In nome della libertà femminile. Fanny Salazar Zampini

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In nome della libertà femminile. Fanny Salazar Zampini
GAETANINA SICARI R UFFO
In nome della libertà femminile.
Fanny Salazar Zampini
Introduzione
Fanny Salazar Zampini visse tra XIX e XX secolo (Bruxelles 1853-Napoli 1931), tra Napoli
e Roma e condivise inquietudini e preoccupazioni che caratterizzarono quell’epoca.
Il XX secolo però ha favorito la condizione delle donne nella richiesta d’avere diritti civili e
politici. Tra dibattiti, scontri, polemiche maturò l’emancipazionismo prima e il suffragismo dopo,
lotta quest’ultima per ottenere libere elezioni.
Ci son volute due guerre mondiali perché questo processo di affrancamento potesse
approdare ad una prima soluzione, senza che per questo potesse dirsi concluso. Gli uomini, chiamati
ai fronti nella I mondiale, permisero al popolo femminile d ’occupare gli impieghi rimasti vuoti in
un gran numero di attività. Così, lasciato l’ambito familiare, esse affrontarono il mondo del lavoro,
facendo conoscere le loro potenzialità e nello stesso tempo maturando la loro coscienza di cittadine.
Prima erano considerate soprattutto madri e mogli con le responsabilità connesse ai doveri del ruolo
nel quale erano inserite. Le nubili e le vedove avevano maggiori possibilità di movimento delle
sposate per le quali invece erano mortificatati l’individualità, il possesso della propria persona e
l’indipendenza. In Italia il Codice napoleonico imponeva alle donne sposate l’autorizzazione
maritale per qualsiasi attività che esse volessero intraprendere. Questa venne abolita solo nel 1919.
Già dal 1792, a Londra, Mary Wollstonekraft, nel su libro:Vindication of the Rigts of Woman, aveva
chiesto con forza l’uguaglianza e la rappresentatività politica. Ma dovevano passare molti lustri
perché l’idea si facesse strada anche altrove. In effetti alle donne, nell’ambito della società
patriarcale, toccava una cittadinanza di secondo ordine, escluse com’erano dal godimento dei loro
legittimi,elementari diritti.
Nel XIX secolo sorsero numerosi movimenti per recuperare radicamento sociale, funzione
culturale e capacità decisionale.
Fu allora considerata l’importanza della formazione culturale prevalentemente prima
trascurata a tutto vantaggio d’una vita che doveva essere vissuta in casa ed in famiglia come ebbe a
spiegare A. M. Mozzoni, polemista italiana di prim’ordine (Milano 1837-Roma 1920), traduttrice
del testo di J.S.Mill, The Subiection of Woman del 1869:
“Tutte le donne si allevano dall’infan zia alla credenza che l’ideale per loro sia l’antitesi di quello dell’uo mo: esse
sono educate a non volere per se medesime ,a non condursi dietro la volontà loro, ma a sottomettersi, a cedere
all’alt rui”.
Da qui la necessità d’impostare ed offrire un genere nuovo di studi che non fosse solo quello
concernente l’economia domestica e di permettere alle donne di laurearsi e d’avere una professione,
impegnando dure battaglie per ognuna di queste opzioni. Dapprima furono le sfere aristocratica e
borghese, laica e cattolica che si rivelarono più sensibili a perseguire questi obbiettivi ed a
interpretare competenze e valori. Poi toccò alle proletarie in concomitanza con la nascita del Partito
socialista (1892).
Non è stato facile affrontare il travaglio della crescita femminile. Crearsi una coscienza
aperta e collaborativa ha significato innanzitutto porsi controcorrente e ritrovare dentro si sé, ed a
contatto con le altre, le ragioni d’una solidarietà che superasse gli stretti vincoli del privato ed
entrasse in una sfera pubblica eterogenea. Ci furono malcontenti e scissioni pure dentro gli
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schieramenti femminili: tra emancipazioniste e suffragiste, tra laiche e cattoliche, tra le borghesi e le
proletarie. C’erano indirizzi diversi che talvolta contrastavano tra di loro. Le laiche erano, per
esempio, di opinione molto più libera e non riconoscevano l’autorità ecclesiale che si faceva
promotrice di moderazione,di sottomissione alle regole comuni, di obbedienza alle consuete norme
della morale e dell’integrità della vita nazionale: la famiglia era come un altare su cui consumare il
sacrificio di se stesse. La persona umana doveva annullarsi ,specie se era donna e pensare solo a
operare in essa per una promozione futura, finalizzata alla progressione della specie ed allo sviluppo
della società.
Bene diceva Simone De Beauvoir (cfr. Il secondo sesso, 1949):
“Dobbiamo tentare di riprendere per nostro conto attravers o i nostri progetti viventi quella libertà che si è
impegnata nel passato e integrarla al mondo presente”,
intendendo una libertà che non fosse solo parentesi breve, ma duraturo acquisto di consapevolezza
dei propri diritti: primo tra tutti, vivere secondo un proprio modo d’essere, senza subire
condizionamenti.
E questa libertà tante volte evocata, mai naturalmente raggiunta, fu l’obiettivo che tante
donne d’ogni nazionalità si posero, ma restava in astratto, indefinita. Forse per questo fu dalla
maggior parte dei cittadini intesa come ribellione al proprio stato di natura e pertanto condannabile.
Invece era necessario definirla,configurarla dentro certe leggi razionali che inducessero l’opinione
pubblica a meglio considerarla ed approvarla. Solo allora, quando finalmente si capì che le donne
volevano essere ascoltate per trovare fiducia ed affidabilità, quando la loro richiesta fu confortata da
un effettivo riscontro del loro valore in tutti i campi,quando fu chiaro che non volevano usare la
libertà richiesta semplicemente per delinquere, ma per dimostrare di poter fare bene il compito che
avevano scelto di svolgere nell’ambito pubblico e in quello privato, solo allora si fece un passo
avanti nell’annosa questione dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri.
In Italia, il Decreto che diede il via libera per sanare la situazione di stallo che s’era venuta a
creare con il fascismo, fu il Decreto luogotenenziale del 1 febbraio del ’45 che diede il via libera al
referendum del 2 giugno del ’46 nel quale le donne per la prima volta votarono.
La vicenda di vita di Fanny Salazar Zampini rientra in questo annoso cammino della ricerca
d’un metodo per superare l’impasse dell’incomprensione e dell’intolleranza nei riguardi dell’essere
“donna”.
Provata da un’esperienza familiare fallimentare, la separazione dal marito, sperimentò su se
stessa cosa volesse dire essere guardata con sospetto e dover da sola crescere i figli nati dal suo
matrimonio e nello stesso tempo sentirsi libera e rispettata. Fu l’educazione ricevuta dai genitori
illuminati e la cultura che riuscì ad acquisire ad aiutarla in questo difficile cammino nel quale s’era
trovata. Nel corso infatti della ricerca che la riguarda si possono riscontrare tanti episodi indicativi
dei tentativi esterni d’una sua esclusione ed emarginazione (tra l’altro l’attacco d’una rivista
gesuitica che vedeva in lei una donna spregiudicata), ma ogni volta ebbe il coraggio di
contravvenire ai divieti e difendersi con le giuste parole dettatele dalla ragione e dalla sua
istruzione.
Il suo metodo di analisi storica e sociologica si ispira al grande esempio della civiltà inglese
che lei vedeva all’avanguardia nel mondo, specie nell’affermazione dei principi di libertà e
giustizia, e lungi dall’invitare ad una pedissequa imitazione di essi, vi si soffermava per meglio
considerarli, indicando le rotte più giuste nell’accostamento con la realtà italiana, sia dal punto di
vista pedagogico, perché l’azione educativa riuscisse più efficace, sia dal punto di vista della
comunicazione giornalistica e letteraria, per fornire in prima persona i termini d’un dialogo che
fosse propedeutico ad onestà mentale ed apertura ideologica. Un suo figlio più tardi testimoniò con
un suo scritto il coraggio e la difficile prova della madre. Questo contributo, per lo meno inusitato, è
la dimostrazione di come la scrittrice abbia operato nel solco d’una azione benefica i cui frutti sono
documentati. Inoltre essere giornalista è stata una scelta di libertà già in sé fondamentale, perché, a
parte il fatto che appariva estremamente difficile affrontare l’opinione pubblica e talvolta
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contraddirla, la testimonianza della volontà di comunicare per costruire nuovi traguardi rompeva
con tutti i crismi della tradizione artificiosamente costruita.
La Salazar si può considerare una testimone del suo tempo per niente timida. Vinse le paure
che come essere umano ebbe naturalmente e riuscì a portare le sue idee in tutta l’Italia, dal nord al
sud e pure all’estero, nella sua amata Inghilterra e nel Nuovo Mondo dove già s’affacciava il mito
d’una terra italiana divenuta Nazione unita a prezzo di atti eroici. I suoi programmi contemplavano
un avvenire di pace e di grandezza per l’Italia ed in questo senso la sua voce non fu profetica per i
grandi eventi che si compirono, nonostante il suo impegno,come invece fu quella di apertura
all’Europa. Fu un’altra donna, sulla sua scia, Maria Goegg, nel 1867, a lanciare un appello, a
Ginevra, sostenendo la rivista “Etats unis d’Europe”. Certo non era un’Europa politica, ma culturale
quella che lei con tanti altri avevano sognato, un territorio stretto da vincoli di amicizia e solidale
come ancora oggi è nelle attese di tutti. La Rivista, fondata dalla “Lega internazionale della pace e
della libertà” al Congresso tenutosi a Ginevra nel settembre del 1867, sotto la presidenza di
Giuseppe Garibaldi col patrocinio di Victor Hugo e di John Stuart Mill ed alla presenza di Bakunin,
sembrò la soluzione giusta da seguire. Ebbe vita fino al 1939, vigilia del secondo conflitto
mondiale. Rivendicava l’autonomia della persona, il suffragio universale, libertà
civili,sindacali,d’impresa, parità di diritti tra i sessi, una federazione repubblicana dei popoli
d’Europa, l’abolizione della pena di morte, un arbitrato, un codice e un tribunale internazionale.
Ancora oggi si auspica che quel progetto possa verificarsi. Dal marzo del 2003 è stata
raccolta questa grande eredità del passato, nata dai fermenti, dalle discussioni, dai movimenti
intrapresi per diffondere il messaggio della liberazione femminile, purtroppo rimasta interrotta per i
cataclismi mondiali che seguirono.
“Critica Liberale” ha adottato la stessa testata: “Etats unis d’Europe”, come supplemento
prima trimestrale, ora mensile, per riproporre l’attualità di quell’obiettivo che s’intende definire e
realizzare, cioè la nascita d’una Europa federale,premessa d’una pacifica convivenza di Stati
democratici nel Mediterraneo.
Antiche lotte e speranze nuove
Fanny Salazar fu scrittrice, conferenziera ed insegnante e adoperò tutte le sue energie per
diffondere e sviluppare le idee riformatrici che venivano d’oltralpe di cui avvertiva la necessità in
Italia. La terra in cui visse fu Napoli, ma anche a Roma soggiornò a lungo e svolse il suo
insegnamento di lingua e letteratura inglese, lei che era nata a Bruxelles da madre inglese, Dora
Macnamara Calcutt, sorella d’un deputato, appassionata d’arte ed artista lei stessa e dal padre di
origine calabrese, Demetrio Salazar, esule dopo i moti del ’48 a Parigi, Lussemburgo, Londra,
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Irlanda, Belgio. La scrittrice e suo fratello ricevettero per questo un piccolo assegno vitalizio di
perseguitati politici.
