Le biotecnologie
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Le biotecnologie
Le biotecnologie Definizione Per biotecnologie si intendono quei processi industriali che sfruttano la capacità di particolari sistemi biologici (microrganismi viventi o semplici enzimi) di produrre sostanze di interesse commerciale. Tra le numerose definizioni relative a tale termine una delle più pertinenti recita: “le biotecnologie sono l’insieme delle tecniche che consentono di utilizzare organismi viventi (batteri, lieviti, cellule vegetali e/o animali) o parti di essi (enzimi, acidi nucleici) per la produzione di sostanze utili all’uomo, o per il miglioramento delle caratteristiche di animali e/o piante” Classificazione Le biotecnologie si distinguono ulteriormente in: • Biotecnologie tradizionali • Biotecnologie innovative o avanzate Fanno parte del primo ramo tutti quei processi nei quali, utilizzando microrganismi o parti di essi, si producono sostanze utili all’uomo, in particolare alimenti e bevande fermentate. Le Biotecnologie innovative nascono dall’integrazione di molte discipline (Biologia, Medicina, Ingegneria, Chimica) ed hanno le maggiori applicazioni in settori quali Farmacologia, Medicina, Agricoltura, Zootecnia, Veterinaria, Ambiente. La branca più innovativa e rivoluzionaria delle biotecnologie avanzate è l’Ingegneria genetica. Biotecnologie tradizionali Tutti i processi fermentativi (così chiamati perché la maggior parte di queste trasformazioni avviene con sviluppo di gas) sono pertanto processi biotecnologici. Lo sfruttamento industriale delle fermentazioni ha inizio nei primi decenni del XX secolo (etanolo, acetone, glicerina, butanolo, acido citrico). Dopo la IIa guerra mondiale le produzioni biotenologiche hanno interessato principalmente la fabbricazione di antibiotici (prima tra tutti la penicillina) e, successivamente, steroidi, alcaloidi, e amminoacidi. I microrganismi, come gli altri esseri viventi, hanno bisogno di energia per riprodursi e per svolgere tutte le altre funzioni vitali. Salvo rare eccezioni l’unica fonte di energia è quella fornita da demolizioni ossidoriduttive di composti organici. Si ha la respirazione quando la demolizione è completa: tutto il carbonio presente nei composti di partenza è trasformato in CO2. Si ha la fermentazione quando la degradazione non è completa: oltre all’eventuale CO2 si formano svariati composti, la cui struttura può essere più o meno semplice delle sostanze di partenza. Se tali processi avvengono in presenza di O2 vengono definiti aerobi, altrimenti sono anaerobi. A parità di sostanza degradata, la respirazione fornisce una quantità di energia nettamente maggiore rispetto alla fermentazione: → 6CO2 + 6H2O + 2870 kJ C6H12O6 → 2C2H5OH + 2CO2 + 209 kJ C6H12O6 Nei processi fermentativi si formano numerosi prodotti intermedi di notevole importanza (che stanno alla base del loro sfruttamento industriale). I prodotti ottenuti sono diversi a seconda dei substrati fermentati, della specie di microrganismi impiegati e delle condizioni di reazione. La respirazione e la fermentazione non sono processi semplici, in entrambi i casi alcune delle reazioni che li compongono sono ossidoriduzioni. Nella respirazione si ha una completa ossidazione dei composti organici di partenza sino a CO2 ed H2O; questo può avvenire in aerobiosi ed anaerobiosi. Nel secondo caso l’ossidante, anziché ossigeno molecolare, è costituito da diverse specie inorganiche quali nitrati o solfati oppure la stessa anidride carbonica prodotta dalla respirazione. Nelle comuni fermentazioni (anaerobie) il substrato organico iniziale viene metabolizzato in prodotti organici, alcuni dei quali sono più ossidati ed altri più ridotti di quelli di partenza. Nella maggior parte delle fermentazioni l’ossidante è un composto organico (anaerobiosi); solo in alcuni casi (fermentazione acetica e citrica) l’ossidante è costituito da O2 (aerobiosi). I processi fermentativi industriali hanno diverse applicazioni: 1. Crescita microbica • l’obiettivo è la produzione di microrganismi che possono essere usati tal quali (per fornire proteine per l’alimentazione del bestiame) oppure usati per produrre ceppi selezionati (geneticamente stabili, privi di altre specie, conservabili, riproducibili in tempi brevi e in condizioni standardizzate). 2. Produzione di metabolici • l’obiettivo è la produzione di sostanze da parte dei microrganismi. Il metabolismo cellulare è costituito da una vastissima serie di reazioni concatenate. Qualunque composto formato durante queste reazioni è un metabolita. I composti essenziali alla vita dei microrganismi sono detti metaboliti primari (es.: amminoacidi, nucleotidi, acidi organici, vitamine, alcoli). I composti non essenziali alla vita microbica sono detti metaboliti secondari (antitumorali, antibiotici, insetticidi, fattori di crescita). I metaboliti primari vengono prodotti durante il normale processo di crescita, quelli secondari vengono prodotti nella fase stazionaria quando la crescita miscrobica è terminata. 