Elisabetta Iannuzzi, I giocattoli dei bambini

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Elisabetta Iannuzzi, I giocattoli dei bambini
I GIOCATTOLI DEI BAMBINI
Iannuzzi Elisabetta
“L’uomo è fatto per essere un giocattolo, strumento di Dio, e questa è veramente la
sua parte migliore. Egli deve, dunque, seguendo quella natura e giocando i giochi più belli,
vivere la sua vita, pensando proprio l’inverso di ciò che oggi si pensa”. (Platone, Leggi VII,
803 C)
Gioco deriva dal latino iocus che significa “scherzo, burla”; nella lingua latina esiste
anche il termine ludus che significa ugualmente “gioco”.
La prima parola che associamo a “gioco” è “bambino” perché il gioco è un’attività di
primaria importanza per bambini e ragazzi. Il gioco è tuttavia l’espressione più autentica della
cultura umana suo complesso, come dimostra anche la citazione di Platone che ha aperto
questo capitolo, si adatta al contesto sociale in cui si svolge. Il recupero dei giochi tradizionali
rappresenta pertanto la riscoperta della propria storia, delle proprie origini e del senso di
appartenenza. Il gioco stimola l’inventiva, la curiosità, la manualità, l’ingegno.
Nella sua opera Homo ludens il saggista olandese Johan Huizinga sostiene che quattro
sono le caratteristiche più importanti del gioco:
1. La libertà del soggetto che si mette a giocare. Il gioco è un atto libero, che si compie
solo perché procura gioia.
2. Il gioco non rappresenta la vita vera. Il bambino sa che quando gioca fa per scherzo, è
una finzione, ma nella quale egli si impegna ugualmente con grande serietà.
3. Il gioco è limitato nel tempo e nello spazio.
4. Il gioco porta un’altra dimensione che è nella parte più intima dell’uomo.
Fin dall’antichità i bambini avevano a disposizione numerose opportunità di gioco
legate alla vita all’aperto e all’utilizzo di materiali facilmente reperibili nell’ambiente (sassi,
pezzi di legno, avanzi di stoffa…): è interessante notare come in tutto il mondo i giochi più
elementari siano molto simili tra loro e accomunino bambini di etnie e lingue diverse.
Le scoperte archeologiche hanno messo in evidenza che i primi giocattoli veri e propri
riproducevano armi ed aratri (a simboleggiare le due principali attività delle popolazioni
antiche, l’agricoltura e la guerra), oppure oggetti di uso quotidiano, realizzati in miniatura e in
forma più rudimentale. Anche la bambola può essere considerata uno dei primi giocattoli
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infantili: inizialmente ebbe un valore più complesso di quello soltanto ludico, un valore legato
cioè alla religiosità primitiva e alla fertilità femminile. La bambola intesa propriamente come
giocattolo viene fatta risalire circa al 2000 a. C. nell’Egitto faraonico ed era realizzata con
materiali diversi come l’avorio, il legno e la terracotta.
In età romana le bambine conservavano le cosiddette pupae (bambole) fino all’età del
matrimonio (vedi figura 1). Infatti, era usanza, alla vigilia della cerimonia nuziale, che la
sposa consacrasse a una divinità i giocattoli della sua infanzia. La presenza di una pupa nella
casa di una ragazza poteva rendere la testimonianza della sua purezza. Un’altra forma di
impiego in ambito culturale consisteva nell’offerta votiva di questo giocattolo in occasione
della maternità. Le pupae potevano essere conservate dalle donne che non si sposavano, come
per esempio le sacerdotesse Vestali; in questi casi venivano poi incluse nel corredo funebre,
all’atto della cerimonia della sepoltura, indipendentemente dall’età della defunta.
L’abilità e la maestria degli artigiani permettevano di creare le bambole e i loro
accessori a partire da terracotta, legno, ambra, osso, avorio, pietre naturali, metalli anche
preziosi o più economiche leghe.