Si adoperò ben presto con l’impegno della mente e la forza della parola a dare lustro
all’Italia, a far sì che fosse inserita nel novero delle grandi nazioni come l’Inghilterra, pronta a
promuovere la causa femminile di cui con grande sagacia individuò l’importanza, nella società del
suo tempo. Ereditò il culto del bello dalla madre e l’amore per la libertà dal padre a cui dedicò un
intero capitolo nei Ricordi della sua opera Antiche lotte, Speranze nuove1 .
La sua esperienza di vita fu determinante per sentirsi nella condizione di dover difendere la
sua autonomia e per rivendicare rispetto e dignità alla sua persona. All’età di 15 anni, andò infatti
sposa a Zampini ,più anziano di lei di vent’anni,da cui presto si separò ,conservando però il suo
cognome. Si dedicò quindi all’educazione dei suoi tre figli ed agli studi sociali per cui sentiva
propensione.
Ma la sua condizione di donna libera ed indipendente non sempre fu accettata con liberalità,
ma considerata innaturale e molto criticata. Il fatto poi che lei prendesse a parlare in pubblico, nei
circoli culturali, in difesa della causa di liberazione femminile, di cui si andava allora discutendo in
Italia, fece sì che fosse spesso considerata spregiudicata,almeno inizialmente. Il modello da cui
prendeva l’avvio era quello inglese che le appariva libero e favorevole alla creazione di associazioni
e ad aperte discussioni. Nei Ricordi, la prima sezione del libro: Antiche lotte. Speranze nuove2
riporta il trafiletto d’una sua conferenza (citata dal “Popolo Romano”, Roma15 aprile 1889):
“Ieri davanti ad un pubblico numeroso, nel quale l’eterno femmin ino, rappresentato da molte eleganti
Signore, era in assoluta maggioranza ,la Signora Fanny Zamp ini Salazaro (italian izzato da Salazar), tenne
l’annunziata Conferen za dal t itolo :Convenzionalità e Riforme. Dopo di aver paragonato l’educazione
della donna quale viene impart ita nei più civili paesi,In ghilterra,Stati Unit i, Germania, e quale è data in
Italia, mettendo in rilievo l’inferiorità grande delle donne,specie delle classi medie e popolari italiane, al
confronto della coltura delle donne delle medesime classi in quei paesi,espose con vivacità di parole e
calore di convincimento le funeste conseguenze delle convenzionalità di ogni natura che intralciano e
impediscono l’elevazione generale della donna tra noi”.
La vivacità di parole e il calore del convincimento, citati dall’articolista, sembrano quasi
motivo di sorpresa e di audacia in un conformistico raduno di signore, assuefatte piuttosto ai
consueti discorsi di salotto. Fanny aveva conosciuto l’Inghilterra e aveva avuto contatti con
esponenti di quella terra, frequentato cenacoli, tanto che cercò di riprodurre anche in Italia quel
fervido clima.
Lei, nei suoi primi scritti, lamenta sempre però l’imbarazzo di parlare in pubblico, per il
1
Antiche lotte Speranze nuove, Napoli 1891. Demetrio Salazar (Reggio Calabria 1822-Po zzuoli 1882), fece
studi di arte. Appassionato sostenitore della causa liberale, si espose nel 1848, partecipando alle barricate e fu ferito.
Ricercato dalla polizia borbonica, scelse la via dell’esilio. A Lussemburgo incontrò la donna della sua vita che era una
pittrice. Insieme peregrinarono a Londra, in Irlanda, nel Belg io, fino a stabilire la loro d imora fissa a Napoli. Da qui
Demetrio seguì gli avvenimenti della Spedizione dei Mille.Toccò a lui ricevere Garibaldi nel giorno della liberazione di
Napoli. Lo ricorda la stessa Fanny, che aveva solo sette anni. Fu poi prosindaco della stessa città e più volte
consigliere,memb ro dell’Accademia Pontaniana ed autore di numerose opere soprattutto artistiche. Benedetto Croce, in
Appendice, nel vol. IV, della Letteratura della Nuova Italia (1915) lo ricorda con il cognome Salazaro (italianizzato)
per la sua opera: Studi sui monumenti dell’Italia meridionale dal IV al XIII sec. (1871-75) che considera grandiosa. A
Reggio,sua città natale venne più volte. Sua fu l’idea della fondazione d’un Museo che ,nel 1880 fu inaugurato nei
locali a p ianterreno del Palazzo A rcivescovile, con ingresso attiguo al Duo mo. La direzione fu affidata allo storico
Spanò-Bolani e vice d irettore fu il prof. De Lorenzo. Sco mparve prematuramente ed il Mo mmsen che gli era amico
ebbe a dire: “Io mi rico rderò sempre dell’appoggio che mi prestò nelle mie ricerche e nei miei viaggi,specialmente in
quello di Venosa e di Lucera ,dove mi fu compagno”. Su di lu i ci sono numerosi scritti: G. M INERVINI
,Commemorazione di D. Salazar nell’Accademia di Lettere e Belle Arti , 13 giugno 1882; V. VI SALLI , I Calabresi nel
Risorgimento italiano,Torino 1891; A. ROMEO, Pensiero ed azione, profilo di D. S., Reggio 1895; F. CAPRÌ ,
Commemorazione di D. S., in “La Zagara”, giugno 1882; L. PARPAGLIOLO, D. Salazar. Discorso commemorativo,
Napoli 1927; A. FRANGIPANE , D. S. lettura dalla Cattedra di Storia lett. della Biblioteca Comunale di Reggio , 18
maggio 1932; A. M ONT I , D. Salazar, in Rassegna Storica del Risorgimento, Roma 1936.
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Dedicato a Ruggero Bonghi e a Donna Laura Minghetti, pubblicato a Napoli nel 1891.
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pregiudizio che allora circolava che le donne dovessero essere ritrose e riservate:
“Essendo donna non dovevo dare tale scandalo... In Inghilterra parlano davanti a migliaia d i attenti
ascoltatori non solo donne di modeste condizioni, ma le gran Dame ed alche qualcuna appartenente alla
famig lia regnante”.
Sentiamo ora il parere d’uno spettatore, suo amico, a cui sta a cuore la sua salute, Vincenzo
Gianturco, in una lettera indirizzatele,sempre contenuta nei Ricordi:
“M ia buona Signora, Le assicuro che quando penso alle ragioni per cu i, Ella, impavida, affronta il
giudizio del pubblico, mi sento stringere il cuore, co me mi è accaduto leggendo nella “Tribuna” che era
tanto pallida quando cominciò a parlare e le tremava la voce. La prego di aversi cura, di badare alla sua
salute, preziosissima a’ suoi cari fig lioli e a ’ suoi amici devoti”.
Le testimonianze di cui sopra stanno a significare la forza di volontà della Salazar a farsi
accettare come interlocutrice dal suo pubblico e la fatica indispensabile della preparazione cui
dovette attendere per essere credibile. L’amico accenna alla sua salute e la invita a riguardarsi . Lei
stessa racconta di periodi di forte stress, tanto che per via delle difficoltà incontrate in seno alla
famiglia e fuori, qualche volta è stata costretta a rifugiarsi in Calabria, per un riposo mentale e
fisico, lontano dalle lotte e dai confronti difficili. Ma superò sempre le prove, anche quelle
durissime.
L’Inghilterra e l’Italia furono le sue due patrie, una elettiva e l’altra reale. Della interazione
di entrambe si servì per formare le sue idee e diffonderle. L’Inghilterra era per lei un modello da
seguire, mentre s’adoperava a promuovere l’Italia ad un gradino culturale più alto di quanto non
fosse già. A somiglianza degli ambienti inglesi da lei frequentati nei suoi molteplici viaggi, fondò
infatti più tardi, a Roma, un Circolo letterario scientifico internazionale, con l’intenzione di
divulgare poi nelle restanti province italiane l’amore per il sapere. Per realizzarlo trovò persone
amiche che potessero aiutarla. Al suo appello anche nel Regno Unito risposero cinquanta socie d’un
analogo Circolo inglese e fu organizzata una raccolta di fondi per la creazione di classi serali, di
società operaie femminili, per l’assistenza e la ricreazione dei poveri. Il progetto così lungimirante
non andò però in porto per come era stato prefigurato,ma suscitò interesse negli ambienti be ne della
capitale e costituì la premessa di interventi sempre più mirati nei quali la parola fosse il fulcro non
solo di conversazioni, ma pure di elaborazione di libri e di riviste.
La situazione napoletana era un po’ caotica. Ci dà un affresco convincente Matilde Serao 3
che fu sua coeva ed in corrispondenza con lei. La giornalista raccolse ne’ Il ventre di Napoli, a tre
riprese ed in tempi diversi, una serie di articoli nei quali descrisse il triste stato della città con
ricorrenti epidemie di colera,come quella intervenuta nel 1884 e che riguardò pure Benedetto
Croce,conosciuto in quella occasione da Fanny Salazar.
All’inizio la terribile infezione ,che proveniva dal Tonkino, trasportata dalle navi, fu, come
nella migliore tradizione descritta per altro dal Manzoni, sottovalutata, anche quando il 18 agosto un
tale Delvito, proveniente da Isernia, immediatamente ricoverato nell’ospedale di Loreto, nonostante
le cure ricevute, com’ebbe a scrivere il prefetto, passò a miglior vita. Una commissione, nominata
ad hoc, non escluse che si trattasse di colera, ma disse che non aveva potuto accertarlo, così come
non aveva accertato se si trattava d i colera asiatico o sporadico (Corriere “Capitan Fracassa”, 25
agosto 1884), come se fosse importante stabilire la provenienza. Proprio in quei giorni Napoli era in
festa per il varo della corazzata Ruggero di Lauria e la città era così bella, il cielo così puro, il mare
così turchino, come si legge nelle cronache, che nessuno era disposto a credere al morbo che invece
si scatenò con particolare virulenza. Per due o tre giorni non si ebbero altri casi infettivi, ma poi
3
Matilde Serao (Patrasso1856-Napoli 1927) fu dapprima redattrice del “Corriere del mattino”, poi fondatrice
insieme con il marito E. Scarfoglio del “Corriere di Napoli” e del “Mattino”. Alla morte di Scarfoglio, nel 1917, fondò
il “Giorno” che diresse fino alla sco mparsa.
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furono colpiti i rioni poveri. L’infezione si diffuse a macchia d’olio ed in capo a due, tre settimane,
l’epidemia raggiunse estensioni così preoccupanti da far impensierire l’opinione pubblica nazionale.
Il re si recò in visita alla città ,in rappresentanza di tutti i cittadini. I comuni colpiti furono 59 e 6999
i morti nella sola città di Napoli. Nei quartieri signorili la mortalità era inferiore per motivi di
salubrità e d’igiene, ma ormai era troppo tardi per confidare in quelle risorse. Il popolo riponeva
speranza nei santi e nelle processioni. Matilde Serao in questa circostanza era lontana da Napoli e la
sua amica Olga Ossani (nome d’arte:Febea), che aveva contratto l’infezione, ma poi era guarita, si
lamentò in una sua corrispondenza che la scrittrice “non era stata audace e forte nel pericolo, quanto
negli amori”, perché non aveva sentito l’obbligo di assistere e confortare la sua città con la sua
presenza.
