DALLA CINTURA DI CASTITÀ AL TANGA
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DALLA CINTURA DI CASTITÀ AL TANGA
Stefania Spotorno DALLA CINTURA DI CASTITÀ AL TANGA Storie di donne ARMANDO EDITORE Sommario Ringraziamenti Presentazione 9 11 Capitolo primo: La cintura di castità e altri ameni oggetti di tortura 15 Capitolo secondo: La costola d’Adamo e la misoginia della patristica 19 Capitolo terzo: Una passione travolgente: Abelardo ed Eloisa 29 Capitolo quarto: Due donne fuori dal coro: Eleonora d’Aquitania e Matilde di Canossa 45 Capitolo quinto: La fanciulla che sentiva le voci: Giovanna d’Arco 61 Capitolo sesto: Ad unum panem ad unum vinum 67 Capitolo settimo: Caccia alle streghe 71 Capitolo ottavo: Le preziose 83 Capitolo nono: Ah Ça ira, Ça ira 87 Capitolo decimo: Il cicisbeo e l’istruzione femminile in Italia nel Settecento 93 Capitolo undicesimo: Il dono di Napoleone alle donne: il Codice 101 Capitolo dodicesimo: Adolphe Thiers-Napoleone III e le donne della Comune 1871 107 Capitolo tredicesimo: Stai nel compasso! Lavoro femminile durante la Rivoluzione industriale inglese 119 Capitolo quattordicesimo: Arrivano le suffragette: si salvi chi può! Emeline Pankhurst e le figlie Cristobal e Silvia: una trimurti alla riscossa 125 Capitolo quindicesimo: Le quote rosa del Risorgimento 135 Capitolo sedicesimo: Giovinezza, giovinezza! 145 Capitolo diciassettesimo: Bella ciao! 167 Capitolo diciottesimo: Teresa Noce “la piscinina” (1900-1988) 177 Capitolo diciannovesimo: La chiamavano “bocca di rosa”: dai lupanari alla legge Merlin 181 Capitolo ventesimo: I “favolosi” anni Cinquanta 193 Capitolo ventunesimo: Una battaglia lunga e difficile: il divorzio 199 Capitolo ventiduesimo: La fabbrica degli angeli: l’aborto 207 Bibliografia 219 Presentazione Con la morte ciò che è stato storico ricade finalmente nel dominio della natura, ciò che è stato naturale ricade nel dominio della storia. (Walter Benjamin) Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile. (Charlotte Wittin) Nella società delle immagini, delle veline, dei grandi fratelli, degli insulti parlamentari, lo specifico donna è venuto via via spegnendosi sino ad ignorare le grandi battaglie combattute dall’altra metà del cielo nel quale spiccano volti noti o meno noti ma pur sempre e soltanto femminili. Il potere fallocratico oggi, più che mai, pare aver cancellato “il secondo sesso”, compresa l’alterità, già delineata nella doppia lettura della Genesi, per approdare alla misoginia della patristica. I diabolici strumenti di tortura, riservati alle donne, come la briglia delle comari, la rottura delle falangi, l’annegamento, la seggiola di Canterbury, la cintura di castità ecc. devono essere rispolverati dal silenzio offensivo della Storia. Questo breve excursus storico, ricostruito su immagini e basato su precise documentazione, vorrebbe chiarire la tortuosa vita al femminile snocciolatasi nei secoli. In quale castello di Barbablù sono occultate le preziose fautrici di quella Rivoluzione Francese, durante la quale una certa Olympia de Gouges chiese “la creanza di essere ghigliottinata come un uomo”? 11 I “Quaderni delle lamentele”, dopo aver riempito interi volumi, sono stati fagocitati dal Codice Napoleone: un inno alla grandeur ma un miserere per le donne. Le lotte combattute da Emeline Pankhurst e le sue suffragette per il voto e il riconoscimento giuridico femminile, nascevano in Inghilterra in contemporanea con le riunioni americane di Seneca Falls organizzate da Margareth Fuller, prima teorica del femminismo americano. E mentre in Inghilterra Mary Wollstonecraft, madre di Mary Shelley, lottava contro il lavoro minorile e quello delle donne nelle miniere, Flora Tristan combatteva contro la tratta delle bianche e in Italia Ersilia Majno Bronzini fondava l’asilo Mariuccia per la rieducazione di fanciulle “pericolanti”. Quando in Francia, terminata l’ubriacatura napoleonica, apparve il famigerato Adolf Thiers a fianco del rinato Impero di Napoleone III, le donne dissodarono il seme delle loro ave e fu la Comune con martiri, fucilazioni, violenze, sangue e ancora sangue ad imbrattare i muri di Parigi. Intanto a Milano, le sorelleAgnesi fondavano l’ospedale Fatebenesorelle poi fagocitato dal Fatebenefratelli e il Pio albergo Trivulzio, diventato famoso per il triste episodio di mani pulite. Dove sono finite le eroine sconosciute del Risorgimento italiano come Enrichetta Caracciolo, Bianca Milesi, Marietta Pisacane, Giulia Berio