
19
NIGRO, L’insolvenza delle famiglie nel diritto italiano, in Dir.banca e mercato fin., 2008, 197; GOBBI, Credito
alle famiglie e sostegno finanziario alle piccole imprese, in L’insolvenza del debitore civile, a cura di PRESTISTANGHELLINI, F.VELLA, cit., 283
20
GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, cit., 23, nel
mentre ha affermato essere destinata la procedura anche alle piccole società commerciali di persone o di capitali ed
alle associazioni sportive ha ritenuto illogico escludere dalla stessa quei soggetti che non esercitando attività di
impresa possono essere, comunque, assoggettati al fallimento in estensione, in ragione di quanto previsto
dall’art.147, primo comma l.f., sul presupposto che dovrebbe essere riconosciuto loro il diritto di accedere alla
procedura di composizione quale strumento di esdebitazione.
La puntualizzazione appare condivisibile in ragione della circostanza che l’art.153 l.f., nel regolare gli effetti del
concordato della società mentre prevede che quello proposto dall’ente societario, con soci a responsabilità
illimitata, ha efficacia anche nei confronti di questi e fa cessare il loro fallimento, tuttavia, non consente al socio
illimitatamente responsabile di raggiungere l’effetto esdebitatorio assumendo la necessaria iniziativa, essendo,
peraltro, a questi inibito di proporre il concordato fallimentare che, nel caso delle società di persone, deve essere
approvato dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale (art.152, secondo comma, lettera a).
10
poteva che essere individuata consentendo di pervenire a tale risultato attraverso un
procedimento per molti versi simile a quello previsto dalla disciplina fallimentare.
L’istituto presenta caratteristiche sue proprie, dal momento che si
differenzia dalla procedura esecutiva individuale, in ragione della prevista estensione
degli effetti nei confronti di quei creditori che l’hanno approvato nella percentuale
prevista del 70% e, al tempo stesso, non si identifica con le procedure concorsuali, in
ragione della circostanza che, seppure viene investito l’intero patrimonio del soggetto
interessato, tuttavia, la realizzazione di esso non è diretta a soddisfare in modo paritario
tutti i creditori che vi concorrono, attesa la previsione dell’obbligatorio pagamento di
quelli non aderenti.
Analogo risultato non è, d'altronde, raggiungibile attraverso il concordato
stragiudiziale amichevole, in ragione della natura tipicamente privatistica di esso e,
pertanto, della impossibilità di vincolare i non aderenti, sì da presentare, sotto tale
profilo, indiscusse maggiori difficoltà, essendo indispensabile, per la sua riuscita, il
perfezionamento di un accordo contestuale concorsuale con tutti i creditori, ovvero la
conclusione di un complesso di accordi singoli, nei quali la prospettiva e l’interesse dei
soggetti che vi partecipano operano come motivo determinante che entra nel contenuto
di ciascun negozio quale condizione implicita.
Il piano, peraltro, potrà assumere un contenuto diverso laddove riguardi
l’imprenditore non fallibile, ovvero l’insolvente civile, dal momento che esso potrà
essere, in via alternativa, liquidatorio-conservativo, ovvero misto, e determinerà, nel
primo caso, la cessazione dell’attività, mentre potrà realizzare, nell’altro, anche la
sopravvivenza dell’impresa, che potrà essere assicurata attraverso la dismissione di quei
beni ritenuti non strategici21.
Al contrario, per l’insolvente civile non sembra vi possa essere soluzione
diversa dalla liquidazione di alcuni o tutti i beni per garantire il soddisfacimento degli
obblighi discendenti dal piano, che può essere, al più, realizzato, almeno in parte,
attraverso il reddito futuro, oppure mediante l’intervento di terzi perché ne sostengano la
fattibilità22.
Le situazioni, ancorchè molto differenti, si prestano, difatti, ad una identica
regolamentazione, atteso il medesimo risultato che si intende perseguire, attraverso la
composizione ovvero la liquidazione, seppur con modalità semplificata rispetto a quella
fallimentare23.
21
Il disegno di legge prevede una modifica dell’art.7 della legge n.3 del 2012, nel senso che il piano può anche
prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione
del ricavato ai creditori, che individua nel professionista in possesso dei requisiti di cui all’art.28 l.f.
22
FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile”, cit., 7.
23
STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, 169, che nel sostenere la
esdebitazione civile ha sottolineato costituire la liberazione del debitore un incentivo all’assunzione dei rischi che
11
4) L’imprenditore agricolo.
L’imprenditore agricolo, effettivamente tale, si sottrae allo statuto
dell’imprenditore commerciale24 e non è, pertanto, soggetto alle regole dettate per
quest’ultimo e, dunque, a quelle del concorso, essendo escluso dal fallimento e dal
concordato preventivo anche quando, in ragione della tecnologia, non sarebbe poi
azzardato accostarlo a quello commerciale25.
Al riguardo, l’art.2135 cod.civ. definisce imprenditore agricolo colui che
esercita una attività che risulti essere diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura,
all’allevamento del bestiame o ad attività agricole a queste connesse, operando, dunque,
una vera presunzione, dal momento che considera tali quelle dirette “…alla
trasformazione o alla alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio
normale dell’agricoltura” (art.2135, secondo comma, cod.civ.).
Assume, pertanto, rilievo, a fini della individuazione della figura
dell’imprenditore agricolo, il rapporto tra questi e la terra, ciò in quanto tra le attività
agricole produttive, a differenza di quelle industriali, è appunto la terra a costituire un
fattore specifico della produzione.
Tuttavia, i parametri legali alla cui stregua occorre far riferimento per la
sua individuazione, sì da operarne la esclusione dalla soggezione al fallimento, sono
risultati scarsamente rassicuranti, essendo solo il fattore terra elemento decisivo e
discriminante, nel senso che l’organizzazione della struttura produttiva dell’imprenditore
agricolo non può, in alcun modo, prescindere dal permanente strumentale collegamento
con il fondo26.
non può non essere oggetto di tutela nei limiti in cui escluda fenomeni di sovraindebitamento eccessivi ed
ingiustificati; PORRECA, L’insolvenza civile, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di DIDONE, II, 2097,
con riferimento al “bisogno di concorsualità…per quei creditori c.d. non professionali o involontari, tipici
dell’obbligato civile non esercente attività di impresa”.
24
Sull’attuale nozione di imprenditore agricolo: RONCOLETTA, Commento sub art.1 l.fall., in Codice del
fallimento, a cura P. PAJARDI, Milano, 2009, 23 e segg.; FERRI Jr. G., Procedure concorsuali (riforma delle),
profili sostanziali, in Enc.giur.Treccani, Vol. XXIV, ag., Roma, 2006, 2, ove sottolinea che seppur determinate
attività sono qualificate dall’art.2135, cod.civ. come agricole, e ciò “…comporta la loro soggezione alle norme che
disciplinano l’impresa agricola, non pare di per sé sufficiente a sottrarle all’applicazione di quelle previste per
l’impresa commerciale”; PORTALE, La legge fallimentare rinnovata: note introduttive (con postille sulla
disciplina delle società di capitali), in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di OLIVIERI-PISCITELLO, Napoli,
2007, 12, per una critica della scelta del legislatore italiano di non assoggettare al fallimento le imprese agricole
quando organizzate in forma societaria, anche in ragione dei vantaggi che conseguono dalla possibilità per
l’imprenditore di utilizzare gli istituti concorsuali per la composizione della crisi e per l’esdebitamento.