3. Depurazione biologica 1 l’obiettivo è lo sfruttamento dell’attività svolta dai microrganismi. I fenomeni biologici sono alla base dei processi depurativi utilizzati per le acque di scarico che contengono sostanze organiche biodegradabili. I microrganismi impiegati non sono singole specie batteriche o pochi ceppi selezionati, ma un insieme eterogeneo di decine, se non centinaia di specie costituite da batteri, funghi, protozoi mono e pluricellulari. I processi impiegati nel trattamento delle acque reflue sono principalmente di tipo aerobio: i microrganismi, utilizzando l’ossigeno, trasformano le sostanze organiche in CO2 ed H2O. L’azoto, lo zolfo ed il fosforo eventualmente presenti sono trasformati nei rispettivi composti ossigenati (NO3-, SO42-, PO43-). I processi biotecnologici possono essere distinti in tre categorie anche in base alle seguenti caratteristiche: 1. Nella prima vi è una stretta relazione fra il consumo di composto utilizzato come fonte di energia, la formazione del prodotto e la crescita del microrganismo (fermentazione alcolica: il consumo di glucosio procede di pari passo con la formazione di alcol etilico e di biossido di carbonio). 2. Nella seconda il prodotto è un intermedio del processo di demolizione del composto utilizzato come fonte di energia, esso si accumula poiché le condizioni di reazione sono appositamente modificate per tale scopo (sintesi dell’acido citrico con condizioni operative quali: bassi valori di pH (2-3), temperatura fra 27-33 °C, assenza di ioni Fe2+, basse concentrazioni di sostanze azotate e di fosfati). 3. Nella terza non esiste alcuna relazione fra il consumo del prodotto di partenza e la formazione del prodotto della fermentazione (produzione penicillina: la formazione del prodotto è massima quando la crescita del microrganismo e il suo consumo di glucosio e di ossigeno diminuiscono sensibilmente). • Biotecnologie avanzate Grazie alle tecniche dell’ingegneria genetica è oggi possibile, utilizzando particolari enzimi detti di restrizione, tagliare il DNA di una cellula in punti particolari per inserirvi nuovi geni che consentano alla cellula stessa si svolgere determinate funzioni (tecnica del DNA ricombinante). Questa tecnica ha moltiplicato enormemente le possibilità di utilizzo delle biotecnologie soprattutto nei settori agricolo e farmaceutico. L’Ingegneria genetica pertanto consente di trasferire parti di DNA da un organismo ad un altro, in genere un batterio o un lievito, in grado di accettarlo e di esprimerlo correttamente, con l’obiettivo di: • Estrarre e/o purificare il prodotto proteico espresso dal gene all’interno del nuovo ospite per ottenere proteine di interesse per l’uomo • Coltivare microrganismi e piante o allevare animali che esprimono il gene eterologo inserito per la produzione di: 1. Microrganismi per la bioindustria 2. Piante e animali transgenici più resistenti alle malattie, all’ambiente e più produttivi o in grado di produrre, nel caso degli animali transgenici, sostanze utili all’uomo (proteine, enzimi, ecc.) Il mercato Il mercato dell’industria biotecnologica può essere suddiviso in 4 settori principali: 1. Salute umana Antibiotici, Ormoni, Vaccini, Immuno regolatori 2. Prodotti per l’agricoltura Pesticidi, Funghicidi, Erbicidi 3. Prodotti per l’alimentazione Bevande alcoliche, Dolcificanti, SCP (single cell protein) 4. Prodotti chimici Vitamine, Amminoacidi e proteine, Enzimi Scala dei processi I processi biotecnologici possono essere classificati in: • Piccola scala vitamina B12, vaccino poliomelite, glucoso isomerasi • Media scala penicillina, cefalosporina, streptomicina, enzimi extracellulari • Larga scala etanolo, polisaccaridi, SCP Per i primi (piccola e media scala) la qualità del prodotto è il fattore principale piuttosto che l’economia del processo. Tutti i processi, indipendentemente dalla dimensione produttiva dell’impianto, possono essere realizzati in maniera continua o discontinua. La scelta, oltre che dipendere dal fattore di scala, dovrà tener conto di due aspetti peculiari delle produzioni biotecnologiche: 1. Sterilità del sistema (difficile da mantenere per tempi prolungati) 2. Stabilità della coltura microbica (che non deve degenerare, dando origine a mutazioni, e mantenere una attività di sintesi sempre elevata) Schema di un processo fermentativo Qualunque processo biotecnologico può essere suddiviso in tre parti: 2 1. 2. 