Crisi occupazionali e tecniche di tutela
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Crisi occupazionali e tecniche di tutela
Franco Carinci Crisi occupazionali e tecniche di tutela WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 189/2013 Giuseppe Ferraro 2013 Dipartimento di Giurisprudenza – Università di Napoli “Federico II” [email protected] WP CSDLE MASSIMO D’ANTONA.IT ‐ ISSN 1594‐817X Centre for the Study of European Labour Law "MASSIMO D'ANTONA" , University of Catania On line journal, registered at Tribunale di Catania n. 1/2012 – 12.1.2012 Via Gallo, 25 – 95124 Catania (Italy) Tel: +39 095230855 – Fax: +39 0952507020 [email protected] http://csdle.lex.unict.it/workingpapers.aspx 1 Crisi occupazionali e tecniche di tutela Giuseppe Ferraro Napoli "Federico II" 1. L’eccedenza occupazionale in Europa.................................... 2 2. Le principali tecniche di intervento nel nostro ordinamento: una breve ricostruzione storicistica ................................................ 4 3. Linee di ispirazione della riforma del mercato del lavoro .......... 9 4. Le modifiche introdotte dalla riforma Fornero .......................13 5. Alcune implicazioni sistematiche .........................................15 6. La soppressione dell’istituto della mobilità............................16 7. I fondi bilaterali nelle crisi occupazionali ..............................18 8. Le principali attività non standard .......................................20 9. La vincolatività degli accordi sindacali sulle prestazioni straordinarie .......................................................................23 10. La vincolatività dei trattamenti nei confronti dei singoli lavoratori ............................................................................26 11. La procedura aziendalistica di incentivi all’esodo .................27 12. Nuove tecniche di tutela e profili di costituzionalità ..............31 13. Sul ruolo sindacale nella riforma del welfare .......................35 Il Saggio, in corso di pubblicazione nel volume che raccoglie i risultati della ricerca Prin 2008 su “Crisi d’impresa: rimedi legali e convenzionali a tutela del reddito e dell’occupazione nell’ordinamento italiano e comunitario”, Giappichelli editore, è dedicato alla cara memoria di Mario Giovanni Garofalo. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 2 GIUSEPPE FERRARO 1. L’eccedenza occupazionale in Europa L’oggetto della ricerca riguarda le tecniche e le procedure di gestione delle eccedenze occupazionali nel quadro delle più attuali trasformazioni del sistema di welfare1. La sofferenza occupazionale, ciclica o emergenziale che sia, costituisce un dato ormai endemico delle economie avanzate, rilevabile in maniera più o meno accentuata in tutti i paesi europei, essendo determinata da fattori economici e produttivi di portata internazionale talmente noti che non varrebbe neppure richiamarli: crisi aziendali e ristrutturazioni periodiche, processi incalzanti di delocalizzazione e internalizzazione, aggiornamento permanente delle competenze tecniche e professionali, ricambio generazionale, cicliche crisi finanziarie, etc.2. Si tratta di un tema di importanza centrale negli equilibri politici e sociali dei singoli paesi, il quale, nei suoi complessi risvolti e nei relativi rimedi legislativi, costituisce una parte significativa dei sistemi di welfare la cui trattazione comprende indirettamente anche la disciplina in materia di licenziamenti collettivi. Quest’ultimo tema, benché apparentemente autonomo, va esaminato in una logica globale, tenendo conto sia dei rimedi preventivi operanti all’interno dei rapporti di lavoro per contenere la riduzione del lavoro, sia di quelli compensativi che intervengono sul versante della protezione dei redditi e della tutela della disoccupazione, tra i quali un posto di primo piano assumono le procedure di mobilità e le 1 La letteratura sul tema è ampia e interdisciplinare: v. tra gli altri U. ASCOLI (a cura di) Il welfare in Italia, Bologna, 211; M. FERRERA, V. FARGION, M. JESSOULA, Alle radici del welfare all’italiana, Bologna, 2012; M. VIOLINI, G. VITTADIN (a cura di), La sfida del cambiamento, superare la crisi senza sacrificare nessuno, Milano, 2012; L. GUEZZONI (a cura di), La riforma welfare dieci anni dopo la “Commissione Onofri”, Bologna, 2008; v. pure, con specifico riferimento ai riflessi della crisi sui sistemi previdenziali, V.N. WAGNER, Financing Social Security. Business as usual, in Working Paper, Etui Bruxelles, 9/2011, p. 6; D. NATALI, Pensions after the Financial Crisis: a Comparative analysis of Recent Reforms in Europe, in Working Paper, Etui Bruxelles, 7/2011, p. 9. In un’ottica giuslavorista G. PROSPERETTI, Nuove politiche per il welfare states, Torino, 2012; T. TREU (a cura di), Welfare aziendale, Milano, 2013; ID., Le istituzioni del lavoro nell’Europa della crisi, rel. Aidlass 16/17.5.2013, dattiloscritto. Su temi correlati, A. PERULLI, La responsabilità sociale dell’impresa, idee e prassi, Bologna, 2013. 2 Come ben rilevato in recenti analisi, P. AUER, La flexicurity nel tempo della crisi, in DRI, 2011, p. 41, “i paesi caratterizzati da politiche di flexicurity presentano il tasso di disoccupazione più basso, ma hanno vissuto maggiori incrementi rispetto al gruppo continentale. Solo l’analisi del cluster di flexicurity anglosassone (come gli Stati Uniti) ha riportato gli aumenti più alti, dovuti in modo particolare a quanto avvenuto in Irlanda. Il divario tra i tassi di disoccupazione tra il gruppo continentale e di flexicurity si è ridotto durante la crisi da 2,3 punti a 0,9 punti percentuali. I paesi con politiche di flexicurity del nord-europa (Svezia, Finlandia e soprattutto Danimarca) hanno riportato invece aumenti considerevoli”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 3 iniziative proattive con finalità lato sensu formative (pratiche di recruitment, placement, long life learning, workfare etc.)3. Con una certa semplificazione si può ritenere che esista una sostanziale contrapposizione tra ordinamenti giuridici ispirati da una logica liberista, che riconoscono una notevole flessibilità in uscita, semmai temperata da politiche attive sul mercato del lavoro, specie di assistenza e di ricollocazione dei dipendenti, ed ordinamenti giuridici di stampo dirigistico, che irrigidiscono il potere imprenditoriale di ridurre la manodopera, incentivando così una più stabile integrazione tra istanze delle imprese e quelle dei lavoratori che vi sono occupati. Ma è questa una rilevazione assolutamente superficiale se non integrata e contestualizzata con riferimento ai vari elementi che contraddistinguono i diversi ordinamenti giuridici ed all’eterogeneità di interventi che consentono di affrontare lo stato di inoccupazione, totale o parziale che sia. Una spiccata flessibilità gestionale, organizzativa, salariale e degli orari di lavoro, può consentire di prevenire operazioni di contrazione occupazionale, come avvenuto nel paese più apprezzato per la virtuosità dei rimedi adottati, la Germania4, dove nel corso della crisi globale sono state sperimentate tecniche ad ampio raggio di flessibilizzazione e contrazione degli orari di lavoro, secondo regole giuridiche non molto diverse da quelle da tempo operanti in Italia attraverso i contratti di solidarietà, che invece non hanno dato risultati altrettanto soddisfacenti. Il che lascia subito intendere che tecniche anche efficaci possono essere improduttive se calate in un contesto sociale ed economico scarsamente recettivo. Le politiche scandinave di elevata mobilità della manodopera e ispirate al mito, ormai appannato, persino in ambito europeo, della flexicurity5, trovano ampie compensazioni nelle istituzioni attive dell’impiego e in un sistema di tutela dei redditi che rimane molto 3 Sulle politiche attive in Italia e in Europa, v. per tutti P. PASCUCCI, Servizi per l’impiego, politiche attive, stato di disoccupazione e condizionalità nella legge n. 92 del 2012, in RDSS, 2012, p. 503 ss.; A. ALAIMO, Servizi per l’impiego e disoccupazione nel “welfare attivo” e nei mercati del lavoro transnazionali, ivi, p. 555 ss.; F. GIUBILEO, Uno o più modelli di politiche del lavoro in Europa? I servizi al lavoro in Italia, Germania, Francia, Svezia e Regioni Unito, ivi, 2011, p. 759 ss. 4 Per tutti M. FERRERA, Neo-welfarismo liberale: nuove prospettive per lo stato sociale in Europa, in Stato e Mercato, 2013, 97, p. 4 ss. 5 Sulla difficile gestione della flexicurity anche in paesi ove è da tempo praticata, v. P. AUER, La flexicurity, cit., sp. p. 37; B. GAZIER, La strategia europea per l’occupazione nella tempesta: il ripristino di una strategia a lungo termine, in DRI, 2011, 1/XXI, p. 59 ss.; P. KONGSHOI MADSEN, Reagire alla tempesta. La flexicurity danese e la crisi, in DRI, 2011, 1/XXI, p. 78 ss. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 4 GIUSEPPE FERRARO generoso nonostante la morsa della crisi. Tutto ciò non ha impedito una contrazione dei tassi occupazionali, una riduzione dei trattamenti di disoccupazione e persino un ripensamento delle tecniche di protezione sociale6. Nelle indagini economiche e sociologiche è frequente la tendenza a comparare questo modello con altri ordinamenti nazionali al fine della verifica dei risultati più producenti. Così il modello scandinavo (con alti livelli di copertura di impronta universalistica) viene talora contrapposto a quello inglese (più selettivo nelle forme di protezione), come quello danese viene approfondito in alternativa a quello tedesco, che pure sembra avere dato i risultati più gratificanti in termini occupazionali7. Ma le indagini in materia restano sempre insoddisfacenti in ragione di tutti gli elementi storici, economici e sociali che occorrerebbe monitorare per formulare degli affidabili giudizi di sintesi. Sta di fatto che in misura diversa la crisi in corso non ha risparmiato alcun paese e dovunque si pongono problemi di surplus occupazionale; al contempo aumentano le istanze di protezione sociale nello stesso momento in cui si registra ovunque una contrazione delle risorse disponibili al punto che viene messo in discussione lo stesso modello sociale europeo. 2. Le principali tecniche di intervento nel nostro ordinamento: una breve ricostruzione storicistica Nel nostro sistema giuridico è stato più volte affrontato il tema della gestione delle crisi occupazionali, già nelle vecchie leggi in materia di politiche industriali degli anni ’70 (v. in part. la legge n. 675/1977), che prefiguravano inediti modelli di mobilità interaziendale, ed ancora un importante testo di riferimento è rappresentato dalla legge n. 223/1991, che si contraddistingue per un tentativo di soluzione globale della complessa problematica, attraverso l’integrazione tra tutele interne al rapporto di lavoro, che si esprimono essenzialmente nell’istituto della cassa integrazione nelle sue diverse modalità esplicative, con tutele esterne, concentrate prevalentemente nella gestione dei processi di mobilità della manodopera e in varie pratiche incentivanti. Si tratta di un testo legislativo organico, alquanto rigoroso nell’impostazione teorica, nel differenziare le crisi occupazionali temporanee da quelle definitive e nel 6 Sul trend in atto nelle politiche di welfare si adoperano definizioni diverse: adattamento, ricalibratura o riconfigurazione dello stato sociale: G. VITTADINI, T. AGASISTI, Caratteristiche del welfare sussidiario, p. 86 ss., in L. VIOLINI, G. VITTADINI (a cura di), La sfida, cit. 7 Si sofferma in particolare sulla comparazione Danimarca-Germania, P. AUER, La flexicurity, cit., p. 37, pervenendo alla conclusione che “la flexicurity – quale paradigma di riforma del mercato del lavoro – è giunta alla fine anche per la contraddittorietà delle pratiche che ne sono espressione”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 5 disegnare una serie articolata di rimedi e procedure. Nel complesso si è rivelato alquanto efficace sul piano operativo, se è vero che ha consentito di affrontare periodiche crisi congiunturali e una riconversione progressiva del sistema produttivo, persino nelle ultime drammatiche temperie di portata internazionale. Il limite di quel modello, unanimemente riconosciuto, è costituito dalla sua settorialità essendo stato concepito con riferimento al settore industriale che all’epoca costituiva ancora il motore trainante della nostra economia. Esso peraltro è frutto di uno storico compromesso politico-sindacale tra le principali forze economiche e sociali che ne hanno promosso l’emanazione, i cui riflessi si percepiscono tuttora negli attuali equilibri del sistema di relazioni industriali. Muovendo dal nucleo originario degli ammortizzatori sociali, si è costruito un sistema di protezione degli insiders o dei core workers progressivamente crescente, che si è sviluppato attorno agli istituti della mobilità, della disoccupazione speciale, dei contratti di solidarietà e dei prepensionamenti, istituti con i quali è stato possibile arginare lo stato di disoccupazione o almeno anestetizzarne gli effetti più drammatici8. Tale modello normativo ha rilevato tutta la sua parziarietà già nel corso degli anni ’90 con l’irresistibile sviluppo del terziario avanzato e ancor più con la crisi di importanti gruppi bancari e assicurativi, allorquando si è posta la necessità di un riassetto globale del sistema finanziario attraverso operazioni di concentrazione e di riqualificazione delle aziende con pensanti ricadute sul piano occupazionale. In quella contingenza è apparsa in tutta la sua gravità la carenza di un sistema generale di ammortizzatori che assecondasse le operazioni di ristrutturazione in corso. Sicché è stato gioco-forza ricercare soluzioni interne per lo più autofinanziate. A seguire di qualche anno, si è registrata la crisi di grandi aziende pubbliche di preminente interesse nazionale, come le Poste, i Monopoli, l’Alitalia, le Ferrovie, che pure non disponevano di un sistema adeguato di ammortizzatori sociali suscettibili di assecondare operazioni di riassetto e di privatizzazione, ed anche in quel caso è stato necessario predisporre 8 Come sottolinea la letteratura sociologica, schemi di short time work esistono in molti paesi europei e in particolare in quelli con un sistema di welfare bismarchiano; solo in Italia, però, essi costituiscono un equivalente funzionale degli schemi assicurativi di disoccupazione, così S. SACCHI, F. PANCALDI, C. ARISI, The economic crisis as e trigger of convergence? Short time work in Italy, Germany and Austria, in Social Policy and administration, 2012, XLV, 4, p. 465-487. La ragione è da ricercarsi nella politics del sostegno alla disoccupazione, ossia in un equilibrio frutto delle dinamiche di scambio politico tra governo, sindacati e imprenditori a fronte delle crisi aziendali degli anni ’70 e ’80 e dell’aumentato rischio di disoccupazione, dal quale si cerca di tenere immuni i core workers della grande industria e delle aziende dell’indotto. Così S. SACCHI, P. VESAN, Le politiche del lavoro, in U. ASCOLI (a cura di), Il welfare, cit., p. 148 ss. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 6 GIUSEPPE FERRARO dei rimedi speciali, ora replicando tecniche già collaudate nel settore primario ora sperimentando soluzioni originali specie sul versante dei contratti di solidarietà e dei prepensionamenti9. In questo quadro complessivo, da un lato si è messo in moto un processo espansivo degli ammortizzatori sociali tradizionali, che ha riguardato in particolare settori limitrofi o complementari a quello industriale (servizi ausiliari, mense, istituti di vigilanza, indotto in genere) ovvero a elevato tasso occupazionale (la grande distribuzione, agenzie di viaggio e turismo con oltre 50 addetti), da un altro lato sono andate emergendo soluzioni endogene di natura legale o convenzionale, sia in settori economicamente deboli e con scarse risorse finanziarie (artigianato, edilizia, agricoltura), sia in settori tradizionalmente forti e con discrete risorse economiche, com’è appunto il caso degli istituti di credito e degli enti assicurativi. E mentre nel primo caso gli interventi appaiono storicamente proiettati ad affrontare i disagi derivanti dalla precarietà, discontinuità e stagionalità della produzione e del lavoro, nel secondo caso essi sono protesi alla ricerca di soluzioni che consentissero esodi massicci di personale, specie se prossimo al pensionamento, quale premessa indispensabile di un riassetto organizzativo e produttivo, di una riduzione dei costi e di un ampio turnover. Emblematica di un tale processo rimane la legge del 23.12.1996, n. 662, art. 2, comma 2810 - divenuta improvvisamente di grande attualità ed interesse scientifico - la quale, destinata ad operare in un’ottica congiunturale, “in attesa di un’organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali”, è divenuta il modello di riferimento per forme alternative di protezione sociale di stampo endo-categoriale o settoriale. Essa prevede (art. 2, comma 28) che, con uno o più decreti del Ministero del lavoro, sentite le organizzazioni sindacali, siano “definite in via sperimentale, misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno del reddito e dell’occupazione nell’ambito dei processi di ristrutturazione aziendale e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché delle categorie e 9 Politiche di prepensionamento affiorano periodicamente nel’ordinamento italiano in maniera organica sin dagli anni ’80: v. legge n. 155/1981 a cui viene fatto intenso ricorso per fronteggiare l’eccedenza di manodopera registrato nell’intero decennio (così S. SACCHI, P. VESAN, Le politiche, cit., p. 149). Politiche di incentivazione all’esodo sono poi periodicamente riaffiorate negli anni successivi sia nel settore privato sia nel settore pubblico, a volte mascherate da procedure di mobilità che preludevano a forme di anticipazione dello stato di quiescenza. 10 Su di essa v. per tutti M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale e fondi di solidarietà bilaterali, in DRI, 2012, p. 628 ss.; G. SIGILLÒ MASSARA, La tutela del reddito nel ddl di riforma del mercato del lavoro. Uno sguardo di insieme, in MGL, 2012, 7, p. 587 ss.; L. VENDITTI, Licenziamento collettivo e tecniche di tutela, Napoli, 2012. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 7 settori di impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori sociali”. A tal fine, i criteri direttivi contemplano la costituzione da parte della contrattazione collettiva nazionale di appositi fondi inseriti presso l’Inps e gestiti con il concorso delle parti sociali11. In attuazione dell’art. 2, comma 28, legge cit., e del successivo regolamento quadro (d.m. 27.11.1997, n. 477), sono stati istituti presso l’Inps vari fondi settoriali preceduti da appositi accordi collettivi recepiti in decreti ministeriali: ciò è avvenuto per i dipendenti del credito e per i dipendenti del credito cooperativo (d.m. 28.4.2000, n. 157 e n. 158), per il personale proveniente da imprese esercenti l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile e in liquidazione coatta amministrativa (d.m. 28.9.2000, n. 351), per il personale già dipendente dell’amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e trasferito all’E.T.I. e società derivate (d.m. 18.2.2002, n. 88), per il personale addetto ai servizi di riscossione dei tributi erariali (d.m. 24.11.2003, n. 375), per il personale di Poste Italiane SpA (d.m. 1.7.2005, n. 178), per il personale dipendente dalle imprese assicuratrici (d.m. 21.1.2011, n. 33)12. Specifiche misure di agevolazione all’esodo sono state introdotte per i dipendenti di grandi enti creditizi più o meno dissestati, come quelle previste in occasione dell’operazione di risanamento, ristrutturazione e privatizzazione del Banco di Napoli (l. 19.11.1996, n. 588) e della cessione al Banco di Sicilia della Sicilcassa in crisi (l. 8.11.1997, n. 388), che hanno preceduto la scomparsa degli enti originari assorbiti in più ampi gruppi bancari. Autonomamente per le Ferrovie dello Stato è intervenuto l’art. 59, comma 6, l. n. 449/1997, che ha consentito di istituire un fondo ad hoc a seguito di accordo collettivo stipulato nel 1998 e recepito con decreto ministeriale (d.m. 21.5.1998, n. 54-T) per essere a sua volta sostituito da successivo accordo del 2009 a sua volta recepito (d.m. 23.6.2009, n. 510). Un analogo fondo è stato istituito per il personale del trasporto aereo, contestualmente all’estensione dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità al personale, anche navigante, dei vettori aerei e delle società da questi derivanti a seguito di processi di riorganizzazione o trasformazione societarie (art. 1-bis e 1-ter, l. 3.12.2004, n. 191). Trattamenti questi poi integrati e consolidati per consentire il salvataggio dell’Alitalia (art. 2, l. 27.10.2008, n. 166) e delle imprese operanti nel comparto (art. 2, comma 37, l. 22.12.2008, n. 203), 11 V. da ultimo L. VENDITTI, Licenziamenti collettivi e tecniche di tutela, Napoli, 2013, sp. p. 79 ss., ivi ampia bibliografia. 12 Così L. VENDITTI, Licenziamenti, cit. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 8 GIUSEPPE FERRARO ove è registrabile un uso spregiudicato delle tecniche di prepensionamento13. In questo contesto è emerso anche un modello autonomo di intervento in caso di riduzione del lavoro contraddistinto dalla “condizionalità” dell’intervento pubblico in quanto subordinato alla disponibilità di risorse private reperibili all’interno del settore di riferimento. Questa tecnica compartecipativa, introdotta nel settore dell’artigianato, ove è imperniata sulla partecipazione degli enti bilaterali, è stata riproposta anche per estendere i trattamenti di disoccupazione (v. in part. art. 13, commi 7 e 8, l. 14.5.2005, n. 80), per poi essere estesa in termini più sofisticati anche in altri settori14. Il processo sin qui evocato ha poi assunto una configurazione peculiare a seguito della crisi globale, nel corso della quale l’istituto più utilizzato è stato quello degli “ammortizzatori in deroga”, che ha comportato una graduale e disordinata estensione delle tecniche protettive più in voga in settori tradizionalmente esclusi e quindi assecondando un’impostazione tendenzialmente generalista ancorché condizionata da plafond finanziari predeterminati e da valutazioni discrezionali del potere politico. È questa un’esperienza ampiamente analizzata15, criticata da alcuni ed esaltata da altri: dai primi in quanto 13 Per una ricostruzione analitica di queste operazioni estensive degli ammortizzatori sociali nelle sue molteplici varianti regolamentari, v. per tutti da ultimo L. VENDITTI, Licenziamenti collettivi, cit., p. 86 ss., da cui sono tratti dati di grande utilità; ma v. già sul tema G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistemi previdenziali, in Lav. Prev., 2008, 1, p. 1 ss. Si segnala che alla stregua del comma 42, art. 3, legge 92, la disciplina dei fondi di solidarietà istituiti ai sensi dell’art. 2, comma 28, l. 23.12.1996, n. 662, è adeguata alle norme della presente legge con decreto del Ministero del lavoro e politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di accordi o contratti collettivi, da stipulare tra le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale entro il 30.6.2013; v. pure il comma 44 per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale, e comma 45 per il settore del trasporto ferroviario. 14 Nel quadro delle misure anticrisi del 2008 e del 2009, questa possibilità di accedere all’indennità di disoccupazione è stata rivisitata dal legislatore fra l’altro per estendere ai settori diversi dall’artigianato il relativo meccanismo condizionale, sebbene con il correttivo che, in mancanza dell’intervento integrativo degli enti bilaterali, i lavoratori possano accedere direttamente ai trattamenti in deroga (v. art. 19, l. 28.1.2009, n. 2, come modificato dall’art. 7-ter, l. 9.4.2009, n. 33). Inoltre lo stesso meccanismo è stato applicato in via sperimentale nei confronti dei lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che abbiano maturato i requisiti per l’assicurazione per l’impiego (art. 3, comma 17, l. n. 92). In termini L. VENDITTI, Licenziamento collettivo, cit., p. 96; M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale, cit., sp. p. 641. 15 V. F. LISO, Ancora sugli ammortizzatori sociali, in M. CINELLI G. FERRARO, Lavoro, Competitività, Welfare, Tomo II, Torino, 2009, p. 475; D. GAROFALO, Gli ammortizzatori sociali in deroga, Milano, 2010; M. CINELLI, La riforma degli ammortizzatori sociali, cit. nonché il fascicolo della RGL integralmente dedicato al tema degli ammortizzatori sociali, 2011, n. 2, con contributi di A. DI STASI, A. ANDREONI, M. BARBIERI, M. NUNNIN. G. MORO; ove è WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 9 espressione di una sostanziale disgregazione del sistema di protezione sociale al di fuori di regole certe e prevedibili, lasciate in balia della più ampia discrezionalità politica, e al contempo manifestazione tangibile dell’incapacità del sistema politico di elaborare soluzioni protettive di stampo universalistico e solidaristico; apprezzata dai secondi in quanto esperienza duttile e flessibile, proiettata a dilatare l’ambito soggettivo di intervento dei tradizionali ammortizzatori sociali, peraltro con la sperimentazione di tecniche almeno in parte inusitate segnatamente là dove prevedono il coinvolgimento degli enti locali e degli enti bilaterali16. 3. Linee di ispirazione della riforma del mercato del lavoro In questo confuso scenario si va ad inserire la riforma del 2012, che, in presenza di esperienze così eterogenee, è apparsa subito ispirata da spinte contraddittorie che ne hanno condizionato la struttura tecnica e le potenzialità operative: estendere le forme di tutela contro lo stato di disoccupazione in un’ottica universalista secondo una linea di ispirazione teorica unanimemente, quanto astrattamente, condivisa, e risalente agli atti e alle indicazioni della “Commissione Onofri”17 della fine degli anni ’90, ma al contempo mantenere sotto rigoroso controllo la spesa pubblica in presenza di risorse sempre più declinanti anche per i vincoli di risanamento finanziario categoricamente imposti dall’Unione europea. Di qui una tangibile dissociazione tra le solenni dichiarazioni di intenti e l’articolazione normativa nella cui trama formativa è registrabile un progressivo arretramento su posizioni sempre più tradizionaliste. Indubbiamente su tale deludente risultato ha fortemente pesato il condizionamento dei poteri forti del mondo del lavoro, tradizionalmente ispirati da una logica conservativa, nonché, è inutile dirlo, la crisi in atto e il complessivo declino produttivo del nostro paese, ma anche una certa astrattezza dell’impostazione teorica dei redattori del testo di riforma, non del tutto consapevoli dei riflessi profondi, persino istituzionali, derivanti da una crisi di carattere epocale. Sicché la riforma è rimasta a metà del guado, sostanzialmente conservativa dei tradizionali ammortizzatori sociali18 e con una fiacca apertura generalista sul versante anche riportata la proposta di riforma CGIL commentata da F. FAMMONI, A. ANDREONI, P. SESTITO, B. ANASTASIA, G. AMARI. 16 R. PESSI, Gli ammortizzatori sociali in deroga: persistenza o fine del modello assicurativo?, in RDSS, 2010, 2, p. 127. 17 Su cui v. per tutti L. GUERZONI (a cura di), La riforma del welfare, cit. 18 Ad eccezione delle integrazioni conferite nel corso delle procedure concorsuali, su cui v. ora art. 2, comma 70, l. n. 228/2012, alla stregua del quale l’art. 3, comma 1, l. n. 223/91 e succ. mod., è stato modificato nei termini seguenti: le parole “qualora la continuazione WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 10 GIUSEPPE FERRARO dei trattamenti di disoccupazione19, fortemente condizionati dalla scarsità delle risorse che ha imposto di preservare una impostazione classica di finanziamento delle risorse di stampo lavoristico-assicurativo. Le novità di maggiore rilievo si concentrano nell’abolizione della indennità di mobilità e nella correlata valorizzazione degli enti bilaterali, che in qualche modo intaccano gli equilibri del settore maggiormente protetto quantomeno sul versante dei trattamenti di disoccupazione20. Da questo punto di vista si può dire che si è verificata una frattura all’interno del solido sistema di protezione delle categorie tradizionalmente privilegiate con la conservazione delle protezioni interne al rapporto e l’allineamento di quelle esterne. In questo quadro contraddittorio, il testo di riforma non affronta in maniera organica la questione della gestione delle eccedenze di personale, eppure contiene una serie di disposizioni che prefigurano un modello che si può ritenere ormai alternativo rispetto a quello della storica riforma del 1991. A questo proposito il legislatore, anziché generalizzare il modello imperniato sull’istituto della mobilità, quale configurato dalla legge n. 223, ritenuto evidentemente troppo oneroso per le disastrate finanze pubbliche, e anche eccessivamente assistenzialista, preferisce seguire una strada totalmente alternativa, abrogando del tutto tale istituto, anche nei settori in cui esso efficacemente operava, e al suo posto ha delegato i fondi bilaterali di solidarietà a svolgere un ruolo preminente in materia di gestione degli esuberi di personale, eventualmente anche incorporando alcune esperienze che erano state ampiamente sperimentate nella vecchia riforma. La scelta di valorizzare la bilateralità quale tecnica di protezione sociale era più volte trapelata, come si è visto, nella legislazione precedente, ma in ambiti settoriali e in un’ottica congiunturale, e sempre in attesa della mitica riforma degli ammortizzatori sociali. Ora il legislatore fa invece una scelta di campo e, abbandonando ogni disegno di generalizzazione dei tradizionali ammortizzatori sociali – particolarmente onerosi specie se organicamente collegati alle procedure dell’attività non sia stata disposta o sia cessata” sono sostituite dalle seguenti “quando vi siano prospettive di continuazione o di ripresa dell’attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione da valutare in base a parametri oggettivi definiti con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali”. Art. 3 abrogato a decorrere dall’1.1.2016. 