25
RAGUSA MAGGIORE, Istituzione di diritto fallimentare, Padova, 1996, 219.
Cass., 7 marzo 1992, n.2767, in Il fallimento, 1992, 783, che con riferimento all’allevamento di bestiame ha
riconosciuto natura commerciale non agricola all’attività nella quale l’alimentazione dei bovini, finalizzata alla
crescita ed all’ingrassamento, abbia assunto carattere accessorio e strumentale rispetto alla vendita dei medesimi, sì
da non essere ricollegabile alla conduzione del fondo agricolo ed all’economia di esso; Cass., 23 luglio 1997,
n.6911, in Giust.civ., 1997, 1260, che ha ritenuto insussistente la qualifica di imprenditore agricolo relativamente ad
26
12
Sebbene, dunque, la legislazione speciale ha specificato il concetto di
attività agricole ed è possibile avere una elencazione delle attività predette e, al tempo
stesso, una definizione del soggetto che le esercita, emerge, tuttavia, un quadro
ricostruttivo della figura dell’imprenditore agricolo niente affatto rassicurante, dal
momento che i confini tra norma civilistica (art.2135 cod.civ.) e legislazione speciale si
sono sovrapposti, con la conseguenza che lo stesso imprenditore può essere considerato
agricolo secondo la norma generale e, al contrario, commerciale o industriale in
relazione alle norme previdenziali in materia di infortunistica (artt.105-207 Testo Unico
legge n.1124 del 1965), sicchè, in relazione alla possibilità di essere questi assoggettato,
o meno, al fallimento, deve tenersi conto non tanto dell’attività diretta alla coltivazione
del fondo, alla silvicoltura, ovvero all’allevamento, ma, soprattutto, alle attività connesse
ed all’entità, in particolare, del capitale investito27.
Appare utile, anche in prospettiva di una conclusione che non risulti
equivoca, precisare che identiche perplessità si pongono con riferimento alle società
agricole.
In particolare, il d.lgs. 29 marzo 2004, n.99 – emanato dal Governo in
adempimento della delega contenuta nella legge 7 marzo 2003, n.38, avente ad oggetto
“disposizioni in materia di agricoltura” – all’art.2, allo scopo di favorire l’esercizio in
forma collettiva dell’attività agricola, ha individuato i presupposti in presenza dei quali
l’ente societario può acquisire tale qualificazione, stabilendo che essa compete a quelle
società “…che hanno quale oggetto sociale l’esclusivo esercizio dell’attività di cui
all’art.2135 del codice civile..”, imponendo, tuttavia, ad esse di rendere evidente tale
qualificazione nell’ambito della ragione o denominazione sociale.
La disposizione – come ho altrove sottolineato – da un punto di vista
sistematico ha un contenuto definitorio, dal momento che individua nell’oggetto sociale
e, pertanto, nell’esercizio esclusivo dell’attività prevista dalla richiamata norma
codicistica i contenuti propri perché ci si possa dire in presenza di una società agricola28.
L’art.2 del d.lgs. n.99/2004, al secondo comma, ha stabilito, ancora,
l’obbligo per le società già costituite, che siano in possesso dei requisiti previsti, di
inserire nella ragione o denominazione sociale la indicazione “società agricola”, e di
adeguare lo statuto per poter godere delle agevolazioni previdenziali ed assistenziali
riconosciute all’imprenditore individuale che sia in possesso della qualifica di coltivatore
diretto.
un avicoltore che esercitava l’allevamento di polli con strutture di ampie dimensioni senza collegamento con il
fondo.
27
Cass., 7 marzo 1992, n.2767, in Il fallimento, 1992, 783; Cass., 10 gennaio 1989, n.18, ivi, 1989, 699.
28
CAIAFA A., Le società agricole: profili concorsuali, in Nuovo diritto agrario, 2004, 179 e segg..
13
La norma lascia ritenere che il legislatore abbia inteso riconoscere piena
libertà alla volontà delle parti per quel che concerne la disciplina dei reciproci rapporti
interni e, anche in tal caso, ha consentito a queste di assumere all’esterno un diverso
grado di responsabilità attraverso la scelta del tipo o modello associativo ritenuto più
idoneo per lo svolgimento delle attività previste dall’art.2135 cod.civ., così come
novellato dal d.lgs. 18 maggio 2001 n.22829.
L’impresa agricola, ormai ampliata nei suoi confini operativi e, peraltro,
indipendentemente dalla soluzione prescelta di esercizio dell’attività a livello
individuale, ovvero collettivo, ha lasciato permanere aperto il dibattito in ordine alla
possibilità, o meno, di essere assoggettata al fallimento quante volte la dimensione e la
struttura organizzativa e, al tempo stesso, lo svolgimento di una attività più o meno
tipicamente connesse a quelle previste dalla disciplina codicistica potessero rendere
l’esclusione del tutto ingiustificata30.
Il contenuto definitorio dell’impresa agricola, che è possibile ricavare
attraverso la lettura dell’art.2135 cod.civ., a seguito degli interventi correttivi ed
amplificativi che essa ha avuto per effetto dei provvedimenti legislativi successivamente
intervenuti, consente di avere una visione maggiormente ampia di quella che tende a
collegarla alla tipologia dell’attività svolta31.
Non a caso, i profili di specificità delle attività in agricoltura e dei rapporti
giuridici da esse derivanti o ad esse connesse, rispetto alla realtà di altri settori
dell’economia e, in particolare, dell’industria e del commercio, hanno costituito oggetto
di particolare attenzione nel tempo, sotto vari profili, per dedurne le implicazioni sul
piano del diritto, in termini di apprezzamento delle situazioni giuridiche proprie del
sistema e delle relazioni fra le parti interessate, per la conseguente qualificazione e
sistemazione dogmatica nel contesto dell’ordinamento generale.
L’esigenza di definire, in maniera soddisfacente ed adeguata, la tipologia
delle attività proprie dell’imprenditore agricolo, hanno spinto il legislatore a sottolineare
la specificità delle attività da questi svolte, individuandole e correlandole alla
29
Sui contenuti dell’attività agricola, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n.228/2001, si vedano i
contributi di: COSTATO, Corso di diritto agrario, Milano, 2004, 105; GERMANO’, Manuale di diritto agrario,
Torino, 2003, 85; GOLDONI, L’art.2135 del codice civile, in Trattato breve di diritto agrario italiano e
comunitario, diretto da COSTATO, Padova, 2003, 159.
30
CAIAFA A., Nuovo diritto delle procedure concorsuali, cit., 42.