3. Operazioni che precedono la fermentazione, ovvero tutti gli stadi di preparazione del substrato, dell’inoculo e, per i processi aerobi, dell’aria La fermentazione vera e propria Stadi successivi alla fermentazione, ossia tutte le operazioni di separazione dei prodotti di reazione dal substrato residuo (brodo di fermentazione esausto) e dalle cellule (biomassa) Materie prime Le materie prime utilizzate nei processi biotecnologici sono in genere o prodotti di origine vegetale (cereali, frutta, latte e derivati, ecc.) o scarti di lavorazione e sottoprodotti dell’industria agroalimentare (melasso, acque di macerazione del mais (corn steep liquor), acque di vegetazione, ecc.). Se il processo è condotto con cellule viventi la materia prima deve contenere principalmente carbonio insieme ad azoto, fosforo, vitamine e micronutrienti. La fonte di carbonio primaria sono i carboidrati, semplici e complessi. Altre fonti sono costituite da alcoli, polialcoli e derivati del petrolio. L’azoto può essere fornito sia in forma inorganica che organica. Il materiale di partenza deve essere preparato per essere utilizzato come substrato dai microrganismi. E’ importante infatti lavorare con materiale fluido o semifluido per agevolare una serie di funzioni del reattore come la distribuzione omogenea dei reagenti e dei prodotti, la diffusione dell’ossigeno o di altri gas, il trasferimento di calore. Anche l’acqua utilizzata deve essere trattata, in particolare deve essere priva di microrganismi e sostanze quali metalli pesanti, altamente tossici per le cellule impiegate nel processo. Per questo si utilizza acqua deionizzata a bassissima conducibilità e per i materiali utilizzati nella costruzione di tubazioni, valvole, serbatoi, giranti di pompe, ecc., si devono evitare il rame e le sue leghe e gli acciai al carbonio. I pretrattamenti sulle materie prime comprendono: macinazione, cottura, filtrazione, centrifugazione ed altri ancora. Inoltre poiché il materiale di partenza potrebbe essere contaminato da organismi competitori, può essere necessaria una sterilizzazione. Sterilizzazione Tutti i microrganismi possiedono un range di temperatura ottimale per cui, a temperature più basse, il loro metabolismo viene bloccato, mentre, ad alte temperature, vengono uccisi. Su questo si basa la sterilizzazione termica, che consiste nell’esporre il mezzo da sterilizzare a temperature elevate per un tempo sufficiente a ridurre la carica batterica entro valori accettabili. Pertanto al di sopra di una temperatura massima, caratteristica di ciascun microrganismo, si osserva l’arresto dell’attività metabolica, poi della moltiplicazione, seguono danni irreversibili e quindi la morte. Nell’ordine la resistenza aumenta da psicrofili, psicotropi, mesofili, termofili. I fattori che influenzano la resistenza al calore, oltre al tipo di microrganismo, sono: • Temperatura ottimale di moltiplicazione • Tempo e temperatura del trattamento • Presenza di forme vegetative e/o di spore • Fase di crescita nella quale si trovano i microrganismi (fase di moltiplicazione logaritmica) • Numero iniziale di microrganismi (si osserva infatti che una maggiore resistenza al calore e ad altri agenti dannosi con una popolazione microbica numerosa per la formazione di agglomerati) • Caratteristiche del substrato: contenuto in grassi, proteine, carboidrati, Sali, pH, valore aW, presenza di additivi e antimicrobici influenzano la termoresistenza dei microrganismi (ad esempio il grasso crea un ambiente protettivo tipo quello del calore secco, la presenza di polifosfati aumenta la termoresistenza di Enterococcus faecalis) • Il tipo di trattamento termico: a parità di temperatura, l’efficacia della riduzione della popolazione microbica è maggiore con calore umido rispetto al calore secco (ad esempio con calore umido in 4-10’ a 120 °C si ha la distruzione delle spore di C. botulinum, mentre con calore secco occorrono 120’) La maggior parte dei microrganismi tossici sono mesofili (es. salmonella, botulino), mesofili sono anche la maggior parte dei Gram+, poche specie appartengono al gruppo dei termofili: tra queste alcune specie dei generi Bacillum e Clostridium le cui spore sono particolarmente resistenti e possono resistere anche alla sterilizzazione. Ad esemio sopravvivono per più ore a 100 °C mentre il trattamento a 120 °C per più minuti le uccide (o 130 °C se sono specie termofile). La maggior parte dei batteri vegetativi, quindi, è uccisa a temperatura tra 55 e 65 °C, lieviti, muffe e spore di muffe sono in genere termosensibili come i batteri vegetativi e sono distrutti a partire dai 55 °C. Si è visto sperimentalmente che il decremento del numero di microrganismi (e di spore) con la temperatura (se questa corrisponde ad un valore letale) segue una cinetica del I° ordine: dN = k ⋅N dt dN = k ⋅ dt ⇒ N N ∫ N0 dN = N t ∫ k ⋅ dt 0 N N N 2.303 ⋅ ln 0 = k ⋅ t ⇒ 2.303 ⋅ log 0 = k ⋅ t ln 0 = k ⋅ t ⇒ N 2.303 N N N0 k⋅t t = = log N 2.303 D D è il tempo di riduzione decimale ossia il tempo necessario affinché: 3 N0 N = 1 ⇒ 0 = 10 N N il numero di cellule o di spore si riduca ad 1/10 del valore iniziale N0. Si noti che la costante cinetica k (e quindi D), detta costante di estinzione, è funzione sia del tipo di microrganismo che della temperatura (assumendo valori sempre più elevati all’aumentare di questa) a