La Serao poi descrisse i quartieri fatiscenti e la gente che viveva nella miseria e
nell’ignoranza. Ci fu pure un periodo di risanamento con l’abbattimento delle case destrutturate, ma
la condizione anomala della città ritornava ad ogni piè sospinto con il succedersi delle crisi. La
scrittrice comunque si fece paladina del popolo e rivolse le sue accuse all’incuria dei governanti ed
alla povertà. Chiamò il suo testo, “libro di tenerezza, di pietà, di tristezza”.
L’attività della Salazar a favore della questione femminile
Il primo libro di Fanny Salazar, edito a Napoli,nel 1886: Uno sguardo all’avvenire della
donna in Italia, conteneva una varietà di argomenti, tra cui utili suggerimenti per l’educazione e
l’occupazione femminile. Non vi era proprio trattata la questione del femminismo puro e semplice,
ma era suggerita una strategia di occupazione e di educazione che avrebbe giovato molto alle
donne. Si consigliava la creazione anche in Italia di scuole d ’arte che avrebbero permesso, così
com’era avvenuto in altri stati, che le donne le frequentassero e poi vi insegnassero. Si riportavano
gli esempi della scuola di disegno di Parigi, delle scuole professionali di Bruxelles, delle industriali
a Ginevra.
Se si pensa a come, molto dopo, tale proposta divenne poi una realtà, si può capire come le
idee di Fanny Salazar fossero all’avanguardia in tema di emancipazione e di sviluppo. Ma i tempi
non erano ancora maturi per una sua rivelazione e l’aspettavano facili provocazioni e dure critiche.
Benedetto Croce fu il primo, non ancora diciannovenne, a commentare proprio questa sua
proposta con una recensione,pubblicata sotto lo pseudonimo di Gustave Colline, su “Rassegna
Pugliese”4 , registrata nella bibliografia crociana di Silvano Borsari5 . Il tono è piuttosto sdegnoso ed
il contenuto sembra significare una certa diffidenza del filosofo per la questione femminile che
4
Ne dà notizia C. PRENCIPE di Donna nell’Appendice dello studio “La Rassegna pugliese” (Foggia 1974, pp.
92-93) e C. CORDIÈ: Benedetto Croce in una testimonianza del 1984 (con la ristampa di pagine sparse del filosofo e di
Fanny Zampini Salazar),in “Crit ica letteraria, XX, fasc. IV/ 77,1992, pp.691-705.
5
S. BORSARI , L’opera di B. Croce./bibliografia, Napoli 1964.
6
ritornerà anche a proposito di George Sand in “Critica” del 20 gennaio 1922 6 . Vi si legge:
“Il contenuto del volumetto è ispirato a certe esigenze della vita e si propone per iscopo d’indicare
qualche buono ed utile rimedio [...] Non è proprio la questione dell’emancipazione femmin ile [...] La
donna non avrà forse capacità politica, ma può avere bisogno di lavorare [...].
La donna che mestiere può fare? Spesso è in concorren za con gli uomini che hanno maggiori occasioni di
riuscita. Innanzitutto ha attitudine per l’insegnamento, per la med icina (infermiera) per le arti”.
La condiscendenza del critico per la proposta della scrittrice appare solo relativa alla
creazione di scuole femminili d’arte ed alla bontà dell’insegnamento, con quell’altolà alla
emancipazione della donna che evidentemente serviva a tranquillizzare i lettori che avrebbero
potuto allarmarsi delle possibili conseguenze. Il giudizio estetico che chiudeva la recensione non era
d’altronde molto lontano dalla sua naturale attitudine critica:
“La forma è chiara e facile e solo avremmo desiderato maggiore densità nell ’esposizione, un maggiore
concatenamento qua e là dei periodi e certe ripetizioni e certe frasi, d ivenute inefficaci perché un po’
vecchiotte, tolte via. Questo per fare il pedante. Il tono era già di superiorità e di dichiarata perizia”.
Il rapporto tra Croce e la Salazar non si chiuse qui. Divenne affettuoso. Si legge nella
sezione Ricordi del libro della scrittrice: Antiche lotte. Speranze nuove dapprima un breve cenno:
“Un mio g iovane amico, dotto e modesto cultore di studii storici [...] un giovanetto pallido ed esile, la cui
apparenza non dimostrava più che sedici o diciott’anni […]”.
Ma dieci anni dopo, il profilo del filosofo, redatto il 21 dicembre del 1894, per la Galleria
del “Fortunio” (un settimanale napoletano), divenne lusinghiero:
“Durante il colera del 1884, mi trovavo con la famiglia, a Torre del Greco ed ivi ebbi occasione di
conoscere personalmente Benedetto Croce. Egli era allora un g iovinetto biondo ed esile, o ltre ogni dire
interessante e gentile […] il suo carattere eccessivamente riservato, quasi timido d irei e forse ancora la
tristezza, che egli non potrà p iù interamente soggiogare, lo fanno vivere lontano dalla società in generale.
Eg li vi ha però il suo posto ,nelle sfere p iù alte,ove conta amici ed amiche devotissime. Benedetto Croce è
indubbiamente uno dei rari g iovani che sentono l’amicizia con eguale lealtà per g li uomini, co me per le
donne ed io attribuisco questa bella, eccezionale qualità alla fine educazione da lui ricevuta dalla Madre,
donna nobilmente dotata e che della famiglia seppe ispirargli un altissimo ideale”.
C’è poi nello stesso frammento svelato un dettaglio sulla collaborazione offerta dal Croce, al
Circolo filologico, fondato dal De Sanctis e Ruggero Bonghi, cui apparteneva la stessa Salazar:
“Questo giovane stimatissimo,senza abbandonare i suoi studi e lavori storici,filosofici e letterari, si
occupa con particolare, affettuoso interesse, del nostro Circo lo Filo logico di cui è stato eletto VicePresidente. Ed è stata per questa importante Istituzione una vera fortuna [...] Al tempo stesso facendo
parte del Consiglio Direttivo degli Educatori femmin ili governativi, Benedetto Croce esercita una
benefica influenza sull’indirizzo della cultura femmin ile di cu i ha assai razionale concetto” 7 .
Anche Franco Contorbia, che ne scrive nel suo recente saggio: Croce e lo spazio del
femminile8 , trova remotissima la fase della collaborazione del Croce al periodico: “Rassegna degli
interessi femminili”, fondato dalla Salazar nel 1887, rispetto poi all’evoluzione del complesso
6
B. CROCE, Note sulla poesia italiana e straniera del Sec. decimonono . George Sand, ristampato poi con lo
stesso titolo in Poesia e non poesia, Bari 1923.
7
Cfr. T. IERMANO, Il giovane Croce e il circolo filologico di Napoli. Materiali per una storia, in CVII, 538,
secondo trimestre 1990, pp.217-53.
8
Cfr., in PDF, F. CONT ORBIA, Croce e lo spazio del femminile, in A A. VV., Les femmes écrivains en Italie
(1870-1920): ordres et libertés, actes du colloque des 25 et 26 mai 1994 – Università di Parig i III, Parigi 1994, pp.1820.
7
rapporto intercorso tra la scrittrice e il filosofo.
Croce infatti aveva collaborato al quindicinale a fascicoli di cui sopra (dal n. 2 del 15
febbraio al n. 8 del 15 agosto), non più con uno pseudonimo, ma con il suo nome anagrafico,
intrattenendo i lettori su personaggi femminili come Gaspara Stampa ed Eleonora de Fonseca
Pimentel 9 .
Lentamente era entrato in confidenza con il mondo femminile di cui aveva riconosciuto
meriti e pregi, per molti aspetti fino ad allora ignorati.
Il programma della “Rassegna degli interessi femminili”, diffusa a Roma fin dal 1887
(riportato in Antiche lotte. Speranze nuove, p.104), era quanto mai incoraggiante:
“Dare uno sguardo alla vita femmin ile in Europa e in America, pro muovere la onesta indipendenza del
lavoro e della fede in se stesse,studiare tutto ciò che in Italia dà alla donn a conveniente occupazione
,discutere quali sono le professioni, le art i, le industrie che potrebbero allargare il campo della operosità
femminile, fare una rivista del movimento intellettuale ed industriale in quanto riguarda la donna, studiare
insomma con passione l’argomento dai suoi lat i più prat ici, ecco il programma”.
Eppure un attacco, dicevamo, venne dalla rivista gesuitica: “Civiltà cattolica”, nella Rubrica:
“Rassegna della Stampa italiana” (18 febbraio 1888, vol. I). Il motivo addotto erano gli interessi
frivoli di cui il periodico trattava che spesso offrivano alla scrittrice lo spunto per analoghe
conferenze: “Schiavitù e pregiudizi”, “Igiene e bellezza”, “Convenzionalità e riforme”,
“Emigrazione”, sacrosanti temi d’attualità, ma privi di quella spiritualità che la Direzione cattolica
auspicava. La Salazar rispose risentita a pag. 617 dell’anno I della “Rassegna”:
“[…] ho fede che col tempo l’opera nostra dimostrerà sempre più la rettitudine delle sue aspirazioni e
spero che vedremo un giorno le donne italiane, che nulla hanno da invidiare alle straniere, raggiungere la
medesima loro fiera ed onesta indipendenza,conservando sempre viva nell’an imo la fede dei loro padri e
con essa l’amore devoto fino all’abnegazione per questa Italia che voi conos cete, ma che non sapete
amare, e l’affetto rispetto ai suoi Sovrani, che voi chiamate usurpatori”.
La Salazar non era indifferente al problema religioso, lo dimostrò in tante occasioni, ma
diede il suo contributo ai problemi correnti dell’Italia del tempo con moderato senso laico. La
religiosità faceva parte della sua educazione e la fede era un fatto di scelta personale che non
doveva interferire ed inibire le sue scelte civiche. Riteneva infatti che tra la prima e le altre non ci
fosse contrapposizione.
La questione di fondo tuttavia che faceva pensare allo scandalo restava sempre l’autonomia
femminile. Ne era anche lei impensierita che stentasse a diffondersi in Italia:
“Intanto, mentre da una parte si va facendo strada, si va imponendo ovunque, anche in Italia, la questione
femminile e viene considerata di somma importan za e di grave interesse dai nostri pensatori e dalle
individualità più elette del paese nostro, dall’altra parte poi è generalmente fraintesa, eliminata, soffocata,
quasi direi posta in ridicolo, quando capita di poterla fare è trattata co me un’utopia da coloro (e sono i
più) i quali non vogliono darsi la pena di esaminarla imparzialmente e riconoscere come essa racchiuda
uno dei più seri nostri problemi sociali” 10 .
Non c’era, secondo la Salazar, un organo ufficiale che ne propugnasse seriamente e con
costanza gli interessi. Né poteva esserci, dal momento che intorno alla questione ferveva solo un
dibattito giornalistico, prevalentemente maschile, più o meno vario ed erano appena sorte
associazioni femminili all’estero che intendevano farsi portavoce di rivendicazioni non tutte
uniformi. Le voci s’intrecciavano in modo talvolta contrastante e non giungevano mai ad una
condivisa soluzione. Nel libro di Gambarotta: Inchiesta sulla donna (Torino 1899) si potevano
9
Lo scritto su Eleonora de Fonseca Pimentel sarà poi rielaborato dal CROCE in Studi storici sulla rivoluzione
napoletana del 1799, Roma 1897.
10
Si legge nei Ricordi, sezione di Antiche lotte. Speranze nuove, Napoli 1891.
