LE TREDICI SORELLE L`INIZIO I due uomini erano seduti
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LE TREDICI SORELLE L`INIZIO I due uomini erano seduti
LE TREDICI SORELLE L’INIZIO I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso. - E’ sicuro che sia necessario eminenza? La domanda era stata posta con tono calmo, tranquillamente, anche se chi l’aveva formulata sapeva benissimo quali terribili forze stavano per essere messe in moto. Con quali conseguenze era impossibile prevederlo. - - E’ assolutamente necessario; è in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Sono anch’io consapevole dell’enorme responsabilità che ci prendiamo ma in questo momento dobbiamo pensare innanzitutto a salvaguardare la nostra immagine nel mondo. La posta in gioco è troppo alta per giocare seguendo le regole normali. Lei è autorizzato all’azione e a fare tutto ciò che sarà necessario per mettere fine alla minaccia che incombe su tutti noi. Il segreto deve essere custodito, il mondo non è ancora pronto a conoscerlo. Questa è la volontà di chi può decidere. Esegua i suoi ordini e tranquillizzi la sua coscienza. Allora non c’è più niente da dire. Stasera stessa darò il via ai nostri uomini. Stia tranquillo eminenza, tutto sarà fatto con precisione e riservatezza, come sempre. Bene non ne dubitavo. La saluto e la lascio andare, so che il compito che le ho assegnato è duro ma sono sicuro che lo assolverà nel migliore dei modi, come sempre. Senza neanche un’altra parola i due uomini si strinsero la mano alzandosi in piedi. Avvicinandosi per il saluto la luce illuminò i loro visi facendo luccicare i collari bianchi che ambedue indossavano. Poi il più giovane dei due dopo aver baciato la mano al più anziano si diresse alla porta e uscì. Il più anziano rimasto solo si risedette pensieroso. Sapeva di aver preso una decisione importante, straordinariamente pericolosa, ma era nelle sue responsabilità prenderla. Certo era difficile prevedere le conseguenze della sua scelta ma la scelta era da compiere. Solo il tempo avrebbe sciolto i suoi dubbi. Con un sospiro si alzò dalla poltrona per telefonare. Adesso doveva informare chi di dovere. CAPITOLO PRIMO Il bar dell’albergo era affollato come tutte le sere. In attesa della cena i numerosi turisti che affollavano l’elegante albergo Excelsior, situato proprio sulla splendida Via Veneto, passavano il tempo sorseggiando i loro cocktail e guardando, attraverso le vetrate della sala che davano proprio sulla strada, le centinaia di persone che affollavano la via più famosa della città eterna. Turisti stranieri in bermuda, inglesi, giapponesi con le loro immancabili macchine fotografiche, americani e tante altri di varie nazionalità, riempivano la celebre via passeggiando sui marciapiedi, guardando le vetrine e lanciando spesso commenti di meraviglia e ammirazione, osservati dallo sguardo disincantato e divertito dei cittadini romani. Seduto al bancone del bar, su uno degli alti, scomodi sgabelli, il Prof. Funari dava invece le spalle alla strada. Sorseggiava il suo succo di frutta senza degnare di uno sguardo il frenetico andirivieni di gente nella strada. Era annoiato, il convegno doveva ancora iniziare e già era annoiato. I convegni ormai non li sopportava più e Roma, sempre bellissima, non esercitava su di lui più nessun fascino. La conosceva troppo bene, ci aveva studiato da giovane e anche dopo essersi trasferito ci era tornato spessissimo. Psichiatra di fama e professore universitario illustre era spesso a Roma per convegni, consulti o lezioni all’università. Perciò per lui era solo una città come tante altre ormai, stesse vie, stessi palazzi, stesse aule, alberghi tutti troppo simili e troppo tristi e stesse malattie da diagnosticare e cercare, molte volte inutilmente, di curare. Era stanco. - Forse sto diventando vecchio, pensò, non riesco più ad apprezzare la bellezza. Anche se aveva solo cinquantacinque anni, oltretutto portati benissimo, si sentiva stanco. Fare lo psichiatra logora, si disse. Poi il suo sguardo cadde sulla ragazza seduta al suo fianco e, di colpo, si sentì molto meno vecchio. Capelli corti, neri, un viso semplice e con un trucco leggerissimo, corpo snello ma con le curve tutte al punto giusto, rivelato e sottolineato dalla corta gonna bianca, un tubino stretto che le fasciava le lunghe gambe, e dalla camicia rosa, aderente al corpo e con un bottone di troppo slacciato a mettere in mostra una parte decisamente ampia di un seno non eccessivo ma sodo e pieno. E il sorriso che le apriva la bocca era decisamente rivolto a lui. - Quanti anni potrà mai avere? Il primo pensiero ad attraversare la mente dello psichiatra. Guardò meglio la ragazza, davvero bella, oltretutto una bellezza particolare, semplice, spontanea, quasi ingenua. Come non se ne vedevano più in giro. Nessun atteggiamento forzato o costruito, nessuna ostentazione, solo un semplice, schietto sorriso. Giovane ma non giovanissima. Venticinque anni, forse anche qualcuno in più. Sì, qualcuno in più. Meglio. - Salve, anche lei solo in quest’albergo? La voce della ragazza lo distolse dai suoi pensieri. - Scusi? Le ho solo chiesto se è solo anche lei. Oh sì mi scusi. Sì sono solo. Sono a Roma per un impegno di lavoro. E lei? Beh diciamo che anche io ho una specie di impegno di lavoro. Ma adesso non ci voglio pensare, è una serata così bella e Roma è una città così meravigliosa che fino a domani voglio pensare solo a godermela. E’ la prima volta che vengo a Roma. - Allora se permette le farò da guida. E la porterò a cena in uno dei locali più tipici di Roma, dalla Sora Lella a Trastevere. E non accetto rifiuti. Beh è una proposta davvero interessante e inaspettata. Mi ero già rassegnata a una triste cena solitaria in albergo e adesso mi ritrovo un cicerone e un invito a cena. E’ una proposta davvero allettante, non posso certo rifiutarla, ma a una condizione; la cena si paga alla romana, del resto non potrebbe essere altrimenti visto che siamo a Roma. Il sorriso che accompagnò queste parole scaldò il cuore del maturo professore. E non solo quello. Era molto tempo che non provava sensazioni così forti, quella ragazza gli piaceva moltissimo e quell’incontro fortunato l’aveva messo di ottimo umore. - Diciamo che di questo discuteremo dopo, intanto inizio a presentarmi. Mi chiamo Funari, Walter Funari. E tu? Spontaneamente e naturalmente era passato al tu ma la ragazza non sembrò dispiaciuta del cambio di registro. - Rosa, mi chiamo Rosa, e penso possa bastare per ora. E ti chiamerò Walter, oltretutto è un nome che mi piace tantissimo. Restarono seduti al bar per qualche altro minuto, chiacchierando del più e del meno, argomenti leggeri e non personalissimi. La ragazza si dimostrò simpatica, spiritosa e intelligente commentando con spirito i racconti e le battute del professore. E il professore si ritrovò ancora una volta a benedire la sua buona stella di quella sera. Fu lui a organizzare tutto; fece prenotare un tavolo per due al ristorante dal portiere, fece chiamare un taxi e si incaricò di indicare all’autista, con grande sorpresa di quest’ultimo, abituato ai turisti sempre timorosi di essere presi in giro con strade troppo lunghe, un percorso piuttosto lungo e complicato per permettere alla ragazza di ammirare molte delle bellezze della città. Si godette nel lungo tragitto la vicinanza della ragazza che si entusiasmava alle sue descrizioni e lo tempestava di domande, facendolo sentire importante. Anche la cena fu favolosa. Assaggiarono i piatti tipici della cucina romana, bevendo un robusto vino dei castelli e chiudendo la cena con un doppio assaggio del tipico limoncello. La ragazza era entusiasta di tutto e rideva con gusto alle battute del suo accompagnatore. Lo psichiatra era talmente euforico e soddisfatto da non notare nemmeno il movimento della ragazza che scioglieva nel suo bicchiere una polverina bianca. La polverina era un forte tranquillante ricavato da erbe e altre sostanze naturali mischiate e bollite seguendo un antica ricetta. Assolutamente naturale ed efficace. Insapore e incolore. - Mi sa che ho bevuto troppo, mi gira la testa e mi sento fiacco come un sacco vuoto. O forse sei tu che mi fai girare la testa. Queste ultime parole del professore erano effettivamente frutto del troppo bere e della crescente attrazione che il maturo studioso provava per quella splendida fanciulla che aveva trovato all’improvviso sulla sua strada. - Forse è meglio tornare in albergo, professore. Adesso faccio chiamare un taxi. L’uomo era talmente intontito che non fece caso al fatto che la ragazza conosceva il suo titolo di professore anche se lui non ne aveva mai fatto cenno. - Sì brava Rosa, chiama pure un taxi e torniamocene in albergo. Termineremo la serata bevendo champagne e tu mi racconterai qualcosa di te, voglio sapere tutto di te. Forse lo champagne è meglio di no. Preferisco che lei stia sveglio. Il professore non notò neppure che la ragazza era tornata al lei. Il portiere di notte vide uscire dal taxi una bella ragazza che sosteneva a stento un signore molto più vecchio di lei, visibilmente ubriaco, che continuava a parlare e a ridere. Il portiere, che aveva all’incirca la stessa età della ragazza, pensò tra sé e sé che la vita era, spesso, proprio ingiusta. Invece di essere lui a divertirsi con quella bellezza bruna gli toccava assecondare e fare pure i salamelecchi a quell’imbecille mezzo ubriaco. Ma il pensiero gli passò subito. Il tono era professionale e cortese come al solito quando si informò del numero della stanza. La ragazza fu costretta e ripetere la domanda all’uomo un paio di volte prima di riuscire ad avere il numero. - Stanza 520, ultimo piano. La voce del professore era resa incerta dal vino e dalla polverina e fu Rosa a dover ripetere il numero al portiere di notte che attendeva quasi sull’attenti e con un mezzo sorriso sul volto. - Bene stanza 520, ultimo piano. Una delle più belle e tranquille signorina. E porgendo la chiave aggiunse, sornione. - Vi auguro una buona notte. Ci faccia portare una bottiglia di champagne, ghiacciato, in camera. La notte è ancora lunga. Il professore aveva ritrovato un minimo di energia e in un ultimo guizzo di lucidità aveva formulato la sua richiesta al portiere che chiese conferma alla ragazza con un veloce, discreto, sguardo. - Sì forse è meglio. Faccia portare una bottiglia di champagne con tanto ghiaccio, ho idea che ne avrò bisogno. Dopo queste ultime parole la ragazza si diresse all’ascensore tirandosi dietro l’uomo di nuovo semi addormentato. Fu proprio l’acqua gelata mischiata a pezzetti di ghiaccio a svegliare violentemente il Professor Funari. E il risveglio non fu piacevole. Era quasi nudo sul letto, aveva addosso solo i suoi boxer bianchi, bagnati dall’acqua che gli era stata rovesciata addosso, ed era immobilizzato a braccia e gambe aperte al letto con una fune sottile che già iniziava a segargli i polsi e le caviglie. Svegliato bruscamente dall’acqua gelata ci mise qualche secondo a rendersi conto della sua posizione. Il suo sguardo girava ansioso, ispezionando la stanza,mentre il suo cervello cercava di trovare un senso a quello che stava succedendo. Pensò a un possibile giochino erotico ideato da quella ragazza, Rosa. Certo non aveva l’aspetto di una appassionata di giochino sessuali ma chi può mai dire cosa si nasconde anche dietro l’aspetto più angelico. E lui ne sapeva qualcosa. Nel suo lavoro ne aveva incontrate tante di menti perverse celate dietro l’aspetto più dimesso. Ma si rese conto quasi subito che, purtroppo per lui, la ragazza non aveva messo in piedi la scena per un gioco sessuale. Era in piedi davanti a lui, completamente vestita, con in mano uno strano oggetto. Un lungo e sottile oggetto di metallo, appuntito e con un occhiello in cima. Una specie di stiletto che gli scatenò subito un attacco di paura. Lo teneva nella mano destra e lo batteva sul palmo della sinistra con un movimento lento. I suoi occhi lo guardavano senza emozione, freddi, concentrati e mostrava nello sguardo una decisione assoluta. - Ben svegliato caro professore. Mi scusi per i modi bruschi ma ho bisogno di averla lucido e sveglio e non ho molto tempo da perdere. Perciò sarò subito chiara. Voglio che mi dica subito come accedere ai file delle sue relazioni professionali, ho bisogno di alcune informazioni e sono disposta a tutto per averle. E se non collaborerà volontariamente, vede questo oggetto, sembra innocuo ma può procurare molto dolore. Se invece accetta di collaborare si risparmierà molte sofferenze e domani mattina potrà ritornare alla sua solita vita. Ci pensi ma non per molto. Come le ho già detto non ho molto tempo e la posta in gioco è così importante da richiedere qualsiasi sacrificio. Dicendo le ultime parole aveva avvicinato lo stiletto al viso dell’uomo legato agitandolo davanti ai suoi occhi. Al professore, visto da quella posizione e in quelle condizioni, l’oggetto non sembrò assolutamente innocuo. Anzi. Spostando gli occhi dallo stiletto il professore si guardò intorno alla disperata ricerca di un impossibile aiuto. La stanza era vuota e ad aumentare la sua convinzione sul fatto che la ragazza era decisa a ottenere quello che voleva il professore si accorse che il suo portatile era già stato estratto dalla sua borsa ed era già stato posizionato sul tavolino della stanza. Acceso e pronto. Il professore non era un eroe, era solo uno studioso e un professionista serio. Certo conosceva le regole deontologiche sul segreto professionale ma in un caso simile pensava che nessuno avrebbe potuto fargli una colpa di averle violate. No di quello era sicuro. Il dubbio che lo attanagliava era un altro. Avute le sue informazioni cosa avrebbe fatto la ragazza? Un’altra occhiata alla ragazza gli fece capire che non aveva scelta. - Va bene, non capisco a cosa ti possano servire, ma ti darò quello che vuoi. Il professore non notò neppure il sospiro di sollievo della ragazza. Era stato facile, in fondo, per fortuna. La sua fede era salda e la sua volontà ferma e determinata ma non era del tutto sicura della sua capacità di mettere in atto le minacce fatte nel caso in cui il professore si fosse rifiutato di collaborare. - Lei non si preoccupi di capire, mi dica quello che voglio sapere. Senza altre parole la ragazza si allontanò dal letto per prendere posizione davanti al computer. Guidata dall’uomo legato che le indicava cartelle, file e password di accesso trovò quello che cercava. Pochi minuti furono sufficienti per trovare i documenti che le interessavano, raggrupparli velocemente e poi spedirli a un indirizzo di posta elettronica. Un attimo di esitazione, poi la ragazza, come colpita da un improvvisa idea iniziò a frugare nella borsa del professore e dopo pochi secondi, trovato quello che cercava, rimettersi davanti allo schermo. Una pendrive era nella sua mano, evidentemente aveva deciso per maggiore sicurezza di copiare i documenti che le interessavano, anche su un supporto da portarsi dietro. Completata l’operazione finalmente si rilassò sulla sedia. - Bene caro professore siamo quasi alla fine. Adesso devo proprio porre fine al nostro bell’incontro. Il tono della voce era bello tranquillo, come di una persona che ha portato a termine un compito importante e difficile più facilmente del previsto. Uno squillo all’improvviso la fece sobbalzare. Rosa iniziò a frugare nella borsetta alla ricerca del cellulare. Una bustina sul display avvisava dell’arrivo di un messaggio. Dopo la lettura del messaggio l’atteggiamento della ragazza cambiò di colpo. Sul suo viso si disegnò una strana espressione; la tensione ritornò nella stanza. Il professore che si era tranquillizzato negli ultimi minuti ritornò ad avere paura. Il viso della ragazza non prometteva nulla di buono. La vide infilare il cellulare e il dischetto nel piccolo zainetto che usava come borsa e poi la vide avvicinarsi la letto. - Mi dispiace professore, la situazione è cambiata, devo andare via molto velocemente e non posso correre il rischio che lei dia l’allarme. Mi perdoni, e se questo può aiutarla pensi che quello che le capita è la giusta punizione per i suoi peccati. Un uomo della sua età e della sua posizione dovrebbe evitare le tentazioni della carne, soprattutto con ragazze tanto più giovani di lei. La lussuria è un vizio capitale. Pochi attimi dopo Rosa usciva dalla camera. Una breve occhiata al lungo corridoio la tranquillizzò poi silenziosamente e meticolosamente si fermò davanti alla camera per chiudere la porta e appendere il cartello “Non Disturbare”. Doveva guadagnare tempo. Doveva impedire l’ingresso alla camera il più a lungo possibile. Il tempo era prezioso. Presa dai suoi pensieri non si accorse dell’uomo che era uscito dall’ascensore e che in quel momento la guardava fisso in fondo al corridoio. Indossava un elegante e severo abito grigio scuro, una camicia di un grigio appena più chiaro e solo lo stretto collare bianco al collo indicava al mondo che era un sacerdote. Era alto e ben piazzato, capelli corti e barba ben curata a incorniciargli il viso. Era giovane, non più di trent’anni, anche se la barba e i capelli mostravano già alcune spruzzate di bianco. Rosa lo vide solo dopo aver chiuso la porta. Alla vista dell’uomo la ragazza fu presa dalla paura. Si guardò intorno alla ricerca di un aiuto o di una via di fuga. Niente e nessuno. Era in trappola. La camera 520 era in fondo al corridoio, l’ultima stanza del lungo corridoio. L’uomo in piedi bloccava l’accesso agli ascensori e alle scale di sicurezza. Rosa provò a riaprire la porta della stanza, l’idea di rientrare là dentro non le piaceva molto ma non aveva molta scelta. Niente da fare. La porta si era chiusa automaticamente e lei non aveva preso con sé la chiave. Disperata la ragazza si guardava intorno alla ricerca di una via di fuga mentre la paura saliva minacciosamente dentro di lei. Eppure l’atteggiamento dell’uomo non era minaccioso. La guardava tranquillamente, con il viso rilassato e aveva assunto una comoda posizione a gambe leggermente aperte e le mani in tasca. Ma Rosa sapeva che era uno di loro e sapeva di dover avere paura. Provò ad aprire la porta della stanza di fronte, chiusa anche quella. Era in trappola, senza possibilità di fuggire e senza poter chiedere aiuto. Loro erano troppo potenti e dopo quello che aveva fatto l’uomo di fronte a lei avrebbe avuto gioco facile nel convincere la polizia che lei era un soggetto pericoloso da rimettere sotto la sua custodia. No non poteva accettarlo, doveva trovare una soluzione. Poi il suo sguardo notò la piccola porta alla punta estrema del corridoio, dalla sua parte. Era una piccola porta di servizio, non numerata, e quasi nascosta in una rientranza del muro. Con due rapidi passi la raggiunse e spinse la maniglia. La fortuna era dalla sua parte, la porta si aprì cigolando leggermente, evidentemente non veniva usata molto spesso. Entrò velocemente nel riquadro buio del piccolo pianerottolo richiudendosi la porta alle spalle. Al buio cercò di capire se poteva bloccarla alle sue spalle ma non trovò né chiave né chiavistello. Si guardò intorno e dopo essersi abituata un po’ al buio, notò una piccola scala appena illuminata da un debole chiarore. Una sola rampa e solo in salita. Non aveva nessun’altra scelta. Iniziò a salire. Solo pochi scalini poi si ritrovò davanti a una porticina di metallo scuro. Provò ad aprire anche quella ma stavolta la porta non cedette sotto la sua spinta. Provò a spingere più forte che poteva, niente da fare. Rimase lì appoggiata alla porta, senza sapere cosa fare. Poi udì il cigolio della porta in basso, qualcuno l’aveva aperta e stava salendo gli stessi scalini che lei aveva percorso pochi attimi prima. Il buio e il rumore di quei passi la buttarono nel panico. Iniziò freneticamente a tastare la porticina, con un minimo di ritrovata lucidità si era resa conto che probabilmente c’era da qualche parte un fermo per tenerla chiusa. Ma doveva essere all’interno, per forza. Dopo attimi che le parvero lunghissimi lo trovò. Un chiavistello verticale nell’angolo in lato a destra della porta. Lo tirò giù quasi con un urlo spingendo contemporaneamente la porta. La porta si spalancò sotto la sua spinta facendole perdere l’equilibrio e facendola cadere in avanti. Si ritrovò all’aperto, sotto il cielo stellato di Roma, il bellissimo cielo di Roma che lei in quel momento non era certamente in grado di ammirare. Era sul terrazzo dell’albergo. Si rialzò dolorante e leggermente zoppicante, iniziò a esplorare l’ampio quadrato in cui si trovava. Cercava una via di scampo, una scaletta per scendere, un passaggio per un altro tetto o un’altra porta per uscire. Ma non trovò nulla. Il terrazzo era lontano da tutti gli altri edifici e non aveva altre vie d’uscita. Si mosse verso la porta dalla quale era entrata sperando di trovarla libera ma era ancora lontana quando capì di aver commesso uno sbaglio. Si era chiusa in trappola. Il sacerdote era davanti all’unica uscita di quel terrazzo, stava tranquillo ad aspettare. Lo guardò per qualche secondo da lontano poi prese l’unica decisione possibile. Le era impossibile soltanto pensare di ricadere nelle mani di quegli uomini, sarebbe stata rinchiusa di nuovo e questa volta in un posto lontano e isolato, impossibilitata a continuare la sua missione. L’idea le era insopportabile. Si voltò e si avvicinò al bordo del terrazzo, con il viso rivolto al cielo, stringendo le palme delle mani nella posizione della preghiera e tenendo tra le dita lo zainetto. Iniziò a mormorare le sue preghiere per chiedere perdono a Dio e alla Santa Madre Maria dei suoi gravi peccati e implorarlo di proteggerla. Sapeva di avere molto peccato ma il fine era buono ed era convinta che leggendo nel suo cuore Dio, Lui, l’avrebbe capita e perdonata, forse. Alle sue spalle sentì i passi del sacerdote avvicinarsi e sentì la sua voce dire: - Penso Sorella che sia giusto che lei preghi. Ha molte cose da farsi perdonare da nostro Signore. I pochi passanti ancora in giro si resero conto del dramma solo quando il corpo di Rosa piombò sull’asfalto. La ragazza era caduta in silenzio, senza neanche un urlo, sfiorando una ragazza intenta a amoreggiare con il suo ragazzo. Al rumore i più vicini si voltarono a guardare il corpo riverso sulla strada, sanguinante e con le ossa frantumate dall’impatto, in una posa contorta e così innaturale da far capire subito che per lei non c’era più niente da fare. La ragazza sfiorata urlò per il disgusto e per il pericolo scampato, un uomo si avvicinò, probabilmente un medico, per tastare il polso della ragazza come se si potesse dubitare del fatto che fosse sicuramente morta. Sul terrazzo Padre Joseph, il sacerdote che aveva inseguito la ragazza, si soffermò brevemente con il pensiero sulla tragica fine della ragazza. Una giovane vita spezzata nel fiore degli anni da una fede sbagliata diventata ossessione. Un vero peccato. Con un sospiro e un veloce segno di croce Padre Joseph allontanò quel pensiero per ritornate al suo compito. Era troppo importante per lasciarsi distrarre dagli avvenimenti appena accaduti. Il tempo era scarso e aveva ancora tante cose da fare prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. Doveva controllare che nella stanza del professore tutto fosse in ordine e doveva accertarsi che fossero le persone giuste ad arrivare per prime sul posto. Scendendo le scale velocemente aveva già in mano il telefono. Cercò il numero nelle memorie e lo compose. La risposta fu quasi immediata come se la persona fosse in attesa della chiamata. - - Sono io, c’è una ragazza morta davanti all’albergo Excelsior di via Veneto. Manda subito qualcuno dei nostri e digli di far sparire dalla borsa della ragazza quello che ci interessa, ma solo quello. Capito? Va bene, stia tranquillo. Chiusa la telefonata il sacerdote era già davanti alla porta della camera 520. La porta era chiusa ma non fu difficile per lui aprirla con una chiave passepartout; le camere d’albergo non sono certo fatte per essere difficili da aprire anche senza la chiave. Entrato nella stanza e chiusa la porta alle sue spalle il sacerdote si mise all’opera. C’era molto da fare e da sistemare. Vedere in che condizioni era il professore, capire cosa aveva trovato la ragazza e cosa si poteva fare per evitare altre spiacevoli intromissioni delle istituzioni non religiose nelle loro faccende. Pochi minuti dopo era già fuori dalla stanza, la situazione era più complicata del previsto ma per il momento aveva fatto tutto quello che poteva per limitare i danni. Il computer del professore era nella borsa che portava disinvoltamente in mano e nonostante le molte persone che ora affollavano i corridoi dell’albergo, svegliati e richiamati fuori dalle loro stanze dalla confusione seguita al suicidio, riuscì ad uscire dall’albergo senza essere fermato e senza essere notato. CAPITOLO SECONDO Alle cinque del mattino fu il suono del cellulare a svegliare il Commissario Alberti. A fatica, dopo numerosi squilli, il commissario iniziò a realizzare nel sonno che quello che sentiva non era il suono di un orchestra ma la suoneria del suo cellulare di servizio. Il commissario Alberto Alberti era una specie di leggenda vivente per i poliziotti romani. Era considerato il migliore investigatore della polizia. A soli trentacinque anni era il rispettato, amato e ammirato capo della Squadra Omicidi della capitale. Era entrato in polizia circa dieci anni prima dopo aver abbandonato una promettente carriera di avvocato in uno dei più importanti studi legali di Milano. Per questo motivo era stato lasciato dalla sua bellissima e ambiziosa fidanzata, figlia del titolare dello studio, che non aveva gradito la sua scelta di mettersi a fare lo sbirro per uno stipendio da fame e rischiando ogni giorno la pelle. Lei aveva altre idee su come vivere la propria vita. E l’aveva scaricato. A chi gli chiedeva i motivi della sua scelta il commissario rispondeva, semplicemente, che l’aveva fatto perché fare l’avvocato era noioso, mortalmente noioso. Aveva vinto il concorso classificandosi primo, primo al corso e primo commissario di nuova nomina a ritrovarsi per caso coinvolto in una sparatoria al primo giorno di servizio. Un caso fortunato, due rapinatori che uscivano da una banca con due ostaggi proprio mentre lui stava andando a piedi a prendere servizio al suo primo commissariato. I due rapinatori feriti e arrestati e gli ostaggi liberati senza un graffio. L’episodio aveva aiutato molto la sua carriera ma poi erano state le sue capacità a portarlo a essere il capo della omicidi. Era intelligente, dotato di intuizioni brillanti ma anche di una capacità di lavoro incredibile, quando era impegnato in un caso era capace di lavorare per giorni interi per seguire un idea, leggere montagne di documenti e scrivere brevi appunti su post- it colorati che poi appiccicava dappertutto nel suo ufficio. Idee e intuizioni in libertà che poi improvvisamente trovavano un filo conduttore che lo portava al bandolo della matassa. Metodo e intuizione, i due capisaldi del lavoro del poliziotto, così diceva ai suoi collaboratori. Faticosamente il commissario riuscì ad afferrare il telefonino sul comodino e a dare un occhiata al display lampeggiante, LEONARDI, il suo vice. Doveva essere qualcosa di importante se Leonardi lo svegliava a quell’ora sapendo che era andato a letto dopo tre giorni passati a inseguire le tracce di un bastardo che aveva ucciso una donna dopo averla violentata. Sperava per lui che fosse importante, altrimenti l’avrebbe strapazzato per bene. Ma se anche gli avesse letto nel pensiero Leonardi non si sarebbe preoccupato più di tanto. Un’altra delle doti che rendevano il commissario così amato era che era sempre di buon’umore, sempre pronto al sorriso e a proteggere i suoi uomini, anche nei momenti più pericolosi. Sembrava che le brutte storie che era costretto ad affrontare non fossero in grado di scalfire il suo ottimismo e la sua allegria. Ritrovava subito la sua serenità e la sua gioia nel vivere tutti i momenti della vita. E anche lui sapeva bene che poteva essere solo qualcosa di veramente importante a spingere il fidatissimo Leonardi a svegliarlo. - Leonardi, che cavolo è successo? Commissario mi dispiace disturbarla ma abbiamo tra le mani qualcosa di veramente strano. La voce di Leonardi era fresca e tranquilla, come sempre. - Allora rendimi partecipe e raccontami cos’è successo. Stanotte alle tre un ragazza si è suicidata buttandosi dal terrazzo dell’Excelsior, un albergo qui in Via Veneto. Una breve pausa. - - Allora Leonardi vai avanti, non puoi avermi svegliato solo per questo. Una ragazza che si ammazza è una cosa triste ma non è per questo che mi hai chiamato. Infatti commissario. Il fatto è che siamo stati fortunati, proprio in quel momento passavano davanti all’albergo due dei nostri, due ragazzi in gamba, De Cicco e Maestri, appena hanno capito quello che era successo uno dei due è rimasto vicino alla ragazza e l’altro è volato sul terrazzo a controllare. Tutto a posto, non c’era nessuno e nessun traccia. Suicidio accertato. Ma sa come sono i nostri ragazzi, precisi, pignoli, merito dei suoi insegnamenti. Leonardi, sono le cinque di mattina, sono stanco e ancora mezzo addormentato, vieni al sodo. Uno dei piccoli difetti di Leonardi; gli piaceva parlare, allungare le storie e abbellirle con commenti e battute personali. Ma aveva tante altre qualità. - Certo commissario, mi scusi. Dicevo che i nostri si sono comunque attivati per cercare testimonianze, qualcuno che avesse incontrato la ragazza, magari un fidanzato o un amico nell’albergo. Una ragazza che si butta alle tre di notte giù da un albergo non è cosa di tutti i giorni. Il portiere di notte li ha messi subito sulla pista giusta. La ragazza non alloggiava in albergo, era stata notata prima al bar che beveva qualcosa con un uomo. Il portiere ha detto che era difficile non notarla, una vera bellezza, secondo lui. Poi ha detto che non li ha visti uscire insieme ma che comunque sono rientrati insieme verso le due. La ragazza e l’uomo e sono andati insieme nella camera dell’uomo. - E lui sapendo che la ragazza non alloggiava lì non ha detto nulla? Beh sa com’è commissario. Si chiude un occhio. Se ci formalizziamo su queste cose non si vive più. Va bene Leonardi, andiamo avanti. Avete rintracciato l’uomo? L’avete interrogato? Cosa vi ha detto? Ecco, la cosa strana è proprio questa. Il portiere ci ha indicato la stanza dell’uomo e De Cicco ci è andato, ha provato a bussare ma non ha ricevuto risposta. Si è fatto aprire la porta dal portiere e ha trovato l’uomo. Ma non ha potuto interrogarlo perché l’ha trovato morto sul letto. Imbavagliato, legato al letto e ammazzato. E allora ha chiamato me e io ho chiamato lei, prima il medico legale e poi lei. Così ha guadagnato qualche minuto di sonno. Il solito Leonardi. - Insomma fammi capire. La ragazza si sarebbe suicidata dopo avere ammazzato l’uomo nella sua camera? Siamo sicuri che è stata lei? E siamo sicuri che si è suicidata? Commissario sul fatto che è stata lei siamo sicuri. Abbiamo trovato nella sua borsetta quella che il medico legale ritiene sia l’arma del delitto. Una specie di grosso ago che è stato usato per spaccare il cuore a quel poveraccio. Che poi tanto poveraccio non era, anzi. Il morto è, meglio era, il professor Walter Funari, professore universitario e illustre psichiatra. Consulente di parecchie associazioni e perito giudiziario nonché membro di alcune commissioni ministeriali. Un pezzo grosso insomma. La mente del commissario si era svegliata del tutto, il suo interesse si stava accendendo ed era già seduto sul letto per prepararsi ad uscire. - - Leonardi ascolta, sarò lì al massimo in un quarto d’ora, a quest’ora forse anche meno. Mi raccomando non muovete nulla e tenete lì gli eventuali testimoni. Voglio vedere tutto di persona. Va bene commissario, c’è qualche altro piccolo particolare ma visto che ha deciso di venire glielo racconto di persona. La lascio tranquillo alla guida, parlare mentre si guida può essere pericoloso. Leonardi era incredibile, aveva solo pochi anni più di lui e a volte lo trattava come un figlio. Il pensiero strappò un sorriso al commissario che in pochi minuti aveva finito di vestirsi, un comodo jeans e una camicia, e si era precipitato alla sua auto. Il piccolo appartamento del commissario era posizionato nella centralissima Via Crescenzio di Roma, vicinissimo al Vaticano ma, sopratutto, a pochi passi dalla sede della omicidi di Piazza Cavour. Al volante della sua C3 con cambio automatico il poliziotto attraversò la città prima passando dalla Via Di Rienzo, illuminata come sempre dalle luci e dalle vetrine dei molti negozi che la rendevano una delle mete preferite degli amanti dello shopping, poi passando sul ponte Regina Margherita per attraversare il Tevere per poi costeggiarlo per un breve tratto fino ad arrivare alla caratteristica Porta Pinciana a poche centinaia di metri dalla sua destinazione, la famosissima Via Veneto. Era una tiepida mattina di fine Aprile, di quelle mattine che solo Roma riesce a offrire. Il momento migliore per godersi la città. Poco traffico, ancora immersa nell’oscurità ma già con un accenno di luce, le vie e i monumenti immersi in una luce particolare. La città esercitava ancora molto fascino sul commissario, nonostante i molti anni già trascorsi. Il commissario annotò mentalmente queste sensazioni mentre procedeva a velocità elevata ma non eccessiva verso la sua destinazione. Quella era anche l’ora in cui accadevano molti degli incidenti più stupidi. La sua mente però continuava a ripassare quello che gli aveva detto il suo vice. Strana storia. Una giovane assassina che uccide ferocemente un uomo e poi si uccide. Una vendetta forse? Una pazza scatenata? Troppe cose da chiarire. Come aveva previsto arrivò in Via Veneto in pochi minuti. La via era transennata, due auto della polizia con i lampeggianti accesi bloccavano la gente a distanza nascondendo nello stesso tempo il corpo a terra coperto da un lenzuolo. Comunque non c’era tanta gente a curiosare, troppo presto. Meglio così pensò il commissario. Un agente si stava già avvicinando alla sua auto probabilmente per invitarlo a spostarla ma dopo averlo riconosciuto si limitò invece a un breve saluto per poi alzargli il nastro bianco e rosso che delimitava la scena. - Buongiorno commissario, prego passi pure. Il commissario ricambiò il saluto del giovane agente con un cenno della mano. La sua mente era già impegnata nell’osservare tutti i particolari della scena. Niente di particolare, il corpo nascosto sotto il lenzuolo in una di quelle strane posizioni che prendono spesso i cadaveri di chi si lancia dall’alto, agenti di polizia che tenevano lontano i curiosi e un’ambulanza parcheggiata poco lontano in attesa dell’autorizzazione a portare via il corpo. Solita scena già vista troppe volte ma qualcosa di diverso c’era. Vicino all’ambulanza i tre membri dell’equipaggio erano impegnati in un accesa discussione con un agente. Il commissario non riusciva a sentire le loro parole ma dai gesti e dal movimento del corpo si capiva che non era una semplice discussione legata alla routine dell’intervento. Il commissario, incuriosito, si stava già avvicinando al gruppetto quando vide da lontano l’ispettore Leonardi dirigersi verso di lui. Si fermò ad aspettarlo e mentre lo guardava avvicinarsi si ritrovò, come sempre, a pensare che è proprio vero che le apparenze ingannano. L’ispettore aveva quasi cinquant’anni ma ne dimostrava almeno dieci di meno. Il corpo muscoloso, quasi da culturista, era il lascito di una gioventù passata in palestra come istruttore ed era tenuto in forma da sedute regolari di allenamento. I capelli tagliati cortissimi e appena spruzzati di bianco davano al suo viso un’aria decisa, quasi cattiva. Vedendolo avvicinarsi in quella calda mattina di aprile in jeans e maglietta bianca il commissario pensò ancora una volta che era facile scambiarlo per il solito palestrato con poco cervello e quello era uno sbaglio. In realtà l’ispettore nascondeva dietro la sua fisicità un cervello di tutto rispetto. Intelligente e attento a cogliere tutti i particolari di ogni situazione era capace di intuizioni improvvise e chiarificatrici. Ma nascondeva anche dietro il suo aspetto duro un uomo tutto di un pezzo, leale, sincero e onesto, capace di slanci di bontà incredibili. Il commissario pensò ancora una volta che era stato fortunato a incontrarlo. All’inizio della sua carriera gli aveva fatto da maestro e ben presto la loro collaborazione sul lavoro si era trasformata in una sincera e profonda amicizia cementata dal rispetto e dalla stima reciproca. Lavoravano ormai insieme da dieci anni e nonostante l’amicizia l’ispettore si ostinava a dargli del lei. - Buongiorno commissario, dormito bene? Bene ma non abbastanza. Nel nostro mestiere non si riesce mai a dormire abbastanza. Perfettamente ragione, commissario, c’è sempre qualche rogna che ti sveglia. Vuole andare a prendere un caffè mentre le racconto tutto? Lasciamo stare, inizia a raccontare e intanto fammi da cicerone. - Va bene, mi segua. Verso le tre la ragazza si è buttata giù dal terrazzo, tranquilla, senza urlare, andando quasi a cadere addosso ai passanti. Eccola qui vede? Così dicendo l’ispettore aveva accompagnato il suo capo verso il corpo nascosto sotto il lenzuolo. - Sappiamo chi è ? No commissario, non era cliente dell’albergo, questo lo sappiamo, ma non sappiamo niente altro Nella sua borsetta non abbiamo trovato documenti ma solo un cellulare, uno di quegli aggeggi che si infilano nei computer, un rosario e questo. Così dicendo aveva preso dalla tasca una busta di quelle usate per raccogliere le prove e l’aveva mostrata al commissario. La busta conteneva un oggetto lungo e sottile, poteva sembrare uno strano stiletto ma, osservandolo meglio, si capiva dall’occhiello superiore e dalla sua forma che era in realtà un grosso ago. - L’arma del delitto? Sì commissario, il medico legale è convinto di sì. La ferita sul corpo sembra proprio fatta da questo strumento. Per un momento il commissario si soffermò a riflettere su quella strana arma. Era stata portata apposta per uccidere o l’assassina l’aveva usata in mancanza di meglio? Forse non era venuta per uccidere. - Va bene Leonardi andiamo avanti. Come le ho già detto al telefono, per fortuna, proprio in quel momento c’erano in strada due dei nostri che si sono subito messi all’opera. Uno è rimasto in strada e l’altro è - - salito sul terrazzo. Era vuoto, non c’era nessuno e nessuna traccia particolare, per questo siamo certi che è stato suicidio, anche perché tutti i testimoni dicono che è venuta giù in silenzio, come una convinta di farla finita senza troppe storie. Una storia semplice e chiara, tragica ma senza problemi per noi, sembrava. Invece? Invece De Cicco facendo un po’ di domande al portiere ha scoperto che la ragazza era salita in camera con un cliente dell’albergo, così naturalmente è andato a fargli qualche domanda e l’ha trovato morto, legato al letto e ucciso con un colpo al cuore, con quell’ago da ricamatrice. Se mi segue la porto a vedere. Sì adesso andiamo, fammi solo dare un occhiata alla ragazza. Come vuole. L’ispettore conosceva troppo bene le abitudini del suo capo per mettersi a discutere con lui, così senza dire altro si chinò per scoprire il corpo sull’asfalto. Nonostante il colpo e la posizione il corpo senza vita rivelava ancora tracce della sua bellezza. Il viso da ragazzina non sembrava quello di un’assassina, ma, pensò il commissario, quasi mai gli assassini hanno il viso da assassino. - Va bene Leonardi andiamo di sopra. I due poliziotti si incamminarono verso l’interno dell’albergo salutati dai vari agenti che lo piantonavano, e preso l’ascensore salirono all’ultimo piano. - Vuole vedere prima il terrazzo o prima la camera? Vediamo prima il terrazzo, giusto per scrupolo. Se mi dici che non c’è niente d’interessante non ci perderemo - molto tempo. Poi passiamo alla camera, lì ci sarà sicuramente più roba da vedere. Va bene commissario, mi segua. L’ispettore guidò il commissario sulla stretta scaletta che portava al terrazzo e una volta sbucati all’esterno lo guidò al punto dal quale la ragazza si era buttata. Con un rapido sguardo il commissario osservò il posto. Niente d’importante, un semplice terrazzo vuoto. Il commissario si stava convincendo che la ragazza si era proprio suicidata, nessun’altro motivo poteva averla spinta a salire su quel terrazzo. Per un attimo si affacciò anche a guardare giù nella strada, si intravedeva il lenzuolo bianco e il giovane commissario si chiese quanto coraggio ci voleva per uccidersi senza emettere un solo grido. Coraggio o disperazione. - Va bene Leonardi scendiamo. Ridiscesero in silenzio la scaletta per ritrovarsi davanti alla porta della camera 520, chiusa e con due agenti in divisa a sorvegliarla. Senza una parola uno dei due agenti aprì la porta ai suoi due superiori. Nella stanza c’erano ancora le luci accese nonostante la luce del giorno ormai fosse sufficiente a illuminare l’ambiente. Evidentemente nessuno aveva pensato a spegnerle. All’interno c’erano due uomini che li salutarono senza troppe formalità, uno era l’agente De Cicco, un giovane agente molto in gamba che il commissario conosceva benissimo, e l’altro era il medico legale, il Dr. Stoppani, l’anziano e pignolo medico legale, collaboratore e amico dei due poliziotti. - Buongiorno De Cicco, ti sei beccato una lunga notte mi pare? - Sì commissario, una lunga notte, ma non si preoccupi non avevo molto di meglio da fare. Bravo De Cicco, comunque stai tranquillo che appena mi avrai raccontato tutto ti faccio andare a casa. Ti meriti un po’ di riposo. Buongiorno anche a lei dottore, tutto a posto? Il secondo saluto era rivolto al medico legale che impegnato nei suoi esami non aveva neanche distolto lo sguardo dal cadavere all’ingresso dei due uomini. - Ciao Alberti, tutto bene. Solita vita, anzi, solita morte. Il dottore era tristemente famoso tra i poliziotti per il suo gusto alle battute, feroci e ciniche, assolutamente fuori luogo viste le situazioni in cui era coinvolto. Probabilmente era il suo modo per mantenere un certo distacco dalle atrocità che era costretto a vedere. - Allora dottore la lascio finire il suo lavoro mentre io intanto parlo con De Cicco. A queste parole l’agente si avvicinò subito al suo capo iniziando a raccontare con ordine e precisione quello che l’ispettore aveva già riferito. Intanto lo sguardo del commissario ispezionava la stanza. A parte il cadavere sanguinante sul letto era tutto in ordine. La valigia sistemata nell’apposito spazio dietro l’armadio e solo un vestito appoggiato sulla sedia, un elegante vestito grigio con una camicia bianca, appoggiato con una certa attenzione ma non piegato sullo schienale della piccola sedia in dotazione alla stanza. Ma mentre ascoltava il suo agente lo sguardo del commissario si soffermò su un particolare. Per terra, sotto il tavolino, c’erano due fili infilati in una presa. Uno era un filo di corrente collegato alla presa elettrica e l’altro un filo di collegamento alla presa telefonica con uno spinotto per computer, un filo per collegarsi a internet. - Il portatile l’avete trovato? La domanda posta all’improvviso fece zittire l’agente che stava finendo di raccontare la sua storia e fece sobbalzare l’ispettore Leonardi. - - Quale portatile? Quello che era sicuramente collegato a quei due fili. Il professore aveva evidentemente un portatile con sé e, probabilmente, la pennetta che avete trovato nella borsa della ragazza contiene qualche file preso da quel portatile. Ma il portatile dov’è? Ha ragione commissario, adesso lo cerchiamo. L’ispettore si mise subito all’opera insieme a De Cicco. Non ci volle molto tempo ai due uomini per capire che nella stanza non c’era quello che cercavano. - Niente commissario, qui non c’è. Manda qualcuno a controllare meglio il terrazzo, magari la ragazza l’ha nascosto lì prima di buttarsi. Va bene commissario ci vado io. L’agente assunto l’incarico si diresse subito verso il terrazzo. - C’è qualcosa di strano Leonardi, qualcosa che mi manca. Una ragazza uccide un uomo in questo modo, copia qualcosa dal suo computer, se lo porta dietro ben - - - custodito su una pen drive e poi si uccide. Ma per farne cosa se voleva suicidarsi? E c’è anche qualcos’altro di strano. Che cosa? Un nostro agente di guardia al corpo della ragazza ha notato una cosa strana. Che cosa Leonardi? Su non farti pregare. Beh lui dice che è solo una sensazione, una sua impressione, ma secondo lui uno dei tre dell’ambulanza, l’autista, stava frugando nella borsa della ragazza, come se cercasse qualcosa. Appena se ne è accorto l’agente l’ha presa e consegnata a Maestri ma è sicuro che quell’uomo stava cercando qualcosa nella borsetta della ragazza. Hai già interrogato l’uomo? Sì ma lui dice che stava solo cercando i documenti per avvisare i parenti. Ho interrogato anche l’altro volontario e il medico dell’ambulanza, lo conoscono da molto tempo e ci lavorano insieme da anni e sono convinti che non avrebbe mai cercato di rubare nulla dalla borsetta. Affermano che è una persona onestissima. Magari non stava cercando di rubare, magari cercava qualcos’altro che non fossero soldi. Ci voglio parlare anche io dopo, adesso ascoltiamo il dottore così lo lasciamo libero di andarsene. Il medico sentendosi chiamato in causa si rialzò dal letto e dopo essersi tolto gli occhiali e averli riposti con calma nella loro custodia iniziò il suo rapporto. - C’è poco da dire. L’uomo è stato ucciso con un oggetto sottile, lungo circa venticinque centimetri, sicuramente quella specie di ago che l’ispettore ha trovato nella borsa della ragazza. Prima di essere ucciso è rimasto legato al letto per almeno un paio d’ore. Lo si capisce dai segni sui polsi e sulle caviglie, legato ma non torturato, non ci sono segni sul corpo, poi, diciamo verso le tre, è stato ucciso. Se posso avanzare un’ipotesi è stato ucciso perché stava cercando di liberarsi, anzi c’era quasi riuscito. Se guardate la mano destra noterete che si era sciolto dal laccio, probabilmente la ragazza si è accorta in ritardo che il suo prigioniero stava per liberarsi e spaventata l’ha ammazzato con la prima cosa che ha trovato sottomano. I due poliziotti seguendo il consiglio del medico portarono la loro attenzione sulla mano destra del cadavere che era effettivamente libera e appoggiata sul fianco. - - - - Forse è come dice lei dottore, probabilmente la ragazza era solo venuta a prendere qualcosa dal computer del professore, poi qualcosa deve essere andato storto e allora l’ha ucciso. E deve averlo fatto anche velocemente e all’improvviso. Vede la mano è pulita, senza ferite, come se il professore non si fosse accorto di nulla e quindi non ha neanche fatto in tempo a tentare di difendersi. Ma adesso mi chiedo; cosa cercava la ragazza? E perché si è uccisa dopo averla presa? Leonardi avete provato a leggere la penna? Sì commissario, ho provato ma è protetto da una password. Appena torniamo in commissariato provo a passarlo ai nostri esperti informatici, magari loro riescono a scoprire come aprirlo. Va bene, adesso andiamo giù, voglio parlare con il portiere dell’albergo e con quelli dell’ambulanza. La saluto dottore, buona giornata. E se scopre qualcos’altro di interessante mi chiami subito. Certo Alberti, lo sai che lavoro solo per te e non ho nient’altro da fare. Il commissario non diede peso alla battuta del professore, lo sapeva che era un professionista serio e metodico, se avesse trovato qualcosa l’avrebbe avvisato immediatamente. Tornarono al pianterreno dell’albergo, l’ispettore guidò il commissario verso una stanza piantonata da un agente. - Il portiere è là dentro. Entrarono nella stanza dopo aver risposto al saluto dell’agente di guardia. All’interno era in attesa il portiere dell’albergo. In piedi aspettava tranquillamente di essere interrogato anche dal commissario, così gli aveva detto il colosso che si era presentato come ispettore di polizia, prima di potersene andare a casa a riposare, magari dopo essersi rilassato un po’ con la sua ragazza. Il commissario lo squadrò attentamente. Era un ragazzo giovane, massimo venticinque anni, sembrava sveglio e furbo. La persona adatta per un lavoro come quello. Faccia simpatica anche se un po’ da canaglia e un sorriso pronto che sfoderò subito al momento delle presentazioni. - - - Buongiorno, sono il commissario Alberti, della omicidi. Devo scusarmi se l’ho fatta aspettare e se adesso le ruberò ancora alcuni minuti ma volevo sentire di persona quello che ha visto. Tranquillo commissario, capisco che sono successe cose gravi e sono a sua disposizione. Io sono Roberto Altieri e come saprà faccio il portiere di notte qui in albergo. Mi chieda pure quello che vuole. Bene Roberto, allora partiamo dall’inizio. Mi parli della ragazza, quando l’ha notata per la prima volta? Questa è una domanda facile, commissario. L’ho notata subito appena l’ho vista, le assicuro che era difficile non - - - - notarla. Era bella, elegante e con una luce speciale negli occhi; sembravano sorridere. Proprio una bellezza speciale. L’ho notata all’inizio del mio turno, verso le otto, praticamente siamo entrati in albergo insieme, poi l’ho vista dirigersi verso il bar ma poi preso dal lavoro non l’ho vista uscire con il professore. E poi l’ho vista per l’ultima volta quando sono rientrati insieme verso l’una. Anzi no, l’ultima volta l’ho vista quando il suo ispettore mi ha obbligato a riconoscerla lì sulla strada. Sì capisco che deve essere stato un brutto momento ma le assicuro che l’ispettore Leonardi è stato costretto a chiederglielo. Ma torniamo indietro di un passo. L’ispettore mi ha detto che lei è sicuro che la ragazza non fosse una vostra cliente. Come fa a esserne sicuro? Beh non dovrei dirlo, non è professionale, ma devo confessare che la ragazza mi aveva incuriosito, così ho dato una controllata ai clienti di oggi e non c’era nessuno che potesse essere lei. Poi, per maggiore sicurezza, ho anche chiesto al mio collega di giorno, quando l’abbiamo vista uscire, se si ricordava di lei e anche lui mi ha confermato che non era certo una cliente, una così l’avrebbe notata di certo. Ho capito, ha notato qualcos’altro? Diciamo di sì, più che altro una sensazione. Quando siamo entrati l’ho seguita con lo sguardo, mi capisce commissario, e ho avuto l’impressione che cercasse qualcuno, lì al bar. Ho pensato che avesse un appuntamento e, per un attimo, ho invidiato l’uomo che stava cercando. Adesso certo non lo invidio più. Immagino di no. E del professore che mi dice? Ah il professor Funari lo conoscevo bene. Era spesso nostro cliente e so che era un pezzo grosso. Persona gentile e sempre cortese. Mai una protesta e mai visto con una ragazza. Ieri sera infatti mi sono meravigliato nel - - vederlo tornare ubriaco e con una ragazza così giovane. Non era nel suo stile. Però, ripeto, la ragazza poteva far perdere la testa a qualsiasi uomo. Va bene Roberto per ora abbiamo finito, se dovesse venirmi in mente qualcos’altro da chiederle o venisse in mente a lei qualche altro dettaglio ci risentiremo. Lasci il suo indirizzo e il telefono all’ispettore e vada pure a riposare. E grazie per la collaborazione. Grazie a lei commissario. Se ha bisogno sa dove trovarmi. Le auguro una buona giornata. Durante tutto il colloquio Leonardi non aveva aperto bocca. - - Cosa ne pensa commissario? Cosa ne penso? Penso che la ragazza è venuta in albergo a cercare o incontrare Funari. Perché? Per rubargli o convincerlo a darle qualcosa, qualcosa che era nascosto in quel computer. Poi l’ha ammazzato dopo aver trovato quello che cercava e poi si è uccisa. A questo punto dobbiamo cercare di scoprire cosa custodiva di così importante nel suo portatile il professore. Ci sono notizie di De Cicco? Ha trovato qualcosa sul terrazzo? Adesso vado a vedere, ma penso di no, altrimenti si sarebbe precipitato ad avvisarci. Leonardi stava già uscendo quando il commissario si ricordò di qualcosa. - Leonardi ma la borsa della ragazza dov’è? Fammi vedere quello che c’è dentro. Adesso vado a prenderla commissario, l’ho data in custodia a Maestri, la prendo e torno. - Lascia stare, vengo fuori con te. Voglio fare due chiacchiere con quell’autista d’ambulanza e poi ce ne torniamo in centrale. Fuori era ormai giorno pieno. Davanti all’albergo si era radunata una piccola folla tenuta a bada da un gruppo di agenti. L’equipaggio dell’ambulanza era fermo in piedi davanti al mezzo e uno dei tre era ancora in discussione con l’agente di polizia. Mentre Leonardi andava alla ricerca di De Cicco il commissario si avvicinò al gruppetto riunito davanti all’ambulanza. - - - Senta agente io capisco che lei sta facendo il suo dovere ma anche io ho un lavoro da fare; sono un medico e non mi piace essere trattato come un delinquente. Si può sapere perchè ci state trattenendo? Guardi dottore che io eseguo solo gli