cui viene eseguita la sterilizzazione ed è ricavabile per via sperimentale1. Esprimendo logN in funzione di t avremo: t logN = logN0 − D Se chiamiamo t0 il valore del tempo t tale che logN = 0: t = D ⇒ log 7 logN0 6 LogN 5 logN = logN0 − 4 t D 3 2 1 t0 0 0 5 10 15 20 25 30 35 Tempo ma t0 = D ⋅ logN0 , ossia il valore di t0 dipende da quello di N0: 7 6 LogN 5 logN01 logN02 4 logN03 3 2 1 t01 0 0 5 10 15 20 t02 25 t03 30 35 Tempo Se lo stesso grafico venisse tracciato in scala decimale, avremmo: 1 La rsistenza al calore (D) è, in effetti , non solo una proprietà specifica del ceppo ma dipende anche da: • Stato delle cellule (in fase logaritmica la resistenza è minore) • Substrato (pH, aW, sostanze protettive). A valori di pH tra 6 ed 8 c’è la massima resistenza; più basso il pH minore è la termoresistenza, più bassa aW maggiore è la termoresistenza 4 1000000 900000 800000 700000 N 600000 500000 400000 300000 200000 100000 0 0 5 10 15 Tempo Si ottiene così una curva che tende asintoticamente a 0 (ossia NJ0 per tJ∞), ciò significa che non esiste una sterilità assoluta. La sterilità viene quindi definita in modo pratico: un ambiente è sterile, ossia privo del microrganismo in questione, dopo che lo stesso è stato mantenuto alla temperatura letale selezionata per un periodo di tempo pari al tempo di morte termica TDT (Thermal Death Time) del microrganismo, dato da TDT = 12·D ossia dopo che è trascorso un intervallo nel quale il contenuto di cellule (o, per meglio dire, spore) è diminuito di un fattore 1012. Infatti: N TDT 12 ⋅ D log 0 = = = 12 N D D N = 10 −12 N0 Se l’ambiente in partenza conteneva 1012 spore (millemiliardi di spore), trascorso il tempo di sterilizzazione ne conterrà 1 soltanto. Parimenti nel caso il valore di N0 fosse stato 1011, il numero di spore finali sarebbe stato 10-1 e così via. Sembra strano il fatto che il numero N di spore residue possa assumere valori decimali inferiori ad 1, tuttavia l’incongruenza scompare se pensiamo ad N (numero di spore presenti nel sistema sottoposto a sterilizzazione) come “concentrazione” di spore, ossia spore per unità di volume, dove alla parola volume assegniamo il significato di “contenitore”. Un valore di N pari a 10-1 significherà, in altri termini, non 0.1 spore per contenitore bensì 1 spora residua presente in un contenitore ogni 10 e, analogamente, N = 10-2 indicherà 1 contenitore contaminato (da 1 spora) ogni 100 e così via. Il tempo di morte termica dipende, come quello di riduzione decimale D, dal tipo di microrganismo e dalla temperatura scelta per sterilizzare l’ambiente. Considerando, ad esempio, 3 temperature diverse otterremo sperimentalmente 3 valori differenti di TDT: 14 12 logN0 LogN 10 8 6 4 2 TDT3 0 0 10 TDT2 20 30 40 TDT1 50 60 70 Tempo Diagrammando il logaritmo di TDT in funzione della temperatura avremo: 5 TDT 100 10 F T=121 °C 1 50 70 90 110 130 150 Temperatura [°C] Si definisce fattore di sterilizzazione F il TDT corrispondente ad una temperatura di riferimento (in genere 250 °F = 121 °C). Dal grafico di deduce che : logTDT − logF = m ⋅ (T − 121°C ) E, ponendo: 1 z (**) TDT 121 − T log = F z z corrisponde all’intervallo di temperatura a partire da 121 °C per il quale : TDT log =1 F ossia TDT = 10·F. Dalla (**) otteniamo: m=− 121−T TDT = F ⋅ 10 z Ritornando all’espressione cinetica iniziale: dN =k ⋅N dt dN k 2.303 = k ⋅ dt ⇒ 2.303 ⋅ ⋅ dt = ⋅ dt N 2.303 D N - ∫ N0 ln dN = N t ∫ 0 2.303 ⋅ dt = D N0 = 2.303 ⋅ 12 ⋅ N t ∫ t ∫ 0 t ∫ 2.303 ⋅ dt TDT 0 12 N dt ⇒ log 0 = 12 ⋅ TDT N t ∫ 0 dt = 12 ⋅ TDT t ∫ dt 0 F ⋅ 10 121-T z dt 121-T 0 10 z N0 = 12 ⋅ N F Se quindi il profilo di temperatura vs tempo del nostro sistema dà luogo ad un integrale uguale al fattore F avremo: N log 0 = 12 N ossia il sistema è stato sterilizzato. Riassumendo, per F si intende il numero di minuti in cui, a 121.1 °C, viene raggiunto un effetto letale sul germe guida, equivalente alla somma degli effetti letali dell’intero processo di sterilizzazione se questo, come di solito accade, è condotto a temperature variabili nel corso del tempo. Per valori di temperatura diversi da 121 °C, il valore di F si riferisce a una temperatura posta a pedice, ed un valore z posto in apice (normalmente pari a 10 °C). Il germe guida viene scelto in base al tipo di processo per il quale si effettua la sterilizzazione. Ad esempio, nella protezione contro le intossicazioni alimentari il germe di riferimento è il Clostridium botulinum, il più pericoloso agente di intossicazione alimentare, le cui spore anaerobie hanno la più forte termoresistenza tra i patogeni ed il cui valore di D121 è pari a 0.21 minuti. Per log 6 effettuare una sterilizzazione occorrerà mantenere per un periodo F = 12·D = 12·0.21min = 2.52min ~ 3min il prodotto da sterilizzare a 121 °C (o per un periodo equivalente se la temperatura durante il riscaldamento non rimane costante). Nella protezione contro le alterazioni dei prodotti alimentari