8
leggere giudizi allarmanti su quella che veniva giudicata un’inquietudine ingiustificata, tutta
femminile, di chiedere il voto:
“Coloro i quali sono infatuati della supposta eguaglianza dei sessi,perpetrano, senza saperlo, un vero
delitto,avviando quello femmin ile alla rovina e debellando la famig lia e la società la quale impone il
dovere che ciascuno nella vita adempia alle funzioni specifiche a cui dalla natura è chiamato ”11 .
Era opinione diffusa che ad opporsi all’uguaglianza fosse la natura diversa della donna
rispetto a quella maschile e poi la consacrata consuetudine familiare e sociale che doveva essere
difesa e conservata:
“La donna tra noi,è stata ed è, nella co mpagine della vita sociale, non un’individualità d istinta, ma un
accessorio (sic) dell’uo mo del quale essa facilita e co mp ie l’esistenza. Il sorgere d’una nuova forza,che
tendesse a contrapporsi a quella dell’uo mo e a limitarla, non farebbe oggi che apportare confusione e
disordine. In Italia il voto alle donne sarebbe il colpo di grazia al paese [...]” 12 .
Ed ancora:
“La donna, inferio re tanto antropologicamente quanto psicologicamente, è sotto questo rapporto
paragonabile ad un adulto con le passioni d’un bambino: accordare a lei i diritti dell’uo mo – che le è
superiore – sarebbe come accordare ad un bimbo di dodici anni i d iritti d ’un maggiorenne. L’uguaglianza
giurid ica e sociale dei sessi sarebbe una dannosa violenza alla natura che ha creato, per rag ioni t roppo
complesse per essere qui esposte, l’animo della donna diverso e meno evoluto dell’animo dell’uo mo” 13 .
Una campionatura di giudizi dunque che bene esprimono, dietro i radicati pregiudizi della
natura e della società, l’inferiorità che si attribuiva all’essere femminile che non avrebbe mai potuto
giungere alla parità.
Il pensiero di Fanny Salazar sulla richiesta dell’uguaglianza fu abbastanza moderato e non
assunse mai quelle punte polemiche che invece si trovavano in tante altre suffragiste dell’epoca
come Febea – nome d’arte di Olga Ossani Lodi –, Maria Montessori, Anna Maria Mozzoni, Flavia
Steno, Giacinta Martini Marescotti che fu Presidente del Comitato Nazionale Pro suffragio, creato
nel 1899.
Fanny rivendicava l’unità delle donne in nome d’un risorgimento morale ed economico del
paese, non per ambizioni politiche, ma per senso patriottico. A lei interessava soprattutto innalzare
la vita femminile italiana all’altezza di quella inglese ed americana, allargare il campo
dell’operosità muliebre, discutere delle professioni, delle arti, delle industrie a cui le donne
potevano partecipare. Riconosce che tale sviluppo non è molto facile nel seguente giudizio espresso
nel “Corriere di Napoli” (28 Dicembre 1888):
“Le persone che si elevano un tantino o mo lto hanno due categorie di nemici. Quelli che vogliono tut ti
uguali a sé nella propria ignoranza:quelli che vogliono tutti inferiori a sé ed alla propria sapienza. Questo,
detto pel sapere, vale anche pel potere, per la ricchezza, per lo spirito, per il carattere, per la bellezza, per
tutto insomma”.
Il suo è un programma di grande novità, concreto, perché finalmente va oltre i confini fino a
quel momento chiusi al futuro e sollecita non solo gli interessi individuali, ma prevede il
potenziamento delle capacità individuali. La sua rivista, con una redazione di amiche fidate, si
rivolgeva sia alle donne istruite ed aristocratiche che alle madri di famiglia. Era pertanto formata da
più sezioni per sostenere l’impegno e le attese di tutte. Alternava temi sociali a discorsi pedagogici,
a racconti, aneddoti, novelle, poesie, argomenti artistici.
Ne parla lei stessa nella prima parte della conferenza tenuta al Circolo romano della Stampa
11
Tesi espressa da A. CIMBALI , ivi, p. 22.
Tesi espressa da G. IERADI , ivi, pp. 86-87.
13
Tesi espressa da A. NICEFORO , ivi, p. 58.
12
9
ed esprime il suo ringraziamento per quanti sommi italiani e stranieri la sostennero ,nonostante
gravi difficoltà. Una sua grande sostenitrice fu Febea che confermò alla Salazar gli elogi di tanti
lettori tra cui il poeta Enrico Panzacchi 14 .
Si creava via via un clima favorevole ad accogliere le nuove idee sull’integrazione
femminile che venivano d’oltralpe.
Nel 1888 s’era tenuto a Washington un congresso femminile internazionale con delegate di
molti paesi e in uno successivo, a Chicago, nel 1893, la Salazar, invitata a partecipare, inviò una sua
relazione in inglese: Woman in Modern Italy che riscosse molto successo. Vi si leggeva l’orgoglio
d’appartenere ad una grande nazione che promuove va modelli educativi importanti, anche se
esistevano differenze di comportamenti e di vita e di lavoro tra il nord e il sud del paese. Quindi, per
quanto atteneva alla condizione femminile, non c’era un unico modello: a sud le donne apparivano
ancora prevalentemente sottomesse al volere degli uomini, vittime dei pregiudizi che le relegavano
ad un regime subordinato, anche se, a Napoli, era sorta l’università di Suor Orsola, sostenuta dalla
principessa Strongoli Pignatelli ed una fondata da Ruggero Bonghi, voluta dalla regina Margherita
per le figlie degli insegnanti pubblici. Non si riusciva tuttavia a cambiare in modo determinante la
qualità della vita ,perché le studiose, anche se provviste di titoli accademici, per via della diffidenza
nei loro confronti,non riuscivano ad accedere ad incarichi pubblici. Un capitolo a parte trattava
tuttavia delle scuole d’arte e delle associazioni infermieristiche che avrebbero potuto fornire
occupazione alle donne. A nord, in città come Milano,Torino, Bologna, si erano fatte in effetti
esperienze interessanti, nel senso della creazione di associazioni, di incontri e di assistenza anche
benefica (cfr. Alexandrina Ravizza a Milano) che promettevano di dare buoni frutti e di accelerare
in senso positivo il processo di modernizzazione.
Fanny illustrava pure i suoi tentativi a sud d’invertire il corso degli eventi e le sue difficoltà
a farsi ascoltare efficacemente nei pubblici incontri:
“Ho provato a spiegarlo alle donne del sud. Mi hanno guardato con occhi spalancati come se parlassi una
lingua in intellig ibile. Il fatto è che tutte le riforme in Italia dovrebbero tendere all’addestramento
simu ltaneo della mente e del cuore, delle facoltà intellettive e morali”.
La trattazione comprendeva molte riserve quindi sullo sviluppo rapido dell’evoluzione
femminile uniforme, in Italia, ma concludeva con l’auspicio d’un rinnovamento non impossibile:
“Ma non disperiamo. Siamo v icine ad un grande camb iamento. Svolgiamo una missione grande e santa,
anche con difficoltà enormi. La vita va considerata senza alcun priv ileg io per sesso, codice e categoria,
uguale per tutti gli esseri uman i”.
Sentiva di far parte d’un grande schieramento di persone, anche se distinte per cultura,
appartenenza di classi, tradizioni, religioni.
Questa convinzione, maturata sui principi della rivoluzione francese e perfezionata sulla
scorta della filosofia dell’illuminismo, aveva trovato i suoi maestri in John Stuart Mill e nel francese
Montesquieu ed era divenuta quindi condivisibile.
Nel 1900, Fanny Salazar fondò a Roma la sua seconda rivista “Italian Rewiew”.
Il suo impegno crebbe e la palestra nella quale esercitare le proprie forze divenne più vasta
ed impegnativa. A Roma c’era una grande vivacità culturale che stimolava incontri e dibattiti e
sollecitava la nascita di nuove testate. Accanto a “La Tribuna” ed “Il Messaggero”, erano sorte
“Capitan Fracassa” e “La Vita”.
Ma erano anni di gravi tensioni sociali: una borghesia in ascesa s’indirizzava ad interagire
con le forze della sinistra democratica. Giolitti s’apprestava ad attuare il suo programma politico,
E. Panzacchi (Ozzano dell’Emilia 1840-Bologna 1904). Fu poeta, docente di Belle Arti
all’Università di Bologna, deputato della Pubblica Istruzione, collaboratore del Corriere della Sera ed amico
del Carducci.
14
10
d’impiantare cioè nello stato liberale le nascenti forze socialiste. L’“Avanti”, organo del partito
socialista, aveva ospitato nel 1892 un interessante dibattito sulla questione femminile tra la
Kuliscioff, dirigente del partito socialista ed Anna Maria Mozzoni, conferenziera e scrittrice,
destinata poi ad essere un’esponente di spicco dell’autonomia femminile.
Era in discussione il lavoro muliebre, spesso negato e poi mal distribuito e mal pagato. La
donna restava per lo più ancorata all’ambiente familiare e su di lei gravavano tutte le responsabilità
della conduzione della casa e dell’educazione dei figli. Non c’era il riconoscimento delle
professionalità femminili, anche quando queste venivano acquisite con grandi sacrifici di tempo e di
denaro e si avvertiva la necessità di cambiare alcune leggi civili e penali, che mortificavano la parità
dei diritti, nell’ambito della coppia. Alla donna veniva impedito d’essere curatrice, tutrice, di fare
testamento, di separarsi dal marito in caso di disaccordo. Erano proibite le indagini sulla paternità
(art.189), mentre consentite quelle sulla madre (art.190), con la conseguenza che nessuna
responsabilità poteva essere attribuita al padre in caso di figli illegittimi. L’art. 486 del codice
penale prevedeva inoltre il carcere ed una multa per l’adulterio della moglie, mentre per il marito
solo il carcere.
Roma, la capitale del nuovo regno si presentava come l’unica città abilitata a rappresentare
l’unità del paese, ma solo formalmente. Matilde Serao scriveva nel suo romanzo: La conquista di
Roma (1885):
“Questa città non vi aspetta e non vi teme : non vi accoglie e non vi scaccia:non vi combatte e non si
degna di accettare la battaglia. La sua forza, la sua potenza, la sua attitudine è in una virtù quasi divina:
l’indifferenza”.
In realtà in essa si celavano strategie di varia natura e persino fallimenti. Tale può essere
considerato lo scandalo della Banca Romana nel 1892 e le malversazioni compiute dal governatore
Tanlongo, denunciate alla Camera. Giolitti, allora presidente del Consiglio, fu ritenuto responsabile
di quanto accaduto e per ristabilire la fiducia nel Parlamento l’anziano statista Crispi chiese nel
1893 un periodo di concordia, “la tregua di Dio”, com’egli la chiamò, dando però una robusta
sterzata al governo con stato d’assedio alle città sediziose e tribunali militari per stroncare le
proteste e salvaguardare lo Stato. Giolitti gli rispose presentando alla Camera,per lo scandalo della
Banca Romana, le carte in sua difesa. Fu nominata una commissione di cinque deputati per
esaminarle. Dall’indagine però risultò uno strano intrigo, un equivoco comportamento del Crispi ed
emerse il sospetto ch’egli avesse fatto notevoli guadagni con l’istituto di credito.
C’è una strana somiglianza con alcuni eventi del nostro tempo.