ordini del mio superiore. Appena possibile parlate con il commissario e ci pensa lui. Solo un minimo di pazienza e collaborazione. Un minimo di pazienza? Ma si rende conto che è più di tre ore che ci tenete qui bloccati. Ma quando arriva sto maledetto commissario? Eccomi dottore. Mi scusi per l’attesa ma ho avuto parecchie cose da fare. La voce cortese ma decisa di Alberti bloccò le lamentele del medico. - Ah dunque è lei il commissario. Mi scusi anche lei ma davvero non capisco questa strana procedura di oggi. Sono anni che faccio servizio sulle ambulanze e non mi era mai capitato di essere trattato in questo modo. - - Guardi le chiedo ancora scusa ma c’è qualcosa che devo chiarire subito con voi. Innanzitutto, da chi siete stati chiamati? Noi siamo stati avvisati dalla centrale operativa chi abbia chiamato loro io non lo so di certo. Capisco, lo accerteremo dopo. Però c’è un’altra questione da chiarire. Uno dei miei uomini ha riferito di aver visto il suo autista guardare nella borsa della ragazza morta, secondo il mio uomo sembrava che il suo stesse cercando qualcosa. Lei cosa ne pensa? Commissario il suo uomo ha le allucinazioni. L’autista, Paolo, lo conosco da anni, sto insieme a lui parecchie ore al giorno e l’ho visto all’opera centinaia di volte. Posso mettere la mano sul fuoco sulla sua onestà. Se stava guardando nella borsa, ed è possibile, stava solo cercando i documenti della ragazza, magari per avvisare i parenti nel modo più delicato possibile o magari solo per recitare una preghiera per la sua anima. Paolo è molto religioso e crede molto nel valore di una preghiera per la salvezza dell’anima, sopratutto nei casi di suicidio, l’ho visto altre volte compiere questo gesto per una persona morta. Commissario glielo posso assicurare; non c’era nessun intento cattivo nel gesto del mio autista. Se vuole credermi bene, altrimenti non posso farci nulla. Il dottore aveva una faccia che ispirava fiducia e dava l’idea di saper giudicare le persone. Il commissario diede un ultimo sguardo in direzione dell’autista che tranquillo chiacchierava con l’altro suo collega, poi decise che non poteva fare altro che credere al dottore. Per ora. - Va bene dottore, la saluto. Mi scusi ancora per tutto il tempo che vi ho fatto perdere, si vede che questo lavoro ci rende troppo sospettosi. Ci scusi anche con i suoi uomini. Poi rivolgendosi all’agente disse: - Agente i signori possono andare, e anche tu. Grazie. Agli ordini commissario. Con un ultimo saluto Alberti si congedò da tutto il gruppo. Intanto Leonardi si stava avvicinando con De Cicco e Maestri subito dietro. - Mi dispiace commissario del computer nessuna traccia. Non è sul terrazzo e non l’abbiamo trovato da nessuna parte. Qualcuno l’ha portato via. Già qualcuno, ma chi? Poi il commissario si ricordò di qualcosa. - Leonardi fammi vedere la borsa della ragazza. Cos’hai detto che conteneva oltre alla pen drive e a quel maledetto ago? Un rosario e un cellulare commissario. E nient’altro. Un rosario e un cellulare, anche la ragazza doveva essere stata evidentemente un tipo molto religioso, come l’autista, un rosario non era un oggetto molto presente nelle borse delle ragazze di oggi. Ma il cellulare poteva contenere qualcosa d’interessante. - Va bene Leonardi, torniamocene in centrale, lì daremo un occhiata più approfondita al cellulare e anche al rosario e poi cercheremo di ricapitolare le idee. De Cicco, - Maestri andate pure a riposare ma da domani siete assegnati anche voi a questo caso, visto che vi ci siete trovati dentro dall’inizio e che avete fatto un buon lavoro mi sembra giusto farvelo seguire fino alla fine. Grazie commissario ma stia tranquillo che il tempo di andare a fare una doccia e bere un caffè e arriviamo subito in centrale anche noi. I due agenti si allontanarono senza perdere altro tempo. - Bravi ragazzi. Hai ragione Leonardi, proprio bravi ragazzi. E davvero in gamba, se non ci fossero stati loro presenti sul posto forse avremmo avuto ancora meno tracce da seguire. Adesso andiamo in ufficio. L’ispettore prese posto nell’auto del suo capo e mentre attraversavano la città ormai in pieno movimento nessuno dei due parlò. Una piccola sosta al solito bar vicino al loro ufficio per prendere un caffè per poi chiudersi nell’ufficio del commissario. - Allora Leonardi fammi vedere tutto quello che c’era nella borsa. La borsa, un piccolo zainetto, era stretta tra le mani dell’ispettore che senza farsi pregare lo aprì per rovesciarne il contenuto sulla scrivania già ingombra di carte. Dallo zaino vennero fuori solo il cellulare e il rosario. - L’ago e la pennetta li ho mandati alla scientifica per vedere se riescono a tirarne fuori qualcosa di utile. Hai fatto bene, adesso fammi dare un occhiata a questa roba. Incuriosito dall’oggetto il commissario lo prese in mano. Era di madreperla nero con un piccolo crocifisso in legno alla fine. - E’ un bell’oggetto, certo non una di quelle cianfrusaglie che vendono ai turisti. Un rosario. Da quanto tempo non ne vedevo uno. Mia madre lo usava spesso per le sue preghiere ma oggi non penso che siano molte le ragazze che lo usano e lo portano in borsa. E sopratutto non dovrebbero essere ragazze che poi vanno in giro a pugnalare le persone. In questa storia è tutto strano. Vediamo il cellulare se ci aiuta. Il telefonino era acceso e una volta tolto il blocco tasti i due poliziotti iniziarono a esaminarlo. Nessun numero nella rubrica, nessuna telefonata ricevuta o in uscita. I due poliziotti stavano quasi per rinunciare. Ma all’ultimo controllo, alla voce messaggi, finalmente trovarono qualcosa. Un sms in memoria. Con cautela, quasi temendo di poterlo cancellare, il commissario schiacciò il tasto Visualizza del menù. Il messaggio era lì, tutto in stampatello, inviato da un mittente anonimo alle 2 e 43 di quello stesso giorno. - Il mittente è anonimo ma hai visto l’ora Leonardi? Pochi minuti prima che la ragazza si buttasse giù dall’albergo. Leggiamolo, dai. FAI ATTENZIONE I CUSTODI DELLA FEDE SONO SULLE NOSTRE TRACCE PORTA A TERMINE LA TUA MISSIONE E RIFUGIATI IN UN LUOGO SICURO CHE MARIA TI GUIDI E TI AIUTI - Che ne pensa commissario? - Non lo so Leonardi. Verrebbe da pensare a un gruppo di fanatici religiosi, qualcosa a che fare con messe nere e rituali satanici. Il rosario, i Custodi della Fede, il suicidio della ragazza dopo l’omicidio, tutta roba che rimanda a rituali religiosi o pseudo religiosi. Potrebbe essere una storia ancora più brutta di quello che sembrava e, sopratutto, una storia che non è finita con la morte della ragazza. Abbiamo bisogno di informazioni. Un esperto del ramo religioni e affini. Proviamo a cercare in internet qualcuno che possa darci una mano. La ricerca durò una mezz’ora poi, soddisfatti, l’ispettore e il suo capo lanciarono la stampa. - Sembra la persona adatta a darci una mano. Ed è pure qui vicino. Andiamo. Quasi strappando il foglio dalla stampante il commissario Alberti seguito dal suo vice si diresse verso l’uscita. Il foglio che aveva in mano aveva solo poche righe stampate. Prof. RICCARDO TESTORI Docente di Storia delle Religioni Università Cattolica di Roma E verso l’università si mosse l’auto con i due uomini, senza sirena ma a velocità sostenuta. CAPITOLO TERZO Come tutte le università del mondo anche l’università di Roma era affollata di giovani intenti a chiacchierare, ridere, bighellonare nei corridoi e spostarsi nelle varie aule alla ricerca di quella giusta per la loro lezione. Alberti alla vista di tanta bella gioventù ebbe un momento di rimpianto per i begli anni passati della sua giovinezza. Anche per lui gli anni dell’università erano stati un periodo intenso e piacevolissimo, pieno di incontri, amicizie, amori e progetti per il futuro. E adesso gli sembrava così lontano, un mondo totalmente estraneo che non avrebbe mai più ritrovato. Con un sospiro scacciò i pensieri tristi e si riconcentrò sul suo mondo attuale. - Andiamo Leonardi, seguimi. Aveva intravisto tra la fiumana di ragazzi e ragazze che transitavano lì davanti una ragazza in divisa che dentro a un piccolo gabbiotto a vetri cercava di dare informazioni agli studenti sulla dislocazione delle aule e sugli orari dei corsi. Alberti seguito dal suo ispettore si diresse da quella parte. C’era davanti al gabbiotto una piccola fila di studenti in attesa. Il commissario valutò che in pochi minuti sarebbe arrivato il loro turno, decise di poter aspettare. Si mise in fila affiancato dal suo vice, nell’attesa il giovane commissario ebbe modo di valutare con calma la ragazza dietro i vetri e decidere che era un tipo niente male. Bionda, i lunghi capelli legati in una voluminosa coda di cavallo tenuta ferma da un semplice elastico rosso, un piccolo vezzo, un abbinamento non casuale con il colore della divisa che indossava, rossa. Il completo gonna, camicia bianca e corta giacca aperta le donava molto. Il viso era molto carino e anche la divisa non riusciva a nascondere del tutto un corpo snello ma procace nei punti giusti. Davvero una bella ragazza. I pochi minuti di fila passarono velocemente e piacevolmente. La ragazza lavorava di buona lena e sempre sorridente consultando spesso dei fogli che aveva davanti con segnati orari e numeri di aule. Quando furono davanti alla ragazza Alberti vicino mentre le rivolgeva la sua domanda. - la osservò da Buongiorno, senta ho bisogno di rintracciare il Professor Testori, lei può dirmi dove posso trovarlo? Il sorriso che gli rivolse la ragazza non lo lasciò indifferente. Era un sorriso da togliere il fiato e i suoi occhi verde mare non erano da meno. Il giovane commissario ebbe qualche difficoltà a ricordarsi del motivo che l’aveva portato in quel posto. - Un attimo solo, adesso controllo. E che bella voce. - Il professor Riccardo Testori? Sì, proprio lui. Il professore insegna Storia delle Religioni e il suo ufficio è al Dipartimento di Studi Religiosi, al terzo piano. Però, probabilmente in questo momento è in aula. Se aspetta un momento controllo. Per qualche secondo la ragazza fu impegnata a consultare le sue carte mentre Alberti la guardava tranquillo e beato. Facesse pure con comodo a lui non dispiaceva stare lì a guardarla. - Infatti in questo momento sta tenendo una lezione in aula P20, a questo piano, praticamente a pochi metri da qui. La lezione dovrebbe finire tra una mezz’ora magari vi conviene cercarlo direttamente lì. La ragazza nel dare tutte le informazioni li aveva squadrati per bene e doveva aver intuito che non erano studenti. - Scusate ma voi chi siete? Non sembrate due studenti, perché state cercando il professore? Non è che mi fate trovare in un guaio? Stia tranquilla signorina, nessun guaio. Siamo della polizia, ecco guardi. Il commissario mostrò la sua tessera e la ragazza dopo averla guardata gli sorrise di nuovo. - - - Scusi commissario ma sa i professori sono tipi strani, da prendere con le molle, magari ti fanno delle storie incredibili solo perché hai dato il numero di telefono a qualche studente senza prima chiederglielo. Non si preoccupi abbiamo solo bisogno della consulenza del professore, diciamo che dobbiamo chiedergli un favore, saremo gentilissimi e discreti. Stia tranquilla. Bene commissario, adesso sono tranquilla. Guardi l’aula P20 è proprio lì davanti, subito a destra. La troverà senza difficoltà. Arrivederci. Grazie, buona giornata. Il commissario si allontanò con un certo dispiacere dal vetro del gabbiotto non senza essersi girato un paio di volte a guardare la ragazza che nel frattempo era di nuovo presa dal suo lavoro e dalle sue carte. - Carina eh, commissario? E’ un pò che non la vedo uscire con qualcuna. Leonardi sai cosa sono gli affari tuoi? Con chi vuoi che esca, questo lavoro non favorisce certo le relazioni sociali. Inviti a cena una ragazza e devi disdire perchè qualcuno decide di farsi ammazzare o magari c’è qualche rompiballe di ispettore che ti chiama proprio sul più - bello. Lascia stare, un ragazza dovrebbe avere troppa pazienza per sopportare cose del genere. Eppure fino a qualche tempo fa non la vedevo spesso andare a cena da solo. Leonardi? Sì commissario. Siamo qui per lavorare, perciò concentriamoci sul lavoro e cerchiamo questa maledetta aula P20, qua dentro sembra un labirinto. In realtà trovarono l’aula facilmente. Sbirciando da una finestrella della porta videro che l’aula era occupata solo nelle prime file da una ventina di studenti. Il professore in quel momento voltava loro le spalle e stava illustrando il contenuto di una diapositiva proiettata sul muro. - Che facciamo commissario? Aspettiamo fuori? Senti sono stanco e non ho voglia di aspettare qua fuori come un salame. Entriamo dalla porta in fondo, ci mettiamo buoni buoni in ultima fila e aspettiamo che finisca la lezione. Poi chiederemo al professor Testori di dedicarci qualche minuto del suo tempo. Così fecero. Entrati nell’aula si accomodarono proprio in ultima fila. Le luci dell’aula erano spente per permettere una migliore visione delle immagini proiettate dal docente, favoriti dalla penombra del locale e dalla quiete della stanza dove solo la voce del docente rompeva il silenzio i due uomini si concessero qualche minuto di riposo. L’ispettore a braccia conserte cercava di capire di cosa trattasse la lezione in corso mentre i pensieri del commissario erano tornati alla ragazza incontrata all’ingresso. L’ispettore aveva ragione, era troppo tempo che non frequentava una ragazza. Il problema era che il suo lavoro gli piaceva troppo, quando era impegnato in un caso non riusciva a pensare ad altro. Era come una sfida per lui, un rompicapo da risolvere e fino a quando non lo risolveva non riusciva a staccare la mente. E appena risolto uno ne arrivava un’altro, come quest’ultimo appena iniziato. Ci stava pensando da ore ma ancora non riusciva a trovare un qualcosa che tenesse insieme tutti i pezzi del puzzle. Bene magari il professor Testori gli avrebbe dato qualche informazione utile. A un tratto si rese conto che nell’aula qualcuno aveva acceso le luci e che gli studenti stavano uscendo. In fondo all’aula, vicino alla cattedra, l’unica persona rimasta oltre a loro stava infilando alcune carte in una borsa dando loro le spalle. Il professore intento a sistemare le sue carte non li sentì avvicinarsi. - Professore ci scusi, possiamo rubarle qualche minuto? Mi dispiace ragazzi, a parte che oggi non è giorno di ricevimento, ma è proprio una brutta giornata. Ho un consiglio di facoltà tra dieci minuti e poi un colloquio con un tesista. Però vi posso ricevere dopo, qual’é il problema? Il professore aveva risposto alla richiesta del commissario Alberti senza neanche voltarsi ma poi, finito di sistemare le sue carte nella borsa, si era girato dalla parte dei due poliziotti. Ebbe un attimo di esitazione. - Voi però non mi sembrate due studenti? O siete molto fuori corso? La voce era gentile, simpatica e l’anziano professore li guardava incuriosito. Poteva avere circa sessanta anni, piccoli occhiali senza montatura sul naso, occhi vivaci e sorriso aperto. Era di piccola statura, molto magro, e la giacca sportiva sembrava più grande di almeno una taglia. Invece della cravatta portava un colorato papillon, molto colorato, che sarebbe stato ridicolo addosso a chiunque altro ma che lui portava con disinvoltura. Personaggio simpatico, pensò il commissario. Sarebbe stato pronto a scommettere che era amatissimo dai suoi studenti. - Ha ragione professore, non siamo studenti, neanche fuori corso. Siamo della polizia, io sono il commissario Alberti e il mio collega, l’ispettore Leonardi. Felice di conoscervi. Una stretta di mano completò la presentazione. - E per quale motivo la polizia avrebbe bisogno del mio tempo? Diciamo che abbiamo bisogno di informazioni su un argomento che lei magari conosce, però è una faccenda delicata e, se fosse possibile, vorremmo parlarne in un posto più tranquillo. Un attimo di riflessione. - Senta commissario come vi ho già detto adesso proprio non mi è possibile. Però possiamo fare in questo modo. Io penso di sbrigarmi al massimo in un paio d’ore, non di più. Diciamo che adesso sono le dodici, voi potete aspettarmi magari mangiando qualcosa e poi ci vediamo nel mio studio verso le due, due e mezza al massimo. Poi avrò tutto il pomeriggio libero e sarò a vostra disposizione. Che ne dite? I due poliziotti si scambiarono un rapido sguardo d’intesa. - Va benissimo professore, grazie della disponibilità. Faccia pure con comodo, ci ritroviamo nel suo studio verso le due. Va bene commissario, terzo piano, stanza 349. Adesso devo proprio scappare. Mi aspettano. Vi saluto e ci vediamo più tardi. Arrivederci professore. Presa la sua borsa gonfia di carte il professore si avviò a passo svelto verso l’uscita dell’aula. - E adesso che facciamo commissario? Non lo so Leonardi, iniziamo a uscire da quest’aula, si muore di caldo. Nel corridoio decine di studenti stavano uscendo dalle varie aule e si dirigevano a gruppi verso il bar o la mensa universitaria. - Abbiamo due possibilità; seguire il consiglio del professore, mangiare qualcosa con calma qui e poi aspettare l’ora dell’appuntamento oppure tornare in ufficio, magari ci sono novità dalla scientifica, e poi ritornare più tardi dal professore. Che ne dici? Certo l’idea di mangiare alla mensa universitaria non mi entusiasma; ho ricordi drammatici dei miei pranzi da studente. L’ispettore stava per rispondere quando tra la folla di studenti sbucò una divisa rossa e nella divisa la ragazza del banco informazioni. Anche il commissario la notò subito e il suo sguardo fisso sulla ragazza suggerì a Leonardi la soluzione giusta. - - Senta commissario, è inutile fare tutti e due avanti e indietro, io torno in centrale a vedere se ci sono novità mentre lei può restare tranquillamente qui e pranzare con calma. Non penso sia successo qualcosa di particolarmente importante in queste ultime due ore. Che ne dice? Sai che ti dico, ispettore, a volte hai delle idee davvero geniali. Penso che tu abbia ragione, un bel pranzo calmo e tranquillo mi ci vuole. Facciamo come dici tu. Ci vediamo dopo al terzo piano. Il viso del commissario era sorridente e mentre parlava non aveva tolto gli occhi di dosso alla ragazza in divisa. Non sembrava in cerca o in attesa di qualcuno, si stava solo avviando velocemente verso l’uscita. Doveva muoversi se non voleva perderla. - Va bene Leonardi, ci vediamo dopo. Adesso scappo, ho una indagine urgente da seguire. Buona fortuna commissario, e buon appetito. Se ci sono novità importanti chiamami. Stia tranquillo, se ci sono novità la chiamo. L’ispettore seguì con lo sguardo e un sorriso il suo giovane capo che si affrettava verso l’uscita, dietro una divisa rossa e una bella massa di capelli biondi. Un pò di distrazione non gli avrebbe fatto male. Con un ultimo sguardo si avviò anche lui verso un’altra uscita dell’università Intanto il commissario con poche falcate delle sue lunghe gambe aveva quasi raggiunto la ragazza. Era alle sue spalle, a pochi centimetri, indeciso sul da farsi. Magari stava andando a incontrare qualcuno, magari poteva darle fastidio essere fermata per strada da un quasi sconosciuto. La seguì ancora per qualche metro, poi si fece coraggio. - Signorina, signorina mi scusi. L’aveva affiancata per rivolgerle la parola. La ragazza sentendosi chiamare si era voltata e l’aveva guardato con uno sguardo freddo e interrogativo. Ma per fortuna di Alberti subito dopo un sorriso le illuminò il viso. - Ah è lei commissario, stavo già pensando al solito pappagallo di strada. La battuta della ragazza smorzò di molto l’entusiasmo del commissario. Bella figura di merda faccio adesso. Beh se non altro l’aveva riconosciuto. Ed ora che le dico? - Ha bisogno di qualche altra informazione? Veramente sarei fuori servizio ma se posso esserle utile volentieri. Ecco sì, un’altra informazione. Ho trovato il professore ma è impegnato fino alle due, allora mi chiedevo sa lei può indicarmi un posticino tranquillo per mangiare. Sa, le mense universitarie mi hanno lasciato un brutto ricordo. Caspita che bel tentativo di abbordaggio, da manuale. Il manuale del perfetto imbecille. La ragazza lo guardò per un attimo incerta, scrutandolo con attenzione, il sorriso meno spontaneo. Anche il commissario la guardò con attenzione. Da vicino e senza il vetro davanti era ancora più bella. Sostenne il suo sguardo, la guardava e sorrideva. E alla fine anche sul viso di lei il sorriso si aprì di nuovo. - Va bene commissario, le posso dare anche quest’altra informazione. Le piace la pizza? Vado matto per la pizza. È la mia passione. Bene allora è fortunato. Guardi lì davanti. Sulla destra a neanche cento metri c’è una pizzeria che fa una pizza napoletana eccezionale. E’ un pò caruccia per gli studenti perciò a mezzogiorno è anche abbastanza tranquilla ma le assicuro che se le piace la pizza ne vale la pena. Per indicare la strada si era voltata di profilo, aveva un profilo delizioso, nasino piccolo e sotto la coda si intravedeva una peluria bionda che copriva un collo sottile. Invece di seguire il dito che indicava la strada il commissario fissava il viso della ragazza. - Capito tutto commissario? La ragazza lo guardava di nuovo in faccia. - Sì, sì, capito tutto. Cento metri più avanti sulla destra. E come si chiama questa pizzeria? La domanda era solo un tentativo di trattenerla, in realtà l’insegna della pizzeria era già leggibile. - Il Portico, si chiama. Comunque la vede anche da qui. La saluto commissario, e buon appetito. Così dicendo la ragazza si era di nuovo voltata e aveva ripreso a camminare. Per fortuna nella stessa direzione della pizzeria. Il commissario ebbe solo un attimo di esitazione. Come avrebbe detto Leonardi: “una pista si segue quando è calda”. Sopratutto una bella pista come quella. La seguì e la raggiunse subito. - Senta ma a lei non piace la pizza? Sa perché è davvero triste mangiare da solo, non lo sopporto. Anche lei è in pausa pranzo, no? Dovrà pur mangiare qualcosa? O aspetta qualcuno? La ragazza si fermò a guardarlo. Seria. Il commissario sostenne il suo sguardo tranquillo. Quella ragazza gli piaceva davvero molto. Era da molto tempo che non sentiva tanto interesse per una donna. Era bella, è vero, ma non era solo quello. Aveva un viso e uno sguardo che ispiravano simpatia, sapeva sorridere con spontaneità ma anche gelarti con lo sguardo. Sembrava una ragazza forte, capace di affrontare le difficoltà senza farsi sopraffare. Alberti sentiva la sua attrazione crescere sempre di più. Aspettò il risultato dell’esame. - - Va bene commissario, vada per la pizza. Anche a me piace molto la pizza, comunque non sono in pausa pranzo. Io lavoro part-time e a quest’ora ho proprio finito la giornata. Ma il tempo per una pizza ce l’ho. Grazie la ringrazio molto. E’ davvero così deprimente mangiare da soli. Davvero, ha proprio ragione. Ma anche mangiare con uno che ti dà del lei e ti fa sentire una vecchietta non è così piacevole. Piacere, io mi chiamo Anna. La mano stesa davanti a lei era piccola e bianca. Il commissario la strinse nella sua delicatamente. - Ha ragione, anzi hai ragione Anna. Piacere io mi chiamo Alberto. E’ davvero un piacere offrirti una pizza. Ti ho già avvisato che è un pò caruccia? Tranquilla al massimo chiedo un prestito. Andiamo, adesso mi è venuta fame. - Anche a me a dire il vero. Andiamo. Si incamminarono chiacchierando. Pochi passi per arrivare al locale, era effettivamente poco affollato. Si accomodarono a un tranquillo tavolo lontano dall’ingresso e dopo aver ordinato le pizze ripresero a chiacchierare. Furono due ore molto piacevoli per il commissario Alberti. La pizza subito servita era molto buona e in compagnia di Anna si trovò a ridere e scherzare e per quasi due ore dimenticò la ragazza morta e il professore assassinato. E per poco non dimenticò anche l’appuntamento con il professor Testori. Fu Anna a ricordarglielo. - Guarda che sono le due, rischi di fare tardi al tuo appuntamento se non ti muovi. Caspita, hai ragione. Certo che il tempo vola quando la pizza è buona e la compagnia piacevole. Adesso devo andare però... Però cosa? Ecco mi piacerebbe rivederti, con più calma e più tempo. Davvero Anna sono stato benissimo con te, come non mi capitava da molto tempo e vorrei avere la possibilità di conoscerti meglio. Anna si prese un minuto di silenzio. - - Mi dispiace ma non è possibile. Oggi è stato piacevole e ti ringrazio, ho passato due ore serene e mi è piaciuto stare con te ma è il massimo possibile. Per me ora non è possibile. Sei già impegnata? Impegnata, sì, posso dire di essere impegnata. Un’altro uomo? Diciamo di sì. - Va bene, se è così non insisto. Mi dispiace ma non insisto. Ti ringrazio della compagnia, sei stata davvero gentile. E la pizza era davvero buona e il conto neanche troppo caro. Grazie Anna è stato davvero bello. Gli occhi della ragazza lo fissavano, quel verde lo mandava in confusione. Poi con un sospiro lei parlò. - Ascolta Alberto tu mi sei simpatico e ho capito che sei una brava persona perciò voglio essere sincera con te. Ti ho detto che c’è un’altro uomo e adesso voglio fartelo vedere. Così dicendo Anna iniziò a rovistare nella sua borsa e dopo qualche secondo ne tirò fuori il portafoglio. Alberto la guardava stupefatto. Voleva fargli vedere la foto del suo uomo? E perché? Intanto Anna aveva aperto il portafoglio e ne aveva tirato fuori due foto e gliele stava porgendo. Titubante il commissario le prese. Erano le foto di un uomo, un piccolo uomo di circa tre anni. Un bellissimo bambino che lo guardava sorridente seduto su una biciclettina e da un’altra che lo ritraeva in primo piano. Nel primo piano erano evidenti gli stessi occhi della madre. - - Quello è Iacopo, mio figlio. Ha quasi tre anni ed è lui il mio uomo, l’unico uomo della mia vita in questo momento. Allora capisci che con un impegno del genere mi è impossibile avere altri uomini. E il padre? Porgendole le foto il commissario Alberti non riuscì a trattenere la domanda. - - - Il padre non c’è, è stato un errore di gioventù, per lui ma non per me. Era il mio primo ragazzo, il primo amore della mia vita e quando gli ho detto che ero incinta non se l’è sentita. Mi ha chiesto di abortire ma come vedi non l’ho fatto. E ne sono felice. Ho capito. È davvero un bellissimo bambino. E capisco che ti dia parecchio da fare però non capisco perché questo ti impedisce di conoscerci meglio. Troppo complicato. Poco tempo e tante cose da fare. Vivo con mia madre ed è lei che accudisce Iacopo mentre io lavoro e studio, non posso chiederle ancora di più. E poi non sono sicura che un uomo possa accettare la situazione. No troppo complicato. Preferisco di no. Ciao ti saluto. Non mi lasci neanche il numero di cellulare, magari giusto una telefonata. No meglio di no. Ciao. Velocemente Anna si alzò dal tavolo e uscì. Il commissario ancora preso dai suoi pensieri non fece caso all’uomo che si era alzato subito dopo. Poi la sua mente ritornò alla realtà. Porco Giuda, erano le due e un quarto, era in ritardo. Velocemente lasciò il locale anche lui e dopo pochi minuti era al terzo piano dell’università, davanti alla stanza 349. Naturalmente Leonardi era già lì. Il commissario non aveva fatto caso al secondo uomo che aveva seguito lui. - Pranzato bene commissario? Il professore mi ha detto di aspettarlo solo qualche altro minuto. Tutto bene Leonardi, novità in centrale? Nessuna commissario, la scientifica non è ancora riuscita a trovare il modo per leggere i documenti contenuti in quella maledetta penna elettronica e stanno - ancora esaminando l’arma. Secondo il medico legale la forma della ferità è perfettamente compatibile con quella specie di grosso ago. Quindi quella è l’arma del delitto. Bene sembra tutto chiaro allora. La ragazza ha ucciso il Professor Funari e poi si è ammazzata. Ci resta solo da scoprire perché e che fine ha fatto il computer. Proprio in quel momento la porta dello studio si aprì per lasciar passare il professore e un giovane studente. - Va bene allora, mi sembra che stiamo procedendo per il meglio. L’impostazione della tesi mi sembra buona perciò direi che posiamo rivederci tra un paio di settimane. La ringrazio professore, tra un paio di settimane penso di poterle portare già la prima stesura e se per lei va bene vorrei finire per la sessione di Luglio. Penso che non ci saranno problemi, stai tranquillo. Adesso vai che ho fatto aspettare anche troppo questi signori. Sì professore, grazie di nuovo e arrivederci. Dopo aver salutato il suo studente il professore portò la sua attenzione sui due uomini in attesa. - Commissario, ispettore, prego accomodatevi. Scusate l’attesa ma erano davvero impegni che non potevo rimandare. Stia tranquillo professore, anzi, è stato già fin troppo gentile a trovare tempo per noi. Lo studio del professore era una piccola stanza con una scrivania, una poltrona e due sedie. Stracolma di libri. I libri occupavano non solo le librerie che coprivano i muri ma ogni angolo della stanza. Pile di libri erano appoggiati per terra, sulla scrivania e in ogni spazio disponibile, compresa una delle due sedie piazzate di fronte alla scrivania. - Scusate il disordine ma le religioni sono tante e ognuna di loro ha una storia lunghissima e una produzione letteraria infinita. Adesso vi libero anche l’altra sedia. Velocemente il professore liberò anche la seconda sedia appoggiando i libri posati su di esse ad un’altra fila di libri poggiati sul pavimento, in un equilibrio che sembrava abbastanza instabile. - Prego accomodatevi. Lo studioso dopo avere girato attorno ad altri libri prese posto alla poltrona dietro la scrivania sul cui schienale era appesa la giacca che si era tolto. Il papillon colorato risaltava ancora più forte sulla camicia chiara. - Allora ditemi in cosa posso esservi utile. Fu il commissario a parlare. - Vede professore abbiamo bisogno di avere informazioni su quella che potrebbe essere una specie di setta religiosa. Ha mai sentito parlare dei Custodi della Fede? Il viso del professore prese subito un’aria di concentrazione come se stesse cercando di riportare alla memoria tutto quello che sapeva sull’argomento. Pochi secondi. - Certo commissario che non mi aspettavo una domanda del genere. Cosa può mai avere a che fare un gruppo come i Custodi della Fede, sparito da qualche secolo, - - con un caso della polizia. Comunque rispondo alla sua domanda. I Custodi della Fede non erano una setta, assolutamente no. Erano un gruppo organizzato all’interno della chiesa cattolica con compiti particolari. Quali compiti? E’ presto detto ispettore. I Custodi della Fede erano una specie di compagnia di pronto intervento della chiesa, dovunque venissero messi in pericolo gli interessi della chiesa e della religione cattolica venivano mandati i Custodi a proteggere tali interessi. Con ogni mezzo. I Custodi venivano scelti tra i più devoti e fidati membri della chiesa ed erano sottoposti direttamente solo all’autorità del Vaticano. Una volta affidata loro la missione erano liberi di agire come meglio ritenevano opportuno per la difesa dei sacri valori della fede. Per ogni azione commessa nell’ambito del loro incarico e della loro missione ricevevano l’assoluzione plenaria e preventiva dei loro peccati. I membri della compagnia si sentivano investiti direttamente da Dio del compito di difendere i valori più profondi della fede cattolica. Professore lei ne parla al passato, vuole forse dirci che oggi i Custodi della Fede non esistono più? Esatto commissario, la compagnia è stata sciolta più di trecento anni fa. Col tempo si era trasformata in un gruppo di potere al servizio di alte gerarchie ecclesiastiche che li utilizzavano per tutelate interessi poco chiari. La loro religiosità esagerata si era trasformata in fanatismo, tanto pericoloso per la chiesa quanto le eresie che andavano combattendo. I mezzi utilizzati andavano oltre ogni limite con la scusante che tutto era fatto a fin di bene e per la massima gloria della chiesa e della fede. I loro capi e i loro componenti erano diventati incontrollabili e pericolosi per lo stesso - - - - Vaticano. Per questi motivi la compagnia venne eliminata. Quanto tempo fa di preciso? Questa non è una domanda che può avere una risposta precisa, commissario. Lei deve capire che all’interno della Chiesa e del Vaticano ufficialmente i Custodi non sono mai esistiti, quindi, non sono mai stati sciolti con un atto formale. Semplicemente i vecchi membri non sono più stati sostituiti da nuovi adepti, così semplicemente. E in silenzio e nella discrezione più assoluta, come è costume della chiesa e del Vaticano. I segreti della chiesa sono tra i meglio custoditi da molti secoli. Ho capito professore. Da più di trecento anni dice. Esatto commissario, almeno da trecento anni non esistono più i Custodi della Fede. Posso chiederle come mai è interessato a questo argomento? Diciamo che non posso dirglielo, posso solo dirle che potrebbe avere qualche attinenza con un caso che stiamo seguendo. Magari un gruppo di fanatici religiosi, satanisti o qualcosa di simile è venuto a conoscenza di questo gruppo estinto e ha deciso di copiarne il nome, potrebbe anche essere una semplice coincidenza nella scelta del nome da parte di una banda di pazzi furiosi. Non lo sappiamo. Comunque grazie, le sue conoscenze ci sono state molto utili. Adesso abbiamo qualche idea in più di che tipo di soggetti dobbiamo cercare. La ringraziamo di nuovo e la lasciamo al suo lavoro. Le abbiamo già rubato troppo tempo. Prego commissario si figuri. Una volta tanto un assaggio di vita vera mi fa piacere; sono sempre così impegnato con il mio lavoro a studiare il passato che una boccata di presente mi fa piacere. Se avete ancora bisogno non fatevi scrupoli, ormai sapete dove trovarmi. Grazie di nuovo professore, arrivederci. - Arrivederci a voi. I tre uomini si alzarono in piedi e il professore accompagnò i due poliziotti alla porta e dopo essersi stretti la mano i tre si salutarono definitivamente. - - Simpatica persona, vero commissario. Sì davvero simpatico e disponibile. Solo che quello che ci ha detto non ci aiuta molto. Appena torniamo in ufficio fai una ricerca, anche all’Interpol, vedi se ci sono altri casi in cui compaiono questi Custodi. Va bene commissario. Comunque non è stata una giornata persa, qualche informazione l’abbiamo avuta e abbiamo conosciuto due persone simpatiche. Con la voce Leonardi aveva calcato sul due e aveva fatto tornare in mente al suo capo i momenti trascorsi con Anna. Ma anche il definitivo saluto che la ragazza gli aveva fatto. - Non fare lo spiritoso e lasciamo perdere le battute, abbiamo da lavorare. Il tono del commissario consigliò all’ispettore di non aggiungere altro. Si incamminarono verso l’uscita e nessuno dei due fece caso all’uomo che li seguiva da lontano con lo sguardo. Appena li vide uscire l’uomo fece una telefonata. - Sono andati via adesso. Li seguo? No lascia stare, potrebbero insospettirsi. Con chi hanno parlato? Con un certo Professor Testori. Lo studioso di storia delle religioni? Proprio lui. - - - E’ strano, cosa mai possono aver scoperto per andare dal professore? Va bene cercheremo di scoprirlo, qualcosa hanno scoperto e dobbiamo sapere cosa. Non possono essere andati alla cieca a cercare Testori. Dobbiamo essere cauti. E la ragazza? Padre Sebastian l’ha seguita, non abbiamo capito bene se è un’amica del poliziotto che gli ha dato l’indirizzo giusto o se invece è solo una conoscenza occasionale. Certo è strano che si siano incontrati due volte casualmente e poi abbiano pranzato insieme. Scopriremo anche questo; mi raccomando prudenza e discrezione e se avete bisogno di aiuto chiamatemi. In questa città abbiamo tanti amici. Va bene. Il click del telefono interruppe la conversazione. L’uomo che aveva ricevuto la telefonata dall’università si mise a riflettere sulle possibili strade da seguire. Cosa sapevano i poliziotti? Cosa potevano aver scoperto? Come mai erano andati proprio da Testori? Anche quello era uno che ne sapeva troppo, di storie della chiesa. Era da tenere d’occhio anche lui. L’uomo fece parecchie telefonate, contattò molti amici e pose molte domande. E ottenne molte risposte. Alla fine si convinse che c’era solo una strada da prendere. A volte i nemici dei tuoi nemici possono diventare tuoi amici, almeno temporaneamente. Fece un’ultima telefonata. La risposta si fece attendere ma l’uomo non si spazientì. Il numero che aveva chiamato era conosciuto solo da lui e il destinatario sapeva bene che se lo chiamava c’erano motivi urgenti. Avrebbe risposto appena possibile. - Sì. Solo una parola. - Eminenza mi dispiace disturbarla ma ho urgente bisogno del suo consiglio. Va bene, Padre Joseph, stasera alle undici nel mio studio. Lascerò istruzioni precise per farla entrare senza problemi. L’aspetto. Va bene eminenza, ci sarò. Senza altre parole la telefonata venne interrotta. CAPITOLO QUARTO I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso. - - - Padre Joseph è sicuro che sia una buona idea? Sì eminenza, non possiamo fare altrimenti. Roma è una città troppo grande, noi abbiamo tanti amici ma anche loro hanno molte persone amiche che le aiutano. Abbiamo bisogno di aiuto. Mi sono informato, ho contattato tutte le nostre conoscenze e le informazioni che mi hanno dato mi hanno convinto. Quel poliziotto, il commissario Alberti è un uomo molto in gamba. Intelligente, determinato e non molla mai un caso a metà. Un vero mastino. Chi lo conosce lo considera uno dei migliori poliziotti di questa città. E sa già qualcosa. Ha preso contatti con una persona che neanche dovrebbe conoscere, una persona che possiede informazioni per noi pericolose. E chi sarebbe questa persona? Il professor Testori. Lo studioso, lo storico delle religioni? Proprio lui. Lo conosce? Di fama. E lei mi dice che quel commissario ha parlato con lui? Sì eminenza, un lungo colloquio. Capisco. Così seguendo la mia idea otteniamo due risultati favorevoli; otteniamo l’aiuto della polizia e possiamo nello stesso tempo tenere sotto controllo i loro progressi. Io lo ritengo necessario. Va bene padre, l’autorizzo a procedere. Mi raccomando la massima cautela, per ottenere quello che mi chiede dovrò scomodare amicizie molto in alto e in questo modo mi espongo e espongo tutta la chiesa direttamente. Stia attento a come si muove, agisca solo per il meglio e con la massima discrezione possibile. Siamo intesi? - Non dubiti eminenza, lei sa che le nostre azioni sono guidate da sempre dal bene della chiesa. Va bene, adesso vada, devo fare qualche telefonata e muovere qualche pedina. Ma stia tranquillo entro domani avrà quello che mi ha chiesto. La ringrazio eminenza, la saluto e le auguro una buona notte. Arrivederci padre. Che Dio l’accompagni. Appena uscito Padre Joseph dalla porta dello studio il cardinal Ravasi chiamò il suo segretario. - Padre Michele mi chiami il ministro, devo parlare con lui immediatamente. Dopo pochi minuti il ministro in persona era al telefono con sua eccellenza Cardinal Ravasi. Nello stesso momento, su un volo proveniente da New York, l’agente speciale del FBI Foster stava ammirando le luci di Roma. Il viaggio era stato lungo e non era stato facile convincere il suo Direttore della necessità di quel viaggio in Italia, ma alla fine l’aveva spuntata. Per qualche minuto la sua attenzione venne catturata dalla bellezza di Roma, immersa nelle sue luci che lasciavano intravedere tutte le mille meraviglie della città eterna. Poi la voce del comandante che invitava i passeggeri a prepararsi all’atterraggio la distolse dal panorama. Prima di allacciare la cintura si premurò di infilare nella borsa il foglio di carta che teneva aperto sulle ginocchia. L’aveva letto e riletto anche se sul foglio erano segnati solo alcuni nomi, cinque nomi, il primo dei quali sottolineato con una linea rossa era quello del professor Funari. Il commissario Alberti ricevette la telefonata il mattino dopo. Erano circa le undici, era nel suo ufficio a leggere i rapporti della scientifica sul caso Funari. Poco d’interessante. Era certo che il professore era stato ucciso dal grosso ago trovato nella borsa della ragazza, il software del cellulare non aveva rivelato nulla d’interessante. La scientifica era riuscita ad aprire i file contenuti nella pen drive, aggirando la password, ma avevano trovato centinaia di pagine di relazioni professionali scritte dallo psichiatra che adesso stavano esaminando. Ci sarebbe voluto tempo, molto tempo, per riuscire a capire se in tutte quelle pagine si nascondeva qualcosa di utile a chiarire il mistero di quelle due morti. Il portatile del professore non era stato ritrovato e la telefonata al pronto soccorso ambulanze era stata fatta da una persona anonima. Nessun indizio utile a capire. Lo squillo del telefono sulla scrivania lo sorprese immerso nei suoi pensieri. - Pronto. Commissario Alberti? Sì sono io, lei chi è? Commissario buongiorno, sono Marini del Viminale. Alberti era sorpreso. Una telefonata dal ministero non era cosa di tutti i giorni. - Buongiorno Marini, mi dica in cosa posso esserle utile? Commissario il sottosegretario Carli avrebbe bisogno di vederla prima possibile, direi subito, per parlarle di persona di una faccenda particolarmente delicata. Le sarei grato se potesse venire immediatamente qui da noi. La sorpresa aumentò; cosa mai poteva avere da dirgli di così delicato il vice del ministro da volergli parlare di persona? C’era solo un modo per saperlo, del resto non poteva certo rifiutare un “invito” così importante. - Va bene Marini posso essere lì in una mezz’ora. Benissimo commissario, l’aspetterò all’ingresso in modo da evitarle tutte le scocciature di riconoscimento e registrazione. Arrivederci a tra poco. Doveva essere una faccenda molto delicata e segreta se si stavano preoccupando di non far neanche risultare la sua visita. Bene, pensò il commissario, adesso mi hanno incuriosito abbastanza, andiamo a sentire cosa hanno da dirmi. Uscendo dalla porta quasi si scontrò con Leonardi. - Commissario ... Lascia perdere, vieni con me. Accompagnami. Dove andiamo? Al Ministero, al Viminale. E a fare cosa? Tu vieni solo a tenermi compagnia in macchina, io vado a parlare con il sottosegretario Carli. Il vice del ministro. Leonardi fece una faccia a metà tra il sorpreso e il preoccupato. - Cos’ha combinato commissario? Spero niente, il tono non sembrava minaccioso, anzi, fin troppo gentile. E questo mi puzza, insieme al fatto che non vogliono far sapere che vado lì. Allora sbrighiamoci commissario, adesso sono proprio curioso di sapere cosa le diranno. Erano intanto arrivati al cortile ed erano saliti in macchina. - Sirena commissario? Meglio di no, discrezione Leonardi, impara. Se vuoi fare carriera ci vuole discrezione. Vai. Arrivarono al Viminale in venti minuti. Leonardi parcheggiò l’auto a poca distanza dall’ingresso. - Buona fortuna commissario. A dopo Leonardi, se non mi vedi tornare avvisa la polizia. All’ingresso dell’imponente edificio Alberti individuò subito quello che doveva essere Marini. Immobile in un impeccabile abito blu l’uomo lo aspettava in cima alla scalinata d’ingresso. Quarant’anni circa, stempiato e pallido, aspetto tipico di chi passa troppe ore in ufficio. Alberti si avvicinò. - Marini? Sì sono io, commissario. Prego mi segua, passiamo da un ingresso secondario così evitiamo i fastidi burocratici. Velocemente il funzionario si avviò seguito da Alberti. Varcarono una piccola porta laterale, sorvegliata da un agente in borghese che li fece passare senza fare domande e senza chiedere documenti, con un saluto appena accennato rivolto più a Marini che al commissario. Evidentemente gli erano state date istruzioni in precedenza. Poi Marini fece strada ad Alberti fino al primo piano del palazzo fermandosi improvvisamente davanti a una solida porta di legno scuro. - Il sottosegretario l’aspetta. Prego si accomodi. Marini dopo un leggero bussare alla porta la aprì per poi farsi da parte per far entrare il commissario, chiudendo subito la porta alle spalle dell’ospite. La stanza era molto spaziosa, arredata con bellissimi mobili d’epoca e illuminata dalla luce del giorno che entrava da due altissime finestre poste alle spalle dell’uomo, seduto su una modernissima poltrona di pelle, oggetto certamente in contrasto con lo stile degli altri mobili presenti nella stanza ma, sicuramente, comodissima. - Buongiorno commissario, si accomodi. Il senatore Carli si era alzato cortesemente in piedi per stringere la mano al commissario e indicargli una sedia. Il tono era cortese e amichevole. Il commissario si accomodò. - Bene commissario vengo subito al dunque. L’ho chiamata per il caso che sta seguendo; l’omicidio del professor Funari. Mi è pervenuta una richiesta precisa da un’alta personalità ecclesiastica che mi ha pregato di permettere a un uomo di sua assoluta fiducia di seguire da vicino gli sviluppi della vicenda, collaborando con lei. Il cardinale, di cui non le faccio il nome, ma che, le ripeto, è molto vicino alla segreteria del Santo Padre, ritiene che questo suo collaboratore possa aiutarla moltissimo nelle indagini in quanto in possesso di informazioni riservate, utilissime per le indagini stesse. Non mi dilungo oltre e non conosco i particolari; il mio segretario Marini le presenterà subito dopo questo nostro colloquio, che naturalmente resta riservato, il sacerdote in questione. Io ho voluto incontrarla di persona solo per farle capire quanto sia importante che lei offra tutta la collaborazione possibile. E’ una questione molto delicata che è stata direttamente sollecitata al ministro e alla quale il ministro tiene, personalmente, tantissimo. Sono stato chiaro commissario? Questa volta la voce del sottosegretario, seppure ancora cortese, aveva assunto l’inflessione tipica dell’uomo di potere che vuole far capire che, anche se mascherate sotto forma di educata richiesta, in realtà le parole pronunciate erano un esplicito ordine. Il commissario era assolutamente sorpreso. Quello che già era uno strano caso si stava rivelando ancora più ingarbugliato. - Chiarissimo onorevole. Stia tranquillo che offrirò alla persona in questione tutta la collaborazione possibile, nei limiti delle mie possibilità e certamente senza rischiare di compromettere le indagini. Lei capisce che è pur sempre un caso di omicidio. Il sottosegretario stava quasi per replicare alle ultime parole ma il viso impassibile di Alberti lo dissuase. - Bene commissario, sono sicuro che saprà agire nel miglior modo possibile. La saluto. Dopo pochi secondi come richiamato da un segnale silenzioso Marini era alla porta aperta in attesa del commissario. Il senatore salutò il commissario solo con un gesto della mano e senza alzarsi in piedi questa volta. Alberti era già sulla soglia quando il senatore pensò bene di aggiungere una frase di commiato. - Mi raccomando commissario, non ci deluda. Alberti uscì senza rispondere. Preceduto da Marini raggiunse l’altro lato del piano dove fu introdotto in un piccolo salotto arredato solo da due alte sedie e un tavolino di legno. Aperta la porta Marini salutò il commissario e lo lasciò entrare solo nella stanza. L’uomo che lo aspettava in piedi indossava un elegante e severo abito grigio scuro, una camicia di un grigio appena più chiaro e solo lo stretto collare bianco al collo fece capire al commissario che era un sacerdote. Era alto e ben piazzato, capelli corti e barba ben curata a incorniciargli il viso. Era giovane, non più di trent’anni, anche se la barba e i capelli mostravano già alcune spruzzate di bianco. I due uomini si guardarono in silenzio per qualche secondo. Fu il sacerdote a prendere l’iniziativa. - Commissario è un piacere conoscerla. Mi hanno parlato molto bene di lei. Bene pensò piuttosto contrariato Alberti, hanno preso informazioni su di me. - - Permette che mi presenti. Sono Padre Joseph Kolzer, sono un collaboratore di sua eccellenza Cardinal Ravasi che è uno dei più stretti collaboratori del Santo Padre. Padre Joseph mi hanno già spiegato che un pezzo grosso del Vaticano è interessato a questo caso e che lei è un suo uomo di fiducia. Commissario la prego non si irriti; non era mia intenzione impressionarla o intimorirla, volevo solo farle capire quanto fosse alto l’interesse della chiesa per questa spiacevole faccenda. E perché vi interessa? Un attimo di imbarazzo. - - Diciamo che ci interessa per due motivi, collegati l’uno all’altro. Il primo è che possiamo fornirle informazioni molto utili per capire e, sopratutto, per evitare altre morti. Altri omicidi? E il secondo? Il secondo motivo è che la chiesa si sente in qualche modo responsabile di quello che è successo. Responsabile? In che senso? Ecco posso dire che forse non siamo stati buoni custodi del nostro gregge, alcune pecorelle ci sono sfuggite di mano. Beh persone che vanno in giro ad ammazzare la gente non le chiamerei proprio pecorelle. Perché non mi racconta quello che sa? Volentieri commissario, però è una storia piuttosto lunga e direi che è meglio raccontarla in un posto più tranquillo e con più tempo a disposizione. Forse ha ragione e, se come dice, la sua storia ha a che fare con la morte di Funari è meglio che la racconti alla presenza anche del mio vice. Se a lei va bene possiamo andare nel mio ufficio e metterci comodi e tranquilli? Come vuole lei commissario; da questo momento io sono pronto a seguirla dovunque. Bene allora andiamo, Leonardi ha già aspettato troppo. Fuori della stanza il prete e il poliziotto trovarono ad attenderli paziente il buon Marini che li accompagnò alla stessa uscita laterale dove si congedò da loro. I due uomini attraversarono la strada per dirigersi verso la macchina dove l’ispettore attendeva il suo superiore. Alla vista del sacerdote Leonardi lanciò uno sguardo interrogativo al suo capo. - E questo chi è? - Leonardi ti presento Padre Joseph, ha notizie importanti da darci e seguirà le indagini con noi. Padre Joseph le presento il mio vice, l’ispettore Leonardi; magari, ha sentito parlare anche di lui? L’ironia nella voce del poliziotto non scalfì in nessun modo la calma del prete. - Certamente commissario, anche dell’ispettore ci hanno parlato molto bene. Piacere di conoscerla ispettore. I due uomini si strinsero la mano con freddezza. L’ispettore si mise alla guida e si guardò bene dal fare altre domande, aveva capito che il commissario era parecchio nervoso. Anche per questo gli diede l’altra notizia quando erano già quasi arrivati. - Ah commissario mi hanno avvisato che in centrale c’è una persona che l’aspetta. Una ragazza. E chi l’ha mandata? De Cicco mi ha detto che l’ha mandata il questore in persona. Il questore? Cazzo oggi è proprio la giornata dei pezzi grossi. Poi ricordandosi della presenza del sacerdote. - Scusi padre ma quando ci vuole ci vuole. Non si preoccupi commissario, anche se sono un prete non vivo fuori dal mondo e capisco benissimo le sue ragioni. Le assicuro che anche io ho dei superiori a che anche io obbedisco a volte con una certa tristezza nel cuore. Ma lo spirito di sacrificio fa parte della vita. Nessuno dei tre parlò più fino all’arrivo in centrale. Parcheggiata l’auto lo strano trio si incamminò verso l’ufficio del commissario. All’ingresso il piantone con uno strano sorriso si incaricò di informare il commissario. - Commissario nel suo ufficio c’è una ragazza che l’aspetta. L’ha mandata il questore, forse un regalo. In quel momento lo spirito dell’agente innervosì ancora di più Alberti. - Malinverni non hai niente di meglio da fare che dire battute idiote? Scusi commissario. La faccia contrita dell’agente calmò il commissario. Malinverni era un ottimo agente e non meritava di scontare il suo nervoso. - Lascia perdere Malinverni. Sono io troppo nervoso. Com’è questa ragazza? La domanda fece illuminare il viso dell’agente. - Una fata, commissario. Una vera bellezza. Quando è arrivata c’è stata un’agitazione che sembrava festa nazionale. Ma la ragazza è davvero speciale. Vada commissario, vada a vedere. Incuriosito il commissario si diresse verso il suo ufficio seguito dagli altri due. Malinverni non era il tipo facile agli entusiasmi e se si era scaldato tanto la ragazza doveva davvero meritare. Per un attimo un pensiero assurdo sfiorò la mente del commissario; magari era Anna. Ma naturalmente non era Anna. La ragazza che l’aspettava in ufficio e che si era subito alzata in piedi al loro arrivo era veramente spettacolare. Con i tacchi era alta quasi come il commissario, che era alto un metro e ottantacinque buoni, un fisico esplosivo, statuario, con curve mozzafiato, appena dissimulato dall’elegante e casto completo giacca e pantaloni indossato. Capelli biondissimi e labbra carnose. Una barbie gigante, non giovanissima, sui trenta, una bellezza da togliere il fiato. Per un attimo i tre uomini stettero imbambolati a fissare la donna. Poi Alberti ritrovò la voce. - E lei chi è? La voce piena e profonda della barbie rispose pronta alla domanda. - Sono l’agente speciale Foster, della sezione FBI di New York. Lei