31
Cass., 23 ottobre 1998, n.10527, in Dir.giur.agr. e dell’amb., 1999, 148, con nota di CARMIGNANI, che ha
ribadito, in materia fallimentare, che a norma dell’art.2135 cod.civ. l’attività di allevamento del bestiame può
considerarsi agricola e, come tale, non assoggettabile al fallimento, ancorchè svolta con l’ausilio di tecniche
moderne, quando si presenta in collegamento funzionale con il fondo, nel senso che trae occasione e forza dallo
sfruttamento del fondo stesso, mentre qualora tale attività, per le dimensioni, l’ubicazione e le modalità di esercizio,
si configura come autonoma rispetto ai fini dell’azienda agricola si è in presenza di una impresa industriale; Cass.,
11 aprile 1999, n.3059, in Riv.dir.agr., 1991, II, 360, con nota di GATTA, L’allevamento di animali come attività
agricola ai fini previdenziali.
14
coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali ed alle attività dirette
alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione, purchè connesse ed aventi ad oggetto i prodotti ottenuti prevalentemente
con le attività sopra individuate.
Il diritto dell’impresa agraria – come vedremo – per quel che attiene la
tipologia dei rapporti che possono essere instaurati, non consente, in ragione dei limiti
propri della presente trattazione, di prendere in considerazione le forme di lavoro in
agricoltura e considerare la vastità e la complessità dei possibili nuovi modi di
espletamento dell’attività lavorativa, subordinata o meno, in relazione alle esigenze di
flessibilità già da tempo utilizzate per superare le rigidità imposte normativamente e
dalle quali il recente intervento governativo ha inteso volutamente discostarsi32.
Intendo riferirmi alle varie forme di lavoro autonomo che consentono
l’autorizzazione di attività in modi ed in tempi non rigidamente predeterminati, la cui
instaurazione, seppur contrastata dalle OO.SS., ha tuttavia spesso trovato consenso non
solo da parte degli utilizzatori.
Si registra, in sostanza, una contrapposizione tra l’esigenza di tutela del
lavoro subordinato agricolo tradizionale e l’emersione di forme di attività lavorativa
non riconducibili allo schema tradizionale del primo33.
Non può essere, d'altronde, ignorata l’evoluzione dell’impresa agricola
verso forme di organizzazione sempre più complesse, dovute non solo all’impiego di
mezzi tecnici, ma anche al necessario utilizzo di capacità professionali, sì da richiedere
una organizzazione strutturale non diversa da quella propria dell’impresa che opera del
settore industriale o commerciale.
32
Sull’attuale nozione di imprenditore agricolo: RONCOLETTA, Commento sub art.1 l.fall., in Codice del
fallimento, a cura P. PAJARDI, Milano, 2009, 23 e segg.; FERRI Jr. G., Procedure concorsuali (riforma delle),
profili sostanziali, in Enc.giur.Treccani, Vol. XXIV, ag., Roma, 2006, 2, ove sottolinea che seppur determinate
attività sono qualificate, dall’art.2135, cod.civ., come agricole, e ciò “…comporta la loro soggezione alle norme che
disciplinano l’impresa agricola, non pare di per sé sufficiente a sottrarle all’applicazione di quelle previste per
l’impresa commerciale”; PORTALE, La legge fallimentare rinnovata: note introduttive (con postille sulla
disciplina delle società di capitali), in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di OLIVIERI-PISCITELLO, Napoli,
2007, 12, per una critica della scelta del legislatore italiano di non assoggettare al fallimento le imprese agricole
quando organizzate in forma societaria, anche in ragione dei vantaggi che conseguono dalla possibilità per
l’imprenditore di utilizzare gli istituti concorsuali per la composizione della crisi e per l’esdebitamento.
33
ANGIELLO, Nuove forme di lavoro in agricoltura: brevi riflessioni, in Dir.lav., 1993, I, 302, che nel tracciare le
linee evolutive del lavoro in agricoltura si sofferma sulla distinzione tra lavoro agricolo tradizionale e rurale
sottolineando gli accenti di novità in ragione della esigenza di una flessibilità ormai manifestatasi anche in tale
settore ed alla conseguente possibilità di far ricorso al contratto di formazione e lavoro e, ancora, a quello a tempo
parziale, ovvero a termine; MAGNO, La concezione del diritto agrario del lavoro. Problemi e prospettive, in
Dir.lav., 1988, I, 421; DE SIMONE, Il contratto di formazione e lavoro in agricoltura, ivi, 1988, I, 499; NICOLINI
G., I rapporto di lavoro agricolo: vecchi e nuovi profili di specialità, ivi, 1988, I, 424.
15
Il processo di industrializzazione dell’agricoltura ha determinato
l’attrazione delle imprese nell’ambito del diritto commerciale, sì da doversi ormai
ritenere superato il tentativo di dare una configurazione unitaria del concetto di impresa
agricola attraverso la c.d. teoria agrobiologica, con conseguente tipicizzazione del
rischio strettamente correlato alle vicende proprie del ciclo biologico tipico dei prodotti
dell’allevamento vegetali o animali34.
Se pur è vero che non necessariamente il prodotto dell’impresa agricola è
destinato alla commercializzazione, non par dubbio, tuttavia, che essa, piccola o grande
che sia, può anche essere esercitata in modo professionale ed organizzato al fine della
produzione e dello scambio dei prodotti35.
Ed allora, fra organizzazione del lavoro, che si attua nel campo industriale
o commerciale, e quella propria del settore agricolo, non sembra esservi alcuna
sostanziale differenza, sì da risultare, invero, inspiegabile la ragione per la quale il
legislatore ha ritenuto di dover sottrarre l’attività agricola alle regole del concorso, pure
nella ricorrenza dei parametri individuati dall’art.1 della legge fallimentare modificata e
corretta, assicurando, tuttavia, all’impresa, sia essa individuale che collettiva, la
possibilità di avvalersi, in attesa di una revisione complessiva della disciplina, delle
procedure di cui agli artt. 182 bis e 182 ter l.f., e ora certamente anche del procedimento
delineato dalla legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento.
Lo stupore determinato dalla ingiustificata esclusione, in ragione della
difficoltà di individuare argomenti validi per poter ritenere coerente l’operata scelta,
trova ancoraggio nella circostanza che potendo l’attività agricola essere organizzata,
strutturalmente in modo non diverso da quella commerciale o industriale, ciò ha indotto
il legislatore a regolare i licenziamenti individuali, nell’ambito del settore agricolo, in
modo analogo a quello previsto per gli altri settori. Non solo, si è inteso assicurare, nelle
vicende traslative dell’azienda agricola, il mantenimento dei diritti dei lavoratori, per
tale intendendo “…qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione,
comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata, con o senza
scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria
identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale
il trasferimento è attuato”.
