LE TREDICI SORELLE L`INIZIO I due uomini erano seduti

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LE TREDICI SORELLE L`INIZIO I due uomini erano seduti
LE TREDICI SORELLE
L’INIZIO
I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello
studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce
proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che
divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso.
-
E’ sicuro che sia necessario eminenza?
La domanda era stata posta con tono calmo, tranquillamente,
anche se chi l’aveva formulata sapeva benissimo quali terribili
forze stavano per essere messe in moto. Con quali conseguenze
era impossibile prevederlo.
-
-
E’ assolutamente necessario; è in gioco la nostra stessa
sopravvivenza. Sono anch’io consapevole dell’enorme
responsabilità che ci prendiamo ma in questo momento
dobbiamo pensare innanzitutto a salvaguardare la nostra
immagine nel mondo. La posta in gioco è troppo alta per
giocare seguendo le regole normali. Lei è autorizzato
all’azione e a fare tutto ciò che sarà necessario per
mettere fine alla minaccia che incombe su tutti noi. Il
segreto deve essere custodito, il mondo non è ancora
pronto a conoscerlo. Questa è la volontà di chi può
decidere. Esegua i suoi ordini e tranquillizzi la sua
coscienza.
Allora non c’è più niente da dire. Stasera stessa darò il
via ai nostri uomini. Stia tranquillo eminenza, tutto sarà
fatto con precisione e riservatezza, come sempre.
Bene non ne dubitavo. La saluto e la lascio andare, so
che il compito che le ho assegnato è duro ma sono sicuro
che lo assolverà nel migliore dei modi, come sempre.
Senza neanche un’altra parola i due uomini si strinsero la mano
alzandosi in piedi. Avvicinandosi per il saluto la luce illuminò i
loro visi facendo luccicare i collari bianchi che ambedue
indossavano. Poi il più giovane dei due dopo aver baciato la
mano al più anziano si diresse alla porta e uscì.
Il più anziano rimasto solo si risedette pensieroso. Sapeva di
aver preso una decisione importante, straordinariamente
pericolosa, ma era nelle sue responsabilità prenderla. Certo era
difficile prevedere le conseguenze della sua scelta ma la scelta
era da compiere. Solo il tempo avrebbe sciolto i suoi dubbi.
Con un sospiro si alzò dalla poltrona per telefonare. Adesso
doveva informare chi di dovere.
CAPITOLO PRIMO
Il bar dell’albergo era affollato come tutte le sere. In attesa della
cena i numerosi turisti che affollavano l’elegante albergo
Excelsior, situato proprio sulla splendida Via Veneto, passavano
il tempo sorseggiando i loro cocktail e guardando, attraverso le
vetrate della sala che davano proprio sulla strada, le centinaia di
persone che affollavano la via più famosa della città eterna.
Turisti stranieri in bermuda, inglesi, giapponesi con le loro
immancabili macchine fotografiche, americani e tante altri di
varie nazionalità, riempivano la celebre via passeggiando sui
marciapiedi, guardando le vetrine e lanciando spesso commenti
di meraviglia e ammirazione, osservati dallo sguardo
disincantato e divertito dei cittadini romani.
Seduto al bancone del bar, su uno degli alti, scomodi sgabelli, il
Prof. Funari dava invece le spalle alla strada. Sorseggiava il suo
succo di frutta senza degnare di uno sguardo il frenetico
andirivieni di gente nella strada. Era annoiato, il convegno
doveva ancora iniziare e già era annoiato. I convegni ormai non
li sopportava più e Roma, sempre bellissima, non esercitava su
di lui più nessun fascino. La conosceva troppo bene, ci aveva
studiato da giovane e anche dopo essersi trasferito ci era tornato
spessissimo. Psichiatra di fama e professore universitario
illustre era spesso a Roma per convegni, consulti o lezioni
all’università. Perciò per lui era solo una città come tante altre
ormai, stesse vie, stessi palazzi, stesse aule, alberghi tutti troppo
simili e troppo tristi e stesse malattie da diagnosticare e cercare,
molte volte inutilmente, di curare. Era stanco.