S’imponeva la questione morale prima ancora di quella sociale e progressisti e conservatori
avevano però idee diverse. Le elezioni del 1897 confermarono una maggioranza moderata, ma non
più crispina ,la sinistra tuttavia restava debole. L’assassinio di Umberto I venne interpretato come
frutto del malessere della società italiana. D’Annunzio stesso, con un gesto eclatante, com’era nel
suo costume, il 25 marzo del 1900, abbandonò, in Parlamento, i banchi della Destra, passando alla
Sinistra con la celebre frase: “Come uomo d’intelletto vado verso la vita”, spiegando in un suo
articolo successivo sul “Giorno”:
“Da troppo tempo il popolo d’Italia attende una parola di vita. Nessuno gliel’ha detta di coloro che sono
partecipi al Governo e nessuno saprà dirgliela. Coloro sono mort i”.
Roma non era dunque, politicamente parlando, lo specchio dell’Italia unita e meno che mai
si allineava all’Europa per progressi sociali: divorzio, diritto di voto, retribuzione del lavoro
restavano assenti.
La nuova rivista di Fanny “Italian Rewue” volgeva l’attenzione alla cultura europea ed
esaminava le conquiste degli altri stati ed i presupposti che l’Italia doveva acquisire per essere alla
pari.
Anzi per meglio realizzare quest’obiettivo la scrittrice napoletana indirizzò ai Ministri Paolo
Boselli e Luigi Miceli una relazione dal titolo: La donna inglese, perché fosse ben chiaro il modello
11
che lei suggeriva. Molto scettica sulle persone già adulte, ostinate nell’affermare le proprie opinioni,
“inaridite dall’egoismo”, sentiva che bisognava far leva sulle giovani generazioni dal cuore e dalla
mente aperta che hanno davanti un campo vergine inesplorato nel quale far fecondare i semi del
nuovo pensiero:
“La gioventù d’Italia è la gioventù dal cuore caldo e generoso, aperto ad accogliere la fede dei grandi
ideali e farsene una religione; è la gioventù dalla fantasia fresca e vivace, dall’anima entusiasta, non ancor
inarid ita dai disinganni, dai dolori della v ita! Si può cominciare dal poco, co me hanno fatto in Inghilterra,
si ottiene da un benefattore, da qualche dama gentile una sala e lì si fo rma un primo nucleo d i volontà
determinate a trovare i mezzi di organizzare la crociata per la cultura superiore e l’indipendenza della
donna […]”.
La rivoluzione indicata da Fanny era dunque una rivoluzione pacifica che faceva leva sulla
parola illuminata per entrare nelle menti e rigenerarle. Il motto di Mazzini “pensiero ed azione” cui
lei si ispirava era soprattutto pensiero che si fa guida ad indicare il sentiero di nuove ed opportune
riforme, ma come queste si potessero attuare non è esplicitamente detto,ma quasi sottinteso.
Sarebbero venute da sé con il tempo. Ora era invece l’ora di formare il carattere e d’ indirizzare le
menti:
“[Gli italian i] coltivati sentiranno il b isogno di migliorarsi e migliorati aspireranno a godere di quelle
soddisfazioni morali, che valgono talvolta financo a far tacere i b isogni materia li”.
Sappiamo che non è stato così facile e che le parole non sono state sufficienti a corroborare
gli animi e a far tacere le necessità impellenti. La grande crisi bellica che s’avvicinava avrebbe
messo a dura prova la tenacia di questi intenti, i governi ed i programmi di composizione pacifica.
Ma la Salazar credeva seriamente nella bontà di questo metodo per rinnovare i vincoli di
amicizia tra i popoli e fare più grande e progredita l’Italia. Il suo patriottismo è fuori discussione e
le numerose conferenze che ha tenuto all’interno ed all’estero lo testimoniano. Si batté anche se
talvolta l’accoglienza non la gratificò molto. Lo fece perché credette così di mettere a tacere gli
scettici e di chiamare alla responsabilità i più riottosi.
All’inizio lei dice d’essere stata considerata un’intraprendente sfrontata:
“Essendo donna non dovevo dare questo scandalo [...] In Inghilterra parlano davanti a migliaia d i attenti
ascoltatori, non solo donne di modeste condizioni, ma gran Dame ed anche qualcuna appartenente alla
famig lia regnante”
Ma resistette. Poi discutere divenne per lei una consuetudine. Nel 1901 per l’Associazione
della Stampa, a Roma, tenne la conferenza: L’Italia all’estero, che fu chiamata a ripetere nello
stesso anno a Milano ed a Torino.
Nel 1902, in occasione d’una altra conferenza tenuta dalla scrittrice sull’Emigrazione, ebbe
modo di citare i meriti della lega Navale italiana per i suoi altissimi ideali in difesa della grandezza
e della prosperità dell’Italia e della Società Dante Alighieri che “con altissimo intelletto d’amore
tiene vivo ed ardente il sentimento d’italianità per tutto il mondo e rappresenta una mistica catena
che rinsalda i cuori sinceramente affratellati [...]”.
Nel 1903, nella Federazione delle società femminili, a Ro ma, tratteggiò un resoconto
sull’autonomia femminile: La donna italiana nell’ora presente e mise in chiaro che l’autonomia
della donna non andava identificata col femminismo,cioè con quell’accanita lotta di rivendicazione
dei diritti delle donne che aveva dato luogo in Inghilterra al fenomeno delle suffragette, sfociato poi
in plateali cortei con denunce ed arresti 15 .
15
Furono dette in senso dispregiativo Suffragettes le aderenti alla Women’s Social Political Union, fondata a
Londra nel 1897 da M illicent Fawcett. I suoi gruppi ru morosi infastidivano i parlamentari che si rifiutav ano di discutere
la loro causa. Avevano scelto Hyde Park per le loro man ifestazioni, tanto che il governo si vide costretto ad impedire i
loro co mizi.
12
In Italia l’unica organizzazione politica paragonabile a quella inglese delle Suffragette fu la
Lega degli Interessi Femminili, sorta a Milano nel 1881 e sciolta nel 1898.
Ma le donne italiane ,secondo il suo giudizio:
“sanno ispirare il duplice culto religioso e patriottico che nulla ha di comune con il bigottismo e le
ispirazioni politiche [...]. Anche senza reclamare il voto politico, la donna può sempre rendersi utile al
paese e non permettere che si abbia dubbio alcuno del suo patriottismo”.
Nei primi anni del Novecento e precisamente nel 1902 fu emanata una legge nazionale
sull’occupazione del lavoro e sorsero alcune industrie femminili 16 che incoraggiarono le donne ad
intraprendere un lavoro anche fuori casa. Ma restavano molti problemi da affrontare: la creazione di
asili e di assistenza alle madri17 e l’autorizzazione maritale per le donne sposate che fu abrogata,
come già detto, solo nel 1919. Secondo la società d’allora, rimasta essenzialmente patriarcale con in
auge lo Statuto albertino, le donne faticarono ad essere considerate cittadine libere nel senso che
oggi si attribuisce al termine, d’avere cioè il diritto d’appartenere individualmente allo Stato,
interagendovi e partecipando al potere politico con il diritto al voto.
Fanny Salazar non si batté, in conformità del suo carattere e della sua educazione, per la
libertà politica che pure in Italia fu accesa. Era sorto a Roma un “Comitato per il voto alle donne” e
successivamente tanti altri in diverse città italiane poi un “Comitato nazionale pro suffragio
femminile” con a capo Giacinta Martini Marescotti. Fu inviata una petizione al governo con
centinaia di firme senza per altro ottenere concessioni. Turati liquidò la questione dicendo che
c’erano problemi ben più gravi da risolvere prima e Giolitti dichiarò alla Camera che: “concedere il
voto alle donne equivarrebbe a fare un tale salto nel buio che qualunque Governo sarebbe obbligato
a non dar seguito alla riforma elettorale”.
Fanny non fu un’attivista in tal senso, ma s’indirizzò al problema dell’educazione e dello
sviluppo incoraggiando mostre ed esposizioni18 . Nel 1904 accettò l’invito di visitare l’Esposizione
mondiale di Saint Louis nell’America settentrionale. Al ritorno fece un appello affinché anche in
Italia ci fosse una mostra a Torino, pur con proporzioni più ridotte, per rivelare il meglio della
creatività della penisola. L’importante per lei era voler competere e far risorgere così “nel mondo
intero l’antica tradizione del primato italico”.
Il dibattito sulla questione femminile si accompagnava alla lotta all’analfabetismo, alla
promozione dell’educazione infantile, all’assistenza alle lavoratrici madri, ma solo nel 1903, a
Roma, si concretizzò in Italia un Consiglio Nazionale delle Donne italiane (CINDI), composto dalle
federazioni: romana, lombarda e piemontese e collegato con quelli internazionali. Lo presiedeva la
contessa Gabriella Spalletti Rasponi, d’antica nobiltà, nipote di Gioacchino Murat che, nel 1908, in
occasione del raduno nazionale romano, annunziò che il sodalizio contava 24 Consigli nazionali e 7
milioni di associate e faceva parte d’un organismo mondiale che aveva come scopo l’elevazione del
livello morale, spirituale delle donne, per contribuire al benessere del proprio paese e dell’umanità.
Il Consiglio s’ispirava al rispetto d’ogni partito e d’ogni religione ed intendeva raccogliere
tutte le aspirazioni femminili da qualunque parte venissero. Il programma era vasto e sostenuto con
un grande entusiasmo, gli inizi propizi ed all’insegna dell’unità. Ma una scissione intervenne nel
1910 per cui il movimento si divise in due correnti, cattolica e socialista. Uno dei motivi della
frattura fu la richiesta da parte delle socialiste dell’abolizione dell’insegnamento cattolico nelle
scuole e la sua sostituzione con un insegnamento di storia delle religioni. La questione poi tornò
tante volte in discussione. Il successivo Congresso, nel 1911, ebbe quindi un tono ed un’importanza
minore.
La linea giornalistica della Salazar fu moderata, incline ad una sua tendenza che intendeva
16
Sono del 1903 le Industrie Femmin ili Italiane.
Nel 1907 fu creata, dopo pressante richiesta dei movimenti femminili, la Cassa di Maternità.
18
Le Industrie Femminili italiane del 1903 nacquero in seguito alla grande esposizione di lavori femminili,
organizzata a Ro ma nel 1901.
17
13
porsi come tramite di conciliazione tra le espressioni più aggressive e determinate e le altre più
riservate.
Era sulla linea del giornale: “La donna”, fondato a Torino, nel 1868, da Guadalberta
Adelaide Beccari, su cui scrissero Ada Negri, Matilde Serao, Amalia Guglielminetti, Grazia
Deledda, Guido Gozzano ed altri19 . La sua parola tendeva a ragionare e convincere piuttosto che ad
attaccare e denunziare. Era conforme al suo carattere in fondo, sereno, ma non pavido. Non si
avvaleva delle amicizie importanti per farsi strada ed imporre le sue idee, ma per chiedere ed
ascoltare consigli. Probabilmente alla radice c’era la sua professione di fede cattolica e la comune
vocazione alla beneficenza ed al rispetto per il mondo dei poveri e dei diseredati. Si ricorda in tal
senso una sua visita a Reggio Calabria, la città natale del padre Demetrio, a favore della benefica
Istituzione di “S. Vincenzo de’ Paoli”, nel 1896. Vi fu accolta dal parroco di S. Giorgio, Mons.
Rocco Zagari, chiamata a tenere una conferenza dal titolo: “Carità”20 , nella quale raccomandò l’alto
dovere morale, civile e religioso dell’assistenza. In quell’occasione fu presentata dai maggiorenti
della città tra cui l’avv. Demetrio, nipote del latinista Diego Vitrioli, l’autore di Xiphias.