sarebbe un agente del FBI? La voce di Leonardi esprimeva tutta la sua sorpresa e molti dubbi. Ma l’agente speciale Foster gli rispose a tono. - La prego di voler mettere da parte dubbi e sorrisetti ironici. Ci ho messo molto tempo e ho sprecato molte energie per farmi accettare nonostante il mio aspetto e le assicuro che ho lavorato molto e duramente per diventare un agente del FBI. E vorrei essere valutata per le mie capacità e non essere subito catalogata come una stupida bambolona. La risposta secca della ragazza lasciò senza parole Leonardi spegnendogli immediatamente il sorriso ironico già presente sulle labbra. Ma la ragazza non era ancora soddisfatta. - Del resto anche lei potrebbe essere scambiato, a prima vista, per un muscoloso gorilla tutto muscoli e poco cervello. Leonardi andò al tappeto, un colpo da KO. - Mi scusi agente, non volevo offenderla. Mai Alberti aveva sentito il suo vice parlare a voce così bassa e insicura. La ragazza era un osso duro. - Bene che ne dite di porre fine alle ostilità? Agente Foster direi che è meglio terminare le presentazioni, così poi potrà spiegarci il motivo della sua presenza in Italia. Io sono il commissario Alberti, l’uomo che ha così brillantemente buttato nell’imbarazzo più completo è il mio vice, ispettore Leonardi e il sacerdote fermo sulla porta a decidere se lei è reale o una visione è Padre Joseph, un nostro consulente. Diciamo. La ragazza, già perfettamente calma, si avvicinò all’ispettore e gli strinse la mano con un sorriso. - Mi scusi ispettore, sono troppo sensibile su certi argomenti. Dimentichiamo tutto e cerchiamo di diventare amici; piacere Caterina Foster. Poi l’agente speciale andò a stringere la mano a Padre Joseph e infine si voltò verso il commissario e gli strinse la mano. - Caterina? Italiana? Ho sentito che parla bene la nostra lingua. - Solo di origine. Mia nonna era italiana e da lei ho preso il nome e ho imparato la lingua. Le dispiace se ci diamo del tu? Figurati è un vero piacere. Io mi chiamo Alberto. E io Dario. L’ispettore aveva ritrovato parte della sua sicurezza. - - Caterina ti chiedo scusa per prima, non volevo offenderti in nessun modo, sono solo rimasto sorpreso di trovare un agente del FBI ad aspettarci. Un agente speciale devo dire. OK Dario, mettiamoci una pietra sopra. Bene adesso che avete fatto la pace possiamo sapere il motivo della tua presenza qui in Italia. Certo se ci accomodiamo ve lo spiego subito. Fu l’ispettore a procurare le due sedie mancanti e appena tutti si furono accomodati la ragazza iniziò a parlare. - - Tre giorni fa abbiamo trovato morto nel suo studio il Dr. Russell. George Russel era uno degli psichiatri più noti degli Stati Uniti. E’ stato trovato morto dalla donna delle pulizie, pugnalato con un oggetto molto sottile e il suo studio è stato messo sottosopra alla ricerca di qualcosa. Una rapina. La domanda di Leonardi era retorica. - - No sicuramente no, C’erano oggetti di valore e soldi che non sono stati portati via, siamo convinti che l’assassina cercasse qualcosa tra le carte personali del dottor Russell. E probabilmente ha trovato quello che cercava. Perchè hai detto assassina? La domanda questa volta era stata fatta da Alberti. - - Dalle nostre indagini risulta quasi certo che ad ucciderlo è stata una donna. Una donna che si era finta la sostituta della sua segretaria che era rimasta a casa per malattia. Solo che l’agenzia che si occupa di queste cose dice di non saperne nulla. E com’è questa donna? Una bella ragazza giovane e bruna? L’idea di Alberti venne subito affossata. - - No. La donna che ci hanno descritto ha circa quarantacinque anni, piuttosto robusta, capelli bianchi e grossi occhiali da vista. Una tranquilla signora di mezza età. Ho capito. Ma perché sei venuta a cercarla a Roma? Per questo. La ragazza tirò fuori dalla borsa un foglio porgendolo al commissario. Sul foglio c’erano segnati cinque nomi e il primo nome fece sobbalzare il capo della omicidi sulla sedia. Walter Funari. Il nome era sottolineato in rosso. - Dove hai trovato questo foglio? E chi ha sottolineato il nome? Il foglio l’ho scritto io. Tra gli appunti del professore ce n’era uno che riguardava un suo prossimo viaggio qui a Roma per partecipare a un congresso internazionale che inizierà nei prossimi giorni e nello stesso appunto aveva annotato la necessità di parlare con alcuni colleghi per decidere cosa fare. - Cosa fare rispetto a cosa? Non lo so. Quello che so è che quando ho iniziato a indagare ho scoperto che le persone in questione in questi giorni sono tutti a Roma, tutti per partecipare a un congresso. E quando ho saputo che il professor Funari era stato ucciso con modalità molto simili al Dr. Russell ho convinto il mio capo a mandarmi a Roma. Sono convinta che l’assassina è qui a Roma e sono anche convinta che quegli uomini sono tutti in pericolo. Per qualche secondo nella stanza calò il silenzio. - - Come hai saputo della morte di Funari e delle modalità della sua uccisione? Ho letto la vostra richiesta inviata all’Interpol e mi sono informata di persona telefonando ad alcune nostre fonti qui sul posto. Ho capito. Sì penso di doverti dare ragione. Le coincidenze sono troppe e le modalità troppo simili. L’unica traccia in più che abbiamo noi è l’arma del delitto. L’abbiamo trovata nella borsa dell’assassina. Nel nostro caso non è sparita, si è suicidata subito dopo. Suicidata? La voce della ragazza era molto sorpresa. - - Sì, all’inizio è sembrato strano anche a noi ma non sembrano esserci troppi dubbi. Ho capito. Adesso cosa facciamo? Dobbiamo cercare di capire perché due assassine a migliaia di chilometri l’una dall’altra hanno deciso di uccidere due illustri clinici. E cosa collegava Funari a Russell. Se permette questo posso dirglielo io commissario. Fu la voce di Padre Joseph, che aveva ascoltato concentrato e in silenzio tutto il racconto, a sorprendere questa volta i presenti. - Lei padre? Sì commissario, posso io chiarirle molti dubbi. Però vi avverto, è una storia lunga e per farvi capire bene devo risalire a un fatto molto lontano nel tempo. Cosa sapete di Fatima e dei suoi segreti? Lo sguardo perplesso degli altri tre fece capire al sacerdote che era necessario partire dall’inizio. - Va bene, concedetemi qualche minuto del vostro tempo e della vostra attenzione. Cercherò di essere il più breve possibile ma la storia parte da lontano e gli avvenimenti da raccontare sono tanti. Abbiate pazienza. Vi assicuro che ne vale la pena. CAPITOLO QUINTO Il racconto di Padre Joseph - Il 13 Maggio 1917 in una località vicino alla cittadina di Fatima la Madonna appare per la prima volta a tre bambini, tre pastorelli; i fratellini Francisco Marto e Giacinta Marto di nove e sette anni e la loro cugina Lucia dos Santos di dieci anni. Dopo questa prima apparizione la Beata Vergine compare ai tre bambini altre cinque volte, una volta per ogni mese successivo, sempre il tredici di ogni mese, tranne quella - - di Agosto spostata di qualche giorno perchè i tre bambini non poterono presentarsi all’appuntamento perchè rinchiusi in prigione. Le apparizioni furono accompagnate da rivelazioni su eventi futuri e da manifestazioni miracolose. La vera e propria profezia di Fatima fu rivelata durante l’apparizione del tredici Luglio. Il terzo segreto di Fatima? Esatto commissario, anche se in realtà le rivelazioni sono contenute in un solo documento diviso in tre parti rese pubbliche in momenti diversi, così come richiesto espressamente dalla Madonna. Ma se permette di questo parliamo dopo. I due fratellini morirono in tenera età mentre la loro cuginetta Lucia dos Santos divenne suora carmelitana pubblicando le sue memorie. Nel 1941 la pastorella ormai diventata Suor Lucia scrisse un resoconto delle apparizioni spiegando che il segreto svelatole nell’apparizione del 13 luglio era composto di tre parti, la terza delle quali non poteva essere ancora svelata. Le prime due parti del segreto furono rese pubbliche nel 1942 dal Santo Padre, in occasione della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria. La terza parte venne scritta da Suor Lucia il 3 gennaio 1944 e affidata al Vescovo di Leiria che la consegnò a Papa Pio XII. Il terzo segreto, su indicazione della stessa Suor Lucia, doveva essere rivelato al mondo dopo il 1960, ma Papa Giovanni XXIII, in carica in quel periodo, non ritenne opportuno pubblicarlo e la stessa opinione ebbero i suoi successori. Fu solo Giovanni Paolo II che, con una decisione improvvisa, annunciò il 13 maggio 2000, in occasione della beatificazione dei due fratellini di Fatima, - - Giacinta e Francisco Marto, di aver incaricato la Congregazione della Dottrina della Fede di tradurre, interpretare e divulgare la parte della profezia nota come il Terzo segreto di Fatima. La terza parte venne subito messa in relazione con l’attentato subito proprio da papa Giovanni Paolo II, avvenuto il 13 Maggio 1981, in Piazza San Pietro. Suor Lucia è morta il giorno 13 febbraio 2005, poche settimane dopo la morte del papa. Vi prego di notare come il numero 13 ricorra frequentemente in tutti questi eventi straordinari. Anche questo avrà una sua importanza. Padre, questa storia è molto affascinante ma cosa c’entra il Terzo segreto di Fatima con la nostra storia? Se mi concede qualche altro minuto ispettore glielo spiego. E per farvi capire meglio vorrei farvi leggere il testo della profezia completa di Fatima. Purtroppo ne ho una sola copia, è possibile fotocopiarla. Ci penso io. Preso in consegna i fogli che Padre Joseph gli porgeva l’ispettore si incaricò di fotocopiarli, una copia per ognuno di loro. Poi riconsegnato l’originale al sacerdote passò a distribuire le copie al commissario e all’agente Foster. Per qualche minuto i tre furono impegnati a leggere e cercare di interpretare il documento. IL SEGRETO DI FATIMA PRIMA PARTE: "La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime, come fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell'incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi, senza peso nè equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e riluttanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa di portarci in Cielo (nella prima apparizione), altrimenti credo che saremmo morti di spavento e di terrore". SECONDA PARTE: "Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione del Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire (si tratta della Prima Guerra Mondiale 1914-1918); ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta (Lucia ritenne che la "straordinaria" aurora boreale nella notte del 25 gennaio 1938 era il segno di Dio per l'inizio della guerra), sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per impedirla, verrà a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati (questa promessa di tornare si è avverata il 10 dicembre 1925, quando la Madonna apparve a Lucia a Pontevedra, in Spagna). Se accetteranno le Mie chieste, la Russia si convertirà e avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al Mondo un periodo di pace (questa promessa è incondizionata. Di certo si compirà. Siamo noi che non conosciamo il giorno in cui questo avverrà)". TERZA PARTE: Ecco il testo integrale del terzo segreto di Fatima, così come riportato nelle lettera in cui suor Lucia rivela il messaggio della Madonna di Fatima del 13 luglio 1917. "Scrivo in atto di obbedienza a voi mio Dio, che me lo comandate per mezzo di sua Eccellenza Reverendissima il signor Vescovo di Leiria e della Vostra e Mia Santissima Madre. Dopo le due parti che ho già esposto, abbiamo visto a lato sinistro di nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembra dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza. E vedemmo in una luce immensa che è Dio: 'Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti' un Vescovo vestito di Bianco 'abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre'. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire su una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregare per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi d'arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio". Mio caro Padre non è che ci capiamo molto. Lei ha perfettamente ragione commissario; del resto il Segreto di Fatima è stato uno degli enigmi più chiacchierati dell’intero secolo scorso. Per molti anni si è chiacchierato di un annuncio catastrofico contenuto nella sua terza parte e anche dopo la sua divulgazione e la sua interpretazione ufficiale, che fu curata anche dall’allora Cardinal Ratzinger, le illazioni più fantasiose non sono mancate. Gruppi di mistici esaltati e pazzoidi di ogni tipo ne hanno dato le versioni più diverse e inverosimili, mettendo in dubbio l’autenticità dello stesso documento o della sua spiegazione. E qual’é invece la versione ufficiale della chiesa? La domanda era stata fatta dall’agente del FBI. - E’ presto detto. La prima e la seconda parte del segreto riguardano la spaventosa visione dell’inferno che viene mostrato allo sguardo degli uomini, la necessità di rivolgersi con profonda devozione al Cuore Immacolato di Maria per evitarlo, la previsione della seconda guerra mondiale e, infine, la previsione dei danni immensi che la Russia, allontanandosi dalla fede cristiana e aderendo al totalitarismo comunista, avrebbe recato all’umanità. Secondo alcuni vi era anche indicato lo sterminio degli ebrei durante il nazismo. Eventi ormai accaduti e lontani. La terza parte nel passo concernente il Vescovo vestito di bianco fu subito letta come l’annuncio dell’attentato subito da Giovanni Paolo II. Fu la mano materna a evitare che la pallottola avesse effetti mortali e l’intervento di Maria fermò il Papa agonizzante sulla soglia della morte. Per questo motivo in più occasioni Giovanni Paolo II consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria mettendo sotto la materna protezione l’intero genere umano per liberarlo dalla guerra nucleare, dai peccati, dall’odio e da ogni genere di ingiustizia. Su stessa indicazione di Suor Lucia si capisce che la terza parte del segreto, nella parte riguardante la Russia, ha un valore simbolico di avvertimento e di monito. La conversione della Russia per evitare altre guerre e incamminarci sul cammino della pace della giustizia. La forza divina che si è frapposta tra noi e l’Apocalisse è stata la Madre di Dio, in tutto il suo amore e il suo splendore. Il futuro non era scritto, la profezia era solo un avvertimento, l’uomo ha potuto cambiare il suo destino mobilitandosi nel bene. Questo era il senso premonitrice del segreto di Fatima. Ma ormai sono vicende passate e non apocalittiche previsioni sul nostro futuro. Per questo Maria nella sua saggezza divina le ha tenute nascoste, per permettere all’uomo in piena libertà, di cambiare il suo destino. Infatti una delle frasi cardine della profezia: “il Mio Cuore Immacolato Trionferà” significa che la parola di Maria ha cambiato la storia del mondo. Questa è l’unica versione accettata dalla Santa Madre Chiesa ed è l’unica verità possibile. Dopo questa lunga e appassionata dissertazione Padre Joseph fu costretto a prendere fiato. Le altre persona presenti nella stanza gli permisero un paio di minuti di riposo. Poi la curiosità ebbe la meglio. - Mi scusi di nuovo padre, ma ancora non capisco cosa c’entra tutto questo con omicidi di psichiatri e suicidi di giovani ragazze. Vero commissario ma adesso le spiego. - - - La versione ufficiale del segreto di Fatima è quella che vi ho, in sintesi, appena raccontato, ma esistono persone convinte che la verità contenuta nella profezia sia un’altra. Queste persone sono convinte che il terzo segreto, vero, non sia quello contenuto nella lettera divulgata dalla chiesa. Per loro la lettera è falsa o almeno parziale, contestano il fatto che la grafia della terza parte non è uguale a quella delle prime e, secondo loro, la verità è un’altra. Quale per la precisione? Secondo queste persone la profezia annuncia avvenimenti futuri, una visione di quello che potrebbe succedere al mondo se non ci sarà una profonda trasformazione nelle strutture di potere del mondo e della stessa chiesa. La profezia annuncia la caduta della vecchia chiesa basata sul potere degli uomini per permettere la nascita di una chiesa nuova, più aperta al femminile e guidata dallo spirito santo e dalla Vergine Maria tramite una sua rappresentante in terra. L’unico modo, dopo il fallimento di questa chiesa troppo centrata sugli uomini, per permettere la nascita di un vero Regno di amore e pace. La mano di Maria sarebbe intervenuta a salvare il Santo Padre solo perché lui, riconoscente, iniziasse una decisa opera di riequilibrio di potere all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, con una forte presenza femminile e la revisione di regole ormai arcaiche sulla nomina di cardinali e dello stesso Papa. Queste persone non sono rimaste contente del solo affidamento simbolico alla Beata Vergine, loro vogliono il potere effettivo. Un movimento femminista eretico all’interno della chiesa? Una definizione spiritosa ma molto vicina alla realtà Femministe, eretiche e pronte a tutto. - - E voi sapete chi sono queste pecorelle, padre. E perché siete sicuri che da una protesta politico religiosa sono passate agli omicidi? Lo sappiamo commissario, purtroppo lo sappiamo. Adesso le spiego. Negli ultimi anni della sua vita, nel Convento di Coimbra, Suor Lucia ha attratto un gruppo di giovani suore la cui fede e vocazione era, evidentemente, molto debole. Dalle parole di Suor Lucia e dai suoi scritti queste sciagurate sorelle hanno tratto la convinzione che la profezia di Fatima non dovesse avere valore solo simbolico ma un effettivo valore di indirizzo dell’azione della chiesa. Secondo questo gruppo di esaltate sorelle la Beata Vergine con le sue parole aveva indicato la necessità di una più forte presenza femminile all’interno del Vaticano, nei luoghi che contano. Solo le donne potevano salvare il mondo in corsa verso l’autodistruzione e il primo luogo da conquistare al potere femminile era proprio il Vaticano. Poi il resto dei luoghi di potere. Una visione esaltata e estremista del femminismo, come dice lei. E voi cosa avete fatto? Alla morte di Suor Lucia le abbiamo divise, lontane l’una dall’altra, in conventi sperduti nelle varie parti del mondo. Ma è stato uno sbaglio. Divise hanno iniziato la loro opera di proselitismo, molto presto hanno convinto e portato sulle loro posizioni moltissime sorelle, un vero e proprio movimento. Sono iniziate le proteste e le richieste. Quando ci siamo resi conto dell’errore abbiamo cercato di rimediare, le abbiamo isolate in conventi diretti da persone di nostra assoluta fiducia. Ma non è bastato, ormai il veleno delle loro tesi eretiche si stava espandendo velocemente. Pensi che siamo stati costretti a sostituire alcune delle badanti del Santo Padre, per precauzione ma siamo stati costretti. Le loro parole hanno - - fatto tanto più breccia nei fragili cuori delle nostre consorelle perché accompagnate dalla lettura di quello che loro dicono essere il vero testo del Terzo Segreto vergato dalla mano di Suor Lucia. Una specie di testamento spirituale olografo. Custodito dalla loro Maestra, così lo chiamano. E cosa avete fatto? Un’altro errore, purtroppo, devo dire con il senno di poi. Abbiamo pensato di combatterle usando anche noi un metodo moderno; abbiamo chiesto la consulenza e l’aiuto di sei luminari delle malattie mentali, per capire se era possibile attribuire i loro vaneggiamenti a una qualche forma di malattia mentale. E così i sei specialisti, dopo ore di colloqui, test clinici e analisi strumentali, hanno confermato la presenza di forti disturbi della personalità con forte dissociazione dalla realtà e deliri di tipo religioso. Con quelle diagnosi, tutte concordi anche se effettuate separatamente, ci era possibile rinchiuderle in isolamento, in conventi di clausura. Che strano eh? Le diagnosi hanno tutte confermato la vostra speranza. La voce di Alberti era molto ironica, certo che la chiesa quando voleva ottenere qualcosa trovava sempre qualcuno pronto ad accontentarla, in ogni settore. - - Capisco la sua ironia, commissario, ma i fatti successivi ci hanno dato ragione. Evidentemente le mie sorelle si sono insospettite e prima che potessimo trasferirle in luoghi più sicuri sono fuggite. Tutte. Senza esitare nella fuga neanche di fronte alla violenza. Due nostre consorelle hanno perso la vita nel tentativo di fermarle. Padre Joseph lei mi sta dicendo che un gruppo di malate di mente, esaltate religiose è fuggito dai vostri conventi, - - uccidendo due loro compagne e voi non avete denunciato il fatto? Pensavamo di poterle fermare da soli. La Chiesa ci tiene molto alla riservatezza. Ma la cosa ci è sfuggita di mano quando abbiamo saputo della morte di Russell e Funari. Evidentemente le sorelle vogliono vendicarsi di quelli che ritengono complici della chiesa. Padre è proprio sicuro che siano queste sue consorelle le assassine? Perché ne ha la certezza? I fatti che le ho esposto e un particolare decisivo; l’arma del delitto. Intende questa specie di grosso ago? Il commissario aveva tirato fuori dalla scrivania l’oggetto in questione. E l’aveva messo davanti al sacerdote. - Proprio questo commissario, e lei ha ragione. E’ un ago, l’Ago della Provvidenza. Ago della Provvidenza? Perché? Veniva usato in origine, tanti secoli fa, dalle suore carmelitane per cucire materassi e tappeti. Purtroppo in alcune occasioni, tempi bui per la chiesa e per gli uomini, alcune suore furono costrette a usare quell’oggetto per difendere la propria virtù e il proprio onore di donne e di suore. Facendo violenza spesso su se stesse e, qualche rara volta, su uomini empi. A un certo punto, nessuno sa bene perché, quell’oggetto iniziò a essere chiamato l’Ago della Provvidenza, l’aiuto del Signore alle sue figlie in pericolo. E oggi purtroppo un gruppo di sorelle l’ha trasformato in arma di offesa e morte, per scopi di vendetta e contrari alla fede, adottandolo come oggetto simbolo della loro eretica setta. Un peccato gravissimo che va ad aggiungersi ai tanti che già dovranno scontare con la penitenza e la preghiera. - Ho capito padre, mi ha convinto. E scommetto di indovinare dicendo che i quattro psichiatri ancora vivi sono tutti qui a Roma per il convegno. Esatto commissario, questo posso dirglielo io. Ho già fatto le mie indagini. Sono tutti e quattro qui a Roma per il convegno e per prendere una decisione riguardo a qualcosa; così ho trovato scritto tra le carte di Russell. La conferma venne dall’agente del FBI. - - - Bene proprio una brutta storia. Mi scusi padre, ma di queste pazze scatenate è possibile avere foto, descrizioni precise o qualcosa che ci possa essere utile per scovarle? Roma è grande e piena di turisti; non sarà facile trovarle. No commissario, mi dispiace. La chiesa non ha l’abitudine di fotografare i suoi membri e descrizioni precise potrebbero darcele solo le sorelle che le hanno avute vicine ma sono lontane in varie parti dl mondo e non sono del tutto sicuro che sarebbero disposte a darci una mano. Per molte di loro sono una specie di apostolo della nuova fede. Sempre peggio commissario. L’ispettore Leonardi aveva una faccia scurissima. - - E posso anche aggiungere ispettore che, sicuramente, hanno molte amicizie nei conventi di questa città e molti luoghi dove trovare ospitalità e rifugio sicuro, anche senza documenti e senza registrazioni di nessun tipo. Ho capito che siamo in un bel guaio. Senta padre può almeno dirci quante sono le persone che stiamo cercando? Certo commissario, questo è facile. Probabilmente è stata una scelta voluta o forse una semplice coincidenza ma le sorelle ribelli sono tredici, la Maestra e dodici - apostole. Come avrebbe potuto essere altrimenti. La mistica del numero tredici ha fascinato da secoli l’uomo e loro non potevano essere da meno. Una nuova chiesa, una nuova era che nasce con un nuovo gruppo di tredici persone, questa volta donne e non uomini. Le sorelle del gruppo originario erano tredici e adesso, dopo la tragica morte di Via Veneto, sono rimaste in dodici. Vedo che ha tutte le informazioni possibili , caro padre. Il tono di voce di Caterina dimostrava chiaramente che il sacerdote non godeva della simpatia della ragazza ma, anche questa volta, l’ironia non fu rilevata dal prete. - E’ vero, cara ragazza, abbiamo molte informazioni e molte amicizie. Però non abbastanza da riuscire a individuare il luogo dove si nascondono le Sorelle. Perciò ha pensato bene di utilizzare anche la polizia di Roma, vero padre? Anche il tono di voce di Leonardi tradiva una certa irritazione nei confronti di Padre Joseph. Il prete era quasi sul punto di rispondere ma fu interrotto dalla voce del commissario. - Va bene, per ora lasciamo perdere gli scontri personali, abbiamo dodici potenziali assassine da prendere e quattro uomini da proteggere. Per ora ci conviene unire le nostre forze. Leonardi fatti dare i nomi da Caterina e cerca di scoprire prima possibile dove sono alloggiati, fai il giro degli alberghi e appena hai scoperto dove sono manda immediatamente una pattuglia a prelevarli. Dobbiamo informare questi uomini del pericolo che stanno correndo. Lei padre ci procuri la lista dei conventi, collegi e pensionati gestiti da suore. Probabilmente le nostre sorelle sono nascoste in qualcuno di questi posti, protette - - - e mimetizzate fra altre suore. Sarà difficile che riusciamo a trovarle ma possiamo provarci. Può darci altre informazioni utili per individuarle? No commissario, mi dispiace. I loro nomi potrebbero averli cambiati e l’unica cosa certa che posso dirle è che la loro Maestra si faceva chiamare Sorella Maria. L’unica traccia che abbiamo è che ognuna di loro possiede una copia del foglio contenente quella che loro spacciano come l’interpretazione originale del Terzo Segreto scritta personalmente da Suor Lucia di Coimbra, la pastorella di Fatima. Mentre il documento originale vergato direttamente dalla mano di Suor Lucia è custodito dalla Maestra come un testo sacro destinato a portare la Verità nel mondo. Certo non ci serve a molto, padre, non posso certo ordinare ai miei uomini di perquisire tutte le suore in giro per Roma per vedere se hanno un pezzo di carta con su scritta una strana profezia. A proposito, come mai la ragazza dell’Excelsior non ce l’aveva? Dirò a Stoppani di controllare meglio tra la roba della ragazza, vediamo di trovare questo foglio se esiste. E’ inutile commissario, il foglio è già stato prelevato dagli abiti della ragazza, era cucito all’interno della fodera. Un nostro uomo di fiducia l’ha cercato e trovato. La voce di Padre Joseph era tranquilla ma il senso di quelle parole fece scattare il commissario come una furia. - Mi faccia capire padre, lei ci sta dicendo che qualcuno incaricato da lei ha fatto sparire un documento importante, una possibile prova, dal corpo della ragazza senza neanche darci modo di leggerla per valutarne l’importanza? - Sì commissario, è proprio così, ma le assicuro che quel foglio non ha nessuna importanza per le indagini, nessuna, ma ha una importanza enorme per la Chiesa. Si teme che quelle donne abbiano approfittato della veneranda età e della poca lucidità di Suor Lucia per farle scrivere parole suggerite da loro. Se il testo di quel documento venisse divulgato spacciandolo come autentico ci potrebbero essere conseguenze disastrose per tutta La Santa Madre Chiesa. Mi dispiace ma non potevamo permetterlo. Cerchi di capirmi commissario, la sua missione è fermare quelle assassine e metterle al sicuro, la mia è di impedire la pubblicazione di quel documento per la sicurezza di tutto quello in cui credo. E le assicuro che la mia missione è più importante della sua, si tratta della salvezza e della sicurezza di una organizzazione che esiste da molti secoli e che continuerà ad esistere per molti altri secoli ancora, oltre le nostre piccole vite. La voce esaltata e l’espressione del viso del sacerdote fecero capire al commissario che era inutile discutere con quell’uomo. - - Va bene padre, per ora lasciamo perdere, ne parleremo più avanti. Adesso abbiamo del lavoro da fare. Ci procuri l’elenco che le ho chiesto, noi intanto vedremo di rintracciare e mettere al sicuro i quattro psichiatri. Come vuole commissario, provvedo subito. Ma le ricordo che la nostra collaborazione è stata decisa da persone molto più importanti noi, perciò la prego di tenermi al corrente di tutte le novità. Le assicuro che anche io posso fare molto per aiutarvi ma in cambio chiedo reciprocità assoluta nello scambio di informazioni. - Va bene padre, come ho già detto per ora abbiamo un obiettivo comune, poi si vedrà. Anzi a proposito di scambio di informazioni ho un’altra domanda da farle. Dica pure commissario. Cosa sa dei Custodi della Fede? Una espressione di sorpresa si dipinse sul volto del prete. - - I Custodi della Fede? Mi scusi commissario ma davvero non capisco. I Custodi sono un’antica setta scomparsa secoli fa. Erano un’associazione segreta che si era formata per tutelare gli interessi della Chiesa e la purezza della dottrina. Ma ben presto si erano trasformati in una specie di associazione a delinquere più propensa a tutelare gli interessi personali dei suoi membri che non la Chiesa. Per questo furono sciolti non so bene quando ma certamente moltissimi anni fa. Cosa c’entrano con i fatti di questi giorni? Non lo so bene padre. Però in un sms che abbiamo trovato nel cellulare della sorella morta c’era un avviso riguardante i Custodi della Fede. Davvero strano, commissario. Mi informerò meglio e le saprò dire. Va bene padre, ci spero. Come vede la sto informando di tutto per dimostrarle la mia volontà di collaborare e la mia fiducia in lei. Bene commissario, anche io mi fido di lei. E non mi giudichi troppo male per quello che ho fatto. A volte i sentieri di Dio e della fede possono sembrare tortuosi ma arrivano sempre sulla strada del bene e del giusto. La saluto. Senza aggiungere altro il prete uscì dalla stanza. Il commissario e la bella Caterina restarono un attimo in silenzio. - - Certo che la fede è una bella cosa, essere convinti di essere nel giusto ti dà molta forza e molto coraggio. Hai proprio ragione Caterina, Padre Joseph è un uomo di fede è come tale va rispettato. Ma ora diamoci da fare. Per ora l’unico appiglio che abbiamo per rintracciare queste maledette sorelle sono le loro possibili vittime. Faremo come il buon pastore, sorveglieremo le pecorelle per prendere i lupi. Allora andiamo commissario sono sicura che il suo ispettore è già a buon punto. Mi sembra un uomo in gamba, magari prevenuto con le donne ma in gamba. Il sorriso sul volto della bellezza americana avrebbe fatto molto piacere al buon ispettore Leonardi. CAPITOLO SESTO A poche centinaia di metri dalla sede della omicidi, intanto, in una delle stanze dell’Hotel Cicerone, il Dr. Alfred Adler, uno degli uomini indicati nella lista di Caterina Foster stava preparandosi per uscire. Il Dr. Adler non era di buonumore. Il convegno si annunciava molto poco interessante e l’idea di perdere altri tre giorni a Roma non lo entusiasmava. Ed era impossibile per lui andare via prima, una delle relazioni dell’ultima giornata era stata affidata proprio a lui. Inoltre la sua naturale antipatia per gli alberghi era accentuata dal fatto di dover soggiornare in quella specie di enorme palazzone sede del Cicerone. Troppe stanze, troppi piani e troppi giapponesi in giro che si muovevano sempre in gruppo scattando foto praticamente a tutto. Un via vai di gente che sciamava a qualsiasi ora del giorno e della notte nelle stanze dell’albergo, stanze curate e spaziose ma troppo anonime per i gusti del dottore. Del resto, quando aveva cercato di protestare con le segreteria del convegno gli avevano fatto presente che la città era piena e che la sistemazione al Cicerone era tra le migliori possibili, un albergo di prima categoria e con un servizio eccellente, e avevano ragione. Ma nonostante questo lui ci stava male. Così cercava di starci il meno possibile e dopo le lunghe ore di noia del convegno una bella passeggiata per le vie di Roma lo avrebbe aiutato a recuperare un pò di buonumore e il giusto appetito per poter gustare una buona cena in qualche tipico ristorante romano. Ma i suoi programmi erano destinati a subire un brusco cambiamento. Il leggero bussare alla porta lo sorprese. - Sì, chi è? Servizio camere, signore. Dobbiamo riordinare la stanza se non le dispiace. La voce femminile che aveva risposto alla domanda del dottore era bassa e gentile. - Se vuole ripassiamo dopo. No, no prego tanto sto per uscire così vi lascio lavorare in pace. Rispondendo alla domanda il dottor Adler si era avvicinato alla porta della stanza e aveva aperto. Le due donne indossavano il camice dell’albergo e una delle due aveva davanti a se un carrello con lenzuola e asciugamani puliti, oltre a tutto l’assortimento tipico dei carrelli degli alberghi. Saponettine, shampoo, bagnoschiuma e fazzoletti di carta negli appositi contenitori. Una delle due era giovane e molto carina, l’altra di mezza età, molto magra e con i capelli grigi tirati indietro. Tutte e due risposero con un sorriso al saluto dell’ospite che dopo aver aperto la porta era rientrato nella stanza per finire di prepararsi. - Solo un minuto e vi lascio sole, il tempo di prendere portafoglio e cellulare e vado. Direi che non avete molto da sistemare ma vi lascio fare il vostro lavoro. Solo una cortesia, se possibile, procurarmi un’altro cuscino più morbido, quello nel letto è così basso e duro da farmi venire il mal di testa. Il dottor Adler parlava dando le spalle alle donne mentre si infilava in tasca portafogli e cellulare poi rendendosi conto della scortesia di parlare a delle persone dando loro le spalle si stava girando verso di loro ma non riuscì a completare il movimento. Si accorse appena della leggera puntura sul collo, una lieve pressione sulla pelle, appena percettibile, che lo portò istintivamente ad allungare la mano per toccare la parte e a grattarla, poi in pochi secondi il potente narcotico immesso nel suo sangue fece effetto facendolo crollare a terra con un leggero rumore. Le due donne impassibili lo videro cadere senza una parola e senza mostrare il minimo segno di emozione, poi, muovendosi in perfetta sincronia, iniziarono il loro compito che non era certamente quello di mettere in ordine la stanza. Il corpo privo di sensi dell’uomo venne sollevato e deposto sul letto. - Lo spogliamo? La ragazza più giovane aveva posto la domanda alla sua compagna con voce tranquilla. - Sì sorella, è meglio. Nudi gli uomini diventano più vigliacchi, sarà più facile convincerlo a parlare. Senza altre parole le due donne si affrettarono a liberare il corpo di Adler dei vestiti lasciandogli addosso solo gli slip ed evitando pudicamente di soffermare lo sguardo sulle parti più intime. Nudo il corpo del dottore rivelava in modo più impietoso i sessanta e passa anni del suo proprietario. Magro e con la pelle flaccida indicava chiaramente che il dottore era più dedito allo studio e alla lettura che all’attività fisica. Poi le due donne completarono l’opera legando il loro prigioniero al letto con una corda che la più giovane aveva tirato fuori dal carrello di servizio. - - E adesso che facciamo? Tranquilla sorella, abbiamo qualche minuto da utilizzare, lo sai che la sostanza che gli abbiamo iniettato ha effetto solo per poco. Aspettiamo che si inizi a svegliare, intanto possiamo guadagnare tempo trovando il suo computer e accendendolo. Per quello non ci vorrà molto, guarda sul tavolino. La sorella più giovane aveva già visto pronto sul tavolino della stanza l’oggetto che stavano cercando, il portatile del dottore. Le due sorelle si avvicinarono allo strumento insieme. - Provo ad accenderlo e a darci uno sguardo. Va bene sorella, vedi quello che riesci a trovare, per me lo sai che sono negata per l’uso di questi oggetti. La sorella giovane non si fece pregare ulteriormente, a differenza della sua compagna più anziana a lei piaceva molto utilizzare il computer per cercare informazioni e comunicare con le altre sorelle. Era proprio con quei nuovi strumenti che erano riuscite a tenersi in contatto quando le avevano divise ed erano riuscite a coordinare le loro azioni per la fuga e tutto il resto. Anche se nella chiesa qualcuno riteneva quegli strumenti pericolosi e possibili armi del Maligno lei e molte altre li consideravano, invece, come possibili e potenti mezzi per una veloce diffusione delle nuove idee. Il vero significato del Segreto di Fatima comunicato a tutto il mondo in simultanea avrebbe convertito moltissimi alle loro idee e permesso loro di ottenere più facilmente le risposte alle loro richieste di cambiamento. Un nuovo vangelo globale. - Allora sorella? La voce dall’anziana distolse la più giovane dai suoi pensieri. - - Forse siamo fortunate sorella, sono riuscita a entrare nell’archivio del nostro buon dottore che, evidentemente, non ritiene necessario proteggere i suoi documenti con nessuna password. L’unico problema è che il dottore è anche molto disordinato, i file sono raccolti tutti in poche cartelle e sono centinaia. Il nostro dottore ha parecchio lavoro per sua fortuna e per nostra sfortuna. Potrei anche inviarli tutti a Sorella Maria ma poi ci vorrebbero mesi per leggerle tutte e individuare quelle che ci interessano. Cosa facciamo? Non abbiamo alternative sorella Elisabetta, dobbiamo aspettare che si svegli a farci indicare i documenti che vogliamo. - Allora sorella Letizia prepariamoci a una lunga attesa. Le due donne senza altre parole si sedettero ai lati del letto ed estratto ognuna un rosario da un tasca iniziarono in silenzio le loro preghiere. Agli occhi di un eventuale spettatore la scena avrebbe ricordato molto una veglia funebre. I minuti passavano lenti mentre il sole tramontava su Roma. Un gemito leggero distolse le due donne dalle loro litanie silenziose. Il dottor Adler si stava svegliando. - Sorella forse è meglio aiutare la natura, non possiamo restare qui troppo a lungo solo per permettere al nostro dottore di svegliarsi dolcemente. Sorella Elisabetta con l’insofferenza tipica dei giovani stava fremendo per l’attesa troppo lunga e troppo passiva e il piccolo segno di vita dell’uomo addormentato le aveva dato modo di esprimere i suoi dubbi. Ma questa volta sorella Letizia dovette darle ragione. - - Hai ragione sorella conviene darci da fare, abbiamo molte persone che ci cercano e non è prudente perdere troppo tempo in questo posto. Una nostra sorella ha già pagato con la vita e i Custodi ci sono troppo vicini. E la polizia. Certo la polizia ma di quella mi preoccupo meno. Troppe cose non sanno e tantissime altre non potrebbero mai capire. Sono i Custodi a farmi paura. Comunque hai ragione, diamoci da fare. Così dicendo la sorella anziana si era alzata dalla sedia e riposto il rosario nella tasca del camice si era diretta verso il bagno. Sorella Elisabetta sentì lo scroscio dell’acqua che usciva dal rubinetto e, dopo pochi secondi, vide sorella Letizia uscire dal bagno con due bicchieri colmi d’acqua. - Non ho trovato niente di più capiente, iniziamo con questi. Con un gesto veloce l’anziana delle donne rovesciò il contenuto dei bicchieri sul viso dell’uomo addormentato provocando soltanto una piccola reazione consistente in un movimento del viso e una specie di grugnito. - Non mi sembra un grosso risultato sorella, forse è meglio trovare qualcosa di meglio. Lo sguardo della sorella più giovane stava già esplorando la stanza per trovare qualcosa di più efficace e, dopo aver completato il giro, si era soffermato sull’unico contenitore presente. - Ecco quello potrebbe essere più utile. Con la mano stava indicando il cestino dei rifiuti sotto il tavolino, bello grosso e di plastica sembrava adatto ai loro scopi. Fu sempre la ragazza più giovane ad avvicinarsi al contenitore e dopo averlo liberato della busta verde chiaro che era al suo interno lo prese con una mano dirigendosi anche lei verso il bagno. Questa volta fu sorella Letizia ad ascoltare il rumore dell’acqua provenire dal bagno, più forte perchè il rubinetto aperto questa volta era quello della vasca, e dopo pochi minuti vedere la sua compagna uscire tenendo a due mani il cestino adesso usato come secchio. - Dammi una mano sorella. Aiutandosi a vicenda e con un minimo di difficoltà vista la mancanza di appigli sicuri le due sorelle riuscirono a sollevare il cestino colmo d’acqua fino all’altezza del letto. - Pronta sorella? Pronta. Al mio tre, uno, due e...tre. Questa volta il risultato fu migliore della prima. La quantità di acqua contenuta nel cestino era tale da dare una bella scossa all’uomo ancora semiaddormentato. Il dottor Adler si svegliò quasi completamente tossendo e sputando acqua. Scuotendo la testa aprì gli occhi e cercò di tirarsi su dal letto; naturalmente non riuscì a farlo visto che era legato mani e caviglie. Resosi conto di non potersi muovere iniziò a girare lo sguardo intorno e dopo alcuni secondi sembrò ritrovare un minimo di lucidità. I suoi occhi si fissarono sulle due donne in piedi alla sua sinistra, forse la vista dei camici del personale dell’albergo gli riportò alla mente l’ultimo ricordo. - Mi avete rifatto la stanza? Cos’è successo? Perché sono legato? Mi spiegate che sta succedendo? Stia tranquillo dottore e tutto andrà bene; abbiamo bisogno di alcuni documenti in suo possesso e siamo venute apposta a prenderli. Documenti, quali documenti? Io sono un medico e i miei documenti sono riservati, non posso darvi proprio niente. - Caro dottore questa sua integrità professionale le fa molto onore ma, le assicuro, che se lei non collabora le conseguenze potrebbero essere molto gravi per lei. Il tono di voce della ragazza iniziò a preoccupare l’uomo imprigionato; parlava tranquilla e senza alterazioni particolari nel tono ma pronunciava la parole con una freddezza e una intransigenza tale da permettergli di capire che quella donna era pronta a tutto per raggiungere il suo scopo. E anche l’altra, quella più anziana, aveva un atteggiamento inquietante. Lo guardava silenziosa muovendo però le labbra mentre con una mano in una tasca maneggiava qualcosa. Lo psichiatra emise la sua diagnosi, solo mentalmente però. Due pazze, pronte a tutto e perciò molto pericolose. Cosa poteva fare? Prendere tempo intanto e cercare di capire chi fossero e per quale motivo erano interessate ai suoi documenti. - Chi siete? Quali sono i documenti che volete? Chi siamo non ha importanza, siamo le nuove figlie di Maria e operiamo seguendo le sue parole. La nostra missione è portare al mondo la verità e la pace. Questo le basti per capire che i nostri fini sono buoni e benedetti. Per quanto riguarda i documenti che ci interessano dovrebbe immaginarlo; ci interessano le relazioni che le ha commissionato il Cardinal Ravasi. Le poche parole della ragazza invece di chiarire le idee al professore lo mandarono in assoluta confusione. Figlie di Maria? Pace e verità nel mondo? Quelle due donne erano davvero fuori di testa, in preda ad una esaltazione religiosa assolutamente fuori dalla realtà. Fanatiche convinte di essere nel giusto, la razza più pericolosa. Sicuramente pronte a tutto. Ma perché si interessavano ai documenti chiesti dal Cardinale? Cosa c’entravano loro con quella storia? E cosa c’entravano con l’incarico avuto da Ravasi? Troppe domande senza risposta e per il momento era inutile cercarle. Il problema principale ora era uscire da quella assurda situazione. Cosa poteva fare? Le due donne sembravano decise e determinate, ma fino a che limite erano disposte ad arrivare? Rifiutarsi poteva essere molto pericoloso. Oltretutto con lo sguardo aveva già visto sul tavolino il suo portatile aperto su una delle sue cartelle. Si rimproverò mentalmente per la sua negligenza; tante volte aveva pensato di proteggere i suoi documenti con almeno una password e si era sempre dimenticato. E adesso erano tutti lì alla mercè di quelle donne che avrebbero potuto prenderseli tutti senza bisogno del suo aiuto. Certo pensò sono tanti e a loro interessano soltanto quelli legati al lavoro per il cardinale. Al diavolo, per ora non posso fare altro che accontentarle. Il cardinale non potrà certo farmene una colpa vista la situazione. Presa la decisione il dottore si affrettò a comunicarla alle donne in piedi vicino al letto; prima usciva da quella situazione meglio era. - Va bene, vi darò quei maledetti documenti. Sono quelli contenuti nella cartella DA RIVEDERE, tutti i file denominati come CARD. Bene dottore, ha preso una saggia decisione. Si è risparmiato molte dolorose conseguenze. Lasciato solo il dottore a riflettere sulla sua decisione le due donne si avvicinarono al computer. Con pochi click la più giovane, Sorella Elisabetta, arrivò ai file che cercavano. - Bene cara Sorella Letizia portiamo a termine il nostro compito e andiamocene, ogni minuto in più passato in questa stanza è un pericolo. Con pochi rapidi click i documenti furono spediti e poi salvati su una pen drive che Sorella Elisabetta aveva tirato fuori dal carrello. - Fatto sorella possiamo andare. E di lui cosa ne facciamo? Quello che dobbiamo sorella, dobbiamo metterlo in condizione di non dare l’allarme e di non nuocere. La porta dell’ascensore aprendosi fece uscire uno strano gruppo che non poteva certo passare inosservato. Il commissario Alberti seguito da Padre Kolzer e dall’agente Foster, alta quasi quanto lui, e, a chiudere il gruppo, due agenti in divisa molto impegnati a valutare la bellezza del corpo della ragazza che li precedeva. I due agenti erano quasi contenti di essere stati trascinati di corsa in quell’albergo. Il commissario accelerò il passo, era ansioso di parlare con il dottor Adler. Forse da lui avrebbe avuto qualche risposta alle molte domande che stava formulando da troppe ore nel suo cervello. Quando Leonardi era entrato come una furia nel suo ufficio, pochi minuti prima, aveva capito che c’erano novità importanti. - Commissario uno l’abbiamo trovato e fortuna grandiosa alloggia proprio qui vicino, al Cicerone. Leonardi sei forte, presto andiamoci subito. Andiamo Caterina ti faccio fare una breve passeggiata, il Cicerone è a pochi metri. Ci andiamo a piedi. Leonardi fai venire - anche due agenti con noi così dopo li lasciamo a sorvegliare questo tizio, e intanto fai continuare le ricerche. A proposito come si chiama? Adler commissario, Alfred Adler, è tedesco. Uscendo dalla stanza il trio quasi si scontrò con Padre Kolzer che con un fascio di fogli in mano si stava avvicinando. - Commissario ecco l’elenco che mi aveva richiesto. Poi l’agitazione e la fretta dei tre gli fece capire che c’era qualche novità importante. - Dove sta andando commissario? E’ successo qualcosa? Adesso caro padre non ho tempo di spiegarle. Quasi di corsa il gruppo si era precipitato fuori sbucando nella piazza affollata. - Da questa parte, Via Cicerone è proprio la prima via a destra. Voi due seguitemi. L’ordine era stato rivolto a due agenti appoggiati a una volante. - In macchina commissario? No a piedi, dobbiamo arrivare solo al Cicerone, mi servite lì. Tra la curiosità dei passanti e dei clienti del Cicerone, al loro ingresso, il gruppo si era presentato compatto alla reception dell’albergo. Sventolando la sua tessera sotto gli occhi dello stralunato portiere era stato il commissario a parlare. - Siamo della polizia, può dirci il numero di stanza del professo Adler? E se è in albergo o è uscito? Adler, commissario, Alfred Adler? Il portiere del Cicerone ne aveva viste tante in venticinque anni di servizio ma quella scena era tra le più curiose che avesse mai visto. Polizia, tutta quella gente era della polizia. Ve bene quello che gli stava parlando sventolandogli sotto il naso la tessera, va bene i due agenti che se non altro erano regolarmente in divisa, ma gli altri. Una specie di culturista gonfio di muscoli, quel tipo con la faccia impenetrabile vestito che sembrava un becchino in servizio, anzi no , era un prete a giudicare dal collarino bianco e poi quella sventolona bionda da telefilm americano tipo Baywatch che era più adatta a fare la coniglietta di Playboy piuttosto che la poliziotta. Da non crederci, ma dove li arruolavano i poliziotti oggi. La voce piuttosto nervosa del primo poliziotto lo aveva costretto a lasciar perdere i suoi pensieri. - Allora riesce a dirci il numero di stanza di Adler o ha bisogno di aiuto? No, no scusi. Provvedo subito. Dalla voce del giovane poliziotto il portiere aveva capito che la cosa era seria, nonostante le apparenze. Le sue mani si mossero veloci sulla tastiera e in pochi secondi ottenne la risposta. - Camera 507, quinto piano. Uscendo dall’ascensore a destra. E a quello che mi risulta è in camera; la chiave non c’è. E a destra dell’ascensore ora si stavano dirigendo tutti, tranne Leonardi che era rimasto nella hall. Nessuno di loro fece molto caso alle due cameriere che, spingendo un carrello carico di roba, passava loro di fianco, costringendoli a mettersi quasi in fila indiana, e salutandoli con un cortese buonasera prima di superarli. Perso nei suoi pensieri e concentrato sui numeri delle stanze il commissario rispose distrattamente al saluto. Stanza 512, 511, 510 poi si ritrovarono davanti alla 507. - - Cosa facciamo Alberto? Bussiamo, visto che non ci siamo fatti annunciare bussiamo educatamente e aspettiamo che il dottor Adler ci apra. Il portiere ha detto che dovrebbe essere in camera. Del resto telefonandogli lo avremmo solo messo in apprensione senza potergli spiegare nulla. Di persona sarà più facile spiegargli la situazione. A proposito, tu lo sai il tedesco? Io no, magari parla lui italiano. Speriamo, se no sarà un guaio. Non si preoccupi commissario, io parlo tedesco. La voce di Padre Kolzer era tranquilla come sempre. - E’ vero padre, mi scusi. Naturale che lei parli tedesco, che stupido. Bene allora la sua presenza ci sarà sicuramente preziosa. Il commissario bussò alla porta. Nessuna risposta. - Magari sta riposando o è in bagno. Possibile, in ogni caso saremo costretti a disturbarlo. Per il suo bene. Rispondendo alla ragazza il commissario bussò di nuovo, con più forza. In attesa della risposta, per ingannare l’attesa o per abitudine professionale, gli occhi del poliziotto si misero a esplorare l’ambiente e quasi inconsciamente notarono un particolare. Le due cameriere erano entrate in ascensore con tutto il loro carrello, le porte si stavano già chiudendo quando con la coda dell’occhio il commissario notò un gesto, un movimento particolare di una delle due. Un lampo nel suo cervello; cos’era quel movimento. Poi l’intuizione. Un segno di croce, quella donna si stava facendo il segno della croce. All’intuizione seguì l’azione. Improvvisamente il resto del gruppo lo vide lanciarsi verso l’ascensore. - Ferme, ferme, polizia. Le due donne lo guardarono senza muoversi e senza rispondere, anzi, al commissario parve di vedere sui loro volti un sorriso beffardo prima che le porte dell’ascensore gli si chiudessero in faccia. - Maledizione, erano due di loro. Loro chi? Caterina non aveva capito il perché dell’improvviso agitarsi del commissario. - Due di quelle maledette sorelle, ho visto una delle due farsi il segno della croce, l’ho capito da quello. Presto andiamo, scendiamo per le scale. Voi due fatele in salita. Anche questa volta l’ordine era rivolto ai due agenti. - Controllate le scale e i due piani superiori, sono solo sette i piani di quest’albergo. E controllate anche il terrazzo, se c’è. Mi raccomando. I due agenti si lanciarono su per le scale mentre Alberti e l’agente del FBI iniziarono a correre in discesa. - Leonardi mi senti? Il commissario urlava nel telefonino velocemente giù dalle scale del Cicerone. - mentre correva Cos’è successo commissario? Guai? Due delle sorelle sono qui, hanno addosso il camice dell’albergo. Una più giovane, carina, bruna l’altra più anziana, sui quarantacinque, capelli tirati indietro. Va bene commissario, se sono dirette qui le blocco io. Adesso chiamo rinforzi e nel frattempo faccio bloccare le uscite dalla sicurezza interna dell’albergo. Ottima idea Leonardi. Attento all’ascensore, erano la dentro l’ultima volta che le ho viste. Tranquillo commissario, ci penso io. E Adler? Non lo so, non siamo riusciti a entrare nella stanza. Speriamo non gli sia successo niente. In attesa dei nostri manda qualcuno della sicurezza interna a controllare e digli di restare con lui se lo trova. Sempre fino a quando arriviamo noi. Intanto sempre seguito da Caterina che faceva molta meno fatica di lui il commissario fece una rapida esplorazione di tutti e quattro i piani sotto di lui, senza risultato. Alla fine si ritrovarono nella hall con Leonardi che la presidiava insieme ad altri agenti ormai arrivati. Alberti fu costretto a riprendere fiato mentre Caterina fresca e senza il minimo accenno di affanno spiegava quello che era successo all’ispettore che, intanto, ne