-
Forse sto diventando vecchio, pensò, non riesco più ad
apprezzare la bellezza.
Anche se aveva solo cinquantacinque anni, oltretutto portati
benissimo, si sentiva stanco. Fare lo psichiatra logora, si disse.
Poi il suo sguardo cadde sulla ragazza seduta al suo fianco e, di
colpo, si sentì molto meno vecchio. Capelli corti, neri, un viso
semplice e con un trucco leggerissimo, corpo snello ma con le
curve tutte al punto giusto, rivelato e sottolineato dalla corta
gonna bianca, un tubino stretto che le fasciava le lunghe gambe,
e dalla camicia rosa, aderente al corpo e con un bottone di
troppo slacciato a mettere in mostra una parte decisamente
ampia di un seno non eccessivo ma sodo e pieno. E il sorriso
che le apriva la bocca era decisamente rivolto a lui.
-
Quanti anni potrà mai avere?
Il primo pensiero ad attraversare la mente dello psichiatra.
Guardò meglio la ragazza, davvero bella, oltretutto una bellezza
particolare, semplice, spontanea, quasi ingenua. Come non se
ne vedevano più in giro. Nessun atteggiamento forzato o
costruito, nessuna ostentazione, solo un semplice, schietto
sorriso. Giovane ma non giovanissima. Venticinque anni, forse
anche qualcuno in più. Sì, qualcuno in più. Meglio.
-
Salve, anche lei solo in quest’albergo?
La voce della ragazza lo distolse dai suoi pensieri.
-
Scusi?
Le ho solo chiesto se è solo anche lei.
Oh sì mi scusi. Sì sono solo. Sono a Roma per un
impegno di lavoro. E lei?
Beh diciamo che anche io ho una specie di impegno di
lavoro. Ma adesso non ci voglio pensare, è una serata così
bella e Roma è una città così meravigliosa che fino a
domani voglio pensare solo a godermela. E’ la prima
volta che vengo a Roma.
-
Allora se permette le farò da guida. E la porterò a cena
in uno dei locali più tipici di Roma, dalla Sora Lella a
Trastevere. E non accetto rifiuti.
Beh è una proposta davvero interessante e inaspettata.
Mi ero già rassegnata a una triste cena solitaria in albergo
e adesso mi ritrovo un cicerone e un invito a cena. E’ una
proposta davvero allettante, non posso certo rifiutarla, ma
a una condizione; la cena si paga alla romana, del resto
non potrebbe essere altrimenti visto che siamo a Roma.
Il sorriso che accompagnò queste parole scaldò il cuore del
maturo professore. E non solo quello. Era molto tempo che non
provava sensazioni così forti, quella ragazza gli piaceva
moltissimo e quell’incontro fortunato l’aveva messo di ottimo
umore.
-
Diciamo che di questo discuteremo dopo, intanto inizio
a presentarmi. Mi chiamo Funari, Walter Funari. E tu?
Spontaneamente e naturalmente era passato al tu ma la ragazza
non sembrò dispiaciuta del cambio di registro.
-
Rosa, mi chiamo Rosa, e penso possa bastare per ora. E
ti chiamerò Walter, oltretutto è un nome che mi piace
tantissimo.
Restarono seduti al bar per qualche altro minuto,
chiacchierando del più e del meno, argomenti leggeri e non
personalissimi. La ragazza si dimostrò simpatica, spiritosa e
intelligente commentando con spirito i racconti e le battute del
professore.
E il professore si ritrovò ancora una volta a benedire la sua
buona stella di quella sera.
Fu lui a organizzare tutto; fece prenotare un tavolo per due al
ristorante dal portiere, fece chiamare un taxi e si incaricò di
indicare all’autista, con grande sorpresa di quest’ultimo,
abituato ai turisti sempre timorosi di essere presi in giro con
strade troppo lunghe, un percorso piuttosto lungo e complicato
per permettere alla ragazza di ammirare molte delle bellezze
della città.
Si godette nel lungo tragitto la vicinanza della ragazza che si
entusiasmava alle sue descrizioni e lo tempestava di domande,
facendolo sentire importante.