34
CARROZZA, Lezione di diritto agrario. Elementi di teoria generale, Milano, 1988, I, 10; ID. Problemi generali
e profili di qualificazione del diritto agrario, Milano, 1975, 74. Secondo la teoria agrobiologica, l’attività
produttiva agricola consiste nello svolgimento di un ciclo “… concernente l’allevamento di esseri animali o
vegetali, che risulta legato direttamente o indirettamente allo sfruttamento delle forze o delle risorse naturali e che
si risolve economicamente nell’ottenimento di frutti (vegetali o animali) destinati al consumo, sia come tali sia
previa una o più trasformazioni”.
35
IRTI, Dal diritto civile al diritto agrario (momenti di storia agraria francese), in Riv.dir.agr., 1961, ove
sottolinea che “l’attività agricola si iscrive nell’orizzonte di un nuovo diritto, che è, diritto dell’attività e non diritto
della proprietà”.
16
Il trasferimento di azienda, in ragione di quanto previsto espressamente
dall’art.2112 cod.civ., determina la prosecuzione del rapporto, senza soluzione di
continuità, e l’obbligazione solidale del soggetto che ne acquisisce la gestione
temporanea (affitto), ovvero definitiva (vendita), per tutti i crediti che il lavoratore aveva
al tempo della realizzazione della vicenda traslativa, e trova applicazione tutte le volte in
cui sia possibile postulare l’esistenza di una attività imprenditoriale ed il trasferimento di
essa ad un diverso soggetto, e ricorre anche quando riguardi una azienda agricola, a
condizione che permanga inalterata la struttura organica della stessa ed
indipendentemente dallo strumento utilizzato per realizzare la sostituzione.
La stessa nozione di imprenditore agricolo, ancorchè delimitata
dall’esercizio di una attività diretta alla coltivazione del terreno, alla silvicoltura,
all’allevamento del bestiame ed a quelle connesse che rientrano nell’esercizio normale
dell’agricoltura – per come delineata dall’art.2135 cod.civ. e dagli artt.2006 e 2007 e del
d.p.r. n.1124 del 1965 - non esclude la riconducibilità all’art.2112 cod.civ. della vicenda
circolatoria quante volte questa abbia ad oggetto l’esercizio dell’impresa agricola, con
conseguente continuazione dei rapporti di lavoro, producendosi tale effetto “ipso iure”.
Ebbene, l’identità di regole, previste per i recessi, ovvero per il
trasferimento dell’azienda, rendono difficile la individuazione di una spiegazione logica
e coerente per poter ritenere esclusa l’impresa agricola solo dalle regole del concorso.
In particolare, difatti, i licenziamenti individuali, nell’ambito del settore
agricolo, risultano regolati dalla legge 11 maggio 1990, n.108, che ha modificato, come
noto, le leggi n.604 del 1966 e n.300 del 1970.
Ai sensi dell’art.1, il regime di tutela reale del posto di lavoro si applica nei
confronti del “datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore”, il quale occupi, se
agricolo, più di cinque dipendenti, in ciascuna sede, ovvero nell’ambito dello stesso
Comune, qualora ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunga il
richiamato limite36.
Ove l’imprenditore agricolo occupi meno di sei dipendenti, il recesso potrà
da questo essere attuato secondo quanto previsto dall’art.2 della legge n.108 del 1990 e
le conseguenze saranno quelle da esso discendenti ed individuate nell’obbligo della
riassunzione, ovvero della corresponsione di una indennità risarcitoria.
36
Sul tema si veda GALANTINO, La disciplina dei licenziamenti in agricoltura, in Dir.lav., 1993, I, 32 e segg.,
sulla configurabilità di una disciplina speciale dei licenziamenti individuali posti in essere dal c.d. datore di lavoro
agricolo non imprenditore; MAGNO, Diritto agrario del lavoro, Padova, 1984, 164; ID., Lavoro in agricoltura, in
Digesto civ.sez.com., Torino, 1992, 245.
17
La disciplina limitativa, dei licenziamenti varia, con riferimento all’attività
agricola, nel senso che è ancorata alla prestazione svolta nell’ambito dell’impresa
indipendentemente dal fatto che il lavoro abbia, o meno, il carattere della “agrarietà”37.
E’, dunque, la figura dell’imprenditore agricolo secondo la nozione
ricavabile dalle norme codicistiche e, in particolare, dagli artt.2082, 2135 e 2195
cod.civ., che determina il criterio per l’applicazione della normativa prevista a tutela dei
licenziamenti38.
Ma, come si è visto, la tutela reale del posto di lavoro è assicurata nei
confronti del datore di lavoro imprenditore, ovvero anche non imprenditore, sicchè sotto
tale profilo non ha neppur rilevanza accertare se ci si trovi dinanzi, o meno, ad una
attività imprenditoriale, e diviene, dunque, indifferente se la trasformazione ovvero le
tecniche produttive utilizzate escludano o consentano di ritenere l’attività espressione
dello svolgimento di un ciclo biologico, in conseguenza dello sfruttamento delle risorse
naturali, così come se le attività connesse siano realmente accessorie di quella agricola
essenziale in quanto in questa rientranti39.
Né appare utile, al fine di risolvere e trovare una appagante soluzione al
quesito, far riferimento alla legislazione comunitaria, dal momento che l’ordinamento
non contiene una definizione generale dell’impresa agricola che possa ritenersi
vincolante per gli Stati membri, anche perché seppur dagli artt. 1 e 2 della legge n.108
del 1990 è possibile enucleare una disciplina dei licenziamenti che riguardi il datore di
lavoro agricolo non imprenditore, dall’altra destinata all’imprenditore agricolo, tuttavia,
tale distinzione non ha rilevanza, perché ai fini della tutela reale quel che conta è se
questi occupino più o meno di cinque dipendenti40.
Quante volte, poi, l’imprenditore agricolo si trovi nella necessità di attuare
una ristrutturazione o conversione dell’azienda, potrà richiedere la cassa integrazione
37
Cass., 18 maggio 1991, n.5594, in Riv.infort.mal.prof., 1991, II, 138.
GENOVESE, La nozione giuridica dell’imprenditore agricolo, in Riv.dir.agr., 1992, I, 226, per una analisi
dell’organizzazione, della professionalità e della economicità dell’attività produttiva intesa in termini di risparmio
di spesa o altro vantaggio patrimoniale; GALGANO, Diritto commerciale, l’imprenditore, Bologna, 1986, 63 sul
concetto di rischio; Cass., 25 gennaio 1990, n.446, in Dir.prat.lav., 1990, 1423; Cass., 9 febbraio 1989, n.189, in
Giust.civ., 1989, I, 2643.
39
MINERVINI, L’imprenditore, Napoli, 1970, 61; FRANCESCHELLI, Imprese ed imprenditori, Milano, 1970,
233; BIONE, L’imprenditore agricolo, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,
Padova, 1978, II, 502.
