Scaricalo e stampalo
Transcript
Scaricalo e stampalo
Co Gianluca Morozzi ve rs Ascesa e caduta di Lucio Graziani, scrittore (cover di Penna offresi di Woody Allen. Con rispetto e genuflessioni.) «È arrivato?» chiese il Sommo, fumando un sigaro dietro la scrivania. «È qui fuori» rispose il Leccapiedi, con un impercettibile tremito nella voce. «Be’, cosa aspetti, allora? Fallo entrare». «Ecco, Capo, non so…» «Insomma, è qui fuori o no? È troppo difficile farlo entrare? Il tuo incarico ti provoca stress, per caso?» «No, Capo, è che…» «Perché posso spostarti d’incarico, se vuoi. Addetto all’Assegnazione Posti Auto. Vuoi diventare Addetto all’Assegnazione Posti Auto, o vuoi fare entrare Lucio Graziani nei prossimi trenta secondi?» «Ma vede, capo, è che Lucio Graziani…» «Sììììì…?» «Ecco… è diventato un po’ strano…» «Strano? Lucio Graziani? Ma non mi dire! Cos’avrà combinato mai? Ha la maglietta di un gruppo rock che non conosci? Non parla di calcio? Non ci ha provato con le redattrici?» «Be’, Capo, è molto serio… è vestito in modo un po’ insolito, insolito per lui, dico, e ha un librone enorme in mano, e non ha degnato di uno sguardo le ragazze dell’ufficio stampa, e, dico, oggi la Ravaglia si è messa un vestitino, insomma, non passa inosservata… ma lui niente, e fa dei discorsi stranissimi…» «Va bene, va bene, è inutile far montare inutilmente la tensione. Fallo entrare». Il Leccapiedi uscì dall’ufficio. Il Sommo si dedicò al suo sigaro, preparandosi a ricevere Lucio Graziani. Lucio Graziani? Cosa poteva avere, di strano, Lucio Graziani? Lui ne aveva conosciuti di scrittori in tutti quegli anni alla guida della Suprema Edizioni, e avrebbe potuto raccontarne mille, di stranezze. Lucio Graziani, di stranezze, non ne aveva. Non sembrava neppure uno scrittore, a dir la verità. Andava sempre in giro con magliette di concerti, o con due diverse felpe di Bruce Springsteen & The Seeger Sessions Band, o con dei giubbotti di pelle da teppista. Sorrideva sempre. Parlava pochissimo di letteratura e molto di Bob Dylan, o di Batman, o delle sue bizzarre fidanzate. A cena, mentre tracannava birra e Negroni come acqua di fonte, era molto più facile sentirlo parlare di Frankenstein Junior che di Saramago. Insomma, era l’uomo perfetto per i piani della Suprema Edizioni. E poi, pensò il Sommo, quanto lo aveva fatto ridere, con tutte quelle assurdità che si inventava nei suoi libri? La scena del dobermann di Luglio col bene che ti voglio, la sodomia con la candela de L’anno del maiale, il neonato nel microonde del delirante Squazdemonio… proprio l’umorismo colto, raffinato e leggibile a più livelli che al Sommo piaceva così tanto. L’uomo perfetto. Era l’uomo perfetto. La porta si aprì. «Permesso?» squittì Lucio Graziani sulla soglia. Il Sommo allargò il suo miglior sorriso squaliforme. «Avanti, avanti, caro, ti stavo aspettando!» Il sorriso gli si incrinò sulla faccia quando vide entrare lo scrittore. Lucio Graziani non aveva magliette degli Who addosso, cappellini del tour di Springsteen in testa, fumetti di Rat-Man in tasca. Aveva un borsalino, una giacca di tweed con le toppe sui gomiti, L’uomo senza qualità sotto braccio e l’aria mortalmente, mortalmente seria. Fece appena un’increspatura di sorriso stringendo la mano al Sommo. Non aveva più né i basettoni, né il pizzetto, né il look da cantante dei Motorhead. Era glabro, pallido, dimesso. Quando si mise a sedere dall’altra parte della scrivania non assunse la solita posa da calciatore, con le cosce aperte e le mani penzolanti sui testicoli. Accavallò le gambe, e guardò il Sommo in aria di attesa. Il Sommo, a sua volta, lo fissò incredulo per trenta secondi. Poi si decise a parlare. «Be’, Lucio? Che si dice? Novità? Quante fidanzate hai caricato al