ammirava la perfetta forma atletica. - - Stia tranquillo commissario da qui non escono. Speriamo Leonardi, mi darebbe parecchio fastidio essermele fatte scappare da sotto gli occhi. Evidentemente anche loro hanno un buon servizio informazioni se sono riuscite ad arrivare qui prima di noi. Gliel’ho detto che hanno molte amicizie. La voce di Padre Kolzer era tranquilla come sempre. - Tutto bene padre. Tutto bene commissario, sono solo sceso dalle scale senza tappe. Va bene, padre, meglio così. Leonardi notizie di Adler? Per ora no. Ho mandato su due addetti alla sicurezza ma non ci hanno ancora fatto sapere nulla. Proprio in quel momento un uomo con una radio trasmittente si avvicinò all’ispettore. L’abito nero che indossava e i muscoli che si indovinavano nascosti sotto l’abito lo qualificavano subito come uno degli addetti alla sicurezza. Porgendo l’apparecchio a Leonardi annunciò cupamente: - Ispettore, notizie dal quinto piano. Brutte notizie. Maledizione mi dia quell’aggeggio. L’ispettore quasi strappò la trasmittente dalla mano dell’uomo. - Cos’è successo? - Un cadavere ispettore. Nella stanza, sul letto, nudo e legato c’è il cadavere di un uomo. Va bene, non toccate nulla, mi raccomando. Adesso arriviamo. Restituita la trasmittente al proprietario l’ispettore si voltò verso il suo capo. - - - Cosa facciamo commissario? Chiedi altri rinforzi e blocca tutte le uscite dell’albergo. Nessuno deve uscire da questo posto. Dobbiamo trovare quelle due assassine a costo di perquisire le stanze di questo posto una per una. Chiama il Dr. Stoppani, digli di venire urgentemente. De Cicco e Maestri? Stanno già arrivando. Bene, allora appena arrivano coordina le ricerche con loro. Io torno al quinto piano. Quel cadavere me lo sento sulla coscienza. Non dica così commissario, abbiamo fatto tutto il possibile. Forse hai ragione ma non è stato sufficiente. Adesso è inutile recriminare, pensiamo almeno a prenderle. Anche per cercare di avere informazioni utili a prendere le altre. Non mi piace l’idea di avere un gruppo di fanatiche assassine in caccia nella mia città. Diamoci da fare. Avvisa gli uomini che stiamo dando la caccia a due assassine, pericolose e pronte a tutto. Digli di stare attenti, non voglio altri morti. Staremo attenti commissario. Sicuro. Mentre Leonardi iniziava a dare istruzioni tra le proteste del portiere il commissario seguito da Caterina e dal sacerdote si diresse verso l’ascensore. - Venga pure lei padre, ormai la sua conoscenza del tedesco non ci serve più ma potrebbe darci una mano a capire meglio le sue “sorelle”. Devo darle ragione, bisogna fermarle al più presto. Attesero l’ascensore in silenzio mentre tutt’intorno a loro c’era un frenetico andirivieni di persone. Poliziotti, clienti dell’albergo bloccati e invitati ad aspettare nella hall e nelle altre parti comuni l’evolversi della situazione. Una situazione di caos perfettamente controllata dall’esperto Leonardi. Il commissario si lasciò andare ai suoi pensieri. Quella storia stava decisamente peggiorando. Tre morti in due giorni, due assassine in fuga e altre dieci possibili complici da rintracciare. Senza saperne i nomi e senza conoscerne i volti. In una città come Roma. Un’impresa disperata. Arrivato l’ascensore il commissario ci salì sopra seguito dalla ragazza e dal sacerdote. Quinto piano, a destra. Stanza 507. Davanti alla porta due addetti alla sicurezza dell’albergo, inconfondibili nel loro abito nero, sorvegliavano la porta chiusa della stanza. - Sono il commissario Alberti, vi ringrazio per l’ottimo lavoro che avete fatto. Adesso appena arrivano i miei agenti potrete tornare ai vostri compiti. Di niente commissario, dovere nostro. Avete notato qualcosa quando siete arrivati e nella stanza. Niente commissario, appena ci hanno detto di venire qui ci siamo precipitati, questione di cinque minuti, abbiamo bussato ma nessuno ci ha aperto. Allora abbiamo deciso di aprire con la chiave universale e siamo entrati. Abbiamo visto il cadavere sul letto e, dopo esserci accertati che nella stanza non c’era nessuno, siamo usciti senza toccare niente. E da quel momento siamo rimasti fuori dalla porta senza vedere nessun’altro prima di voi. Il vigilante aveva appena finito di parlare quando dalle scale sbucarono le divise di tre agenti che si diressero di corsa verso di loro. - - Agli ordini commissario. Bene agente, adesso uno di voi resterà qui di guardia mentre gli altri due inizieranno a perquisire tutte le stanze del piano. I due colleghi qui presenti vi daranno una mano aprendovi le porte. Attenzione a fare un lavoro preciso, entrate personalmente in tutte le stanze, anche se protestano e controllate ogni angolo. Ci sono due assassine in giro e non ci devono scappare. Appena arriva il dottor Stoppani fatelo entrare. Tutto chiaro? Tutto chiaro commissario. Stia tranquillo, faremo tutto a dovere. Mentre il commissario e Caterina entravano nella stanza gli agenti e i vigilantes dell’albergo si dividevano seguendo le istruzioni avute. All’interno della stanza la scena che si presentò agli occhi dei due investigatori era molto simile a quella già vista all’hotel Excelsior. Il corpo quasi nudo sul letto aveva un sottile rivolo di sangue che scendeva lento dal piccolo foro proprio all’altezza del cuore. Solo quel piccolo particolare indicava la presenza della morte, nessun’altro segno sul corpo e nessuna tensione nel volto del defunto dottor Adler. - Uguale all’altra volta commissario? Tutto uguale purtroppo e la forma della ferita mi fa pensare che anche questa volta quelle assassine hanno - usato il loro stramaledetto ago. Anzi questa volta non hanno neanche la scusa che si stesse liberando; guarda, le mani sono perfettamente legate e il nostro povero dottore non sembrava avere un fisico da impensierire chiunque. Avevano semplicemente deciso di ucciderlo dopo aver ottenuto quello che volevano e l’hanno fatto. Perché li uccidono? Per odio, per vendetta, per eliminare possibili testimoni scomodi o forse solo perché nella loro pazzia ormai si sentono direttamente investite del potere di giudicare e giustiziare. Ma non ci importa il perché, noi dobbiamo solo fermarle. Vieni andiamo anche noi a dare una mano nelle ricerche, qui non serviamo a nulla e penso che neanche il medico legale ci potrà fornire niente di più di quello che già vediamo con i nostri occhi. Prima che l’agente Foster potesse rispondere e prima che riuscissero a fare un passo verso la porta il rumore di due spari li fece scattare. Muovendosi verso la porta il commissario aveva già estratto il cellulare dalla tasca e stava chiamando il suo vice. La risposta non si fece attendere. - Pronto commissario. Leonardi che succede? Dov’è che hanno sparato? Al primo piano signore. Scendendo le scale a due gradini per volta il commissario e la sua compagna arrivarono davanti alla porta del primo piano in pochi secondi. Aperta la porta la prima cosa che videro furono le schiene di un gruppo di agenti che copriva il resto del corridoio. Appena lo sentirono arrivare gli agenti si spostarono permettendogli di vedere la scena. A terra sanguinante da una spalla e da un braccio c’era l’agente Maestri e a pochi metri da lui due corpi riversi. Il commissario riconobbe le divise dell’albergo e capì; le due sorelle assassine erano state fermate, non come lui avrebbe voluto ma erano state fermate. In piedi vicino a Maestri l’agente De Cicco che impugnava ancora la pistola e Leonardi che al cellulare stava chiedendo urgentemente un’ambulanza. Alberti aspettò che completasse la chiamata. - Cos’è successo? Fu proprio Maestri da terra che rispose per primo. - - Mi dispiace commissario, è colpa mia. Mi sono fatto fregare. Io e De Cicco stavamo controllando questo piano, stanza per stanza. Uscito da una stanza ho visto una cameriera uscire dalla stanza davanti alla mia, confesso che non ho pensato subito che potesse essere una di loro, non credevo potessero essere così fredde da dividersi e mantenere la stessa copertura. Questo maledetto albergo è pieno di cameriere con il camice. Continua Maestri, lascia stare le imprecazioni, ormai servono a poco. Mi scusi commissario, ha ragione. Insomma mi sono avvicinato per chiederle di identificarsi, lei si era fermata subito dopo la stanza da cui era uscita e io non ho pensato di pararmi le spalle aspettando De Cicco. L’ho raggiunta e ho iniziato a parlarci, era tranquilla e mi sorrideva, mi ha detto che era una cameriera dell’albergo e che, sì, certo, aveva i documenti. Ha messo le mani in tasca per mostrarmeli e in quel momento alle mie spalle è sbucata l’altra che mi ha pugnalato al braccio facendomi cadere la pistola. Mi sono voltato per il dolore e per cercare di - fermare quella furia scatenata e l’altra mi ha colpito alla spalla. Sono caduto a terra e quelle due assatanate mi sono saltate addosso per completare l’opera. Ero ormai convinto che fosse suonata la mia ultima ora quando per fortuna è arrivato De Cicco. Mi ha salvato la vita. E tu De Cicco che mi dici? E’ andata proprio così commissario, cioè io sono uscito da una stanza che avevo appena finito di controllare e mi sono trovato davanti questa scena incredibile. Maestri a terra sanguinante e quelle due donne su di lui pronte a colpirlo di nuovo. Ho gridato a quelle due sciagurate di fermarsi ma o non mi hanno sentito o non se ne sono preoccupate più di tanto. Erano come invasate. Le ho viste pronte a colpire e non ho potuto fare altro che sparare. E.... mi dispiace commissario, ho provato a mirare a punti non mortali ma è successo davvero tutto troppo in fretta. La faccia sconvolta dell’agente bloccò la furia del commissario. Due agenti esperti e preparati farsi sorprendere in quel modo da due donne, due suore. Poi però Alberti pensò che era ingeneroso da parte sua. Quelle che lui si ostinava a considerare solo pie e tranquille donne si erano rivelate delle fredde, spietate e furbe assassine. Forse sarebbe stato meglio anche per il futuro ricordarsi di quel particolare. - Va bene ragazzi, tranquilli. Avete fatto il possibile, adesso dobbiamo imparare a non sottovalutare le altre sorelle. Sono furbe e determinate, pazze ma non sceme. Leonardi avvisa tutte le volanti e tutti gli uomini in giro. Massima attenzione e massima prudenza, queste Sorelle sono pericolose, mortalmente pericolose. E fai accompagnare Maestri in ospedale prima che si dissangui. E tu De Cicco, vai pure a casa a riposare. Andiamo Leonardi si torna in ufficio, dobbiamo trovare subito le altre persone segnate nella lista di Caterina. Nel frattempo era arrivata l’ambulanza e i due paramedici dopo aver tamponato le ferite dell’agente ferito lo avevano portato via in barella mentre gli agenti si occupavano di coprire i corpi delle due donne uccise in attesa di un’altra ambulanza che le portasse via. Alberti e Leonardi seguiti dall’agente Foster che aveva assistito silenziosa ma attenta a tutta la scena si diressero verso l’uscita dell’albergo. - Leonardi avvisa Stoppani di avvisarci se rileva qualcosa di utile dall’esame dei cadaveri e poi raggiungici in centrale. Mi sembra utile fare una piccola riunione per valutare quello che è successo e decidere cosa fare. A proposito il nostro buon Padre Joseph dov’è finito? Guardandosi attorno il commissario ebbe subito la risposta alla sua domanda. Padre Joseph era inginocchiato davanti ai cadaveri delle due sorelle e le stava benedicendo. Un’idea improvvisa si intrufolò nella mente del commissario, forse un sospetto. - Leonardi controlla nelle tasche di quelle donne. Vedi se hanno in tasca qualcosa, magari quel mitico foglietto con la vera profezia di Fatima. Già fatto commissario, non avevano niente. Forse l’hanno lasciato in custodia alle loro sorelle o forse è solo l’ennesima leggenda nata sul segreto di Fatima. Sempre un passo avanti ispettore, complimenti. La voce suadente di Caterina, con il suo italiano appena inquinato da un leggero accento americano e, sopratutto, il sorriso apparso sul suo volto furono per l’ispettore un raggio di sole in una giornata troppo buia. Senza altre parole tutto il gruppo si diresse verso le scale. Padre Joseph pensò che erano proprio un bel gruppo. Quattro come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, ma loro lottavano per la pace e la verità. Il sacerdote maturò una precisa convinzione; insieme sarebbero riusciti a fermare le sorelle e a salvare la chiesa da un terribile pericolo. A volte, pensò, il signore segue strade imperscrutabili e si serve degli strumenti più impensabili. Quegli uomini e quella donna senza fede avrebbero servito sotto le insegne del signore. Sia fatta la sua volontà, come sempre. CAPITOLO SETTIMO Il piccolo convento a est di Roma è uno dei più belli della capitale. Nel suo cortile interno uno splendido giardino ospita piante e fiori ordinatamente disposti in piccoli quadrati, attraversati da stretti sentieri di fine ghiaia. Passeggiare in quella pace con il solo rumore del pietrisco spostato dal movimento dei piedi è un piacere immenso. Per il resto il silenzio accoglie i pochi visitatori. In quel piccolo convento, protette dalla complicità delle loro consorelle, avevano trovato rifugio le tredici Sorelle e, proprio in quel momento, le dieci sorelle superstiti erano riunite nella sala refettorio, sedute in circolo attorno al grande tavolo riservato al pranzo in comune. - - Sei sicura sorella Agnese? Sì Maestra, purtroppo sono sicura. Sorella Elisabetta e Sorella Letizia sono morte. Bene sorella, adesso calmati. Le nostre sorelle hanno pagato con la vita la loro fede come ha già fatto Sorella Rosa, lo sapevamo già all’inizio che la causa della verità richiede sacrificio e dolore, dobbiamo spaventarci. Ora le nostre sorelle riposano in pace tra le braccia della nostra Santa Madre Maria. La nostra missione è più importante della nostra stessa vita. E non chiamarmi Maestra, nessuna di noi è diversa dalle altre. La nostra vera e unica maestra è morta, era lei che ci parlava per conto della nostra Santa Madre e ci ha indicato la via da seguire. E adesso noi che siamo solo le sue umili apostole dobbiamo solo rispettare la sua volontà e divulgare la verità. Il mondo ha bisogno di conoscere il vero Segreto di Fatima. Allora cosa facciamo ora, una breve esitazione, Sorella? Proseguiamo la nostra opera. Abbiamo altri tre uomini da cercare e adesso che la polizia e i Custodi sono sulle nostre tracce tutto diventa più difficile e pericoloso. Ma la nostra fede ci darà coraggio e forza. Tutte le sorelle annuirono, la fede era la loro fonte di coraggio. Per qualche secondo restarono in silenzio, una muta silenziosa preghiera. Le loro menti e i loro cuori chiedevano forza e perdono a Dio e alla Beata Vergine. Tutte loro sapevano di essere in peccato e solo la bontà del loro fine poteva giustificare le loro azioni. - Bene Sorelle adesso è il momento di agire. Sparpagliatevi per la città, chiedete a tutte le sorelle che condividono la nostra fede e le nostre speranze di essere i nostri occhi e le nostre orecchie. Dobbiamo trovare quegli uomini, soltanto dopo potremo portare avanti con forza le nostre giuste richieste. Il mondo ha bisogno di questo cambiamento e gli uomini che si oppongono sono molti e potenti e abbiamo bisogno di argomenti convincenti per vincere le loro resistenze. A molti di loro non bastano le sacre parole della nostra venerata Suor Lucia di Coimbra. Abbiamo bisogno di altro. E lo troveremo. Tutte le nostre forze saranno spese per la nostra missione. E se dovessimo morire nel tentativo sono sicura che il Signore, nella sua immensa bontà e con l’intercessione della Santa Madre, ci concederà il perdono. Senza altre parole le Sorelle si prepararono a eseguire gli ordini della loro consigliera e guida. CAPITOLO OTTAVO - Padre Joseph quel poliziotto è di nuovo qui. Nel salone dell’università Alberti non notò l’uomo vestito di grigio che telefonava. La mano libera accarezzava nervosamente la base del collo come a cercare qualcosa che doveva esserci e non c’era. Padre Sebastian si sentiva quasi nudo senza il suo collarino bianco. - Cosa sta facendo? Per ora è in fila davanti al gabbiotto di quella ragazza. La stessa dell’altra volta? - - Sì padre la stessa. Va bene scopriremo dopo se quella ragazza ha qualche importanza, adesso stai solo attento a dove va, se torna a parlare con Testori fammelo sapere. Quel professore è troppo informato e sa troppe cose; a volte studiare molto può essere pericoloso. Seguilo e cerca di scoprire cosa vuole sapere da Testori. Io ti mando subito Padre Raphael che terrà d’occhio la ragazza. Va bene Padre Joseph, stia tranquillo non lo perderò di vista. Il commissario era troppo impegnato a seguire i suoi pensieri e a guardare la ragazza dentro il gabbiotto per accorgersi dell’uomo che lo osservava. La fila era piuttosto lunga e nonostante la cortesia e l’efficienza di Anna ci sarebbe voluto un pò di tempo. La decisione di tornare a parlare con Testori l’aveva presa dopo una lunga, infruttuosa notte, passata con Leonardi, Caterina e Padre Joseph. Dopo l’omicidio di Adler e l’uccisione delle due sorelle erano tornati in ufficio per tracciare un piano d’azione. Avevano tre nomi di persone da proteggere e dieci aspiranti assassine libere per le strade. E poco altro sapevano. L’elenco di possibili rifugi delle sorelle portato dal sacerdote comprendeva più di trecento indirizzi tra conventi, collegi e pensionati vari gestiti da suore o simili. Centinaia di posti che per essere controllati appena decentemente avrebbero richiesto l’impiego di decine di uomini per settimane. I documenti contenuti nella pen drive ritrovata sui vestiti delle due sorelle comprendevano, come il primo, centinaia di fogli di relazioni scritte dal medico. Li avevano stampati e sfogliati velocemente senza capirci molto. E comunque anche se contenevano il motivo scatenante della follia omicida di quelle donne non potevano certo essere d’aiuto nella loro ricerca. Le tre possibili vittime non si trovavano, negli alberghi di Roma non erano registrate e stavano ancora controllando per accertarsi della loro venuta a Roma. Magari avevano cambiato idea all’ultimo minuto e avevano deciso di non venire. Con l’aiuto dell’Interpol stavano cercando di rintracciarli per avvisarli del pericolo e per avere il loro aiuto. Il commissario rilesse per l’ennesima volta i nomi scritti sul foglio, quasi sperando di avere una illuminazione solo rileggendoli. Lucien Bernaud, Lione, Francia. Kurt Wermayer, Stoccarda, Germania Paul Heffner, Londra, Inghilterra. Se quegli uomini erano a Roma dovevano trovarli prima delle sorelle. Padre Joseph si era mostrato molto addolorato, come rappresentante della Chiesa si sentiva in colpa per le conseguenze tragiche derivate dalla fuga delle Sorelle ma non aveva nessun’altra informazione utile da dare. Caterina Foster aveva allertato i suoi colleghi del FBI e chiesto la loro collaborazione per attivare tutte le fonti di informazione presenti sul territorio della città ma con poche speranze. L’ispettore Leonardi aveva contattato tutti gli informatori che conosceva e strigliati per bene ma anche da quella parte si aspettavano poco. Le Sorelle si muovevano su un terreno diverso, sconosciuto ai soliti spioni di cui si serviva la polizia. Il mondo delle Sorelle era fatto di silenzi e segreti custoditi gelosamente e invisibili a tutti. E Roma era molto grande, troppo grande. Leonardi pensò che veramente si poteva dire, visto il caso, che stavano cercando il classico ago in un pagliaio, con una differenza non da poco. Il pagliaio era grande come un’intera città. E adesso era lì in università per rintracciare e parlare con il professor Testori, sperando che almeno lui potesse dargli qualche informazione utile. E nel frattempo ne avrebbe approfittato per rivedere Anna, unire l’utile al dilettevole non è un male. La ragazza indossava, naturalmente, la stessa divisa rossa dell’altra volta ma in quella bella giornata di Maggio aveva deciso di tenere i capelli sciolti. E la scelta era molto azzeccata, pensò il commissario. Era ancora più bella e sembrava ancora più giovane. Era difficile pensare che quella ragazza potesse già essere mamma di un bel bambino di tre anni. Alla fine arrivò il suo turno. - Ciao Anna, tutto bene? Salve commissario, io sto bene. E lei? Diciamo molto impegnato. Scusa se ti disturbo di nuovo ma cerco ancora il professore. Sono passato dal suo studio ma è chiuso, puoi dirmi tu dove posso trovarlo? Adesso ci provo. Abbassando la testa la ragazza si era concentrata nello studio delle sue carte e, dopo aver girato qualche foglio e cercato con un dito sulle pagine si era soffermata su un punto. - Mi dispiace dirglielo commissario ma c’è da aspettare. Oggi è giorno d’esame per il professore e ha appena iniziato. In aula P30 comunque. Se vuole può trovarlo lì. Il commissario guardò l’ora; erano appena le nove e trenta. - Grazie, provo a cercarlo. Arrivederci. Seguendo le indicazioni il commissario raggiunse l’aula indicata da Anna. Che freddezza, pensava nella sua testa, davvero fredda. Era ripassata al lei e non gli aveva rivolto neanche un sorriso. Peccato davvero perché lui invece al solo rivederla si era sentito un piacevole rimescolio, una sensazione che da parecchio tempo non sentiva più e, nonostante la situazione, si era sentito contento di essere lì. Comunque inutile pensarci. Finita prima ancora di iniziare. Sulla porta dell’aula c’era la solita finestrella. Il commissario ci guardò dentro. Nell’aula c’erano seduti una dozzina di studenti in attesa di essere esaminati. Il professor Testori, seduto alla cattedra, era già impegnato con uno studente. Il commissario decise di adottare la stessa tattica della prima volta. Entrò nell’aula dalla porta posteriore per farsi vedere dal professore. Magari vedendolo gli avrebbe concesso qualche minuto. Al giovane commissario non piaceva molto l’idea di disturbare l’esame e quei poveri ragazzi ma era troppo importante per lui cercare di avere notizie e informazioni utili, aveva degli uomini da salvare e delle assassine da prendere. Fece come aveva detto e al rumore della porta che si chiudeva il professore alzò la testa e lo vide. Solo un brevissimo cenno di saluto. Il commissario si sedette paziente già rassegnato a una lunga attesa. Dopo aver completato l’esame del primo studente e tutte le operazioni di registrazione il professore si alzò in piedi. - Ragazzi facciamo una brevissima pausa, due minuti. Dopo aver tranquillizzato gli studenti il professore si era avvicinato al commissario. - Buongiorno commissario, di nuovo qui? Ha ancora bisogno di me? Eccome professore, parecchio bisogno. Posso dire senza esagerare che lei è la mia ultima speranza. Caspita commissario, la situazione è grave allora. Guardi io capisco la sua situazione però, davvero, non posso dedicarle tempo adesso. Se rimando l’esame, e non sarebbe giusto per i ragazzi, poi mi diventa davvero difficile fissare un’altra data, sa, problemi di aule e impegni vari. Però se lei ha pazienza di aspettare, diciamo, un paio d’ore, poi sarò a sua disposizione. Che ne dice? Alberti non aveva molto da dire; il professore aveva ragione. Poteva solo aspettare. - - Va bene professore, aspetterò. Faccia pure tutto quello che deve fare, quando avrà finito io sarò qui. Bene commissario, allora io torno ai miei ragazzi. Anzi facciamo così, per lei è inutile perdere tempo qua dentro, mi dia il suo cellulare, io appena mi libero la chiamo e ci vediamo nel mio studio. Che ne dice? Mi sembra un’ottima idea. Ho avuto una notte lunga e pesante e non ho ancora fatto colazione. Approfitterò del tempo a disposizione per riprendermi. Le do il mio numero e la lascio ai suoi studenti. Dopo aver dettato il suo numero al professore Alberti lo salutò e uscì dall’aula. Fuori il solito via vai di studenti. Le università non cambiano mai, pensò Alberti. Tirato fuori il cellulare chiamò Leonardi. - - - Novità particolari? Nessuna commissario. Abbiamo messo in allarme tutte le volanti e tutti gli agenti in servizio. Abbiamo anche chiesto la collaborazione ai carabinieri e ai vigili urbani. Tutti ci stanno dando una mano ma siamo al punto di partenza. Troppi posti da controllare e troppe persone in giro per Roma. E non avendo nessuna traccia precisa possiamo solo fare domande troppo generiche. Abbiamo anche contattato le polizia di Francia, Germania e Inghilterra per chiedere di fare accertamenti sui nostri uomini. Se non sono a Roma magari li trovano loro. Bisogna avvisarli e magari possiamo scoprire qualcosa di utile. E lì ha saputo qualcosa di utile? Per ora niente Leonardi. Il professore è impegnato con una seduta d’esame e mi ha rimandato a dopo. Perciò sono in giro a non fare nulla ma visto che anche lì non ho molto da fare resto qui sperando che il professore si liberi in fretta. Intanto vado a mangiare qualcosa e bere un caffè. Se ci sono novità avvisami subito. Va bene commissario. Spento il telefonino il commissario si stava guardando intorno per cercare un’uscita. Il bar degli studenti non lo attirava, preferiva cercarne uno nei dintorni dell’università. La voce gioviale lo sorprese. - Allora commissario, le va di offrire un caffè anche a me? Mentre si voltava aveva già riconosciuto la proprietaria della voce. Anna che bella sorpresa. Un caffè glielo offro più che volentieri, del resto la buona compagnia è uno dei requisiti fondamentali di un buon caffè. - E gli altri quali sono? Caldo e comodo. Come dicono i miei colleghi napoletani. Mi pare giusto. Allora andiamo, posso permettermi solo una piccola pausa. Bar degli studenti o andiamo fuori? Mi affido a lei. Allora visto che sei un intenditore andiamo fuori. Ah, a proposito, possiamo tornare a darci del tu? Prima sono stata troppo formale ma sai questo è un ambiente molto formale e i miei colleghi hanno la lingua troppo lunga. Se ti va e mi scusi torniamo al tu. Ti va? L’ultima domanda era stata posta accompagnata da un sorriso così spontaneo e simpatico da far dimenticare al commissario tutta la freddezza di pochi minuti prima. - Caspita se mi va . Andiamo signora Anna se il tuo caffè è buono come la pizza dell’altra volta ti meriti anche di più del tu. Bene commissario, mi segua. Ridendo e chiacchierando i due uscirono dall’università senza accorgersi di essere seguiti da due uomini vestiti di grigio. Seduto al bar con Anna il commissario dimenticò completamente tutto il resto. La voce e la risata della ragazza quasi lo ipnotizzarono. Parlarono e parlarono come se si conoscessero da una vita. Anna gli raccontò della sua vita normale da giovane studentessa rivoluzionata e sconvolta dalla gravidanza inaspettata, della sua scelta di tenere il bambino nonostante il parere contrario del suo ragazzo e di quasi tutti gli altri, esclusa sua madre che l’aveva invece sostenuta nella scelta di farlo nascere e che da quel momento l’aveva sostenuta e aiutata in tutti i modi, anche economicamente, per farla continuare a studiare. Suo padre era morto in un incidente già da alcuni anni. Poi gli disse della fortuna di aver trovato un lavoro proprio all’università e di come questo le avesse facilitato le cose. Tutto questo raccontato serenamente e con il sorriso. Solo per un attimo le vide un accenno di tristezza nello sguardo, quando stupidamente le chiese del padre del bambino. Mai più visto, fu la risposta secca di Anna. Lui le raccontò di come avesse abbandonato le aule di tribunale per entrare in polizia, per passione e per sentirsi utile. Di come, a volte, gli pesava molto quel suo lavoro e di quante altre volte, invece, gli procurasse tanta soddisfazione. Le raccontò della sua vita a Roma con tanti amici, visti poco ma veri, e tante storie finite troppo presto. Tra loro si era stabilita una atmosfera di spontaneità e intimità davvero bella. A un certo punto Anna guardando l’orologio si mise in agitazione. - Povera me, la mia collega mi ucciderà quando torno. Siamo qui da quasi un’ora. Mi dispiace ma devo proprio andare. Il commissario si stava alzando in piedi anche lui per accompagnare Anna al suo posto quando lo squillo del telefonino lo bloccò. Sul visore comparve il nome di Leonardi. - Dimmi Leonardi cosa c’è? Novità? Mentre parlava al telefono Alberti cercava di rispondere al saluto di Anna che con un cenno della mano, silenziosamente, lo stava salutando. Il commissario però aveva un’ultima cosa da chiederle. - Leonardi aspetta un attimo, sono subito da te. Poi coprendo il cellulare con una mano si rivolse alla ragazza. - Anna scusami ma è una cosa importante, davvero. Non preoccuparti, stai tranquillo. Capisco perfettamente. Ti saluto, magari ci rivediamo presto visto che sei sempre in giro in questa università. Si magari, però non potresti darmi almeno il tuo cellulare? La richiesta del commissario rimase sospesa tra loro. Si vedeva che Anna era indecisa tra la voglia di accontentarlo e i suoi timori. Poi la voce di Leonardi al telefono costrinse il commissario a tornare al suo dovere. - Va bene Leonardi, ci sono. Cos’è successo? Commissario abbiamo scoperto che i tre che stiamo cercando sono a Roma, abbiamo rintracciato i loro voli di arrivo. Però... Però? Parlando con il suo vice Alberti continuava però a tenere lo sguardo su Anna che lo guardava indecisa. - - Però il problema è che non risultano registrati presso nessun albergo di Roma. Sono spariti nel nulla, per ora. L’unica possibilità di rintracciarli è domani mattina al convegno. Lì dovrebbero esserci. Va bene Leonardi, allora domani saremo al convegno anche noi. Mentre Alberti parlava con il suo vice Anna aveva aperto la sua borsa e ne aveva estratto una penna e con quella aveva scritto qualcosa su un pezzo di carta. E quel pezzo di carta adesso stava passando al commissario impegnato al telefono. Poi con un sorriso e un ultimo ciao con la mano Alberti la vide allontanarsi. Ma sorrise vedendo scritto sul pezzo di carta un numero di cellulare. Riuscì a riportare la sua attenzione al telefono. - - Allora Leonardi io resto qui in attesa che il professore mi chiami, tu continua a tenere gli uomini pronti e all’erta. Appena finito ci vediamo in ufficio. Caterina è lì con te? Sì commissario, anche lei sta muovendo le sue conoscenze, ma ancora senza risultato. Allora sei anche in buona compagnia, vi raggiungo appena posso. A dopo. Conclusa la telefonata Alberti si concesse qualche minuto di tranquillità, del resto non aveva altro da fare. Il foglietto con il numero di Anna in mano gli procurava uno strano senso di gioia mentre continuava a guardarlo fino a imparare il numero a memoria dopo averlo comunque memorizzato sul suo telefonino. Poi riposto il piccolo pezzo di carta nel portafoglio, piegato con cura, si sforzò di tornare ai suoi problemi. Da qualsiasi parte si guardasse la faccenda era complicata. Poche informazioni e poche tracce da seguire. Il commissario cercava una illuminazione che non arrivò mentre invece ad arrivare fu la telefonata del professore. In anticipo rispetto ai tempi previsti. - Commissario sono io, Testori. Io avrei finito e sto andando nel mio studio. L’aspetto? - Certamente professore, sarò da lei in cinque minuti. Grazie. Bene pensò Alberti andiamo a sentire quello che ne sa il professore di queste Sorelle. In pochi minuti il commissario raggiunse lo studio del professore che lo aspettava seduto dietro la scrivania con la porta aperta. - Venga commissario, venga pure. La stanza sembrava, se possibile, ancora più stracolma di libri della prima volta. Molti erano ancora chiusi nell’involucro di protezione e altri erano stati appoggiati aperti, come a non voler perdere il segno. - Prego commissario, si accomodi. La mano del professore indicava l’unica sedia libera della stanza e lì si accomodò Alberti dopo aver chiuso la porta della stanza. - Allora commissario, cosa vuole chiedermi stavolta. Il professore si era appoggiato all’indietro sulla sedia e aveva incrociato le dita davanti al mento, comodo e concentrato era pronto a prestare tutta la sua attenzione al commissario. Alberti decise di venire subito al sodo. - Cosa ne sa del Segreto di Fatima? Il viso del professore si corrucciò leggermente e per un attimo il suo solito sorriso si attenuò. Prese qualche attimo di riflessione poi si decise a parlare. - Sarò sincero con lei commissario. Io ritengo il così detto Segreto di Fatima una delle bufale più grosse dell’ultimo secolo. Anzi le dirò di più. Per me il Segreto di Fatima è una specie di grossa operazione di marketing della chiesa. Per quasi cento anni si è spacciato un testo banale e forse manipolato come una specie di avvertimento divino sulle sorti future dell’umanità. Lo stesso fatto di averlo divulgato a pezzi e nei momenti ritenuti opportuni la dice molto lunga sulle intenzioni delle gerarchia cattolica. Tenere il mondo in ansia e con l’attenzione puntata sulla chiesa. Un trucco e una messinscena. Fatti bene, lo ammetto, ma troppo spudorati per ingannare un vecchio marpione come me. Effetti speciali a tutto beneficio del popolino superstizioso. La tirata del professore sorprese il commissario. - Mi scusi professore ma mi ha sorpreso, proprio lei, uno studioso e appassionato di religioni mi parla così di uno dei testi più studiati e venerati della Chiesa. Proprio perché sono uno studioso serio certe cose mi fanno andare su tutte le furie. Vede commissario nella storia delle varie chiese e religioni esistono testi e autori che hanno veramente scritto pagine importanti e significative. Parole di verità e saggezza che, se adeguatamente divulgate, potrebbero essere da guida per l’intera umanità e potrebbero servire a cambiare questo nostro sgangherato mondo. Parole così uguali nella diversità di fede da far capire anche quanto le varie religioni siano più simili e vicine di quanto si creda o si vuole far credere. Messaggi che invitano alla pace e alla fratellanza universale lanciati da profeti e messia in ogni parte del mondo. Questi sono i veri segreti da svelare al mondo se vogliamo averla vinta sulla violenza, i terrorismi e le guerre. E invece la Chiesa si rifugia su rivelazioni ad effetto e di tipo cinematografico per tenere milioni di persone soggiogate e passive. Allora commissario io non ci sto, con tutto il rispetto per la Santa Madre Chiesa e i suoi notabili io non ci sto. Le violente parole dello studioso, anche se pronunciate con calma e pacatezza, fecero calare nella stanza un momento di imbarazzo. I due uomini si guardarono per qualche minuto in silenzio. Pur essendo così diversi e impegnati in modo differente si sentivano molto simili, entrambi a modo loro impegnati nello sforzo di portare un minimo di giustizia e verità nel mondo. Una corrente di simpatia reciproca riempì la stanza. Fu il professore a riprendere il discorso. - - - Commissario mi devo scusare, mi sono lasciato prendere dalla mia solita vena polemica. Lei viene qui a chiedere informazioni e io mi lancio in una stupida dissertazione teorica. Immagino che i suoi problemi siano già abbastanza gravi senza doversi sorbire una lezione di Religioni Comparate. Non si preoccupi professore, capire un pò di più la mentalità religiosa mi è certamente di aiuto. Comunque se ho ben capito, secondo lei, il Segreto di Fatima non nasconde in realtà nessun segreto e non merita tutta l’attenzione avuta? Esatto commissario, molto fumo e niente arrosto, o più shakespirianamente, molto rumore per nulla. Ho capito professore. Posso farle un’altra domanda? Certo commissario, a questo punto sono in debito con lei. Dica pure. - Devo solo farle una preghiera prima. Deve promettermi che non parlerà con nessuno di quello che le dirò? Anche per la sua sicurezza. Caspita commissario, adesso mi ha davvero incuriosito e, anche, un pò preoccupato. Stia tranquillo non farò parola con nessuno di quello che mi dirà. Glielo prometto. Dopo un ultimo momento di riflessione Alberti formulò la sua domanda. - Ha mai sentito parlare delle Tredici Sorelle? La sorpresa e la perplessità si disegnarono sul volto dell’anziano studioso. - - - Le Tredici Sorelle? Mi coglie davvero di sorpresa caro commissario. In tutti i miei anni di studio non ho mai sentito parlare di nessun gruppo religioso o setta con questo nome. E chi sarebbero? Questo non posso dirglielo, posso solo dirle che sono molto pericolose. Faccia conto di non aver mai sentito la mia domanda e trattenga la sua curiosità. Le prometto che quando questa storia sarà finita le racconterò tutto quello che potrò su queste donne. Fino ad allora eviti di parlarne e di interessarsi a loro. Va bene professore? Certo commissario, stia tranquillo, capisco da come lei ne parla che è veramente preoccupato e io seguirò il suo consiglio. Nessuna parola e nessuna ricerca. Promesso. Bene professore, la ringrazio ancora della sua gentilezza. Adesso però mi scusi ma devo proprio andare. Si figuri commissario capisco che lei ha sicuramente un brutto lavoro da svolgere. Approfitti di me tutte le volte che vuole. - Grazie ancora professore. La saluto. I due uomini si erano alzati in piedi e dopo essersi scambiati una stretta di mano il professore aveva accompagnato il suo giovane amico alla porta. Lo sguardo del professore seguì il commissario lungo il corridoio che portava agli ascensori. L’ultimo pensiero del professore quando vide le porte dell’ascensore chiudersi alle spalle del giovane fu: “speriamo che Dio aiuti quell’uomo”. Poi lo studioso rientrò nel suo studio chiudendosi al porta alle spalle. Nessuno dei due aveva fatto caso all’uomo vestito di grigio che, seduto qualche metro più indietro, li aveva osservati facendo finta di leggere un libro. E che subito dopo aver visto il commissario andare via si era affrettato a telefonare. Due telefonate, una brevissima. - Attento sta scendendo, seguilo. L’altra telefonata più lunga. - Padre Joseph, sono di nuovo all’università Il poliziotto ha parlato di nuovo con quel professore. Cosa faccio? Resta lì e sorveglialo. Quell’uomo potrebbe essere pericoloso. Non perderlo di vista un attimo. E Padre Raphael? Gli ho detto di seguire il commissario. Ho fatto bene? Benissimo, vi mando subito qualcun’altro a darvi un aiuto. Senza altre parole i due uomini misero fine alla telefonata. CAPITOLO NONO Uno dei tre uomini che la polizia di tutta Roma stava cercando, il serio e stimato professore dell’Università di Lione, Lucien Bernaud, era tranquillamente e beatamente sdraiato su un comodo letto di un piccolo appartamento situato nel più popolare dei quartieri di Roma. L’idea dell’appartamento era stata di Brigitte. Aveva fatto tutto lei, proprio tutto. Quando aveva deciso di venire anche lei a Roma con lui, al congresso, si era occupata di tutto. Aveva cercato l’appartamento in Internet, l’aveva prenotato e pagato con la sua carta di credito. Poi gli aveva fatto la sorpresa. Lei odiava gli alberghi, aveva detto, meglio, molto meglio e molto più romantico un piccolo appartamentino tutto per loro in uno dei posti più belli e più caratteristici di Roma. E così eccolo lì. Brigitte, il pensiero della ragazza procurava all’uomo, ogni volta una scarica di desiderio, e un minimo senso di colpa. Brigitte era la figlia ventenne di una coppia di suoi amici, più amici di sua moglie per la verità. La ragazza gli era stata mandata in cura proprio dai suoi genitori che l’avevano pregato e scongiurato di fare qualcosa per guarire la loro giovane figlia da una grave forma di depressione. E lui, illustre psichiatra, alla non più giovane età di sessanta anni, si era invaghito di quella ragazzina. Certo non era facile resistere a Brigitte. Alta, snella e con un viso e un corpo da far perdere la testa a chiunque. E lui non era riuscito a resistere alle avance e alle proposte sempre più evidenti della ragazza. Aveva cercato di rifugiarsi nelle professionalità, lui sapeva benissimo che la ragazza cercava in lui solo un sostituto della figura paterna, che il desiderio che lei provava per lui era dovuto al transfert e a un complesso di Edipo irrisolto, sì certo, tutto vero e tutto risaputo. Ma, quando lei si era apertamente offerta con il suo corpo nudo e con tutta la sua energia e la sua passione giovanile lui non ce l’aveva fatta a resistere. La sua professionalità, la sua razionalità e tutta la sua esperienza medica erano stati cancellati dal desiderio che quel corpo gli scatenava. Desiderio che ormai da molti anni non provava e che mai avrebbe pensato di poter riprovare, non con quella intensità e quella foga. Si era ritrovato a fare l’amore con Brigitte con la stessa energia e la stessa forza di tanti anni prima, quando era molto più giovane. Il corpo di quella ragazzina era in grado di fargli ritrovare lo slancio della sua giovinezza, quasi intatto. E così quando lei gli aveva proposto, quasi imposto, di andare a Roma con lui per avere qualche giorno tutto per loro, si era fatto convincere, con ben poca resistenza doveva ammettere. E adesso era lì a Roma da tre giorni, tre giorni passati a girare per le strade della città e a fare sesso. Brigitte era scatenata, una vera macchina del sesso. Ancora si meravigliava delle fantasie e delle improvvisazioni di cui era capace quella ragazza dal viso angelico e dallo sguardo triste. A letto Brigitte si trasformava. Tutta la sua compostezza e la sua riservatezza venivano spazzate via da una frenesia sessuale incredibile. E ora che avevano tempo a disposizione lui iniziava a risentirne. La sua età si faceva sentire ma lei era sempre capace di riaccendere il suo desiderio. Bene si disse il professore, meglio morire per un attacco di cuore durante una bella scopata che in qualsiasi altro modo. Ma non sarebbe morto di un attacco di cuore. Il rumore della porta che si apriva non lo scosse dal suo torpore. Brigitte è tornata, pensò. Avevano fatto l’amore appena svegli e lei l’aveva convinto, con un sistema molto piacevole, a non andare alla presentazione del convegno. Poi dopo averlo fatto ed essersi riposata qualche minuto Brigitte gli aveva sussurrato all’orecchio di rimanere a letto e di non muoversi, che lei sarebbe scesa a prendere qualcuno di quei favolosi cornetti caldi che si trovavano nel bar sotto casa per fare colazione. E poi dopo voleva fare di nuovo l’amore. Il professor Bernaud non era sicuro che sarebbe bastato fare colazione per riuscire di nuovo a soddisfare la voglia della ragazza ma intanto si godeva il meritato riposo e si pregustava il possibile seguito. Magari Brigitte gli avrebbe concesso un piccolo antipasto prima della colazione. Le piaceva molto baciarlo e leccarlo mentre lui era a letto con gli occhi chiusi, perciò pensò bene di rimanere immobile e di non aprire gli occhi quando sentì i passi avvicinarsi. Solo un piccolo sorriso sul suo volto rivelava che non stava affatto dormendo. Quando il grosso ago si infilò nel suo cuore, spezzandolo definitivamente, il sorriso si tramutò per un attimo in una smorfia di dolore. La mano posata sulla sua bocca gli impedì anche di lanciare un ultimo urlo. Il professore non l’avrebbe mai saputo ma a condannarlo era stata la signora Giovanna, certo involontariamente e innocentemente, ma era stata proprio la grassa signora addetta alle pulizie dell’appartamento a rivelare il suo nascondiglio d’amore. La signora Giovanna faceva le pulizie nell’appartamento per arrotondare la bassa paga che prendeva come dipendente dell’impresa di pulizia Fulgor. Tra i tanti stabili che la Fulgor curava c’era anche la Clinica Sacro Cuore di Gesù, una piccola clinica privata situata al centro di Roma. Ed era stato proprio durante il turno nella clinica che la signora Giovanna aveva raccontato, con un certo disgusto, di quel vecchio e distinto signore che si era portato a Roma una ragazzina che poteva benissimo essere sua figlia se non sua nipote. La capo sala della clinica, Suor Angelica, si era subito mostrata molto interessata al racconto della donna delle pulizie e quando la signora Giovanna le aveva riferito il nome dell’uomo, sbirciato dal passaporto appoggiato sul comodino, la suora si era subito precipitata al telefono. E aveva passato l’informazione. Poverina certo non poteva immaginare per quale motivo era stato chiesto a tutte loro di rintracciare quell’uomo, e se l’avesse saputo, forse, neanche la sua abitudine alla fedeltà e all’obbedienza sarebbe bastata a farle compiere quel gesto. La vita è sacra. Fu Brigitte a trovare il corpo senza vita e furono le sue urla a far accorrere nell’appartamento la portinaia dello stabile che, vista la scena, si era subito portata via la ragazza dopo aver chiuso la porta dell’appartamento. La signora Rosa, la portinaia, non ebbe neanche bisogno di telefonare alla polizia, visto che appena scesa dalle scale e uscita in strada per chiamare aiuto si era ritrovata davanti al portone una volante della polizia. I due agenti dell’equipaggio, l’agente Fiore e il vice brigadiere Altamura ci misero qualche secondo a capire quello che la signora Rosa stava dicendo, anche perché molta della loro attenzione era rivolta alla bella ragazza che piangeva tra le braccia della portinaia. Ma alla fine le parole morto ammazzato fecero effetto. I due poliziotti salirono in fretta le scale, l’appartamento era all’ultimo piano e senza ascensore, così alla fine della loro salita i due poliziotti avevano entrambi il fiatone e ci misero qualche secondo a riprendere fiato. La porta dell’appartamento era rimasta aperta e già dall’uscio aperto si riusciva a scorgere il letto disfatto sul quale giaceva senza vita il corpo dell’uomo. I due agenti entrarono nel minuscolo appartamento, una sola camera che fungeva da soggiorno-letto, un piccolo bagno e un minuscolo angolo cottura. Tutto era pulito, l’angolo cottura immacolato e il piccolo bagno, anche se ingombro di tutto il necessario per un lungo soggiorno, era ordinato e lindo. Uno dei due agenti dedicò la sua attenzione a ispezionare velocemente il posto mentre l’altro, il più anziano e alto in grado, si fermava davanti al letto a constatare la morte dell’anziano uomo sdraiato nudo sulle lenzuola. Poi dopo essersi scambiati uno sguardo i due agenti si misero al lavoro. L’agente Fiore richiedendo telefonicamente l’intervento di un’ambulanza mentre il vice brigadiere Altamura si prese il compito di guardare i documenti poggiati sul comodino davanti al letto. Prima gli capitò tra le mani il passaporto della ragazza, Brigitte Anzieu, venti anni, francese, bella ragazza. Il pensiero gli venne spontaneo guardando la bella foto che riempiva il documento e ricordando con un pensiero veloce la bella figliola che aveva intravisto piangere tra le braccia della signora Rosa. Il vicebrigadiere dedicò qualche attimo in più a rimirare la foto della ragazza prima di rivolgere il suo impegno e la sua attenzione all’altro documento. Lucien Bernaud, era il nome dell’uomo morto sul letto. Nonostante la foto fosse di qualche anno prima non c’erano dubbi. Aveva il volto dell’uomo proprio davanti e non poteva sbagliarsi. Sessant’anni, francese, medico diceva il documento e vecchio porco aggiunse lui. Farsela con una ragazzina di vent’anni, pensò il poliziotto non gli aveva portato fortuna. Magari un fidanzato geloso l’aveva beccato e fatto fuori. Diede un’altra occhiata veloce al documento e rilesse il nome del morto. Lucien Bernaud, questa volta il nome gli disse qualcosa. L’aveva già sentito quel nome, cavolo, l’aveva già sentito. - Fiore, cazzo, dove hai messo la lista di quelle persone da cercare con assoluta priorità? Quei tre stranieri? L’ho lasciata in macchina. Perché? Senza rispondere il vicebrigadiere si precipitò nelle scale. Adesso era quasi sicuro che il morto che avevano trovato era uno degli uomini che tutta la polizia della città stava cercando. E se era così gli conveniva muoversi alla svelta e avvisare subito chi di dovere. Davanti al portone la portinaia che ancora teneva tra le braccia la ragazza, Brigitte, si ricordò il poliziotto, che però aveva smesso di piangere, notò, cercò subito di farsi dare notizie dall’agente. - Brigadiere, allora, che è successo? Che mi dice? Devo avvisare il proprietario? Ma il vicebrigadiere Altamura era troppo preso dai suoi problemi per risponderle. Senza una parola di risposta alla portinaia si catapultò a leggere i nomi scritti sulla cartellina poggiata sul sedile della volante. Lucien Bernaud, era il primo dei tre nomi contenuti nella lista. Immediatamente il poliziotto si mise in contatto con la centrale e comunicò via radio il ritrovamento del cadavere, fornendo i particolari e l’indirizzo. Dopo pochissimi minuti la radio della volante crepitò. - - - Altamura, Altamura, sono il commissario Alberti. Rispondi. Pronto commissario, sono Altamura. Mi dica. Brigadiere mi ascolti bene; adesso le mando subito rinforzi. Isolate il posto, non fate avvicinare nessuno e controllate il palazzo dappertutto. Se nella stanza c’è un computer o qualcosa di simile controlli, se è spento lo prenda in custodia personalmente, se invece è acceso non lo tocchi e lo faccia sorvegliare attentamente. Tenga tutti i testimoni a disposizione e faccia convocare il proprietario dell’appartamento. Sono stato chiaro? Chiarissimo commissario stia tranquillo. Sarà fatto tutto come ha detto. Bene brigadiere; un’ultima cosa. Si è fatto un’idea di come è stato ucciso il professo Bernaud? Secondo la sua esperienza. Guardi penso che è stato ucciso con un’arma appuntita, molto sottile che gli ha trafitto il cuore. Un colpo secco e preciso. E’ uscito pochissimo sangue. Potrei sbagliare ma ne sono quasi certo. Bene brigadiere, probabilmente non si sbaglia. Ha avuto buon’occhio. La ringrazio e ci vediamo tra pochissimo. Grazie commissario, a sua disposizione. La comunicazione venne chiusa prima ancora che il brigadiere avesse finito di parlare. L’agente rimase seduto qualche secondo ancora nella volante. “Siamo capitati in qualcosa di grosso”, pensò, “mi conviene muovermi e stare attento a non fare cazzate”. Fece appena in tempo a scendere dall’auto che vide arrivare a sirene spiegate altre due volanti. Il tempo di fermarsi con una brusca frenata e dalle portiere subito spalancate delle auto si precipitarono fuori quattro agenti. Individuata la presenza del brigadiere si diressero in gruppo verso di lui. Evidentemente avevano avuto istruzioni precise. Uno dei quattro si incaricò di prendere la parola. - Brigadiere Altamura? Salve. Dalla centrale ci è stato ordinato di correre a questo indirizzo e di metterci a sua disposizione. Cosa dobbiamo fare? Allora allontanate tutta questa folla di curiosi, delimitate la zona con il nastro e sorvegliate la strada e il palazzo. Nessuno deve uscire dalla casa e allontanarsi fino all’arrivo del commissario. Uno di voi controlli che non ci siano altre uscite e un’altro piantoni il portone. Io e l’agente Fiore, il mio collega che è già dentro ci preoccuperemo di controllare il luogo dell’omicidio. Mi raccomando, attenzione e prudenza. Se ci sono problemi mi trovate all’ultimo piano, almeno fino all’arrivo del commissario prenderete istruzioni da me. Adesso diamoci da fare. Senza aggiungere altro il sottufficiale lasciò gli agenti al loro lavoro e si diresse di nuovo verso l’interno del palazzo. Lungo il percorso si fermò a parlare con la portinaia e la ragazza. - - Tutto bene? Mi sembra che la ragazza si sia ripresa abbastanza; adesso la porti in portineria, un agente sarà lì davanti al portone, in caso di bisogno chiamatelo subito. Capito? Certo brigadiere, stia tranquillo. Resto io con la ragazza e se qualche malintenzionato dovesse farsi vedere non esiterò a lanciare un urlo a quel vostro bravo agente che è già davanti al portone. Infatti seguendo le istruzioni del proprio superiore uno degli agenti appena arrivati si era già piazzato davanti all’ingresso del palazzo, proprio davanti alla portineria. - Bene signora, la ringrazio della collaborazione. Ah un’ultima cosa. Mi chiami il proprietario dell’appartamento. Gli dica di venire qui immediatamente. Salutata la portinaia il brigadiere Altamura iniziò la sua risalita sulle scale. Arrivato in cima trovò l’agente Fiore che lo aspettava davanti alla porta. - - Novità brigadiere? E grosse pure. Il morto è uno degli uomini che stanno cercando. Appena l’ho comunicato è scoppiato un putiferio. Il commissario Alberti in persona mi ha contattato dopo neanche un minuto per darmi istruzioni precise. Perciò diamoci da fare. Hai visto per caso un computer nella stanza? Computer? No, no mi pare. E’ importante? Il commissario pensa di sì. Adesso guardiamo meglio e se lo troviamo bisogna sorvegliarlo a vista. Così mi ha detto e così faremo. Va bene brigadiere, non si preoccupi. Se c’è non è certo andato via in questi minuti. Adesso controlliamo meglio. I due poliziotti rientrati nell’appartamento si misero subito all’opera. Ci volle pochissimo tempo per accertarsi che non c’era nessun computer nella stanza. - Niente brigadiere, nessun computer. Adesso cosa facciamo? Un rumore di passi sulle scale impedì al brigadiere di rispondere. I due agenti fecero appena in tempo a voltarsi che dalla porta d’ingresso entrò un giovane alto che entrava deciso e sicuro