Anche la cena fu favolosa. Assaggiarono i piatti tipici della
cucina romana, bevendo un robusto vino dei castelli e
chiudendo la cena con un doppio assaggio del tipico
limoncello.
La ragazza era entusiasta di tutto e rideva con gusto alle battute
del suo accompagnatore.
Lo psichiatra era talmente euforico e soddisfatto da non notare
nemmeno il movimento della ragazza che scioglieva nel suo
bicchiere una polverina bianca. La polverina era un forte
tranquillante ricavato da erbe e altre sostanze naturali mischiate
e bollite seguendo un antica ricetta.
Assolutamente naturale ed efficace. Insapore e incolore.
-
Mi sa che ho bevuto troppo, mi gira la testa e mi sento
fiacco come un sacco vuoto. O forse sei tu che mi fai
girare la testa.
Queste ultime parole del professore erano effettivamente frutto
del troppo bere e della crescente attrazione che il maturo
studioso provava per quella splendida fanciulla che aveva
trovato all’improvviso sulla sua strada.
-
Forse è meglio tornare in albergo, professore. Adesso
faccio chiamare un taxi.
L’uomo era talmente intontito che non fece caso al fatto che la
ragazza conosceva il suo titolo di professore anche se lui non ne
aveva mai fatto cenno.
-
Sì brava Rosa, chiama pure un taxi e torniamocene in
albergo. Termineremo la serata bevendo champagne e tu
mi racconterai qualcosa di te, voglio sapere tutto di te.
Forse lo champagne è meglio di no. Preferisco che lei
stia sveglio.
Il professore non notò neppure che la ragazza era tornata al lei.
Il portiere di notte vide uscire dal taxi una bella ragazza che
sosteneva a stento un signore molto più vecchio di lei,
visibilmente ubriaco, che continuava a parlare e a ridere. Il
portiere, che aveva all’incirca la stessa età della ragazza, pensò
tra sé e sé che la vita era, spesso, proprio ingiusta. Invece di
essere lui a divertirsi con quella bellezza bruna gli toccava
assecondare e fare pure i salamelecchi a quell’imbecille mezzo
ubriaco.
Ma il pensiero gli passò subito. Il tono era professionale e
cortese come al solito quando si informò del numero della
stanza.
La ragazza fu costretta e ripetere la domanda all’uomo un paio
di volte prima di riuscire ad avere il numero.
-
Stanza 520, ultimo piano.
La voce del professore era resa incerta dal vino e dalla
polverina e fu Rosa a dover ripetere il numero al portiere di
notte che attendeva quasi sull’attenti e con un mezzo sorriso sul
volto.
-
Bene stanza 520, ultimo piano. Una delle più belle e
tranquille signorina.
E porgendo la chiave aggiunse, sornione.
-
Vi auguro una buona notte.
Ci faccia portare una bottiglia di champagne, ghiacciato,
in camera. La notte è ancora lunga.
Il professore aveva ritrovato un minimo di energia e in un
ultimo guizzo di lucidità aveva formulato la sua richiesta al
portiere che chiese conferma alla ragazza con un veloce,
discreto, sguardo.
-
Sì forse è meglio. Faccia portare una bottiglia di
champagne con tanto ghiaccio, ho idea che ne avrò
bisogno.
Dopo queste ultime parole la ragazza si diresse all’ascensore
tirandosi dietro l’uomo di nuovo semi addormentato.
Fu proprio l’acqua gelata mischiata a pezzetti di ghiaccio a
svegliare violentemente il Professor Funari.