19 Su cui v. per tutti M. CINELLI, Il welfare tra risparmio e razionalizzazione, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro, cit., p. 343 ss.; v. pure P. BOZZAO, L’assicurazione sociale per l’impiego, ivi, p. 427 ss. 20 Sul punto v. per tutti M. CINELLI, Gli ammortizzatori sociali nel disegno di riforma del mercato del lavoro, in RDSS, 2012, p. 227; M. BARBIERI, Ragionando di ammortizzatori sociali, in ricordo di G. GAROFALO, ivi, 2012, p. 307. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 11 di mobilità – assegna ai fondi di solidarietà bilaterale (così definiti ex art. 3, commi 4 e 14), una doppia funzione qualificante: una di carattere obbligatoria e l’altra di carattere facoltativa. La prima (meno rilevante in questa trattazione) si traduce nel predisporre un sistema di ammortizzatori sociali in tutti i settori in cui non operano quelli tradizionali, e quindi facendo affidamento su una mutualità categoriale o settoriale per affrontare i difficili problemi connessi alle periodiche contrazioni dell’attività produttiva. Qui l’obbligatorietà della costituzione dei fondi, perentoriamente declamata, è strettamente connessa alla funzione perseguita e al contempo dà conto del forte processo di integrazione pubblico-privato, atteso che, a una fase promozionale rimessa all’iniziativa delle organizzazioni sindacali, fa riscontro una regolamentazione della relativa attività puntualmente disciplinata dal legislatore e costantemente integrata da atti di normazione secondaria che ne garantiscono la vincolatività e l’efficacia21. La seconda funzione (ben più interessante in questa sede), di carattere facoltativo, è strettamente collegata all’abrogazione delle procedure di mobilità e ne riproduce alcune manifestazioni salienti. Essa consiste nell’assegnare ai fondi bilaterali la facoltà di intervenire nei processi di riduzione del personale con alcune funzioni qualificanti, e cioè sia per integrare i trattamenti dell’assicurazione sociale per l’impiego, e più in generale gli interventi pubblici a tutela della disoccupazione, sia per configurare l’istituzione di assegni straordinari per il sostegno al reddito nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo22. Questa doppia finalità assegnata ai fondi, sinora assai poco esplorata, è maggiormente coerente con la tradizione degli stessi e con le esperienze già sperimentate in vari settori. Essa, essendo facoltativa, 21 Il forte condizionamento pubblico di rimedi negoziali concordati all’interno delle varie categorie professionali ha suscitato istintive reazioni polemiche unitamente al timore di uno stravolgimento delle competenze sindacali specie in raffronto ai canoni costituzionali (v. in part. artt. 2, 18 e 35 Cost.). Anche se può condividersi l’opinione di coloro che ritengono che l’obbligo costitutivo dei fondi bilaterali non è affatto categorico nei confronti delle associazioni sindacali, come sembrerebbe, ma descrive piuttosto una oggettiva necessità di precostituire i relativi trattamenti in una prospettiva, almeno parzialmente, autofinanziata e autogestita, tant’è vero che l’inadempimento si traduce nella costituzione di un fondo residuale, istituto presso l’Inps (art. 3, comma 20), di stampo integralmente pubblicistico, e destinato a erogare prestazioni, sia pur minimali, nell’ambito delle categorie che non dovessero risultare protette dal sistema della bilateralità (v. R. PESSI, Ripensando il welfare, dattiloscritto, ora in RDSS, 2013, n. 3; M. CINELLI, La riforma degli ammortizzatori sociali, cit.). 22 In qualche modo coerenti con le predette finalità è anche prevista la possibilità di contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea (art. 3, comma 1). WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 12 GIUSEPPE FERRARO risulta scarsamente regolamentata, in quanto rimessa nella sua articolazione tecnica ed operativa all’autonomia organizzativa dei soggetti promotori, oltreché evidentemente condizionata dalle disponibilità finanziarie reperibili all’interno dei vari settori e categorie professionali. E tuttavia, a segnalare la continuità con precedenti esperienze, il legislatore ha espressamente previsto che per il perseguimento degli obiettivi indicati potrà essere utilizzato il prelievo contributivo che si renderà disponibile nel momento in cui, al termine del periodo transitorio, verrà ad estinguersi l’istituto della mobilità (art. 3, comma 12, ult. cpv.)23. Il quadro che a prima vista ne deriva è tutt’altro che ispirato da una logica di uniformità trasversale dei trattamenti di tutela dei redditi nelle emergenze occupazionali, o per meglio dire l’uniformità è astrattamente declinata soltanto in relazione ad alcuni obiettivi perseguiti dalla riforma, quali in primis quello di realizzare comunque una qualche forma di ammortizzatore sociale in presenza di sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa per cause non imputabili né all’imprenditore né ai lavoratori. Ma al suo interno questo sistema si predispone naturalmente ad essere molto variegato quanto alle modalità organizzative e ai livelli di copertura, evidentemente determinati dalle capacità finanziarie delle singole categorie e ancor più dalla pressione che le organizzazioni sindacali saranno in grado di esercitare sulle controparti datoriali e sugli stessi poteri pubblici. Pertanto, in quanto sistema “in bianco”, come tale destinato a divenire molto articolato, è facile prevedere che le categorie più forti saranno concentrate a ricostituire forme di protezione in qualche modo perdute o comunque attenuate mentre quelle più deboli sembrano destinate a rimanere ai margini di un’effettiva protezione sociale. L’unico istituto che mantiene una sua unitarietà di regolamentazione è quello dei licenziamenti collettivi, su cui il legislatore non interviene organicamente, ma si limita a ritoccare la disciplina precedente per renderla coerente con il nuovo regime in materia di licenziamenti individuali. Eppure, nonostante la sommarietà degli interventi, l’istituto risulta sensibilmente stravolto nella sua conformazione e nella sua funzione, sicché su tale configurazione modificata conviene orientare l’attenzione prima di procedere oltre nella trattazione. 23 Secondo cui “gli accordi e contratti collettivi, con le modalità di cui al comma 4, possono prevedere che il fondo di solidarietà sia finanziato, a decorrere dal 1° gennaio 2017, con una aliquota contributiva nella misura dello 0,30% delle retribuzioni imponibili ai fini previdenziali”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 13 4. Le modifiche introdotte dalla riforma Fornero Le modifiche introdotte dalla legge Fornero si sviluppano a ridosso di alcuni consolidati orientamenti giurisprudenziali, attenuandone la portata in alcuni aspetti, ma recuperandone integralmente l’ispirazione di fondo in altri24. L’intera operazione, per come viene a svilupparsi, lascia trasparire un deficit di elaborazione ed anche una certa improvvisazione. Sembra che il legislatore si sia reso conto di una problematica di tale entità soltanto all’ultimo momento, una volta regolato analiticamente il licenziamento individuale, e quindi sia intervenuto più per l’esigenza di assicurare una “simmetria” di tutele tra le due fattispecie di licenziamento che per la necessità di intervenire su una disciplina di importanza strategica, che pure avrebbe richiesto una fase autonoma di ripensamento e di revisione. Le novità introdotte risultano frettolosamente assemblate, anche se alcune modifiche sono da tempo “rivendicate” dalla dottrina specialistica, come quella che riguarda la “contestualità” della comunicazione finale indirizzata agli organi pubblici e ai soggetti sindacali, che aveva dato luogo a pronunzie di insopportabile semplicismo da parte della magistratura, specie quando si era preteso, al di là del dato testuale e della ratio della disposizione, che la comunicazione finale fosse assolutamente contemporanea alle lettere di licenziamento. E ciò per consentire al lavoratore una compiuta conoscenza della procedura seguita e dei criteri selettivi applicati: conoscenza ben raggiungibile in altro modo, e comunque non pregiudizievole ai fini dell’impugnativa del licenziamento gravando comunque sull’azienda l’onere della prova sulla corretta applicazione dei criteri di scelta. Anche la soluzione da ultimo adottata di consentire un margine di elasticità di sette giorni presenta qualche margine di ambiguità, nella misura in cui non viene stabilito da quando devono decorrere i predetti giorni, se cioè dalla prima lettera di licenziamento oppure dall’ultima, il che è di particolare importanza quando, come avviene di frequente, le comunicazione di licenziamento siano state plurime e sfalsate nel tempo. E tuttavia l’intera problematica viene indirettamente ridimensionata dal fatto che il ritardo nella comunicazione può oggi integrare una mera 24 Sulle modifiche introdotte dalla riforma v., per un’analisi dettagliata, V. FERRANTE, Modifiche nella disciplina dei licenziamenti collettivi, in La nuova riforma, cit., p. 279 ss.; G. PASCARELLA, I licenziamenti collettivi, in F.M. GIORGI (a cura di), La riforma del mercato del lavoro, p. 215 ss.; P. ALBI, I licenziamenti collettivi, in M. CINELLI, cit., p. 310 ss.; U. CARABELLI, S. GIUBBONI, Il licenziamento collettivo, in P. CHIECO (a cura di), Flessibilità e tutele nel lavoro, cit., Bari, 2013; F. SCARPELLI, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in AA.VV., Guida alla riforma Fornero, in Quaderni Wiki Labour, 2012. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 14 GIUSEPPE FERRARO irregolarità procedurale insuscettibile di preludere ad un provvedimento reintegratorio. Altrettanto appezzabile è la facoltà riconosciuta alle organizzazioni sindacali di sanare eventuali irregolarità procedurali nelle varie fasi di consultazione sindacale, come frequentemente avviene, e in conformità del resto ad un indirizzo “pragmatico”25 che si era già andato delineando nella magistratura superiore. In proposito non appassiona granché il dibattito volto a stabilire se occorre una sanatoria esplicita ovvero una sanatoria che si realizza per atti e comportamenti concludenti26: decisiva rimane l’esigenza sostanziale di salvaguardare la funzione connessa alla informativa sindacale, che va comunque verificata in concreto alla stregua dei principi di correttezza e buona fede negoziale27. Peraltro la sottoscrizione di un accordo finale rappresenta comunque un indizio sintomatico di una condivisione delle scelte imprenditoriali che sottintende un’ampia conoscenza della vicenda aziendale, salvo ovviamente prova contraria di consapevoli omissioni e mascheramenti. Più problematica si presenta invece l’articolazione delle sanzioni conseguenti alla violazione della disciplina in materia con una rottura sostanziale della unitarietà della fattispecie e con implicazioni dogmatiche ancora più delicate di quelle registrabili nei licenziamenti individuali28. 25 V. Cass. 24.10.2008, n. 25759. Sul punto v. A. VALLEBONA, La riforma del lavoro, Torino, 2012, p. 66; U. CARABELLI, F. GIUBBONI, I licenziamenti collettivi, cit., p. 395. 27 Le decisioni della Suprema Corte che hanno approfondito la questione chiariscono che solo quando le omissioni o inesattezze abbiano determinato una falsa o incompleta rappresentazione della realtà tale da compromettere il corretto svolgimento dell’esame congiunto con il sindacato, e, quindi, da incidere sulla correttezza dei provvedimenti finali adottati, può determinarsi l’invalidazione della procedura (Cass., S.L., n. 14760 del 15.11.2000; Cass., S.L., n. 10961 del 2.10.1999; conforme: Cass., S.L., 21.7.1998, n. 7169), precisandosi che grava sul lavoratore l’onere di dedurre e provare non solo l’esistenza dei denunciati vizi o carenze delle informazioni, ma anche la rilevanza dei medesimi ai fini di una compiuta, trasparente e consapevole consultazione sindacale (Cass., S.L., n. 1923 del 19.2.2000). 