Una guida pratica per pianificare il disaster recovery

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Una guida pratica per pianificare il disaster recovery
White paper
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Una guida pratica per pianificare
il disaster recovery in modo
economico ed efficace
Le organizzazioni di tutto il mondo reputano il disaster
recovery sempre più importante per innumerevoli motivi.
Tuttavia, con i due approcci tradizionali al disaster
recovery, copia speculare dei workload e backup su
supporti rimovibili, si vedono costrette a spendere l’80%
del loro budget di disaster recovery su appena il 20%
dei workload dei server (con copia speculare a costi
proibitivi) oppure a optare per i backup su supporti
rimovibili, meno cari ma dalle prestazioni inferiori.
In questo white paper viene illustrato in che modo la
tecnologia di virtualizzazione consente di risolvere
il dilemma del rapporto tra costi e tempo posto dalle
tradizionali soluzioni di recupero dati, permettendo
alle organizzazioni di recuperare in modo rapido ed
economico tutti i workload dei server.
Sommario
pagina
Come misurare il valore delle soluzioni di disaster recovery. . . . . . . . . . . . . . . . . 1
Valutazione del rischio mediante test regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
I rivoluzionari effetti della virtualizzazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Come misurare il valore delle
soluzioni di disaster recovery
L’economia globale, la maggiore competitività
che richiede processi Just-In-Time, i budget
IT ridotti, l’esplosiva crescita di dati e i nuovi
requisiti normativi hanno contribuito ad
accrescere l’importanza del disaster recovery.
Di conseguenza, le organizzazioni avvertono
l’esigenza impellente di rivalutare e aggiornare
i propri piani di disaster recovery.
Guardando al panorama di disaster recovery attuale, si prospettano centinaia di soluzioni.
I tre criteri da seguire per misurare il valore di queste soluzioni sono costi, prestazioni e
rischi.
Misurazione del TCO (costo totale di proprietà)
Il costo è solitamente la preoccupazione principale per le organizzazioni che valutano
le soluzioni di disaster recovery, soprattutto in un periodo particolarmente difficile per
l’economia come quello attuale. Generalmente, le situazioni di emergenza sono piuttosto
rare, pertanto il reparto IT si mostra scettico a destinare parte del budget a qualcosa che
probabilmente non servirà mai. D’altro canto, ciascun server di produzione nel data center
vanta un certo livello di valore aziendale e pertanto richiede protezione. Di conseguenza,
le organizzazioni devono allocare il budget nel modo appropriato, bilanciando i costi di
protezione e l’importanza dei componenti del data center per l’azienda.
Le considerevoli differenze tra i due principali approcci alla protezione dei server complicano
ulteriormente la questione. Il primo approccio implica la copia speculare dell’infrastruttura:
eseguendo la copia speculare dell’intero ambiente server, è possibile raggiungere il più
elevato grado di protezione. Il secondo approccio prevede invece il semplice backup dei dati
all’interno del data center.
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Una guida pratica per pianificare il disaster recovery in modo economico ed efficace
La copia speculare offre un’infrastruttura pienamente ridondante, che consente di
raggiungere metriche di prestazioni relative a obiettivi RTO (tempo totale di recupero di un
servizio a seguito di interruzioni) e obiettivi RPO (tolleranza per la perdita dei dati) ottimali.
Il problema di questo approccio è il TCO (costo totale di proprietà). La duplicazione dei
workload dei server raddoppia il costo iniziale di ciascun server e si va ad aggiungere
ai costi dei componenti dell’infrastruttura, della larghezza di banda e delle attività di
implementazione e manutenzione.
Sebbene sia spesso possibile giustificare la spesa relativa alla duplicazione dei workload dei
server di importanza critica, ad esempio le applicazioni rivolte alla clientela (ad esempio,
server Web ed elaborazione degli ordini online), è più difficile trovare i fondi sufficienti per
proteggere allo stesso modo i workload considerati meno importanti, come server e-mail,
server Web interni o applicazioni per la generazione di rapporti in batch.