L’attività di traduttrice, insegnante e scrittrice
Fanny Salazar Zampini visse sempre avendo in mente le sue due patrie l’Inghilterra e
l’Italia, gioendo per i loro successi ed auspicando una loro sempre più diffusa collaborazione
interculturale.
Fu per questo traduttrice ricercata e nota. L’attività della traduzione era, per un verso, la
conseguenza naturale del suo interesse a che le nazioni s’avvicinassero sempre di più, per altro un
modo d’esplorare la cultura d’un paese in profondità, per meglio offrirla come esempio-guida
all’altro .
Così si possono distinguere traduzioni artistiche ed altamente significative da altre più o
meno strumentali per una conoscenza generale e necessaria.
Nel 1896 l’editore Tocco di Napoli pubblicò, a sua firma, la vita e le opere di Robert
Browning e di Elisabeth Barrett, una coppia di autori inglesi, vissuti per lungo tempo a Firenze che,
come lei stessa disse, nel presentarli:
“Amarono profondamente l’Italia per la passata grandezza, per la beltà sovrana,pei crudeli dolori, e per il
glorioso avvenire al quale la presentivano predestinata. Non vi è mai scritto infatti d i Robert e di
Elisabeth che non si riferisca direttamente o indirettamente all’Italia o che non sia stato ispirato al calore
del nostro sole”.
Firenze era la città che più aveva accolto ospiti inglesi desiderosi di trovare in essa un’oasi
di pace e di bellezza. Si ricorda tra tutti Vernon Lee, pseudonimo di Violet Paget, una scrittrice
vittoriana, colta e versatile, amica di Edith Warton, di Gabriele D’Annunzio e di tanti altri, che
difese durante la guerra il pacifismo. A lei si attribuiscono quaranta testi, alcuni dei quali presentano
l’Italia nello sfondo, apprezzati da Virginia Woolf.
Firenze omaggiò Elisabetta, spentasi all’alba del 29 giugno 1861, con grande dolore del
marito e del figlio, con una lapide in marmo su cui a lettere d’oro era scritto:
“Qui scrisse e morì Elisabetta Barrett-Browning che in cuore di donna seppe unire sapienza di dotto e
19
Accanto a questa c’erano numerosi altri g iornali come “L’ora presente” di A. Giaco melli, Ro ma 1895,
“Pensiero ed Azione” di A. Coari, M ilano 1904, di tendenza cattolica che cercavano di conciliare l’impegno con le
istanze etiche. Anche Cosenza ebbe il suo giornale femmin ile (1877) di carattere pedagogico, diretto da P. Martire,
indirizzato alla formazione delle giov inette. Cfr. Atti del Convegno, tenutosi a Firenze nel 2000: “Donne e giornalismo.
Politica e cultura di genere nella Stampa femminile”.
20
Per Carità cfr. Fondi manoscritti della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, a cura di B.
Manetti .
14
facondia di poeta. Fece del suo aureo verso anello tra l’Italia e l’Inghilterra. Pose questa memoria Firenze
grata”.
Un pensiero di R. Browning era stato già dalla Salazar inserito come incipit della sua
conferenza: Schiavitù e pregiudizi:
“È tempo che nuove speranze sorgano ad animare il mondo, nuova luce spunti alle nuove rivelazioni ad
una razza oppressa sì lungamente (Africa), da sì lungo tempo dimenticata!”.
Sul riscatto dell’Africa restava ancora molto da fare.
Ad entrambi gli autori la Salazar si volse perché non fossero dimenticati e l’amore per
l’Italia si rivelasse di più attraverso le loro opere con un testo, nel 1907, che riguardava La vita e le
opere di loro due.
La prefazione alla sua traduzione fu curata da Antonio Fogazzaro 21 con queste specifiche
parole:
“Ebbi, anni sono, la ventura di udire dal labbro dell’autrice il discorso nobilissimo ch’ella tenne in alcune
città d’Italia sui Browning. A mmiratore antico di Roberto e d i Elisabetta Brown ing, felicitai allora Fanny
Zamp ini Salazar per il suo generoso proposito di ricordare agli italiani il loro dovere verso quei nobili
ingegni. Le dissi che pochi poeti moderni, a mio vedere,si leggono con altrettanto piacere intellettuale e
insieme con altrettanta utilità dello spirito; poiché se le opere di Roberto e di Elisabetta Bro wning ci
sorprendono per vigorosa originalità di pensiero, anche ci mostrano, raro e salutare spettacolo due anime
così grandi nel loro carattere morale co me nella lo ro fantasia poetica”.
L’autore poi ne raccomandava la lettura concludeva con le lodi della traduttrice:
“Il lavoro attesta il lungo studio ed il grande amore che l’autrice diede al soggetto mirab ile, meritando la
gratitudine degli italiani che ignorano i Brown ing e saranno adesso tentati d’esplorarne l’alta poesia. Essi
troveranno nel volume della Salazar, tradotte per la prima volta, quelle lettere di amore che sono
documento insigne della nobiltà di due grandi anime cu i Dio donò d’incontrarsi. Di rado l’amore ebbe
simili accenti sulle labbra dei poeti lat ini moderni. La loro veste italiana non è il minor pregio d’un
volume che addito con piacere alla curiosità dei più raffinati e p iù colt i”.
Doppio riconoscimento dunque per l’ottima scelta di liriche di alta intensità poetica e per il
mezzo linguistico particolarmente raffinato e lineare dalla stessa usato. Di lei è riconosciuta la
perizia di saper adoperare le lingue con grande naturalezza ed incisività. Stanno a testimoniarlo le
altre richieste di traduzione che le pervennero, in parte accettate 22 .
L’amore per la cultura d’oltralpe si rivelò pure nella commemorazione che la scrittrice
tenne, di Julia Ward Howe, scomparsa, nel 1910, a Tor degli Specchi di Roma, dove c’era la sede
della casa editrice Italo-Irlandese 23 . La Ward di NewYork City era stata una delle promotrici del
progresso femminile. Aveva fondato a Boston, nel 1901, il circolo italiano Dante Alighieri
,frequentato da molti illustri italiani ed era stata autrice di libri di viaggi e di un’Autobiografia
(1899). La stessa, nel 1908, fu la prima donna ad essere eletta all’Accademia americana delle Arti e
delle Lettere. La Salazar sentiva d’essere legata a lei e d’esserle riconoscente sia per la comune
battaglia dell’autonomia femminile che incoraggiava rilevante partecipazione, sia per la richiesta di
21
A. Fogazzaro scrittore vicentino (1842-1911), figura assai discussa per la sua adesione al modernismo
,condannato dalla Ch iesa e messo all’indice. Fu l’autore di molt i ro manzi tra cui Piccolo mondo antico e Piccolo mondo
moderno. Scrisse Cronache letterarie (1899). Vi è men zionata F. Zampin i Salazar.
22
Curò la traduzione dall’inglese d’un manuale di Economia domestica dell’editore Deckten, edito in Italia da
S.C. Sansoni (1891) e, per l’ed itore Bro mer, in una Guida di Napoli in inglese, la voce sui Costumi popolari napoletani.
Sua è pure la monografia : Ralph Waldo Emerson nella vita e nelle opere, Hannover 1858, M ilano 1905.
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Co mmemo razione per conto del Consiglio nazionale d i Donne Italiane a Ro ma, il 27 maggio 1911. Casa
editrice Italo-Irlandese.
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pace che le donne, aderenti alle Leghe 24 avanzavano contro i venti di guerra che si cominciavano ad
avvertire.
Fanny Salazar fu docente di Lingua e Letteratura inglese nell’Istituto Superiore di Magistero
in Roma. Ebbe così la possibilità di venire a contatto con tante vive realtà umane che l’arricchirono
ulteriormente. Divenne ben presto il sostegno e la consigliera amata di molte alunne specie quelle
che avevano altrove la residenza. Ricorda lei stessa l’emozione d’incontrare, durante
quest’esperienza
“mo lte giovinette calabresi che toccano le corde più deboli del mio vecchio cuore [...]. A me cap itano le
studenti che prescelgono l’inglese e, ogni anno al primo corso, iscrivendole nel registro, riconosco subito
i grandi occhi neri stellanti delle giovani concittadine […]. Trovandomi in co mmissioni d’esame mi è
capitato di leggere mo lti lavori pel Dip lo ma di Lettere e per quello di Pedagogia all’istituto Superiore
Femminile d i Magistero in Ro ma. Sovente ho trovato quegli scritti interessanti ed orig inali e talvolta sono
stata sorpresa del talento raro, della intuizione felice e della coltura poco comune di quelle care fanciu lle
che non sempre studiano nelle circostanze di vita p iù favorevoli!”.
Per una di esse particolarmente dotata, Ida Pia Tucci di Cosenza, accettò di scrivere, nel
1910, la prefazione d’un testo elaborato dalla giovane: Le origini del canto popolare in Calabria,
concepito in quattro parti, che si conserva nel fondo Sandicchi della Biblioteca Comunale De Nava
di Reggio Calabria.
Come scrittrice particolare rilievo assume la sua raccolta: Fra l’ideale ed il reale 25 che attirò
l’interesse di Matilde Serao, la scrittrice napoletana, sua amica. In due lettere distinte si congratulò
con lei26 .
“Mi piace assai il t itolo del libriccino ‘Fra l’ideale e il reale’, è proprio caratteristico, è proprio la sintesi
massima degli scritti, che vi si contengono e dell’an ima gentile che li ha vergati. E forse in questo titolo vi
è una verità profonda, la verità della vita che non può essere tutta idealità, e non diventare tutta la realtà.
Proprio benissimo”.
Nella seconda sullo stesso argomento la Serao si dice invece dispiaciuta del silenzio dei
critici a riguardo dell’amica, mentre a lei stessa avevano tributato lusinghieri apprezzamenti, per la
pubblicazione del suo libro Dal vero, uscito in contemporanea a quello di Fanny. Il tono è quasi di
scusa:
“Che mi parlate di g loria? Io v i tengo dietro da molto lontano: mi manca il vostro sentimento così fino,
così delicato, così dolce, quel sentimento che rassomiglia tanto da essere una emanazione dei vostri
buonissimi occhi azzurri […]. Grazie del buon libro […]. Mi avete fatto un vero regalo […]. Debbo dirvi
tante cose pel vostro libro,ma non voglio confidarle alla carta. Devotissima. Mat ilde Serao”.
Il libro Fra l’ideale e il reale è una raccolta di racconti, ciascuno dedicato ad una persona
amica,secondo la tradizione romantica, di rendere omaggio con il dono d’un lavoro letterario come
avevano fatto Foscolo: All’amica risanata, Leopardi: A Fanny Targioni Tozzetti, Manzoni: A Carlo
Imbonati.
Credo che Fanny Salazar abbia voluto rappresentare emblematicamente un momento
importante del passaggio dalla letteratura romantica alla sperimentazione d’una narrativa di
superamento. L’associazione dei due termini ideale-reale infatti allude, fin dal titolo, ad un contrasto
che fu chiaro effetto chiaroscurale di tanta parte della letteratura ottocentesca, ma che, a fine secolo,
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Nel 1904, l’ International Woman Suffrage Alliance ebbe carattere internazionale e nel 1905, il Nobel per la
pace toccò ad una donna: Bertha von Suttner che appare effigiata nella moneta austriaca di due euro, Jane
Adams,statunitense, che aveva fondato un partito con mig liaia di aderenti, Wo man’s Peace Party,, nel 1932, fu pure lei
Premio Nobel per la Pace.