E il risveglio non fu piacevole. Era quasi nudo sul letto, aveva
addosso solo i suoi boxer bianchi, bagnati dall’acqua che gli era
stata rovesciata addosso, ed era immobilizzato a braccia e
gambe aperte al letto con una fune sottile che già iniziava a
segargli i polsi e le caviglie. Svegliato bruscamente dall’acqua
gelata ci mise qualche secondo a rendersi conto della sua
posizione. Il suo sguardo girava ansioso, ispezionando la
stanza,mentre il suo cervello cercava di trovare un senso a
quello che stava succedendo. Pensò a un possibile giochino
erotico ideato da quella ragazza, Rosa. Certo non aveva
l’aspetto di una appassionata di giochino sessuali ma chi può
mai dire cosa si nasconde anche dietro l’aspetto più angelico. E
lui ne sapeva qualcosa. Nel suo lavoro ne aveva incontrate tante
di menti perverse celate dietro l’aspetto più dimesso. Ma si rese
conto quasi subito che, purtroppo per lui, la ragazza non aveva
messo in piedi la scena per un gioco sessuale. Era in piedi
davanti a lui, completamente vestita, con in mano uno strano
oggetto. Un lungo e sottile oggetto di metallo, appuntito e con
un occhiello in cima. Una specie di stiletto che gli scatenò
subito un attacco di paura. Lo teneva nella mano destra e lo
batteva sul palmo della sinistra con un movimento lento. I suoi
occhi lo guardavano senza emozione, freddi, concentrati e
mostrava nello sguardo una decisione assoluta.
-
Ben svegliato caro professore. Mi scusi per i modi
bruschi ma ho bisogno di averla lucido e sveglio e non ho
molto tempo da perdere. Perciò sarò subito chiara. Voglio
che mi dica subito come accedere ai file delle sue
relazioni professionali, ho bisogno di alcune informazioni
e sono disposta a tutto per averle. E se non collaborerà
volontariamente, vede questo oggetto, sembra innocuo
ma può procurare molto dolore. Se invece accetta di
collaborare si risparmierà molte sofferenze e domani
mattina potrà ritornare alla sua solita vita. Ci pensi ma
non per molto. Come le ho già detto non ho molto tempo
e la posta in gioco è così importante da richiedere
qualsiasi sacrificio.
Dicendo le ultime parole aveva avvicinato lo stiletto al viso
dell’uomo legato agitandolo davanti ai suoi occhi. Al
professore, visto da quella posizione e in quelle condizioni,
l’oggetto non sembrò assolutamente innocuo. Anzi.
Spostando gli occhi dallo stiletto il professore si guardò intorno
alla disperata ricerca di un impossibile aiuto. La stanza era
vuota e ad aumentare la sua convinzione sul fatto che la ragazza
era decisa a ottenere quello che voleva il professore si accorse
che il suo portatile era già stato estratto dalla sua borsa ed era
già stato posizionato sul tavolino della stanza. Acceso e pronto.
Il professore non era un eroe, era solo uno studioso e un
professionista serio. Certo conosceva le regole deontologiche
sul segreto professionale ma in un caso simile pensava che
nessuno avrebbe potuto fargli una colpa di averle violate. No di
quello era sicuro. Il dubbio che lo attanagliava era un altro.
Avute le sue informazioni cosa avrebbe fatto la ragazza?
Un’altra occhiata alla ragazza gli fece capire che non aveva
scelta.
-
Va bene, non capisco a cosa ti possano servire, ma ti
darò quello che vuoi.
Il professore non notò neppure il sospiro di sollievo della
ragazza. Era stato facile, in fondo, per fortuna. La sua fede era
salda e la sua volontà ferma e determinata ma non era del tutto
sicura della sua capacità di mettere in atto le minacce fatte nel
caso in cui il professore si fosse rifiutato di collaborare.
-
Lei non si preoccupi di capire, mi dica quello che voglio
sapere.
Senza altre parole la ragazza si allontanò dal letto per prendere
posizione davanti al computer. Guidata dall’uomo legato che le
indicava cartelle, file e password di accesso trovò quello che
cercava. Pochi minuti furono sufficienti per trovare i documenti
che le interessavano, raggrupparli velocemente e poi spedirli a
un indirizzo di posta elettronica. Un attimo di esitazione, poi la
ragazza, come colpita da un improvvisa idea iniziò a frugare
nella borsa del professore e dopo pochi secondi, trovato quello
che cercava, rimettersi davanti allo schermo. Una pendrive era
nella sua mano, evidentemente aveva deciso per maggiore
sicurezza di copiare i documenti che le interessavano, anche su
un supporto da portarsi dietro. Completata l’operazione
finalmente si rilassò sulla sedia.