In confronto, le soluzioni di backup si avvalgono dai nastri, poco impegnativi in termini di
costi, ai dischi, sempre più economici. Nel complesso, queste soluzioni tendono a essere
molto convenienti. Lo svantaggio di questo approccio basato sui dati è rappresentato dalle
prestazioni di recupero.
Le prestazioni RTO delle soluzioni di backup tendono a essere piuttosto scarse. Talvolta,
prendere i dati di backup da un nastro o un disco e ricrearli in un workload utilizzabile può
essere complesso e dispendioso in termini di tempo. Pensate a quanto tempo occorre per
reinstallare e aggiornare il sistema operativo di un server, installare e aggiornare applicazioni
e middleware, e riconfigurare tutte le connessioni di rete prima di riuscire finalmente
a ripristinare i dati. Inoltre, che succede se non si tratta di uno ma di dozzine di server?
Con questi due approcci, la vostra organizzazione dovrà scegliere un’infrastruttura costosa
e ridondante o il backup dei dati economico ma lento oppure, come avviene solitamente, una
combinazione di entrambi. Secondo le statistiche, le organizzazioni finiscono con l’utilizzare
l’80% del budget disponibile per assicurare una protezione davvero efficace di appena il
20% dei loro server, gli unici ad avere l’assoluta necessità di prestazioni ininterrotte. In
questo modo, il rimanente 80% dei workload dei server non godrà di alcuna protezione.
Misurazione delle prestazioni
Per valutare le prestazioni di recupero dei dati, occorre suddividere tale recupero in tre fasi
distinte: backup (o replica), failover e failback.
Nella maggior parte dei casi, le organizzazioni sono orientate a eseguire backup in modo
estensivo. Tradizionalmente incentrate sulle tecnologie e i processi volti a mantenere i dati
aggiornati, le soluzioni di backup spaziano dai semplici backup su nastro di uso quotidiano
alla sofisticata replica basata su SAN (Storage Area Network).
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Secondo le statistiche, le
organizzazioni finiscono
con l’utilizzare l’80% del
budget disponibile per
assicurare una protezione
davvero efficace di
appena il 20% dei loro
server.
Con numerose soluzioni
di disaster recovery, i
test possono richiedere
talmente tanto impegno
e interruzioni che
alcune organizzazioni
evitano direttamente di
sottoporvisi.
Eppure, una copia di backup non serve a nulla se non la si può utilizzare concretamente. La
stessa importanza, se non maggiore, deve essere attribuita alle operazioni di failover
e failback.
Come discusso in precedenza, le soluzioni che offrono le migliori prestazioni RTO e RPO
tendono ad adottare approcci complessi e costosi basati sulla ridondanza. Tuttavia,
le organizzazioni con limiti di budget che hanno implementato soluzioni di backup a costi
inferiori, si troveranno ad affrontare processi di failover soggetti a errori e onerosi in termini
di tempo che non consentono di raggiungere l’obiettivo delle prestazioni. I processi utilizzati
per convertire i dati grezzi in workload dei server utilizzabili rappresentano il vero problema.
La questione centrale è, ancora una volta, il rapporto fra costi e prestazioni.
Nella pianificazione del disaster recovery, le organizzazioni tralasciano spesso la fase
finale del ciclo di vita del disaster recovery: il failback. Scegliendo diversi tipi di soluzioni,
specialmente quelle di backup dei dati a costi ridotti, tengono conto di un solo aspetto del
problema, senza predisporre alcun piano per ripristinare la "normalità" nel sito di recupero.
Ovviamente, ciò genera problemi imprevisti o non necessari nel tentativo di tornare alle
"normali attività aziendali". Considerate il failover come una ruota di scorta provvisoria per
l’auto. Può essere utilizzata per diverso tempo, ma a un certo punto occorre "eseguirne il
failback" e montare uno pneumatico di dimensioni normali.