nella stanza. - - - Brigadiere, buongiorno. Sono il commissario Alberti. Ho visto che ha fatto tutto quello che le avevo detto. Bene, la ringrazio del buon lavoro svolto. Adesso mi dica tutto quello che sa. Avete trovato il computer del professore? Buongiorno commissario. No nella stanza non c’è nessun computer. E quello che sappiamo non è molto. Ci hanno ordinato via radio dalla centrale operativa di venire a questo indirizzo; appena arrivati una ragazza in lacrime ci ha detto che c’era un uomo morto nell’appartamento e siamo saliti a controllare. Abbiamo trovato il cadavere così come lo vede, non abbiamo toccato nulla, solo i documenti sul comodino per vedere chi fosse il morto e quando ho letto il nome dell’uomo assassinato mi sono ricordato della segnalazione di ricerca inviataci dalla centrale e sono sceso giù a controllare sulla lista. Appena ho avuto conferma che era proprio uno di quei tre ricercati ho avvisato la centrale. E poi ho fatto quello che lei mi aveva ordinato. Complimenti brigadiere, ottimo lavoro. Adesso mi dica; avete incrociato qualcuno salendo le scale? Sentito qualcosa? Nulla commissario; siamo stati attenti anche perché non sapevamo bene cosa potesse essere successo, e appena entrati nell’appartamento abbiamo controllato dappertutto, anche se non c’erano molti spazi dove - - nascondersi, ma non abbiamo trovato nessuno. Evidentemente l’assassino era già andato via. E’ più probabile l’assassina brigadiere; molto più probabile. Pensa che sia stata la ragazza commissario? Perché quando siamo arrivati mi sembrava davvero molto sconvolta; a prima vista non sembra proprio una capace di ammazzare qualcuno. Probabilmente ha ragione brigadiere, la ragazza probabilmente non c’entra nulla. Se fosse una di quelle che stiamo cercando non l’avrebbe certo trovata in lacrime ad aspettare voi. No lei probabilmente non c’entra ma un’altro tipo di donna sì. Comunque grazie, tornate ai vostri compiti, adesso qui ci pensiamo noi. Grazie ancora e buon lavoro. Il brigadiere e l’agente non avevano capito molto dalle parole del commissario ma erano ben felici di lasciare quella patata bollente nelle mani di qualcun’altro. Così senza aspettare altro salutarono il giovane commissario e si avviarono all’uscita. Sulle scale un’altro spettacolo insolito completò la loro strana giornata. Sul pianerottolo stazionavano confabulando tra di loro tre persone che davvero formavano un gruppo ben strano. L’ispettore Leonardi, che entrambi conoscevano bene, una sventola di ragazza tipo pin up di playboy e un uomo sulla trentina che, a giudicare dall’abito e dal collare, sembrava proprio un prete. I due poliziotti rivolsero uno sguardo sorpreso allo strano trio ma dopo aver ricevuto il saluto dell’ispettore e averlo rispettosamente salutato alzando la mano al berretto pensarono bene di non fare domande e di non impicciarsi oltre di quella storia. L’ispettore li vide scendere le scale con un ultimo sguardo indietro. - Leonardi, vieni dentro. La voce dal commissario distolse l’ispettore dai suoi pensieri. Facendo cenno a Padre Joseph di restare fuori dalla porta l’ispettore, seguito dalla ragazza, entrò nell’appartamento. Con un rapido sguardo notò il cadavere sul letto, il resto della piccola casa, in ordine e pulito, e il suo capo che osservava accigliato i documenti che gli erano stati lasciati in custodia dal brigadiere Altamura. - - - - Solita storia Leonardi. Sembra proprio un’altro lavoretto delle nostre care sorelle. Appena arriverà il Dr. Stoppani ce lo confermerà ma sono certo che l’arma usata è la stessa. E sono anche certo che il professore un computer ce l’aveva. Ho ispezionato i bagagli e dentro una delle valigie ci sono dei Cd e una batteria di riserva per PC. Le sorelle hanno trovato anche questa volta quello che cercavano. Siamo arrivati tardi ancora una volta. E adesso che facciamo commissario? Non lo so bene, per ora andiamo giù e interroghiamo la ragazza, Brigitte Anzieu, vediamo di capire perché era qui con il professore e se può esserci utile. Ne dubito molto, presumo che sia solo una piacevole scappatella che si era preso il nostro professore, ma farci due chiacchiere non potrà certo farci male. E la portinaia? E i vicini? Hai ragione; tu e Caterina bussate a tutti gli appartamenti del palazzo. Vedete di scoprire se qualcuno ha visto o sentito qualcosa, io intanto parlo anche con la portinaia. Ma sono maledettamente sicuro che non ci diranno niente di utile; anche questa volta le sorelle sono state rapide e silenziose. Va bene commissario, intanto ci proviamo. - OK, lascia un agente di guardia all’appartamento, quando arriva Stoppani vedi se ti dice subito qualcosa. Quando avete finito ci vediamo a piano terra. Senza altre parole i due uomini e la ragazza si misero all’opera. Mentre Leonardi e l’agente del FBI iniziavano il loro giro tra gli appartamenti Alberti sceso al piano terra si infilava nella portineria accolto dal saluto dell’agente di guardia, dal pianto della ragazza che era ripreso e dalla voce materna di Rosa, la portinaia, che cercava di consolare la giovane francese. - Su, signorì, cercate di calmarvi. Adesso dovete cercare di calmarvi, vedete che poi le cose si aggiustano, siete na ragazzina, state tranquilla. La ragazza confortata dalla voce e dalle carezze della giunonica portinaia smise di piangere e usando un fazzoletto che Alberti si era premurato di offrirle si asciugò le lacrime. Poi notata la presenza del commissario si lasciò sfuggire anche un accenno di sorriso alla vista del giovane poliziotto che la sovrastava in piedi. La gioventù fa presto a riprendersi. Alberti approfittò subito per iniziare il suo lavoro. - Signorina, mi scusi la mancanza di tatto ma ho bisogno di farle subito alcune domande. Sono il Commissario Alberti, della polizia italiana, e ho idea che la morte del professor Bernaud sia strettamente collegata ad altri omicidi che sono avvenuti in questi giorni a Roma. Perciò ho necessità di farle alcune domande. Immediatamente. Se la sente di rispondere? Capisce l’italiano? Lo sguardo della bella francese esprimeva stupore e meraviglia ma non a causa della lingua che parlava e capiva benissimo ma per il fatto di venire a sapere che la morte del suo, amante?, terapeuta?, il dubbio la colpì dolorosamente, fosse collegata in qualche modo a tutta una serie di omicidi e non fosse solo la tragica conseguenza di una rapina, la prima ipotesi che le era venuta in mente vedendo il corpo senza vita di Lucien. Comunque si fece forza e si premurò di rispondere alle prime domande del commissario. - Stia tranquillo commissario, parlo bene l’italiano e capisco anche che è necessario farmi forza e rispondere alle sue domande. Chieda pure. La voce della ragazza era molto piacevole, roca e sensuale, e il suo italiano appena velato da una leggera pronuncia francese era molto affascinante. Come cavolo aveva fatto una ragazza del genere a mettersi con quell’uomo morto nel letto? La domanda emerse inopportuna e non voluta nella mente del commissario. Che subito la scacciò per concentrasi sulla ragazza. - Le chiedo scusa signorina ma devo farle anche domande di natura privata. Può dirmi in che rapporti era con il professore? La ragazza si prese qualche secondo di riflessione prima di rispondere. - Penso di dover essere sincera con lei, caro commissario. Lucien, il professor Bernaud, è, era un caro amico dei miei genitori e proprio per questo aveva accettato di prendermi in cura per una grave forma di depressione che mi accompagna da molti mesi. Poi, come avrà già capito, i nostri rapporti sono cambiati e siamo diventati amanti. E posso assicurarle, per rispetto alla memoria del professore, che l’iniziativa e la colpa di questo è stata tutta mia. Lui ha cercato di resistere e convincermi a cambiare anche medico ma io ero completamente presa dal nostro rapporto e l’ho banalmente sedotto. - Va bene signorina, tutto questo ora non ha più importanza. Mi dica, come avete organizzato questo viaggio? Chi sapeva del vostro soggiorno a Roma in questo appartamento? - Credo assolutamente nessuno, commissario. Come lei ben capirà abbiamo fatto tutto molto discretamente, anzi ho programmato e preparato tutto io. Ho prenotato l’appartamento tramite un sito internet e ho pagato con un bonifico bancario, senza neanche usare la carta di credito. Lucien era terrorizzato dal fatto che qualcuno potesse scoprire il nostro viaggio insieme. “Ci credo bene”, pensò il commissario, “era roba da cancellazione dall’albo e forse anche da denuncia penale. Il professore si era fatto convincere e sedurre dalla ragazzina ma non era scemo”. - Ho capito. E una volta a Roma avete incontrato qualcuno? Ha notato se qualcuno vi ha seguiti? Penso proprio di no commissario, sono quasi certa. Siamo stati quasi tutto il tempo chiusi in camera e Lucien era troppo stanco per uscire o fare vita notturna. Capisco. Quindi lei non sa spiegarsi come sia stato possibile per chi l’ha ucciso scoprire dov’era? Le assicuro di no. Da parte mia ero convinta fino a pochi minuti fa che l’omicidio fosse opera di un ladro, un rapinatore entrato in camera per rubare. Non riesco a trovare nessun’altra ragione per la morte di Lucien. Le parole della ragazza furono una nuova fonte di preoccupazione per il commissario. Le Sorelle erano ben organizzate e avevano molte amicizie in città. Riuscire a trovare il professore in quella situazione dimostrava che le loro fonti di informazione erano molte e molto efficienti. - “Molto più delle nostre” pensò il commissario. La voce di Padre Joseph alle sue spalle lo colse di sorpresa, immerso com’era nei suoi pensieri. - Gliel’avevo detto commissario. Le donne che stiamo cercando hanno moltissime amicizie a Roma e tanti modi per avere informazioni e scoprire anche i segreti più nascosti. E non hanno nessuno scrupolo; si ricordi che per loro quello che stanno facendo è ispirato direttamente dalla Santa Madre. Sono fanatiche assassine ma molto furbe e molto veloci. Lo sguardo del commissario non era certo amichevole. - - - Ha ragione padre; lei me l’aveva detto ma devo anche ricordarle che queste stesse assassine sono libere di fare quello che stanno facendo proprio a causa vostra. Potevate starci più attenti. Commissario mi scusi, il mio non voleva certo essere un rimprovero al vostro lavoro. Volevo solo sottolineare che la forza delle nostre avversarie deve rafforzare la nostra collaborazione. Le assicuro che anche la Chiesa ha molti amici e molte conoscenze e sono state tutte messe all’opera per darci un aiuto. Sono sicuro che presto i nostri sforzi uniti daranno i loro frutti. Mi scusi anche lei padre. Sono stato troppo brusco, ha ragione lei. Dobbiamo unire i nostri sforzi per trovare quelle donne. Hanno già versato troppo sangue nella mia città, e anche io le assicuro che non mi fermerò fino a quando non le avrò prese e consegnate alla giustizia. Adesso vediamo se Leonardi e Caterina hanno notizie altrimenti ci conviene tornare subito in centrale. Voglio aumentare il livello di sorveglianza delle volanti e di tutti gli agenti disponibili. La voce di Leonardi gli diede la risposta che voleva. - - Nessuna notizia utile commissario; nessuno ha visto o sentito niente. Il Dr. Stoppani è arrivato e ha confermato con quasi assoluta certezza i nostri sospetti. L’arma che ha ucciso il professor Bernaud è la stessa, o una molto simile a quella degli altri omicidi. Un colpo solo, preciso e senza resistenza. L’uomo doveva essere addormentato o comunque molto rilassato. Quelle donne sanno come muoversi senza dare nell’occhio e senza lasciare tracce. Tranne i cadaveri. Era stata Caterina a sottolineare con quelle tre parole la terribile situazione che stavano affrontando. Per qualche secondo tutti e quattro restarono in silenzio. Poi fu il commissario a dare la scossa a tutti. - Va bene, è inutile piangerci addosso. Diamoci da fare. Leonardi, raccogli la deposizione della ragazza e poi falla scortare fino a quando sarà possibile farla ripartire per la Francia. Caterina cerca di contattare le tue fonti a Roma e fai in modo che anche loro aumentino l’impegno sulla ricerca di quelle donne. E lei padre solleciti i suoi amici e le sue conoscenze, a qualsiasi livello, e usi tutta l’autorità del Vaticano per cercare di scoprire qualcosa. Il giovane commissario si stava già muovendo quando pensò di aggiungere sempre rivolto al prete. - E visto che c’è rivolga pure una preghiera al suo principale. E senza aggiungere altro il gruppo si avviò verso le volanti in attesa. CAPITOLO DIECI Anna era seduta su una panchina di Villa Borghese. Il suo sguardo era quasi sempre concentrato su una piccola figura che correva instancabile da un punto all’altro del parco, raccogliendo foglie e pietre che poi lasciava in consegna a sua madre. Iacopo occupava anche interamente i suoi pensieri e le sue preoccupazioni; non era facile crescere da sola, senza un padre e un compagno, un figlio. Ma da qualche giorno un’altra persona si insinuava a volte, sempre più spesso, nei suoi pensieri. Alberto, il commissario Alberti, le ritornava spesso in mente. Le era piaciuto subito, con la sua aria riservata e il suo comportamento cortese e quasi timido. Aveva capito subito che era un uomo onesto e di cui potersi fidare e pensava, in un’altro contesto avrebbe accettato volentieri di conoscerlo meglio. L’ultima vota che l’aveva visto le era sembrato ancora più simpatico e interessante; il tempo trascorso in sua compagnia le era volato via in un attimo, piacevole e rilassante, e si era lasciata convincere a dargli il suo numero di cellulare. Ma forse era stato uno sbaglio. In quel momento della sua vita non poteva permettersi una storia, una relazione. Troppe cose da fare, troppi impegni e pensieri e, soprattutto, non aveva ancora metabolizzato la fine della storia con il papà di Iacopo. Ancora ne soffriva e non era sicura di avere la forza di riprendersi da un’altra, eventuale, storia finita. Non era ancora pronta a impegnarsi di nuovo, a soffrire di nuovo. Persa nei suoi pensieri non notò minimamente l’uomo vestito in grigio che la sorvegliava discretamente, in silenzio, leggendo un libro su una panchina poco lontano dalla sua. Padre Raphael non capiva perché dovesse passare il suo tempo seguire quella ragazza ma così gli era stato ordinato e lui era abituato a obbedire agli ordini. Si consolò pensando che, in fondo, leggere la Bibbia seduto su una comoda panchina di Villa Borghese era un modo fin troppo facile di servire il Signore. Dopo un altro sguardo lanciato verso la ragazza si rimise tranquillo a leggere i suoi salmi. Intanto in un’altra zona di Roma, non molto lontana, un fatto clamoroso sconvolgeva la città Fu Padre Joseph a dare la notizia al commissario e ai suoi collaboratori. Dopo aver dormito poche ore per recuperare le forze, il gruppo era riunito nell’ufficio del commissario per fare il punto della situazione dopo il ritrovamento del cadavere di Lucien Bernaud. Tutti erano d’accordo su alcuni punti. Le Sorelle si muovevano velocemente, efficienti e decise e loro avevano ben poche speranze di ritrovarle. Il caso fortunato di essere riusciti a beccarne due era stato un vero e proprio colpo di fortuna, unita a una fulminea intuizione del commissario, ma era difficile immaginare altri colpi di fortuna simili. - Da vive avrebbero potuto darci qualche informazione, magari saremmo riusciti a farle parlare, ma così non ci è rimasto in mano nulla. Un vero peccato. Mi dispiace commissario, davvero. So di essere stato un imbecille ma in quel momento mi è venuto solo in mente di salvare Maestri. L’agente De Cicco sentendosi chiamato in causa dal suo superiore si era sentito in dovere di scusarsi di nuovo. - Lascia perdere. Non è stata certamente colpa tua. Non volevo dire questo. So benissimo che in una situazione come quella la cosa più importante era salvare Maestri. Adesso non pensiamoci più. Cerchiamo di farci venire un’idea. Il silenzio che seguì le parole del commissario fu rotto dalla suoneria del cellulare di Padre Joseph. Imbarazzato il prete si affrettò a rispondere. Poche parole e poi la conversazione venne interrotta. Alla fine della telefonata il viso del prete aveva un’aria preoccupata. Incredula e preoccupata. Restò in silenzio a guardare il cellulare spento in mano. - E’ successo qualcosa padre? - - Sì commissario. Qualcosa di molto grave e molto strano. Qualcosa di inaudito che mai avrei potuto pensare accadesse. Mi hanno appena avvisato che i Musei Vaticani sono chiusi. L’apertura è stata prima rimandata e poi è stato annunciato che per oggi i musei non apriranno. E per quale motivo? Questa è la cosa che mi sconvolge. Sembra che siano stati trovati all’interno del museo due uomini uccisi. Le parole del prete lasciarono i presenti di sasso. Due uomini uccisi nei Musei Vaticani erano una cosa difficile da credere. Quasi impossibile. Com’era possibile uccidere due persone in uno dei luoghi più protetti e sorvegliati del mondo. Questa era la domanda che tutti si ponevano. Dopo qualche attimo di silenzio fu ancora il commissario a parlare. - Si sa chi sono? Hanno preso chi li ha uccisi? Mi dispiace commissario. Non mi hanno detto nulla. Le notizie, come capirà, sono ancora poche e confuse. Il mio collaboratore non sapeva nient’altro di preciso. Solo che c’è molta agitazione e che i Musei sono stati circondati dagli agenti della gendarmeria vaticana. Per ora non si sa altro. Certo, capisco. Ancora il silenzio piombò nella stanza. Fu Caterina a romperlo stavolta. - Alberto dobbiamo andare lì. Lì dove? Ai Musei Vaticani. Sono sicura che questi omicidi hanno qualcosa a che fare con le Sorelle. Perché? - - Diciamo una intuizione ma anche un ragionamento. Fatti così strani che accadono nello stesso momento non possono non avere qualcosa in comune. Naturalmente non so cosa ma ho la forte sensazione che i due omicidi siano collegati al nostro caso. Forse hai ragione Caterina ma in ogni caso non abbiamo modo di entrare ai Musei. I Musei fanno parte della Città del Vaticano e lì noi non abbiamo nessuna autorità sono fuori, come dire, dalla nostra giurisdizione. Se anche ci presentassimo lì non ci farebbero neanche entrare. Leonardi aveva bloccato la foga di Caterina con le sue parole. Aveva perfettamente ragione. All'interno del Vaticano loro non potevano entrare, se non come visitatori. - - L’ispettore ha ragione cara ragazza. Il Vaticano è uno stato autonomo nel quale la polizia italiana non ha nessuna autorità. Tanto più in una situazione così delicata come questa. Un omicidio all’interno dei Musei è un fatto inaudito. E sono sicuro che il primo intento dei miei superiori sarà quello di darne la minore pubblicità possibile. Ci penserà la gendarmeria vaticana a risolvere la questione senza intromissioni esterne. Caro Padre, vedo che le piace la collaborazione solo quando le conviene. Mi meraviglia la sua poca sensibilità. Per due motivi. Il primo è che quando lei ha chiesto il nostro aiuto le è stato subito fornito. Il secondo è ancora più importante. Se la sensazione di Caterina è esatta, e anche io ho avuto la stessa idea, se i due omicidi sono collegati in qualche modo alle Sorelle, dovrebbe essere nel suo come nel nostro interesse darci una mano a sapere quello che è successo nei Musei. La voce del commissario era fredda e lo sguardo che stava lanciando al prete non era certo amichevole. Non gli era piaciuta la sparata del prete che già sopportava a stento. - - Commissario, mi dispiace che se la sia presa. Non volevo essere poco collaborativo. Ma ad essere sincero non penso proprio che il tragico fatto accaduto questa notte ai Musei possa essere collegato alle Sorelle. Mi sembra troppo, come dire, da romanzo. A lei forse sembrerà da romanzo ma io voglio saperne di più. E se lei non vuole fornirmi la sua collaborazione ritengo sia il caso di non fornirle più la nostra. Perciò la saluto. Le parole del commissario furono accolte dal prete come uno schiaffo in pieno viso. Una smorfia di rabbia incrinò per un breve attimo il suo viso di solito impassibile e imperscrutabile. Poi con uno sforzo il prete ritornò calmo. - Commissario lei forse dimentica che la sua, come dire, collaborazione le è stata richiesta, direi imposta da una persona molto importante del suo governo. Lei capisce che se dovesse decidere diversamente io sarei costretto a segnalare la sua decisione a chi di dovere. Con esiti e conseguenze che può forse immaginare. Il lieve sorriso di compiacimento sulle labbra del prete fece perdere definitivamente le staffe al commissario. - Mio caro padre Joseph le sue neanche tanto velate minacce non mi convinceranno a cambiare idea. Con riluttanza ho accettato di collaborare con lei, dopo aver sentito la storia delle Sorelle speravo di ricevere da parte sua un aiuto per porre fine a questa storia, ma mi sono accorto che lei ha un solo scopo: nascondere i fatti e far sparire le sue stramaledette Sorelle. Come capirà io ho altri obiettivi. Io voglio fermare questa catena di morti e sbattere in galera i responsabili. Perciò adesso la saluto definitivamente e lei avvisi pure chi vuole. Il prete rimase in silenzio qualche istante. Cercava qualcosa da dire per spingere il commissario a tornare sulla sua decisione ma il viso impassibile del suo interlocutore gli fece capire che non c’era da sperare in un suo ripensamento. Cercò allora sostegno con lo sguardo nelle altre due persone presenti ma né l’ispettore né l’agente americano mostrarono la minima solidarietà. Senza aggiungere altro e senza salutare Padre Kolzer uscì dalla stanza. - - Complimenti commissario. Quel pretucolo mi stava davvero sulle scatole. Perciò non voglio certo dire che ha fatto male a cacciarlo ma adesso abbiamo un problema. Se prima avevamo poche speranze di avere qualche notizia su quello che è successo in Vaticano adesso le nostre speranze sono praticamente pari a zero. Forse hai ragione Leonardi ma non sono riuscito a trattenermi. Quell’uomo mi ha dato sui nervi subito. Però ho ancora una speranza. Una speranza? E quale? Paolo Benelli. Caspita commissario, è vero. Paolo Benelli, ex colonnello dei carabinieri era da qualche mese comandante della gendarmeria vaticana. Dopo venticinque anni passati nell’arma era stato chiamato dalla curia romana a capo della gendarmeria. Tra il commissario e Benelli c’era una lunga e solida amicizia, amicizia basata sulla stima reciproca e cementata da lunghe giornate passate insieme durante delicate e pericolose indagini. Paolo Benelli poteva essere la persona giusta per entrare nei segreti vaticani. Senza esitare Alberti cercò il numero di Benelli sul suo cellulare e premette il tasto invio. Il numero era libero ma per lunghi, interminabili secondi non ci fu risposta. Poi la chiamata venne rifiutata. Alla chiusura della comunicazione Alberti guardò quasi con odio il suo telefono come se la colpa fosse dell’oggetto che teneva in mano. Pensò qualche attimo poi decise di fare un altro tentativo. Forse Paolo avrebbe capito che era una cosa importante. Rifece il numero. Ancora libero. Gli squilli si succedevano ma senza risposta. Questa volta fu lui a decidere di rinunciare, stava per schiacciare il tasto di fine chiamata quando la voce di Benelli lo raggiunse. - Alberto scusa ma è davvero una giornata dannata. Non posso parlare, ci sentiamo dopo. Il commissario lo bloccò subito. - - Paolo ascolta, so che sei in un grosso casino e non ti chiamo per salutarti. Sono anche io in un casino dannatamente grosso e se ti chiamo è solo perché ho la sensazione che i nostri due casini siano, in qualche modo, collegati. Non so dirti bene in quale modo ma ne sono convinto. Non capisco. Lo so Paolo che non puoi capire. E so anche che non puoi perdere molto tempo. Ti chiedo solo un minuto. Ascolta ti mando un messaggio, un elenco di nomi, i primi quattro sono stati ammazzati in questi ultimi giorni. Se leggendo i nomi trovi un qualche collegamento con quello che è successo stanotte lì da voi decidi se chiamarmi. Se non ti sento vuol dire che mi sono sbagliato. Va bene? Dall’altra parte una lunga pausa. - - Va bene Alberto. Effettivamente non capisco ma ti conosco bene e ho troppa stima di te per non darti un minuto del mio tempo. Mandami quei nomi. Poi vedremo. Per ora ti saluto e in ogni caso spero di sentirti e vederti con più calma appena possibile. Ok grazie Paolo. Senza perdere altro tempo Alberti digitò i nomi dei sei psichiatri e li spedì al numero di Benelli. I pochi secondi che passarono tra l’invio del messaggio e la telefonata sembrarono durare un secolo ai tre in attesa nella stanza. Al primo squillo del cellulare di Alberti i tre balzarono in piedi, incapaci di restare ancora fermi. Prima ancora che il commissari potesse guardare il nominativo del chiamante Leonardi e Caterina chiesero insieme: E’ lui? Dopo un breve sguardo al visore il commissario annuì affrettandosi a rispondere. - Ciao Paolo. Allora non mi sono sbagliato. Ciao Alberto che io sia dannato, e non dovrei usare questo linguaggio qui, ma hai ragione. Uno dei tuoi nomi è collegato al mio casino. Però per telefono non posso dire altro. Puoi raggiungermi ai Musei. Ti aspetto tra dieci minuti all’ingresso laterale per farti entrare. - - Va bene Paolo, però devo portare con me il mio vice, Leonardi, e un agente del FBI che collabora con noi in questo caso. Va bene, sarà complicato ma non posso certo dirti di no. Sono troppo curioso di sentire la tua storia e, detto tra noi, ho bisogno di tutto l’aiuto disponibile per cercare di capirci qualcosa. Venite pure, vi aspetto. OK Paolo, saremo lì in pochi minuti. Senza perdere altro tempo il commissario scattò. - Leonardi, Caterina andiamo. Poi uscendo dalla stanza lanciò un urlo. - Malinverni fammi trovare un auto pronta davanti al portone. L’urlo del suo superiore fece sobbalzare il piantone che rendendosi conto dell’agitazione del suo capo si affrettò a telefonare all’ingresso. All’arrivo dei tre l’auto era già pronta con il motore acceso. Con lo sportello ancora mezzo aperto Alberti diede la destinazione all’autista che con una sgommata partì verso il Vaticano. In pochi minuti arrivò a destinazione. Sulla porta il comandante Benelli era già in attesa. - Ciao Alberto, Leonardi sempre in gran forma. E questa splendida ragazza sarebbe l’agente del FBI? Nonostante la tensione l’accoglienza fu calda e cordiale. - Esatto Paolo. L’agente Foster, Caterina per gli amici. E anche tu sei in gran forma. Me la cavo. Ma i cinquanta si sentono. Beh lei non li dimostra proprio comandante. Le parole di Caterina e il suo sorriso accompagnate dalla sua mano allungata verso quella del comandante illuminarono per un secondo la buia giornata di Benelli. - - Troppo gentile signorina. La ringrazio e sono felice di fare la sua conoscenza. Adesso finiamola con i convenevoli e seguitemi. Durante il tragitto vi racconterò quello che sappiamo. Poi voi mi racconterete quello cha sapete voi. Va bene Paolo. Solo una domanda. Quale dei nostri nomi ti ha colpito? E perché? Kurt Wermayer. E il perché è presto detto. E’ uno dei morti che abbiamo trovato. Porca miseria. L’imprecazione sfuggì dalla bocca di Leonardi che si guadagnò lo sguardo di disapprovazione del comandante Benelli, del suo capo e della ragazza americana. - Scusate, mi è scappato. Non si preoccupi ispettore. La capisco. E l’altro morto chi è? Fu Caterina a porre la domanda. - Suo fratello, il cardinale Hans Wermayer. Questa volta anche il commissario dovette trattenersi per non lanciare una solenne imprecazione. - Caspita, sempre più complicata la situazione. Hai ragione Alberto, molto complicata. Venite adesso andiamo che intanto vi ragguaglio. Salutati dal saluto rispettoso al loro capo dei gendarmi di guardia alla porta i tre amici accompagnati e scortati da Benelli entrarono nei locali del museo più famoso del mondo. CAPITOLO UNDICI Il percorso non fu lungo. I corridoi che percorsero erano deserti con la sola presenza dei custodi che schierati ai lati lungo i muri, a pochi metri l’uno dall’altro, sorvegliavano i locali stranamente vuoti e silenziosi. Al passaggio del gruppo tutti salutavano con un breve cenno il capo della gendarmeria e molti non mancavano di lanciare uno sguardo alla bellezza bionda che lo seguiva. Durante il tragitto Benelli si incaricò di fornire un breve resoconto dei fatti accaduti quella notte. I due poliziotti lo ascoltavano attenti e silenziosi senza degnare di uno sguardo le molte opere d’arte esposte mentre l’agente americano era praticamente incantata dal posto. E come non capirla. Era la prima volta che veniva in Italia e che visitava quel posto favoloso. Occasione resa ancora più speciale dalla tranquillità insolita di cui poteva godere. I suoi occhi passavano rapiti dai soffitti alle pareti ricoperte di quadri e arazzi, ai pavimenti e agli oggetti esposti in ogni angolo del museo. Rapita e affascinata da tanto splendore la ragazza faceva fatica a prestare la propria attenzione alle parole di Benelli. Il racconto del comandante fu comunque breve. I fatti erano presto detti. - - - Questa mattina i custodi incaricati del primo giro di controllo hanno trovato uno degli archivi riservati aperto. Si sono naturalmente insospettiti e mi hanno chiamato. Senza entrare come è previsto dai nostri regolamenti. Scusa Paolo, ma cosa sono questi archivi riservati? Sono stanze che contengono documenti particolarmente importanti e delicati. Sono stanze nascoste la cui collocazione è conosciuta solo dai più stretti e fidati collaboratori dei musei. L’accesso in quelle stanze è riservato a pochissime persone e solo su autorizzazione del Santo Padre in persona. Perciò puoi capire che trovarne una aperta di primo mattino ha subito fatto scattare l’allarme. Quando sono arrivato sono entrato solo io. A terra c’erano due cadaveri. Assassinati. Hai potuto capire come? Da un primo esame che ho fatto mi è sembrato che siano stati pugnalati con un oggetto lungo e molto sottile. Una specie di ago. Il commento del suo amico commissario sorprese l’ex carabiniere che però trattenne la sua curiosità per dopo. - - - Potrebbe essere come dici tu. Poi mi spiegherai come fai a saperlo. Comunque dopo aver fatto bloccare l’ingresso ai musei ho controllato con più calma la stanza senza trovare nessuna traccia o indizio. Conoscevi di persona le due persone assassinate? Certo. Il cardinale Hans Wermayer è, era, uno dei più stretti collaboratori del papa. Si conoscevano da molti anni e avevano frequentato anche alcuni corsi teologici insieme. Suo fratello Kurt era uno stimatissimo psichiatra e quando veniva a Roma era sempre ospite del cardinale. Per questo non lo trovavamo. Il commento di Leonardi non ricevette risposta. Nel frattempo il gruppo era arrivato nei locali della Biblioteca Vaticana. Preceduti da Benelli si diressero verso uno dei grandi saloni della biblioteca. I muri erano ricoperti di enormi scaffali colmi di libri e proprio in fondo al salone un gruppo di sorveglianti formava una specie di muro umano, quasi a nascondere qualcosa. All’arrivo del comandante e ad un suo cenno si spostarono rivelando l’ingresso a una stanza nascosta. La porta era aperta verso l’interno. - La porta è nascosta da quello scaffale che adesso vedete spostato di lato. Effettivamente un grosso scaffale colmo di libri era spostato di lato alla porta aperta. - Non deve essere stato facile spostare quel coso. - Ti sbagli Alberto. Lo scaffale si muove su un binario nascosto e si sposta da solo muovendo una leva nascosta dietro i libri. Facile, per chi lo sa. Certo che questo posto è davvero una fabbrica di misteri. Hai perfettamente ragione. Il Vaticano nasconde segreti e misteri tali che penso nessuno li conosca tutti. Un sorriso attraversò il viso del comandante Benelli. - Adesso entriamo. Non dovrei farvi entrare ma a questo punto ho capito che anche voi avete informazioni utili per me perciò mi assumo questa responsabilità. Al massimo torno a fare il carabiniere. Non i dispiacerebbe neanche tanto. I quattro entrarono nella stanza. La stanza era grande, più grande di quanto si potesse immaginare. Era lunga circa dieci metri e larga almeno la metà. Le pareti erano interamente coperte, fino al soffitto, di grossi armadi, alcuni aperti altri chiusi, pieni di libri, documenti vari e faldoni pieni di carte che sembravano molto antiche. Per qualche attimo i tre visitatori restarono a bocca aperta a guardare. Oltre agli armadi la stanza conteneva solo un tavolo di legno di circa un metro per un metro e due sedie, proprio al centro della stanza e due sedie, anch’esse di legno situate su due lati diversi. Per permettere la consultazione dei libri e dei documenti. Per terra, vicino al tavolo, uno su un lato e uno sull’altro i due cadaveri. Con il viso rivolto verso l’alto e due sottili fori all’altezza del petto. Sul tavolo una specie di chiave appoggiata. Di ferro con un grosso cerchio come impugnatura, lunga circa dieci centimetri e con una strana punta di forma ottagonale. Nessun libro o documento era posato sul tavolo o sembrava mancare dagli armadi. Sembrava tutto in ordine. A parte i cadaveri. Alberti esaminò ancora una volta la stanza. Niente di utile. Solo sul battente della porta appoggiato al muro un simbolo. Il numero XV in caratteri romani. La curiosità lo spinse a una domanda. - Cos’è quel numero sulla porta? Benelli lo guardò sorridendo. - - - Sempre attento ai dettagli commissario? Nei dettagli si nasconde il demonio. Non nominare quel nome qua dentro, blasfemo. Comunque è solo un numero. Gli archivi segreti sono catalogati e numerati per capire quali documenti sono conservati in ognuno di essi. E ognuno ha una chiave differente. Se esamini quella chiave troverai lo stesso numero. E per avere la chiave ci vuole un permesso personale del Curatore degli archivi. Che non lo concede tanto facilmente. E in questa stanza che documenti ci sono? Mi dispiace Alberto questo non lo so e non posso saperlo neanche io. I libri e documenti conservati in ogni archivio sono uno dei segreti più segreti dell’intero Vaticano. Sono documenti, testi, lettere che contengono informazioni così importanti e così pericolose per la stessa sopravvivenza della Chiesa che per molti secoli la chiesa ha raccolto e custodito. Molte persone hanno lottato, sofferto e perso la vita per recuperarli e portarli al sicuro in modo che si perdesse memoria non solo del loro contenuto ma della loro stessa esistenza. Capisci perciò che l’accesso queste stanze e la consultazione di questi documenti è riservato a pochissimi eminenti personaggi. E io non sono tra questi. E il cardinale Wermayer era uno di quelli? - - Esattamente. Uno dei più eminenti. Solo questo spiega come gli sia stato possibile entrare in questa stanza di notte e con un’altra persona insieme. Ti assicuro che non deve essere stato facile neanche per lui. Deve aver avuto motivi veramente speciali per convincere il Curatore degli Archivi o addirittura qualcuno più in alto ad autorizzarlo. Chissà cosa cercavano? Caterina si era riavuta dalla sua meraviglia e aveva espresso la domanda che tutti avevano in testa. - Cercheremo di scoprirlo. Così come cercheremo di prendere chi li ha ammazzati. Loro come gli altri. Pensi che anche questo sia opera delle Sorelle? La domanda di Caterina era rivolta al commissario ma non sfuggì a Benelli. - Cosa sapete delle Sorelle? Te lo diremo dopo con calma. Adesso finisci di raccontare. C’è ben poco d’altro da dire. Nessuno dei custodi di notte ha visto o sentito nulla di strano. E le telecamere di sorveglianza? Mi dispiace Leonardi, anche da quelle non possiamo aspettarci nulla. Erano spente per una manutenzione del sistema. Strana coincidenza. Era stata Caterina questa volta a parlare con una certa dose d’ironia. - - - Mi dispiace deluderla signorina ma non c’è niente di strano. Sono manutenzioni periodiche che effettuiamo per controllare e mettere a punto il sistema di sorveglianza. Sono programmate con molto anticipo. Allora il cardinale e forse anche chi lo ha ucciso avrebbe potuto approfittare dell’occasione per fare la sua escursione notturna senza lasciare tracce. Su questo Alberto posso essere d’accordo con te. Non è naturalmente una notizia che viene divulgata ma per una persona importante come il cardinale non sarebbe stato difficile sapere le date delle manutenzioni. Le telecamere sono state spente tutta la notte? No. Solo dalle due alle sei. Perciò tutto è successo in quelle quattro ore. Saperlo non ci aiuta molto ma è sempre meglio che niente. Hai ragione Alberto. Non ci aiuta. Adesso però dovete concedermi qualche minuto. Devo far portare via i corpi, chiudere la stanza e far riaprire i Musei. La notizia ha già fatto troppo scalpore e voglio evitare che la chiusura si protragga per tutta la giornata. Poi sarete voi a raccontarmi la vostra storia. Alberti stava per rispondere al suo amico quando fuori della stanza si udì un movimento di persone e una voce autoritaria ordinare ai custodi di farlo entrare. L’uomo che entrò subito dopo nella stanza era anziano, piccolo di statura e con un piglio autoritario tipico di una persona molto potente abituato a comandare e vedersi obbedito. Il suo viso era fresco e sembrava sbarbato di fresco. Al suo ingresso nella stanza squadrò subito tutte le persone presenti esaminandole con attenzione. Sulla ragazza il suo sguardo si soffermò per un attimo in più che sulle altre persone per poi fermarsi fisso sul Comandante della sua Gendarmeria. Alberti e i suoi amici lo riconobbero subito. A Roma il cardinal Valente era da molti anni uno degli uomini più conosciuti, rispettati e potenti. Con la nomina di Papa Ratzinger la sua influenza era aumentata ancora. Faceva parte dello staff ristretto dei più fidati collaboratori del papa e molte decisioni anche politiche venivano prese solo dopo il suo consenso. Si diceva anche che fosse uomo inflessibile ma giusto, capace di grande rispetto ma anche molto irascibile. Un personaggio da prendere con le molle pensò Alberti. E in quel momento era di sicuro molto irritato e il primo a farne le spese fu il povero Benelli al quale il cardinale si rivolse con tono molto secco. - - Lei comandante mi spiegherà spero perché ha permesso a queste persone di essere qui. Lei sa benissimo che l’accesso a queste stanze è riservato a pochissime persone. Lo so benissimo eminenza. Benelli non si era fatto intimidire. La sua voce era forte e decisa. Alberti sapeva che la nomina del suo amico era stata fortemente voluta proprio da Valente ma questo non gli impediva di controbattere con coraggio alle parole del suo, praticamente, datore di lavoro. - - Prima di tutto mi permetta di presentarle i nostri ospiti. Il commissario Alberti, capo della Squadra Omicidi di Roma, il suo vice l’ispettore Leonardi e l’agente Foster del FBI americano. Sono qui perché stanno seguendo un caso di omicidio collegato strettamente al nostro. E come fa a esserne sicuro? Perché nei giorni scorsi sono stati uccisi a Roma il professor Funari, il professor Adler e il professor Bernaud. E qualche giorno fa negli Stati Uniti il professor Russell. - Uccisi? E da chi? Il commissario è sicuro che siano state le Sorelle. L’ultima frase di Benelli mise un po’ più tranquillo l’alto prelato che dopo qualche attimo di silenzio si rivolse di nuovo a lui con tono decisamente più calmo. - - - Penso comandante che lei abbia agito per il meglio. Come al solito. Mi scusi per il mio tono di poco fa. Il cardinale e suo fratello erano miei carissimi amici e la loro morte, in questo modo e in questo luogo, mi ha molto colpito e turbato. E quello che lei mi ha detto aumenta ancora le mie preoccupazioni. Mi dica come pensa di agire ora? Per prima cosa farò portare via i corpi, farò rimettere tutto a posto in modo da poter riaprire i Musei al pubblico. Poi ci metteremo tutti in un posto tranquillo per sentire quello che ha da dirci il commissario. Dobbiamo cercare di capire se e quanto i vari fatti accaduti siano collegati. E poi decideremo come muoverci. Mi sembra ottimo. Anzi comandante le faccio una proposta. Dopo aver sistemato la cose venga con i nostri ospiti nel mio appartamento, lì saremo tranquilli e potremo ascoltare con calma il racconto del commissario. Io mi avvio per portare notizie al Santo Padre. Vi aspetto dopo. Avviserò il mio segretario, Padre Matteo di farvi accomodare nel caso io fossi trattenuto più a lungo da Sua Santità. Va bene anche a voi signori la proposta? Dal tono si capiva che la domanda del cardinale era puramente retorica, non poteva minimamente pensare che si potesse rifiutare un suo invito. - Lei è molto gentile eminenza. Alberti pensò bene di non mettersi a discutere con il cardinale. Il suo amico Benelli si era già fin troppo esposto e non era il caso di indispettire il prelato con inutili obiezioni. Del resto aveva troppo bisogno di altre informazioni e soprattutto dell’aiuto di Benelli e di tutte le informazioni che potevano venirgli da quella parte. Ora che aveva cacciato in malo modo Padre Joseph aveva bisogno di un altro aggancio in Vaticano. - Saremo felici di accogliere il suo invito. Ho molte cose da raccontarvi e spero dopo di poter trovare un modo di collaborare. Bene commissario, vedremo. Per ora la saluto e la lascio, con i suoi collaboratori, nelle mani del comandante. Vi aspetto dopo. Poi si voltò verso Benelli. - Bene comandante. Lascio tutto nelle sue mani. Mi affido a lei perché nulla trapeli all’esterno. Per la chiusura inventi qualcosa e faccia fare un comunicato dalla direzione del museo. Stringato e generico. A dopo. Senza aggiungere altro il cardinale uscì dalla stanza. - Simpatica persona. Leonardi. Scusi commissario. Ha ragione. Anche per lui è stata una giornataccia. Il comandante si sentì in dovere di intervenire. - Hai ragione Leonardi. E’ stata una giornataccia anche per lui. Forse più della nostra. Vedi sua eminenza ha - perso due carissimi amici e ha visto accadere cose che sembravano inimmaginabili. Due omicidi qua dentro non si erano mai visti. Proprio all’interno di uno dei luoghi simbolo del Vaticano. Un vero e proprio attacco alla Chiesa. E la Chiesa è la sua vita. E’ un uomo molto credente, la sua fede è la sua forza e la sua vita. Perciò bisogna capire la sua reazione. Ti assicuro che è un’ottima persona e un grande uomo. Mi scusi colonnello, sono stato uno stupido. Lascia perdere Leonardi, non volevo certo rimproverarti. Figurati. Comunque non sono più colonnello. Ricordatelo. E adesso mettetevi da parte e fatemi lavorare. Uscite da qui. Senza aggiungere altro i tre amici uscirono dalla stanza. Il comandante uscì subito dopo. Aveva il cellulare in mano e stava già organizzando con efficacia e autorità le cose da fare. - Giuliani dove siete voi del GIR? Caterina ormai pienamente concentrata sul lavoro chiese lumi a Leonardi. - Cos’è il GIR? Il Gir è il Gruppo di Intervento Rapido della gendarmeria. Una specie di corpo speciale alle dirette dipendenze del nostro comandante. Che evidentemente non lo ritiene, in questa occasione almeno, abbastanza rapido. Ma Leonardi fu subito smentito dalla voce sicura di un giovane, alto e abbronzato, che sbucava in quel momento nel salone accompagnato da una ventina di persone. Vestivano tutti di scuro ed erano tutti uomini. Portavano con loro due cilindri termici abbastanza grandi da contenere un corpo. - - - Bene Giuliani. Un po’ in ritardo ma già attrezzato. Adesso datti da fare. Fai allontanare gli addetti del museo, non voglio nessuno in giro mentre facciamo quello che dobbiamo fare. Falli scortare tutti verso le uscite. Poi sposta i poveri corpi del cardinale e di suo fratello, chiudi personalmente la stanza e riconsegna, sempre di persona, la chiave al Curatore. Poi penserò io a rimettere l’armadio al suo posto. Tutto chiaro? Tutto chiaro comandante. Non si preoccupi. Sarà fatto tutto in fretta e bene. Bene Giuliani. Ci conto. Io intanto faccio compagnia ai nostri ospiti. Poi quando sarai pronto andremo insieme negli alloggi di Valente. I nostri amici hanno una storia da raccontarci e mi piacerebbe che ci fossi anche tu ad ascoltarla. Agli ordini comandante. Senza aggiungere altro il giovane si mise in movimento entrando nella stanza e facendo segno a quattro dei suoi uomini di seguirlo con i due contenitori. Benelli si era intanto avvicinato ai tre che lo attendevano. - Te lo ricordi Giuliani? Certo che mi ricordo del tenente Giuliani. Un giovane in gamba. Molto in gamba. Vedo che te lo sei portato dietro. Sì. Avevo bisogno di un uomo in gamba e assolutamente fidato per svecchiare la mentalità della gendarmeria. Erano ancora abituati a una mentalità di tipo militare poco adatta a combattere i pericoli di oggi. Adesso sono molto più moderni ed efficienti. La nostra Sala Operativa non ha nulla da invidiare a quelle delle più - - - moderne polizie. Abbiamo un sistema di videosorveglianza attivo 24 ore su 24 e siamo forniti delle più sofisticate attrezzature tecnologiche. Inoltre oltre al Gruppo di Intervento Rapido ho potenziato anche un’altra struttura di pronto intervento, l’Unità Antisabotaggio. Quello che mi rode è che nonostante tutto questo un gruppo di fanatiche esaltate è riuscito a uccidere due persone sotto i nostri occhi. Non me la perdonerò mai. E ti assicuro che non mi darò pace fino a quando non le avrò prese. Non prendertela troppo Paolo. Ti assicuro che quelle maledette hanno fatto fare brutte figure a tutti noi. Sono pazze ma non sceme. Si muovono veloci, discrete e sono letali. E da quello che mi ha detto un certo Padre Joseph hanno parecchi amici e parecchie persone che le proteggono. Sai Alberto sono proprio curioso di sentire quello che hai da dirmi. Stai tranquillo che non rimarrai deluso. Sono accaduti fatti davvero incredibili. Appena avrete finito di sistemare questo posto andremo dal cardinal Valente e vi racconteremo tutto. Sarebbe inutile iniziare a raccontarlo a te per poi doverlo ripetere. Hai ragione. Avrò pazienza. In quel momento Giuliani con i quattro uomini che trasportavano i corpi nei contenitori uscirono dalla stanza. Il giovane vice di Benelli si incaricò come gli era stato ordinato di chiudere personalmente la stanza. Dopo aver controllato la chiusura con una spinta il giovane si avvicinò al suo comandante e al gruppo. Anche lui si soffermò con lo sguardo su Caterina. - - Fatto comandante. Adesso faccio trasportare i due corpi dal medico legale per l’autopsia. Faccio un ultimo giro di controllo e poi, se lei è d’accordo, avviserò il responsabile del museo che può riaprirlo al pubblico. OK Giuliani. Va bene. Vai pure. Quando avrai finito mi raggiungerai dal cardinale. Adesso solo un minuto. Ti faccio salutare quelli che conosci e ti presento chi non conosci. Ho visto che la cosa ti interessa. Un leggero imbarazzo si dipinse sul volto del giovane. - Scusi comandante. E di che? Te lo ricordi il commissario Alberti? Certamente. Salve commissario. A quanto lavoreremo di nuovo insieme. Mi fa piacere. Anche a me tenente. Anzi vicecomandante. pare I due si scambiarono una stretta di mano. - Si ricorderà anche dell’ispettore Leonardi? Anche di lui è difficile scordarsi comandante. Saluti Leonardi. Sempre in forma vedo. Ci difendiamo. L’età avanza ma cerco di tenerla lontana. Anche tra Leonardi e Giuliani ci fu una vigorosa stretta di mano. - Bene Giuliani. Adesso ti presento l’unica persona che non conosci. La splendida ragazza qui presente è l’agente del FBI Caterina Foster. I due giovani si guardarono un attimo. Poi si scambiarono una stretta di mano con un sorriso. - - Piacere agente Foster. E’ un piacere conoscerla. Anche per me è un piacere tenente. Le dispiace se la chiamo tenente? Vicecomandante mi sembra troppo lungo e anacronistico. Oppure se non le dispiace possiamo darci del tu. Io preferisco. Certamente. Non ci sono problemi. Mi chiamo Antonio. Allora Caterina va bene. Bene se avete finito i convenevoli direi di muoverci. Il comandante aveva lasciato qualche attimo di tranquillità al suo vice ma ora stava di nuovo dettando i tempi. - Certo comandante. Vado subito. Vi raggiungerò negli alloggi del cardinale il più presto possibile. Bene. Io adesso sistemo quello che c’è da sistemare e mi muovo. Giuliani porta i nostri amici con te fino all’ingresso. Lasciali in compagnia di uno dei nostri uomini. Passo io a prenderli. Il buon vecchio Benelli, pensò Alberti. Doveva rimettere a posto quel vecchio armadio con il suo congegno segreto e per correttezza non voleva farlo davanti a loro. Fedele nei secoli, davvero. Giuliani accompagnato dagli altri si diresse verso l’ingresso seguito dai quattro uomini con i corpi. Il passo veloce e spedito, indifferente alle bellezze esposte ma non disdegnando la conversazione con Caterina. Maschilisti al massimo qui in Vaticano. Ho notato che nel vostro gruppo non ci sono donne. Vero Caterina. Possono essere arruolati solo maschi e celibi. Caspita, quasi una specie di sacerdozio. E’ previsto anche il voto di castità? La domanda maliziosa dell’americana non venne raccolta da Giuliani. In pochi minuti furono davanti all’ingresso. Giuliani dopo aver chiamato uno dei suoi uomini e dopo avergli ordinato di aspettare insieme a loro l’arrivo del comandante li salutò per eseguire i suoi compiti. - Ci vediamo tra poco. Furono le sue ultime parole. I tre amici si sedettero tranquillamente sulle scomode sedie di solito riservate ai custodi e si misero in attesa. In quei pochi minuti non parlarono molto. Ognuno di loro rimase immerso nei suoi pensieri ricapitolando e rimuginando sugli eventi degli ultimi giorni. Benelli li trovò così silenziosi e immersi nei loro pensieri. - - Vi vedo pensierosi? Stavamo solo recuperando un po’ le forze. Sono state giornate pesanti. Vi capisco. Giuliani è andato? Sì come avevi ordinato. Va bene. Allora possiamo andare. Ci raggiungerà dopo. Sono sicuro che farà in un lampo. Lui è ancora più curioso di me. Andiamo, fuori ci sono due delle nostre auto che ci aspettano. Puoi anche mandare indietro la tua. OK allora avviso l’agente di tornare in sede. I quattro si diressero verso l’uscita dove due grosse berline li attendevano. Alberti e Benelli salirono insieme su una delle due e Leonardi e Caterina sull’altra. La prima auto prese la testa del piccolo corteo e silenziosamente si diressero verso le mura del Vaticano dove giunsero in pochi minuti e dove entrarono da un ingresso secondario superando senza ostacoli il blocco delle Guardie Svizzere e della stessa gendarmeria. Nessuno fece domande. La presenza del comandante era un lasciapassare sufficiente. Entrati nelle mura le auto si portarono davanti all’ingresso degli appartamenti privati del cardinale. Una splendida ala del palazzo circondata da un giardino meraviglioso che lasciò a bocca aperta i visitatori nei pochi attimi che ebbero a disposizione per ammirarli. Velocemente Benelli li condusse all’interno del palazzo dove li fece accomodare in una sala riservata, luminosa e con una splendida vista sui giardini. Dopo averli fatti accomodare Benelli li lasciò per avvisare il cardinale del loro arrivo. I tre passarono i minuti di attesa ammirando dalle finestre le splendide piante e i coloratissimi fiori del giardino. Prima dell’arrivo del cardinale furono raggiunti da Giuliani che, avvezzo allo spettacolo, si accomodò invece su una delle comode poltrone della stanza. Al suo arrivo il cardinale li trovò così. All’ingresso del prelato e del suo comandante il giovane ufficiale scattò in piedi mentre i tre amici sentendo il rumore si voltarono verso la stanza per accogliere e salutare i due uomini. Il viso del cardinale era molto turbato. Evidentemente con il passare delle ore la situazione appariva ancora più grave. Li salutò con un breve cenno della mano. Poi si sedette e li invitò a fare altrettanto preparandosi ad ascoltare quello che avevano da dirgli. CAPITOLO DODICI - - Allora commissario inizi pure a raccontare la sua storia. Il comandante Benelli mi ha già fornito qualche cenno ma ora è necessario che lei mi racconti tutto nei dettagli. Le chiedo di non tralasciare nessun particolare. Si prenda tutto il tempo necessario e mi perdoni se la interromperò con qualche domanda. Non si preoccupi Eminenza, la capisco. Cercherò di raccontarle tutto in modo esauriente ma non esiti a interrompermi tutte le volte che lo ritenesse opportuno. Alberti iniziò il suo racconto. Più il racconto del commissario procedeva e più il viso del cardinale si rabbuiava. Quando il commissario fece il nome di Padre Joseph l’espressione del prelato si fece ancora più accigliata. Tuttavia non fece commenti e solo poche volte interruppe il poliziotto per chiedere di chiarire qualche particolare. Alla fine un lungo sospiro accolse la fine del resoconto. - E’ davvero una brutta storia. Lei cosa ne pensa Benelli? Anche il viso del comandante tradiva una certa preoccupazione. - - Penso esattamente come lei eminenza. E’ una bruttissima storia. E la presenza di Padre Joseph, e quindi, del Cardinal Ravasi la rende ancora più preoccupante. Ha ragione comandante, pienamente ragione. Scusate chi è il Cardinal