Paulucci, Margareth Fuller, Jessie White Mario che partecipò all’Impresa dei Mille? I sotterranei della fortezza di Belfiore gridano ancora la loro rabbia per le violenze dei truci carcerieri subite da Enrichetta Bassoli Castiglioni, Ester Martini Cuttica, Teresa Valenti, ecc. Le donne alle quali era stata vietata per secoli l’oralità desideravano l’educazione e l’istruzione, non sapevano soltanto parlare e far di conto, ma anche scrivere e pubblicare giornali dedicati alle donne. Ma come un fulmine a ciel sereno sulle gentili teste delle italiane, piombò il Fascismo ed esse divennero semplici “vulve”, fattrici, madri di eroi, pronte al sacrificio. E dopo aver sbraitato giovinezza, sopraggiunta la guerra civile, con la Liberazione ebbe termine la Seconda Guerra Mondiale. Con la Repubblica e il voto al femminile iniziarono le lotte per la parità, la senatrice Merlin chiuse i “bordelli” aperti da un decreto del conte Cavour su ordine di Napoleone III. Fu un bene o un male? Ancora oggi si dibatte per la loro apertura. La donna intanto aveva conquistato il diritto allo studio, era entrata in Magistratura e nell’Esercito, ma la vera parità dei diritti appare molto 12 lontana per una mancanza di cultura ed educazione sentimentale da parte dei due sessi sfociata nel femminicidio. Gli assassini si celano fra le mura domestiche, lungo i viali poco illuminati delle nostre città, nelle piazze deserte, fra i rovi di parchi abbandonati all’incuria. E le donne paiono aver dimenticato le lotte combattute durante i secoli per la conquista della semplice oralità, per il diritto all’istruzione, al voto, al divorzio, all’aborto, alla parità salariale. Essere donna, in questa società frastornata dal dio denaro, pare essere diventato un optional e la cintura di castità, sostituita dal “filo interdentale”, non ha creato parità ma ancora una volta oggettivazione. Il nostro lavoro, certamente non esaustivo, vorrebbe suggerire a ognuna di noi di guardarsi allo specchio e dire “io sono la Storia, io ho fatto e faccio la Storia”. 13 Capitolo primo La cintura di castità e altri ameni oggetti di tortura La cintura di castità consisteva in due bande di ferro foderate all’interno di velluto o cuoio, fornite di due fori atti ad assicurare le funzioni corporali. Le estremità della stessa, si chiudevano alla vita, tramite anelli e venivano chiuse con un lucchetto debitamente serrato da una chiave. Una curiosa stampa di A. Dürer ci propone una donna nuda rivestita, si fa per dire, di questa cintura ferrea, osservata da due figure maschili: il marito con la borsa contenente la chiave della “cassaforte mobile” e un personaggio non meglio identificato, forse il padre o più maliziosamente un maturo amante. Quest’ultima tesi potrebbe essere suffragata dall’atto malizioso dalla donna che ruba la chiave del suo “salva onore” dalla borsa maritale per passarla, furtivamente, al secondo personaggio. Sul famigerato aggeggio parecchie sono state le interpretazioni, tuttavia non si ha alcuna notizia storica che venisse usato nel Medioevo, epoca nella quale gli oggetti di ferro erano più costosi della fedeltà di una donna. La Biblioteca di Gottinga riporta una cintura risalente al 1405 con il nome di “congegno fiorentino” e una seconda è visibile a Venezia nell’Armeria Dell’Arsenale, attribuita al diabolico ingegno di uno sconosciuto signore di Padova. Alcuni addirittura ritengono fosse un oggetto sadomaso a causa di scritture licenziose incise a carattere di fuoco nel loro interno… altro che castità! Il Prof. G. Volpe, esaminando la cintura bavarese, giunse alla conclusione che si trattasse di un vero e proprio ordigno di tortura, perché corredato nel suo interno, da aghi in ferro atti a conficcarsi nella viva carne. Ma l’età d’oro della cintura di castità fu il Rinascimento, ancora una volta a simboleggiare lo strapotere politico e maschilista sul controllo della sessualità femminile. Veniva utilizzata dai mercanti italiani, specialmente genovesi (!), per garantire la verginità delle schiave importate dall’Africa e alzarne il prezzo di vendita. 