25
Napoli 1879.
26
Dalle Lettere, cap. “Ricord i”, in Antiche lotte. Speranze nuove, Napoli 1891, pp. 38-39.
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sta a significare una mutazione ed una trasformazione in atto del gusto che già finisce per dare
luogo ad altri esiti che si dispiegheranno successivamente.
La sua esperienza narrativa si può considerare, in altre parole, nella confluenza di quella
linea di demarcazione che va della crisi degli ideali di patria, dio, natura, virtù, fino all’affermazione
d’una realtà meglio definita dalla quotidianità, dall’osservazione esterna e da un sentimento di
ripiegamento dell’io.
Dopo il giorno fulgente delle grandi idealità che avevano nutrito gli intelletti elitari,
cominciava il crepuscolo delle piccole storie anche anonime. I contorni netti delle cose venivano ad
essere sfumati e la notte sembrava aprirsi per far parlare le ombre.
Allora qualcuno avrebbe potuto chiedersi dove stesse la verità e se ne esisteva una certa.
La Salazar nei suoi racconti testimonia che è indimostrabile. Le illusioni allora tanto care ad
un Foscolo o ad un Leopardi si rivelavano fallaci ed il terreno su cui fondava ogni costrutto
diveniva infido. Un’epoca stava per finire ed un’altra era pronta a sorgere e già s’avvertiva in questo
venir meno delle credenze e delle certezze il Novecento della crisi inter iore che sorprende i
personaggi, senza che Freud potesse illuminare le coscienze con i meccanismi profondi della nuova
scienza, la psicanalisi.
Arrivava l’epoca del rifiuto che sconfessava l’atteggiamento titanico di sfida d’un passato
considerato glorioso, mentre resisteva ancora qualche anelito verso l’assimilazione della natura e
verso l’ebbrezza delle passioni ,si pensi a D’Annunzio!
Si ha motivo di credere che questo passaggio non sia ex abrupto, ma come un declino
lento,una sorta di senescenza che si ripiega su se stessa, si commisera, si contempla con amarezza e
non ha più scatti vitali. Sensazioni e considerazioni diverse accompagnano il passaggio dall’uno
all’altro secolo e a chi è toccato di vivere in questa fluttuante condizione, come la Salazar, ha
avvertito tutte le contraddizioni che l’hanno attraversata. Anche le vicende storiche hanno
sollecitato un diverso modo di sentire e introdotto “il crepuscolo”. In Italia alla fase esaltante
dell’Unità, durante la quale è stato facile pensare d’esser vicini allo scopo, è seguita la parabola
dell’assetto dello Stato,cosa molto difficile e problematica ,si ricordi D’Azeglio che notava: “Ora
bisogna fare gli Italiani!”.
Non furono tutti trionfi e successi. Numerosi punti di debolezza si sono evidenziati che
hanno reso irto il cammino. Si spiega così la nascita del Fascismo e della sua affermazione su un
terreno sociale infido e diviso. Quel patriottismo, a cui tante volte la nostra scrittrice Fanny
s’appella nelle sue discussioni, nel vano tentativo di riaffermarlo, non riuscì a sanare i mali che si
rivelavano inconsueti e fu considerato lodevole ciò che era lontano dal bene della pat ria. Tutto
allora fu messo in discussione. Furono costruiti altri itinerari che portarono a guerre fratricide
,cancellando con un colpo solo i benefici così faticosamente pensati ad opera d ’un parlamento e
d’un dialogo civile.
Nei racconti di Fanny Salazar leggo la malinconia dei sogni perduti, la stanchezza d’una
lotta a lungo sostenuta, il senso d’una umanità perdente insieme alla fierezza d’appartenere ad una
stirpe dignitosa e grande. I vinti della narrativa della Salazar non assomigliano a quelli verghiani
che cedono alla natura o al destino,per una grande pena economica, piuttosto sembrano affetti dal
“male di vivere”, sono fiacchi nell’animo, delusi ed amareggiati. Non c’entra l’ingresso dell’epopea
dei poveri e degli umili in alternativa al mondo borghese, non c’entrano le realtà del lavoro, della
fatica dei campi e dell’attività dell’industria incipiente o il contrasto tra padroni e servi, tra ricchi e
poveri.
La stanchezza che già affiora nei personaggi è proprio della classe borghese.
Sembra quasi annunziato il fallimento della vita per la mancata fedeltà a quelle idee che
prima erano state professate,come se stessero per cedere i pilastri su cui erano costruiti i
convincimenti e le sedi. Gli ideali tramontavano e il mondo che tutt’attorno si evidenziava non era
identificabile e creava un vago senso di malessere.
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Alcuni esemplari narrativi
Nel primo racconto dal titolo: Povera Lina!,dal sottotitolo: Ricordi fantastici di Arghilla,
pubblicato una prima volta sotto lo pseudonimo di Roberto, dal nome del narratore, contiene una
sottile trama di illusioni e speranze che spinge due giovani di diversa estrazione sociale a concepire
l’idea di una felicità possibile, nonostante la differenza di cultura e di educazione. Ma poi qualcosa
si spezza nell’animo del giovane che si estranea e s’allontana dall’amata tanto che essa si ammala e
muore di dolore. L’epilogo tragico sconcerta tutta la comunità. Specie i parenti di lei non sanno farsi
una ragione. L’incomprensione e la solitudine possono causare danni impensati fino ad uccidere. Si
potrebbe approfondire il solco di negatività delle due vite, risalire alle cause sociali, oltre che
psicologiche, ma la scrittrice non vuole percorrere fino in fondo quest’indagine, interviene per
condannare l’orgoglio smisurato di alcune madri che non sanno impartire un’educazione equilibrata
ai figli e non riescono a frenare le loro ambizioni. Ma il seme della divisione e della separazione si
profilava già non come esempio d’una individuale vicenda, ma come espressione del malessere
d’una società intera.
Nel secondo racconto Raggio di sole, dedicato all’amica Evangelina Morelli, l’amore è
un’avventura solitaria e malinconica d’un giovane marinaio solo al mondo e depresso che quando
incontra, a Sorrento, alla cerimonia del varo d’una nave, una dolce fanciulla, non ha il coraggio
d’avvicinarla, ma la sogna e desidera costantemente, senza sapere chi essa sia e che cosa faccia.
Un amore ideale il suo, ad unica direzione, fonte di sospiri e di rimpianti! Pure se la vicenda
della sua vita sembra avere una svolta positiva per effetto di un’eredità, tutto resta immobile dal
punto di vista affettivo. Il protagonista diviene padrone d ’un brigantino con cui potrebbe correre per
i mari e vedere gente nuova e conoscere altre persone, ma la sua mente è ferma a quel primo
incontro che lo trasforma in uno schiavo d’amore. La cifra della sua ansia a volte insegue un sogno
che appare possibile, altre, invece, si arena in uno sconforto che sconfina con la disperazione. La
formula narrativa è quella del racconto aperto, secondo l a successiva intuizione di Umberto Eco.
Analizza in profondità il sentimento sincero del protagonista e si perde nei meandri del suo
pensiero rinunciatario che ritorna su se stesso e non giunge mai all’azione.
Il terzo racconto,dedicato a Luigi Landolfi, Ombra e Luce, con un brano di Victor Hugo, in
prefazione, ha al centro il desiderio di maternità e l’amore per un figlio. L’aspirante madre potrebbe
aver tutto dalla vita,ma non è felice (chi lo è mai in modo duraturo?) perché alla sua unione con un
gentiluomo nobile e ricco manca una creatura che venga a rallegrare con la sua presenza la loro vita.
Un velo di tristezza adombra il suo sguardo e rende incerto il suo futuro. Uno strano incontro però,
che sembra un prodigio, si verifica ben presto, durante l’assenza del marito. La strappa alla sua
consueta routine e la rende sensibile a capire gli altri e a immedesimarsi in quelli che la circondano.
Un bimbo biondo e ricciuto, che sembra venire dalle favole, entra misteriosame nte nella sua casa e
lei spera che possa per sempre restarvi. Lo circonda di tutte le cure e lo accoglie con grande
emozione. Il marito gradirà l’evento? Teme che sia contrario e che non le consentirà di poter
soddisfare il suo sentimento d’amore materno. Non sa ancora, prima che una lettera anonima glielo
riveli, che proprio lui è il padre del piccolo e che il fedifrago ha studiato lo stratagemma solo perché
la moglie accettasse senza commenti l’evento della sua paternità fuori dal matrimonio.
Si rende conto allora d’essere stata tradita proprio dalla persona da cui meno se lo sarebbe
aspettato. Povero innocente, strumento d’atroce inganno! Ma più povera lei la cui delusione è
terribile!
I sentimenti contrastanti del suo animo non riusciranno però a farle perdere l’amore verso il
coniuge. Questa conclusione segna la differenza. Insieme col piccolo dovrà accogliere anche il
tradimento.
Tra tutti i racconti questo sembra più moderno e vicino all’attualità,forse perché lo
scandaglio dell’animo femminile s’addentra in quell’inquietudine umana che non si placa mai nella
ricerca della verità.
L’ultimo scritto della raccolta: Illusione e realtà, preceduto da un breve frammento di Byron
ha la lunghezza d’un piccolo romanzo con un intreccio complesso. Il tema dell’amore trova qui più
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complicati sentieri e lo studio dell’animo femminile è di rara sottigliezza e profonda
verosimiglianza. L’autrice è spesso presente con i suoi giudizi che rivelano la sua sensibilità ma non
la sua imparzialità. Siamo sempre in un’aura romantica, ma non più col nucleo amore-morte, bensì
con gli effetti che derivano dall’innamoramento e che si riflettono negli ambienti in cui i personaggi
vivono, prima Napoli e successivamente New York.
L’amore può sembrare folle, ma la Salazar commenta (p.82):
“Ma chi può definire la linea impercettib ile che separa la ragione dalla pazzia,ossia da quel primo stadio
d’alterazione mentale che è la fissazione? E certo è una fissazione quella che proviene dall’aver sempre
un pensiero dominante: un pensiero che ci accompagna tutto il giorno,che si frammette in ogni nostra
azione, che neanche i sogni ci lascia liberi e che ad un tempo stesso forma la g ioia e il tormento della
vita”.
Non si può negare l’influsso del Leopardi, specie del ciclo cosiddetto d’Aspasia, nella lirica
che porta lo stesso titolo:Pensiero dominante. D’altronde la generazione ottocentesca aveva
assimilato molto bene questo autore, mentre erano estranee ancora le esperienze dei poeti francesi
da Baudelaire in poi, ma un accenno in tal senso non è forse presente nel seguente giudizio?
“Era la vecchia pur sempre nuova storia di chi amando è incerto d’essere riamato e che in un punto solo
vive di geli e di fuoco, di dubbio e di fede, di ansie e di g ioie, di Parad iso e d’Inferno”
Il linguaggio non ha però le sperimentazioni linguistiche dei poeti maledetti.
Il buon senso e l’esperienza dettano quelle considerazioni, senza andare in profondità a
scandagliare il rapporto tra conscio, inconscio e subconscio ed altri simili labirinti umani.
Si fa strada la solitudine profonda d’un carattere troppo sognatore che trascorre tutta la sua
vita in una ansiosa ed inconcludente attesa che è assenza e vuoto. Sembra avvertirvi la paura
recondita che il mondo stia diventando estraneo e che possa accadere l’imponderabile. Questa via
porterà poi all’alienazione di Pirandello ed alla sua linea rappresentativa di Uno,nessuno,centomila.