momento? Quattro? Cinque? Quarantotto? Vecchia trivella…» Graziani tossicchiò imbarazzato. «Mah, veramente le donne non sono esattamente la mia priorità, in questo periodo. Anzi, sto cercando di evitarle accuratamente. L’unico mio interesse, oggi come oggi, è la scrittura». Gianluca Morozzi «Ah, la scrittura, benissimo, e dimmi, quanti romanzi hai scritto nell’ultima settimana? Quattro? Cinque? Una saga in più volumi?» «Veramente…» «…Lo dicevo l’altro giorno a colazione con Philip, Roth, sai, siamo amici, io e Philip, e gli dicevo, Philip, tu scrivi tanto e va bene, ma noi in Italia abbiamo Lucio Graziani che è una macchina, un libro dopo l’altro, tac, finito uno incomincia l’altro…» «Ah, be’, a dir la verità ho un po’ cambiato atteggiamento riguardo i miei romanzi, come dire, usa e getta. Ora sono totalmente immerso nella stesura di un’opera che mi occuperà per i prossimi dieci anni almeno, e…» «Dieci anni?» esclamò stupito il Sommo. «Sì, sa, è un romanzo che nelle mie intenzioni dovrebbe avere dalle milleottocento alle duemila pagine, e in effetti…» «Duemila pagine? E di che parla il mattone? In senso buono, eh?» «Ah, è difficile da riassumere così, in poche parole… è la storia di un personaggio anonimo e grigio che ha lavorato per tutta la vita in un archivio, senza relazioni, senza amicizie, senza storie d’amore, che conduce un’esistenza piatta e sempre uguale senza mai un picco, un’emozione, un cambiamento. Intorno a pagina cinquecento, l’uomo scopre di avere una malattia degenerativa destinata a portarlo inevitabilmente alla morte… ma che fa?» «Niente. Cercavo una cosa in tasca. Vai avanti». «…be’, dopo si ritira nella casa di campagna dei suoi avi, un tempo sontuosa, ora cadente. Dedica i suoi giorni finali alla ristrutturazione della casa, e intanto osserva i movimenti degli insetti, le formiche, le api, le cavallette. Poco a poco, mentre il suo corpo lo abbandona un pezzo per volta, si rende conto che tutti questi movimenti fanno parte di una grande armonia, come un canto universale. E così, alla fine dei suoi giorni, affronta la morte con serenità, sapendo che sta per tornare a far parte del Tutto». Ora gli occhi del Sommo si erano rovesciati all’indietro. Il capo della Suprema Edizioni ritornò faticosamente in sé, bofonchiò «Ragazzo, ma cos’è tutta questa serietà? Dov’è finito quell’umorismo geniale, quello spirito pulp? La lingua tagliata de Il vangelo del peyote, il preservativo nella scarpa di Destriero…? Mi facevano morire…» «Ma, vede… un giorno, uscendo da un convegno, ho capito che stavo percorrendo la direzione sbagliata. Voglio dire, quei romanzetti giovanilisti, quelle storielline truci, quei raccontini rock, insomma, cosa stavo donando alla storia della letteratura? Io voglio scrivere qualcosa che rimanga. Qualcosa che lasci a bocca aperta la critica. Qual- cosa che la gente leggerà ancora tra cent’anni…» «Sì, sì, caro, ma non puoi mica farti retrodatare un assegno da qui a cent’anni, no? Per quello sono qui a farti un’offerta». «Ah, se si tratta di interrompere il lavoro sul mio romanzo, le dico subito…» «Lucio. Ascoltami. Tu devi pur mangiare, no, mentre scrivi il tuo capolavoro? E, detto tra noi, lo so benissimo che hai preso un sacco di soldi per i film di Luce spenta e L’anno del maiale, ma so anche che li hai già spesi tutti e non hai più una lira, vero?» Graziani si sforzò di restare impassibile. «Non so dove…» «Lucio. Sei giorni fa hai venduto tutti gli anelli e i braccialetti d’oro che ti avevano regalato le tue vecchie fidanzate. Non puoi negarlo». «Ah… sì, è vero, ma era un modo per segnare il mio distacco dal passato…» «Ascoltami. La Suprema Edizioni ha occhi dappertutto. So che hai venduto anche il braccialetto che tua madre ti ha regalato per la maturità. Non hai