40
Cass., 3 marzo 1987, n.2242, in Nuovo dir.agr., 1987, 368; Cass., 6 novembre 1987, n.8410, in Dir.prat.lav.,
1988, 952; Cass., 4 aprile 1978, n.1546, in Dir.giur.lav., 1978, II, 470, con nota di ROMEO, Brevi note in tema di
applicabilità dello statuto dei lavoratori alle imprese agricole, che hanno ritenuto dover essere computati i
dipendenti che, pur non essendo occupati in maniera continuativa e stabile, e dovendo comunque essere ricompresi
nell’organigramma aziendale, quante volte svolgano attività che possono reputarsi normali in ciascuna annata
agraria e ritenute indispensabili al ciclo produttivo dell’azienda. Nello stesso senso, in dottrina: GALANTINO, La
disciplina dei licenziamenti in agricoltura, cit., 37; MAGNO, Diritto agrario del lavoro, cit., 165; NICOLINI, Il
rapporto di lavoro agricolo. Vecchi e nuovi profili di specificità, in Dir.lav., 1988, I, 435; SANTONI, Lavoro in
agricoltura, in Enc.giur. Treccani, 1990, 6; DE SIMONE, Commento all’art.18, in I licenziamenti. Commentario a
cura di MAZZOTTA, Milano, 1992, 722.
38
18
guadagni purchè impieghi almeno sei dipendenti con contratto a tempo indeterminato.
Beneficiari del trattamento sono dunque i quadri, gli impiegati, gli operai, gli braccianti
che al momento dell’assunzione abbiano garantito un minimo di giornate lavorative
(art.21 primo comma della legge n.223 del 1991).
In favore delle imprese agricole interessate da processi di crisi,
ristrutturazione, riorganizzazione e conversione in deroga alla disciplina generale
possano essere anche assegnate risorse finanziarie specifiche da utilizzare per
l’intervento della Cigs in favore del personale a tempo determinato ovvero anche in
presenza di eventi di carattere eccezionale ed imprevisto (art.1, comma 65°, legge n.247,
2007).
Ai sensi poi dell’art.8 della legge 8 agosto 1972, n.457 l’integrazione
salariale viene corrisposta ai lavoratori beneficiari che vengano sospesi
temporaneamente per intemperie stagionali o per altre cause non ascrivibili o imputabili
al datore di lavoro e, dunque, estranee alla volontà di questi; da ciò consegue che la
ristrutturazione aziendale seppur non è causa integrabile ai fini dell’intervento
disciplinato dalla richiamata norma trova, tuttavia, coerente sistemazione nell’ambito
della disciplina introdotta dalla legge n.223 del 1991.
Ebbene, le considerazioni sin qui svolte hanno consentito di porre in luce
ingiustificate resistenze per l’applicazione al settore agricolo di una disciplina dettata per
le altre imprese, e la incoerenza di un sistema che ha ritenuto, “…in attesa di una
revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi”, pur tuttavia,
logico consentire a questi l’accesso a procedure regolate per gli imprenditori assoggettati
alle procedure concorsuali (artt. 182 bis e 182 ter l.f.), così come di consentire, ora,
anche l’accesso alla disciplina per la composizione della crisi da sovraindebitamento
che, per quanto prima osservato, sarà recessiva rispetto alla prima.
E la soluzione appare essere anche incoerente in ragione del fatto che nel
settore del lavoro agricolo trova sempre maggior spazio ed applicazione l’innovazione
tecnologica, con un progressivo restringimento dell’area del lavoro tradizionale; ed il
percorso verso nuove forme di organizzazione dell’attività lavorativa, caratterizzate da
una sempre maggiore elasticità e flessibilità, seppur in sintonia con l’evoluzione del
rapporto di lavoro subordinato tradizionale, non consente di comprendere le motivazioni
che dovrebbero giustificare e rendere possibile l’accesso a procedure diverse per la
regolazione della crisi, o anche della stessa insolvenza, senza che per tali imprese
debbano valere le stesse regole delle altre operanti nel settore commerciale ed
industriale.
Una ulteriore conclusiva considerazione va svolta con riferimento alla già
richiamata disciplina dettata in tema di trasferimento di azienda, che è destinata a trovare
applicazione quante volte l’impresa agricola – che non può sottrarsi ad essa – occupi più
19
di quindici dipendenti, e che, peraltro, assicura la continuità giuridica dei rapporti di
lavoro ed il mantenimento dei diritti, con conseguente obbligo per il cessionario di
applicare i trattamenti economici e normativi previsti dal contratto collettivo vigente, alla
data del trasferimento, ove il numero degli occupati sia inferiore a quindici, in ragione
della continuità giuridica, comunque, assicurata dalla norma codicistica (art.2112
cod.civ.).
Ne consegue, pertanto, che nell’ambito di un procedimento di liquidazione,
affidato al fiduciario ovvero all’organismo di composizione della crisi, ove questo sia
diretto a realizzare la conservazione dell’attività agricola, attraverso la prosecuzione di
essa, dovrà procedersi alla risoluzione dei rapporti di lavoro che fossero in esubero, e ciò
dovrà avvenire nel rispetto delle regole, conseguendo dal successivo accertamento della
illegittimità dei recessi effetti perniciosi che potrebbero incidere negativamente sullo
stesso procedimento liquidatorio conservativo.
Il disegno di legge in tema di composizione delle crisi da
sovraindebitamento prevede, attraverso una modifica dell’art.7 della legge n.3 del 2012,
l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore per la sua liquidazione, custodia
e distribuzione del ricavato ai creditori che, per l’appunto, può avere anche natura
conservativa tutte le volte che sia possibile assicurare, attraverso il trasferimento a terzi,
la continuità dell’attività.
E’ necessario che tale previsione sia, però, inserita nel piano, attesa la
necessità che questo possa assicurare il regolare pagamento dei creditori ad esso estranei
e, comunque, con le modalità specificamente stabilite.
Particolare interesse suscita l’inserimento, nel testo della legge n.3/2012, di
una sezione (artt.14 ter – 14 duodecies) diretta a regolare l’alternativa alla proposta di
ristrutturazione della crisi esclusivamente liquidatoria nelle ipotesi di revoca o di
cessazione degli effetti del piano proposto, in ragione della impossibilità di provvedere ai
pagamenti dovuti alle amministrazioni pubbliche o agli enti previdenziali e assistenziali,
ovvero quando siano stati compiuti, dopo l’omologazione, atti in frode ai creditori.
L’art.14 ter fa riferimento, in modo espresso, all’imprenditore agricolo, al
quale riconosce la possibilità di chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni e crediti
presentando la domanda al tribunale competente, cui dovrà allegare l’inventario dei beni
ed una relazione attestativa dell’organismo di composizione della crisi diretta ad
illustrare le cause dell’indebitamento, la diligenza impiegata nell’assumere
volontariamente le obbligazioni, le ragioni della impossibilità di adempiere e, in
particolare, l’esistenza di atti impugnati dai creditori, e che deve contenere anche un
giudizio sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo
della domanda, che sarà ritenuta inammissibile ove non consenta la ricostruzione della
situazione economico-patrimoniale.
20
L’art.14 quater prevede, anche, la conversione della procedura di
composizione della crisi in quella di liquidazione del patrimonio nelle ipotesi di
annullamento dell’accordo, di cessazione degli effetti dell’omologazione, ovvero revoca
o risoluzione.