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Figura: la bambola di Crepereia Tryphaena (seconda metà del II sec d.C.). Roma, Musei Capitolini
In tutte le civiltà antiche ricorrono costantemente alcuni tipi di giocattoli: gli animali
da traino, sonagli e poppatoi, rocchetti, carrettini, cerchi, marionette. Sia in Grecia che a
Roma esistevano attività specializzate per la costruzione di giocattoli come palle, trottole,
astragali, che venivano venduti nelle agorai greche o nelle fiere romane.
Fino all’età scolare, che iniziava a sette anni, giocare era un diritto pienamente
riconosciuto all’infanzia, anzi gli aspetti ludici venivano incoraggiati in quanto se ne
ammetteva la funzione formativa per l’individuo, oltre a riconoscere che, attraverso il gioco,
si poteva rivelare la natura del carattere del bambino. Il giocattolo, infatti, possedeva una
valenza importante: maschi e femmine imparavano attraverso di esso a conoscere i propri
ruoli. C’erano giochi che facevano insieme, come giocare a palla, agli astragali e alla trottola,
ma ce n’erano altri che segnavano la distinzione tra i due sessi; alle bambine venivano regalati
utensili da cucina o le bambole con arredi e corredi, mentre ai maschi si davano cerchi,
carrettini e soldatini in stagno. In età scolare quella del gioco diventava un’attività da rubare
alle ore scolastiche o da riservare ai giorni di vacanza, anche allora molto frequenti; col
proseguire degli anni il gioco veniva però sentito non più come un pieno diritto, ma come un
desiderio di cui vergognarsi.
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Una serie di quadretti che vennero dipinti in una residenza pompeiana ci introduce ai
giochi cui si poteva assistere nelle case e nelle strade delle sfortunate città campane distrutte
dall’eruzione del 79 d.C.
Già i poppanti potevano divertirsi con biberon, poppatoi di terracotta, legno o altri
materiali organici, a forma di porcellino o cagnolino, con dentro una pallina di coccio o
qualche sassolino per divertirli con il loro suono (vedi figura 2). Spesso il poppatoio era
l’asettico surrogato del seno materno, quando la madre non superava il parto, caso non
infrequente, oppure quando la famiglia non era in grado di sostenere economicamente
l’intervento di una balia. Dal punto di vista igienico e sanitario, il poppatoio poteva
trasformarsi in un’arma a doppio taglio in virtù della sua struttura che non permetteva
un’accurata pulizia della parte interna, dove potevano annidarsi microbi e batteri. Gli animali
di terracotta andavano molto anche nell’infanzia, ma solo per le femminucce.
Figura: ecco un esempio di poppatoio a forma di maiale
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Figura: poppatoio a forma di asinello, la sua forma zoomorfica serviva ad attrarre e divertire il bambino.
Esistevano, inoltre, dei veri e propri sonaglini, crepundia o crepitacula per i Romani.
Potevano essere oltre che in terracotta in metallo o leghe metalliche, ad esempio argento e
bronzo, e anche in legno. I dispositivi meccanici che li rendevano rumorosi potevano essere
contenuti all’interno, sotto forma di palline d’argilla cotta, biglie o sassolini, oppure essere
agganciati all’esterno mediante fori nella carcassa o direttamente alle estremità laterali. Con il
termine crepundia si indicavano i sonaglini, ma il significato di questo termine però poteva
essere allargato ed esteso a tutti i giocattoli che ci vengono restituiti dagli scavi archeologici;
per età dei crepundia si intendeva cioè l’età dei balocchi.
Figura: Antico sonaglio in terracotta. Museo Nazionale Archeologico di Taranto
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I tintinnabula, generalmente dei campanellini, avevano una precisa funzione
apotropaica, cioè di preservare dalle sventure e a volte anche quella di fungere da segno di
riconoscimento per i bambini abbandonati. Venivano cuciti su una fascia di tessuto oppure,
nei casi di maggiore ricchezza, inclusi in catene che potevano anche essere di metalli preziosi
come oro e argento.