28 Come ben ricostruito nei primi commenti (V. FERRANTE, Modifiche, cit., p. 280), al licenziamento nullo, per mancanza di forma scritta, troverà applicazione il regime della tutela reale “forte”, così come descritto dai commi 1, 2 e 3 del “nuovo” articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (risarcimento integrale per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegra, dedotto solo l’aliunde perceptum); al licenziamento annullabile per violazione dei criteri di scelta, si applicherà la tutela reintegratoria “attenuata” (con detrazione anche del percipiendum e con il tetto massimo di 12 mensilità per il periodo di “estromissione”); mentre al licenziamento intimato in violazione delle norme procedurali, troverà applicazione il regime risarcitorio del comma 5 dello Statuto dei lavoratori (nel testo riformato e richiamato dal comma 7 della stessa norma, in ordine alla non manifesta insussistenza di un giustificato motivo oggettivo) con indennità risarcitoria onnicomprensiva, da determinarsi a iniziativa del giudice tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità. 26 WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 15 Com’è ormai ampiamente noto, la violazione della procedura comporta effetti meramente indennitari, da 12 a 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, di entità quindi più gravosa di quella prevista per il licenziamento individuale affetto da mera irregolarità procedurale, ma che comunque esclude l’effetto reintegratorio. Il che può avere una logica giustificazione nella diversa valenza che assume l’iter procedurale in materia di licenziamenti collettivi. Il licenziamento orale, melius privo della forma scritta, mantiene una tutela piena, anche per la difficoltà di individuare la fattispecie vietata per le questioni connesse ai nuovi vincoli introdotti in materia di dimissioni volontarie. L’effetto reintegratorio è pure preservato nelle ipotesi di violazione dei criteri di scelta, sia pure con un trattamento risarcitorio attenuato. A questo riguardo il legislatore evoca una tutela affine a quella prefigurata per le ipotesi del licenziamento discriminatorio ovvero per motivi illeciti, benché con un trattamento risarcitorio più tenue. L’assimilazione non è del tutto casuale perché l’erronea individuazione dei lavoratori da licenziare sottende o fa presumere l’intenzione di colpire selettivamente alcuni lavoratori per motivi non trasparenti o quanto meno di preservare altri lavoratori al di fuori di quel che imporrebbe l’applicazione di criteri imparziali. 5. Alcune implicazioni sistematiche Da una prima verifica d’insieme delle modifiche introdotte alcune indicazioni emergono subito nitidamente. Innanzitutto per quanto riguarda una improvvida “individualizzazione” del regime giuridico dei licenziamenti collettivi, in qualche modo assimilati a una sommatoria di licenziamenti individuali di cui recepiscono il relativo trattamento giuridico specie sul piano sanzionatorio. Il punto più innovativo, da molti evidenziato, è rappresentato dall’attenuazione delle conseguenze negative connesse alla violazione della procedura sindacale e/o amministrativa, che pure nella concezione originaria della legge n. 223 dovevano rappresentare il core del controllo sociale sui licenziamenti collettivi. Il legislatore mostra di non credere con altrettanta convinzione all’incisività di tale controllo, sicché ne attenua gli effetti sanzionatori lasciando integra la tutela risarcitoria soltanto per la violazione dei criteri di scelta e quindi implicitamente recuperando il ruolo centrale e in qualche modo esclusivo della magistratura29. 29 Sul recupero del sindacato giudiziario anche nel controllo dei motivi addotti a fondamento dei licenziamenti, si soffermano U. CARABELLI, S. GIUBBONI, Il licenziamento collettivo, cit., p. 394, i quali pure sottolineano “un depotenziamento delle tutele del lavoratore coinvolto in una riduzione di personale”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 16 GIUSEPPE FERRARO Le implicazioni sistematiche sono altrettanto problematiche, specie se il licenziamento collettivo viene confrontato con il licenziamento per motivi oggettivi, che appartiene a un’area lato sensu omogenea. Il licenziamento per motivi oggettivi, quand’anche viziato, ha scarse probabilità di dare luogo a un effetto risarcitorio, mentre la violazione dei criteri di scelta nell’ambito di un’operazione di ristrutturazione e riconversione aziendale può determinare la reintegrazione nel posto di lavoro, in termini quindi non diversi da quanto è previsto per la fattispecie di manifesta insussistenza dei motivi di licenziamento oggettivo (ovvero da una fattispecie di licenziamento discriminatorio o per motivo illecito). Sotto altro profilo viene recuperata una fattispecie unitaria di licenziamento collettivo eliminando quella sottospecie rappresentata dalla procedura di mobilità, in qualche misura a conferma della circostanza che l’istituto ha avuto sempre una conformazione unitaria anche sul piano dei requisiti numerici e del sindacato giudiziario (e a nulla valendo i diversi percorsi per pervenire alla sua attivazione)30. A fronte di tale unitarietà della fattispecie viene alquanto disarticolato il regime sanzionatorio con una sostanziale derubricazione dei vizi della procedura che, non solo è possibile sanare in corso di trattativa, ma che in caso di violazione non danno luogo a effetti reintegratori ma soltanto di tipo risarcitorio, anche se di importo consistente muovendosi in una fascia che va da dodici a ventiquattro mensilità. Peraltro, come si è giustamente rilevato, tale diverso regime non è affatto raccordato con la possibilità che i sindacati agiscano alla stregua dell’art. 28 dello statuto, per conseguire il risultato ben più radicale dell’annullamento dell’intera procedura seguita. 6. La soppressione dell’istituto della mobilità Come più volte evidenziato, il tema della gestione degli esuberi di personale non si esaurisce certo nel ricostruire la disciplina in materia di licenziamenti collettivi, che costituisce soltanto un capitolo della relativa problematica, ma va sviluppato in un contesto più ampio che tenga conto essenzialmente delle varie forme di protezione sociale sia interne che esterne al rapporto di lavoro. In questa ottica, ancor prima delle novità introdotte, rilevano marcatamente gli istituti espressamente soppressi, tra i quali risalta quello della mobilità (sia pure con efficacia definitiva 30 La tesi sulla doppia procedura di accesso ai licenziamenti collettivi è ampiamente sviluppata da U. CARABELLI anche nell’ultimo contributo citato, e su essa si sofferma G. PASCARELLA, I licenziamenti collettivi, cit., p. 221 ss.; per la tesi contraria R. DEL PUNTA, I licenziamenti collettivi, in M. PAPALEONI, R. DEL PUNTA, M. MARIANI (a cura di), La nuova cassa integrazione guadagni e la mobilità, Milano, 1992, p. 348 ss., e G. FERRARO, in AA.VV., Integrazioni salariali, cit. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 17 soltanto dall’1.1.2017), che ha costituito un pilastro fondamentale attorno al quale ruotavano le procedure sindacali di riduzione del personale. Come da molti rilevato31, l’abrogazione dell’indennità di mobilità che consentiva tra l’altro un avvicinamento progressivo al pensionamento, specie nella versione della mobilità lunga – vanifica il regime speciale di protezione dei lavoratori implicati in un licenziamento collettivo rendendo così difficile il raggiungimento di un accordo sindacale. Ed invero, la facoltà di disporre di un trattamento indennitario di un importo non molto inferiore a quello retributivo, unitamente a una serie di benefici collaterali, ha reso per i singoli meno allarmante la prospettiva di affrontare un periodo di disoccupazione – anche per l’eufemismo implicito nella denominazione dell’istituto della mobilità che evoca un’illusoria prospettiva dinamica – e ha quindi favorito una gestione partecipata delle relative procedure, sino al punto che ha persino finito per incidere sull’applicazione dei criteri selettivi dei lavoratori da collocare in mobilità. Tra questi è venuto del tutto naturale dare la precedenza al criterio della prossimità all’età di pensionamento in quanto considerato comunque meno traumatico e più tollerabile dalla platea dei possibili interessati32. Abrogato l’istituto della mobilità, i licenziamenti collettivi si presentano “nudi e crudi”, con la blanda tutela dell’assicurazione per l’impiego la quale, per i limiti soggettivi e oggettivi di copertura, difficilmente può venire ad assolvere un ruolo equivalente all’indennità di mobilità. Peraltro, a fronte delle difficoltà di raggiungere accordi collettivi, permangono notevoli costi per l’ipotesi del loro mancato raggiungimento, considerato l’onere a carico del datore di lavoro di versare un contributo o ticket contestualmente al licenziamento, che viene addirittura triplicato nel caso dei licenziamenti collettivi allorquando la dichiarazione di eccedenza di manodopera non sia stata concordata in sede sindacale33. 31 Cfr. G. FERRARO, Ammortizzatori sociali e licenziamenti collettivi nella riforma del mercato del lavoro, in MGL, 2012, p. 488 ss.; M. CINELLI, Il welfare tra risparmio e razionalizzazione. Gli interventi di riforma 2011-2012 su pensioni e ammortizzatori sociali, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato, cit., p. 410; P. BOZZAO, L’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI), in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato, cit., p. 429. 32 Tale meccanismo, come si era venuto a configurare nella prassi applicativa, ha costituito anche un modello di riferimento per i settori esclusi che hanno cercato di elaborare soluzioni incentivate in qualche modo affini a quelle prefigurate dal legislatore. 33 Il comma 31 dell’art. 2, come sostituito dalla legge n. 228/2012, prescrive a carico dei datori di lavoro in tutti i casi di interruzione del rapporto a tempo indeterminato l’obbligo di corrispondere una somma pari al 41% del massimale mensile Aspi per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. La misura del ticket è triplicata nel caso di WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 18 GIUSEPPE FERRARO Sicché, in mancanza di rimedi adeguati, risulta facile prevedere sia il riproporsi di un sostanziale blocco dei licenziamenti collettivi, con un contestuale reiterarsi di un uso disinvolto delle integrazioni salariali, sia un recupero dei criteri legali di selezione dei lavoratori da licenziare, con tutta la carica di litigiosità che essi comportano. 7. I fondi bilaterali nelle crisi occupazionali Il legislatore si rende conto del vuoto che si è determinato e, nel quadro di un’operazione di valorizzazione dei fondi bilaterali, attribuisce agli stessi una funzione aggiuntiva, strettamente connessa allo svolgimento delle procedure di riduzione del personale e destinata a sostituire lato sensu gli istituti abrogati. Come già anticipato, le principali funzioni opzionali assegnate ai fondi si traducono testualmente nelle seguenti finalità: “a) assicurare ai lavoratori una tutela in caso di cessazione dal rapporto di lavoro, integrativa rispetto all’assicurazione sociale per l’impiego; b) prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; c) contribuire al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea” (art. 3, comma 11, legge cit.). Disciplina, questa, che va poi integrata con quanto prevede il comma 32, che elenca le varie prestazioni erogabili nei termini seguenti: “a) prestazioni integrative, in termini di importi o durate rispetto alle prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali34; b) assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza di personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale. Inoltre la recente legge di stabilità (l. n. 228/2012) da una parte ha abbassato la misura dal 50% al 41% della nuova tassa di licenziamento con decorrenza dall’1.1.2013, da un’altra parte ha alzato la base di calcolo correlandola non più all’indennità ASpI spettante al lavoratore ma al suo minimale pari a € 1.119,00 nel 2013. La novità si riflette in modo accentuato sui licenziamenti collettivi per i quali è previsto il pagamento del ticket nella misura triplicata dall’1.1.2017, allorquando cioè verrà meno l’indennità di mobilità. Per il periodo 2013/2015 il ticket non andrà versato: a) per i licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in attuazione di clausole sociali che garantiscono la continuità occupazionale, e b) per le interruzioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel settore edile per completamento dell’attività o chiusura di cantiere. 34 Comma così modificato dalla l. 24.12.2012, n. 228. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 19 che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; c) contributi al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionale o dell’Unione europea”. Sempre nell’ottica di devolvere ai fondi bilaterali ulteriori compiti rispetto a quelli tradizionalmente assegnati, l’art. 3, comma 17 della legge n. 92, ha stabilito, in via sperimentale, per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015, che l’indennità di cui all’art. 2, comma 1 della legge, sia riconosciuta anche ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2, comma 4, e subordinatamente a un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali di cui al comma 14, ovvero a carico dei fondi di solidarietà di cui al comma 4 del presente articolo (in ogni caso la durata massima del trattamento non può superare i 90 giorni da computare in un biennio mobile ed è erogata nei limiti del finanziamento prestabilito). Merita subito di essere evidenziato che tali funzioni aggiuntive sono assegnate non solo ai fondi a costituzione obbligatoria (comma 11, art. 3), deputati prioritariamente a introdurre ammortizzatori sociali nei settori carenti, ma anche ai fondi a costituzione facoltativa introdotti nei settori già coperti dalle forme tradizionali di tutela dei redditi (comma 12, art. 3), i quali pertanto potranno dedicarsi in via prioritaria alle descritte attività35. Sommarie indicazioni vengono fornite in merito ai predetti fondi, per lo più estendendo, almeno parzialmente, clausole previste per i fondi obbligatori. A tal fine il comma 12, art. 3, precisa che per le finalità di cui al comma 11 “i fondi possono essere istituiti con le medesime modalità di cui al comma 4, anche in relazione a settori e classi di ampiezza già coperti dalla normativa in materia di integrazione sindacale”, per poi limitarsi, per un verso, a prevedere, per il caso di erogazione di prestazioni straordinarie, un contributo “di importo corrispondente al fabbisogno di copertura degli assegni straordinari erogati e della contribuzione correlata” (comma 24), e, per altro verso, chiarendo che “ai 35 D’altro canto tali funzioni avevano fortemente improntato le numerose iniziative legislative e contrattuali che si erano registrate sin dalla seconda metà degli anni ’90 attraverso la costituzione di fondi concepiti con l’obiettivo specifico di agevolare i processi di esodo del personale e di ristrutturazione (privatizzazione) delle imprese (v. infra). Si ricorda in particolare quanto già previsto dall’art. 2, comma 28, legge n. 662, le cui più significative esperienze si sono registrate nel settore del credito e delle assicurazioni, ovvero quelle intervenute con riferimento a enti di interesse nazionale quali le Poste Italiane, l’Alitalia e il trasporto pubblico locale etc.. Sul tema, in aggiunta agli Autori già citati sub nt. 9, v. S. LAFORGIA, Gli ammortizzatori sociali di fonte collettiva: fondi di solidarietà, in P. CHIECO (a cura di), Licenziamenti, cit., Bari, 2013, p. 570-571. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 20 GIUSEPPE FERRARO contributi di finanziamento di cui ai commi da 22 a 24 si applicano le disposizioni vigenti in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria, ad eccezione di quelle relative agli sgravi contributivi” (comma 25). Su tutti i fondi poi incombe la prescrizione di carattere generale, confermata nel comma 26, secondo cui “i fondi istituiti ai sensi dei commi 4, 14, e 19, hanno obbligo di bilancio in pareggio e non possono erogare prestazioni in carenza di disponibilità”36. 8. Le principali attività non standard A volere approfondire le principali attività opzionali assegnate ai fondi bilaterali, essi sono autorizzati a erogare essenzialmente una doppia tipologia di prestazioni, quelle volte a integrare i trattamenti assistenziali rispetto a quanto già garantito dall’Aspi (e ora da analoghe forme associative), e quelle dirette ad agevolare l’esodo di “lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni” (meno significativi ai fini del discorso in trattazione sono i contributi per programmi formativi). Entrambe le prestazioni sono direttamente indirizzate nei confronti di lavoratori destinati a perdere il posto di lavoro, anche se quelle del primo tipo hanno una portata generale mentre quelle del secondo tipo hanno una portata selettiva. In particolare, le erogazioni economiche del primo tipo possono tradursi in una integrazione dei trattamenti di disoccupazione oppure in un prolungamento della durata degli stessi, anche se non è da escludere la possibilità di integrare i due benefici. A questo riguardo il legislatore implicitamente ammette la cumulabilità dell’indennità di disoccupazione con trattamenti aggiuntivi ove previsti dalla contrattazione collettivi ed erogati attraverso i fondi di solidarietà. Come già anticipato, la disciplina relativa a questa prima tipologia di prestazione è stata in parte modificata dall’art. 1, comma 251, lett. c), della legge di stabilità (legge n. 228/2012), che, da un lato, ha esteso l’intervento integrativo dei fondi di solidarietà a tutte le “prestazioni pubbliche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro”, oltre quindi l’ipotesi della integrazione dell’Aspi, e dall’altro vi ha compreso “le prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali”37. 36 Sulla tipologia delle prestazioni erogate dai fondi in esame v. pure commi 32, 33, 34 dell’art. 3 37 Così già A. TURSI, I fondi di solidarietà bilaterali, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato, cit., p. 516. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 21 Più articolata è la seconda funzione, e cioè quella che si traduce nell’erogare assegni straordinari per il sostegno del reddito, nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, ai lavoratori prossimi all’età di pensionamento, che potrebbe far pensare a una riedizione aggiornata delle politiche di prepensionamento38. Ulteriore funzione opzionale dei fondi di solidarietà bilaterale consiste nel contribuire “al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionale o dell’Unione europea” (art. 3, comma 32, lett. c). Non si tratta in questo caso di una prestazione previdenziale ma di una forma di cofinanziamento di programmi formativi, che può accompagnarsi a periodi di sospensione dell’attività lavorativa ovvero alla risoluzione dei rapporti di lavoro specie se inquadrata nell’ambito di operazioni di esodo agevolato39. Come giustamente rilevato40, quest’ultima funzione è destinata ad assumere un peso crescente nell’attività dei fondi non solo per la periodicità delle operazioni aziendali di ricambio del personale, ma ancor 38 È questo, in particolare, un trattamento che tradizionalmente ha trovato ampio svolgimento nel settore del credito e ha consentito un riassetto del sistema bancario correlato con un intenso turnover della manodopera. In quel settore si è consolidata un’intensa prassi operativa sia sul piano delle procedure amministrative sia con riferimento ai rapporti intercorrenti con l’ente previdenziale. Si ricorda che al Fondo di solidarietà nel settore del credito è assegnato un intervento ordinario con funzioni di tamponamento di situazioni temporanee di difficoltà dell’impresa allo scopo di contribuire: a) al finanziamento di programmi formativi di riconversione e/o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali e/o comunitari (art. 6, comma 1, punto 1, lettera a, d.m. 28.4.2000, n. 158); b) al finanziamento di specifici trattamenti a favore dei lavoratori interessati da riduzioni dell’orario di lavoro o da sospensione temporanea dell’attività lavorativa anche in concorso con gli appositi strumenti di sostegno previsti dalla legislazione vigente (art. 6, comma 1, punto 2, lett. a, d.m. cit.). E’ altresì previsto un intervento straordinario per il sostegno al reddito a favore dei lavoratori licenziati, prossimi ai requisiti minimi per la fruizione del trattamento pensionistico di anzianità o di vecchiaia, nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, entro un arco temporale di 60 mesi, antecedenti la decorrenza del trattamento obbligatorio (art. 6, comma 1, lett. b, d.m. cit.; accordo quadro 8.7.2011). Infine, il Fondo di solidarietà eroga prestazioni emergenziali di cui all’art. 11-bis del d.m. n. 158/2000 a favore dei lavoratori in esubero, non aventi i requisiti per l’accesso alle prestazioni straordinarie in condizione di disoccupazione involontaria (art. 6, comma 1, lett. c, d.m. cit.). In termini M. SQUEGLIA, Previdenza contrattuale, cit., p. 635. 39 Come si è rilevato, nel comma 17 dell’art. 3, si rinviene un’ulteriore finalità integrativa dei fondi di solidarietà, e cioè quella di integrare, nella misura minima del 20%, l’indennità erogata dall’Aspi ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali. Dal combinato disposto di questa norma con quella che abroga l’art. 19, comma 1-bis, l. n. 2/2009, deriva il venir meno della possibilità di essere ammessi agli ammortizzatori in deroga (nel periodo di loro residua vigenza: 2013-2016), in mancanza dell’integrazione economica dell’indennità di disoccupazione a carico dei fondi di solidarietà (così testualmente A. TURSI, I fondi, cit., p. 491). 40 A. TURSI, I fondi, cit. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 22 GIUSEPPE FERRARO più per l’allungamento dell’età pensionabile che impone un continuo adeguamento della manodopera alle trasformazioni del mercato del lavoro. Il legislatore nulla dice in merito al modo in cui l’attività dei fondi possa raccordarsi con le procedure di licenziamento collettivo e in particolare se l’attivazione di questi rimedi presupponga comunque che venga preventivamente messo in moto il procedimento legislativo sulla riduzione del personale. A questo riguardo si è opportunamente segnalato41, riferendosi a pregresse esperienze, come i fondi istituti ai sensi dell’art. 2, comma 28, legge n. 662/1996, prevedano espressamente, per gli interventi in caso di sospensione o riduzione del lavoro, il preventivo espletamento “delle procedure contrattuali previste per i processi che modificano le condizioni di lavoro del personale, ovvero determinano la riduzione dei livelli occupazionali, nonché di quelle legislative là dove espressamente previste”; e per gli interventi di esodo incentivato il rispetto “delle procedure contrattuali preventive e di legge previste per i processi che determinano la riduzione dei livelli occupazionali”. Ciò indurrebbe a ritenere che anche con riferimento all’assegno straordinario di accompagnamento alla pensione, trattandosi di un’operazione di riduzione collettiva del personale, la sua erogazione dovrebbe essere preceduta dall’attivazione della procedura di licenziamento collettivo di cui all’art. 4, legge n. 223/199142. Tuttavia tale modus operandi non sembra inevitabile e non corrisponde del tutto alle prassi sperimentate. Nulla esclude che un accordo sindacale possa autonomamente prevedere l’erogazione ad opera del fondo di assegni straordinari nei confronti dei dipendenti che abbiano i requisiti per un prossimo pensionamento al fine di agevolarne l’esodo, sempre che l’intera procedura sia gestita in un’ottica consensualista e volontarista (argomentazione confermata dall’art. 4, comma 1, come modificato dalla l. n. 221/2012). Ciò anche perché la risoluzione del rapporto in questi casi difficilmente si traduce in un licenziamento quanto piuttosto si fonda su accordi di mutuo consenso per lo più sottoscritti dinanzi agli uffici del lavoro e/o con l’intervento delle organizzazioni sindacali43. 41 In questi termini per tutti amplius A. TURSI, I fondi, cit., p. 518 ss. Sul punto v. A. TURSI, I fondi, cit., p. 519; A. PANDOLFO, I. MARIMPIETRI, Ammortizzatori sociali “fai da te”: il caso del settore del credito, in RPPP, 2001, p. 181; P. TULLINI, In attesa di una riforma: il fondo di solidarietà dei bancari, in LD, 1999, p. 337; R. DEL PUNTA, I vecchi e i giovani: spunti sui criteri di scelta dei lavoratori in esubero, in LD, 1999, p. 403. 43 In questi termini il recente accordo quadro dell’8.7.2011 del settore del credito, dopo avere significativamente modificato la denominazione del relativo fondo di solidarietà (ora “fondo di solidarietà per la riconversione e riqualificazione professionale, per il sostegno dell’occupazione e del reddito del personale del credito”), ha stabilito che (comma 2) “le parti (…) si impegnano a valorizzare la possibilità che il ricorso alle prestazioni straordinarie 42 WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 9. La vincolatività degli prestazioni straordinarie accordi 23 sindacali sulle Anche con riferimento alle prestazioni opzionali offerte dai fondi, si pone il problema, che ha di frequente travagliato il funzionamento degli enti bilaterali, se la relativa disciplina promossa da accordi sindacali delle associazioni più rappresentative sul piano nazionale assuma carattere vincolante nei confronti delle imprese non iscritte alle associazioni stipulanti, le quali sarebbero pertanto tenute ad erogare la relativa contribuzione. Il problema non è nuovo avendo già interessato l’attività degli enti bilaterali, e non è stato affatto risolto dalla normativa che in vario modo obbliga ad applicare i trattamenti previsti dai contratti collettivi per accedere a determinati benefici pubblici di carattere incentivante (v. in part. art. 3, d.lgs. n. 71/1993, conv. in l. n. 151/1993; ma v. pure art. 10, l. n. 30/2003), anche perché rimane controverso stabilire se i trattamenti erogati dagli enti bilaterali siano da ascrivere alla parte obbligatoria, ovvero a quella normativa, dei contratti collettivi44. La specifica questione è stata già ampiamente vagliata con riferimento ai fondi a costituzione obbligatoria, con riguardo ai quali si è del fondo di solidarietà, avvenga, ove ne sussistano i presupposti, sulla base di un accordo tra le parti aziendali o di gruppo stipulato nell’ambito delle procedure contrattuali che riguardano i processi che determinato tensioni occupazionali”. “A tal fine le parti aziendali o di gruppo, ferme le previsioni di cui al DM n. 158/2000, possono pervenire ad un accordo, come fattispecie distinta del medesimo senza ricorrere alle procedure di cui alla l. n. 223/1991 che definisca, anche nell’ambito di piani di incentivazione all’esodo, le modalità di esodo volontario rivolto a tutto il personale dipendente in possesso dei requisiti per l’accesso alle prestazioni straordinarie di fondo”. Per poi aggiungere al comma 4 che “gli assegni straordinari saranno erogati dal fondo per il periodo massimo di 60 mesi antecedente l’effettiva decorrenza dei trattamenti pensionistici (ivi comprese le cd. finestre)”. Peraltro l’accordo in questione, delineando un tracciato destinato ad essere seguito dai futuri fondi per il sostegno del reddito e dell’occupazione, cerca di rilanciare i contratti di solidarietà, sia difensivi che espansivi, con una regolamentazione in parte innovativa e più accattivante rispetto a quella legale che ha registrato sinora insoddisfacente applicazione. 44 La giurisprudenza ha interpretato l’art. 3, l. n. 151/1993, nel senso che lo stesso non determina l’onere del versamento della contribuzione all’ente bilaterale, sul rilievo che il versamento era contemplato dalla parte obbligatoria del contratto collettivo e dunque non era riconducibile nell’ambito del trattamento economico e normativo richiamato dalla legge (v. Cass. 6530/2011; e più di recente Cons. Stato n. 6732/2010). Com’è noto sul punto poi è intervenuto poi l’art. 10, l. n. 30/2003, interpretato in termini riduttivi dalla circ. del Ministero del lavoro 15.1.2004, n. 4, molto contestata da una parte della dottrina. Sul tema v. in part. V. BAVARO, Note sugli enti bilaterali e libertà sindacale, in LG, n. 12/2007, p. 1173.; v. pure F. CARINCI, Il casus belli degli enti bilaterali, in LD, 2003, p. 206; L. MARIUCCI, Interrogativi sugli enti bilaterali, ivi, 2003, p. 171; G. ZILIO GRANDI, Enti bilaterali e problemi di rappresentanza sindacale nella legge di delega n. 30/2003, ivi, 2003, p. 194; nonché da ultimo F. LISO, Legge, autonomia collettiva e bilateralità: un caso problematico. Eccesso di potere del contratto collettivo, in RDSS, 2012, p. 55. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 24 GIUSEPPE FERRARO fatto osservare che nel caso di specie il trattamento economico a favore dei lavoratori temporaneamente sospesi non può essere considerato come un beneficio a favore dell’impresa quanto piuttosto come un trattamento assistenziale che deve essere istituito a favore dei dipendenti. L’ordinamento si fa carico di questa esigenza, ritenuta ormai imprescindibile, e l’affronta delegando l’attivazione dell’apposito fondo alle OO.SS. rappresentative del settore. Ma l’accordo sindacale di per sé esercita soltanto una funzione promozionale tutt’altro che esaustiva. Esso infatti va ad inserirsi all’interno di un procedimento composito, imposto dal legislatore quanto alla sua necessarietà, e non a caso regolato prevalentemente da atti eteronomi finalizzati a incardinare il fondo all’interno del principale istituto previdenziale, al quale sono pure affidate importanti funzioni di amministrazione e di controllo, segnatamente per quanto concerne la salvaguardia degli equilibri finanziari. Ciò vuol dire che sarebbe del tutto semplicistico valutare l’accordo sindacale, peraltro affidato all’iniziativa delle organizzazioni “rappresentative” del settore, alla stregua di un atto di autonomia negoziale del tutto autosufficienti, quando è piuttosto evidente che esso è espressione di una delega di una funzione assistenziale di interesse generale rilevante per l’intera collettività dei soggetti interessati. Per questo motivo la funzione dell’accordo si esprime essenzialmente nella fase istitutiva dopodiché tutto risulta regolamentato in termini più o meno imperativi45. Indubbiamente la predetta ricostruzione è meno pertinente con riferimento alle funzioni opzionali e facoltative assegnate ai fondi, con riferimento alle quali dovrebbero riprendere ad operare i tradizionali paradigmi associativi. E tuttavia anche in questo caso occorre considerare, per un verso che non sembra del tutto coerente una ricostruzione giuridica dell’attività dei fondi differenziata a seconda delle diverse funzioni esercitate, anche perché esse frequentemente si integrano, per altro verso che anche le predette attività opzionali si 45 In termini contrastanti v. S. LAFORGIA, Gli ammortizzatori, cit., e V. BAVARO, Pubblico e privato nei fondi bilaterali di solidarietà, in P. CHIECO (a cura di), Licenziamenti, cit., p. 155; ma v. pure quanto rileva M. SQUEGLIA, con riferimento all’esperienza del fondo del credito, secondo cui “a seguito dell’esercizio della potestà regolamentare del Governo (…) la questione si è spostata su un piano marginale, che sfuma notevolmente, consentendo di superare il problema della efficacia erga omnes del contratto collettivo, attesa la rilevanza secondaria assunta dalla fonte istitutiva. Più precisamente, i rapporti giuridici previdenziali, previsti dal Fondo, sebbene disciplinati ab origine come atti negoziali, si incardinano solo a seguito dell’emanazione del decreto interministeriale che recepisce l’accordo collettivo. In questo modo, la volontà negoziale, il cui prodotto è l’accordo contrattuale, è assorbita dalla fonte regolamentare; parimenti, sono assorbiti tutti gli obblighi derivanti dall’accordo medesimo, incluso quello di contribuzione al finanziamento del Fondo”. Sul tema v. pure G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà e sistemi previdenziali, cit. p. 36. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 25 inquadrano per lo più all’interno di un procedimento amministrativo che contempla il necessario coinvolgimento dell’ente previdenziale. Sicché non sembra né ragionevole né equo pensare che l’applicazione dei relativi trattamenti sia esclusivamente determinata da fattori volontaristici. Sotto questo profilo è decisivo quanto precisato nel comma 16, art. 3, ad esordio della regolamentazione relativa ai fondi bilaterali, ove si precisa che “in considerazione delle finalità perseguite dai fondi di cui al comma 14, volti a realizzare ovvero integrare il sistema, in chiave universalistica, di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro e in caso di sua cessazione”, sono definiti con “decreto ministeriale” i requisiti per l’amministrazione dei fondi bilaterali. In termini più generali, sembra difficile negare una naturale proiezione dell’attività dell’ente bilaterale a coprire l’intera area soggettiva di riferimento. Infatti ci troviamo di fronte ad un servizio supplementare introdotto dalla contrattazione collettiva che si traduce in una peculiare forma di tutela economica strutturata diversamente da quelle tradizionali ma non rispetto ad esse eterogenea. A questo riguardo, ai fini estensivi della portata soggettiva, il legislatore si affida alle tecniche tradizionali ormai collaudate: da una parte riconosce il ruolo promozionale e costitutivo dei fondi alle associazioni “comparativamente” più rappresentative del settore – sul presupposto che esprimono gli interessi dell’intera area contrattuale – da un’altra parte connette la vincolatività del contratto al conferimento di benefici e incentivi di cui ormai è disseminata la legislazione del lavoro (v. art. 10, l. n. 30/2003). Nei termini prospettati può condividersi la critica indirizzata nei confronti di un certo orientamento giurisprudenziale (su cui v. per tutte Cass. n. 6530/2001) ad affrontare la questione sulla base della distinzione tra parte obbligatoria e parte normativa del contratto collettivo, che viene messa in discussione proprio dalla costituzione degli enti bilaterali e dalla relativa attività46. Così come è convincente osservare che l’adesione al fondo non determina né una violazione della libertà sindacale negativa, né implica l’adesione in qualche modo forzosa ai soggetti sindacali che ne hanno promosso la costituzione, giacché il fondo ha una piena autonomia economica e giuridica rispetto ai soggetti promotori dello stesso (così come l’applicazione del contratto collettivo con varie tecniche incentivata non determina alcuna violazione della libertà sindacale)47. 46 Così v. V. BAVARO, Note sugli enti bilaterali, cit.; e da ultimo F. LISO, Legge, autonomia collettiva e bilateralità, in RDSS, 2012, p. 55. 47 Più delicata è la questione relativa all’amministrazione dei fondi che in alcuni casi hanno dato luogo a sperperi e approfittamenti, sicché diventa imprescindibile un adeguato controllo pubblico come quello che ha riguardato le Casse professionali di previdenza. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 26 GIUSEPPE FERRARO Meno convincente è la tendenza emersa nella contrattazione collettiva (in particolare nel comparto artigiano del 23.7.2009, nel terziario del 26.2.2011) a contemplare dei costi supplementari a carico delle imprese che non intendono aderire al sistema della bilateralità prevedendo un’indennità retributiva supplementare aggiuntiva da attribuire ai lavoratori. La finalità deterrente in tal modo perseguita non sembra affatto ineccepibile e può venire a configurare, come giustamente osservato, una forma di “eccesso di potere” del contratto collettivo segnatamente sotto il profilo della disparità di trattamento che è suscettibile determinare tra analoghe posizioni lavorative48. 10. La vincolatività dei trattamenti nei confronti dei singoli lavoratori Diversa è invece la questione della vincolatività dei trattamenti prefigurati nei confronti dei lavoratori coinvolti nella singola procedura là dove posseggano i requisisti richiesti. In linea di principio può ritenersi che il coinvolgimento dei dipendenti interessati può assumere carattere vincolante soltanto nell’ipotesi in cui le relative prestazioni integrative vengano incanalate nell’ambito della procedura di licenziamento di cui alla legge n. 223/1991 e allorquando un tale criterio di selezione sia stato espressamente concordato in sede sindacale in sostituzione dei criteri legali49. A questo riguardo si ripropone il problema, anch’esso più volte affrontato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sulla possibile valenza discriminatoria in base all’età di accordi orientati ad espellere in via prioritaria i lavoratori prossimi al pensionamento. Anche tale questione è stata più volte vagliata in sede giurisprudenziale, ove si è dovuto prendere atto della sostanziale ragionevolezza di un’opzione fondata sull’età, in quanto non eccessivamente pregiudizievole per i lavoratori coinvolti e al contempo suscettibile di favorire un successivo ricambio generazionale50. 48 Così efficacemente F. LISO, Legge, cit. Per giunta, come si è giustamente rilevato, la questione viene ormai frequentemente disciplinata nell’ambito della contrattazione collettiva ove si tende a privilegiare la scelta volontaristica del singolo suscettibile di prevenire qualunque coercizione. 50 Su cui v. Cass. 23.3.1998, n. 3057, in RIDL, 199, II, p. 197 ss.; Cass. 7.12.1999, n. 13691, in GC Mass., 1999, p. 2740 ss.; Cass. 24.4.2007, n. 9866, in GC Mass, 2007, p. 4 ss. Secondo la Suprema Corte può considerarsi adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di mobilità lunga, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e la facoltà sindacale di sostituire i criteri legali adottando anche un unico criterio di scelta a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi arbitrio da parte del datore di lavoro (Cass. 24.4.2007, n. 9866). 49 WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 27 Del resto giova ricordare che l’art. 6 della direttiva comunitaria 27.11.2000, n. 2000/78, sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, si mostra assai cauto nella valutazione di criteri di discriminazione correlati all’età, prevedendo, solo per questa forma di discriminazione, un’inusitata clausola di giustificazione a contenuto aperto51. In coerenza con le predette indicazioni contenute nella direttiva comunitaria - e condivisa in linea di principio la ragionevolezza dell’opzione in relazione alla posizione più protetta dei lavoratori prossimi alla pensione - si deve ritenere che la questione non possa essere affrontata in termini astratti e generali ma vada piuttosto verificata in riferimento alla singola situazione concreta tenendo conto di vari fattori da valutare: quali i motivi che hanno determinato l’eccedenza di personale, le qualifiche implicate, il numero dei lavoratori che può essere coinvolto nella procedura, la loro collocazione aziendale, etc.52. 11. La procedura aziendalistica di incentivi all’esodo Oltre le ipotesi indicate, il legislatore individua un’altra procedura tipica per affrontare i problemi di eccedenza di personale, di matrice per così dire domestica, in quanto integralmente fondata su accordi aziendali stipulati tra datori di lavoro (che impiegano mediamente più di 15 dipendenti) e “le OO.SS. maggiormente rappresentative a livello aziendale”. In questa prospettiva gli accordi “possono prevedere che al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si impegna a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a corrispondere all’Inps la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento” (art. 4). La norma, impropriamente 51 Ai sensi dell’art. 6, n. 1, gli Stati membri possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione “là dove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”. Su tale clausola v. D. PAPA, Divieto di discriminazione per età e autonomia collettiva, in RDSS, 2012, 2, p. 313 ss. 52 Sul piano fiscale, come si è opportunamente precisato, gli assegni straordinari di accompagnamento alla pensione vanno considerati redditi sostitutivi della retribuzione, assoggettati come tali a tassazione ordinaria ove corrisposti in forma rateale (v. combinato disposto degli artt. 6, comma 2, e 49, TUIR). Ove invece corrisposti in un’unica soluzione alla cessazione del rapporto, essi sono equiparabili ad “altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro”, e quindi sono assoggettati a tassazione separata (ai sensi del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. a, e 19, comma 2, TUIR). Sul punto v. A. TURSI, I fondi di solidarietà bilaterale, cit., p. 517 ss., nonché sui fondi istituiti ex art. 2, comma 28, legge n. 662/96, G. SIGILLÒ MASSARA, Fondi di solidarietà, cit., p. 75 ss. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 28 GIUSEPPE FERRARO collocata nell’art. 4, comma 1 ss., anziché nell’art. 3, come sarebbe stato più pertinente53, disegna una procedura standard esclusivamente a favore dei “lavoratori più anziani”, genericamente evocati, per poi precisarsi che i lavoratori coinvolti nel programma devono raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro (qui il numero di anni è ridotto rispetto alla distanza di cinque anni prevista con riferimento ai fondi bilaterali). A tal fine viene previsto un percorso inedito di integrazione di un accordo aziendale con una procedura di carattere amministrativo, che fa capo all’Inps, sintetizzata nei passaggi essenziali nel comma 3, ove si precisa che: “allo scopo di dare efficacia all’accordo di cui al comma 1, il datore di lavoro interessato presenta apposita domanda all’Inps accompagnata dalla presentazione di una fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità in relazione agli obblighi”, dopodiché (comma 4) “l’accordo diviene efficace a seguito della validazione da parte dell’Inps”. In virtù di tale meccanismo, se l’accordo aziendale costituisce la premessa necessaria per avviare la procedura, è poi necessario che il datore di lavoro, allo scopo di dare seguito all’intesa sindacale, presenti una domanda all’Inps a garanzia della solvibilità degli impegni assunti, sicché l’accordo diviene realmente efficace soltanto dopo la “validazione” da parte dell’Ente previdenziale, che effettua l’istruttoria dei requisiti necessari sia sul versante dei lavoratori interessati sia degli impegni assunti dal datore di lavoro. In attuazione del predetto accordo, il datore di lavoro è obbligato a versare mensilmente all’Inps la provvista per le prestazioni e per la contribuzione figurativa, in assenza della quale l’Inps “è tenuto a non erogare le prestazioni” se non dopo avere proceduto all’escussione della fideiussione. Il legislatore sembra volere chiarire che si tratta di un trattamento previdenziale anticipato, giacché il pagamento viene effettuato dall’Inps “con le modalità previste per il pagamento delle pensioni”, anche se contestualmente “l’istituto provvede all’accredito della relativa contribuzione figurativa”, anch’essa finanziata dall’impresa. Ma è opportuno rimarcare la matrice anche para-retributiva della prestazione visto che l’onere è integralmente a carico del datore di lavoro54. 