-
Bene caro professore siamo quasi alla fine. Adesso devo
proprio porre fine al nostro bell’incontro.
Il tono della voce era bello tranquillo, come di una persona che
ha portato a termine un compito importante e difficile più
facilmente del previsto.
Uno squillo all’improvviso la fece sobbalzare. Rosa iniziò a
frugare nella borsetta alla ricerca del cellulare. Una bustina sul
display avvisava dell’arrivo di un messaggio. Dopo la lettura
del messaggio l’atteggiamento della ragazza cambiò di colpo.
Sul suo viso si disegnò una strana espressione; la tensione
ritornò nella stanza. Il professore che si era tranquillizzato negli
ultimi minuti ritornò ad avere paura. Il viso della ragazza non
prometteva nulla di buono. La vide infilare il cellulare e il
dischetto nel piccolo zainetto che usava come borsa e poi la
vide avvicinarsi la letto.
-
Mi dispiace professore, la situazione è cambiata, devo
andare via molto velocemente e non posso correre il
rischio che lei dia l’allarme. Mi perdoni, e se questo può
aiutarla pensi che quello che le capita è la giusta
punizione per i suoi peccati. Un uomo della sua età e
della sua posizione dovrebbe evitare le tentazioni della
carne, soprattutto con ragazze tanto più giovani di lei. La
lussuria è un vizio capitale.
Pochi attimi dopo Rosa usciva dalla camera. Una breve
occhiata al lungo corridoio la tranquillizzò poi silenziosamente
e meticolosamente si fermò davanti alla camera per chiudere la
porta e appendere il cartello “Non Disturbare”. Doveva
guadagnare tempo. Doveva impedire l’ingresso alla camera il
più a lungo possibile. Il tempo era prezioso. Presa dai suoi
pensieri non si accorse dell’uomo che era uscito dall’ascensore
e che in quel momento la guardava fisso in fondo al corridoio.
Indossava un elegante e severo abito grigio scuro, una camicia
di un grigio appena più chiaro e solo lo stretto collare bianco al
collo indicava al mondo che era un sacerdote. Era alto e ben
piazzato, capelli corti e barba ben curata a incorniciargli il viso.
Era giovane, non più di trent’anni, anche se la barba e i capelli
mostravano già alcune spruzzate di bianco. Rosa lo vide solo
dopo aver chiuso la porta.
Alla vista dell’uomo la ragazza fu presa dalla paura. Si guardò
intorno alla ricerca di un aiuto o di una via di fuga. Niente e
nessuno. Era in trappola. La camera 520 era in fondo al
corridoio, l’ultima stanza del lungo corridoio. L’uomo in piedi
bloccava l’accesso agli ascensori e alle scale di sicurezza. Rosa
provò a riaprire la porta della stanza, l’idea di rientrare là
dentro non le piaceva molto ma non aveva molta scelta. Niente
da fare. La porta si era chiusa automaticamente e lei non aveva
preso con sé la chiave. Disperata la ragazza si guardava intorno
alla ricerca di una via di fuga mentre la paura saliva
minacciosamente dentro di lei. Eppure l’atteggiamento
dell’uomo non era minaccioso. La guardava tranquillamente,
con il viso rilassato e aveva assunto una comoda posizione a
gambe leggermente aperte e le mani in tasca. Ma Rosa sapeva
che era uno di loro e sapeva di dover avere paura.
Provò ad aprire la porta della stanza di fronte, chiusa anche
quella. Era in trappola, senza possibilità di fuggire e senza poter
chiedere aiuto. Loro erano troppo potenti e dopo quello che
aveva fatto l’uomo di fronte a lei avrebbe avuto gioco facile nel
convincere la polizia che lei era un soggetto pericoloso da
rimettere sotto la sua custodia. No non poteva accettarlo,
doveva trovare una soluzione. Poi il suo sguardo notò la piccola
porta alla punta estrema del corridoio, dalla sua parte. Era una
piccola porta di servizio, non numerata, e quasi nascosta in una
rientranza del muro. Con due rapidi passi la raggiunse e spinse
la maniglia. La fortuna era dalla sua parte, la porta si aprì
cigolando leggermente, evidentemente non veniva usata molto
spesso. Entrò velocemente nel riquadro buio del piccolo
pianerottolo richiudendosi la porta alle spalle. Al buio cercò di
capire se poteva bloccarla alle sue spalle ma non trovò né
chiave né chiavistello. Si guardò intorno e dopo essersi abituata
un po’ al buio, notò una piccola scala appena illuminata da un
debole chiarore. Una sola rampa e solo in salita. Non aveva
nessun’altra scelta. Iniziò a salire. Solo pochi scalini poi si
ritrovò davanti a una porticina di metallo scuro. Provò ad aprire
anche quella ma stavolta la porta non cedette sotto la sua spinta.