più un soldo, Lucio». Graziani abbassò gli occhi, singhiozzando impercettibilmente. «È vero». «Ecco, Lucio, e io cosa ci sto a fare qui, allora? A far morire di fame i bravi scrittori? No, sono qui a offrirti un lavoro ben pagato, che una penna veloce come la tua porterà a termine in, diciamo, due settimane? Due settimane su dieci anni non sono niente, Lucio. E potrai farti riallacciare il gas e il telefono, visto che non paghi le bollette da otto mesi, a quanto mi dicono i miei informatori». Graziani tentò un ultimo, disperato colpo di coda. «Be’… posso ascoltare la sua proposta, naturalmente, ma la avverto: ora il mio mestiere è la letteratura alta. Joyce. Kafka. Proust. Spero che ne terrà conto, e…» «Icone culturali». «Cosa?» «La parola chiave, icone culturali. Stiamo lanciando una nuova collana dedicata alle icone culturali del nostro tempo. Romanzi incentrati su figure immediatamente riconoscibili, in quanto saldamente collocate nell’inconscio collettivo. E vogliamo che la prima di queste icone prenda forma e voce nelle tue mani brillantissime». Graziani sembrò illuminarsi. «Icone immediatamente riconoscibili? Oh, intende… tipo, Alighieri, o Shakespeare, o…» «Vil Coyote». Graziani strabuzzò gli occhi. «Sa, c’è una stranissima eco in quest’ufficio. Non credo di aver capito bene». «Wile E. Coyote. Noto in Italia anche come Willy Coyote o Vil Coyote. Un’icona riconoscibile Gianluca Morozzi da tutti. Basta pronunciarne il nome che chiunque, intellettuali, lattai, muratori, bambini, visualizza il coyote che prepara trappole per lo struzzo Beep Beep. Non è un’icona culturale, forse? Che fai, Lucio? Sei bianchissimo in faccia». «No, niente. Mi chiedevo se fosse possibile avere un bicchier d’acqua. Ultimamente ho sviluppato una certa dipendenza dallo Xanax». «Te lo faccio portare subito, mio caro, ma prima dimmi, che te ne pare della mia idea? Una ne faccio e cento ne penso, eh?» «…dovrei scrivere un romanzo su Vil Coyote…?» «E Beep Beep. L’odioso struzzo». «Bene. Si è fatto tardi. Alcuni miei amici stanno costruendo un granaio, e…» «Lucio. Questo è l’anticipo che sono disposto a offrirti». Il Sommo scarabocchiò una cifra su un foglietto e la mostrò allo scrittore. Lucio Graziani deglutì rumorosamente. «Un capitolo, Lucio. Portami un capitolo di prova, diciamo, entro domani. Giusto per confermare la mia fiducia in te. Vai a casa, scrivilo, e domani ci vediamo qui». Lucio Graziani rientrò nel suo lurido monolocale pieno di pensieri cupi, nonché carico di dvd di Willy il Coyote contro lo struzzo Beep Beep. Calcolò di avere ancora tre settimane prima di vedersi staccare la luce per morosità. Per tre settimane ancora avrebbe potuto collegare la spina del portatile. A meno che…, pensò. A meno che non arrivi l’anticipo della Suprema Edizioni a risolvere tutti i miei problemi. Dopotutto, si disse, ho davanti a me dieci anni di furibonda scrittura. Per quanto sia romantica l’immagine della macchina da scrivere alla luce fioca di una candela, concluse, l’invenzione della luce elettrica non è del tutto negativa per la produttività di un letterato moderno. Ingoiando Xanax misto ad alcolici, cominciò a guardare i primi dvd. Alle due di notte, dopo aver innaffiato il tutto con una litrata di caffè, sentì di essere pronto. E cominciò a battere furiosamente sui tasti. Il giorno dopo, Lucio Graziani era seduto davanti al Sommo con il suo pacco di fogli in mano. Il Sommo guardò Lucio. Lucio guardò il Sommo. Il Sommo disse «Be’, ragazzo, non tenermi sulle spine. Leggi». Lucio Graziani trasalì, preso alla sprovvista. «Leggerlo ad alta voce? Non preferirebbe leggerlo personalmente, in modo da apprezzare con l’orecchio interiore i raffinati ritmi verbali?» «Noo, Lucio, io odio tutte quelle parole stampate sul