Ravasi? Scusi commissario, ha ragione. Adesso risponderò alle sue domande ma, prima, preferisco darle un quadro completo della situazione. Però voglio da lei la sua parola che quello che le dirò rimarrà un segreto. Benelli la conosce e la stima moltissimo e garantisce per lei ma io voglio la sua parola d’onore. Il commissario si prese qualche attimo di riflessione. - - - Eminenza lei capisce che io sono un poliziotto, un funzionario dello stato italiano e ho giurato di servire le sue leggi. Per me è difficile impegnarmi al silenzio assoluto. Posso però assicurarla e darle in questo senso la mia parola che non rivelerò a nessuno quello che mi dirà in questa stanza e che userò le informazioni che lei mi darà solo per fermare le Sorelle. Naturalmente quello che già so o che scoprirò per mio conto non rientra in questo accordo tra noi due. Benelli ha ragione commissario. Lei è una persona onesta e fedele, giustamente, al su paese. Non voglio imbarazzarla inutilmente, mi fido della sua intelligenza e buon senso. Sono sicuro che saprà come comportarsi in ogni situazione. Allora se permette inizio dai Custodi. Ma allora esistono? Ecco già questa è una bella domanda che, però, non ha una risposta precisa. Le spiego. Come le hanno detto sia il professor Testori, che conosco e stimo sia come studioso che come uomo, sia il nostro caro padre Joseph, che anche conosco benissimo ma stimo molto meno, i Custodi sono stati sciolti moltissimi anni fa. Questa è la verità, quella ufficiale almeno. In realtà non è proprio così. Adesso le spiego. I Custodi della Fede nascono verso l’anno mille, un periodo molto difficile per la Chiesa e per il mondo. Venivano effettivamente scelti tra la persone più devote di ogni classe sociale per difendere gli interessi della Chiesa. Come le ha già detto il professore godevano di grande autonomia e grande potere - e l’assoluzione plenaria preventiva che veniva loro concessa li rendeva assolutamente liberi da ogni condizionamento. Ben presto però proprio queste caratteristiche portarono i Custodi ad assumere atteggiamenti assolutamente inammissibili. Molti di loro si convinsero di poter decidere quali fossero le azioni più giuste da compiere nell’interesse della Chiesa. Inoltre molti di loro iniziarono a usare il loro potere per compiere vendette personali, eliminare i loro nemici e favorire gli interessi delle loro famiglie o di amici influenti. Una vera e propria degenerazione. Nonostante questo per molti secoli, grazie anche all’appoggio e alla protezione di parte delle alte gerarchie ecclesiastiche, che spesso utilizzavano i loro servizi per i propri affari personali, i Custodi riuscirono a conservare la loro forza e la loro influenza. Fu Papa Innocenzo XIII, circa trecento anni fa, a decidere di far scomparire i Custodi. Innocenzo si comportò con saggezza e prudenza, qualità che sempre dovrebbero accompagnare chi ha in mano le sorti di uno stato, rendendosi conto che una soppressione immediata della Compagnia, così si facevano chiamare i Custodi che scimmiottavano spesso i Gesuiti, avrebbe portato a proteste e ostacoli forti da parte di molta parte della gerarchia vaticana, si limitò a vietare l’ammissione di nuovi membri nella compagnia. Sperava insomma di farla finire per estinzione naturale dei membri ancora attivi. Ma le cose non andarono così? No ispettore non andarono secondo gli intendimenti di Papa Innocenzo. Purtroppo, aiutati e coperti da alcuni cardinali, i Custodi continuarono non solo a compiere le loro azioni efferate ma continuarono anche a introdurre nuovi membri nella loro setta. Spesso passavano le consegne ai figli, ai nipoti ma anche semplicemente cooptavano nuovi adepti che accettavano per fede - - convinta o anche per ricavarne benefici di vario tipo. I Custodi avevano un notevole potere e godevano di molte e influenti amicizie. Avevano o hanno? Questa è una domanda difficile commissario. I Custodi fanno della segretezza la loro forza. Non posso dirle con certezza quali e quanti appoggi abbiano ancora oggi nella Chiesa, né quanti siano effettivamente, posso però dirle sicuramente che non sono scomparsi e che ancora oggi agiscono, si muovono e cospirano nelle ombre del Vaticano. E Ravasi? Ravasi è sicuramente uno dei loro estimatori e un loro protettore. E Padre Joseph? Non lo so commissario ma poco importa. Comunque il padre è solo un esecutore dei voleri di Ravasi, un’ombra fedele e nulla più. Per qualche momento il silenzio scese nella stanza come se le persone presenti stessero assimilando le nuova informazioni ricevute. Poi Alberti fece la domanda successiva. - E le Sorelle? Cosa c’entra tutto questo con le Sorelle? C’entra commissario, c’entra. Il collegamento è proprio Ravasi. Adesso le spiego. Tutto parte dall’attentato a Papa Giovanni Paolo II, il 13 maggio 1981. Il Santo Padre fu molto colpito da quell’evento. Lei sa che sull’attentato ci sono molte ipotesi. Si parlò di un coinvolgimento del KGB russo e addirittura del coinvolgimento di qualcuno all’interno dello stesso Vaticano. Voci e ipotesi mai confermate e mai del tutto escluse. Quello che è certo fu che Sua Santità dopo l’attentato pensò molto alle parole del Terzo Segreto. Come le ha già detto Padre Joseph - - dalla lettura del testo sembrerebbe esserci l’annuncio proprio dell’attentato subito da Giovanni Paolo II. Certo capito solo dopo l’accadere dell’evento. Quello che è sicuro è che anche il papa, sfuggito alla morte, attribuì la salvezza all’intervento all’intercessione di Maria. Per questo iniziò a guardare con una certa attenzione alle richieste delle Sorelle, una nuova congregazione di suore devote e fedeli di Suor Lucia, la pastorella di Fatima che, dopo la divulgazione del Terzo Segreto il 13 maggio 2000, sostenute fortemente da Suor Lucia in persona, pensavano di poter finalmente ottenere delle aperture al sacerdozio femminile e una ridistribuzione del potere all’interno della Chiesa. Ci furono alcuni momenti di dialogo e possibili aperture ma poi, la rigidità delle richieste delle Sorelle che appoggiavano le loro rivendicazioni su un presunto testo del Terzo Segreto diverso da quello ufficialmente divulgato, ma avvalorato da Suor Lucia in persona, bloccò ogni possibile spazio di discussione. Anche perché lo stesso Giovanni Paolo II si trovò di fronte l’intransigenza più assoluta da parte di quasi tutta la gerarchia vaticana. Quasi tutta? Sì commissario, quasi tutta. Qualcuno, tra i quali io, pensa che forse è giunto il momento di pensare a qualche cambiamento nella Chiesa. Lei capisce che è difficile solo pensare di cambiare una organizzazione e una struttura immobile da secoli. Però all’interno della Chiesa, nella sua complessità, esistono varie opinioni, varie anime direi, che non riescono a trovare il modo per dialogare tra di loro. Ho capito eminenza. E cos’è successo dopo? La situazione si è tenuta, diciamo così in equilibrio, fino al 2005. In quell’anno, a pochi giorni di distanza, muoiono prima Suor Lucia e poi il papa. A quel punto le - Sorelle, senza più speranza di vedere accolte almeno in parte le loro richieste, iniziano a fare opera di proselitismo divulgando la loro versione del Terzo Segreto e spingendo la Chiesa ad un atteggiamento ancora più rigido. Lo sbaglio grandissimo è stato quello di affidare tutta la questione all’uomo meno adatto. Ravasi? Esatto, proprio Ravasi. Il più rigido e intransigente della Curia. Cosa ha pensato il buon Ravasi? Di far passare le Sorelle per pazze scatenate. Proseguendo nel suo racconto il cardinale aveva perso la sua calma e la sua tranquillità. Quando pronunciò il nome di Ravasi la sua voce tradì una collera a stento trattenuta. Ma si riprese subito. - Mi scusi commissario, scusate tutti. Ma quando ripenso ai guai che quell’uomo ci ha e ci sta procurando perdo davvero il controllo. Di preciso cosa ha organizzato il suo collega? Era stata l’agente del FBI a porre la domanda a Benelli. - Ha ragione cara signorina a sottolineare il fatto che io e Ravasi siamo “colleghi” come dice lei. Comunque per rispondere alle sua domanda il furbo Ravasi ha organizzato un bel gruppo di psichiatri, tutti scelti rigorosamente da lui. Motivi di sicurezza e riservatezza le sue ragioni. Dicevo un bel gruppo di psichiatri che, senza farsi troppo pregare, hanno diagnosticato, dopo una serie di colloqui, a tutte le tredici sorelle, una serie di disturbi della personalità e del comportamento con una forte dissociazione dalla realtà e la propensione a costruire realtà alternative. Aggravati da forti sintomi di deliri di - - persecuzione e allucinazioni di tipo mistico-religioso. Insomma tutta una serie di emerite baggianate che però avallate dall’autorevolezza degli illustri dottori hanno permesso a Ravasi di ottenere dal Santo Padre l’autorizzazione ad agire, per il bene della Chiesa e delle stesse Sorelle, in qualsiasi modo avesse ritenuto opportuno. Così dopo anni di insofferenza nei confronti delle Sorelle e delle loro richieste Ravasi è riuscito a liberarsi di loro dividendole e spedendole nei conventi più remoti e inospitali. Ma ha fatto uno sbaglio. Nei conventi le Sorelle hanno continuato la loro opera di proselitismo, tenendosi in contatto con ogni mezzo, compreso internet, con la complicità e l’aiuto di quelle che dovevano essere le loro carceriere. Dopo pochi mesi le parole delle Sorelle avevano già convinto o almeno instillato il dubbio in tantissime suore. Accortosi di quello che stava succedendo Ravasi ha tentato di correre ai ripari e aveva preso la decisione i riunire di nuovo le Sorelle in un unico luogo, questa volta più sicuro e affidato alla sorveglianza di persone fidate. Ma non ce l’ha fatta. Le Sorelle venute a sapere dell’intenzione di Ravasi hanno organizzato la loro fuga e sono tutte sparite la stessa notte di qualche mese fa, lasciando con un palmo di naso il mio collega e la sua anima nera. Padre Joseph. Esatto commissario, padre Joseph. E perché le Sorelle hanno deciso di uccidere i sei psichiatri secondo lei? Questo esattamente non lo so commissario. Potrebbe essere per vendetta, forse le lunghe persecuzioni subite le hanno esasperate e le hanno portate alla violenza. Non lo so davvero. Forse sono impazzite davvero. Potrebbe aver ragione eminenza. Quindi nei computer degli uomini assassinati cercano, probabilmente, i - - - documenti che i medici hanno preparato sulla loro presunta pazzia. Per farli sparire. Forse commissario ma anche, potrebbe essere, per averli in mano, poterli studiare, con qualche psichiatra loro amico o semplicemente più obiettivo, e ricucire a farli contestare e invalidare con analisi successive. Per ridare credibilità e rispetto al loro movimento all’interno della Chiesa. Anche questo è possibile, può essere stato il loro intento. Ma ora che hanno ucciso sei persone non sarà così facile per loro recuperare credito. Certo. Forse la situazione è sfuggita di mano. Magari un intoppo, una resistenza di troppo e qualcuna di loro ha perso il controllo. Poi dopo aver ucciso una volta sono state trascinate dalla loro stessa passione e hanno continuato. Forse nella loro testa la loro causa, benedetta dalla stessa Vergine Maria con il messaggio del Terzo Segreto, è così giusta e santa da rendere ammissibile anche la violenza e l’omicidio. Cosa vuole che le dica commissario. Io so solo che le sventurate azioni di Ravasi hanno portato a tutto questo. Suore devote trasformate in assassine e ancora in giro per Roma. Con un pericolo così grande per la Chiesa che il solo pensiero mi fa tremare. La capisco eminenza. Quando la storia verrà fuori sarà un disastro. Esatto commissario, sarebbe un vero disastro. Più grande di quanto lei stesso possa immaginare. Certo eminenza. Posso farle un’altra domanda? Faccia pure. Lei sa cosa cercavano i fratelli Wermayer nell’archivio? O almeno sa quali documenti sono custoditi in quella stanza in particolare? No commissario di preciso non lo so. Il mio amico Hans mi aveva solo accennato alla cosa. Mi disse che aveva - bisogno di entrare in quella stanza per cercare alcuni documenti. Ma non mi specificò quali. Così come non mi disse nulla dell’intenzione di introdurre anche suo fratello. Non ha qualche idea? Qualche sospetto? Il cardinale si prese qualche secondo di riflessione. Poi si decise. - - - - A questo punto commissario voglio rivelarle davvero tutto. Ripeto, mi fido di lei. Il comandante Benelli mi ha convinto che lei è capace di trovare quelle donne e io voglio darle tutto l’aiuto possibile. Io penso di sapere cosa cercavano Hans e suo fratello. Vede commissario Padre Joseph non le ha detto tutta la verità sulle Sorelle. In realtà quando sono state spostate e divise nei vari conventi sono stati creati dei fascicoli su tutte le Sorelle. Biografia, foto e perfino impronte digitali e individuazione del DNA. Una vera e propria schedatura, direi. Potremmo chiamarla così, se vuole. Ma dovevamo usare la massima prudenza. E da quello che è successo direi che abbiamo fatto bene. Almeno su questo Ravasi si è mostrato ragionevole e ha accettato le mie richieste. Ma allora tutto diventa molto più semplice. Eminenza lei deve assolutamente fornirmi una copia di quei fascicoli. Lei capisce che con quei dati in mano le nostre ricerche sarebbero molto più efficaci e in caso di bisogno potremmo accertarci con sicurezza del’identità di eventuali donne sospette. Capisco commissario ma non penso di poterla accontentare. Come? Non capisco? - - E’ semplice commissario. Quei documenti sono riservatissimi. Pochissime persone possono accedere alla loro semplice lettura e nessuno può farne copie. E di tutte queste persone nessuna al di fuori del Vaticano. Se anche volessi aiutarla non potrei. Per poterla accontentare dovrei, probabilmente, chiedere direttamente l’autorizzazione al papa. Ma lei non vuole farlo? Era stato l’agente americano a porre la domanda. - Cosa glielo fa pensare signorina? Il cardinale si era rivolto a Caterina con tono gentile. - Lei ha detto “se anche volessi aiutarla”. Un attimo fa. Ma non vuole evidentemente. Osservazione acuta. E’ vero, non voglio. Per quale motivo eminenza? E’ presto detto commissario. Fermare le Sorelle è un obiettivo che abbiamo in comune. Ma poi le nostre intenzioni sono completamente diverse. Lei vuole arrestare le Sorelle per poi farle processare e condannare. Lei si immagina certo il clamore che questa storia susciterebbe sui media. Una vera e propria ghiottoneria per i nostri tanti nemici. In questo momento l’autorità morale della Chiesa è già fortemente messa in dubbio per altre vicende. Un altro scandalo potrebbe essere un colpo troppo grande da sopportare. Non posso permetterlo. Perciò le mie intenzioni sono totalmente diverse dalle sue. Dopo averle trovate e riprese è mia precisa intenzione metterle in un luogo assolutamente sicuro, un luogo da dove non potranno né scappare né mettersi in contatto con il mondo. Devo impedire che possano - - - - continuare a divulgare il loro falso messaggio e la loro opera di proselitismo. Indebolirebbero troppo l’autorità delle istituzioni vaticane e in questo momento abbiamo bisogno di tutta la nostra forza e autorevolezza. Io comprendo la sua posizione eminenza, ma i miei obblighi sono altri. Io devo fermare quelle assassine e dopo sarà mio preciso dovere affidarle alla giustizia italiana. Per un giusto processo. Giusto commissario, anche io la capisco bene. Lei ha giurato fedeltà al suo stato e alla sua nazione ma io ho giurato e dedicato tutta la mia vita a qualcosa di molto più di uno stato e di una nazione, un’organizzazione che da più di duemila anni opera per il bene del mondo intero. Alla Chiesa va la mia fedeltà e tutto il mio impegno. Per questo motivo non le darò altri aiuti. Sono già stato fin troppo generoso con lei. Continui le sue ricerche e noi continueremo le nostre. Vedremo chi vincerà la sfida. Va bene eminenza, come vuole. Voglio solo ricordarle che ci sono anche altri concorrenti in questa sfida. I Custodi sguinzagliati da Ravasi. Secondo lei quali sono le loro intenzioni? Penso che Ravasi abbia il mio stesso intento. Mettere le Sorelle al sicuro. Comunque parlerò con lui. Adesso devo congedarvi. Il comandante vi accompagnerà fuori dal Vaticano. Senza aggiungere altro il cardinale si alzò e uscì dalla porta. Il gruppo restò per qualche attimo in silenzio. Poi Leonardi alzandosi diede la scossa a tutti. - Bene commissario, dire che qui non abbiamo altro da fare. Invece fuori abbiamo molto lavoro che ci aspetta. Adesso abbiamo anche un avversario temibile. Non prendertela con me Leonardi. Benelli si era sentito chiamato in causa. - Scusalo Paolo. Leonardi è solo teso e nervoso. Stai sicuro che capiamo benissimo la tua situazione. Non ce l’abbiamo certo con te. Solo che sarebbe stato utile unire le nostre forze per prendere al più presto quelle assassine, magari prima che riescano a far fuori anche l’ultimo dottore e chi sa chi altro. Comunque è andata così. Non possiamo certo piangerci sopra. Come ha detto Leonardi abbiamo molto lavoro che ci aspetta. Senza aggiungere altro tutto il gruppo si diresse verso l’uscita. Preceduti da Benelli e seguiti da Giuliani i tre amici furono accompagnati verso l’uscita. - Vuoi che vi faccia accompagnare da un mio autista? Benelli, forse sentendosi un po’ in colpa, si mostrò gentile. - No, non preoccuparti. Adesso chiamo il mio autista e gli dico di farsi trovare fuori. Ve bene, come vuoi. Ancora silenzio. Erano quasi davanti all’uscita dalle mura quando il commissario fece un’ultima domanda al suo amico. - Palo posso chiederti un’ultimissima cosa? Benelli lo guardò sospettoso. Poi con un sorriso gli rispose. - Va bene, non posso certo negarti un’ultima domanda. Anche perché voglio metterti in condizione di fare una gara alla pari con noi. - - Sì, alla pari. Voi avete foto, impronte e DNA e noi niente. Comunque ti ringrazio. Voglio farti una domanda. Visto l’ossessione della Chiesa per i documenti e la conservazione di ogni notizia mi chiedo, come curiosità, è mai possibile che sui Custodi non abbiano conservato nulla. E se è così come ha fatto Ravasi a contattarli così velocemente e a colpo sicuro? Sempre il solito segugio eh? Benelli sorrideva ancora. - - E come al solito hai ragione. In realtà, come tu hai intuito, il Vaticano è riuscito negli anni a conservare memoria e traccia dei Custodi. Molti nomi dei nuovi Custodi sono stati rivelati da persone fedeli alla Chiesa, molte volte familiari degli stessi Custodi. Spesso anche da Custodi che, in seguito a episodi particolarmente violenti, si sono, come dire, pentiti e hanno confessato non solo la loro appartenenza alla setta ma anche i nomi degli altri Custodi. Certo notizie frammentarie e nomi scollegati. L’organizzazione dei Custodi è molto articolata, tra loro si conoscono direttamente in pochi e ai livelli più bassi sono, praticamente, semplici esecutori. Vuoi dire che anche tra di loro c’è una specie di gerarchia. Una specie? C’è una vera e propria scala di importanza. In cima stanno i discendenti diretti dei primi Custodi, di solito di vecchia nobiltà e con grandi possibilità economiche. Una specie di vertice che prende le decisioni e dà ordini. Sono solo loro che hanno gli elenchi di tutti gli affiliati. Poi sotto di loro tutta una serie di livelli intermedi che sanno poco o nulla, che conoscono solo pochissimi altri affiliati e che sono quelli che fanno i lavori più sporchi. - - - E i nomi conosciuti dal Vaticano dove sono custoditi? Indovina? Nella stanza degli omicidi? Esatto mio caro amico. Ho capito. E Ravasi? Pensi sia anche lui un custode? L’ho sospettato ma penso di no. Troppo propenso alla vanteria e all’ostentazione delle amicizie importanti. Non ha lo stile dei capi dei Custodi. Loro preferiscono le riservatezza, l’anonimato quasi l’invisibilità sociale. Credo di no. Ha solo chiesto il loro aiuto, probabilmente dopo aver trovato qualche nome nell’archivio. Ho capito. Allora direi che è davvero ora di salutarci. Sia noi che voi abbiamo del lavoro da fare. Diamoci da fare. Ti saluto e ti auguro, con tutto il cuore, buona fortuna. L’importante che o noi o voi riusciamo a fermare intanto le Sorelle. Il resto si vedrà. Auguri anche a voi. Tutto il gruppo si salutò amichevolmente con reciproche strette di mano. Poi Alberti, Leonardi e la Foster uscirono dai Musei trovando all’uscita già pronta la loro auto. - Gente in gamba. Peccato non poterci lavorare insieme. Giuliani aveva seguito con lo sguardo i tre fino all’uscita. Il suo commento era davvero sincero. - Un gran peccato. In questa storia abbiamo tutti bisogno uno dell’altro. Ma, purtroppo, ci è stato ordinato diversamente. Andiamo Giuliani, andiamo a lavorare. CAPITOLO TREDICI I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso. Solo la voce tradì l’insoddisfazione dell’uomo che parlava. - - - - Mi dispiace dirglielo Padre Joseph ma questa volta lei mi ha deluso. Pensavo sarebbe riuscito a sistemare questa brutta storia in poco tempo e con una certa riservatezza. Invece ci ritroviamo con due assassinii all’interno dello stesso Vaticano e un commissario della polizia italiana che è venuto a conoscenza di troppi segreti e che si è anche permesso di cacciarla. Senza contare che lo stesso commissario avrà certamente raccontato tutto quello che sa a Valente e al suo fido Benelli. Davvero un bel risultato. Eminenza chiedo il suo perdono. Ha pienamente ragione. Ho tradito la sua fiducia, ma quelle Sorelle si sono rivelate più astute e decise di quello che pensavo. Va bene padre, lasci perdere le scuse e mi dica cosa ha intenzione di fare. Ho già fatto eminenza. Ho mobilitato tutta la nostra rete di conoscenze e informatori. Anche all’interno della polizia, nonostante il nostro caro commissario, abbiamo uomini fedeli che ci terranno informati di tutti gli sviluppi delle indagini. Sono sicuro che presto scopriremo dove si nascondono quelle donne e poi, metterle in condizione di non procurare altri danni sarà questione da poco. Lo spero padre, lo spero davvero. Ma con Valente e Benelli come la mettiamo? Anche loro hanno informatori e mezzi a disposizione. Se dovessero malauguratamente trovare le Sorelle prima di noi sarebbe un guaio. Di questo non mi preoccuperei. Se anche dovesse succedere sappiamo bene che Valente non farebbe mai - - - - - nulla per mettere in pericolo la Chiesa perciò anche lui non potrebbe fare altro che far sparire le Sorelle in un luogo sicuro. Forse ha ragione padre. Allora si dia da fare. Cosa sappiamo dell’ultimo psichiatra, Heffner mi pare si chiami? Abbiamo scoperto che è arrivato a Roma ma non si è presentato all’albergo che aveva prenotato e non ha confermato alla segreteria del congresso la sua presenza. Per ora è sparito ma lo stiamo cercando. Pensa possano aver ucciso anche lui? Potrebbe essere ma non ne abbiamo la certezza. In ogni caso trovate le Sorelle la cosa più importante sarà ritrovare i documenti che ci interessano, quelle carte sono molto più importanti della vita del professor Heffner. Lei parla poco da prete padre, ma ha ragione. Va bene, vada e mi tenga informato. Io voglio fare una telefonata al sottosegretario Carli, forse lui riuscirà a convincere quel commissario a tornare sulla sua decisione. Io non ci conterei. Il commissario Alberti è uomo molto testardo. Sono sicuro che non si farebbe convincere neanche dal ministro in persona. Potrei sempre fargli togliere l’indagine. Forse, ma in questo momento non ci conviene. Il commissario è anche un poliziotto molto in gamba e potrebbe arrivare a scoprire il rifugio delle Sorelle e in quel caso i nostri uomini ci informerebbero comunque. Meglio non privarci di un’altra possibilità. Va bene padre, per ora lo lasceremo stare ma, appena finita questa storia, mi occuperò personalmente di far spostare il commissario Alberti ad altro incarico. Non mi piace avere a Roma un capo della omicidi che non capisce le regole della diplomazia e del rispetto dovuto alla Curia. - Ci occuperemo dopo del commissario eminenza. Per ora pensiamo al nostro obiettivo principale. Io vado, la saluto e stia tranquillo, presto avrà buone notizie. Ci conti. Dopo aver baciato rispettosamente l’anello al cardinale padre Joseph uscì dalla stanza lasciando il cardinal Ravasi a riflettere. Nello stesso momento nel piccolo convento fuori Roma le Sorelle si erano riunite nel refettorio. Suor Maria seduta a capotavola del lungo tavolo di legno che occupava tutta la parte centrale della grande sala ascoltò in silenzio le ultime notizie che due consorelle appena rientrate dalla città avevano portato. Rimase in silenzio anche dopo il racconto. Poi dopo un lungo sospiro parlò alle nove donne che da lei si attendevano conforto e ispirazione. - La morte di due uomini è un evento tragico. Dio sa quanto sarei stata felice se avessi potuto evitare tutto questo. Ma è anche vero che una causa giusta, santa e benedetta richiede spesso qualche sacrificio. Pregheremo tutte per l’anima degli uomini morti a causa nostra ma non smetteremo di lottare per la nostra causa. Troppo importante è per tutta l’umanità. Adesso è rimasto vivo uno solo degli uomini che da tanto tempo cerchiamo, bisogna trovarlo. Il dottor Heffner ha documenti vitali per la nostra vittoria. Vi esorto perciò care sorelle a mettere da parte il dolore, il senso di colpa per concentrarci sul nostro scopo. Trovare il dottor Heffner. Andate, contattate tutte le nostre consorelle, tutte quelle che condividono le nostre idee e fate in modo che diventino i nostri occhi, le nostre orecchie e, se necessario la nostra mano. Adesso preghiamo tutte insieme per ritrovare forza e unione. Poi sarà il momento dell’azione. Se vuoi che le cose cambino la sola preghiera non basta, è necessario che i giusti agiscano. Tutte le Sorelle annuirono senza parlare. La loro Santa Madre aveva ragione, come sempre. Sempre in silenzio si inginocchiarono e tutte insieme pregarono intonando ad alta voce l’Ave Maria. Nessuna di loro dubitava di essere nel giusto. L’unica che si chiedeva se davvero la loro causa potesse giustificare e far perdonare tanti peccati era proprio la loro guida. Intanto l’uomo cercato dalle Sorelle, dalla polizia italiana e dalla gendarmeria vaticana, ignaro di tutto, era tranquillamente in viaggio per le campagne romane. Il professor Heffner era effettivamente giunto a Roma per il convegno, addirittura con qualche giorno in anticipo ma aveva poi deciso di non partecipare alla manifestazione. Soprattutto aveva bisogno di riflettere prima di incontrare i suoi amici e colleghi, Funari e gli altri, che volevano approfittare della contemporanea presenza a Roma di tutti loro per concordare come procedere con i risultati venuti fuori dallo studio commissionato a tutti loro dal cardinal Ravasi. Certo i risultati venuti fuori erano importanti. Sorprendenti e scioccanti allo stesso tempo, erano davvero importanti. Importanti ma molto delicati da trattare, c’era di mezzo la chiesa e quando c’era di mezzo la chiesa bisognava essere molo prudenti. Lui poi era ancora più esposto come responsabile dell’intero gruppo e dell’intera ricerca. Prima di mettersi in contrasto con le gerarchie romane voleva pensarci ancora un po’ pensarci bene. Per questo aveva dato buca ai suoi colleghi. Senza i precisi dati di riferimento sui soggetti coinvolti nella ricerca e sulla loro storia personale tutti i documenti in possesso degli altri non avevano nessuna rilevanza scientifica e non potevano essere pubblicati. E lui ancora non era sicuro di volerlo fare. Così appena giunto a Roma aveva noleggiato un camper e aveva iniziato a girare senza meta, visitando piccoli borghi fuori Roma e pernottando tranquillamente in solitari e tranquilli angoli di campagna romana. Senza radio, televisione o giornali, staccando completamente i contatti con il resto del mondo. Per questo ancora non sapeva nulla della tragica fine dei suoi colleghi e per questo era ancora vivo. Mentre il professo Heffner si godeva la sua vacanza il commissario Alberti era invece impegnato al massimo. Nei due giorni successivi agli omicidi dei Musei aveva intensificato le ricerche delle Sorelle e di Heffner. Aveva richiamato tutti i suoi uomini dalle ferie e dai permessi e li aveva sguinzagliati per le strade della capitale. Una foto di Heffner, vecchia di qualche anno ma ancora somigliante, a detta di Scotland Yard che l’aveva inviata, era stata stampata in centinaia di copie e consegnata a tutte le pattuglie in servizio, non solo della polizia ma anche dei carabinieri, della finanza e dei vigili urbani di Roma. Una grande e straordinaria opera di ricerca che in quarantotto ore non aveva dato nessun risultato rendendo il commissario di pessimo umore. - - - Porco Giuda Leonardi, possibile che nessuno dei nostri abbia trovato nulla? Ma che cavolo combinano? Lo sa anche lei commissario è come cercare il proverbiale ago nel pagliaio, con la differenza che il nostro pagliaio è una città con milioni di abitanti e turisti che la affollano ogni giorno. E il nostro ago è davvero minuscolo. Non sappiamo neanche se è ancora a Roma e non sappiamo neanche se è ancora vivo. Hai ragione, hai ragione. Solo che questa attesa inutile mi snerva. Mi sento un imbecille a stare qui senza poter fare nulla mentre la fuori un uomo potrebbe essere ucciso e le sue assassine farla franca e sparire nel nulla. Mi fa girare i cosiddetti. Ha ragione commissario, io mi sento come lei ma non possiamo fare nulla di più di quello che già stiamo facendo. Tutti i nostri uomini ce la stanno mettendo tutta, - - - - lavorano anche dopo il servizio e hanno preso contatto con tutti i loro informatori. De Cicco e Maestri stanno interrogando di nuovo tutti i testimoni e tutte le persone che, in qualche modo, hanno avuto contatti con questa storia. Per ora, però, niente. E Caterina? Anche lei ha mosso tutte le sue fonti, per quello che ha potuto. Sa negli Stati Uniti non è che se la stiano prendendo più di tanto. Un solo omicidio nel loro territorio non è sufficiente a scuoterli. Non sanno niente di Sorelle e Custodi e anche del coinvolgimento del Vaticano. Caterina sta ottenendo qualche aiuto solo per amicizia e rispetto nei suoi confronti. Sa che ho scoperto che è molto stimata nel FBI? Ne sono convinto. E’ una ragazza in gamba, bella e in gamba. Già bella e in gamba. E la ragazza dell’università? Sai Leonardi a volte questo tuo saltare di palo in frasca mi innervosisce parecchio. Dovresti smetterla di impicciarti dei fatti miei personali, non ho bisogno, ancora, né di un tutore né di un mediatore matrimoniale. Che c’entra commissario, chiedevo per chiedere. Pensavo che, visto che non abbiamo molto da fare, potrebbe rilassarsi andando magari a pranzo con quella ragazza. Sinceramente parlo anche nel mio interesse, è diventato così nervoso che mi mette in agitazione e mi innervosisce tutta la squadra. Del resto anche io sto aspettando il ritorno di Caterina per portarla a mangiare i veri bucatini all’amatriciana dal Matriciano. Possiamo solo aspettare, abbiamo messo in movimento tutto quello che potevamo perciò tanto vale recuperare le energie per quando ci serviranno. Era solo un suggerimento. Un ottimo suggerimento. Mi hai convinto. Adesso ci provo però, se non ti dispiace, vorrei un po’ di intimità. - Come vuole commissario. Scendo a cercare Caterina e dare le ultime istruzioni ai nostri uomini. Li avviso, in caso di novità di chiamarci subito sul cellulare. Senza aggiungere altro Leonardi uscì dalla stanza lasciando solo il commissario. Ci mise solo pochi minuti a dare istruzioni ai suoi uomini prima di tornare davanti alla porta dell’ufficio di Alberti. La porta era ancora chiusa e Leonardi si mise tranquillamente in piedi davanti alla porta preparandosi pazientemente a una possibile lunga attesa. Dopo qualche minuto fu lo stesso commissario ad aprire la porta. Leonardi e Caterina, che l’aveva raggiunto notarono subito il viso più rilassato e il sorriso che gli attraversava la bocca. - - Allora commissario tutto bene? Bene Leonardi, tra un’oretta vado a pranzo fuori. Tu Caterina hai novità? Poco, quasi niente. I miei colleghi non hanno trovato nulla nei nostri archivi sulle Sorelle o sui custodi. Per noi non esistevano fino a ieri. Un vero peccato, tutto quello che sappiamo ci viene solo da racconti verbali. Troppo poco. Mi piacerebbe sapere Benelli cosa ha scoperto. Magari è stato più fortunato o più bravo di noi. Sarebbe da augurarselo Alberto. In ogni caso chiunque ci riesca fermare le Sorelle è la cosa principale. Se Benelli ci riesce tanto meglio. Ha ragione Caterina. Lo so, avete ragione tutti e due ma, confesso, che mi darebbe parecchio fastidio se il Vaticano riuscisse a mettere tutto a tacere. Ma capisco che l’importante è fermare questa catena di morti. - Potrebbe anche essere che le Sorelle si siano ritirate, magari sono già fuori Roma, nascoste in qualche posto sicuro dove non le troveremo mai. Era stato Leonardi a esprimere il dubbio o forse la sua speranza. - - Sono sicuro di no. Me lo sento. Tieni conto che le Sorelle non agivano solo per vendetta e odio, cercavano qualcosa, qualcosa per loro molto importante. E secondo me non l’hanno ancora trovata. Se ce l’avessero già in mano si sarebbero fermate prima, non penso siano così idiote da rischiare la loro vita solo per vendicarsi. Anche perché ricordiamoci che stanno lottando per una causa per loro importantissima e non la metterebbero certo a rischio per un motivo così stupido. No, secondo me sono ancora in città e stanno cercando Heffner, lui ha in mano documenti di cui hanno bisogno e non si fermeranno fino a quando non li avranno trovati o fino alla morte di tutte loro. E non si fermeranno davanti a nulla per riuscirci. Me lo sento nelle ossa. Allora cara mia siamo certi che è così, quando il mio commissario ha una intuizione è sempre giusta. Va bene Leonardi adesso dopo questa sviolinata posso anche andarmene a pranzo. Auguro buon appetito anche a voi. Se non ci sono novità ci vediamo dopo pranzo. Alberti era già sulla porta quando il suono del cellulare lo bloccò. Prima di rispondere si girò a guardare Leonardi e Caterina che lo fissavano. Quella telefonata li avrebbe probabilmente costretti a rinunciare al loro pranzo. Poi Alberti si decise a rispondere. La sua faccia si rabbuiò per un attimo, solo qualche secondo, poi un sorriso fece capolino. I suoi lineamenti si rilassarono e sembrava anzi divertirsi molto. Con un cenno fece capire al suo ispettore e all’agente americano che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Poi lo sentirono replicare all’interlocutore. - Devo dire che mi dispiace di essere stato troppo brusco con quel prete ma, lei capisce che le circostanze non mi hanno permesso di fare altrimenti. Siamo di fronte a un serie di omicidi e il solo sospetto che quel sacerdote potesse nascondermi prove o informazioni importanti mi ha costretto a estrometterlo dalle indagini. Dica pure al sottosegretario che, appena prese le assassine, farò le mie scuse a Padre Joseph. Intanto la saluto, ho molto lavoro e sono sicuro che anche lei ritiene prioritario assicurare alla giustizia le responsabili di queste morti. Grazie e la saluto. Interrotta la comunicazione Alberti soddisfò subito la curiosità dei suoi amici. - - Il signor questore. Ha ricevuto lamentele da qualcuno delle alte sfere della Curia e dal sottosegretario in persona. E naturalmente ha deciso subito di farmi una bella ramanzina, così giusto per pararsi il culo. Scusa la parola Caterina. Adesso siamo davvero nella melma, se non troviamo le Sorelle ci ritroviamo, se va bene, in qualche commissariato di periferia o di qualche sperduto paesino di provincia e se va male all’ufficio passaporti a timbrare cartacce. Che ne dici Leonardi? Intanto sono sicuro che troveremo quelle maledette e, se proprio dovesse andare male, vuol dire che avrò più tempo da passare in palestra. Meglio. Orari comodi. Precisi e tutto il pomeriggio da riempire come mi piace. Quasi quasi. - Sì, va bene, ho capito. Al massimo cercherò di farti almeno mandare a dirigere il traffico. Aria buona e tanta gente intorno. Adesso smettiamola di scherzare, andiamo a pranzo e poi ci rimetteremo al lavoro. Vi saluto. Il commissario arrivò velocemente all’uscita. Con la sua auto si avviò con calma verso l’università. Era ancora in anticipo perciò se la prese comoda, guidando piano e godendosi la bella giornata. Il suo cervello continuava, è vero, a riflettere sulle Sorelle e a rievocare tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni, sperando di trovare un indizio, una traccia che potesse metterlo su una buona pista ma, nello stesso tempo, si godeva l’attesa dell’incontro con Anna. Il solo pensiero gli metteva allegria e gli permetteva di guardare al futuro, comunque, con serenità e fiducia. Arrivò davanti all’ingresso dell’ateneo in anticipo. Parcheggiò l’auto in un posto fortunosamente trovato libero e si piazzò in piedi davanti all’ingresso. Aspettare quei pochi minuti non gli sarebbe pesato. Era davanti all’ingresso da pochi minuti intento a guardare verso l’interno quando sentì una voce alle sue spalle. - Buongiorno commissario, ha ancora bisogno di me? La voce dell’uomo colse il poliziotto di sorpresa. Era talmente intento nei suoi pensieri che non l’aveva neanche visto avvicinarsi. Era il professor Testori. Un po’ in imbarazzo il commissario lo salutò. - No professore, grazie. Sono appuntamento personale. Una bella ragazza scommetto? qui per un La voce del professore era come al solito cordiale e un sorriso di complicità gli attraversava tutta la faccia. - Indovinato, una ragazza. Mi ha preso in castagna. Ma quale castagna, avessi io la sua età. Lei è giovane, commissario, si goda la vita e i suoi lati belli. Sono sicuro che con il lavoro che fa ne vede fin troppo di cose brutte perciò, se lo faccia dire, appena può approfitti dei momenti belli. Una bella ragazza è un ottimo toccasana per dimenticare le brutture del mondo. Alberto stava per replicare al simpatico professore quando Anna sbucò dall’ingresso. Aveva naturalmente la solita divisa rossa, i capelli sciolti e un largo sorriso. Era ancora più bella. Salutandolo con un cenno della mano gli fece capire che l’aveva visto. Vedendolo in compagnia di Testori la ragazza non si avvicinò. Alberto si incantò a guardarla e anche il professore la ammirò per qualche secondo. - Avevo proprio ragione, commissario. Davvero una bella ragazza. Complementi. Vada, vada pure, non perda tempo con questo povero vecchietto. Quella ragazza non va fatta aspettare. Vada e buon appetito. Senza aggiungere altro il professore salutò il commissario dirigendosi verso l’ingresso dell’edificio. Alberto si avvicinò alla ragazza. - Ciao Anna, come stai? Bene, stanca per il lavoro ma sto bene. E tu? Come va il tuo lavoro? Devo dire abbastanza male. Sono in mezzo a una serie di eventi terribili e non riesco a venirne a capo. Sono quegli omicidi di cui ho letto sui giornali? Proprio quelli. Troppi morti e sono ancora senza una traccia valida. - Sono sicura che ne verrai a capo. Devo dire che i giornali parlano molto bene di te. Dicono tutti che sei molto bravo nel tuo lavoro. Esagerano, mi tengono buono per avere poi notizie di prima mano. Sarà come dici ma ho idea che vuoi fare il modestino. Adesso però basta parlare di lavoro e cose brutte. Godiamoci questi minuti. Quanto tempo hai? Non moltissimo, giusto un paio d’ore. Poi devo rientrare. Cosa vuoi fare? Che ne dici di un’altra pizza? Mi sembra un’ottima idea. Ho proprio fame e una pizza mi va a genio. Solito posto? Solito posto. Tra i due si era creata spontaneamente una corrente di simpatia, raggiunsero il locale camminando fianco a fianco, molto vicini, chiacchierando del più e del meno, sorridenti e tranquilli. Alberti dimenticò i guai degli ultimi giorni, omicidi, Sorelle e Custodi. La sua mente era presa completamente da quella ragazza che conosceva da così poco ma che gli sembrava di conoscere da sempre. Il locale era semideserto, accompagnati dal cameriere, i due giovani presero posta a un tranquillo tavolino in fondo alla sala. Ordinarono subito e furono serviti quasi immediatamente. La pizza era ottima e mangiarono con gusto senza smettere mai di parlare, sorridere e guardarsi negli occhi. Alberto teneva gli occhi fissi sul viso della ragazza e questo gli salvò la vita. Mentre la guardava vide il sorriso sparirle all’improvviso dalla faccia e un’espressione di terrore profondo le stravolse il viso. Alberti reagì d’istinto. Si alzò in piedi di scatto girandosi velocemente e impugnando nello stesso tempo la pistola estratta dalla fondina che teneva di fianco. Le vide avvicinarsi velocemente, erano già molto vicine, vicinissime. Con il braccio già alzato, nella mano la loro solita arma. Le due donne erano assolutamente scialbe, due signore di mezza età, con vestiti semplici e senza trucco. Due innocue zitelle di mezza età se non fosse stato per l’espressione del loro viso e per il lungo stiletto che tenevano nella mano alzata, pronte a colpire. Non smisero di avvicinarsi neanche vedendo l’arma ormai puntata su di loro. Continuarono ad avvicinarsi senza timore, erano troppo vicine. Alberti gridò di fermarsi ma le due donne continuarono ad avanzare come se non l’avessero sentito. Alberti non aveva più tempo, non poteva più aspettare. Fosse stato da solo, forse, avrebbe tentato qualcosa per prenderle vive ma la presenza di Anna, il suo viso terrorizzato, il suo urlo terrorizzato che sentì rimbombare nelle orecchie lo spinsero ad agire. Il primo sparo colpì la donna più vicina che cadde a terra con il sangue che sgorgava dal petto, la seconda ne scavalcò il corpo lanciandosi su Alberti senza timore. Alberti sorpreso dalla reazione della donna ebbe un attimo di esitazione che per poco non gli costò la vita. Solo l’istinto di sopravvivenza gli fece schivare il colpo sferrato dalla donna al suo petto. Il movimento gli fece perdere l’equilibrio facendolo quasi cadere. La donna invece si rimise subito in posizione slanciandosi di nuovo verso di lui con il braccio alzato. Alberti non esitò ancora. Le sparò cercando di mirare al braccio ma nel movimento verso di lui la donna cambiò direzione. Il colpo la colpì in pieno viso. Solo dopo averla vista a terra il commissario riprese a sentire. Anna e tutti gli altri clienti del locale urlavano terrorizzati, qualcuno seduto immobile sulla sedia, qualcun altro buttato a terra o cercando di raggiungere l’uscita. Alberti riprese in pugno la situazione. - Calma, calma, sono della polizia. State tranquilli, è tutto finito. State tranquilli. Poi il poliziotto si avvicinò a Anna che sedeva rigida e terrorizzata al suo posto. - Anna, Anna, tutto bene? Sei ferita? Per qualche secondo la ragazza lo guardò senza parlare e senza dare segno di riconoscerlo. Poi si riprese. Un lieve sorriso. - - - Sto bene, sto bene. Solo tanta paura. Ma chi erano quelle due pazze? Due pazze, hai ragione. Due della pazze che sto inseguendo da giorni. Mi dispiace Anna, è tutta colpa mia. Ti ho messa in pericolo, sono stato un idiota. Io me ne vado in giro mentre delle pazze scatenate sono pronte a tutto. Ti chiedo scusa. Stai tranquillo Alberto, è tutto a posto. Non fartene una colpa, non potevi certo immaginare una cosa del genere. Forse no, ma avrei dovuto essere più prudente e più attento. Queste donne sono davvero pronte a tutto, avrei dovuto saperlo. Adesso scusami, devo avvisare il mio vice, potrebbe essere in pericolo anche lui. Vai Alberto, pensa a fare quello che devi. Io sto bene e tra qualche minuto sarò a posto. Grazie, aspettami qui. Alberto si allontanò per telefonare a Leonardi. In quel momento a sirene spiegate arrivò una volante. I due poliziotti scesero velocemente dall’auto impugnando le pistole e entrando di corsa nel locale. Alberti rimessa a posto l’arma si premunì di alzare bene in alto le mani. Meglio essere prudenti. I due agenti lo videro subito e altrettanto velocemente lo riconobbero. - Commissario, cos’è successo? - - Tranquilli, adesso è tutto sotto controllo. Due donne hanno tentato di uccidermi, sono stato costretto a sparare. Adesso ascoltatemi bene. Chiamate altre pattuglie e avvisate la centrale di mandare la scientifica e il medico legale. Poi identificate tutti i presenti, ricordate che è solo per prudenza, sono certo che sono tutte persone a posto. Perciò massima cortesia e cercate di fare in fretta a mandarli via. Ne hanno già passate troppe oggi. Io devo fare delle telefonate. Per qualsiasi cosa chiedete. Tutto chiaro? Chiarissimo commissario, stia tranquillo. Faremo come ci ha ordinato. Ah un’ultima cosa. La ragazza a quel tavolo è una mia amica. E’ molto scossa, lasciatela tranquilla. A lei penso io. Agli ordini commissario. Bene, ci vediamo dopo. Dopo aver salutato i due agenti Alberti uscì per telefonare. Stava ancora componendo il numero quando sentì le sirene delle altre volanti che arrivavano. Ottimo, pensò. Poi Leonardi rispose. - Salve commissario, novità? Solo una, due Sorelle hanno tentato di uccidermi. Dall’altra parte silenzio. Poi la voce agitata dell’ispettore. - Sta bene commissario? La ragazza sta bene? Com’è andata? Tranquillo, tutto bene. Cioè noi stiamo bene ma le due donne sono morte. Ho dovuto ucciderle, sembravano pazze scatenate, senza nessun timore di morire. Si sono fermate solo morte. Una cosa spaventosa. Sembravano in - una specie di trance mistica, due esaltate pronte a morire per la loro causa. Terribile. Ho dovuto ucciderle. Non ci pensi commissario, ha fatto quello che doveva. Adesso chiamo Caterina e la raggiungiamo. Bene Leonardi ma state attenti anche voi, potreste essere un bersaglio anche voi. Prudenza. Va bene, saremo prudenti. Bene vi aspetto. Sono in una pizzeria a pochi metri dall’università. La troverete subito, è quella circondata dalle nostre volanti. A dopo. A dopo commissario. Leonardi messo in allarme dalla telefonata si avviò verso i bagni per chiamare Caterina. Davanti alla porta sentì la ragazza parlare con qualcuno. Una voce di donna. Una specie di presentimento lo spinse ad aprire subito la porta. Fu quella specie di presentimento a salvare la vita della ragazza. Caterina era tranquillamente intenta a lavarsi le mani dando le spalle alla sua interlocutrice. Un’anziana signora, una tranquilla vecchia signora che alle spalle della ragazza mentre continuava a parlarle normalmente stringeva nella mano alzata un lungo ago già pronto a colpire. Leonardi, impugnando la pistola, lanciò un urlo, un avvertimento per Caterina e una intimidazione per l’anziana signora, sicuramente un’altra delle Sorelle. Caterina si voltò di scatto e con uno scatto repentino riuscì a schivare il colpo della Sorella, scivolando però sul pavimento bagnato e cadendo per terra dopo aver battuto la testa sul lavandino. Svenuta cadde ai piedi della donna. Leonardi puntò l’arma sulla donna. - Ti consiglio di non muoverti, fai un solo gesto e sarò costretto a sparare. Mi hai capito? La domanda gli venne spontanea. La donna non sembrava minimamente intimorita. Lo guardava tranquilla, quasi sorniona. Stringeva la sua arma senza dare segno di volerla lasciare. Poi con un leggero sorriso, così sembrò a Leonardi, la donna si mise a fissare la ragazza svenuta ai suoi piedi. Leonardi pensò fosse sul punto di colpire Caterina e mirò alla spalla della donna. L’avrebbe disarmata. Ma la donna lo sorprese, si voltò di scatto e alzando il braccio si mise correre verso di lui. Leonardi pensò per un attimo di gridarle qualcosa ma poi capì dallo sguardo perso della donna che nessuna parola avrebbe potuto fermarla. Sparò cercando di mirare alla spalla. CAPITOLO QUATTORDICI Nell’ufficio del commissario l’atmosfera era pesante. Alberti sedeva teso e nervoso alla scrivania continuando a leggere con evidente insoddisfazione tutta la serie di rapporti negativi che continuavano ad arrivare. Niente, nessun traccia, nessuna notizia, né di Heffner né delle Sorelle. Dopo aver evitato l’attacco delle Sorelle il commissario e i suoi amici si erano messi con ancora più impegno in caccia, ma senza risultato. - - - Niente da fare, quelle maledette si devono essere rintanate di nuovo nella loro tana. Si vede che dopo aver fallito il loro piano per ucciderci hanno ritenuto più prudente tornare a nascondersi. Vorrei tanto sapere dove. Una cosa è certa, Alberto, ci hanno messo nella lista dei loro nemici. Hai ragione Caterina, nella lista nera. Ci siamo salvati per miracolo, scusate il termine. Ma c’è un’altra cosa certa, non siamo solo noi in caccia. Le Sorelle ci controllano e ci spiano, ci seguono e sanno sempre perfettamente dove siamo. Lo fanno loro direttamente o tramite qualcuno. Questo deve farci diventare ancora più prudenti, non parlare con nessuno che non sia fidatissimo degli sviluppi e stare sempre in guardia. Sono perfettamente d’accordo, commissario. Se ripenso alla scena di qualche ora fa mi vengono ancora i brividi. Un minuto di ritardo e quella donna avrebbe ucciso Caterina. Mi ritorna sempre in mente il suo sguardo, vuoto, senza espressione. Sia quando stava per uccidere sia quando ha accettato di morire, perché sapeva di morire, non ha minimamente cambiato espressione. Non riesco a decidere se sono pazze o semplicemente fanatiche. In ogni caso mi fanno paura e, lei lo sa commissario, non sono certo il tipo che si spaventa - - facilmente. A proposito come sta quella ragazza che era con lei, Anna? Sta bene, molto scossa anche lei ma sta bene. Per fortuna non le è successo nulla. Non me lo sarei perdonato, sono stato uno stupido. Non poteva certo immaginare una cosa del genere. Non se ne faccia una colpa. Lo so Leonardi, lo so. Però avrei dovuto pensarci. Ci troviamo di fronte a un gruppo di fanatiche religiose che ammazzano in nome di Dio, la razza più pericolosa gli assassini convinti di fare il volere del loro Dio. Da loro bisogna aspettarsi di tutto. Sono persone disposte a uccidere e farsi uccidere, senza esitazioni. A proposito, sei stato bravo a non ucciderla. Sono stato fortunato, all’ultimo momento, devo essere sincero, ho sparato avendo solo in testa di fermarla e non averlo fatto è stato solo un caso. Caso o non caso mio caro Dario sei stato bravo e non dimentico che ti devo la vita. Il sorriso e le parole di Caterina fecero tornare, per un attimo, il sorriso sulle labbra dell’ispettore. - - Comunque non penso che ne ricaveremo nulla, per ora la donna che hai ferito non è in grado di parlare e quando si rimetterà non so quanto ne ricaveremo. Non penso che una persona disposta a morire per la sua fede sia poi disponibile a darci una mano contro le sue compagne. Vedremo quando starà meglio. Per ora continuiamo a tenerla sotto strettissima sorveglianza. Temi che possano tentare di liberarla? Non lo so Caterina, ormai da quelle donne mi aspetto di tutto. Potrebbero tentare di liberarla o - semplicemente tentare di ucciderla per essere assolutamente sicure che non parli, tutto è possibile. Pensi possano arrivare a tanto, uccidere una di loro? Non ho dubbi Caterina, lo farebbero tranquillamente. La loro causa viene prima di tutto anche della loro stessa vita. Penso che lei abbia ragione commissario, quelle donne non si fermeranno davanti a nulla per raggiungere il loro scopo, perciò dobbiamo fermarle noi. Lo faremo Leonardi, lo faremo. Adesso vai a vedere se ci sono novità dalle pattuglie. Vado subito commissario, ho dato incarico a De Cicco e Maestri di controllare ma ci vado anch’io. Leonardi uscì dalla stanza lasciando Alberti e l’agente americano intenti a spulciare le carte in cerca di un qualsiasi indizio. La sua assenza durò pochi minuti. All’improvviso la porta dell’ufficio si aprì e la voce agitata dell’ispettore annunciò la notizia. - - Abbiamo una traccia su Heffner. A uno dei nostri agenti è venuto in testa di controllare anche le agenzie di noleggio auto e ha scoperto che Heffner ha noleggiato un camper appena arrivato a Roma. Ecco perché non lo trovavamo. Hai diramato l’ordine di ricerca a tutte la pattuglie? Certo commissario, già fatto. Tutte le pattuglie di Roma e di tutta la regione. Se ha preso a noleggio un camper probabilmente vuole spostarsi fuori dalla città. Bene Leonardi, allora adesso possiamo solo aspettare, non dovrebbe volerci molto a individuare un camper. Una volta che avremo trovato e messo al sicuro Heffner vedremo che spunti potrà darci per trovare le Sorelle. In ogni caso saremo più tranquilli. Ordina qualcosa da mangiare, restiamo qui. Mentre i tre amici si mettevano tranquilli in attesa di notizie anche il professor Heffner ignaro di tutto si godeva tranquillamente la sua vacanza in giro per le campagne romane. Non sapeva neanche bene dove fosse, aveva girato a casaccio seguendo strade e stradine poco battute, fermandosi quando ne aveva voglia in posticini tranquilli. In quel momento era parcheggiato in una piccola piazzola di sosta, appena fuori un piccolo paesino di cui non sapeva neanche il nome. Il sole stava tramontando e dopo aver mangiato qualcosa il professore si mise beatamente a fare un pisolino su una comoda sdraio compresa