Anche se alcune situazioni delle pagine letterarie della Salazar sanno di interni eleganti
,distinzione tra le classi sociali, culto della bellezza, intimismo, non le si può negare che ha
sperimentato, non sappiamo quanto consapevolmente, questo sentimento di fin du siècle, di
un’imminente assenza, di un’inquietudine che prelude alla trasformazione ed alla fine.
Il motivo della morte e della sua rivelazione infatti assume un particolare rilievo e viene a
collocarsi non alla fine della vita, ma nel bel mezzo, certe volte addirittura all’inizio.
La parola “reale”, presente nel titolo, non è il reale storico o naturale, ma un reale
psicologico, che può divenire traumatico, com’è nel nostro tempo. Da qui l’attualità del sentire della
scrittrice, la sua capacità d’accorciare le distanze che da lei ci dividono.
In questo incerto e diverso procedere, per chiaroscuri, s’annunzia la nuova arte del narrare
che era già delineata dal Verga, nella Prefazione a L’amante di Gramigna (1880), una “scienza del
cuore umano” (l’accezione è tolta da Flaubert) tale che “nell’avvenire i soli romanzi che si
scriveranno saranno i fatti diversi”,intendendo con quest’espressione la necessità di rinunziare agli
ingredienti del romanzesco ed a conclusioni scontate. Non è accolta dalla Salazar la successiva
affermazione: “La sincerità della sua realtà sarà così evidente, il suo modo e la sua ragione di essere
così necessari che la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile e l’opera d’arte sembrerà
essersi fatta da sé”. Cioè il canone dell’impersonalità manca nella scrittura di Fanny.
Il suo io inquieto e dubbioso è sempre presente in qualche rapido commento come a ribadire
la sua presenza e a comunicare la sua etica appartenente ad una borghesia morigerata, lontana
ancora dai miti d’una società delirante come sarebbe stata quella successiva.
È significativo che il tema attorno a cui s’infrangono, come onde tumultuose, le sue reazioni
non sia quello della felicità che riguarda il comune traguardo di tutti gli uomini, ma l’amore nel suo
individuale soggettivo microcosmo, essenza primaria, basilare riscontro con l’altro, attorno a cui di
solito tutte le contraddizioni tendono a comporsi. Qui invece esplodono non perché dell’altro viene
negata la valenza, solo perché non viene annesso nella propria esperienza,dato che la solitudine
19
s’apre la strada a grandi marce.
Fanny Salazar compose altre opere di narrativa e di saggistica che contribuiscono a rendere
più chiaro il suo profilo di donna colta e sensibile.
Qui non vengono analizzate, ma solo indicate come espressione della varietà dei suoi
interessi.
Come scrittrice per l’infanzia collaborò con la Biblioteca Azzurra dell’editore Bemporad di
Firenze che pubblicava classici della narrativa vittoriana che inaugurò con la traduzione del
romanzo di Dinah Maria Craik Mulock, The Olgivies, edito a Lipsia, presso Tauchnitz, nel 1863.
Il progetto prevedeva la pubblicazione di quattro volumi l’anno. Tra i testi più riusciti:
Piccolina del 1900, romanzo per i fanciulli e il romanzo Cavalieri moderni (Voghera, Roma 1905)
che porta la sua firma autografa ed è notevole per la linearità narrativa e l’impegno civile.
Curò la prefazione a Re Moro. Autobiografia d’un cavallo (Torino 1903).
Nel 1912, il saggio sulla Regina Margherita di Savoia, prima regina d’Italia:( la sua vita e i
suoi tempi) (Tipografia editrice Italo- irlandese) è una lusinghiera presentazione della sovrana che
sempre s’era prodigata per alleviare le miserie della nazione. Benigno Angelo nel dolore, ebbe a
definirla Giuseppe Giacosa.
La biografia richiama la familiarità della scrittrice con la regina che aveva conosciuto
personalmente e che ammirava per le opere di beneficenza. Nel 1906, in occasione del giornale
speciale, unico, tutto al femminile. “Per la Calabria”, edito da Forzani e C. del Senato di Roma,
allestito per iniziativa della stessa Margherita onde raccogliere fondi per le industrie femminili
colpite dal terremoto del 1905, tre anni prima di quello più disastroso del 1908, con epicentro nello
Stretto 27 , Fanny scrisse un testimonianza inedita sulle donne di Calabria.
Allora, nel pietoso omaggio alla terra sfortunata, si unirono più di novanta firme prestigiose
dell’Italia e dell’estero, scrittrici,giornaliste, artiste, nobildonne con le loro fantasie
creative,riflessioni filosofiche, brani poetici per una beneficenza profondamente sentita.
Fanny fu del numero e scrisse, in data 20 novembre del 1905, un s uo breve saggio Sulle
dame di Calabria ,un’appassionata difesa della compostezza e dell’attaccamento alla famiglia delle
donne calabresi in cui lei si riconosceva per le origini paterne 28 . Con questo brano si propose quindi
di far conoscere l’autenticità degli affetti delle popolazioni femminili calabresi ed espresse
comprensione per la loro condizione falsamente definita dall’opinione pubblica retrograda, sfatando
il pregiudizio che esse siano tenute ad un livello inferiore rispetto alle consorelle delle province
italiane maggiormente progredite.
Dimostrò che invece sono invidiabili anziché da compatirsi: i mariti le amano con
appassionata gelosia e non fanno loro mancare nulla. Magari, non le condurranno ai balli e ai
ritrovi,che considerano pericolosi per la loro pace, ma le accompagneranno anche all’estero, come
in tutta Italia, godendo di vederle ammirate sempre al loro braccio.
I contributi delle donne dell’anno 1906 per il giornale “Calabria” sono stati pubblicati di
recente in anastatica 29 .
Anche se era spesso in viaggio o impegnata in altre esperienze la scrittrice seguiva con
particolare attenzione l’evolversi degli avvenimenti calabresi e non faceva mancare i suoi consigli
ed assicurava la sua partecipazione. Così in uno dei suoi ultimi scritti si legge:
“Recentemente con i lavori co mp iuti nella Sila in Calabria, con spesa ingente di mo lti e mo lti milioni, si è
fondata una merav igliosa stazione climat ica che può competere con la Svizzera. Occorre quindi ancora
scoprire questa bellissima parte d’Italia, le cui risorse agricole, art istiche, industriali, se appieno
sviluppate, darebbero un efficace contributo all’incremento economico della Nazione”.
27
Cfr. D. DE BLASIO e G. SICARI RUFFO (Presidente di Pari Opportunità, la prima, e autrice, la seconda), Le
donne e la memoria, Reggio Calabria 2006.
28
“Ch i non ha conosciuto le donne calabresi, nell’u mile loro grandezza d i mog li e di madri appassionate, le
quali prodigano tutto il tesoro delle loro an ime ardenti, solo in famig lia, non può intendere quale luce dolcissima r ifulga
tra le paret i do mestiche di case sorgenti sui monti o sulle marine, ov’è sì meravig liosa bellezza d i natura!”.
29
Cfr. Le donne e la memoria, cit ., contiene la copia anastatica del 1 gennaio 1906 ed un co mmento alla stessa
da me aggiunto.
20
Un altrettanto devoto inno alla sua terra natale Fanny dedicò a Napoli in una conferenza 30
che lei tenne nel 1931, a Washington, alla Italy America Society, alla presenza dell’ambasciatore
d’Italia De Martino, ripetuta poi a New York, alla Dante Alighieri ed alla Columbia University. Era
purtroppo l’anno in cui scomparve.
La figura di Fanny Salazar non appartiene alle grandi eroine che si sono sacrificate lasciando
di sé una gran traccia ed un perenne imperituro ricordo.
Il suo nome è sconosciuto ai più. Può essere stato noto nell’immediatezza del suo tempo,ma
poi fu sommerso dalla storia tumultuosa degli anni che precedettero e seguirono il secondo conflitto
mondiale.
Per questo rinnovarne la memoria, disseppellirla dal cumulo di eventi che seguirono,
collocarla nel fluire di quel dibattito che contribuì a vederci chiaro nell’annosa disamina dei
problemi della sua età è sembrato giusto e doveroso.
La storia non è fatta solo di grandi tappe, ma anche del tessuto interstiziale di cui è intessuta
la sua trama, per cui i grandi eventi sono il risultato di tante microstorie che si sono intrecciate.
La sua vicenda di vita va collocata all’inizio dell’Unità d’Italia, di cui recentemente è stato
commemorato il centocinquantesimo anno, e si è snodata attraverso il I conflitto mondiale ed il
Fascismo, tappe emblematiche che hanno significato grande partecipazione emotiva, ma pure
delusioni inquietudini,paure ed amarezze senza fine.
La sua attività registra questi sentimenti che devono essere stati tanto diffusi in buona parte
della popolazione italiana. La scrittrice quindi è da considerarsi un’icona di quell’italianità che ha
gioito e sofferto senza spiegare perché l’Italia sia nata nazione da una congiuntura felice e poi sia
precipitata nel vortice della disperazione e della rovina.
Sappiamo della donna e della madre che è riuscita a resistere alle gravi prove grazie alla sua
formazione ed alla cultura che l’ha sorretta. Ma il suo animo ne è uscito provato e se prima il suo
più grande sogno era di contribuire a rendere l’Italia degna delle grandi lodi dell’antichità e più
grande ancora nel confronto del presente con il passato, poi la troviamo convinta che l’Europa e
l’America stessa siano patrie più grandi che meritano tutta l’attenzione.
Forse allora ha pensato ad una Lega capace di superare tutte le leghe della sua giovinezza,la
Lega internazionale della pace tra i popoli che operasse per la rinascita. Così s’è fatta messaggera di
rinnovamento prima all’interno dei confini nazionali e poi all’estero credendo sempre che valesse la
pena vivere ed educare, restando legata ai valori inalienabili di giustizia e libertà, assolvendo i
doveri del proprio stato ed amando il prossimo.
Il suo legame con il mezzogiorno d’Italia e l’interesse che ha costantemente coltivato per il
suo sviluppo le fanno onore e rappresentano l’acutezza del suo ingegno.
30
Napoli, la bellissima.
21
Bibliografia

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
Catalogue général des livres imprimés de la Bibliotheque Nationale, 1980 (tomo
CCXXXIX,sez.Auteurs )
DE GUBERNATIS A., Dizionario biografico degli autori contemporanei, Firenze 1879, in cui
figurano la Voce Fanny – come autrice di novelle, commedie e scrittrice di problemi
sociali – e la Voce del padre Demetrio Salazar o Salazaro come cultore di belle arti.
Dictionnaire international des ècrivains du jour, Firenze 1888-1891
Hanno scritto su di lei:

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


CASELLI E.,Dalla famiglia alla Nazione. Pubblico e privato nella biografia di Fanny
Zampini Salazar (1851-1931)
ZAMPINI L., Storia d’una madre
RUGGIERO N., Tra Dikens e Zola. Sul realismo sentimentale dei novellieri napoletani del
secondo Ottocento, in La civile letteratura. Studi sull’Ottocento e Novecento offerti
ad Antonio Palermo, Napoli 2002
RUGGIERO N., Una “Vittoriana” di Napoli tra moralismo e femminismo. Fanny Zampini
Salazar traduttrice di Dinah Maria Craik Mulock, Relazione al Convegno
Internazionale Traduttrici 2009, 19-21 ottobre Napoli 2009
SANTORO A., Antologia di Scrittrici italiane del primo ventennio, Napoli 2001
22