Provò a spingere più forte che poteva, niente da fare. Rimase lì
appoggiata alla porta, senza sapere cosa fare. Poi udì il cigolio
della porta in basso, qualcuno l’aveva aperta e stava salendo gli
stessi scalini che lei aveva percorso pochi attimi prima. Il buio
e il rumore di quei passi la buttarono nel panico. Iniziò
freneticamente a tastare la porticina, con un minimo di ritrovata
lucidità si era resa conto che probabilmente c’era da qualche
parte un fermo per tenerla chiusa. Ma doveva essere all’interno,
per forza. Dopo attimi che le parvero lunghissimi lo trovò. Un
chiavistello verticale nell’angolo in lato a destra della porta. Lo
tirò giù quasi con un urlo spingendo contemporaneamente la
porta. La porta si spalancò sotto la sua spinta facendole perdere
l’equilibrio e facendola cadere in avanti. Si ritrovò all’aperto,
sotto il cielo stellato di Roma, il bellissimo cielo di Roma che
lei in quel momento non era certamente in grado di ammirare.
Era sul terrazzo dell’albergo. Si rialzò dolorante e leggermente
zoppicante, iniziò a esplorare l’ampio quadrato in cui si
trovava. Cercava una via di scampo, una scaletta per scendere,
un passaggio per un altro tetto o un’altra porta per uscire. Ma
non trovò nulla. Il terrazzo era lontano da tutti gli altri edifici e
non aveva altre vie d’uscita. Si mosse verso la porta dalla quale
era entrata sperando di trovarla libera ma era ancora lontana
quando capì di aver commesso uno sbaglio. Si era chiusa in
trappola. Il sacerdote era davanti all’unica uscita di quel
terrazzo, stava tranquillo ad aspettare. Lo guardò per qualche
secondo da lontano poi prese l’unica decisione possibile. Le era
impossibile soltanto pensare di ricadere nelle mani di quegli
uomini, sarebbe stata rinchiusa di nuovo e questa volta in un
posto lontano e isolato, impossibilitata a continuare la sua
missione. L’idea le era insopportabile. Si voltò e si avvicinò al
bordo del terrazzo, con il viso rivolto al cielo, stringendo le
palme delle mani nella posizione della preghiera e tenendo tra
le dita lo zainetto.
Iniziò a mormorare le sue preghiere per chiedere perdono a
Dio e alla Santa Madre Maria dei suoi gravi peccati e
implorarlo di proteggerla. Sapeva di avere molto peccato ma il
fine era buono ed era convinta che leggendo nel suo cuore Dio,
Lui, l’avrebbe capita e perdonata, forse.
Alle sue spalle sentì i passi del sacerdote avvicinarsi e sentì la
sua voce dire:
-
Penso Sorella che sia giusto che lei preghi. Ha molte
cose da farsi perdonare da nostro Signore.
I pochi passanti ancora in giro si resero conto del dramma solo
quando il corpo di Rosa piombò sull’asfalto. La ragazza era
caduta in silenzio, senza neanche un urlo, sfiorando una ragazza
intenta a amoreggiare con il suo ragazzo. Al rumore i più vicini
si voltarono a guardare il corpo riverso sulla strada, sanguinante
e con le ossa frantumate dall’impatto, in una posa contorta e
così innaturale da far capire subito che per lei non c’era più
niente da fare.