Viene così attivato un iter procedimentale, per così dire semplificato, non
molto diverso, nel suo contenuto, dalla procedura individuata dalla Commissione istituita
con d.m. 27 febbraio 2004, che ebbe a redigere il disegno di legge di riforma delle
procedure concorsuali poi, però, rimasto inattuato.
Ed infatti, all’art.187 dello stesso, venivano individuate le regole per una
procedura semplificata di liquidazione concorsuale del piccolo imprenditore con nomina
facoltativa del consiglio dei creditori; acquisizione dei beni attraverso la redazione di un
inventario, con nomina di uno estimatore; la previsione della redazione di un progetto di
stato passivo da parte del curatore sulla base delle scritture contabili, delle dichiarazioni
del debitore e delle altre notizie da questi eventualmente assunte, e riconoscimento al
giudice delegato del potere, con decreto, di attestarne la regolarità formale e renderlo
esecutivo con il deposito in cancelleria.
L’art.14 quinques regola l’apertura della procedura di liquidazione, che
avviene con decreto del giudice contestualmente alla nomina di un liquidatore, da
individuarsi in un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art.28 l.f., e dispone
che, a pena di nullità, non possono essere iniziate o proseguite, per un tempo non
superiore a tre anni, le azioni esecutive individuali e cautelari, né acquisiti diritti di
prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa
anteriore, che viene annotato nel registro delle imprese laddove il debitore “svolga
attività di impresa”.
I successivi articoli stabiliscono le regole per la redazione dell’inventario,
dell’elenco dei creditori da parte del liquidatore, e per la presentazione delle domande di
“partecipazione alla liquidazione”, con la previsione di un contenuto non diverso da
quello di cui all’art.93 l.f. per le istanze di ammissione al passivo, riconosciuto al
liquidatore, esaminate le stesse, il potere di predisporre un progetto di stato passivo da
comunicare agli interessati, perché possano far pervenire eventuali osservazioni, e che si
intenderà approvato in assenza di esse.
La fase liquidatoria è regolata in modo non diverso da quella descritta nella
legge fallimentare riformata e corretta, attraverso il riconoscimento dell’obbligo per il
liquidatore di elaborare un programma, da comunicare al debitore ed ai creditori, con
iter, per quel che attiene il deposito in cancelleria e la realizzazione delle vendite e degli
altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione di esso, che gli impone di osservare
procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, riconosciuto al
21
giudice, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi, il potere di sospendere, con decreto
motivato, gli atti di esecuzione, ovvero di ordinare, la cancellazione delle trascrizioni o
iscrizioni pregiudizievoli quando ne abbia verificato la conformità al programma.
La previsione dell’inserimento del provvedimento nel registro delle
imprese, laddove la domanda riguardi un soggetto che svolga attività diretta allo scambio
di beni o servizi, ed il riferimento, in particolare, all’imprenditore agricolo per l’avvio, in
alternativa alla proposta per la composizione della crisi, della procedura di liquidazione
del patrimonio e delle fasi nonché delle regole per consentire ai creditori di partecipare
alla distribuzione del realizzato, induce a riflettere sulle ragioni che hanno spinto il
legislatore della riforma delle procedure concorsuali ad individuare una “soglia” per
l’applicazione delle stesse, attesa, comunque, la indiscutibile necessità di individuare
soluzioni anche nei confronti dei soggetti non fallibili, ponendosi per questi la necessità
di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento attraverso il raggiungimento di un
accordo con i creditori, realizzabile mediante l’approvazione, da parte degli stessi, del
piano diretto a tal fine, ovvero tramite la liquidazione del patrimonio.
5. Motivi di incoerenza della scelta e la correlata criticità.
L’esenzione, nel caso dell’imprenditore agricolo, individuale o collettivo,
si viene, peraltro, a trasformare in un privilegio del tutto ingiustificato, soprattutto in
grado di compromettere la par condicio che il nostro ordinamento garantisce attraverso
la individuazione di regole precise volte ad assicurare la universalità e la concorsualità,
salve le cause legittime di prelazione41.
L’incoerenza della scelta operata è resa ancor più evidente dalla
circostanza di avere il legislatore, attraverso l’art.23, comma quarantatre, del d.l. 6 luglio
2011 n.98 – convertito nella legge 15 luglio 2011, n.111 - espressamente previsto, “…in
attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e
del coordinamento delle disposizioni in materia…”, la possibilità per questi di accedere
“…alle procedure di cui agli artt.182 bis e 182 ter del Regio Decreto 16 marzo 1942
n.267”42.
41
PACCHI-PESUCCI, Diritto fallimentare,coordinato da MAFFEI ALBERTI, Bologna, 2002, 62, che ha ritenuto
di poter individuare in tale tratto la ragione della deliberata intenzione dei sistemi di riforma per le procedure
concorsuali di prevedere norme per la regolazione del concorso anche per gli imprenditori agricoli individuali e
collettivi, CAIAFA A,, La legge fallimentare riformata e corretta, Padova, 2008,63.
42
PACCHI S., Il presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento, in BERTACCHINI, GUALANDI
F.PACCHI. G.PACCHI SCARSELLI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 40; MINUTOLI, L’impresa
agricola ed artigiana, le procedure concorsuali tra nuovo art.2135 cod.civ. e prospettive della riforma della legge
fallimentare, in Dir.fall., 2005, 1, 600, ove sottolinea l’inadeguatezza di sistema e la persa opportunità, da parte del
legislatore della riforma, di allineare il diritto concorsuale al mutato assetto economico del Paese; CAVALLI, La
dichiarazione di fallimento. Presupposti e procedimento, in La riforma del fallimento, a cura di AMBROSINI,
Bologna, 2006, 4, in termini di perdurante disparità di trattamento attuata dal legislatore della riforma per regolare
in modo diverso situazioni tra loro non dissimili in presenza del presupposto oggettivo; MANDRIOLI, I
22
Ebbene, una siffatta previsione non risulta essere coerente con il sistema,
laddove si consideri che, invero, l’accesso agli accordi di ristrutturazione ed alla
transazione fiscale appare essere riservato allo “imprenditore in stato di crisi”, e le
richiamate norme fanno riferimento, in modo esplicito, la prima, alla documentazione
richiesta dall’art.161 l.f., e la seconda, al piano di cui all’art.160 l.f., sì da lasciar ritenere
non esclusa la stessa possibilità di considerare proponibile la transazione fiscale con la
domanda di concordato preventivo.
L’interrogativo, a questo punto, non ha, però, più ragione di trovare una
risposta coerente, da un punto di vista sistemico, una volta che il legislatore, attraverso le
disposizioni in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento, ha inteso
operare un completamento della tutela mediante la regolamentazione degli effetti da essa
discendenti per le imprese minori e, tra queste, anche quelle agricole.
L’operata scelta appare, al contrario, essere coerente con il sistema previsto
in ragione della riconosciuta possibilità, per le imprese agricole, di poter gestire, in
assenza di un apposito sostegno normativo, le situazioni di crisi ovvero l’insolvenza, in
conseguenza della circostanza di averle il legislatore considerate escluse dall’art.1 della
legge fallimentare, riformata e corretta, per il fatto di fare questa riferimento a quegli
imprenditori che svolgono una attività commerciale43.