53 Così P. SANDULLI, L’esodo incentivato, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA (a cura di), Il nuovo mercato, cit. 54 Secondo P. SANDULLI, L’esodo, cit., p. 565, l’accordo collettivo, quand’anche negoziato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223/1991 “si caratterizza con un profilo di volontarietà dell’adesione dei singoli lavoratori interessati al trattamento di esodo”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 29 Sul piano strutturale, ci si trova in presenza di un’operazione tipizzata di esodo incentivato, che si traduce in una sorta di prepensionamento convenzionale i cui oneri, anziché gravare sull’ente previdenziale ovvero su qualche entità di matrice mutualistica, sono integralmente posti a carico del datore di lavoro. La predisposizione di una regolamentazione ad hoc, in controtendenza rispetto alla disciplina sul pensionamento, lascia trasparire una chiara opzione favorevole alla diffusione di tali operazioni di prepensionamento, nonostante siano sempre più difficili da realizzare e comunque risultano praticabili soltanto se adeguatamente finanziate. La norma pone i consueti problemi già accennati con riferimento ai fondi bilaterali, sia per quanto concerne la vincolatività dell’accordo aziendale stipulato con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale nei confronti dell’intera collettività, sia in ordine alla vincolatività dello stesso nei confronti dei singoli lavoratori che vi sono coinvolti. In questo caso la soluzione sembra agevolata dalla disposizione di cui all’art. 8, d.lgs. n. 135/2011, conv. in l. n. 148/2011, a proposito della “contrattazione collettiva di prossimità”, che contempla “specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali”, e ciò anche in ragione del richiamo espresso contenuto nella norma, tra gli obiettivi perseguibili con la contrattazione in deroga, anche di quello di concorrere alla gestione delle crisi occupazionali. Né particolarmente significativo può essere il riferimento tradizionale (ormai anacronistico) alle organizzazioni “maggiormente” rappresentative anziché a quelle “comparativamente” più rappresentative, atteso che il primo criterio è ancora di uso corrente allorquando la rappresentatività viene evocata a livello aziendale. Per quanto poi concerne la vincolatività nei confronti dei singoli, deve convenirsi con coloro che hanno rimarcato il carattere volontaristico dell’intera operazione che espressamente è rivolta a incentivare l’esodo spontaneo dei lavoratori55. Ciò sembra coerente anche nell’ipotesi in cui l’accordo in questione venga a collocarsi all’interno di una procedura di licenziamento collettivo regolata dagli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991 (come ora espressamente previsto dall’integrazione al comma 1 apportata dal d.lgs. 18.10.2012, n. 179, conv. in l. 17.12.2012, n. 55 Su questo profilo insiste P. SANDULLI, L’esodo, cit., p. 565 ss., ritenendo necessaria l’adesione, che implica disponibilità alla risoluzione consensuale del contratto di lavoro, sul quale può significativamente pesare la circostanza (del tutto ignorata dalle regole legali sull’esodo) che il singolo può gettare sul piatto della bilancia negoziale il peso della sua possibile opzione per il trattenimento in servizio fino a 70 anni e oltre. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 30 GIUSEPPE FERRARO 22156), considerato che la tecnica adoperata, nella misura in cui coinvolge dipendenti in servizio i quali hanno la possibilità di prolungare l’attività lavorativa sino al 70° anno di età, se non oltre, rende difficile qualunque coercizione nei confronti di tale categoria di soggetti. Anche se non è da escludere che un siffatto criterio selettivo venga espressamente prescelto nel corso della trattativa sindacale come criterio prioritario o esclusivo in sostituzione di quelli legali. In tal caso si riproporrebbe l’interrogativo sul suo carattere discriminatorio essendo fondato esclusivamente sull’età di pensionamento (su cui v. infra)57. È superfluo dire che gli aspetti più delicati della procedura sono connessi al rispetto degli impegni assunti dal datore di lavoro, atteso che, in caso di inadempimento, anche parziale, viene bloccata l’intera operazione di esodo con ripercussioni particolarmente delicate nel caso in cui sia in corso una procedura legale di licenziamento collettivo. In questo caso deve ritenersi che il mancato adempimento sia suscettibile di rendere invalida la risoluzione del singolo rapporto di lavoro ove determinata dal fattore età, il che vorrebbe dire che il licenziamento potrà essere annullato per un evento estrinseco alle ragioni della sua adozione. 56 La norma ha aggiunto all’art. 4, comma 1, un periodo secondo cui “la stessa prestazione può essere oggetto di accordo sindacale nell’ambito di procedure ex artt. 4 e 24, l. n. 223/91, ovvero nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria”. 57 Sulle problematiche richiamate è intervenuto di recente anche il Ministero del lavoro nella circolare n. 24 del 19.6.2013 (ma v. pure quella integrativa prot. 40/26125 del 25.7.2013, e la circ. INPS n. 119 dell’1.8.2013), che con una certa semplificazione ha individuato tre distinte fattispecie. La prima si riferisce al caso in cui in presenza di eccedenze di personale si stipuli un accordo “secco” con le OO.SS. maggiormente rappresentative volto a favorire un esodo incentivato. Tale accordo assumerà valore vincolante nei confronti dei singoli dipendenti solo a seguito dell’accettazione dei medesimi. La seconda ipotesi è quella in cui l’accordo si inserisca all’interno di una procedura di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24, legge n. 223/1991. In tal caso il criterio concordato assumerebbe valenza coercitiva nei confronti dei singoli, per cui “a seguito dell’accordo, la procedura di licenziamento collettivo procederà secondo il suo iter naturale con l’unica differenza che il licenziamento darà luogo in tal caso non alla mobilità, bensì alla corresponsione della prestazione di importo pari al trattamento di pensione fino a quel momento maturato”. Come opportunamente si precisa, in tale ipotesi il datore di lavoro potrà procedere al recupero delle somme pagate ai sensi dell’art. 5, comma 4, legge n. 223/1991, e cioè al contributo erogato al momento dell’attivazione della procedura di mobilità, e inoltre non troverà applicazione l’art. 2, comma 31, legge cit., inerente l’obbligo di corrispondere il ticket che si accompagna alle operazioni di licenziamento. La terza fattispecie, si riferirebbe all’ipotesi in cui l’accordo sulla prestazione di importo pari al trattamento di pensione riguardi processi di riduzione del personale dirigente. Anche in questo caso l’opzione per il pensionamento anticipato assumerebbe carattere marcatamente volontaristico collocandosi al di fuori delle prescrizioni della disciplina legale in materia di licenziamento. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 31 12. Nuove tecniche di tutela e profili di costituzionalità Con riferimento al quadro normativo descritto, alcune conclusioni appaiono alquanto lineari in materia di tecniche di gestione delle crisi occupazionali. Si è passati da un sistema fortemente regolamentato, che consentiva un elevato margine di prevedibilità circa gli esiti delle procedure di riduzione della manodopera, a un sistema sostanzialmente instabile, destinato a divenire molto frastagliato e diversificato per le varie categorie professionali essendo fortemente condizionato dalle disponibilità finanziarie dei singoli settori e delle singole aziende interessate. Come più volte anticipato, tale nuovo assetto normativo ha radicalmente compromesso alcuni pilastri su cui si reggeva la legge n. 223/1991 corrodendone dall’interno la filosofia di fondo. La procedura di licenziamento collettivo di cui agli artt. 4 e 24, legge n. 223/1991, rimane sostanzialmente in piedi ma viene svuotata di ogni incisività essendo stata pregiudicata in alcuni punti assolutamente qualificanti: vale a dire con riferimento all’istituto della mobilità, che consentiva di realizzare una fuoriuscita morbida della manodopera dal mondo del lavoro nei settori più esposti alle oscillazioni di mercato, e per quanto concerne il ruolo delle OO.SS., le quali sono passate da un ruolo cogestionale dell’iter procedurale a un ruolo sostanzialmente promozionale di possibili soluzioni alternative. Anche i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare sembrano implicitamente trasfigurati. L’equilibrio interno ai tre criteri legali risulta sensibilmente modificato nel momento in cui il legislatore, sulla scorta di esperienze pregresse, ha manifestato apertamente un’opzione a favore di forme incentivate di esodo finanziate dagli enti bilaterali, oppure direttamente dalle aziende interessate, e su tale opzione ha delineato un sistema parallelo a quello ufficiale di riduzione del personale, delegato almeno in parte all’autonomia collettiva, e che si esprime in una doppia variante, quella categoriale-settoriale, affidata appunto ai fondi bilaterali, e quella aziendalistica, assegnata all’iniziativa e alle disponibilità finanziarie della singola impresa. La scelta di puntare anche in questo settore sui fondi bilaterali in sostituzione dell’istituto della mobilità, ovvero per integrare forme aggiuntive di assistenza in quei settori tradizionalmente privi di rimedi contro il rischio della perdita dei posti di lavoro, si riallaccia a una tendenza più generale, di cui l’espressione più significativa è ora rappresentata proprio dalla prefigurazione di fondi a costituzione obbligatoria per assicurare ammortizzatori sociali in costanza di rapporto in settori tradizionalmente scoperti. Essa è il riflesso di un mutamento strisciante dei sistemi di welfare - registrabile in forme più o meno WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 32 GIUSEPPE FERRARO accentuate nella maggior parte dei paesi europei58 - con un progressivo ridimensionamento del welfare statalistico e centralistico volto a monopolizzare gli istituti di previdenza sociale, a favore di un welfare eclettico o promiscuo, in qualche caso autogestito, che delega ampi margini di protezione a soggetti privati, a gruppi intermedi e a comunità locali. Le definizioni in proposito adoperate sono le più eterogenee (si parla di welfare sussidiario, o neo-welfarismo liberale, o welfare mutualistico e autofinanziato)59: al fondo hanno in comune la consapevolezza di un passaggio epocale da un welfare monolitico ad un welfare poliedrico, da un welfare di stampo pubblicistico con regole imperative ad un welfare misto o flessibile in cui si integrano tecniche protettive anche di estrazione privatistica. È superfluo evidenziare che tutto ciò è riconducibile alla crisi finanziaria dei principali paesi europei e alla progressiva riduzione delle risorse pubbliche disponibili a fronte di una società civile che moltiplica le istanze di protezione per molteplici fattori di instabilità sin troppo noti: volubilità dei sistemi produttivi, articolazione delle forme di impiego, diffusione di aree di sottoccupazione e di emarginazione, etc. Questione, detto per inciso, tanto più rilevante in un sistema come il nostro in cui una dissennata politica di disarticolazione delle modalità di impiego ha compromesso l’unitarietà di un modello dominante di impiego su cui era stato costruito il nostro sistema previdenziale, lasciandoci in eredità schiere di soggetti privi di qualsiasi copertura previdenziale per il presente e per il futuro60. Con riferimento al tema specifico, l’aspetto più problematico del nuovo assetto normativo è legato sostanzialmente a una scommessa tutta da verificare relativa al passaggio da un sistema legale di mobilità, sia pure settoriale, a un sistema categoriale (ovvero settoriale o aziendalistico), di carattere sostanzialmente opzionale e variabile nella struttura tecnica e nelle prestazioni erogate, destinato a farsi carico di molte esigenze di tutela che il sistema pubblico non è più in grado di 58 V. nt. 1, cui adde A. PERSIANI, Crisi economica e crisi del welfare, relazione al Convegno Aidlass, Bologna, 16/17.5.2013, dattiloscritto. 59 Sul tema v. per tutti M. FERRERO, Neo-welfarismo liberale: nuove prospettive dello stato sociale in Europa, in Stato e Mercato, 2013, p. 97. 60 L’Italia è ritenuta il paese, tra quelli appartenenti all’OECD, che ha più intensamente perseguito l’obiettivo della diffusione del lavoro flessibile e precario senza adeguati interventi sul terreno previdenziale e senza modificare la struttura del contratto a tempo indeterminato, consentendo così la formazione di un esercito di soggetti privi di protezione, così F. BERTON, M. RICHIARDI, F. SACCHI, Flex-insecurity. Perché in Italia la flessibilità diventa precarietà, Bologna, 2009. D’altro canto occorre richiamare le perplessità della Banca d’Italia che da tempo ammonisce che la diffusione dei contratti a durata prefissata può avere ripercussioni particolarmente negative sulla produttività del lavoro a causa dei ridotti investimenti di formazione compiuti dagli imprenditori sui lavoratori occupati con tali contratti. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 33 soddisfare. E tuttavia la scommessa di concentrare importanti funzioni previdenziali anche fondamentali, sia obbligatorie sia facoltative, sugli enti bilaterali, assunti come modello generale di un nuovo sistema di gestione dei rischi derivanti dalla carenza di lavoro e dallo stato di disoccupazione, potrebbe rivelarsi come una soluzione sostanzialmente elusiva volta a mascherare una sostanziale e ineluttabile riduzione dei livelli di protezione sociale, in alcun modo compensata da un’autentica riforma organica degli ammortizzatori sociali, che astrattamente tutti vorrebbero ma che non siamo più in grado di realizzare. In proposito sono eloquenti le difficoltà che stanno incontrando i soggetti collettivi a promuovere la costituzione dei fondi bilaterali nonostante le sollecitazioni ministeriali e le continue proroghe. D’altro canto l’integrazione pubblico-privato, se ha dato risposte accettabili in alcuni settori, quale quello della previdenza complementare, e in qualche misura nel settore sanitario, non è detto che possa essere declinata negli stessi termini nell’articolazione delle soluzioni tecniche, giuridiche e finanziarie necessarie per assicurare i lavoratori contro il rischio della disoccupazione. Sotto tale profilo, le forme complementari di tutela previdenziale possono equilibratamente svilupparsi soltanto una volta che sia stato assicurato un terreno minimalistico di protezione, e cioè una base comune di tutele imprescindibili61, come in qualche modo avvenuto in materia pensionistica con riferimento alla previdenza complementare. Sul fronte della tutela dell’occupazione non si può ritenere che le nuove forme di tutela dei redditi, tra cui in primis, l’Aspi e la mini Aspi, rappresentino una base adeguata, sia per l’entità modesta dei trattamenti, sia per la logica assicurativo-occupazionale che ne contraddistingue le condizioni di fruibilità e le modalità di finanziamento, sia per la parziarietà della copertura che lascia ancora scoperte le posizioni più fragili62. 