15 Da secoli, gli uomini hanno tacciato le donne di eccessiva verbalità e, per le chiacchierone, la società medioevale aveva escogitato un ammennicolo di cui possiamo vedere un esemplare conservato al Museo Criminale di Roma: la briglia delle comari, consistente in una briglia di ferro con una sbarretta che penetrava in bocca, schiacciando la lingua contro la mascella inferiore; previa denuncia alle autorità competenti da parte del marito, del parroco o dell’intera comunità, alla donna, colpevole di eccessiva oralità, veniva applicato questo marchingegno e, incatenata dall’ufficiale giudiziario, veniva trascinata, riluttante, per le vie dei quartieri cittadini. Non c’erano tv, grandi fratelli o partite di calcio ad intrattenere la gente e ci si divertiva come si poteva… In Inghilterra, queste museruole, denominate banks, erano abbastanza diffuse e quella di Stochport, fornita di aghi, aveva una precisa funzione di tortura; tuttavia, e per fortuna, pare non sia mai stata applicata. Le banks rimanevano appese, a monito perenne, all’esterno dei palazzi comunali, sulle pubbliche piazze e persino all’interno delle Chiese, cosicché sin dall’infanzia, le donne imparassero a tacere e a convivere con quella spada di Damocle pronta a scendere sul loro capo se soltanto avessero osato aprir bocca. Mulier taceat in ecclesia (la donna taccia nell’assemblea), questo era il motto e l’ordine preciso. Additata al pubblico ludibrio, la malcapitata poteva ritenersi fortunata per essere sfuggita alla rottura delle falangi o alla gogna o alla più terribile e abbastanza nota duckingstool, introdotta nell’Alto Medioevo: ordigno “tranquillamente” inglese di cui rimane un prototipo nella cittadina di Canterbury. Era questo uno spettacolo pubblico, bandito da araldi con squilli di tromba e lettura di un bando, con il quale si invitavano paesani o cittadini ad assistere allo spettacolo. Una folla plaudente si assiepava lungo i bordi di profondi canali o sulle rive di fiumi e ruscelli impetuosi, dove la comare ciarliera veniva saldamente legata a una seggiola fissata perpendicolarmente a un lungo asse dotato di pesi: quando questi ultimi venivano asportati, la seggiola, con il suo carico umano, veniva tuffata nell’acqua per il numero di volte prescritto dalla legge. Gli occhi avidi degli spettatori seguivano la scena con malcelato sadismo e la “romantica” campagna inglese risuonava di urla e di evviva per il tuffo e la riemersione della condannata fino a quando l’asse non avesse ripreso la sua posizione orizzontale. Non raramente l’acqua restituiva un povero cadavere, soprattutto perché, come ricordano alcune cronache e ballate popolari, le donne ciarliere tra una immersione 16 e l’altra, ricoprivano di ingiurie gli astanti e le autorità, insulti tali da giustificare, a completare lo spettacolo, una morte sommaria; le malcapitate avrebbero potuto chiedere venia, ma non è stata documentata alcuna richiesta di pietà. Brave! E che dire della cosiddetta prova dell’acqua in uso fino al Seicento, per accertare la colpevolezza di una strega? Dopo un discutibile processo, l’imputata di stregoneria, era condannata a subire questa prova da giudici perversi e teologi in malafede: denudata e incaprettata, veniva gettata nel solito canale o fiume, se affondava era un segno di innocenza, se rimaneva a pelo d’acqua ciò veniva attribuito alle sue arti di fattucchiera e al rifiuto dell’acqua, elemento femminile per eccellenza, ad accogliere la creatura demoniaca. Si ritiene che nessuna di esse, per ovvi motivi fisici, sia mai riuscita a galleggiare, pertanto la condanna doveva ascriversi alla simbologia tanto cara alla cultura dell’epoca, fondata sulla regola del contrappasso: la donna ribelle doveva essere punita in quello stesso liquido amniotico nel quale avrebbe potuto custodire la vita. In un manoscritto di Heidelberg, la più antica Università tedesca, è testimoniata l’esistenza di un simpatico bagno, tipo una moderna vasca da idromassaggio, dove tre uomini gettano nell’acqua una poveretta trattenuta da bande legate intorno alla vita: il su e giù decretava una sadica fine. Il fenomeno della caccia alle streghe verrà trattato successivamente; comunque ci riporta, in primis all’impiccagione, quindi ai roghi disseminati sulle piazze delle grandi città e di singoli villaggi di tutta Europa, dove venivano arse vive non soltanto le supposte streghe, ma qualsiasi donna alla quale il giudice avesse inferto la pena capitale. Si può ancora parlare di simbologia: il fuoco, elemento tipicamente maschile, doveva distruggere e polverizzare la colpevole poiché persino la terra si rifiutava di accogliere nel suo seno il cadavere impudico. In Francia, soltanto dopo il 1790 e le conseguenti conquiste della Rivoluzione Francese, le donne ottennero il diritto di essere ghigliottinate come gli uomini. Fu Olympa De Gouges (1775-1793) che, dopo l’arresto del Re Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta, offertasi di assumerne la difesa, che le venne negata dallo stesso Robespierre e dai Montagnardi, chiese di essere ghigliottinata come un uomo. La sua testa, insieme a quella di Jean Marie Philipon Roland (1754-1793) rotolò il 3 novembre 1793. Queste due donne avevano conquistato, almeno nella morte, una certa parità di diritti. 