le spade famose della storia e della letteratura

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le spade famose della storia e della letteratura
LE SPADE FAMOSE DELLA STORIA
E DELLA LETTERATURA
1
LA SPADA DI DAMOCLE
Secondo il racconto di Cicerone, Damocle è un membro della
corte di Dionigi I, tiranno di Siracusa. Egli sostiene, in presenza del
tiranno, che quest'ultimo sia una persona estremamente fortunata,
potendo disporre di un grande potere e di una grande autorità:
Dionigi gli propone allora di prendere il suo posto per un giorno,
così da poter assaporare tale fortuna, e Damocle accetta.
La sera si tiene un banchetto durante il quale Damocle inizia a
tastare con mano i piaceri dell'essere un uomo potente; solamente
al termine della cena egli nota, sopra
la sua testa, la presenza di una spada
sostenuta da un esile crine di cavallo.
Dionigi l'aveva fatta sospendere sul
suo capo perché capisse che la sua
posizione di tiranno lo esponeva
continuamente a grandi minacce per la
sua incolumità.
Immediatamente Damocle perde
tutto il gusto per i cibi raffinati che sta
assumendo e chiede al tiranno di poter
terminare lo scambio, non volendo più
essere "così fortunato".
Il termine spada di Damocle è successivamente diventato
una metafora rappresentante l'insicurezza e le responsabilità
derivanti dall'assunzione di un grande potere. Da una parte c'è il
timore che il ruolo di potere possa essere portato via all'improvviso
da qualcun altro, dall'altra che la sorte avversa ne renda molto
difficile il mantenimento. Viene usata anche per indicare un grave
pericolo incombente[1].
2 EXCALIBUR
La storia e la leggenda di re Artù sono intimamente legate alla
magica e misteriosa spada Excalibur.
Come il mago Merlino aveva annunciato, solamente l'uomo in
grado di estrarre la spada nella roccia sarebbe diventato re.
Artù, inginocchiato di
fronte alla roccia, fece proprio
questo: prese la spada, la
portò con sé fino alla
Cattedrale e la depose
sull'altare. Artù fu unto con
l'olio santo e, alla presenza di
tutti i baroni e della gente
comune, giurò solennemente
di essere un sovrano leale e
di difendere la verità e la
giustizia per tutti i giorni della sua vita.
Sebbene Excalibur sia identificata con la spada nella roccia,
specie nelle versioni recenti del mito arturiano, in numerose opere
sono due spade distinte. La leggenda e la storia si sono mischiate
tra loro nel tempo e per questo re Artù, i Cavalieri della tavola
Rotonda e la magica spada Excalibur, sono giunte intimamente
unite fino ai nostri giorni.
Nel suo romanzo L’ultima legione lo scrittore Valerio Massimo
Manfredi ipotizza che Excalibur sia in realtà la leggendaria spada
Calibica, forgiata dai Britanni per Caio Giulio Cesare ed
appartenuta di diritto all'Imperatore fino a Tiberio, che la nascose, e
tornata in Britannia al seguito di Romolo Augustolo, l'ultimo Cesare.
Sulla lama era incisa l'iscrizione CAI • IVL • CAES • ENSIS
CALIBVRNVS, della quale la rovina del tempo avrebbe poi lasciato
leggibile solo E S CALIBVR.
Il nome Excalibur significa in grado di tagliare l'acciaio.
3 DURLINDANA
La Chanson de Roland vuole che la spada fosse stata donata
a Orlando proprio da Carlo Magno, che l'avrebbe a sua volta
ricevuta in dono da un angelo.[2] Invece, nell'Orlando Furioso di
Ludovico Ariosto si dice che sarebbe stata data al cavaliere da
Malagigi e che sarebbe un tempo appartenuta a Ettore di
Troia (tuttavia non c'è nessuna menzione della spada nell'Iliade).
Nella Chanson de Roland, si narra che la spada contenesse
nell'elsa dorata un dente di san Pietro del sangue di san Basilio,
alcuni capelli di san Dionigi e un lembo di veste mariana.
Nello stesso poema Orlando brandì l'arma nella battaglia di
Roncisvalle, uccidendo migliaia di Baschi ma a causa delle ferite
riportate nella battaglia egli morì; tuttavia, prima di morire, tentò di
distruggerla per evitare che cadesse in mani nemiche, ma l'impatto
con la roccia generò la cosiddetta “Breccia di Orlando”
nei Pirenei. Durlindana tuttavia si dimostrò infrangibile così Orlando
la nascose sotto il suo corpo assieme all'olifante con cui aveva
avvisato Carlo della battaglia.