nei paesi tropicali, il germe di riferimento è il B. stearothermophilus che possiede una termoresistenza superiore a quella delle spore del C. botulinum (D121 da 4 a 5 minuti). I fermentatori I fermentatori e i relativi sistemi di controllo e regolazione sono gli apparati fondamentali degli impianti industriali per processi che prevedono la crescita di microrganismi. Sono infatti recipienti in cui ha luogo la crescita microbica. Esiste poi tutta una sede di apparecchiature con cui si compiono le operazioni preliminari sul brodo di coltura e sull’inoculo e, alla fine del ciclo, le operazioni terminali per trattare e purificare in vario modo il prodotto della fermentazione, sia questo un antibiotico, un enzima o la stessa biomassa (cioè l'insieme delle cellule microbiche). Ci occuperemo quindi dei fermentatori in quanto unità fondamentali degli impianti, riportando innanzitutto alcune osservazioni generali sui parametri chimico-fisici che influenzano le fermentazioni industriali. Temperatura La crescita di un microrganismo in condizioni industriali tende ad innalzare la temperatura della coltura soprattutto a causa dello sfavorevole rapporto massa/superficie dei fermentatori che impedisce un efficace dispersione di calore; naturalmente la crescita produce calore anche in condizioni di laboratorio dove però i piccoli volumi usati ne consentono una rapida dissipazione, tanto che le colture debbono essere termostatate per riscaldamento. Nel caso industriale la situazione è opposta; le colture debbono essere raffreddate affinché la temperatura rimanga costante all'optimum richiesto per la crescita del microrganismo; questo è vero a maggior ragione nel caso delle "fermentazioni aerobie" in cui è maggiore la quantità di calore prodotto a causa della maggiore efficienza energetica del metabolismo aerobio (circa 124 kcal/mole O2). La differenza di temperatura tra i fermentatori e l'ambiente non è molto elevata e questo rende la rimozione di questa rilevante quantità di calore un procedimento relativamente costoso dato che bisogna usare grandi quantità di acqua (con le connesse implicazioni ecologiche: polluzione termica) o sistemi refrigeranti più drastici che richiedono notevole dispendio energetico. I metodi più usati consistono nel far circolare acqua (o altro fluido refrigerante) in una intercapedine (camicia) che avvolge tutto il fermentatore oppure in serpentine messe direttamente all'interno del fermentatore. Nel caso delle fermentazioni più esotermiche si preferisce far circolare, a mezzo di apposite pompe, il brodo di coltura tra il fermentatore e uno scambiatore di calore (apparecchiatura in cui è molto efficace lo scambio di calore tra 2 fluidi) alimentato con fluido refrigerato. In tutti i casi sistema di raffreddamento è comandato e regolato automaticamente da un sistema di controllo della temperatura all'interno del fermentatore. Ossigeno È un problema estremamente importante per le fermentazioni aerobie e in certi casi può diventare addirittura il fattore limitante. L'ossigeno può essere disponibile per le cellule solo quando si trova in soluzione e deve essere continuamente rifornito mediante bolle di aria che si fanno gorgogliare nel brodo di coltura; specialmente importante è la velocità di trasferimento dell'ossigeno dalle bolle d'aria al mezzo liquido (cioè la velocità di dissoluzione del gas) che dipende, a parità di altre condizioni, dalla superficie delle bolle e dalla differenza tra la pressione parziale dell’ossigeno in fase gassosa (aria) e la pressione che, in base alla legge di Henry, corrisponderebbe alla effettiva concentrazione di O2 in fase liquida (terreno). Questo significa che per ottenere un'ottima velocità di dissoluzione bisognerebbe usare ossigeno puro o aria arricchita di ossigeno per aerare i fermentatori, però i costi addizionali necessari rendono questo tipo di soluzione non economica dal punto di vista industriale. Generalmente la parziale soluzione del problema viene affidata ad accorgimenti costruttivi dei fermentatori che esamineremo in dettaglio più avanti, comunque l'orientamento è sempre quello di mantenere al più basso livello possibile "la spesa energetica" per unità di volume di ossigeno disciolto. Nella tabella seguente si possono confrontare le diverse velocità di dissoluzione dell'ossigeno ottenute in alcuni tipi di fermentatori, i valori sono espressi in kg di ossigeno disciolto per m3 di terreno per ora. Particolare attenzione è dedicata ad ottenere che la velocità di dissoluzione dell'ossigeno sia abbastanza uniforme in tutti i punti del fermentatore onde evitare la formazione di "sacche" anaerobie in cui la crescita ed il metabolismo del microrganismo sarebbero notevolmente diversi rispetto al restante volume del fermentatore. Tipo Velocità di dissoluzione Fermentatori "Airlift" 1-1.5 Fermentatori "Airlift" con tubo sommerso 1.5-4 Fermentatori con agitazione meccanica 4 Sterilizzazione