17 Capitolo secondo La costola d’Adamo e la misoginia della patristica Dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master (1867-1950), p. 161: Un certo Wendell P. Bloyd, rinchiuso per blasfemia e pazzia in un manicomio dove un’infermiera cattolica lo uccise di botte, si alza da una delle famose tombe “là sulla collina del cimitero” e dice: La mia colpa fu questa Dissi che Dio mentì ad Adamo e gli assegnò di condurre una vita da scemo, di ignorare che al mondo c’è il bene ed il male. E quando Adamo imbrogliò Dio mangiando la mela e si rese conto della menzogna Dio lo scacciò dall’Eden per impedirgli di cogliere il frutto della vita immortale. Santo cielo, voi gente assennata ecco ciò che Dio stesso ne dice nella Genesi “e il signore Iddio disse: ecco che l’uomo è diventato come uno di noi” (un po’ d’invidia vedete?) “a conoscere il bene e il male” (la menzogna che tutto sia bene!) “e allora, perché non allungasse la mano a prendere Anche dell’albero della vita e mangiasse, e non vivesse eterno; per questo il Signore Iddio lo scacciò dal giardino dell’Eden” (La ragione per cui, io credo, che Dio crocifiggesse Suo figlio per uscire da quel brutto pasticcio, è ciò che è proprio degno di Lui) Ma Wendell era un folle. 19 Nella Genesi, primo libro biblico del Pentateuco, leggiamo: Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò maschio e femmina li creò Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sula terra”. In un passo successivo apprendiamo questa vulgata: E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio dare un aiuto che gli sia simile. Il Signore fece scendere sull’uomo un torpore che lo addormentò, gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse a lui. Allora l’uomo disse: Questa volta essa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta. La donna per l’ebraismo e nel Talmud è ritenuta inferiore all’uomo in ogni cosa: “così deve ubbidire, non per essere costretta ma per essere comandata, perché è all’uomo che Dio ha dato il potere”. Guai avvicinarsi e congiungersi a una donna durante il ciclo mestruale, fatto che permane ancora nella nostra cultura contadina e talvolta borghese. La Bibbia, opera di autori diversi (alcuni dei quali rimasti anonimi), rappresenta la vita, i desideri, le speranze, le aspirazioni di un popolo alla ricerca non soltanto della parola di Dio ma anche di quella dell’uomo. La difficoltà nell’interpretare il testo sacro deve imputarsi alla lontananza temporale, alla differenza di cultura e, più realisticamente, alla distanza che 20 il testo scritto interpone tra il messaggio originale e il lettore. Questa narrazione, arricchitasi e stratificatasi nei secoli, verrà sempre letta e adattata all’ottica dei lettori in base alla loro personale esperienza. Nel Medioevo, le Sacre Scritture, lette e rilette dai vari maestri di retorica, monaci, clerici, Vescovi, presentarono una notevole difficoltà d’interpretazione tanto da far tacciare d’eresia alcuni di essi come accadde ad Abelardo per il suo Sic et non o per la Theologia Summi Boni o semplicemente per l’esegesi di alcuni passi biblici. Nell’esposizione dell’Esameron, scritto per la badessa Eloisa e le sue consorelle, Abelardo aveva ammesso l’estrema difficoltà della lettura delle Sacre Scritture confermando un passo di Sant’Agostino (Ritractationem, libro III, 24): “In quest’opera ci sono più cose indagate che risolte, e di quelle che sono risolte poche sono sicure, mentre le altre sono enunciate, come ancora bisognose d’indagine”. A questo desiderio di indagare, Abelardo rispondeva che il commento biblico, specialmente quello della Genesi e in particolare l’inizio, doveva svolgersi in tre diverse e successive esposizioni: la storica, a chiarire la veridicità degli avvenimenti, la morale atta a rivelare il significato della Storia, a edificazione dei costumi e della conseguente trasformazione dell’uomo, da animale a essere spirituale, e infine la mistica che spiegherebbe i sei giorni della creazione come le sei età del mondo e dell’uomo. Gli ebrei, ad esempio, stabilirono che le Sacre Scritture, specialmente i primi