foglio. Leggi, leggi. Io ti ascolto». Lucio Graziani si soffiò il naso e si schiarì la voce. Abbassò gli occhi sulle sue pagine e cominciò a leggere. «Oakville, in Kansas, sorge su un tratto particolarmente desolato delle vaste pianure centrali. Di un paesaggio un tempo disseminato di fattorie rimane ormai soltanto aridità. All’epoca mais e grano garantivano una vita prospera e dignitosa, prima che i sussidi agricoli provocassero l’effetto opposto all’incremento del benessere. Qui tutto sembra ricordare la tragica marcia della famiglia Joad, negli anni in cui l’eccessivo sfruttamento agrario di terreni predesertici ha provocato lo sradicamento di intere fasce di suolo a opera di catastrofici cicloni, trasformando terre un tempo abitate in tazze di polvere». Le palpebre del Sommo si abbassarono impercettibilmente. Graziani saltò qualche paragrafo e riprese a leggere dal fondo della prima pagina. «In un paesaggio scabro e roccioso, quasi preumano, tra i profondi canyon e le maestose montagne, la figura di un bizzarro animale squarciò l’aria calda e immobile. Emettendo il suo caratteristico verso, lo struzzo Beep Beep sollevò nugoli di polvere dal deserto sassoso». Il Sommo riaprì le palpebre, ridestato. Graziani ricominciò a leggere. «Nascosto dietro una roccia, il Vil Coyote osservò sfrecciare il suo eterno nemico. Era pronto a riprendere l’eterna danza degli spiriti destinati a lottare per l’eternità e oltre. Il suo largo e maligno sorriso nascondeva strazianti interrogativi». «Chi sono io?, sembrava voler dire quel sorriso, Quale filo teso delle Parche ci porta a ripetere in eterno questa pantomima? Siamo forse l’incarnazione di Bene e di Male, io e questo struzzo? I nostri corpi non sono che miseri ricettacoli per avatar al di là della nostra miseranda comprensione? Sono io forse Sisifo, costretto dagli dei a spingere in eterno un masso in cima alla montagna?» «Non ricevendo risposta ai suoi interrogativi, il Vil Coyote sospirò e cominciò a legare la dinamite al suo razzo telecomandato». «Attese il nemico appostato dietro la roccia. Quando lo struzzo annunciò il suo arrivo col suo fastidioso, insopportabile verso, il Coyote attivò il telecomando». «Perché faccio tutto ciò?, si domandò tuttavia schiacciando il pulsante, Perché attivo piani destinati a rivoltarsi sempre contro di me? Forse gli dei giocano con la mia esistenza come fossi un burattino?» «Prima ancora che potesse terminare questi Gianluca Morozzi pensieri, il telecomando cominciò a sfrigolare emanando scosse elettriche. Mentre lo struzzo sfrecciava via indisturbato, il razzo alla dinamite cominciò a inseguire il povero, condannato Willy». «Il Coyote, nel tentativo di evitare un terribile destino, iniziò a soffiare sulla miccia accesa. Inutile tentativo, lo sapeva, ma doveva pur divertire gli dei che osservavano ridendo le sue tristi disavventure». «Quando la dinamite esplose dilaniando le sue carni e le sue ossa, Willy si limitò a chiudere gli occhi e ad accogliere quel breve, abituale momento di buio. Soffro, pensò, sia maledetta la violenza insensata dell’esistenza umana». «Tutto era nero e spaventoso, in quell’orribile momento di premorte. Willy si stava chiedendo se davvero esisteva un dio, o un fine nella vita, o un progetto nell’universo, quando le sue carni dilaniate iniziarono miracolosamente a rigenerarsi». «Prometeo!, si disse allora, sono Prometeo, sono Sisifo e sono Prometeo, destinato alla sofferenza e alla rigenerazione perenne delle carni. Aprì gli occhi e guardò il cielo, con uno sguardo che nascondeva anni di furia repressa di fronte alla vuota assurdità dell’umano destino. Giusto in tempo per vedere il sole oscurato da una gigantesca roccia che l’esplosione aveva sradicato dalla montagna». «Poco lontano, immobile