I problemi riguardanti questo processo su scala industriale provengono essenzialmente da due fattori: 7 • • dalla massa di terreno che è necessario sterilizzare, le cui dimensioni sono ormai gigantesche (ad esempio i fermentatori di una moderna industria possono avere capacità fino ad un milione di litri ciascuno); dagli effetti del riscaldamento su alcuni componenti del terreno; è nota infatti la termolabilità delle vitamine; esiste anche la possibilità di reazioni indesiderate soprattutto tra glucosio e amminoacidi. I moderni metodi di sterilizzazione prevedono l'uso di alte temperature per periodi di tempo molto brevi, procedimento, questo, che consente di minimizzare le alterazioni della composizione chimica del terreno e che viene realizzato da apparecchiature a flusso continuo. In pratica la sterilizzazione si ottiene immettendo vapore di acqua sotto pressione in un flusso costante di terreno freddo; dopo un certo percorso (e quindi un certo tempo) la temperatura raggiunta assicura la sterilità: un sensore rivela la temperatura raggiunta dal terreno e regola di conseguenza il flusso del vapore all'ingresso. I sistemi di controllo possono essere anche più raffinati e regolare anche il flusso del terreno oltre che quello del vapore; lo scopo è sempre quello di evitare un surriscaldamento del terreno, sia per le ragioni appena esaminate che per limitare gli sprechi di vapore (cioè di energia). La sterilizzazione a freddo mediante filtrazione, non è, almeno attualmente, un metodo praticabile su scala industriale a causa dei costi proibitivi che richiede ed inoltre sono ancora da risolvere problemi derivanti dall'uso di terreni complessi, spesso con solidi in sospensione. Le condizioni operative dei fermentatori sono piuttosto blande rispetto a quelle dei procedimenti puramente chimici: temperatura e pressione in genere non sono molto lontane dai valori ambientali e i valori di pH sono usualmente vicini alla neutralità. In genere quindi i problemi tecnologici per la costruzione dei fermentatori non riguardano la resistenza alle sollecitazioni meccaniche o alla corrosione, ma piuttosto il mantenimento della sterilità e la prevenzione dagli inquinamenti o, in alcuni casi, una ottimale distribuzione e dissoluzione dell'aria insufflata. Le superfici interne sono lisce e levigate per minimizzare la possibilità di adesione di "pellicole" dei microrganismi in crescita. La progettazione deve anche tentare di approssimare una geometria ideale ad esempio limitando, ovunque possibile, angoli, cavità, spigoli vivi che potrebbero corrispondere a "zone morte" cioè zone in cui il microrganismo metabolizza in modo diverso; inoltre queste zone sono in genere meno accessibili ai procedimenti di pulizia e sterilizzazione. Attualmente i fermentatori vengono costruiti in acciaio inossidabile o in acciaio normale con rivestimento inossidabile. Esaminiamo ora schematicamente alcuni tra i più diffusi tipi di fermentatori. Fermentatori ad agitazione meccanica (stirred fermenters). Tipo convenzionale: è probabilmente il più diffuso. L'aspetto tipico dei fermentatori di questa categoria è quello di recipienti cilindrici con un asse centrale su cui sono montate le pale di agitazione, spesso di disegno molto complicato, che creano la turbolenza necessaria per disperdere l'aria ed agitare il terreno. In genere è prevista tutta una serie di pale poste lungo l'asse a distanze che corrispondono a 1-2 volte il loro diametro il quale a sua volta è generalmente 1/3 del diametro del fermentatore. Il punto di ingresso dell'asse nel fermentatore è il punto debole di questo modello per quanto riguarda la possibilità di contaminazioni e particolare cura viene dedicata alla sua realizzazione meccanica. L'aria è immessa nel fermentatore mediante dispositivi con fori accuratamente calibrati subito al di sotto dell'ultimo gruppo di pale, sul fondo del fermentatore. Questo tipo è stato finora costruito fino alla capacità di alcune centinaia di migliaia di litri anche se si parla di progetti per dimensioni di 2 milioni di litri destinate alla produzione di biomasse da derivati petroliferi. Tipo Vogelbusch: in questo tipo l’aria è pompata attraverso l'asse di agitazione, che è cavo, e giunge alle pale, le quali portano più serie di fori di 0,5 millimetri di diametro. Il sistema di agitazione ruota a velocità variabili tra 20 e 100 giri/min disperdendo così le bollicine d'aria. Sembra che questo tipo abbia notevoli problemi meccanici derivanti dall'usura dei sistemi di sostegno dell'asse di agitazione. I più grandi finora costruiti hanno la capacità di 250 mila litri e si pensa che il loro limite costruttivo sia intorno ai 300000 litri; vengono usati soprattutto per la produzione di lievito da melassi. Tipo Waldhof: in questo modello l’aria è pompata attraverso l'asse di agitazione (cavo) e le pale sono anch'esse cave e aperte solo all'estremità; subito al di sopra del