quattro libri, dovessero essere affidate alla lettura di persone mature per esperienza e saggezza; la stessa opinione era espressa da San Girolamo. Non saremo certamente noi a decidere la veridicità della prima o della seconda versione della Genesi; teologi, medievisti, filosofi, storici, antropologi hanno tentato, attraverso i secoli, un’approfondita disanima nell’intento di mantenere intatta la diversità e l’unità della specie umana. L’ossessione medioevista per il femminile, accogliendo la seconda versione, venne reiterata con pedanteria, anche se suffragata dalle donne stesse. La badessa Ildegarda di Bingen (1098-1179) osservava: “la donna è debole, vede nell’uomo colui che può darle forza, allo stesso modo in cui la luna riceve la sua energia dal sole. Per questo motivo è sottomessa e deve sempre essere pronta a servirlo”. La badessa tedesca, personaggio complesso e affascinante, fu la prima donna cristiana musicista di cui si abbia notizia; taumaturga e filosofa, raggiunse la santità per le sue visioni mistiche. La debolezza psichica e fisica della donna ha segnato in negativo parecchi secoli, e la strombazzata forza dell’uomo ha la meglio sui 21 molteplici attuali femminicidi: pare si faccia una macroscopica confusione tra forza e violenza. Nel mondo animale le femmine difendono i loro piccoli a rischio della loro vita, mentre il forte maschio osserva la scena, a occhi socchiusi, sdraiato sull’erba; forse perché gli organi sessuali femminili sono ben celati mentre quelli maschili, esposti a bella vista, sono scopertamente attaccabili? Una miniatura del 1240 ca., inserita nel Liber divinorum operum della badessa suddetta, dichiara in modo esplicito questa subordinazione: l’uomo viene disegnato in un grande cerchio a tutto tondo, microcosmo di un infinito universo, osservato dall’alto da un Dio barbuto e indifferente, mentre in basso a sinistra, fuori dalla complessa iconografia, appare una donna minutissima, quasi un punto interrogativo perso ai margini, mentre sfoglia un testo certamente biblico. La donna, nel Medioevo, era un gender e il Cristianesimo, pur ponendo al centro di ogni sua catalogazione la differenziazione dei sessi, minimizza nel Vangelo la presenza delle donne che, appartenenti ai più diversi strati sociali, avevano abbandonato mariti, figli, amanti, per seguire in povertà il Messia. Con l’uomo di Nazareth dialogavano, esponevano i loro dubbi o false certezze; e ai piedi della Croce troviamo soltanto loro, mentre gli Apostoli si erano dati alla fuga, spergiurando di non avere mai conosciuto Gesù. Nessuna delle pie donne aveva tradito. La misoginia della patristica pare, nella sua fobia, aver cancellato pagine intere della vita terrena del Messia e le donne appaiono dei corollari atti a vivacizzare la scena come semplici comparse. I vari Santi, Ambrogio, Girolamo, Agostino, nel quarto e quinto secolo, partendo dall’esegesi biblica, approdano a conclusioni per mezzo delle quali vorrebbero salvare capre e cavoli, sottovalutando la storia della Tentazione e della Caduta. Sant’Agostino leggeva, nel testo iniziale della Genesi, la creazione da parte di Dio dell’uomo interiore, l’anima razionale priva di sesso, ma, poiché porta l’immagine del Creatore, essa contiene la natura umana nella sua interezza, quindi l’unità tra maschio e femmina. Nella seconda versione, Dio creava l’uomo esteriore e, per la finalità della procreazione gli toglieva la famosa costola creando alla bisogna Eva che, da quel preciso istante, veniva condannata alla subordinazione maschile. Tutta la patristica, ai limiti della noia, accoglie la logica maschilista di una divisione meccanicistica dei sessi. 22 S. Tommaso d’Aquino, rifiutando la teoria agostiniana dei due livelli della creazione, ripete pedissequamente l’amato Aristotele che osservava: “la donna è un maschio imperfetto” quindi debole, irrazionale, instabile, impura, concupiscente, colpevole di aver corrotto il povero Adamo annullando così ogni possibile parificazione dei sessi. Ancora San Tommaso: “la donna è un uomo mancato, un essere occasionale, quindi dobbiamo considerare il carattere delle donne come naturalmente difettoso e manchevole”. L’uomo era quindi unità mentre la donna rispecchiava il dualismo di Eva peccatrice e Maria Vergine redentrice, unica donna a glorificazione del sesso femminile, a partorire Gesù rimanendo vergine. Verginità! Altra ossessione di monaci, Santi, predicatori, asceti ai quali un moderno psicoterapeuta avrebbe suggerito la