I giocattoli venivano regalati ai bambini in diverse occasioni: prima di tutto al
momento della nascita, quando veniva dato il nome al neonato, e poi durante le feste religiose,
come ricompensa per i risultati scolastici, come gratifica per qualche obiettivo raggiunto,
oppure come consolazione per un problema di malattia.
Vi erano giochi che i bambini organizzavano per imitare i grandi. Così molti si
improvvisavano mercanti e bottegai, vendendo ai fratelli maggiori o alle mamme indulgenti
focacce, verdure, frutta: insomma tutto quello che erano riusciti a procurarsi dalle proprie
dispense. Alcuni bambini, che già da piccoli avevano la vocazione al comando, preferivano
invece giocare a fare i giudici, i magistrati, i soldati. A questo proposito si deve ricordare in
particolare il gioco del re: una gara di abilità dove il più bravo, dichiarato re, impartiva ordini
a tutti e il meno bravo, chiamato scabbioso, si prendeva le beffe da tutti.
I giochi dei bambini romani non erano dissimili da quelli dei bambini moderni: si
giocava con piccole spade (ensiculum), con carrettini e cavallini trainati con spago;
diffusissimo in particolare era il gioco della moscacieca e delle noci.
Per quanto riguarda la moscacieca, il gioco risale almeno ai Greci, presso i quali era in
uso bendare gli occhi ad un giocatore e fargli indovinare il nome di un compagno che fosse
riuscito ad acchiappare. Il bambino doveva dire “andrò a caccia della mosca di bronzo”
mentre gli altri lo facevano ruotare per perdere l’orientamento e i compagni rispondevano “la
cercherai ma non la prenderai”: questo gioco era quindi detto anche “mosca di bronzo”.
Un’altra versione del gioco si svolgeva così: un bambino con gli occhi chiusi doveva eseguire
quello che gli veniva chiesto da un altro bambino; se apriva gli occhi doveva ricominciare.
Alcuni studiosi attribuiscono a questo gioco remote origini rituali, altri lo definiscono
l’imitazione infantile di un dramma mistico raffigurante il diavolo che tenta le anime.
Il carrettino era uno dei giochi più diffusi, una biga in miniatura che poteva essere o
molto piccola e allora veniva legata ad animali di piccole dimensioni (molto spesso i
trascinatori erano dei topi), oppure grande in modo che il bambino potesse guidarla e in
questo caso veniva trascinata da una pecora, un cane ecc. (vedi figura 6) Questo tipo di
carretto era per lo più destinato ai bambini più esigenti, e certamente di famiglia più abbiente.
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I carrettini più semplici venivano costruiti dai ragazzi stessi con un bastone alla cui estremità
veniva fissata una sola ruota, altri, più complessi, avevano due o tre ruote. Il plostellum,
chiamato così a Roma, era un piccolo carretto a due ruote.
Figura: un bambino gioca con un carretto trainato da una pecora. Particolare del sarcofago di Marco
Cornelio Stazio da Ostia (II sec d.C.). Parigi. Museo del Louvre
Altri giochi molto popolari erano quelli che si facevano con gli astragali: (ossi del
tarso di alcuni animali, in particolare degli agnelli, a forma approssimativa di cubo). Anche
nell’età infantile uno dei giochi più popolari consisteva nel gettare un certo numero di
astragali e nello scommettere come si sarebbero disposti, o quando vi fossero incisi dei
numeri, nell’indovinare il totale. Si tratta di un divertimento antichissimo, menzionato già da
Omero nell’Iliade (allorché Patroclo uccide, in preda dall’ira, un compagno di gioco mentre
erano intenti a trastullarsi con il gioco degli astragali), che assumeva un senso propiziatorio o
divinatorio. L’astragalo era espressione simbolica che si contrapponeva ai dadi, riservati agli
adulti. Aveva anche un uso divinatorio e poteva servire come amuleto o per dirimere una
controversia.