nella dotazione del camper. Si appisolò subito senza notare le due persone che già da qualche ora seguivano con discrezione i suoi movimenti. Quando lo videro respirare tranquillamente le due persone si avvicinarono. Erano due donne. - L’abbiamo trovato, sorella. Silenzio. La seconda donna zittì la prima. Poi silenziosamente si avvicinò all’uomo sdraiato. Era profondamente addormentato. Senza parlare la donna estrasse dalla capiente borsa che teneva a tracolla una boccettina contenente un liquido chiaro. Aperta delicatamente la bottiglietta la donna si avvicinò al professore addormentato e lentamente la fece passare sotto il suo naso poi, dopo una serie di passaggi, aprì lievemente la bocca dell’uomo e versò qualche goccia del liquido direttamente sulla lingua. Solo dopo qualche secondo si decise a parlare, con tono normale. - - Adesso siamo sicure che non si sveglierà. Forza Sorella Lucia carichiamolo sul camper e portiamolo dalla Santa Madre. Lei saprà cosa farne. Hai ragione Agnese, lei sa sempre cosa fare. Sarà una fatica caricarlo. No, tu sei in grado di guidare quel coso, adesso spostalo più vicino possibile, poi useremo la sedia come lettiga per tirarlo su. Del resto non potevamo rischiare di affrontarlo sveglio, per quanto anziano avrebbe potuto darci dei problemi e siamo troppo vicini al paese per permetterci una lotta. Hai ragione. Adesso sposto il camper. Sorella Lucia si avviò verso il mezzo parcheggiato. Salita al sedile di guida constatò con soddisfazione che le chiavi erano infilate nel cruscotto. Evidentemente il professore si sentiva tranquillo. Messo in moto la donna si avviò lentamente verso il corpo addormentato parcheggiandolo con la porta di fianco alla sedia. Poi, scesa velocemente, aiutò la sua consorella infilare la sedia con tutto il suo peso nel retro del camper. L’operazione si rivelò più complicata del previsto, la porta era stretta e non permetteva di infilare la sedia aperta. Durante i vari tentativi il corpo addormentato del povero professore finì a terra. A quel punto le due donne, ormai stanche e demoralizzate, si decisero a trascinarlo semplicemente fino allo scalino e poi sul mezzo. Finita l’operazione lo legarono per precauzione e risalite nella cabina di guida si misero in viaggio verso la loro meta. Prudentemente si tennero lontane dalle strade principali e la loro decisione le salvò dall’essere intercettate dalle pattuglie di polizia e carabinieri impegnate nella ricerca del camper. Il viaggio non fu lungo, dopo neanche un’ora di cammino entrarono nel cortile del convento. Madre Maria era lì ad aspettarle. Nel frattempo Alberti era al telefono con il suo amico Benelli. Il commissario aveva deciso di avvisare anche il comandante della gendarmeria di quello che avevano scoperto. Più erano a cercare più probabilità avevano. - - - - Ti ringrazio dell’informazione Alberto. Apprezzo molto la tua collaborazione. Io la penso come te, sarebbe stato meglio unire le forze per aumentare la nostra capacità operativa. Purtroppo non dipende da me. Lo so Carlo, tranquillo. Adesso preoccupiamoci di fare il nostro lavoro. Salvare la vita Heffner e trovare le Sorelle. Novità da quella parte? Niente, ti assicuro. Sarei felice di poterti dare qualche buona notizia ma la verità è che è una ricerca quasi senza speranza. I posti dove possono nascondersi sono centinaia e io non ho nessuna traccia precisa e non ho abbastanza uomini per controllarli tutti. Non voglio essere banale ma è davvero come il classico ago nel pagliaio. Lascia stare gli aghi che se ci penso mi vengono di nuovo i brividi. Hai ragione, non avrei mai pensato che sarebbero arrivate a tentare di uccidere te e i tuoi collaboratori. Quelle donne hanno superato qualsiasi limite. Quando le prenderemo dovremo trovare un sistema davvero sicuro per impedire che possano ripetere le loro gesta. Comunque sono felice che vi siate salvati senza un graffio. Saluta l’agente Foster da parte mia e anche da parte di Guliani. Lo farò Paolo, grazie. Adesso torno al lavoro. Fatti sentire se ci sono novità e se puoi. Lo farò tranquillo. Saluti. Chiuso il telefono Benelli ci pensò un attimo. Poi si decise e compose il numero riservato del cardinale. - Buongiorno eminenza, volevo informarla degli ultimi sviluppi. Venga pure comandante. Preferisco parlare di persona. Il cardinal Valente non aggiunse altro e neanche il comandante Benelli. In pochi minuti Benelli raggiunse le stanze del cardinale e lo aggiornò degli ultimi sviluppi. - Lei ha perfettamente ragione comandante, quelle donne hanno superato ogni limite. Bisogna fermarle al più presto. Per questo sono qui eminenza. Voglio rinnovarle la mia richiesta di collaborazione con la polizia italiana, con il commissario Alberti. Se uniamo le nostre forze avremo più speranze di trovare le Sorelle. Se poi lei riuscisse a ottenere anche l’aiuto diretto del ministro, magari mettere in campo anche i carabinieri e qualche unità dell’esercito potremmo iniziare un’opera di controllo a tappeto di tutti i possibili nascondigli delle Sorelle. Il cardinale non ebbe esitazioni. Mi dispiace comandante, non è possibile. E’ inimmaginabile, non posso permettere a poliziotti e carabinieri di entrare nei nostri conventi e monasteri. Sarebbe una vera e propria offesa a secoli di storia e potrebbe creare un pericolosissimo precedente. Capisco le sue buone intenzioni ma non posso autorizzarlo. Continui a operare con le sue forze, so che farà il massimo, ho piena fiducia in lei ma ho anche altrettanta fiducia che il Signore ci aiuterà. Abbia fede anche lei comandante. Spesso l’aiuto di Dio arrivi proprio quando tutto sembra perduto. Adesso vada, devo informare il Santo Padre. Le prometto che accennerò alla sua richiesta, anche se sono certo che Sua Santità concorderà con la mia scelta ma se dovesse invece decidere di venire incontro alla sua preghiera, la richiamerò subito e in quel caso muoverò tutte le mie amicizie e conoscenze per mettere in campo quante più forze possibili. Benelli capì che non era il caso di insistere, era sicuro che Valente avrebbe riportato al Papa la sua idea ma era altrettanto sicuro che senza il pieno appoggio del cardinale non avrebbe avuto nessuna possibilità di essere accettata. Salutò il cardinale e ritornò nella Sala Operativa della Gendarmeria per riprendere il suo lavoro di ricerca. Speriamo in Dio, pensò, o almeno in un grosso colpo di fortuna. Intanto il povero professor Heffner, ancora mezzo addormentato si trovava seduto su una scomoda sedia di legno, legato mani e piedi, in quella che sembrava una cucina, di fronte a una suora con il volto dolce e sereno che lo guardava sorridendo. A parte il fatto di essere legato non si sentiva in pericolo, quella donna aveva uno sguardo così dolce da non fargli nessuna paura. Anche le altre donne sedute intorno a lui, tutte suore, non sembravano pericolose. Solo non riusciva a capire perché l’avessero legato. - Ben svegliato caro professore, come si sente? La voce della suora era dolce e bassa e sembrava veramente interessata al suo stato di salute. Oltretutto al professore sembrava di averla già incontrata qualche tempo prima. Il professore trovò naturale risponderle cortesemente. - Direi che sto bene, solo un po’ intontito. - - - Stia tranquillo, le passerà presto. E’ un lieve effetto secondario del sonnifero che le mie consorelle le hanno fatto prendere. Ci deve scusare ma non avevano tempo e possibilità di darle troppe spiegazioni. Adesso invece le spiegherò tutto. La lascio tranquillo ancora per qualche minuto, intanto le consiglio di bere una bella tisana calda, tutta naturale che le rimetterà in piena salute in pochi minuti. Lei è molto gentile ma non riesco a capire perché mi avete rapito e perché mi tenete legato. Cosa volete da me? Diciamo che abbiamo bisogno della sua consulenza professionale per capire meglio alcuni documenti in nostro possesso. Di quali documenti parla? Li conosce benissimo professore. Parlo delle relazioni che lei e altri suoi colleghi avete presentato al cardinal Ravasi. Ma come avete fatto ad averli. Quei documenti sono molto delicati e devono rimanere segreti. Vanno letti e interpretati, se venissero divulgati senza un’adeguata presentazione e spiegazione potrebbero causare gravi danni alla Chiesa e al mondo intero. Lei ha ragione professore. Comunque per averli abbiamo dovuto usare metodi poco ortodossi e poco giustificabili e di questo renderemo conto a nostro Signore ma siamo sicure che non danno deriverà alla Chiesa ma una positiva e benefica spinta al cambiamento e al rinnovamento. La nostra amata Chiesa ha bisogno di un sussulto, di una scossa, che la smuova dalle fondamenta e la porti su una via più conforme al volere della Beata Vergine Maria, via indicata nel Terzo Segreto di Fatima. Il professore iniziò a preoccuparsi. Quella donna pur conservando il suo sorriso e il suo tono dolce sembrava molto presa delle sue convinzioni. Senza aggiungere altro la donna si allontanò, subito seguita da tutte le altre suore. Evidentemente la consideravano la loro superiora. Con un cenno indicò una delle suore più giovani che subito si diresse verso i fornelli dove da tempo bolliva una grande pentola. Con gesti rapidi e precisi la giovane suora versò il liquido scuro dalla pentola in una grossa tazza scura. Tenendo la tazza con due mani si avvicinò all’uomo legato. Arrivata vicina al grosso tavolo in legno che occupava tutto il centro della stanza posò la tazza e si avvicinò al professore iniziando a slegarlo. Una sola mano. Con la mano libera il professore era alla distanza giusta per prendere la tazza. Senza neanche farselo chiedere lo fece. La bevanda era calda ma non bollente, densa e saporita. Molto piacevole da bere. Il professore provò subito un senso di benessere, il leggero stato di stordimento passò completamente lasciandolo in un piacevole stato di rilassamento. La sua mente tornò in breve tempo lucida e reattiva e si rese conto di essere probabilmente in un grosso guaio. Doveva prendere tempo, non far arrabbiare quelle donne e far finta di collaborare ma senza dare troppe spiegazioni. I segreti di quei documenti erano troppo scottanti e permettere a quelle donne di venirne in possesso l’avrebbe messo nei guai con persone anche più pericolose. Era davvero in una brutta situazione. Decise di stare al gioco. - Davvero buono sorella. Cosa c’è dentro? Erbe, solo erbe mischiate secondo antiche ricette. Stia tranquillo non sono velenose e neanche pericolose in qualsiasi modo. Non vogliamo farle del male. Ne sono sicuro sorella, era solo curiosità. Se adesso si sente meglio posso chiamare la Madre. - - - Veramente sono un po’ stanco e ho anche un leggero appetito. Sarebbe possibile avere qualcosa da mangiare e poi dormire qualche ora? Ero in viaggio già da molto e ho bisogno di riposare in un buon letto. Come desidera. Adesso le preparo qualcosa di semplice e leggero ma anche molto gustoso, poi l’accompagnerò nella sua stanza. Vedrà la Madre domani mattina. Mi è stato ordinato di accontentarla e per quello che posso sono a sua disposizione. Spero mi slegherà per mangiare. Purtroppo no, non posso farlo. La imboccherò io. Questo è veramente ridicolo, imboccarmi come un bambino. Le prometto che non tenterò né di assalirla né di fuggire. Le ripeto, mi dispiace ma non è possibile. Le istruzioni della Madre sono state chiare e precise. Lei rimarrà legato e io la imboccherò come un bambino. Un sorriso divertito addolcì il volto della giovane che era, notò il professore, molto carina. Rassegnato alla sua sorte, neanche tanto spiacevole, il professore si rilassò e si mise seduto il più comodamente possibile sulla sedia. Se non altro, pensò ho guadagnato un’intera notte per cercare una soluzione ai suoi problemi. Il buon odore proveniente dai fornelli lo distrasse completamente dalle sue preoccupazioni. Carina e gentile, ottima cuoca, ragazza da sposare, con quest’ultimo pensiero il professore si accinse tranquillamente a gustare la sua cena. Molto meno tranquillo era invece padre Joseph. Questa volta nello studio del cardinal Ravasi l’aria era decisamente più tesa. L’alto prelato era molto irritato con il suo segretario. - - - Insomma padre, mi aveva promesso risultati in poco tempo e invece quelle Sorelle sono ancora in giro. E anche del professore non abbiamo nessuna novità. Mi spiega cosa intende fare? Le assicuro eminenza che non è così. Abbiamo nuove notizie sul professore. Le mie fonti mi hanno informato che appena arrivato a Roma ha noleggiato un camper che stiamo cercando con tutti i mezzi a disposizione. Anche sulle Sorelle abbiamo novità importanti, ci sono arrivate alcune segnalazioni, molto interessanti e dettagliate, su alcuni possibili rifugi. Le sto facendo controllare tutte e sono sicuro che in poco tempo individueremo il posto dove si nascondono e lì troveremo loro e, magari, anche il professore. E spera di trovarlo vivo o morto, padre? Questo non lo so eminenza. Io spero vivo ma questo non dipende da me. Certo che non dipende da lei ma da quanto tempo ci metterà a trovare quel posto. Vada e mi tenga informato continuamente. Senza ribattere e con il capo chino il prete si alzò dalla poltrona. Si avvicinò al cardinale per baciargli l’anello ma il prelato ostentatamente non allungò la mano. Padre Joseph capì che non era il caso di insistere e lasciò la stanza. Rimasto solo il cardinale diede sfogo alla sua rabbia lasciandosi sfuggire una imprecazione. Maledizione le cose si stavano mettendo davvero male. Le notizie erano arrivate direttamente alle orecchie del Santo Padre, ci aveva pensato quel maledetto di Valente a informarlo di tutto. Se non fosse riuscito a fermare presto le Sorelle e bloccare qualsiasi fuga di notizie all’esterno la sua carriera sarebbe stata rovinata. Ma la cosa non era facile. Anche il comandante Benelli era sulle tracce delle Sorelle e onestamente il cardinale pensava che il capo della gendarmeria avesse molte più possibilità di trovarle di padre Joseph. Quel prete si stava rivelando un incapace. Per anni aveva risolto con grande abilità molte situazioni piacevoli ma in quella storia l’aveva consigliato e si era mosso in modo molto maldestro, troppo. Finito quel casino lo avrebbe rimandato in qualche sperduta parrocchia di provincia a fare un po’ di penitenza. E poi, per finire, c’era pure quel piccolo funzionario di polizia, quel commissario, che sembrava seriamente intenzionato ad arrestare le Sorelle e portarle in tribunale. E questa possibilità era ancora più catastrofica della prima. Le Sorelle in mano a Benelli sarebbero comunque state messe sotto silenzio ma in un’aula di tribunale la storia avrebbe scatenato un vero e proprio putiferio che neanche tutte le amicizie del Vaticano avrebbe potuto fermare. Doveva bloccare quel poliziotto in qualche modo, pensò, ma non gliene venne in testa nessuno. Sconsolato spense la lampada e uscì dallo studio. Una notte di sonno gli avrebbe portato consiglio, forse. CAPITOLO QUINDICI Alle nove di mattina del giorno dopo gli eventi ebbero un’accelerazione improvvisa. Nell’ufficio del commissario era riunito già dalle sette tutto il gruppo per un esame della situazione che non era confortante. Leonardi aveva già chiamato tutte le sue fonti senza ottenere nessuna informazione utile Caterina aveva fatto lo stesso con tutti i contatti che l’FBI aveva in Italia ma anche lì nessuna notizia utile. De Cicco e Maestri, in servizio nonostante le ferite, avevano spulciato pazientemente tutti i rapporti della notte di tutte le pattuglie in servizio sperando di trovare una traccia nelle centinaia di fatti strani che ogni notte accadono a Roma ma, anche da quella parte niente. Alberti sembrava davvero sconsolato, non avevano tracce di nessun tipo. Un cupo silenzio era caduto nella stanza, nessuno si sentiva di dire qualcosa o dare un suggerimento. La situazione già tesa peggiorò ancora con l’arrivo di Malinverni, il piantone di turno che arrivò talmente trafelato che entrò senza neanche bussare, agitando nella mano un foglietto di telescrivente. - Commissario, commissario, l’hanno trovato. Malinverni calmati, cosa hanno trovato? - Il camper, commissario, il camper che stiamo cercando. La notizia mise in movimento tutti i presenti. Alberti scattò in piedi strappando il foglio dalle mani dell’agente. - Bravo Malinverni, bravo. L’agente si prese il complimento che certo non spettava a lui, semplice postino della notizia e rimase in attesa di ordini. Alberti dopo aver letto velocemente le notizie ottenute nel foglio ne fece un breve riassunto a beneficio di tutti. - L’hanno trovato ma il professore non c’è, direi per fortuna, perché questo vuol dire che è ancora vivo. Dove l’hanno trovato? In un campo abbandonato sulla Prenestina, Leonardi. Ora diamoci da fare. Intanto che andiamo a dare un’occhiata avvisa la scientifica e la Squadra Cinofila. Voglio che impegnino tutti gli uomini liberi e ogni mezzo per cercare qualsiasi indizio possa esserci utile. Dove è stato quel camper? Quanti chilometri ha fatto? Su quali terreni è passato e, naturalmente, se ci sono tracce di lotta e di sangue. Contatta anche l’agenzia che lo ha noleggiato e fatti dare tutti i dati che hanno sul chilometraggio al momento del noleggio così sapremo di preciso quanti chilometri ha fatto. Magari non ci serviranno a nulla ma è un tentativo che dobbiamo fare. De Cicco e Maestri resteranno qui a raccogliere i dati che arrivano e dirameranno l’ordine a tutte le pattuglie di continuare le ricerche del professore mettendo dei posti di blocco e perquisendo tutti i mezzi sospetti. Leonardi, io tu e Caterina adesso andiamo sul posto. Avvisa gli agenti sul luogo di transennare tutto, non avvicinrsi e non fare avvicinare nessuno fino a quando non arriviamo noi e la scientifica. Non possiamo rischiare che qualche agente troppo zelante ci rovini tracce preziose. Senza aggiungere altro Alberti si avviò velocemente verso la porta seguito dal Leonardi e dall’agente americano. Poi si bloccò di colpo e si girò di scatto verso De Cicco. - - De Cicco occupati tu di contattare l’agenzia di noleggio, di persona. Chiedigli se per caso il camper ha un navigatore satellitare incorporato, di quelli antifurto. Se fossimo così fortunati potremmo sapere esattamente che percorso ha fatto nelle ultime ore e se le Sorelle lo hanno usato per trasportare il professore al loro rifugio prima di abbandonarlo potrebbe avere una traccia precisa da seguire. Fammi sapere subito se è così e nel caso fatti dare subito i dati di ricerca e mobilita il Reparto Tecnologico. Va bene? Tutto chiaro commissario, non si preoccupi. Lo faccio personalmente e le faccio sapere. Bene De Cicco magari ci scappa il primo colpo di fortuna di questa storia. Adesso andiamo. Davanti al commissariato l’auto del commissario era già pronta con il motore acceso. Appena saliti il commissario diede l’ordine di partire. - Vai Russo e vai più veloce possibile. Agli ordini commissario. Per l’agente Russo che amava andare forte l’ordine del suo superiore era un vero regalo. Partì sgommando e facendo schizzare via di fretta un agente un po’ troppo vicino all’auto. - Senza ammazzare nessuno, Russo, ci sono già troppi morti in questa storia. Tranquillo commissario, si fidi di me. Speriamo bene fu il pensiero di Caterina che non conosceva bene le doti di pilota dell’agente ma che vedeva sfilare troppo velocemente le strade e il paesaggio davanti all’auto lanciata a forte velocità verso la Prenestina. Nonostante i timori della ragazza americana l’auto giunse senza incidenti al campo del ritrovamento. Il luogo era invisibile dalla strada ma seguendo le indicazioni radio di uno degli agenti sul posto Russo riuscì senza troppi problemi a individuare il posto preciso. Nel piccolo campo c’era una folla di agenti, alcuni in divisa che circondavano il piccolo camper abbandonato, altri con addosso i particolari camici bianchi degli esperti della scientifica che esaminavano attentamente e minuziosamente ogni centimetro del mezzo e del terreno circostante. Evidentemente le istruzioni di Alberti avevano avuto effetto. L’auto era ancora in movimento quando il commissario e i suoi due collaboratori si precipitarono fuori. Riconosciuto il commissario subito uno degli agenti si diresse verso di lui. - Buongiorno commissario, ben’arrivato. Sono il maresciallo Capelli, ho coordinato le operazioni, seguendo le sue istruzioni, in attesa del suo arrivo. Molto bene maresciallo, mi dica tutto. Non c’è molto da dire commissario. In centrale è arrivata una segnalazione anonima che indicava la presenza di un camper abbandonato in questo posto. Come al solito abbiamo mandato una pattuglia a verificare e quando la volante ha verificato il numero di targa si è accorta che era il camper di cui ci era stata - - segnalata la ricerca. A questo punto siete stati avvisati al commissariato. Questo è quanto. Avete trovato qualcosa di interessante? Durante il primo sopralluogo per verificare la presenza di persone o corpi all’interno gli agenti non hanno visto nulla di particolare poi, secondo i suoi ordini, abbiamo sospeso ogni operazione in attesa della scientifica. Adesso sono loro che stanno lavorando. Va bene, dica agli agenti di dare un’occhiata anche nel terreno circostante. Potremmo trovare qualche brutta sorpresa. L’abbiamo già fatto commissario. Abbiamo esplorato il campo tutt’attorno fino alla statale. Anche utilizzando i cani. Niente. Niente cadaveri e niente tracce. Solo il solco dei pneumatici del camper dalla strada a questo posto. Nessuna traccia di persone o altre auto. Il commissario guardò il maresciallo con attenzione. Era molto giovane e aveva uno sguardo diretto e molto sveglio. Si era mosso molto intelligentemente e con grande spirito di iniziativa. Tutte qualità che ad Alberti piacevano molto. - Davvero un ottimo lavoro maresciallo. Quanti anni ha? Sembra molto giovane. Venticinque anni signore. Da quanto tempo è in servizio? Sono sei anni signore. Volontario appena compiuti i diciotto anni, stradale per due anni, poi scuola sottufficiali e in sevizio alle volanti da quasi tre anni. Complimenti maresciallo. Senta ha mai pensato di passare alla investigativa? Certo commissario, ne sarei ben felice. Allora facciamo così. In questo momento non ho tempo ma appena avrò sistemato questa brutta storia la - contatterò per fare due chiacchiere più tranquille con lei. Vedremo cosa si potrà fare. Adesso la saluto, devo parlare con quelli della scientifica. Ai suoi ordini commissario, quando vuole. Il maresciallo salutò il suo superiore alzando la mano al berretto ricambiato da un cenno del commissario. Alberti seguito da Leonardi e da Caterina si diresse verso uno degli uomini in bianco. - Che ne dici Leonardi, sembra in gamba quel ragazzo. Sono d’accordo, giovane e sveglio. Ottimo elemento. Abbiamo bisogno di qualche rinforzo in gamba. Ho stai pensando di sostituirmi? La domanda scherzosa dell’ispettore fece sorridere Caterina che non esitò a lanciare una frecciatina a quello che era ormai un suo caro amico. - - - Sai Dario potrebbe anche essere. Diciamoci la verità gli anni passano per tutti e tu non sei più un ragazzino di primo pelo io al posto di Alberto inizierei a pensare a un cambio di guardia. Davvero spiritosa ragazzina. Grazie dei complimenti e della considerazione. Lasciala perdere Leonardi e stai tranquillo. Non ho nessuna intenzione di sostituirti e per me non sei troppo vecchio. Anche se a volte sei proprio petulante come un vecchio zio. Va bene, va bene, gioventù ingrata. Tutti contro la vecchia guardia. Me ne ricorderò la prossima volta che avrete bisogno di me per salvarvi la vita. La frecciatina era rivolta alla ragazza che però non fece in tempo a ribattere. Vedendoli arrivare uno degli uomini della scientifica si era infatti avvicinato e ora li guardava in attesa. - Saluti, sono il commissario Alberti. Alberto salutò il collega in camice bianco porgendo la mano che l’altro non strinse. - - Scusi commissario, ho i guanti. Saluti anche a voi, sono l’ispettore Antonini. Salve ispettore. Le presento l’ispettore Leonardi e l’agente del FBI Foster, che collabora con noi in questa indagine. Trovato qualcosa? Per ora niente. Non sembra ci siano tracce interessanti. All’interno del camper c’è ben poco. Qualche vestito da uomo, molti libri e la solita roba per la toilette. Nient’altro. Anche fuori non c’è molto, anzi direi niente. Gli unici indizi potrebbero venirci dal fango sugli pneumatici ma per analizzarlo dobbiamo tornare in sede. Mi dispiace ma non penso di potervi essere di aiuto. Peccato ispettore, ci speravamo. Ha notato se il camper ha un navigatore satellitare? No commissario, ci ho pensato anche io ma non l’ho trovato. Questo modello è abbastanza vecchio e di serie non ne era fornito. Allora siamo di nuovo in un vicolo cieco. Direi di sì. Cieco e buio. Le persone che state cercando sono state molto attente a non lasciare nessuna traccia della loro presenza. Su questo sono bravissime, le uniche tracce che lasciano sono i cadaveri. L’ispettore non replicò, non aveva nulla da dire. - - Va bene ispettore, non se la prenda. Non è certo colpa sua. La lascio al suo lavoro. Torno in ufficio. Se dovesse trovare qualcosa che possa darci anche la pur minima indicazione mi telefoni subito. Naturalmente commissario, stia tranquillo. La saluto. Abbastanza sconsolati Alberto, Leonardi e Caterina si avviarono verso l’auto che li aspettava poco distante. La delusione era evidente. La notizia del ritrovamento aveva fatto sperare in un qualche passo in avanti ma ancora una volta le Sorelle erano state più svelte e furbe di loro. Russo capì subito che l’aria non era tranquilla cos, appena li vide avvicinarsi con le espressioni cupe, spense frettolosamente la sigaretta che si stava godendo tranquillo e si mise al volante senza dire una parola. - Andiamo Russo, torniamo in centrale. Vai pure piano, non abbiamo fretta adesso. Il viaggio di ritorno si svolse in un assoluto silenzio. Persi nei loro pensieri i tre amici non si scambiarono neanche una parola. Proprio mentre stavano già entrando nel cortile della centrale una telefonata arrivò al telefono di Alberti. Vedendo il nome sul visore, nonostante tutto il viso del commissario si rischiarò un poco. Leonardi e Caterina capirono subito chi era. - Ciao Anna, come stai? Bene, bene ne sono felice. Scusami tanto se non sono venuto a trovarti e se non ti ho chiamata ma sono state ore molto pesanti. Un attimo di silenzio. - No, non le abbiamo ancora trovate ma stai tranquilla, le troveremo. Presto, te lo prometto. E devi perdonarmi ma fino a quando non le avrò messe in condizione di non fare più del male a nessuno non ci vedremo. Mi sento in davvero in colpa per averti messa in pericolo, non riesco neanche a pensare alla possibilità che ti succeda qualcosa per causa mia. Non me lo perdonerei mai. Ancora silenzio, dall’altra parte evidentemente Anna stava cercando di tranquillizzare Alberto. - Forse hai ragione, forse è come dici tu e non potevo certo immaginare una cosa del genere ma è il mio mestiere e dovevo essere più prudente. Non capiterà più. Ti prometto che farò del mio meglio per prenderle ma fino ad allora è meglio,credimi molto meglio, non vederci. In ogni caso ho predisposto un servizio di sorveglianza per te e la tua casa. Non voglio correre nessun rischio d’ora in poi. Ti chiamo io ogni volta che posso. Ciao, riposati e stai tranquilla. Un bacio a Iacopo. Chiusa la telefonata il commissario sembrava più risoluto. Il suo sguardo era tornato deciso e la fretta con la quale scese dall’auto fece capire ai suoi amici che era tornato il poliziotto implacabile e mastino che conoscevano. Il breve momento di scoramento e delusione era passato. Le Sorelle avevano di nuovo un degno avversario. Percorsero velocemente le scale e i corridoi fino all’ufficio. Alberti si sedette subito alla scrivania per controllare gli ultimi messaggi. Poi con una telefonata convocò anche De Cicco e Maestri per sentire i loro rapporti e fare il punto della situazione. I due agenti arrivarono subito. - Novità commissario? - - - - Purtroppo no Maestri. Niente di niente. Tu come stai piuttosto? Non si preoccupi commissario, roba da poco. Ci vuole ben altro per fermare una vecchia pellaccia come me. Bene , mi fa piacere. Comunque appena chiudiamo la questione con quelle maledette ti prendi qualche bel giorno di vacanza e ti vai a riposare. Anzi forse ce lo prendiamo tutti. Ne abbiamo sicuramente bisogno. De Cicco che mi dici? Nulla commissario. Ho contattato l’agenzia di noleggio che mi ha confermato che il camper non ha nessun sistema di segnalazione satellitare. Dicono che è un modello così vecchio che non ne vale la pena. Questo me l’avevano già detto altre persone. Nessuna traccia dai rapporti. Niente commissario. Ho contattato tutte le pattuglie della stradale e dei vigili urbani in servizio da stamattina in quella zona per chiedere se avessero notato il camper o qualcos’altro di particolare. Niente, nessuno ha visto o notato qualcosa. Mi sono fatto mandare il filmato di un elicottero che stava sorvolando la zona ma anche lì nessuna traccia. Sembra di stare dando la caccia a dei fantasmi. Forse hai ragione ma, fantasmi o no, le beccheremo prima o poi. Adesso direi che è il caso di mangiare qualcosa, la giornata è ancora lunga. Chiamo il bar all’angolo e ordino panini per tutti. Avete preferenze particolari? Nessuno rispose. Al ragazzo del bar il commissario ordinò un vassoio misto di panini e tramezzini. Dopo neanche un quarto d’ora il barista era davanti alla porta dell’ufficio con l’ordinazione. Mangiarono in silenzio, senza fretta. Avevano appena finito di spolverare tutto quando Malinverni sentirono un leggero bussare alla porta. Era Malinverni. - Commissario mi scusi. Ho al telefono un uomo che vuole parlare con lei. Chi è? Mi ha detto di chiamarsi Altieri. E che ha bisogno di parlare con lei. Altieri? Il commissario ripetè due o tre volte il nome poi la sua memoria mise a fuoco la persona. - Altieri, ma certo. E’ il portiere dell’albergo Excelsior. Cosa avrà da dirci di così importante? Qualsiasi cosa sia conviene sentirlo. Su questo non c’è dubbio. Magari gli è venuto in mente qualche particolare utile. Malinverni passamelo subito. Il piantone si affrettò a tornare al centralino del posto di guardia per passare la chiamata al suo superiore. Pochi secondi e il telefono sul tavolo di Alberti squillò. Il commissario con la mano già pronta sul telefono ripose al primo squillo. - Pronto sig. Altieri, sono il commissario Alberti, mi dica. Il commissario aveva inserito il vivavoce così che anche tutti gli altri presenti potessero sentire la conversazione. - Buongiorno commissario. Le chiedo scusa se la disturbo, potrebbe anche essere una sciocchezza ma ho pensato che valeva la pena dirglielo. - Dirmi cosa? Vede stamattina abbiamo avuto una piccola perdita d’acqua in una delle nostre stanze, la 520. La stanza si è allagata e abbiamo dovuto svuotarla tutta per pulirla. Le parole del portiere avevano immediatamente attirato l’attenzione del commissario e dei suoi amici. La stanza 520 era la stanza occupata dal professor Funari. - Vada avanti. Il commissario con un tono fin troppo brusco sollecitò l’uomo al telefono. Se ne rese subito conto. - - Mi scusi signor Altieri, siamo molto tesi. Invece di ringraziarla per la sua collaborazione la sto quasi sottoponendo a un interrogatorio. Non si preoccupi commissario, la capisco. Anch’io da quella sera sono ancora sotto schock. Comunque si ricorderà che la 520 era la camera occupata dal professor Funari e dopo quella notte nessun’altro ci ha soggiornato. Perciò sono quasi sicuro che quello che abbiamo trovato era lì da quel giorno. E cosa avete trovato? Un biglietto ferroviario, incastrato dietro il letto. Un biglietto ferroviario? Sì commissario, un biglietto di una linea regionale. Comprato e timbrato il primo pomeriggio proprio di quel giorno. Le parole dell’uomo al telefono diedero una scossa di adrenalina a tutto il gruppo. Altieri poteva davvero avere ragione. Se quel biglietto era stato usato dalla ragazza suicidatasi dalla terrazza dell’Excelsior poteva essere la prima traccia utile a trovare il nascondiglio delle Sorelle. - - Pronto commissario, è ancora lì? Certo sig. Altieri, sono qui. Senta intanto al ringrazio, la sua informazione potrebbe essere molto importante per noi. Adesso mando subito uno dei miei uomini a prendere quel biglietto, mi raccomando non faccia parola con nessun’altro di questo fatto e consegni il biglietto solo al mio agente. Si chiama De Cicco. Sarà lì in pochi minuti. Va bene commissario, non si preoccupi. Aspetto il suo uomo. La ringrazio di nuovo sig. Altieri. La saluto. Alberti stava quasi per riattaccare quando ci ripensò di colpo. - - Altieri, mi scusi. Riesce a vedere in quale stazione è stato fatto il biglietto? Pensavo non me lo chiedesse più commissario. Certo che riesco a dirglielo, è scritto bello grossa sul biglietto. La stazione di partenza una certa Borgata San Cosimato, Vicovaro. E dov’è questo posto? Questo davvero non lo so commissario. Dev’essere nei dintorni di Roma ma prima d’ora non l’ho mai sentito nominare. Certo non è una metropoli. Certo sig. Altieri, grazie di nuovo. Buona giornata e buon lavoro. Riattaccato il telefono Alberti iniziò a dare disposizioni a tutti. - De Cicco vola all’albergo e prendi in consegna quel biglietto. Magari esaminandolo troviamo qualche altra indicazione utile. Leonardi tu cerca di scoprire dov’è di preciso questo posto. Maestri tu vedi se risulta la presenza di una stazione di polizia o dei carabinieri sul posto e avvisali subito di tenersi pronti. Magari li mettiamo in allarme inutilmente ma è meglio tenersi pronti. Le Sorelle ci sono già sfuggite troppe volte e se stavolta ci siamo vicini non voglio dare loro nessuna possibilità di fuga. Gli uomini di Alberti si stavano muovendo in fretta per eseguire gli ordini del loro capo. Finalmente qualcosa si muoveva nel verso giusto. CAPITOLO SEDICI Era passata solo un’ora dalla telefonata di Altieri e il gruppo era di nuovo riunito nell’ufficio del commissario. Alberti aveva in mano il biglietto ferroviario consegnatogli qualche minuto prima da De Cicco. Lo aveva esaminato attentamente percorrendo con lo sguardo i pochi centimetri quadrati del sottile cartoncino. Un normale biglietto della linea regionale da Pescara a Roma emesso nel primo pomeriggio del giorno della morte di Funari. Partenza da Vicovaro e arrivo a Roma Termini. Nient’altro che potesse essergli utile. - - Allora Leonardi, cos’hai scoperto su questo paese, Vicovaro? Niente di particolare, è un piccolo paesino a circa cinquanta chilometri da qui, sulla Tiburtina. Maestri mi ha detto che non ci sono stazioni di polizia o carabinieri sul posto perciò gli ho detto di contattare la stazione più vicina e mandare lì, intanto, una pattuglia. Hai fatto bene. Nient’altro? Sto aspettando altre notizie. In quel momento fu Caterina a intervenire. - Io invece penso di aver scoperto qualcosa di interessante. Alberti e Leonardi si voltarono verso di lei. - - Vuoi dircelo o vuoi tenerci sulle spine tutto il pomeriggio? Certo che ve lo dico. Ho fatto alcune ricerche in Internet e ho scoperto qualcosa che potrebbe essere utile. In paese sorge un antico convento di monache, il Convento delle Suore Clarisse. E’ molto antico, più di cinquecento anni e ospita una piccolissima comunità di suore che custodiscono un importante archivio di antiche pergamene medievali. Molto interessante. Leonardi era troppo impaziente per una lezione di storia. - - Tranquillo Dario, vengo subito al sodo. La comunità di suore era formata da pochissime sorelle, fino a qualche mese fa. Poi, improvvisamente, sembra che ci sia stato un rifiorire di vocazioni tra le giovani ragazze e attualmente il convento sembra essersi ripopolato. E tu come l’hai scoperto tutto questo? Alberti era impressionato. - Ti assicuro che non è stato difficile Alberto. Ho solo lanciato una ricerca sui blog che parlano di Vicovaro e dintorni. Ne ho trovato uno proprio di un addetto delle ferrovie che è costretto per lavoro ad andare spesso in paese. - - - Caterina sei un angelo. Grazie Alberto, troppo gentile. A questo punto, anche se non voglio essere troppo ottimista, potremmo anche pensare che quel convento è il rifugio delle Sorelle. Sembra troppo bello per essere vero. Hai ragione Leonardi ma lo sai anche tu che nel nostro mestiere a volte è proprio un colpo di fortuna a portarti sulla strada giusta, comunque vale la andare a fare un controllo. Al massimo avremo fatto una passeggiata inutile. Su questo non c’è dubbio commissario. Come ci organizziamo? Anche se non ne abbiamo la certezza ci muoveremo con la massima prudenza e attenzione. Se le Sorelle sono lì non voglio farmele scappare. Maestri tu sei ferito e in azione non servi. Ti occuperai di coordinare l’invio sul posto di tutte le volanti disponibili in zona. Se non fossero abbastanza contatta anche i carabinieri. Mi raccomando la massima discrezione, senza sirene e senza chiasso. Se le Sorelle sono lì non voglio che le mettano in allarme. Fai circondare il convento in attesa del nostro arrivo. Noi arriveremo lì prima possibile. Io, Leonardi e Caterina andremo con un’auto mentre De Cicco ci seguirà con un’altra auto e altri due agenti. De Cicco. Comandi commissario. Tu porterai con te altri due agenti, mi raccomando, scegli gente in gamba ma non dirgli nulla sui dettagli dell’operazione. Sarà fatto commissario. Bene teniamoci in contatto e se ci sono problemi fatemi sapere subito. Adesso andiamo. Maestri avvisa Russo di farsi trovare all’uscita. Come fosse già fatto commissario. Il commissario erano sulla porta quando udirono la chiamata di Maestri che allertava l’autista che trovarono già pronto con il motore acceso. Alberti salì davanti mentre Caterina e l’ispettore si accomodarono dietro. Gli sportelli furono chiusi velocemente. Dietro di loro la seconda auto con De Cicco e gli altri agenti si accodò. - Dove andiamo commissario? Vicovaro, sai dov’è? L’autista rimase per un attimo sorpreso? - Vicovaro? Esatto, ci sai arrivare. Sì commissario, un mio zio abita lì vicino e dato che produce vino ogni tanto vado a prenderne qualche bottiglia. Russo, abbiamo fretta, molta fretta. Tranquillo commissario, la porto in paese prima possibile. Posso usare la sirena? Solo fino a un certo punto. Poi silenzio, voglio fare una bella sorpresa a delle amiche mie. Va bene commissario. Senza aggiungere altro l’agente partì a razzo inserendo contemporaneamente la sirena. Grazie alla sirena che liberava la strada davanti a loro e grazie all’abilità di Russo i cinquanta e passa chilometri furono coperti in poco più di un’ora nonostante il solito traffico della Tiburtina e del Grande Raccordo Anulare. Imboccato il raccordo l’auto lo percorse per una quindicina di chilometri prima di trovare la prima indicazione precisa del paese su un cartello di uscita. Appena letto il cartello con la scritta Uscita Vicovaro-Mandela il commissario ordinò a Russo di spegnere la sirena. Erano ormai a solo pochi chilometri dal paese, la statale era deserta e non c’era bisogno della sirena. Le prime ombre della sera stavano calando. Percorsero i pochi chilometri fino la paese. - Sai se in paese c‘è un convento di suore Russo? No commissario, mi dispiace. Di conventi non ne so nulla. Alberti si stava chiedendo come avrebbero fatto a trovare il convento, non voleva certo mettersi a chiedere a qualche passante, quando un chiamata via radio lo tranquillizzò. Era Maestri dalla centrale. - Commissario, pronto commissario? Impugnato velocemente il microfono Alberto rispose al suo agente. - - - Sono qui Maestri, dimmi. Volevo avvisarla che è tutto a posto. Sul posto ci sono almeno una decina di pattuglie altre stanno confluendo. Ho mandato un’auto dei carabinieri ad aspettarvi all’entrata del paese per guidarvi fino la convento. Loro sanno di preciso dov’è. Ottimo lavoro Maestri, veramente ottimo. Grazie commissario ma è stato facile. A dire il vero mi pesa un po’ starmene qui su una poltrona mentre voi siete lì a divertirvi, comunque per questa volta vi lascio tutto il divertimento. Mi raccomando però state attenti, quelle donne sono pericolose e io lo so bene. Grazie Maestri, non preoccuparti, staremo attenti. Adesso ti saluto ho appena visto l’auto che ci aspetta. Infatti proprio davanti a loro c’era un’auto dei carabinieri a luci spente che li attendeva. - Ottimo elemento quel Maestri. Il commento di Alberti fu approvato da un cenno di Leonardi. L’auto del commissario seguita dall’altra volante si fermò davanti alla gazzella dell’arma. In piedi davanti allo sportello aperto un militare con i gradi di maresciallo li salutò militarmente. Il commissario aprì il finestrino. - Sono il commissario Alberti maresciallo. Salve commissario, la stavo aspettando. Seguitemi e vi porto al convento come ci è stato ordinato. Grazie maresciallo, la seguiamo. Senza aggiungere altro il sottufficiale risalì sulla sua auto. L’auto si mise in moto e si piazzò davanti alla due auto della polizia. Procedendo lentamente le tre automobili procedettero in fila indiana attraversando le strade deserte del piccolo paese senza incontrare anima viva. - Caspita che vita che c’è qui. Il commento fu di Caterina. - Tieni conto che ci sono solo quattromila abitanti e tutta gente anziana. In questi piccoli paesi ormai ci vivono solo loro e certo non vanno molto in giro. Leonardi rispose alla ragazza. - - Proprio per questo è un ottimo posto per nascondersi. Poca gente, anziana e abituata a farsi i fatti propri. E poi il convento deve essere anche fuori dal paese vedo che stiamo uscendo dall’abitato. Abitato per modo di dire. Questa volta nessuno ripose alla battuta di Caterina. L’attenzione era ormai rivolta alla grande costruzione del convento che già si intravedeva a poca distanza. Era un grande fabbricato a due piani squadrato e abbastanza tozzo. La facciata anteriore era proprio davanti a loro con due ingressi sbarrati da porte di legno situati a pochi metri l’uno dall’altro e una ventina di finestre, tutte chiuse, probabilmente quelle delle celle delle monache. Davanti al convento quattro auto della polizia disposte in fila a coprire tutto il perimetro con una decina di agenti disposti di guardia davanti all’edificio. Le tre auto si fermarono. Tutti gli occupanti si precipitarono fuori. Alberti osservò la scena per qualche secondo. Sembrava tutto posto. Un uomo in borghese gli si avvicinò. - Il commissario Alberti? Sì, sono io. Piacere commissario, io sono l’ispettore capo Gerardi, mi è stato ordinato di aspettare il suo arrivo per poi cederle il comando delle operazioni. Grazie ispettore, mi sembra che abbiate già fatto un ottimo lavoro. Mi dia qualche dettaglio. Presto fatto commissario. Il convento ha solo questi due ingressi davanti, sul retro è circondato da un muro alto più di tre metri con in cima pezzi di vetro per renderlo difficilmente scalabile. Una misura di sicurezza che si usava in passato per difendere il convento. Quindi diciamo che le uniche vie di uscita e di fuga sono qui davanti. Comunque ho posizionato auto e agenti attorno a - - tutto il perimetro del convento per bloccare qualsiasi tentativo di fuga anche da quella parte. Quanti agenti abbiamo sul posto? Per ora una trentina più voi. Vuole che ne faccio arrivare altri? No ispettore, dovrebbero bastare. Queste donne sono pericolose ma non penso possano darci problemi, a questo punto. Non sono combattenti e come armi hanno solo, da quello che ne sappiamo, aghi che usano come pugnali. Aghi? La faccia dell’ispettore sembrava molto sorpresa. - Sì ispettore, capisco che le sembrerà strano ma le assicuro che è una storia davvero particolare. Poi con calma gliela spiegherò, adesso pensiamo prendere quelle donne. Intanto le presento i miei collaboratori, l’ispettore Leonardi, mio vice, e l’agente del FBI Caterina Foster. L’ispettore strinse la mano a Leonardi e Caterina. - Per qualsiasi problema faccia riferimento anche a loro. - Agli ordini commissario. Ben adesso vediamo come procedere. Ha già dato un’occhiata a quelle porte? Sì, con cautela mi sono avvicinato e le ho esaminate. Sembrano solide ma non abbastanza da resistere a un paio di buoni colpi dell’Ariete. Bene ispettore, allora procederemo in questo modo. Sfonderemo tutti e due gli ingressi contemporaneamente, poi entreremo tutti lasciando davanti al convento quattro agenti di guardia. Li coordinerà l’agente De Cicco. Con un cenno Alberti fece avvicinare De Cicco per presentarlo all’ispettore che però lo precedette salutando l’agente con una cordiale stretta di mano. - - - Salve De Cicco, ci si rivede. Ogni tanto capita ispettore. Tutto bene? Tutto bene. Bene, vedo che vi conoscete. Meglio. Allora De Cicco quando noi entreremo tu resterai fuori con quattro agenti. A questo punto lascia con te direttamente i tre che hai portato e Russo. Lui è un grande autista ma con un arma in mano è ancora più pericoloso di quando guida. Mi raccomando, massima attenzione precauzione. Tranquillo commissario, staremo attenti. Bene, allora ispettore faccia venire qui con noi anche gli agenti delle altre pattuglie, quelle intorno al convento. All’interno voglio una ventina di agenti. Gli autisti delle auto resteranno fuori a sorvegliare per evitare eventuali tentativi di fuga. Li avvisi di girare continuamente e tenersi pronti a intervenire all’interno in caso di bisogno. Lo faccio subito commissario. Due minuti e saranno tutti qui. Bene. Io e una metà degli agenti entreremo dall’ingresso qui davanti mentre l’altra metà entrerà agli ordini di Leonardi dall’altro ingresso più avanti. Posizioniamoci. Leonardi diamoci cinque minuti. Poi ti chiamo e se siamo a posto ci muoviamo. Sfondiamo le porte e poi subito dentro. Il rumore metterà in allarme le Sorelle ma non penso potranno fare molto a quel punto. Mi raccomando di nuovo, massima prudenza, ci sono già stati troppi morti in questa storia. Se possibile voglio evitarne altri. - Stai tranquillo Alberto useremo la massima prudenza. Bene, Caterina tu cerca di stare indietro e rischiare il meno possibile. Perché? Perché sono l’unica donna presente? Che ti metti a fare la femminista in questo momento? Nonostante tutto un leggero sorriso attraversò il viso di Alberti e del suo vice. La ragazza aveva proprio un punto sensibile e un caratteraccio. - - - Non c’entra niente che sei una donna. Solo che tu non sei operativa e non dovresti essere impegnata in un intervento armato. Non dovresti neanche essere qui, ora. Se ti dovesse succedere qualcosa avrei molte cose da spiegare. Scusa Alberto hai perfettamente ragione. Il mio solito caratteraccio. Ti chiedo scusa, ti prometto che sarò prudentissima e me ne starò in disparte, farò la semplice spettatrice. Bene, allora andiamo. Tutti si mossero per raggiungere i loro posti. Davanti a ogni ingresso si posizionarono due agenti con l’Ariete tra le braccia mentre tutti gli altri si tenevano pronti a entrare con le armi in pugno. Uno squillo di Alberti fece scattare l’operazione. Le porte di legno non opposero nessuna resistenza al colpo vibrato con forza dai poliziotti e si spalancarono completamente permettendo a tutti gli agenti di entrare velocemente nelle mura del convento. Dietro ogni porta trovarono un lungo corridoio che portava probabilmente direttamente nel cortile interno da dove proveniva una luce fioca e un lieve sussurrare. Leonardi si bloccò in attesa di istruzioni. Arrivò la telefonata di Alberti. - Leonardi dimmi com’è la situazione? Siamo davanti a un lungo corridoio, penso porti al cortile, vedo una luce e sento qualcosa provenire proprio da lì, se non mi sbaglio. Stessa cosa anche qui. Lascia un uomo davanti al corridoio e andiamo in fondo. Vediamo cosa troviamo, potrebbe essere un trappola. Prudenza. Va bene, andiamo. I due gruppi percorsero il lungo corridoio correndo in pochi secondi. All’uscita trovarono uno spettacolo che non si aspettavano. Al centro del cortile sedute attorno a un grande tavolo di legno dieci donne stavano pregando illuminate solo nella tiepida e chiara sera primaverile da un grande numero di candele che spandevano nell’aria una luce chiara e un odore penetrante. Le donne non diedero segno di averli sentiti ma sicuramente non potevano non essersi accorte del loro ingresso. Li stavano ignorando. Tutti gli uomini in divisa si fermarono a guardare senza sapere cosa fare. Fu Alberti dopo qualche secondo di indecisione a sbloccare la situazione. - Circondate quelle donne, tenetevi a distanza ma tenetele sotto tiro. Non fatevi ingannare dal loro aspetto mite sono pericolose. La voce del commissario fece scattare tutti. Rapidamente gli agenti circondarono le donne tenendosi a circa dieci metri di distanza. Dopo aver controllato la posizione dei suoi uomini Alberti si avvicinò al tavolone che raccoglieva le donne e parlò ad alta voce. - Sono il commissario Alberti della polizia italiana. Vi dichiaro in arresto per omicidio e vi ordino di non opporre resistenza e di non fare nessun tentativo di fuga. Il convento è circondato e non avete nessuna possibilità di farcela. Vi avverto che ho dato ordine di sparare al minimo accenno di resistenza. Mi avete capito? Dalle donne sedute non arrivò nessun cenno o segnale. Continuarono a pregare tranquillamente scandendo le parole che erano ora perfettamente udibili da tutti gli uomini che le circondavano. La preghiera che recitavano era l’Ave Maria. Era uno strano contrasto. Alla tenue luce delle candele un picolo gruppo di suore recitavano serenamente una preghiera con gli ochhi chiusi e le mani giunte mentre uomini armati le tenevano sotto mira con le armi, in un luogo dove le armi avrebbero dovuto essere bandite. Alberti iniziò a provare un leggero imbarazzo, si sentiva quasi in colpa. Si scosse pensando a tutti gli uomini uccisi da quelle esaltate che anche in quel frangente si stavano dimostrando pericolosamente esaltate. Continuare a pregare tranquillamente circondate da uomini armati non era normale. Alberti decise di porre fine a quella sceneggiata. - Vi ordino di smetterla, voglio parlare con il vostro capo, quella che voi chiamate Madre. Anche questa volta nessuna di loro rispose al commissario o diede un qualsiasi cenno di averlo sentito. La stanno proteggendo, pensò Alberti. Sono sicuro che non mi diranno mai chi è di loro. Poco male, in ogni caso per tutte loro c‘è una cella pronta. All’improvviso il silenzio calò nel cortile. Un silenzio assoluto. Le suore avevano finito di pregare. Dopo pochi secondi una delle donne si alzò e si avvicinò al commissario. - Buonasera commissario, deve scusare l’attesa ma la nostra regola ci impone di non interrompere mai la preghiera vespertina. Del resto non ci aspettavamo visite. Il viso della donna era bello e sereno e la sua voce cordiale e tranquilla. Alberti ne fu impressionato. Quella donna era straordinaria. Si era probabilmente resa conto della sua fine e di quella di tutte le sue compagne ma ostentava una calma e una serenità incredibili. Ma Alberti non si fece incantare. - - Lei è quella che chiamano Madre presumo? Alcune delle mie sorelle si ostinano a chiamarmi così commissario. Bene allora lei dovrà rispondere a molte domande. Prima di tutto mi dica se c’è qualcun’altro nel convento. No commissario, abbiamo preferito mandare via le consorelle che ci ospitavano, Non volevano metterle in pericolo. Adesso siamo rimaste solo noi, le superstiti del gruppo originario delle Sorelle. E in una cella legato, ma in ottima salute, il professor Heffner. Bene, questa è una buona notizia. Poi Alberti si voltò a guardare le donne sedute al tavolo. Osservavano in silenzio la conversazione tra la loro guida e il giovane commissario. Le contò, erano nove. Dieci compresa la loro superiora. - Mi sta già mentendo madre. L’appellativo era stato usato con tono ironico dal poliziotto. - - Vede io so che eravate in tredici, le prime seguaci di Suor Lucia e adesso, considerato che quattro di voi sono morte e una è in ospedale, dovreste essere in otto. Vede commissario lei si sbaglia. Tre delle nostre povere sorelle sono morte. Sorella Rosa, Sorella Elisabetta e Sorella Letizia. Nessun’altra di noi ha ancora raggiunto Nostro Signore. E le due che hanno tentato di uccidere me e la mia ragazza? Quelle donne non facevano parte del nostro gruppo, nessuna di noi potrebbe mai pensare di togliere la vita a un essere umano. La nostra fede non ce lo consentirebbe in nessun occasione. La voce e l’espressione del viso della donna erano sincere. Sembrava davvero convinta. Alberti pensò che quella donna aveva una notevole faccia tosta. E si arrabbiò. - - Sorella o Madre o come diavolo vuole farsi chiamare non pensi di potermi prendere in giro. Lei ha ordinato alle sue fedeli seguaci di eliminare molti uomini per vendetta e per recuperare documenti che ritenete importantissimi. E avete tentato di uccidere anche me e una ragazza a cui tengo molto. Commissario innanzitutto la invito a usare