semplice ricetta di concedersi all’amore e alla sessualità con leggerezza. L’uomo era quindi il polo positivo e la donna quello negativo che unendosi originavano la scintilla della vita. E va bene, ma qualcosa non ci convince; è pur vero che si potrebbe parlare di un potere giusto esercitato per il bene di colui che lo subisce, escludendo l’interesse di chi lo esercita. Soluzione troppo cervellotica e comoda. Dove poniamo il libero arbitrio, la dignità, il corpo femminile come bellezza esteriore, l’intuito profondo, la capacità alla rinuncia per il bene altrui, il senso quasi innato nella donna di agire silenziosamente nella Storia? Le donne hanno saputo nei secoli combattere per riconquistare la loro oralità contro la sentenza tomistica che la donna dovesse tacere in qualsiasi riunione (domina taceat in ecclesia) per conseguire il diritto all’istruzione, riservato ai clerici e agli uomini in genere, così come quello al voto, in nome di una capacità giuridica negata dal solito Tommaso d’Aquino. Ma certo! In definitiva siamo senz’anima. La mitologia stessa aveva evidenziato una buona dose di maschilismo nel mito di Pandora. Giove, per punire gli uomini che contro il suo volere avevano ricevuto in dono il fuoco da Prometeo, ordinò a Vulcano di plasmare una figura femminile alla quale Minerva insegnò la tessitura, Venere donò la bellezza, Mercurio la falsità e la furbizia. Pandora venne realizzata con un enorme vaso contenente tutte le calamità possibili ed immaginabili e non si sarebbe dovuto sollevarne il coperchio: il rischio era di diffondere nel mondo il male, rimaneva soltanto, all’interno del vaso, la speranza che, per ordine di Zeus, mai sarebbe potuto fuoriuscirne. Abbiamo così imparato a tessere e cucire, farci belle, essere false e 23 furbe. Logico: Zeus non era proprio uno stinco di Santo se sotto forma di pioggia, di toro o quant’altro si catapultava a mo’ di razzo su mortali e dee, giocando con la propria virilità come un bambino con la palla o le costruzioni. Il Levitico paragonava le donne agli animali, le leggi di Solone non attribuivano loro alcun diritto civile, il Codice Romano le poneva sotto tutela del padre o del marito. Pitagora sentenziava: “C’è un principio del Bene che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo ed un principio del Male che ha creato il caos, le tenebre e la donna”. Altro florilegio di Socrate e Platone: “Di tre cose dobbiamo ringraziare il destino: primo di essere nati uomini e non animali, secondo di essere nati uomini e non donne, terzo di essere nati greci e non barbari”. Nel Medioevo, Ugo di Chartres così rincarava la dose: “la donna è causa del male, l’inizio della colpa, incitamento al peccato… è lei che sconvolge il giusto, inganna il sapiente, abbatte il forte”. E Adamo si sarebbe fatto stupidamente truffare, accettando di conoscere biblicamente Eva! Ruperto di Deutz a questo proposito si chiedeva: “Non fu quella una prima dimostrazione di un carattere infido, prepotente e insistente?”. Ma basta con questa storia del serpente, della mela e dell’albero della conoscenza del Bene e del Male! Per fortuna è andata così, cosa sarebbe mai il mondo privato del Bene e del Male? Un eterno stressante Eden, avulso dal mistero e da quella facoltà meravigliosa di scegliere, soffrendo, ridendo o piangendo? E sentiamo, tanto per gradire Ludovico il Pio, che di pio aveva ben poco: “[…] poiché da alcuni rapporti veniamo a sapere che in qualche provincia contro la legge divina e le norme canoniche le donne si occupano degli altari ed imprudentemente preparano i paramenti sacri, noi vietiamo queste azioni”. Bella lezione per le perpetue di manzoniana memoria ricche di pietas che, denominate della Chiesa, già nel XII secolo, beghine, puliscono i marmi degli altari ornandoli di fiori e spolverando, oddio, persino i tabernacoli! Vade retro Satana! E proseguiamo pure con la Genesi (3-1-7) rileggendo i versi dedicati alla Tentazione e alla Cacciata. Eva ha sedotto Adamo ed ecco la maledizione: “Partorirai i tuoi figli nel dolore. La tua bramosia ti spingerà verso tuo marito e lui dominerà su di te”. Perché Adamo non seppe far valere la sua superiorità intellettuale e perché Eva già nell’Eden si sarebbe dimostrata inferiore ad Adamo? La teologia dà una semplice e univoca risposta da ricercarsi ben prima della Tentazione e della famosa 24 sottrazione della costola, addossando ad Eva una colpa a priori al di là di ogni esegesi biblica. Quindi tutta la patristica e oltre