61 Un’efficace ricostruzione delle politiche del lavoro in Italia in S. SACCHI, P. VESAN, Le politiche del lavoro, in U. ASCOLI (a cura di), Il welfare in Italia, p. 147 ss., che sottolineano quale precondizione del funzionamento dei fondi bilaterali la formazione di un pavimento univoco di diritti sociali e alla formazione accessibile da parte di tutti i lavoratori in particolare durante le transazioni lavorative, v. pure p. 176 ss. 62 In questo contesto la scelta della bilateralità, con tutto il margine di incertezza che implica, può apparire una soluzione insoddisfacente, elusiva e in alcuni settori persino velleitaria essendo fortemente condizionata dalle disponibilità finanziarie e dagli equilibri di forza tra i soggetti sociali che si confrontano nelle diverse aree produttive. Nella difficile congettura in corso quanti saranno i settori produttivi che riusciranno a costruire attraverso i fondi bilaterali un accettabile sistema di protezione contro il rischio della riduzione o cessazione dell’attività lavorativa? E quante aziende avranno risorse sufficienti per potere finanziare forme di esodo incentivato a fondo perduto per un numero consistente di dipendenti? WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 34 GIUSEPPE FERRARO Come è inevitabile queste perplessità sono destinate a tradursi in delicati dubbi di valenza costituzionale che investono i principi fondanti del nostro diritto previdenziale e che già sono stati ampiamente illustrati dalla migliore dottrina, sia pure con attenzione quasi esclusiva ai fondi obbligatori, ma con rilievi in buona parte applicabili anche ai fondi facoltativi63. Punto di partenza dell’analisi risulta essere anzitutto la clausola di cui alla lett. n) dell’art. 117, comma 2, introdotto con la riforma costituzionale del 2001, secondo cui è riservata in via esclusiva alla potestà legislativa statale la determinazione dei livelli essenziali e le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Essa, come ci viene ricordato64, costituisce un punto di snodo fondamentale per comprendere sia i caratteri fondamentali del nostro sistema pseudo-federale, sia le linee di tendenza lungo le quali si dovrebbe sviluppare il nostro sistema di welfare65. La norma va poi raccordata alle disposizioni imperative contenute nell’art. 38 Cost. che pur nella riconosciuta genericità sono da molti invocate per rivendicare un sistema universalistico di tutele anche attraverso forme di reddito minimo garantito o salario di cittadinanza66. Muovendo dalle prescrizioni costituzionali, a molti è sembrato non tollerabile una così marcata diversità di regolamentazione degli ammortizzatori sociali sia quanto ad entità delle prestazioni sia quanto a Le perplessità colgono garanzia della effettiva erogazione67. indubbiamente nel segno e tuttavia alcune di esse potrebbero apparire eccessive o quantomeno anacronistiche. È singolare che un problema di uniformità dei trattamenti nell’area degli ammortizzatori sociali si ponga oggi quando il legislatore ha prefigurato una qualche forma di tutela, semmai anche artificiosa o inadeguata, e non sia stato posto con pari fermezza in passato quando le discriminazioni erano ben più radicali (si pensi alla “catena” integrazioni salariali, mobilità, disoccupazione speciale, costruita esclusivamente sull’esigenza del settore industriale). 63 V. per tutti R. PESSI, Ripensando al welfare, dattiloscritto; A. DI STASI, Processo di universalizzazione degli ammortizzatori sociali e principi costituzionali, in RDSS, 2013, 3; M. CINELLI, La riforma del sistema di welfare, cit. 64 L. VIOLINI, La parabola del welfare dalla costituzione alla riscoperta della sussidiarietà, in L. VIOLINI, G. VITTADINI (a cura di), La sfida, cit., p. 211. 65 “Essa tocca anche, a margine, alcuni importanti aspetti relativi alla struttura della P.A. e alle sue dinamiche di funzionamento, dal problema gravissimo del riparto delle risorse finanziarie tra centro e periferia in vista del finanziamento dei livelli stessi”; L. VIOLINI, La parabola, cit., p. 217. 66 Su tale problematica v. per tutti M. PERSIANI, Crisi economiche e crisi del welfare states, cit. 67 Per tutti M. CINELLI, La problematica, dattiloscritto. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 35 A ciò si potrebbe aggiungere che l’art. 38 Cost. sancisce l’obbligo di predisporre forme di tutela per i principali rischi connessi all’attività lavorativa, ma nulla dice in ordine alle tecniche e alle procedure attraverso cui questi obiettivi devono essere perseguiti, e anzi il comma 4 sembra accogliere una visione pluralista delle possibili opzioni là dove stabilisce che ai compiti previsti “provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato”. Sotto altro profilo l’obbligo di pareggio di bilancio, sia pure connesso agli impegni comunitari dei quali il nuovo testo dell’art. 81 Cost. è espressione68, non sempre è sembrato compatibile con le garanzie obbligatorie che l’ordinamento giuridico deve necessariamente assicurare nei confronti dei principali rischi che contraddistinguono le relazioni di lavoro, in particolare nei confronti dei soggetti più deboli che non hanno margini di protezione. Di guisa che l’eliminazione di ogni automatismo previdenziale (art. 2116 c.c.) comprometterebbe quel vincolo di solidarietà che dovrebbe essere comunque assicurato in ultima istanza dalla fiscalità generale. 13. Sul ruolo sindacale nella riforma del welfare Perplessità di diversa natura, ma intrecciate con quelle evocate, si addensano sul ruolo della contrattazione collettiva. Il sistema volontaristico su cui si è retto il nostro ordinamento sindacale, oltre a suscitare i consueti interrogativi sulla sua efficacia e validità alla stregua dell’art. 39 Cost., non è certo in grado di garantire tutele, sia pure minimalistiche, di carattere universale e generale, ed anzi sotto questo profilo è molto forte il rischio di una feudalizzazione delle forme di protezione sociale in relazione alle caratteristiche e peculiarità delle singole categorie e dei diversi settori produttivi. Ciò è vero non solo con riferimento alle funzioni obbligatorie assegnate agli enti bilaterali, in materia di ammortizzatori sociali interni al rapporto di lavoro - già differenziati secondo una linea divisoria che vede i settori tradizionali assoggettati a regole di maggiore consistenza e garanzia di fruizione - ma ancor più con riferimento alle soluzioni opzionali o facoltative assegnate agli stessi enti, che rischiano di restituirci una geografia ancor più variegata delle forme di tutela dei redditi in carenza di lavoro rispetto a quella che si voleva superare. Il che vorrebbe dire che, ad onta delle finalità ideali astrattamente enunciate, la riforma degli ammortizzatori sociali si sarebbe tradotta in un mero aggiustamento delle tecniche di tutela, che restano appannaggio delle categorie merceologicamente più forti e con una scarsa protezione per i soggetti tradizionalmente esclusi. 68 V. M. CINELLI, cit. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 36 GIUSEPPE FERRARO In termini più generali, la questione sollevata – e qui può essere appena accennata - investe direttamente il ruolo del sindacato nei sistemi di protezione sociale nelle attuali economie postindustriali in profonda e rapida trasformazione. Occorre in proposito appena ricordare che molte forme di tutela sociale e le stesse assicurazioni obbligatorie sono state originariamente delineate in ambito privatistico (si pensi alle Opere pie) e negoziale (società di mutuo soccorso) per poi trovare un consolidamento istituzionale attraverso un’articolata legislazione che ha prefigurato la costituzione di enti pubblici deputati a gestire le principali prestazioni obbligatorie. Oggi il legislatore sembra in qualche modo costretto a tornare alle origini delegando nuovamente compiti e funzioni che non è più in grado di gestire compiutamente alle parti sociali, sia pure all’interno di una cornice legislativa rigidamente costruita, particolarmente attenta alle esigenze di stabilità finanziaria. Ciò è avvenuto in termini già alquanto significativi con la regolamentazione della previdenza complementare, che pure è stata regolamentata in una dimensione più liberista, favorendo la concorrenza delle fonti istitutive e modelli alternativi di gestione, salvaguardando la libertà e il pluralismo sindacale e assicurando comunque la scelta volontaristica dei singoli destinatari. Con i fondi di solidarietà bilaterali si registra un cambio di marcia, che si traduce nell’assegnare un ruolo privilegiato ai sindacati comparativamente più rappresentativi, nell’imporre l’obbligatorietà della loro costituzione per il soddisfacimento di alcune esigenze considerate prioritarie, e nel prevedere forme inusitate di integrazione tra l’attività dei fondi e l’intervento pubblico. In questo caso il sistema di “coproduzione” pubblico-privato risulta contraddistinto da elementi di maggiore coercitività, sia a livello collettivo che individuale, ancorché giustificati da una logica di solidarietà che impronta strutturalmente la natura e funzione dei fondi di futura costituzione. In questo modo si realizza una forte istituzionalizzazione del ruolo del sindacato, la cui attività si inserisce all’interno di un circuito complesso di matrice prevalentemente pubblicistica che pone in secondo piano i problemi che ritualisticamente angosciano la dottrina italiana sull’efficacia soggettiva degli accordi istitutivi dei fondi e sui limiti di vincolatività della relativa disciplina. Ciò nondimeno la previdenza sindacale o categoriale contiene in sé un groviglio di questioni e di nodi irrisolti, che sono già affiorati in passato con rifermento all’attività degli enti bilaterali e che sono destinati a riproporsi in termini amplificati con i nuovi compiti assegnati ai fondi bilaterali per una più accentuata integrazione o “funzionalizzazione” di tali WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 CRISI OCCUPAZIONALI E TECNICHE DI TUTELA 37 entità all’interno del sistema previdenziale69. Ragioni che attengono essenzialmente a istanze ineludibili di giustizia sostanziale, di equità e di solidarietà. La Corte Costituzionale si è trovata di recente a intervenire in questa delicata materia – con riferimento a una norma (art. 19, comma 1, lett. a, d.l. 29.11.2008, n. 185) che condizionava l’intervento pubblico a favore della categoria degli apprendisti ad un parallelo coinvolgimento degli enti bilaterali - ma anziché provare a rischiarare l’orizzonte ha preferito assumere un atteggiamento pilatesco al limite del cinismo rifugiandosi sul carattere incentivante e sperimentale della tecnica adoperata in quanto volta a stimolare la formazione di una previdenza privata70. La risposta nell’occasione data dalla Corte può essere anche accettata in relazione alla portata limitata della norma incriminata71, 69 Sul collegamento funzionale tra previdenza pubblica e previdenza complementare non si può fare a meno di richiamare Corte Cost. 28.7.2000, n. 393, le cui argomentazioni restano molto opinabili. 70 Su queste tecniche di integrazione pubblico-privato ha avuto modo di esprimersi la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 108/2013, con riferimento all’art. 19, comma 1, lett. c), D.L. 29.11.2008, n. 185, che ha disposto l’estensione dell’indennità di disoccupazione agli apprendisti, in via sperimentale per il triennio 2009-2011, in caso di sospensione per crisi aziendali o occupazionali ovvero di licenziamento (l’art. 6, comma 1, lett. a, D.L. n. 216/2011, conv. in L. 24.2.2012, n. 14, ha prolungato il periodo di vigenza della disposizione fino a tutto il 2012). La norma ha subordinato l’erogazione a favore dei lavoratori assunti con la qualifica di apprendista di un trattamento pari all’indennità ordinaria di disoccupazione, in caso di sospensione o di licenziamento, all’intervento integrativo a carico degli enti bilaterali previsti dalla contrattazione collettiva. Una norma analoga è ora contenuta nell’art. 3, comma 17, L. n. 92, che ha stabilito in via sperimentale, per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, che l’indennità mensile di disoccupazione è riconosciuta ai lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali che siano in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2, comma 4 e subordinatamente a un intervento integrativo pari almeno alla misura del 20% dell’indennità stessa a carico dei fondi bilaterali cd. ordinari e residuali. In ogni caso la durata massima del trattamento non può superare 90 giorni da computare in un biennio mobile. Il trattamento è riconosciuto nel limite di risorse prefissate per i tre anni interessati. 71 La norma è stata contestata essenzialmente per l’irragionevole disparità di trattamento che determinerebbe tra soggetti che possono usufruire dell’intervento integrativo dell’ente bilaterale e coloro i quali, per scelte della contrattazione collettiva, ne siano del tutto privati. Il Giudice delle leggi si è limitato ad evidenziare la funzione promozionale e sperimentale della norma incriminata in quanto diretta a stimolare la costituzione di forme parzialmente autogestite di tutela contro la disoccupazione. Al riguardo la Corte ha rimarcato che il trattamento “stabilito dalla norma non è finanziato dalla contribuzione posta a carico dei datori e dei lavoratori bensì dalla fiscalità generale” e quindi si configura quale incentivo “del sistema della bilateralità piuttosto che di provvidenza direttamente attribuita ai lavoratori”, per poi concludere che “la natura incentivante e sperimentale dell’istituto definito dalla norma censurata ne esclude, pertanto, il carattere irragionevolmente discriminatorio a danno di lavoratori appartenenti a settori produttivi nei quali non sia stato previsto un ente bilaterale, appunto perché non si tratta di una misura introdotta stabilmente e diretta a configurare un incondizionato diritto soggettivo in capo ai lavoratori”. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013 38 GIUSEPPE FERRARO oltretutto travolta da successive riforme, e tuttavia sembra alquanto difficile che possa essere replicata nel momento in cui la Corte dovesse trovarsi a vagliare la compatibilità costituzionale di un intero sistema che fa ampio affidamento sulla bilateralità. In quel caso non sarà possibile sfuggire al quesito inquietante di stabilire i limiti entro cui la solidarietà categoriale o di gruppo, e comunque privata, possa surrogare o integrare la solidarietà generale che fa carico allo stato nella sua interezza. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 189/2013