sistema di pale, e coassiale al sistema di agitazione, si trova un tubo aperto alle due estremità e di diametro approssimativamente uguale sistema di pale dell'agitazione; l'aria emerge in bolle giusto di sotto del bordo inferiore del tubo. La rotazione del sistema di pale crea un vortice nel tubo che attira in basso e rimescola la schiuma che si forma in superficie. Questo flusso inoltre aumenta l’aereazione migliorando la dispersione delle microbolle d'aria nel terreno. Il vortice infine diminuisce la pressione idrostatica sull’aria in uscita all'estremità delle pale e quindi riduce la richiesta di energia per i compressori del sistema di aereazione. È molto usato nella produzione di lievito. Fermentatori "Airlift". Questa classe di fermentatori è basata sul concetto che il sistema di aereazione provvede anche all'agitazione del terreno e alla distribuzione delle bolle d'aria. Tipo a torre: è la forma più semplice, praticamente un cilindro verticale con rapporto altezza/diametro di almeno 6:1, che termina in alto con uno svasamento e una corta sezione di diametro maggiore per facilitare l'abbattimento della schiuma. Il terreno entra dal basso e fluisce verso l'alto da dove viene prelevato in continuo, questo funzionamento si può approssimare quello di un reattore tubolare a flusso continuo; anche l’ingresso per l'aria è sul fondo attraverso placche di vetro poroso che producono bolle di piccolissime dimensioni. Vengono usati nella produzione di lieviti; è allo studio la possibilità di costruzione in materiali sintetici per fermentatori di piccole capacità; questa impostazione tecnologica sarebbe destinata alla produzione a basso costo di biomasse (Single Cell Protein) in piccoli impianti che userebbero substrati disponibili localmente. Tipo Lefrançois: il più diffuso di fermentatore "airlift”, usa anche l'effetto di circolazione dato dal tubo sommerso (come il Waldhof); la tecnologia di costruzione prevede due diversi arrangiamenti a seconda della capacità. Nei fermentatori di grande capacità il diametro del tubo sommerso è di poco inferiore al diametro del fermentatore e l'aria è immessa all'interno dello spazio anulare compreso tra il tubo e la parete interna del fermentatore. Nei fermentatori più piccoli si preferisce la sistemazione convenzionale con il diametro del tubo sommerso che è approssimativamente 1/3 del diametro nel fermentatore. In entrambi i casi il terreno viene immesso nelle immediate vicinanze dell'ingresso dell'aria così da aumentare la turbolenza e la dispersione dell'aria. La bassa densità dell'emulsione aria-terreno causa una spinta ascendente che assicura la 8 circolazione del terreno secondo un verso che dipende dalla sistemazione del tubo sommerso. L’efflusso del terreno esaurito è controllato automaticamente. È stato costruito uno di questi fermentatori con capacità di 1 milione di litri (per un impianto che utilizza idrolisato di semi di girasole) e la ditta costruttrice dichiara di poterne costruire fino alla capacità di 3 milioni di litri. Probabilmente un fermentatore Lefrançois è in funzione in Francia per la produzione di biomasse (SCP) da gasolio. Di recente sono state annunciate importanti innovazioni tecnologiche per i fermentatori airlift, però finora sono noti solo alcuni schemi generali e nessun dato costruttivo. In prima approssimazione si può prevedere un sistema di circolazione esterno al corpo del fermentatore; la circolazione del terreno avverrebbe come risultato della differenza di densità di emulsioni liquido-aria, tra una corrente ascendente fortemente aereata ed una corrente discendente non aereata in un tubo esterno fermentatore. Tipo convenzionale Tipo Vogelbusch Tipo Waldhof Tipo Lefrançois Antischiuma Nei processi fermentativi condotti in aerobiosi, la natura stessa dei terreni colturali e il continuo insufflamento di aria danno luogo alla formazione di schiume elevate e persistenti che, se non controllate, possono influire negativamente sull'intero processo. Esse infatti, riducono l'ossigenazione della coltura, trascinano in superficie parte delle cellule e dei costituenti del terreno colturale stesso, abbassando le rese in prodotto. Inoltre, tendendo a fuoriuscire dal fermentatore, diventano facilmente veicoli di inquinamento. La formazione e la consistenza delle schiume dipendono dalla composizione del terreno colturale (ad esempio è favorita dalla presenza di proteine, peptoni, destrine, prodotti di caramellizzazione degli zuccheri, ecc.), dal pH e dalla temperatura ai quali si lavora. Durante la crescita del microrganismo, il consumo delle sostanze nutritive, la formazione dei prodotti del metabolismo e la presenza di corpi cellulari determinano un continuo cambiamento nello stato chimico-fisico del terreno stesso. Ne consegue che la schiuma può formarsi all'inizio o durante la fermentazione. Il controllo delle schiuma, indispensabile per la buona riuscita di un processo, viene