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Gli astragali, come abbiamo detto, originariamente erano ossicini, ma poi se ne
foggiarono in bronzo, piombo, marmo e terracotta e persino in oro e avorio. I bambini li
amavano molto e a scuola spesso venivano dati come premio ai più studiosi.
Figura: due fanciulle, realizzate in terracotta, mentre giocano con gli astragali
In realtà, bisogna ricordare che la maggior parte dei giochi coi dadi e astragali erano
giochi d’azzardo, proibiti per legge e consentiti soltanto durante il periodo dei Saturnalia, le
feste che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre; ma per un approfondimento su questa
particolare attività ludica rimando, in questa stessa opera, al capitolo dedicato a I giochi degli
adulti, riservandomi qui di trattare solamente i giocattoli che erano in uso da parte dei
bambini.
Un giocattolo molto usato in età infantile era il cerchio: la più antica raffigurazione del
gioco con il cerchio risale agli Egizi. La forma primitiva di questo giocattolo è il trochus (dal
verbo trocho, muoversi grazie ad un impulso); il trochus consisteva generalmente in un
semplice cerchio di bronzo, alto fino al fianco del bambino, che si faceva rotolare per mezzo
di un’asticella ricurva; è probabile che nelle palestre si organizzassero gare atletiche di corse
al trochus. I cerchi venivano utilizzati dalle danzatrici greche nella presentazione di alcuni
giochi di abilità che avevano talvolta un valore simbolico; esso simboleggiava infatti il
matrimonio e l’amore coniugale.
Al cavallino di legno si giocava con una testa di destriero modellata in legno o
cartapesta e piantata su un lungo palo. Il ragazzo, mettendosi l’asta tra le gambe, correndo e
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duellando, aveva l’impressione di vivere l’eccitante esperienza di un torneo. Questo tipo di
gioco è rimasto in uso per vari secoli, fino all’avvento del cavallo a dondolo.
La trottola era un giocattolo diffuso tra i Greci e i Romani, ma di origine antichissima.
Le trottole potevano essere costruite in svariati materiali: dalla terracotta al legno, dal metallo
al vetro. In origine si praticava con una sorta di frusta che aveva la duplice funzione di avviare
il movimento rotatorio e, successivamente, di prolungarlo il più possibile. Questi giocattoli
potevano essere dotati di dispositivi acustici, creati mediante l’inserimento di piccoli gingilli
metallici, con lo scopo di rendere più divertenti e rumorose le vorticose evoluzioni e di
allertare i passanti distratti, evitando così sgradite collisioni. C’erano anche modelli più
semplici, composti da un disco forato al centro in cui si inseriva un perno appuntito che
poggiava al terreno da un’estremità e a cui si imprimeva il movimento rotatorio dall’altra. I
dati iconografici, materiali e letterari ci fanno sapere che il gioco della trottola era vietato ai
bambini piccoli, privi della destrezza e della manualità necessarie per poterla fare funzionare
adeguatamente, era quindi l’adolescenza il momento privilegiato per divertirsi con questo
giocattolo.
Il gioco della campana è tra i più diffusi e antichi che si conoscano al mondo, secondo
alcuni studiosi le origini risalirebbero ai Babilonesi. Tradizionalmente era un gioco
femminile. Un tempo prendeva il nome di “gioco del claudus”, cioè gioco dello zoppo, perché
si giocava saltellando su una gamba. Secondo alcuni è l’imitazione di antiche pratiche
astrologiche sia nel numero degli scomparti disegnati per terra, sia nella piastrella che viene
lanciata, simbolo del sole che entra ed esce dalle costellazioni. I segni di una campana
vennero incisi sul lastricato di una casa di Pompei, mentre uno dei disegni più antichi è inciso
sul lastricato del Foro Romano a Roma.