Secondo il folclore, la spada esisterebbe ancora e sarebbe
conservata a Rocamadour in Francia, incastrata in una parete
rocciosa verticale. Nel XII secolo i monaci della città affermarono
che Orlando gettò la spada invece che nasconderla sotto di lui,
tuttavia l'ufficio turistico di Rocamadour identifica la spada
incastrata come la Durlindana.
A Roma, a poca distanza da piazza del Pantheon, si trova il
"Vicolo della Spada d'Orlando", una strada che presenta, addossato
a un palazzo, un grande masso con una fenditura: secondo la
tradizione, sarebbe la roccia contro la quale il paladino avrebbe
tentato invano di spezzare la sua spada prima di nasconderla.
L'etimologia del termine Durlindana è sconosciuta: potrebbe
comunque derivare dal latino durus (duro, resistente).
4 La Gioiosa
Gioiosa (o Altachiara) era la mitologica spada di Carlo
Magno. Tuttavia lo stesso nome figura pure nei racconti
della Tavola rotonda, attribuito alla spada di Lancillotto. L'origine del
nome è ignota.
Alcune leggende raccontano che fu forgiata per contenere
la Lancia Sacra nel pomello. Altre sostengono che fu fabbricata con
gli stessi materiali della Durlindana di Orlando.
Gioiosa era di duro acciaio temprato; colui che la fece fu ben
ricompensato: impiegò due anni prima che fosse affilata. (Bataille
Loquifer, LX, 3115-7).
Attualmente, esistono due spade che potrebbero essere Gioiosa:
una conservata al Louvre, lì trasferita dopo essere stata conservata
nell'Abbazia di Saint-Denise; l'altra è nel tesoro imperiale a Vienna.
Una leggenda, comunque, sostiene che la Gioiosa sia stata
sepolta con Carlo Magno.
5 LA SPADA DI SAN GALGANO
San
Galgano,
conosciuto
anche
come Galgàno
Guidotti (Chiusdino 1148/1152 circa – Chiusdino 1181), fu un
cavaliere vissuto in Toscana nel XII secolo, che scelse una vita da
eremita ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
La sua spada, confitta nel terreno roccioso nell'eremo che
porta il suo nome, è meta di curiosi e devoti.
Galgano era un giovane violento, ma era destinato a cambiare
vita e a diventare un Cavaliere di Dio come profetizzatogli
da Misser santo Micchele arcangelo: ebbe infatti due visioni
successive in cui l’Arcangelo Miche gli indicò il suo percorso di vita.
Nella prima visione era tracciato il suo destino di cavaliere
sotto la protezione dell'arcangelo stesso, mentre nella seconda
l'arcangelo lo invitava a seguirlo.
Seguendo
l'arcangelo
Galgano attraversò un ponte molto
lungo al di sotto del quale si
trovava un fiume ed un mulino in
funzione,
il
cui
movimento
simboleggia la caducità delle cose
mondane.
Oltrepassato il ponte ed attraversato un prato fiorito, che
emanava un profumo intenso e soave, raggiunsero Monte Siepi,
dove, in un edificio rotondo, Galgano incontrò i dodici Apostoli.
Qui ebbe la visione del Creatore: fu quello il momento della
conversione.
In seguito, durante degli spostamenti, per due volte il cavallo si
rifiutò di proseguire e la seconda volta, solo dopo una intensa
preghiera rivolta al Signore, il cavallo da solo e con le briglie sciolte
lo condusse a Monte Siepi, nello stesso posto dove la visione gli
aveva fatto incontrare i dodici apostoli.
Qui Galgano, non trovando legname per fare una croce, ne
fece una infiggendo la propria spada nella roccia, quindi trasformò il
proprio mantello in saio e come tale lo indossò.
Sentì anche una voce che veniva dal cielo che lo invitava a
fermarsi in quel posto fino alla fine dei suoi giorni: iniziava così la
sua vita da eremita, cibandosi di erbe selvatiche e dormendo sulla
nuda terra. Lottò e sconfisse con la sua fermezza il demonio che lo
tentava.