concepirà una subordinazione femminile all’uomo, ragione e spirito, contro la donna corpo, carne e sessualità e persino strumento del demonio come appare in una raffigurazione delle tentazioni di San Benedetto, scolpite sul capitello della navata centrale dell’Abbazia di Saint-Benoit-sur-Loire. Tuttavia, senza procreazione, il mondo avrebbe avuto termine in un Dio imperfetto corredato di tutti i difetti maschili e femminili, un Dio vagante come nube inespressa sulle acque e su di una lussureggiante foresta blu come nel film Avatar. Guglielmo IX, in verità, aveva tentato l’idealizzazione della donna attraverso l’amor cortese, aperto ancor oggi ad ambiguità d’interpretazione, sfociate nell’ennesimo dilemma mai placato tra l’oscurità metaforica (trobar clus) e la rappresentazione di una umile amante sottomessa. Jaufrè Rudel vagheggiava un amor lontano, Bernard de Ventadorn un sentimento sublime. A nulla valsero le innumerevoli diatribe medieviste: i monaci subirono l’ossessione del sesso e la spiegazione del maschile e femminile si sarebbe sforzata di sovrapporre un binario orizzontale, fondato sull’opposizione, a un binario verticale, al centro del quale si sarebbe trovato sempre Dio. Teoria piuttosto peregrina e inutile. Persino Abelardo alla fine di una vita contraddittoria e sventurata, cadde nella trappola maschilista scrivendo al figlio Astrolabio: “Se una donna prende il potere al di sopra degli uomini, dì che le cose si compiono in ordine capovolto” (Carmen ad Astrolabium, v. 102). L’abate, un anno prima della sua morte, aveva evidentemente rimosso la parentesi gaudente della giovinezza. Tertulliano e Girolamo, nel XIII secolo, scrissero una volgare condanna del matrimonio, in un libro di lamentele sulle mogli ritenute idiote e apportatrici di sventure; neppure i laici erano da meno quando elencavano in negativo le cinque “gioie” del matrimonio. Tuttavia la serie più abominevole degli insulti alla donna si ritrova in un poemetto anonimo, francese, scritto fra il 1152 ed il 1160, che possiamo considerare il più antico testo misogino: I proverbi contro le donne. L’anonimo, non privo di stravagante allegria, descrive ogni difetto atto a fomentare la misoginia e l’odio, le donne diventano simili a un vespaio, a un avvoltoio, sono dissimulatrici e mentitrici, pulzelle, maritate e monache vengono gettate dal “gentiluomo” nella pattumiera degli insulti gratuiti senza l’appello di una raccolta differenziata dei rifiuti. 25 Nonostante queste brutture vi fu un’eccezione a confermare la regola: nei Carmina Burana, scritti dai clerici vagantes, studenti universitari dell’epoca, si esaltava la bellezza femminile e le gioie distribuite a piene mani da una sana quanto naturale sessualità. I clerici non dovevano sottostare ai precetti della castità perché erano semplici studenti che opponevano al bieco conformismo della misoginia, la loro gioia di vivere. Era quel vagare da Orléans a Chàrtres, da Tours a Laon, da Reims a Parigi sino a arrivare a Bologna e Salerno, a permettere loro, all’ombra di gotiche cattedrali, di apprendere le arti liberali, la retorica, la scienza, la matematica, la teologia della quale Abelardo (1079-1142) era stato fondatore e maestro. Sfortunatamente le attribuzioni dei Carmina Burana sono poco documentate: certamente alcune appartengono alla fine penna del retore Ugo di Orléans detto il Primate o al canonico di Amiens Guglielmo di Chàtillon e di altri goliardi. L’appellativo “goliardo”, ritrovato in un documento della fine del XII secolo, pare essere nato per un episodio accaduto durante il processo di Sains (1140) in cui Bernardo di Chiaravalle, accusando di eresia Pietro Abelardo, incolpava: “Ecco viene avanti Golia con il suo corpo immenso, forte delle sue formidabili armi…”. Abelardo era il nuovo Golia e goliardi erano i suoi seguaci che non guardavano la donna con sospetto ma evitavano le elucubrazioni mentali dei monaci. Donna era luce, sessualità, piacere, gioco erotico che nulla aveva da spartire con il sacramento cristiano del matrimonio e neppure con la prostituzione. Erano fanciulle che accompagnavano gli studenti per un breve tratto della loro giovinezza e l’amore celebrava l’ampia soddisfazione erotica all’insegna della più pura libertà di scelta; infatti l’incontro, il colloquio, le carezze, il bacio, l’amplesso conclusivo, denominati “i cinque gradi del decalogo amoroso”, avevano un inizio e una fine, ma non erano esclusivamente il fine. … La fanciulla mi aveva concesso