I Greci giocavano alle biglie con ossicini, castagne e perfino olive; i Romani
preferivano noci e nocciole, utilizzate per talmente tanti giochi da far associare le noci
all’infanzia: uscire dall’infanzia si diceva appunto nuces relinquere, cioè, letteralmente,
“lasciare le noci”. Si racconta che l’imperatore Augusto giocasse alle noci con i bambini per
rilassarsi.
Un modo di giocare con le noci era il ludus castellorum che consisteva nel porre a
terra tre noci, così da formare un triangolo, poi se ne faceva cadere con precisione e
leggerezza una quarta, che doveva stare in equilibrio sulle tre. Un altro gioco consisteva
nell’innalzare una piccola piramide di noci, per poi cercare di abbatterla scagliandovi contro
da una certa distanza altre noci.
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Figura: ludus castellorum da rilievo III/IV d.C. (Roma, Musei Vaticani)
Nel gioco della pentola la parte della pentola la faceva un giocatore che stava seduto in
mezzo agli altri, a volte tenendo davvero un recipiente con una mano sulla testa. I compagni
lo stuzzicavano con pizzicotti, buffetti, pacche, tirate di capelli, solletico e a cantilene irritanti
e irriverenti, girandogli attorno. Quando la vittima riusciva a toccare il piede di uno dei
disturbatori si liberava dal suo ruolo che passava subito a quello che si era fatto prendere.
Ci sono, poi, i giochi eterni, ossia quelli che i bambini giocano da tempo
immemorabile. È il caso di nascondino (vedi figura ) dell’altalena (spesso semplici corde
appese al ramo di un albero), già diffusa nel mondo greco (vedi figura ), il dondolo (un altro
gioco tuttora in voga, semplice divertimento realizzato con una lunga tavola posta in bilico su
una grossa pietra o su un tronco di un albero giacente per terra; vedi figura ), l’aquilone (noi
oggi li facciamo di carta, ma non essendo questo un materiale anticamente diffuso, essi
dovevano essere confezionati con tela o qualche pellicola leggera; vedi figura ), il girotondo,
il tiro alla fune, fare la ruota (questo divertimento è riconducibile all’esercizio ginnico tuttora
praticato che consiste nel far compiere una rotazione al corpo, appoggiando per terra prima le
mani, poi i piedi e così via, percorrendo, senza mai fermarsi, la maggior distanza possibile).
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Figura : Amorini giocano a nascondino, affresco da Ercolano. Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Figura 2: fanciulla sull’altalena, formata da uno sgabello appeso a corde
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Figura 3: il gioco del dondolo. Disegno tratto da un’idria (430-420 a.C.) che si trova nel Museo
Archeologico di Madrid.
Figura 4: bambina che gioca con un aquilone.
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Andando alla riscoperta dei giochi antichi si può notare come questi non siano molto
diversi da quelli dei giorni nostri. La differenza, forse, sta nel fatto che nei tempi passati il
divertimento consisteva già nella costruzione dei giocattoli stessi, nel fatto che si stava molto
di più a contatto con la natura e che i bambini si accontentavano anche di oggetti di poco
valore. La tecnologia negli ultimi anni ha sostituito completamente, o quasi, i passatempi
antichi, ma sarebbe bello mantenere vive queste vecchie tradizioni ludiche, perché anch’esse
sono la nostra storia.
Letture consigliate
Per un approfondimento sulle tematiche trattate in questo capitolo si può rimandare a
diversi e interessanti lavori in italiano: per una prima e rapida sintesi F. Donati, I bambini e i
giochi, «Civiltà dei Romani. Il rito e la vita privata», Milano 1991, pp. 187-196. Per maggiori
dettagli si consulteranno E. Salza Prina Ricotti, Giochi e giocattoli, Roma 1995 e M. Fittà,
Giochi e giocattoli nell’antichità, Milano 1997, in particolare i primi capitoli in cui l’autore
descrive in maniera dettagliata i passatempi dell’infanzia. Di grande interesse anche il recente
volume a cura di S. de’ Siena, Il gioco e i giocattoli nel mondo classico. Aspetti ludici della
vita privata, Modena 2009.
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