e serio su un sentiero di sabbia, Beep Beep guardava la roccia schiacciare il fragile corpo del coyote. Pensava, non visto da nessuno. Pensava a Willy, e ai loro destini indissolubilmente intrecciati». «Povero amico!, si disse, Quanto a lungo durerà la tua insensata sottomissione a questo spiraliforme destino? Sei giunto anche tu alle conclusioni a cui sono giunto io, amico mio? Che siamo destinati ad affrontare la morte insieme, avvinti in eterno come due divinità, in una furibonda battaglia che farà impallidire gli immortali guerrieri del Valhalla? E che, avvinghiati l’uno all’altro, continueremo la nostra battaglia fino alla fine del tempo?» «Guardò il cielo col fuoco negli occhi, il fuoco del disgusto cosmico, della divina follia, maledicendo i burattinai di quelle loro patetiche vite insensate. Poi ricominciò a correre, mentre più in là il Coyote strisciava fuori dalla roccia con il corpo ridotto a una molla lunga venti centimetri». «Lo struzzo cacciò un urlo di rabbia e di purissima disperazione, di ribellione contro quell’assurda predestinazione. Ma le corde vocali, quelle sue disgraziate corde vocali, distorsero quell’urlo nell’unico suono che erano in grado di produrre. Quel suono simile a un clacson. Quel suono riproducibile soltanto come: Beep Beep». Lucio Graziani interruppe la sua lettura con voce rotta e occhi lucidi. Alzò gli occhi verso il Sommo e, asciugandosi una lacrima, mormorò «Che gliene pare, fin qua?» Il Sommo parve ridestarsi di soprassalto. Si guardò in giro un paio di volte senza capire cosa stesse succedendo, poi mise a fuoco la vista su Lucio Graziani e realizzò. «Magnifico» borbottò «Magnifico. È Steinbeck, è Capote, è Sartre. Vedo i premi e i riconoscimenti, vedo il denaro! È proprio il prodotto di qualità a cui il sottoscritto deve la propria reputazione». «Ne sono felice. Vuole che le legga la parte successiva, in cui il Coyote rimane vittima della sua stessa diabolica ma ahimè imperfetta catapulta?» «No, grazie, caro. Devo andare a progettare la conferenza stampa di lancio, convocare i giornalisti, prenotare una colazione con i critici. Questo è un giorno memorabile nella storia della narrativa mondiale! Anzi, guarda, ti libererò una stanza nella mia villa sul lago Maggiore, in modo che tu possa lavorare al meglio al tuo capolavoro. La mia segretaria ti farà avere il contratto al tuo domicilio entro domani». Lucio Graziani si alzò in piedi, commosso. Naturalmente, quella fu l’ultima volta che Lucio Graziani vide il Sommo. Quando ritornò alla sede della Suprema per chiedere timidamente notizie sul suo contratto, al posto della casa editrice trovò un negozio di scarpe. Del Sommo, si diceva fosse sparito in Turkmenistan per ricominciare una nuova vita. Negli ambienti letterari si dice che Lucio Graziani viva recluso nel suo monolocale buio e freddo, completamente immerso nella stesura del romanzo sull’uomo che muore mentre guarda le formiche. Alcuni occhi attenti, però, certi frequentatori di curve calcistiche, hanno notato qualcosa di strano. Nel giornalino che viene distribuito agli spettatori del Bologna Football Club nel campionato di serie B 2007-2008, il bollettino gratuito con informazioni sulla partita, pare ci sia una tensione nuova. Un’inedita, insospettabile vena poetica. Quel che un tempo era l’arida rubrica Le formazioni di oggi ora vibra di passione. Dietro quello che a un occhio disattento è un semplice elenco di undici nomi, sembra di respirare la solitudine del portiere Antonioli, la saudade del brasiliano Adailton, lo smarrimento del centrocampista centrale Mingazzini costretto a giocare centrocampista di destra. Taluni scommettono sulla reale identità di quell’anonimo l.g. che firma il bollettino. Vuoi vedere che…? Gianluca Morozzi