un linguaggio adatto al luogo in cui siamo. Alberti si sentì avvampare in viso. Quella donna lo stava rimproverando come uno scolaretto. Davvero incredibile. - In secondo luogo, le ripeto, io e le mie Sorelle non potremmo mai togliere la vita a un essere umano. E’ vero abbiamo compiuto azioni poco pie ma lo scopo era buono. - - Abbiamo cercato di recuperare quei documenti. Lo ammetto, ma solo per salvare la Chiesa dalla rovina. La nostra Santa Madre Chiesa corre un rischio gravissimo e anche di fronte alla possibilità della rovina totale si rifiuta di cambiare secondo quanto indicato dalla stessa Vergine Maria a Suor Lucia, tanti anni fa. Sono passati tanti anni e nonostante il messaggio di Maria gli uomini di potere della Chiesa non hanno voluto operare secondo la volontà divina. Un vero peccato mortale. Così quando abbiamo saputo dell’esistenza di altri documenti utili per spingere la Chiesa sulla strada del rinnovamento abbiamo operato per recuperarli ma senza mai pensare di poter superare certi limiti. E dare la morte a una persona è un limite che non supereremo mai, per nessun motivo. A noi hanno dato la morte. Sorella io non capisco se crede a quello che dice o mi considera un imbecille e sta cercando di prendermi per i fondelli? Le dico solo la verità commissario. Allora mi spieghi cosa ci sarebbe in quei documenti di così importante oltre al fatto di dichiararvi pazze furiose e mi dica pure chi avrebbe ammazzato i sei uomini morti in questa storia. E cerchi anche di spiegarmi, se può, perché. Forse posso spiegarglielo io commissario. La voce che rispose alle domande del commissario non era quella della donna di fronte a lui. Era la voce di un uomo che Alberti riconobbe subito. Sorpreso Alberti si girò verso il punto da dove proveniva la voce e la scena che vide lo lasciò ancora più sorpreso. Padre Joseph lo guardava con un sorriso molto poco amichevole mentre di fronte a lui De Cicco teneva sotto il tiro della pistola l’agente Russo con le mani alzate e un’espressione stupefatta sul volto. Alberti ci mise qualche secondo a riprendersi dalla sorpresa. - - - Padre Joseph, cosa ci fa qui? Come ci è arrivato? Le spiegherò tutto con calma commissario. La cosa più importante è che sono qui per portare le Sorelle al sicuro e far sparire tutte le persone che sanno della loro storia. Lei deve essere pazzo padre. Si rende conto che è circondato da decine di agenti e che non ha nessuna possibilità di convincermi a lasciarle in custodia queste donne. Sono assassine e un tribunale italiano le giudicherà per questo. Perciò le consiglio di andarsene. In quanto a te De Cicco non capisco cosa pensi di fare. Lasci che le spieghi commissario, io non voglio convincerla, anche perché non sono io a essere circondato ma lei e i suoi amici. Le parole del prete spinsero Alberti a guardarsi intorno. Le armi degli agenti erano puntate al centro del cortile e tenevano sotto mira le Sorelle ma anche lui e Leonardi che gli si era avvicinato durante il colloquio con la Madre. In quel momento a un cenno del prete anche Caterina e Russo vennero spinti verso centro dello spazio. Caterina spinta dalla canna di un mitra fece i pochi metri con pochi passi mentre Russo ancora incredulo avanzava lentamente fino a quando un ordine imperioso di De Cicco lo convinse ad accelerare il passo. L’autista sentì il bisogno di scusarsi con il suo capo. - Commissario mi scusi ma non è colpa mia. All’improvviso è arrivato questo prete e ha parlato qualche secondo con De Cicco, poi è successa una cosa incredibile. I colleghi mi hanno puntato addosso le armi, - mi hanno disarmato e mi hanno portato dentro. Non ho potuto far niente per fermarli o avvisarla. Non preoccuparti Russo, non è certo colpa tua. Inizio a pensare che siamo in una grossa trappola. Vero padre Joseph? La domanda era stata rivolta guardava pacifico la scena. - voce più alta al prete che Vero commissario, una trappola per acchiappare le Sorelle ma anche per eliminare tutti i possibili testimoni. Come ha fatto a sapere? Commissario lei mi delude. Come non ha ancor capito? Maestri E De Cicco lavorano per me o meglio per il bene della Chiesa. Prima ancora di essere poliziotti sono Custodi e prima di loro i loro padri e i loro nonni. Lo sguardo lanciato da Alberti a De Cicco fu di fuoco e l’agente si sentì in dovere di rispondere. - Mi dispiace commissario, io l’ammiro e la considero un persona per bene ma se la Chiesa chiama io rispondo. De Cicco ma non ti rendi conto che non è la Chiesa che chiama ma solo un gruppo di delinquenti esaltati che la Chiesa vera ha sciolto da secoli? L’agente non rispose ma continuò a tenere sotto mira Alberti e i suoi amici. - Lasci perdere commissario, ci siamo tenuti due serpi in seno. Anche la battuta velenosa di Leonardi non fece effetto. - - Va bene padre, quindi vi hanno avvisato Maestri e De Cicco appena abbiamo rintracciato le Sorelle, poi avete travestito un bel gruppo di vostri compari da poliziotti e carabinieri e li avete mandati qui ad aspettarci. Bel lavoro. Esatto commissario ma inesatto. Qui non c’è nessuno travestito, gli uomini che vede sono veri poliziotti e carabinieri, solo che sono anche e prima Custodi. La loro fedeltà viene prima alla Chiesa e poi allo stato italiano. La rivelazione di padre Joseph lasciò Alberti ancora più infuriato. Gli faceva mal pensare a tanti traditori tra i suoi agenti e tra i carabinieri. Pensò che la capacità dei Custodi di infiltrarsi dappertutto era davvero impressionante e pericolosa. - - - Ho capito padre ma mi spiega perché tutto questo? Per le Sorelle? Caro commissario lei non ha ancora capito nulla. Pensa davvero che un piccolo gruppetto di pazze esaltate avrebbe potuto essere un pericolo perla Chiesa. Loro avremmo potuto controllarle tranquillamente, le avevo già messe al sicuro. E lì le avrei lasciate senza la stupidità del cardinal Ravasi. Non capisco, Ravasi? Ma non è il suo capo? Non è anche lui uno dei Custodi? Quel piccolo uomo, inetto e inutile, un Custode. Si sbaglia commissario, i Custodi operano nell’ombra, nel silenzio e nel segreto. Al cardinale piace troppo mettersi in mostra, prendere il palcoscenico e sbandierare le sue amicizie e il suo potere. E questo ci ha portati alla rovina. Forse sono stupido padre ma non capisco. Me lo spiega? - Certo commissario, le dirò tutto, sarà come esaudire l’ultimo desiderio di un condannato a morte. Le parole dure del prete fecero rabbrividire Alberti. Era chiaro che per lui e i suoi amici non ci sarebbe stato scampo. Non capiva ancora bene perché ma il prete aveva deciso di ucciderli. Sembrava incredibile ma quel prete parlava tranquillamente di uccidere delle persone, freddo. Era ancora più pazzo delle Sorelle. - Sono tutto orecchi padre. Alberti pensò che intanto avrebbe preso tempo, non sapeva bene in cosa sperare ma avrebbe cercato di guadagnare tempo per sé e per i suoi amici che erano anche loro immobili e silenziosi. - Vede commissario tutto è nato qualche mese fa. Quell’imbecille di Ravasi ebbe la grande idea di far dichiarare le Sorelle pazze, un modo per diminuire il valore di quello che dicevano. Il Terzo Segreto, il Rinnovamento della Chiesa voluto da Maria, una volta dichiarate pazze tutto quello che avrebbero potuto dire non avrebbe avuto alcun valore. Sembrava una bella idea, così ha affidato l’incarico della perizia a ben sei luminari della medicina. Settimane di colloqui, test e valutazioni neurologiche. Alla fine, con grande disappunto, i medici furono costretti a dichiarare che quelle donne non erano pazze, appassionate e un po’ esaltate ma non pazze. Poco male, lo convinsi a spostarle e rinchiuderle comunque in conventi sicuri. Per evitare il propagarsi delle loro idee. Il cardinale acconsentì e mi ordinò di provvedere personalmente ai loro spostamenti. Obbedii e questo mi portò in giro per settimane. Al mio ritorno scoprii che il - cardinale aveva avuto un’altra brillante idea. Il cardinale aveva pensato di affidare gli stessi dottori una valutazione psichiatrica di alcune decine di preti coinvolti in comportamenti pedofili o sessualmente riprovevoli. Per tracciare un profilo della personalità dei colpevoli e individuare possibili cause patologiche preesistenti. Come dire non sono preti che sbagliano ma malati da curare. E allora? Allora sa cosa è venuto fuori dagli studi e dalle relazioni di quel gruppo di illustri scienziati? Le cause della pedofilia e dei comportamenti anormali dei preti erano da ricercarsi nella regola imposta ai sacerdoti dell’astinenza e del celibato. Una regola da considerarsi innaturale e anacronistica che spinge fatalmente, secondo quei bravi medici, a cercare la mancata soddisfazione in altri modi, più perversi e su vittime più deboli. E sa quale rimedio suggerivano? La soppressione della regola del celibato e dell’astinenza. Quei miscredenti volevano attaccare alla base una delle regole principali del sacerdozio, la promessa fondamentale che ogni sacerdote fa quando decide di dedicare la sua vita a Dio. La presunta verità della loro scienza voleva scalzare uno dei canoni di fede più importanti. Il sacerdote votato solo al servizio e all’amore per Cristo. Appena tornato dalla mia missione Ravasi mi informò e mi disse anche che i sei medici erano intenzionati a pubblicare i risultati dei loro studi, Erano troppo importanti dal punto di vista scientifico e della comprensione delle cause dei comportamenti sessuali anomali dei soggetti privati di un naturale sfogo sessuale. Una bestemmia che avrebbe sconvolto la vita della Chiesa, una notizia del genere poteva distruggere le fondamenta stesse della nostra fede. E quel piccolo uomo non sapeva cosa fare per impedirlo. Non aveva il coraggio di prendere decisioni drastiche. - - Bisognava fermare quegli uomini e distruggere i loro documenti. A qualsiasi costo e prima possibile. Così ho dovuto agire come Custode. Mi sono consultato con il mio Superiore e da lì ho avuto i miei ordini. Quali ordini padre? Ordini precisi. Eliminare tutti i membri del gruppo di ricerca e trovare un colpevole su cui scaricare le loro morti. Così ha messo di mezzo le Sorelle? Esatto caro commissario, le nostre care Sorelle erano un capro espiatorio perfetto. Ho fatto arrivare alle orecchie della nostra cara Madre Maria qualche voce, notizie interessanti ma incomplete, dell’esistenza di documenti riservati in grado di dare forza, se divulgati, alle loro richieste. Poi ho dato a Madre Maria e alle sue Sorelle la possibilità di scappare e quando hanno iniziato a muoversi e a cercare i miei cari professori ho convinto il cardinale che le Sorelle avevano saputo di quei documenti e volevano recuperarli per mettere in difficoltà la gerarchie vaticane e costringerle a venire a patti con loro per evitarne la pubblicazione. L’ho convinto che erano disposte a tutto e non si sarebbero fermate di fronte a nulla, l’ho convinto che erano disposte a uccidere per averli. Devo dire che non è stato difficile convincerlo. Il buon cardinal Ravasi odia così tanto le Sorelle da essere disposto a credere qualsiasi cosa su di loro. Fu Madre Maria a intervenire. Invece era lei quello disposto uccidere, vero padre? Esatto Sorella, esatto. Se necessario noi Custodi siamo disposti a uccidere per il bene della Chiesa. Distruggere i documenti non sarebbe bastato. Bisognava chiudere la bocca per sempre a quei dottori. Doveva esser fatto ed è stato fatto. Ho pensato bene di rendere più - - scenografica la situazione, ho inventato la storiella dell’Ago di Dio, recuperato qualche vecchio ago da materassaia e al momento giusto ho agito. Allora è stato lei maledetto a uccidere quelle persone? Proprio io commissario, io personalmente, un peccato mortale che Dio mi perdonerà. Il professor Funari l’ho ucciso dopo aver spinto dal terrazzo la ragazza. Povera illusa, si era inginocchiata per pregare sperando di essere perdonata. Pensava di finire di nuovo in un convento segregata ma non c’era tempo. Così l’ho spinta, una piccola spinta dopo averla benedetta e dopo averle perdonato i suoi peccati. Tu l’hai benedetta? E perdonata dei suoi peccati? Come hai osato, assassino. Che Dio ti perdoni. L’urlo di Madre Maria squarciò il silenzio della sera ma senza intaccare le certezze di padre Joseph. - - Sì sorella, l’ho benedetta e perdonata grazie ai poteri che mi conferisce il mio stato di Custode. In quanto al perdono noi Custodi lo riceviamo in anticipo da Dio in persona per i peccati che potremo compiere durante la nostra missione. Stia tranquilla. E poi cos’è successo padre? Alberti fremeva ormai dalla curiosità ma anche dalla rabbia. Quel prete l’aveva preso in giro per bene. - Poi ho avvisato De Cicco e Maestri di andare sul posto per far sparire la copia del Terzo Segreto che le Sorelle dicono di avere sempre addosso e di infilare nella borsa della ragazza un ago mentre io sono ridisceso nella stanza di Funari. Era ancora legato al letto ma era riuscito - - a sciogliersi una mano. Fu felice di vedermi, ci eravamo conosciuti qualche tempo prima in occasione di alcuni incontri con il cardinale. L’ho pugnalato e sono andato via con il suo computer. Però nella sua fretta di uccidere ha commesso un errore. Ha lasciato nella borsa della ragazza la pen drive con i file copiati a Funari. Vero commissario, un errore. Per fortuna quei documenti non erano pericolosi senza i dati relativi ai soggetti esaminati e quei dati ce li ha solo il professor Heffner e presto spariranno definitivamente insieme a lui, che le Sorelle mi hanno gentilmente ritrovato. E per ritrovare Adler si è servito di me? Esatto commissario. Con Adler le cose potevano essere più complicate. Le Sorelle l’avevano già trovato e quando siamo arrivati e lei commissario le ha riconosciute mi ha fatto un bel favore. Mentre voi le inseguivate io ho avuto il tempo di eliminare Adler, poi per fortuna sono stati De Cicco e Maestri a trovare le due donne, così hanno potuto inscenare la commedia dell’aggressione per ucciderle. Il racconto del prete era sconvolgente per Alberti e Leonardi. Scoprire che due uomini che avevano diviso con loro pericoli e fatiche erano due traditori e assassini a sangue freddo metteva a dura prova le loro certezze. - Bernaud come l’avete scoperto? Con quel piccolo pervertito le cose sono state più semplici. E’ stato individuato grazie alla segnalazione di una brava e pia signora addetta alle pulizie dell’appartamento che occupava. Quando sono arrivato era beatamente sdraiato sul letto con ancora addosso l’odore della sua giovane vittima. Se ne è andato senza - accorgersene. Con il cardinale Wermayer e suo fratello è stato più difficile. Ho dovuto eludere tutti i sistemi di sorveglianza dei Musei ma anche lì, per fortuna, abbiamo molte persone fedeli che ci hanno aiutato. Adesso resta in vita solo il caro vecchio professor Heffner ma sono sicuro che lo troverò in qualche cella di questo convento. Con lui morto sarà eliminata anche l'ultima persona in grado di divulgare e spiegare quelle ricerche. Perché voleva far uccidere anche me i miei amici? In realtà commissario non volevo uccidere né lei né i suoi amici. Non in quel momento. Avessi voluto veramente ucciderla non avrei mandato due povere donne a farlo. La ritengo troppo in gamba, me ne sarei incaricato personalmente. Diciamo che le ho dato un motivo in più per voler prendere le Sorelle, un piccolo sacrificio per aumentare la sua motivazione. Pazzo, quell’uomo era completamente pazzo. Il pensiero attraversò la mente di tutti. Alberti e i suoi amici si resero conto che per loro non ci sarebbe stato scampo. Se padre Joseph si era deciso a confessare tutto era perché non li avrebbe lasciati vivi. Alberti tentò ancora di prendere tempo. - Un piano perfetto padre. Perfetto. Un solo piccolo intoppo. A un certo punto i miei uomini hanno perso le tracce delle Sorelle. Ma per fortuna ci ha pensato lei commissario a ritrovarle per me. E come pensa di tenere nascosto tutto questo padre? Si rende conto che le sarà impossibile? Lei si sbaglia commissario, è già tutto previsto. Lei e i suoi amici sarete uccisi dalle Sorelle, qui, stasera. Le avevate scoperte ma imprudentemente non avete aspettato i rinforzi. Lo testimonierà, in lacrime, l’agente De Cicco, ferito ma vivo. Tutto sarà ancora più convincente grazie - - all’ago che troveranno infilato nei vostri corpi. Poi le Sorelle sono riuscite a scappare ma il Vaticano è riuscito a rintracciarle e le ha rinchiuse in un posto sicurissimo da dove quelle pazze non usciranno mai. Ci penserà Ravasi, almeno questo, a muovere le sue amicizie per convincere le autorità italiane a non protestare troppo e a non pretendere con troppa fermezza la consegna delle Sorelle. Tutto andrà a posto. Bene adesso è ora di chiudere la faccenda. E’ già durata troppo. Buttate le armi. E perché dovremmo farlo, tanto ci ucciderete ugualmente. Preferiamo darvi un po’ di problemi e morire sparando. Almeno le sarà più difficile spiegare le cose. Forse ha ragione caro commissario. Vede però se lei e i suoi amici doveste decidere di seguire questa strada potrebbero morire anche altre persone oltre a voi. Le care Sorelle qui presenti sarebbero certo coinvolte nella sparatoria e molte di loro sicuramente ci rimetterebbero la vita. A noi non importa morire. La voce di Madre Maria risuonò ferma. - Non lo metto in dubbio cara Madre ma sono altrettanto sicuro che il commissario, per come ho imparato a conoscerlo, non è uomo da mettere in pericolo la vita di persone innocenti e adesso lui sa che siete totalmente innocenti. Vero commissario? Alberti stava per rispondere sprezzante all’ironia del prete che però lo bloccò aggiungendo alcune parole. - Ah dimenticavo commissario, dalla sua scelta dipenderà anche la vita o la morte di altre due persone a cui lei tiene molto. Se mi creerà qualche difficoltà mi occuperò personalmente di una certa signorina e del suo splendido bimbo, Iacopo mi pare si chiami. E lei commissario sa che io mantengo le mie promesse. Le ultime parole di padre Joseph convinsero Alberti. Era certo che quell’uomo avrebbe mantenuto la sua promessa di morte. - Va bene padre, ha vinto. Senza dire altro Alberti buttò lontano la sua pistola subito seguito da Leonardi e da Caterina. Sicuro di sé. Trionfante il prete si avvicinò alle sue vittime. In mano era comparso un lungo ago. La prima persona sul suo cammino era Caterina. Appena lo ebbe vicino la ragazza ebbe una reazione inaspettata che sorprese del tutto i suoi amici. Piangendo si inginocchiò davanti al prete, singhiozzando. - La prego padre, io non c’entro. Mi lasci andare, le prometto che me ne torno negli Stati Uniti e lei non sentirà mai più parlare di me. Le giuro che non farò parola con nessuno di tutto questo. Sarò una tomba. Padre Joseph le lanciò uno sguardo di commiserazione. - Ecco le donnette che vorrebbero impadronirsi della Chiesa, menti deboli e fragili, incapaci di sacrificio. E stupide. Pensi davvero sciocca ragazza che io possa avere pietà di te e lasciarti libera, rischiando di mettere in pericolo la mia fede. Stupida e vigliacca. Senza nessun tentennamento il prete afferrò per i capelli Caterina per alzarle la testa e infilarle l’ago nel collo ma il suo movimento venne interrotto dallo scatto improvviso della donna che con un balzo si ritrovò alle sue spalle mentre con gli torceva forte il braccio armato dietro la schiena. Padre Joseph sentì la forza dei muscoli allenati della ragazza e capi di essere finito in una piccola trappola anche lui. La mano di Caterina gli strappò l’ago e glielo puntò al collo. - Allora padre, come la mettiamo adesso? Le piace avere puntato al collo questo grazioso souvenir? Adesso dica ai suoi fedeli compagni di abbassare le armi o per lei sarà la fine. Padre Joseph esitò solo un attimo. Poi sorridendo rispose. - Bella mossa ragazza. Furba ma inutile, Crede davvero che metterei in pericolo la mia missione solo per salvare la mia piccola vita? Questi uomini non sono fedeli a me ma alla loro fede. Mi uccida pure, le cose non cambieranno. Comunque voi sarete uccisi, così come saranno uccisi la ragazza e suo figlio e dopo di me altri custodi si incaricheranno di continuare la mia missione. Faccia pure quello che vuole. La reazione del prete sorprese Caterina lasciandola incerta su cosa fare. - Alberto, Dario, cosa faccio? La voce della ragazza tradiva tutta la sua insicurezza. Fu l’ispettore e risponderle. - Penso proprio che quell’uomo sia disposto a morire tranquillamente . Ucciderlo temo che non cambierà la nostra situazione. Fai come credi. - Forse non cambierà la nostra situazione ma mi darebbe una grande soddisfazione morire sapendo di averlo eliminato. Alberto pensò bene di intervenire. Il suo pensiero era rivolto alla salvezza di Anna e di Iacopo. Se Caterina avesse deciso di seguire il suo istinto e la sua rabbia avrebbe decretato al morte anche delle due persone a cui teneva di più. Un sacrificio inutile a quel punto. - - Caterina ti prego. Lascia andare quell’uomo. Lo mso anche io che meriterebbe di morire non una ma cento volte. Ma la sua morte sarebbe inutile per noi e uccidendolo firmeresti la condanna a morte anche di Anna e suo figlio. Ma tu credi davvero alle sue promesse? Chi ci dice che manterrà la sua parola? Nessuno, hai ragione, non abbiamo nessuna certezza. Possiamo solo sperare. Durante il colloquio tra i due padre Joseph continuava a rimanere assolutamente tranquillo come se per lui non facesse nessuna differenza vivere o morire. Forse fu proprio l’indifferenza del suo ostaggio a convincere Caterina. - Forse hai ragione tu Alberto. Possiamo solo sperare. Del resto non me la sento proprio di firmare la condanna a morte sicura di Anna e del suo bambino. Visto che stiamo per morire non voglio avere questa colpa sulla coscienza. Le ultime parole della ragazza furono coperte da un rumore violento. Un rombo di motore accompagnato d auna folata di vento che spazzò il cortile. Tutti gli sguardi si alzarono al cielo. La sagoma del grosso elicottero era sospesa proprio su di loro. L’elicottero era a circa cento metri di altezza e al suo interno si scorgevano perfettamente le sagome di alcuni uomini con le armi puntate. Dall’elicottero un voce metallica proveniente da un altoparlante arrivò fino a terra. - Vi ordiniamo di non muovervi. Il convento è circondato dal Gruppo di Intervento Rapido della Gendarmeria Vaticana. Non opponete resistenza e non provate a fuggire. Nonostante fosse distorta dall’altoparlante Alberti riconobbe subito la voce di Antonio Giuliani. Nello stesso momento a dare forza alle intimazioni della voce di Giuliani dai due ingressi del convento una cinquantina di uomini erano velocemente entrati nel cortile e si erano posizionati alle spalle del primo cerchio formato dagli uomini al servizio di padre Joseph. I nuovi arrivati indossavano tute mimetiche nere senza simboli e senza nomi ma il loro atteggiamento e i loro movimenti sicuri facevano capire che erano professionisti ben addestrati e molto decisi. Le armi da guerra che imbracciavano erano già puntate sui loro bersagli. La voce dall’elicottero continuò a scandire i suoi avvertimenti. - Ripeto, non opponete resistenza. Siete sotto tiro, non avete nessuna possibilità di resistere. Nello stesso momento dalle finestre delle camere superiori altri uomini in mimetica nera si erano affacciati sul cortile puntando anche loro le armi sugli uomini di padre Joseph. Le poche velleità di resistenza dei Custodi si spensero del tutto. Uno alla volta tutti lasciarono cadere le armi mentre padre Joseph urlando cercava di spingerli a lottare. - Vigliacchi cosa fate? Avete dimenticato la vostra promessa di morire, se necessario, per la Chiesa? Le urla isteriche del prete cessarono quando il pugno di Caterina lo raggiunse in pieno volto facendolo crollare a terra. - Ah che soddisfazione. Confesso che avrei voluto darglielo un bel pugno già la prima volta che l’ho incontrato ma adesso, dopo aver scoperto tutti i suoi segreti, sono ancora più contenta. Scusate non avrei dovuto ma almeno questa piccola soddisfazione me la dovevo togliere. Alberti e Leonardi non si sentirono di rimproverarla. Erano troppo contenti. La cavalleria era arrivata davvero al momento giusto. E il comandante dei cavalleggeri stava entrando giusto in quel momento mentre i suoi uomini portavano via tutto il gruppo dei Custodi dopo averli disarmati e ammanettati. Dopo aver dato uno sguardo veloce alle Sorelle ancora sedute al tavolo Paolo Benelli salutò sorridendo i suoi amici. - Salve ragazzi, come mai in convento? Avete deciso di prendere i voti? Anche Alberto rispose con un sorriso. - Fai pure lo spiritoso lo sai che non posso dirti nulla. Grazie Carlo, ci hai salvato la vita. La seconda parte della frase fu pronunciata con tono più serio. - Lascia perdere i ringraziamenti. Avevamo un lavoro da fare e l’abbiamo fatto. Tu hai scoperto il rifugio delle Sorelle e io ho finito l’opera. - - - - A dire il vero ci siamo sbagliati di grosso. Le Sorelle sono completamente innocenti. Il vero colpevole di per tutto quello che è successo è quella specie di prete sdraiato per terra. Lo so Alberto, io e Valente sospettavamo da molto tempo di padre Joseph. Abbiamo anche noi le nostre fonti di informazione, dentro e fuori il Vaticano. Abbiamo fatto finta di nulla per farlo scoprire. Gli abbiamo dato, come si dice, abbastanza corda perché ci finisse impiccato. Il cardinal Valente conosce molto bene Madre Maria e le sue Sorelle, non ha mai creduto alla storia che fossero diventate delle assassine. Avevamo solo bisogno di farglielo credere, a lui e a Ravasi, per scoprire tutto il gruppo di Custodi collegato con padre Joseph. Sono anni che li cerchiamo. Gli omicidi di cui ti stai occupando tu non sono i primi crimini compiuti da questi miserabili. Dovevamo fermarli. Certo speravamo di farlo prima, quegli uomini morti li sento sulla coscienza. Stamattina Ravasi ha confessato tutta la storia. E’ un ingenuo, non voleva credere di essere stato usato dal suo segretario e non riusciva credere che padre Joseph fosse un Custode. Adesso però è tutto finito. Finito come? Cosa pensi di fare adesso? Lo sai cosa devo fare. Farò sparire tutti i documenti pericolosi per il Vaticano, le Sorelle torneranno al loro convento e il cardinale ha promesso che farà quanto possibile per far accogliere in parte le loro richieste. Per quello che hanno fatto non riceveranno nessuna punizione. E la punizione per tutti gli altri? Padre Joseph, De Cicco, Maestri, assassini e traditori. E tutti quegli agenti e carabinieri venduti ai Custodi? Non preoccuparti, padre Joseph riceverà la giusta punizione. Ti assicuro che la Chiesa sa punire - severamente i suoi membri che sbagliano. Per i tuoi agenti ci penserai tu. Direi che con una nuova ricostruzione della sparatoria al Cicerone potresti anche accusarli di omicidio volontario. Ti assicuro che il procuratore capo sarà molto flessibile e appoggerà il tuo capo di accusa. E’ un grande amico del cardinal Valente. Per quello che riguarda gli altri agenti infedeli penso che riuscirai facilmente a farli espellere e accusarli magari di sequestro di persona o qulacos’altro. L’importante è che non saranno più in grado di fare danno per qualche anno. Del resto adesso che li abbiamo individuati ci penseremo noi a tenerli sotto controllo.Te li lascio fuori ammanettati. Chiama pure i tuoi uomini con calma. E non te la prendere, poteva finire molto peggio. Forse hai ragione ma mi resta un po’ di amaro in bocca. Lo so, hai ragione, ma non è possibile fare altrimenti, la posta in gioco è troppo alta. Adesso saluta Madre Maria e le sue compagne, devo farle portare via. Intanto faccio portare via padre Joseph. A un cenno del comandante due dei suoi uomini si erano avvicinati e senza sforzo apparente avevano sollevato il corpo svenuto di padre Joseph e lo avevano portato via. Madre Maria si avvicinò. Un sorriso le illuminava il viso. - Salve comandante, la rivedo volentieri. Anch’io Madre. Come sta? Bene. Triste ma sto bene. Troppi brutti fatti sono successi, anche per colpa mia. Lei non ha nessuna colpa Madre. Siete solo state usate coma paravento da padre Joseph e dai Custodi. Le porto i saluti anche del cardinal Ravasi e la sua promessa di intercedere presso il Santo Padre per dare spazio alle - vostre richieste. Lei sa che la Chiesa si muove lentamente ma il cardinale non dispera di poter ottenere qualche risultato a breve. Ringrazi il cardinale da parte mia e da parte delle mie consorelle. Lo ringrazierà di persona Madre. Verrà a trovarla appena sarete sistemate nella vostra nuova sede. Adesso dica alle sue compagne di seguire i miei uomini. Vi portiamo al sicuro. Madre Maria con poche parole diede le istruzioni necessarie alle Sorelle che ordinatamente e silenziosamente si diressero verso le loro celle per prendere i loro pochi averi. - Mi scusi Madre può anche far accompagnare uno dei miei uomini al posto dove tenete il professor Heffner? Certo comandante. Ho già detto a Suor Agnese di liberarlo e portarlo da voi. Bene. Madre Maria si volse verso il commissario, muto e pensieroso. - Commissario posso darle un consiglio? Non sia così triste o deluso, le vie del Signore sono tante, misteriose e a volte incomprensibili per noi poveri peccatori ma è certo che Lui sa cosa fare. Vada sereno lei ha fermato un grande pericolo e io so che lei è un uomo onesto. Continui la sua lotta contro il male e il peccato, a modo suo la continui. Alberto stava per replicare ma lo sguardo sereno e profondo della donna lo costrinse al silenzio. - E aggiungo un ultimo consiglio caro commissario. Quella donna a cui tiene così tanto non la lasci scappare e quando deciderà di consacrare la vostra unione venga da noi a farlo. Il comandante le dirà dove raggiungerci, mi farebbe molto piacere. Adesso devo andare, la saluto ma sono sicura di rivederla. Alberto strinse la mano della donna sentendone il calore. Le sorrise senza dire nulla e la seguì con lo sguardo fino all’uscita dal cortile. - Bene Alberto io devo andare. Ti lascio qualcuno dei miei a sorvegliare i prigionieri intanto che arrivano i tuoi uomini. I due uomini si strinsero la mano con calore poi Benelli salutò anche Leonardi e Caterina con una stretta di mano. Era quasi uscito quando Alberti lo bloccò. - Paolo scusa ma tu come lo hai trovato questo posto? Benelli sembrava leggermente imbarazzato. - Prometti di non prendertela quando te lo dico? Perché dovrei prendermela? Se tu non fossi arrivato in tempo saremmo tutti morti. Bene allora te lo dico. Non l’ho trovato io ma tu. Io ti ho solo seguito. Seguito? In che senso? Diciamo seguito tecnologicamente. Vedi ero sicuro che lo avreste trovato così ho fatto mettere sotto controllo i vostri cellulari e quando li ho visti sfrecciare tutti verso la stessa direzione ho capito che c’eravate riusciti. E vi ho raggiunti. Alberto era sbalordito. - Ti hai fatto mettere sotto controllo il mio cellulare? Anche quello di Leonardi . Lo sai che la nostra Sala Operativa è ormai una delle più attrezzate e moderne d’Europa. E quello di Caterina perché no? Non ho il suo numero, purtroppo. La risposta di Benelli fu accompagnata da un sorriso. - Dovrei prenderti a calci Paolo, lo sai? Lo so Alberto ma non puoi farlo. Ti ho appena salvato la vita, non puoi essere così irriconoscente. Ciao, buona serata a tutti. Alberto e i suoi amici erano senza parole. I loro cellulari sotto controllo. Prima o poi l’avrebbero fatta pagare a Benelli e a tutta la sua gendarmeria. Prima o poi. Prima di uscire dal cortile Benelli si voltò di nuovo. - Comunque per tranquillizzarvi seguivamo solo il tracciato del telefono senza ascoltare neanche una parola delle vostre conversazioni. Siamo riservati noi in Vaticano. Con un ultimo cenno il comandante salutò i suoi amici. - Certo che il tuo amico è una vera lenza. Caterina sorrideva apertamente dell’imbarazzo di Alberto e Leonardi. - - Cerca di non prenderci in giro anche tu adesso. E a proposito complimenti per la sceneggiata della crisi isterica. Senza la tua improvvisazione forse Benelli non sarebbe arrivato in tempo. Comunque con padre Joseph sotto la tua minaccia è stato più facile convincerli ad arrendersi. Con lui libero non so se saremmo risuciti a evitare lo scontro. Brava. Grazie ispettore, molto gentile. Allora visto che sono salita nella sua considerazione mi inviterà a cena. Appena possibile sarà un piacere anche per me portarti a cena Caterina. Per ora pensiamo a chiamare rinforzi per portare via questi delinquenti, poi andremo in centrale per prendere personalmente a calci Maestri e poi avremo un bel po’ da fare per spiegare tutta questa storia al questore e al procuratore. Potrebbero anche prenderci per pazzi e rinchiuderci in manicomio. Alberti aveva riportato i suoi amici alla serietà. - - Ha ragione commissario ma mi pare di aver capito che il cardinal Valente ci ha già spianato la strada, è anche nel suo interesse chiudere questa storia al più presto con meno clamore possibile. Forse hai ragione. Allora muoviamoci, sono stanco e voglio chiudere la faccenda. CAPITOLO DICIASETTE Nei giorni successivi Alberti e i suoi amici furono molto impegnati. Prima il questore, poi il procuratore, li obbligarono a raccontare più volte tutta la storia. Alberti ebbe la netta sensazione che sia il suo capo diretto sia il procuratore conoscessero già, almeno in parte, i fatti accaduti. Il racconto dettagliato era necessario per mettere a punto le mosse successive. Il procuratore, alla fine di due lunghe giornate di colloquio con il commissario arrivò alle sue conclusioni. Avrebbe incriminato De Cicco e Maestri per eccesso di legittima difesa per l’uccisione delle due donne al Cicerone. Secondo la sua opinione non si poteva sperare di più. Per tutti gli altri agenti coinvolti negli eventi accaduti al convento avrebbe utilizzato la testimonianza di Alberti e Leonardi per ottenere l’espulsione dal corpo. Senza nessun’altra incriminazione. Non si poteva ottenere di più senza prove aggiuntive sul loro eventuale coinvolgimento in altri eventi e senza poter divulgare tutta la storia. Incriminarli per sequestro o addirittura tentato omicidio non avrebbe retto in tribunale. Alla fine, nonostante i complimenti del questore, Alberti e i suoi amici non erano certo soddisfatti di come erano andate a finire le cose. Troppe persone se l’erano cavata con poco danno. Alberti era nel suo ufficio a riflettere su questo. Era tardo pomeriggio e Leonardi e Caterina erano andati a prepararsi per la cena. L’ispettore voleva mantenere la promessa fatta alla ragazza prima della sua partenza imminente. A loro si sarebbe unito anche Antonio Giuliani. Alberti aveva rifiutato l’invito ad andare con loro. Non era dell’umore adatto e aveva preferito lasciarli soli. A furia di rimuginare sui fatti il suo umore non era certo migliorato. Lo squillo del telefono lo distolse dai suoi pensieri e leggere il nome sul display gli fece tornare un minimo di serenità, ANNA. - - - - Ciao Anna, come stai? Devi scusarmi se non ti ho più chiamata ma ti assicuro che ho avuto giorni di fuoco. Quando ti racconterò mi capirai. Figurati, lascia stare le scuse. Immagino che sarai stato molto impegnato. Anzi se sei ancora preso dimmelo senza problemi. Volevo invitarti a cena ma se non puoi rimandiamo. No, no, anzi. Mi fa molto piacere. Era qui a rimuginare da solo e mi stavo deprimendo. Mi fai un vero favore. Dimmi quando tempo vuoi per prepararti e passo da casa tua a prenderti. Ti porto in un ristorantino di un mio amico, piatti tipici napoletani e musica. A che ora? Direi che va bene anche adesso. Solo che sono ancora in ufficio, avevo un lavoro urgente da finire e ho dovuto fermarmi. Ti dispiace venire a prendermi direttamente qui? Figurati, per me è anche più vicino. Vengo subito? Certo vieni pure. Se non mi trovi all’entrata vuol dire che non ho ancora finito, magari mi raggiungi tu. Sono nell’aula S21. Va bene. Sarò lì tra poco. Ciao. La telefonata l’aveva fatto tornare di buonumore. Al diavolo i Custodi, a loro avrebbe pensato dal giorno dopo. Per lui la storia non era ancora finita ma ci avrebbe pensato il giorno dopo al da farsi. Per quella sera avrebbe messo tutti i pensieri da parte, avrebbe portato Anna in quel ristorantino tipico e dopo una buona cena e con la musica di un mandolino dietro, come sottofondo, le avrebbe proposto una storia seria, vera. Per quello che riguardava lui aveva capito che Anna era la donna che voleva al suo fianco, insieme a Iacopo. Quando l’aveva vista in pericolo e aveva temuto per la sua vita aveva capito di amarla e l’idea di poterla perdere l’aveva mandato nel panico. E stasera glielo dirò. Più tranquillo si alzò e dopo aver salutato Malinverni uscì dall’edificio. Russo lo attendeva tranquillo davanti all’entrata. Lo salutò con un sorriso. Dopo la sera al convento non aveva avuto modo di ringraziarlo. Aveva rischiato di morire e in quel momento si era preoccupato solo di riaffermare la sua fedeltà al suo capo e poi era tornato tranquillamente, normalmente al suo compito. Alberti gli si avvicinò. - - Ciao Russo, tutto bene? Tutto bene commissario. Dove la porto? Direi da nessuna parte. Adesso te ne vai a casa e ti godi la tua famiglia . Ti meriti una serata tranquilla. A proposito, grazie per l’altra sera. E di che commissario, non ho fatto nulla. Mi sono solo lasciato prendere come un pollo. Non è stata certo colpa tua, quei due hanno preso in giro per bene tutti. Il grazie è per tutte le volte che mi stai dietro senza lamentarti. Mi rendo conto che a volte pretendo troppo da tutti voi e neanche vi ringrazio mai. Commissario qui siamo tutti felici e onorati di lavorare per lei. Quei due erano solo due mele marce che non meritavano di essere poliziotti. Adesso vado a casa e le auguro una buona serata. E grazie a lei. Con un saluto alla visiera l’agente salutò Alberti che lo seguì con lo sguardo. Brava persona, pensò. Poi il rumore della solita sgommata di Russo lo fece sorridere. Salito sulla sua auto personale Alberti si diresse verso l’università. Era contento. La strada era libera, a quell’ora i romani erano già rientrati per la maggior parte a casa e si stavano preparando per la cena. Trovato posto proprio davanti all’ingresso Alberti si avviò verso la porta principale, l’unica ancora aperta a quell’ora. Anche lì c’era ben poca gente in giro. Giusto qualche studente che bighellonava chiacchierando magari dell’ultimo esame e qualche impiegato che frettolosamente usciva dall’ingresso. Anna però non era davanti all’ingresso ad aspettarlo. Proprio davanti all’ingresso Alberti quasi si scontrò con una persona che conosceva, il professor Testori che riconosciutolo si fermò a salutarlo. - Salve commissario, cerca me o la bella ragazza di qualche giorno fa? Il sorriso del professore faceva capire chiaramente che l’anziano, simpatico vecchietto sapeva perfettamente che il giovane commissario non era lì per lui. - La risposta giusta è la seconda professore. Anche Alberti sorrideva. - - Ne ero sicuro commissario, gioventù e bellezza attirano più del sapere e della saggezza. La capisco e la invidio. Grazie professore. Posso chiederle un’informazione? Certo commissario, dica pure. Sa dirmi dov’è l’aula S21? Come no commissario, ci ho fatto decine di lezioni ed esami. È al piano inferiore, scendendo le scale l’ultima in fondo a destra. Ma non so se troverà qualcuno a quest’ora. C’è una persona che mi aspetta lì. Allora vada commissario, la saluto e le auguro una buona serata. Grazie professore, anche a lei. Con una stretta di mano e un ultimo cenno i due uomini si salutarono. Alberti seguendo le indicazioni del professore scese le scale e si diresse in fondo al corridoio. Proprio l’ultima aula era contrassegnata con la sigla S21. C’erano due ingressi. Alberti socchiuse piano la porta del primo. L’aula era molto grande, tutta illuminata ma vuota, il pavimento degradava verso il basso nella tipica conformazione delle aule universitarie che tanto bene ricordava. I banchi erano tutti deserti e da quella posizione non si vedeva nessuno. Alberti richiuse la porta e si diresse verso il secondo ingresso posto più in basso. Guardando dentro dalla finestrella della porta Alberti vide subito Anna con la solita divisa rossa che ordinava delle carte aiutata da un suo collega davanti alla cattedra riservata ai professori. Alberto ci pensò un attimo poi si decise ad entrare. Voleva almeno avvisare Anna che era arrivato. - Buonasera a tutti. Al suo saluto fatto ad alta voce Anna e l’uomo che era con lei si voltarono. Solo la ragazza rispose al saluto. - Ciao Alberto, vieni pure avanti. Alberto iniziò ad avanzare verso di lei ma qualcosa nella sua espressione lo spinse a fermarsi. - Anna, tutto bene? Hai una faccia strana. La risposta della ragazza lo lasciò dubbioso. - Alberto perdonami. Perdonami se ti ho fatto venire. Il giovane non capiva. - Anna cosa c’è? Spiegami. Se non hai ancora finito o non puoi venire a cena con me non è un problema. Tranquilla rimandiamo a domani o quando puoi. Non è una cosa grave. Anna lo guardava sconvolta e quasi piangendo. Con la coda dell’occhio Alberto vide solo in quel momento che il collega di Anna la teneva per un braccio. Con una presa troppo stretta. Stava per avvicinarsi all’uomo ma la sua voce lo fermò. - Vede commissario la cosa è grave invece. Lei è venuto qui per morire. L’uomo aveva una voce tranquilla che non denunciava nessuna particolare emozione. Alberti estrasse la pistola puntandola addosso all’uomo. - Lasciala andare subito. Immediatamente. La mossa e le parole di Alberti non intimorirono in nessun modo l’uomo. La sua mano continuò a stringere il braccio della ragazza e la sua risposta non tradiva nessuna paura. - Non è possibile commissario. Lascerò andare la sua cara amica solo quando lei mi consegnerà la sua arma. Tu sei pazzo. Te lo ripeto, lasciala subito se non vuoi che ti spari. Anna chi è quest’uomo. La ragazza continuava a guardarlo disperata e confusa. Ci mise qualche secondo prima di rispondere. - Alberto mi dispiace, non lo so. So solo che hanno Iacopo. Iacopo? - Sì commissario, il piccolo tesoro della sua amica è qui con noi. Dietro di lei. Alberto si voltò di scatto. In cima alle scale era spuntato un altro uomo che teneva il bambino tra le braccia puntandogli alla gola un lungo ago. Alberti ebbe un brivido. Forse sapeva chi erano quegli uomini. - Anna cos’è successo? Piangendo sommessamente la ragazza rispose. - - Mi dispiace Alberto. Mi hanno costretta a chiamarti. Sono venuti a casa e hanno preso me e Iacopo. Hanno minacciato di ucciderlo se mi fossi rifiutata di chiamarti e farti venire qui. Perdonami non potevo fare nulla. Stai tranquilla, non è colpa tua. So chi sono questi due bastardi. Poi Alberti si rivolse all’uomo. - Sei un altro di quei maledetti Custodi, vero? Benedetti da Dio e dalla Chiesa commissario. Custodi della Fede. Padre Joseph ci ha lasciato precise istruzioni su cosa fare nel caso di un suo fallimento. Lei commissario ha inferto un duro colpo alla nostra compagnia, padre Joseph è rinchiuso in qualche sperduto monastero, le Sorelle sono libere di continuare la loro opera blasfema di propaganda e molti nostri fratelli sono stati individuati dai nostri nemici e ora non potranno più operare per il bene e la salvaguardia della Chiesa. Lei deve morire commissario. Padre Joseph è stato categorico su questo. Mi consegni la sua pistola senza fare resistenza e lasceremo liberi la donna e il suo bambino. Alberti non si mosse. Era sicuro che avrebbero ucciso sia lui che Anna. Non avrebbero certo lasciato una testimone pericolosa in giro. Forse avrebbero risparmiato il bambino. Il suo sguardo correva da un uomo all’altro cercando di valutare la possibilità di colpirli. No, era impossibile. Soprattutto il secondo era troppo lontano e ben coperto dal piccolo. Avrebbe rischiato di colpire Iacopo. L’uomo vicino a lui indovinò i suoi pensieri. - Non ci pensi nemmeno commissario. Non può farcela. Se decide di sparare almeno una di queste due persone morirà. Probabilmente riuscirebbe a uccidere me, magari prima che io riesca a colpire la sua cara amica ma le assicurò che nello stesso momento padre Raphael ucciderà il bambino. Preti, ancora preti. Alberti pensò amaramente che il Vaticano negli ultimi tempi non aveva certo scelto bene i suoi sacerdoti. - Mi giura che manterrà la promessa di lasciare liberi tutti e due? Certo commissario, ha la mia parola. Il mio Superiore mi ha dato questa consegna anche lui. Chissà chi era questo Superiore nominato anche da padre Jospeh? Nonostante la situazione il cervello da poliziotto del commissario si pose la domanda. Comunque non l’avrebbe mai saputo. Alberti aveva deciso. Nonostante i suoi dubbi sulle promesse di quel prete non aveva scelta. Doveva accettare le sue condizioni. L’avrebbero ucciso ma sperava nella salvezza di Anna e di suo figlio. Stava per consegnare la sua arma all’uomo quando si sentì un trambusto in fondo all’aula. Alberti si voltò. L’uomo che teneva in ostaggio il bambino, padre Raphael, stava lottando con un’altra persona. Stretti l’uno all’altro i due uomini iniziarono a rotolare lungo la discesa. Il bambino piangeva disperatamente. Alberti si voltò di scatto verso l’uomo vicino a lui. La sua mano si era alzata pronta a colpire Anna ma aveva fatto uno sbaglio. Per prendere la distanza giusta per sferrare il colpo si era allontanato dalla ragazza e offriva ora un facile bersaglio al poliziotto che esplose due colpi in rapida successione. Nonostante la vicinanza Alberti aveva temuto di poter colpire Anna ma la sua mano non aveva tremato. I due proiettili avevano raggiunto con precisione l’uomo al petto e solo un fiotto di sangue aveva colpito Anna che guardava con gli occhi sbarrati il corpo dell’uomo ai suoi piedi. Poi lo sguardo della donna si rivolsero verso l’alto. Il commissario seguì quello sguardo. Il bambino stava percorrendo piano la discesa dirigendosi verso sua madre ma sul suo cammino c’era padre Raphael che aveva avuto la meglio sul suo avversario e che si muoveva velocemente verso il piccolo con la mano armata in alto. Pochissimi metri lo separavano dal bambino e le sue intenzioni erano chiarissime. Voleva mantenere la promessa di morte fatta dal suo compagno. Albert puntò la pistola verso di lui. - Padre Raphael si fermi. E’ finita. Non si macchi la coscienza con l’inutile morte di un bambino. Si fermi o sarò costretto a sparare. Mentre Alberti urlava Anna si stava precipitando verso il bambino. Era sconvolta e non si rendeva conto che non sarebbe mai potuta arrivare da Iacopo prima dell’uomo e nella sua corsa forsennata rischiava di coprire il bersaglio al commissario. Alberti capì di non poter più aspettare. Il primo colpo colpì padre Raphael alla gamba. L’uomo cadde ma incurante del dolore si rialzò. Trascinando la gamba ferita riprese a muoversi verso il bambino. Alberti capì che era inutile tentare di fermarlo con le parole. Aveva capito che l’esaltazione e la pazzia dei Custodi per la loro missione ottenebrava completamente la loro mente. Sparò di nuovo prendendo la mira con calma. L’uomo venne colpito alla spalla e di nuovo alla gamba. Questa volta cadde per non rialzarsi. Nel frattempo Anna era riuscita a raggiungere il suo bambino e lo teneva tra le braccia piangendo. Alberti si stava dirigendo verso il corpo dell’uomo che l’aveva aiutato, immobile sul pavimento. Voleva vedere chi era e sperava ardentemente che fosse vivo. Senza il suo intervento non ce l’avrebbe fatta. In quel momento però dai due ingressi dell’aula fecero il loro ingresso quattro addetti alla sorveglianza interna dell’università con le armi in pugno. Gli spari avevano richiamato la loro attenzione. Alberti alzò con calma la pistola. - Fermi, tranquilli. Sono il commissario Alberti della polizia. E’ tutto finito, tutto sotto controllo. Parlando Alberti aveva estratto il tesserino dalla tasca e l’aveva mostrato ai vigilantes. Uno di loro gli si avvicinò per controllare il documento. Rassicurato lo salutò portando la mano alla visiera. - Ci scusi commissario. Abbiamo sentito gli spari e siamo accorsi. Cosa posso fare per lei? Chiami il 113 a nome mio. Dica di mandare un paio di pattuglie e un paio di ambulanze. Ci sono degli uomini feriti. Agli ordini commissario. Alberti stava per chiamare Leonardi per avvisarlo ma decise di non farlo. Inutile rovinare la cena ai suoi amici. Per ora era tutto a posto. Il bersaglio dei custodi era lui e solo per colpire lui avevano preso di mira Anna e suo figlio. Per ora il pericolo era passato. Si incamminò velocemente verso il corpo di padre Raphael. Un rapido sguardo e un controllo del polso per constatare che era morto. Poi si diresse verso il corpo svenuto del suo salvatore. Era disteso con la faccia verso il pavimento ma respirava. Alberti capì subito chi era. Quel tipo di giacca lo usava solo un certo professore, Testori. Alberti si inginocchiò su di lui. Non mostrava segni di ferire e il respiro era abbastanza regolare. E’ solo svenuto, pensò con sollievo Alberti. Iniziò a scuoterlo e dopo qualche tentativo il professore diede i primi segni di vita. Aperti gli occhi l’anziano professore lo riconobbe subito. - - Commissario, come sta? Cos’è successo? Il bambino sta bene? E la sua amica? Tutto bene professore, grazie a lei e al suo coraggio è andato tutto ben. Lei ha salvato la vita a tutti. Sono contento commissario. Ero venuto a cercarla perché volevo dirle una cosa che avevo scoperto, sono entrato piano temendo di disturbare e perciò quell’uomo non mi ha sentito. Poi ho visto che teneva il bambino in ostaggio e ho sentito tutto quello che ha detto l’altro. A quel punto mi sono fatto coraggio e mi sono lanciato ma nella lotta siamo rotolati e devo aver perso conoscenza. Proprio così professore ma il suo intervento mi ha dato l’occasione che mi serviva. Sono riuscito a fermarli. Sono morti tutti e due. Mi dispiace ma non c’era altro modo. Troppi innocenti hanno già perso la vita per colpa di questa gente. Comunque complimenti professore per essere uno studioso ha dimostrato una notevole forza e agilità. Il sorriso di Alberti fece sorridere anche il professore. - - Guardi che oltre che studioso di dottrine religiose sono anche un appassionato cultore di filosofie orientali e come lei sa molte filosofie orientali contemplano anche forme di lotta. In gioventù ne ho praticato qualcuna. Troppi anni fa purtroppo. Devo confessare che ho dimenticato tutto, mi sono solo buttato addosso a quell’uomo a corpo morto. Se sono riuscito a fermarlo per qualche minuto è stata solo fortuna. Fortuna o non fortuna le devo la vita. Grazie davvero professore. Di niente commissario. Adesso lasci perdere questa vecchia carcassa, vedo che stanno arrivando anche gli infermieri, e vada dalla sua ragazza. In questo momento ha più bisogno lei della sua presenza. In effetti erano entrati nell’aula due infermieri con una barella. Con un cenno Alberti li chiamò. L’unico a cui potevano essere utili era solo il professore. Ad Anna e al bambino ci avrebbe pensato lui. - Allora la lascio in buone mani professore. Grazie ancora. Verrò a salutarla con più calma uno di questi giorni. Quando vuole commissario, sarà un piacere. Alberti si stava allontanando dal professore per raggiungere Anna quando si ricordò di qualcosa. Si voltò di nuovo verso di lui. - Professore scusi ma ha detto che era venuto a cercarmi per dirmi qualcosa? Cosa di preciso? L’anziano professore lo guardò. Poi sorridendo gli rispose. - - Pensi che era venuto a dirle che avevo fatto ulteriori ricerche e avevo scoperto che, probabilmente, qualche gruppo di Custodi era ancor attivo. Ma immagino che lei ne fosse già a conoscenza. Ha proprio ragione professore. Ma benedetto Dio per averla fatta tornare indietro a cercarmi. Salutato il professore Alberti raggiunse Anna. Si era calmata e stringeva Iacopo tra le braccia in un atteggiamento di difesa. Aveva rischiato di perderlo e ora lo teneva stretto per difenderlo da qualsiasi pericolo. Alberti le si sedette vicino e l’abbracciò. - - Alberto perdonami, ti ho trascinato qui mettendo a rischio la tua vita ma c’era la vita di Iacopo in gioco. Stai tranquilla, è tutto finito. Dovrei essere io a chiederti perdono. Per colpa mia sei stata trascinata in questa storia e hai rischiato due volte di morire e di perdere Iacopo. Lo sai che non è stata colpa tua. Lo so ma mi sento in colpa lo stesso. Non devi. Ci hai salvato la vita. Non hai niente da farti perdonare. Invece sì e visto che ti ho messa in pericolo adesso mi tocca offrirti protezione per tutta la vita. Alberto sorrideva e quando Anna capì il senso vero delle sue parole un largo sorriso illuminò il suo viso. - Ma dici davvero? Il tuo senso di colpa ti spinge a fare questo sacrificio? Non è un sacrificio e non è senso di colpa. Mi sono accorto di amarti e voglio stare con te. Per sempre. Leonardi, Caterina e Giuliani, arrivati di corsa dopo essere stati avvertiti dalla centrale, capirono che era tutto a posto davvero quando videro Alberto e Anna che si baciavano davanti a tutti.