Valutazione del rischio mediante test regolari
La maggior parte dei piani di recupero dei dati include, idealmente, un periodo o un evento
di test annuale. Tuttavia, considerati i tempi rapidi del business e della tecnologia odierni,
in un anno le organizzazioni possono subire un numero esorbitante di cambiamenti nei
loro data center e nei loro processi aziendali. Questo inadeguato standard di test annuo è,
ancora una volta, dovuto al fatto che la maggior parte delle soluzioni è incentrata sul
front-end del ciclo di vita del disaster recovery. Il processo di test rispecchia spesso quello
del recupero e comporta tutti i problemi e le complessità già menzionati con il failover. Con
numerose soluzioni di disaster recovery, i test possono richiedere talmente tanto impegno
e interruzioni che alcune organizzazioni evitano direttamente di sottoporvisi.
Eppure, in caso di emergenza reale, è possibile fare pieno affidamento solo su un piano
di disaster recovery testato a regola. Troppo spesso le organizzazioni non eseguono test
adeguati sui loro piani, non identificando tempestivamente i problemi e vedendosi costrette
a ricorrere a procedure di ripristino. Ma a quel punto è troppo tardi.
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Una guida pratica per pianificare il disaster recovery in modo economico ed efficace
Per non parlare del fatto che, nella migliore delle ipotesi, le organizzazioni mettono mano
all’infrastruttura di disaster recovery soltanto durante questi periodi di test annuali. Se ciò
avvenisse con maggiore frequenza e facilità, la sicurezza e l’affidabilità dei piani aziendali di
disaster recovery aumenterebbe in modo esponenziale.
I rivoluzionari effetti della virtualizzazione
La virtualizzazione consente alle organizzazioni di modificare l’approccio del reparto IT al
disaster recovery. Tuttavia, che sia per l’introduzione piuttosto recente della tecnologia di
virtualizzazione, per i suoi costi o per le normative e policy dei data center, le organizzazioni
non hanno adottato la virtualizzazione su larga scala per il disaster recovery negli ambienti
di produzione.
I siti di disaster recovery offrono ambienti relativamente sicuri in cui distribuire la
virtualizzazione (com’è stato per i laboratori di test nei quali le organizzazioni hanno
installato le prime macchine virtuali o VM). Anche i risparmi economici realizzabili non sono
da sottovalutare.
L’IT può implementare la copia speculare dei server con un investimento complessivo
minimo: un’infrastruttura virtuale. Potete impiegare un semplice ambiente server virtuale
con un footprint ridotto per eseguire la copia speculare di un pool più ampio di server di
produzione fisici o per proteggere tale pool. Le macchine virtuali assicurano la flessibilità e le
prestazioni di un workload "avviabile sul posto". La virtualizzazione migliora le prestazioni
RTO creando un backup della macchina virtuale per l’intero workload, il che evita di dover
ripartire da zero come avviene con i tradizionali backup.
Dal punto di vista dei test, la virtualizzazione permette di creare una copia snapshot del
workload di un server che è possibile avviare sul posto e testare, non solo in modo facile
e veloce, ma anche senza alcun impatto sulla produzione.
Con le soluzioni di nuova generazione che sfruttano la virtualizzazione, potrete finalmente
colmare il divario tra l’esecuzione di copia speculare e il backup su nastro per la protezione
dei server fisici presenti nel data center. Tali soluzioni e tecnologie emergenti consentono di
proteggere più server a un costo inferiore, alleviando le preoccupazioni di budget associate
alle precedenti soluzioni di disaster recovery.
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Con le soluzioni di nuova
generazione che sfruttano
la virtualizzazione, potrete
finalmente colmare il
divario tra l’esecuzione
di copia speculare e il
backup su nastro per la
protezione dei server fisici
presenti nel data center.
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