Con riferimento all’imprenditore agricolo si pone, piuttosto, un ulteriore
interrogativo, nel senso di dover stabilire se questi possa accedere indifferentemente alla
composizione della crisi da sovraindebitamento ovvero all’accordo di ristrutturazione dei
debiti, regolato dall’art.182 bis l.f., attesa la irrilevanza delle dimensioni della sua
impresa, esclusa per espressa volontà del legislatore dalle procedure concorsuali regolate
dalla legge fallimentare riformata e corretta, e per il quale, dunque, sussiste un problema
di dimensione e, conseguentemente, di soglia, cosicchè, pur nella evidente analogia
esistente tra i due istituti, la preferenza per quello regolato dall’art.182 bis l.f. va
individuata nella riconosciuta possibilità - in ragione di quanto previsto dall’art.16,
comma quinto, del d.lgs. 12 settembre 2007, n.169 – per il “debitore” di proporre il
pagamento, nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di
ristrutturazione, anche parziale, dei tributi amministratati dalle agenzie fiscali, con i
relativi accessori, pur se limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria, e
con la esclusione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea44.
presupposti per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di DIDONE, Padova,
2009, I, 47.
43
La richiamata norma ha, tuttavia, permesso l’accesso agli accordi di ristrutturazione del debito (art.182 bis l.f.),
consentendo il raggiungimento di uno specifico accordo, nei termini regolati dalla richiamata disposizione
normativa, con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e, altresì, la transazione fiscale (art.182 ter
l.f.), che permette di dilazionare il debito erariale e, soprattutto, di consolidare lo stesso
44
Sul tema si vedano i contributi di VERNA, I nuovi accordi di ristrutturazione, in Le nuove procedure
concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, a cura di AMBROSINI, Torino-Bologna, 2008,
23
La transazione fiscale ha, d'altronde, la finalità di realizzare, tra l’altro, ed
in particolare, “la difesa dell’occupazione e la continuità dell’attività produttiva”45,
anche se incontra un limite nella prevista impossibilità del soddisfacimento dei crediti
erariali in percentuale inferiore rispetto a quelli vantati dai creditori che godono di un
privilegio di grado inferiore, se entrambi assistiti da privilegio, ovvero alla percentuale
garantita ai chirografi, quante volte i crediti erariali siano anch’essi chirografari.
Se si considerano, peraltro, le modifiche al codice civile, apportate dal d.l.
6 luglio 2011 n.98, finalizzate ad avvantaggiare l’erario nelle procedure esecutive, sia
collettive che individuali, in ragione della differente collocazione dei nuovi privilegi
tributari, appare essere evidente come non sia per nulla indifferente per l’imprenditore
agricolo ricorrere all’accordo previsto per il sovraindebitamento, rispetto a quello
regolato dall’art.182 bis l.f., proprio per la possibilità di avvantaggiarsi della transazione
fiscale ed ottenere il consolidamento del debito e la possibilità di soddisfare questo non
già per intero.
La modifica legislativa (art.23, commi trentasette e trentanove) ha
comportato la nascita di un nuovo privilegio generale, di terzo grado, sussidiario sugli
immobili, per crediti relativi alle imposte dirette e sanzioni, di cui al primo comma
dell’art.2751 cod.civ., con la conseguenza che mentre prima della modifica godevano
della collocazione sussidiaria sugli immobili esclusivamente i crediti dello Stato per Iva,
e le relative sanzioni, ora il privilegio sussidiario si estende anche ai crediti ed alle
sanzioni per le imposte dirette, che vanno pariteticamente collocate con quelli per Iva.
E’, dunque, nato un nuovo privilegio generale immobiliare sui crediti per
sanzioni correlate con le imposte dirette sul reddito, e non è, inoltre, più richiesta la
condizione che i tributi siano iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il
concessionario del servizio di riscossione procede o interviene nell’esecuzione (art. 23,
comma trentasette, del d.l. n.98/2011).
Risulta, difatti, modificato l’art.2776 cod.civ., in ragione di quanto previsto
dal comma trentanove dell’art.33 del d.l. n.98/2001, nel senso che i crediti dello Stato
indicati dal primo e dal terzo comma dell’art.2752 cod.civ. sono ora collocati
sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui beni mobili, sul prezzo degli
immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari, pur se dopo i crediti indicati al
precedente comma.
La situazione che si è venuta a determinare per effetto della modifica
normativa consente al debitore di proporre il pagamento parziale, o anche dilazionato,
594; JORIO- FABIANI M., Il decreto correttivo della riforma fallimentare. Aggiornamento al d.lgs. n.169/2007,
cit., 59; PANZANI, Il decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali, in www.fallimentoonline.it 5.
45
In tal senso, la circolare 40/e del 18 aprile 2008.
24
dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, “…limitatamente alla
quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritta a ruolo, ad eccezione
dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea” (imposta sul valore aggiunto
e ritenute operate e non versate), per cui è possibile prevedere, esclusivamente, la
dilazione del pagamento, che non può essere inferiore, nei tempi, a quanto stabilito per
soddisfare le ragioni dei creditori che hanno un grado di privilegio inferiore, ovvero
coloro che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei (art.182 ter
primo comma l.f.).
La norma prevede, inoltre, che il concessionario, “non oltre trenta giorni
dalla data della presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante
l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso” e, ancora, che l’ufficio deve
procedere alla “…liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni e dalla notifica
dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del
debito derivanti da atti di accertamento ancorchè non definitivi nella parte non iscritta a
ruolo, nonché da ruoli vistati ma non ancora consegnati al concessionario”.
Quanto agli effetti, è evidente che l’omologazione dell’accordo, di cui
all’art.182 bis l.f., viene a determinare la cessazione delle liti aventi ad oggetto i tributi in
esso considerati, e che, di contro, identico risultato non è possibile conseguire attraverso
quello di composizione della crisi da sovraindebitamento.
E difatti, l’art.8, nel precisare il contenuto dell’accordo, al quarto comma
prevede che il piano può contenere una moratoria sino ad un anno, per i creditori ad esso
estranei, dovendo essere assicurato il regolare ed integrale pagamento dei titolari dei
crediti privilegiati ove non risulti che questi vi abbiano rinunciato46.
Al riguardo, il disegno di legge, di modifica delle disposizioni in materia di
composizione delle crisi da sovraindebitamento – come si è già sottolineato – non
permette di effettuare diverse valutazioni, atteso che prevede, espressamente, che il
raggiungimento dell’accordo tra debitore e creditore, mentre può escludere l’integrale
pagamento di quelli muniti di privilegio, pegno o ipoteca per rinuncia parziale da parte
di questi, ovvero quando l’importo realizzabile sul ricavato dei beni, in caso di
liquidazione, non ne permetta l’integrale soddisfacimento, tuttavia, lo impone nei
confronti dei crediti privilegiati tributari e previdenziali che vanno, comunque,
soddisfatti per intero, con la conseguenza, quindi, che non ha rilevanza, con riferimento
alla figura dell’imprenditore agricolo, stabilire se questi sia più o meno grande, in
ragione dei vantaggi discendenti dalla possibilità di accesso alle procedure regolate dagli
46
Per la libera alternativa tra i due istituti, pur riconoscendo a quello regolato dalla legge 15 luglio 2011, n.111,
carattere speciale, si sono espressi: FABIANI M., La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile”,
cit., 3; GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, cit., 23.