in genere ottenuto aggiungendo alla coltura tensioattivi opportunamente scelti. Come tensioattivi si usano in genere, olii animali o vegetali, siliconi, alcoli a lunga catena, polieteri, derivati del sorbitano, ecc. Nelle scelte della sostanza da usare vanno tenuti presenti i seguenti criteri: 1) deve essere poco solubile nel terreno colturale, disperdersi rapidamente in esso ed agire a basse concentrazioni; 2) non deve essere tossica per il microrganismo è non deve influire negativamente sulla via biosintetica interessata nella formazione prodotto; 3) deve essere sterilizzabile; 4) non deve conferire odori e sapori particolari al terreno colturale stesso. Ciò è particolarmente importante quando i prodotti ottenuti sono destinati alla alimentazione umana o animale. In questo caso, inoltre, il tensioattivo non deve essere tossico nemmeno a basse dosi; 5) non deve interferire nei processi di estrazione del prodotto. La quantità di tensioattivo da aggiungere viene in genere regolata automaticamente in modo da immettere nel fermentatore solo la quantità minima indispensabile. Semina Per l'inoculazione di un fermentatore bisogna usare una coltura già sviluppata per abbreviare i tempi e diminuire gli inquinamenti. In genere si semina ogni fermentatore con una quantità di coltura pari a circa 1/10 o 1/20 del volume di coltura contenuto nel fermentatore. L’inoculo viene preparato in un recipiente simile al fermentatore ma di capacità minore (il germinatoio) e poi viene pompato nel fermentatore; se si parte da un ceppo liofilizzato o congelato bisogna effettuare una serie di ingrandimenti. Operazioni successive alla fermentazione. Alla fine della fermentazione il prodotto desiderato si trova diluito in alcune centinaia di migliaia di litri di terreno di coltura contenente sostanze svariate disciolte oltre a particelle insolubili e cellule microbiche in sospensione. Naturalmente i procedimenti successivi alla fermentazione potranno essere svariatissimi a seconda della natura del prodotto e della concentrazione del prodotto stesso nella coltura. Si va infatti da concentrazioni molto elevate come quella dell'acido lattico (130 g/l) a concentrazioni bassissime come quella della vitamina B12 (23 mg/l). Uno schema generale delle operazioni successive alla fermentazione è riportato nella figura che segue. 9 Eliminazione dei microrganismi e delle altre particelle insolubili. Si tratta della prima operazione da effettuare dopo la fine della fermentazione e può essere svolta in vari modi. A volte basta attendere la flocculazione dei microrganismi (es. lievito) che tra l'altro trascinano con loro particelle insolubili. In altri casi la flocculazione può essere provocata mediante agenti che neutralizzano le cariche negative che si trovano sulla superficie delle cellule e che ne impediscono l’aggregazione. Si usano a questo scopo il solfato di alluminio o il cloruro di calcio. Si possono usare anche dei polielettroliti sintetici che ricoprono le cellule e formano legami con altre cellule ricoperte di polielettrolita. La centrifugazione può servire a separare le cellule anche di piccole dimensioni come quelle batteriche, ma si tratta di un procedimento costoso, poco usato industrialmente. La filtrazione è il metodo più usato per allontanare i microrganismi che hanno un micelio. Si utilizzano a volte dei filtripressa ma più spesso dei filtri a tamburo rotativi sotto vuoto. A volte, ad esempio nel caso degli streptomiceti, una micelio molto fine rischierebbe di rendere la filtrazione molto lenta. In questi casi si aggiunge alla cottura della farina fossile, o altri simili materiali inerti, che vengono trattenuti insieme al micelio sulla superficie della tela filtrante, mentre il liquido viene aspirato dal vuoto all'interno del tamburo. Un coltello fisso stacca via via il pannello che si forma sulla del filtrante. Cellule di piccole dimensioni possono essere allontanate dal terreno di coltura anche per flottazione, aggiungendo cioè una sostanza tensioattiva e facendo gorgogliare un gas finemente disperso. Si forma una schiuma che trascina con sé in superficie le cellule microbiche. Una volta allontanate le cellule microbiche, il prodotto che interessa deve essere recuperato dal terreno di coltura per essere in seguito purificato. Le tecniche più comuni sono: • • • • • la distillazione, nel caso di sostanze volatili (vedi fermentazione alcoolica); l'estrazione con solventi. Si usa spesso una estrazione continua facendo scorrere il solvente controcorrente rispetto al terreno di coltura da estrarre. L'apparecchio usato separa poi i due liquidi per centrifugazione; l'adsorbimento su colonne di allumina, carbone attivo, resine a scambio ionico e così via: segue l'eluizione; la precipitazione; la filtrazione su gel o su membrane. Le tecniche di purificazione variano naturalmente da prodotto a prodotto e non possono essere descritte in termini generali. 10