di vederla, parlarle, accarezzarla ed infine baciarla, mancava però ancora l’ultima e più dolce meta dell’amore… I baci molli di lacrime hanno un sapore ancor più dolce ed eccitano la mente… Aggiungo preghiere alle preghiere e baci ai baci, ella unisce lacrime alle 26 Lacrime, litiga e mi insulta… ora lotta contro di me ed ora mi implora… Diventa audace… lei mi graffia, mi strappa i capelli… Lotto sempre più finché ottengo il mio trionfo. La cosa è piaciuta ad entrambi. La mia amata non mi respinge più ma, fattasi più calma, mi dà baci dolci come miele e sorridendomi, con gli occhi tremanti e semichiusi, si assopisce, ancora più turbata. (Piervittorio Rossi (a cura di), Carmina Burana) Ma i Carmina sono anche una condanna della Chiesa simoniaca e crapulona dedita al concubinaggio che la riforma gregoriana non era riuscita ad arrestare. Il potere teocratico, la pressione fiscale e l’imposizione di decime e tasse avevano posto in discussione l’ideale evangelico della povertà alla quale gli “svergognati clerici studenti”, così definiti da Bernardo di Chiaravalle, rispondevano cantando questi versi: Sulla terra in questi tempi il denaro è re assoluto I sovrani lo amano moltissimo e ne sono servitori La venale curia papale ne è quanto mai golosa Esso impera nelle celle degli abati E la folla dei priori, nelle loro cappe nere, inneggiano solo a lui E ancora: I vescovi portano le corna invece della croce… In questo mondo dei clerici sottovalutato, i Carmina appaiono come un bellissimo fiore nel deserto, dove la donna regnava sovrana a dispetto dei vari Bernardi che lanciavano, da pulpiti scolpiti, fulmini e saette. Les chansons nascevano all’ombra di torbide cappe nere, nel clima meraviglioso di quelle Feste dei Folli, cantate da Gualtiero di Chàtillon, durante le quali donne e uomini in una sorta di Eden danzavano, sul sagrato di Notre Dame, travestiti da centauri e centauresse, ed entravano 27 nudi nella navata senza alcuna ombra di vergogna, mentre note gioiose salivano sino alle ogive istoriate in mille colori per raggiungere il cielo. Dovremo attendere il Trecento e il Decamerone di Boccaccio per respirare a pieni polmoni la stessa gioia di vivere, presente già nel motivo innovatore della scelta dei personaggi narranti: tre donne e sette uomini fuggivano dalla peste come i nostri studenti dal fango di una certa Chiesa. Donne passionali, eroine, badesse, monache, vergini fanciulle, ma anche ipocrite, maliziose, imbroglione, ruffiane, adultere, che, finalmente, parlano, raccontano, piangono, ridono e osano porsi persino al di sopra dei loro direttori spirituali che sono, come dice Filomena nella terza novella del Decameron, “stoltissimi uomini di nuove maniere e costumi”. Costumi e maniere non certamente lodevoli. Una fantasiosa macchina del tempo, sorvolando guglie gotiche, archi rampanti, portali istoriati, ci conduce alla caotica vita della Parigi della Tour Eiffel, dell’Arco di Trionfo, del Quartiere latino e di Saint Germain de Prè. Siamo nel 1961 quando Simone de Beauvoir diede alle stampe Il secondo sesso, saggio nel quale l’autrice afferma quanto sia errato ritenere l’uomo Soggetto Assoluto e Lei l’Altro. La donna quindi è Altro e non la norma. Per Simone il passaggio dal matriarcato al patriarcato, che implicò l’obsolescenza dei culti legati alla Dea Madre o Matuta, è stato il momento in cui venne decretata la sottomissione all’uomo. Alcuni critici francesi sentenziarono: “Brava la Beauvoir, scrive come un uomo”. Avevano capito tutto! Aveva forse ragione l’antropologo scozzese James George Frazer (1854-1941) che ne Il ramo d’oro asseriva: “Gli uomini creano gli dei, le donne li adorano”? Tuttavia nel desiderio sfrenato di portare a termine questa subordinazione appare evidente una certa ambiguità: l’uomo vorrebbe rivestire la sua donna di una quasi primordiale magia (la fata Turchina o la madre?) e, pur possedendola in toto e per tutta la vita, cerca la chiave per renderla schiava e contemporaneamente compagna. Forse questa chiave chiude ermeticamente la porta della dignità femminile che rischia di essere violata col silenzio colpevole, consumato nei femminicidi e negli stupri domestici. Nell’ultima caotica fase del gioco politico, spinto agli eccessi, un Senatore italiano, parlando di un eventuale formazione di governo, ha così anticipato: “… in parte saranno tecnici, in parte politici, il resto donne”. Nell’anno del Signore 2013 siamo purtroppo ancora “il resto” e non l’altra metà del cielo. 28