25
artt.182 bis e 182 ter l.f., con inevitabile scarso interesse per la diversa procedura
prevista per la crisi da sovraindebitamento, in quanto per lui residuale47.
6) La soluzione ed il procedimento: conclusioni.
La situazione dovuta allo squilibrio tra obbligazioni assunte e patrimonio
liquidabile per farvi fronte, e la stessa definitiva incapacità del debitore, che non è
escluso possa svolgere una attività di impresa, di adempiere in modo regolare gli
obblighi, è stata, ora, regolamentata attraverso il riconoscimento della possibilità, per
questi, di presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che
assicuri il regolare pagamento dei creditori rimasti estranei all’accordo stesso, e con una
struttura non diversa da quella prevista, per gli imprenditori non piccoli, dall’art.182 bis
l.f., ovvero attraverso l’affidamento del patrimonio ad un fiduciario che operi la
liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato tra i creditori (art.2).
Lo stesso è a dirsi del contenuto dell’accordo che deve riguardare l’intera
debitoria e prevedere la soddisfazione dei creditori, che può avvenire in qualsiasi forma
anche mediante la cessione di crediti futuri, il tutto attraverso la predisposizione di un
piano sulla cui fattibilità sono chiamati ad esprimersi i creditori che devono
rappresentare almeno il 70% dei crediti48.
Diversa, anche, la disciplina per quel che attiene la presentazione della
proposta-accordo, a seconda che essa provenga dal debitore civile, ovvero
dall’imprenditore sotto soglia, attraverso la previsione, per il secondo, di depositare oltre
l’elenco dei creditori, con indicazione delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti
di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni, anche le scritture contabili degli ultimi
tre esercizi, ovvero, in sostituzione di queste, per periodi corrispondenti, gli estratti conto
bancari unitamente ad una dichiarazione che ne attesti la conformità all’originale.
Le analogie delle disposizioni in materia di composizione della crisi da
sovraindebitamento con la disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art.182
bis l.f.) sono evidenti, avendo il legislatore, invero, fatto affidamento al precedente
schema normativo, con la sola differenza che il piano di ristrutturazione e la proposta di
accordo siano presentati dal debitore civile o dal piccolo imprenditore, e su di essa i
creditori si pronuncino solo successivamente e non già in via anticipata.
47
L’art.4 dello schema di disegno di legge apporta significative integrazioni all’art.8 della legge n.3/2012, con
riferimento, in particolare, al meccanismo della moratoria previsto per il pagamento dei creditori estranei
all’accordo, ciò in conseguenza della modifica in chiave concordataria operata della procedura che, una volta
ottenuta l’adesione dei creditori, diventa obbligatoria anche per i non aderenti.
48
Il d.l. 22 dicembre 2011, n.212, all’art.6 aveva previsto una diversa percentuale (50%) di adesione quante volte il
sovraindebitamento avesse riguardato il consumatore.
26
Altra significativa differenza è data dalla circostanza che per i creditori
estranei all’accordo è stabilita una moratoria sino ad un anno per il pagamento integrale,
senza riconoscimento di interessi corrispettivi in ragione della inesigibilità legalmente
prevista (art.1282 cod.civ.).
Seppur per l’insolvenza del debitore civile o del piccolo imprenditore il
piano avrà, per lo più, natura liquidatoria, con affidamento del compito ad un fiduciario,
non deve, tuttavia, per tale ragione, ritenersi esclusa la possibile prosecuzione
dell’attività con destinazione dei flussi finanziari futuri al pagamento dei creditori
pregressi.
E’ stata avvertita dal legislatore la esigenza di una stretta correlazione tra
piano ed accordo, anche se il primo deve essere definito e la sua fattibilità attestata già al
momento del deposito della proposta. Non sembra, però, potersi prescindere dalla
necessità di valutare, in via preventiva, quale sarà il comportamento dei creditori al fine
di verificarne la condivisione, ovvero non aderenza, attesa la incidenza sulla fattibilità
dello stesso.
Un ruolo importante viene riconosciuto agli organismi di composizione
della crisi, cui compete la verifica della veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei
documenti allegati, nonché l’attestazione della fattibilità del piano, relativamente al
quale assumono ogni iniziativa funzionale alla predisposizione perché su di esso venga
raggiunto l’accordo.
Tra i compiti del predetto organismo vi è la ricezione delle dichiarazioni di
assenso e la trasmissione ai creditori, una volta raggiunto l’accordo, di una relazione
informativa sui risultati delle adesioni pervenute, per consentire loro, nei dieci giorni
successivi, di sollevare eventuali contestazioni, che saranno poi trasmesse al giudice
perché possa procedere alla omologa dell’accordo che, per un periodo non superiore ad
un anno, inibirà l’inizio di azioni esecutive individuali, ovvero conservative, con
conseguente improseguibilità di quelle eventualmente avviate.
Si tratta di un istituto nuovo relativamente al quale è difficile esprimere,
per l’intanto, valutazioni e stabilire, pertanto, se esso potrà avere il successo sperato,
anche se indiscutibili sono i vantaggi che conseguono, soprattutto per il soggetto ad esso
ammesso, dalla possibilità per questi, attraverso la composizione della crisi da
sovraindebitamento, di ottenere l’effetto esdebitatorio.
Nella crisi, sia intesa in senso epocale o sistemico sia riferita a ciascuna
impresa, ovvero ad una compagine societaria, pur se di ridotte dimensioni, al di là del
settore di riferimento, si colgono appieno, come ho tentato di dimostrare, l’immanente
dialettica e l’esigenza di continuità e complementarità tra i versanti lavoristico e
commercialistico.
27
La stessa crisi dell’impresa o della sola compagine imprenditoriale poi, per
un verso, può essere ed è tradizionalmente intesa come crisi di solvibilità e, talvolta, di
sopravvivenza, in relazione alla funzione lucrativa o comunque produttiva,
indipendentemente dalle dimensioni.
Essa poi è sempre più intensamente vissuta – oggi più che mai – nel
contesto sociale e politico, come crisi di occupazione, evocatrice a sua volta di nuove
iniziative legislative volte a conservare i valori di funzionamento dell’azienda, quale
mezzo o sede di esercizio del diritto del lavoro e di connesse forme di espressione della
personalità del lavoratore o, comunque, di tutela dell’occupazione e che riguardano
anche l’imprenditore agricolo.
Avv. Prof. Antonio Caiafa
Diritto Fallimentare
Università L.U.M. “Jean Monnet” - Bari
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