La ragazza sfiorata urlò per il disgusto e per il pericolo
scampato, un uomo si avvicinò, probabilmente un medico, per
tastare il polso della ragazza come se si potesse dubitare del
fatto che fosse sicuramente morta.
Sul terrazzo Padre Joseph, il sacerdote che aveva inseguito la
ragazza, si soffermò brevemente con il pensiero sulla tragica
fine della ragazza. Una giovane vita spezzata nel fiore degli
anni da una fede sbagliata diventata ossessione. Un vero
peccato. Con un sospiro e un veloce segno di croce Padre
Joseph allontanò quel pensiero per ritornate al suo compito. Era
troppo importante per lasciarsi distrarre dagli avvenimenti
appena accaduti. Il tempo era scarso e aveva ancora tante cose
da fare prima dell’arrivo delle forze dell’ordine. Doveva
controllare che nella stanza del professore tutto fosse in ordine
e doveva accertarsi che fossero le persone giuste ad arrivare per
prime sul posto.
Scendendo le scale velocemente aveva già in mano il telefono.
Cercò il numero nelle memorie e lo compose. La risposta fu
quasi immediata come se la persona fosse in attesa della
chiamata.
-
-
Sono io, c’è una ragazza morta davanti all’albergo
Excelsior di via Veneto. Manda subito qualcuno dei nostri
e digli di far sparire dalla borsa della ragazza quello che
ci interessa, ma solo quello. Capito?
Va bene, stia tranquillo.
Chiusa la telefonata il sacerdote era già davanti alla porta della
camera 520. La porta era chiusa ma non fu difficile per lui
aprirla con una chiave passepartout; le camere d’albergo non
sono certo fatte per essere difficili da aprire anche senza la
chiave.
Entrato nella stanza e chiusa la porta alle sue spalle il sacerdote
si mise all’opera. C’era molto da fare e da sistemare. Vedere in
che condizioni era il professore, capire cosa aveva trovato la
ragazza e cosa si poteva fare per evitare altre spiacevoli
intromissioni delle istituzioni non religiose nelle loro faccende.
Pochi minuti dopo era già fuori dalla stanza, la situazione era
più complicata del previsto ma per il momento aveva fatto tutto
quello che poteva per limitare i danni. Il computer del
professore era nella borsa che portava disinvoltamente in mano
e nonostante le molte persone che ora affollavano i corridoi
dell’albergo, svegliati e richiamati fuori dalle loro stanze dalla
confusione seguita al suicidio, riuscì ad uscire dall’albergo
senza essere fermato e senza essere notato.
CAPITOLO SECONDO
Alle cinque del mattino fu il suono del cellulare a svegliare il
Commissario Alberti. A fatica, dopo numerosi squilli, il
commissario iniziò a realizzare nel sonno che quello che
sentiva non era il suono di un orchestra ma la suoneria del suo
cellulare di servizio.
Il commissario Alberto Alberti era una specie di leggenda
vivente per i poliziotti romani. Era considerato il migliore
investigatore della polizia. A soli trentacinque anni era il
rispettato, amato e ammirato capo della Squadra Omicidi della
capitale.
Era entrato in polizia circa dieci anni prima dopo aver
abbandonato una promettente carriera di avvocato in uno dei
più importanti studi legali di Milano. Per questo motivo era
stato lasciato dalla sua bellissima e ambiziosa fidanzata, figlia
del titolare dello studio, che non aveva gradito la sua scelta di
mettersi a fare lo sbirro per uno stipendio da fame e rischiando
ogni giorno la pelle. Lei aveva altre idee su come vivere la
propria vita. E l’aveva scaricato. A chi gli chiedeva i motivi
della sua scelta il commissario rispondeva, semplicemente, che
l’aveva fatto perché fare l’avvocato era noioso, mortalmente
noioso.
Aveva vinto il concorso classificandosi primo, primo al corso e
primo commissario di nuova nomina a ritrovarsi per caso
coinvolto in una sparatoria al primo giorno di servizio.
Un caso fortunato, due rapinatori che uscivano da una banca
con due ostaggi proprio mentre lui stava andando a piedi a
prendere servizio al suo primo commissariato. I due rapinatori
feriti e arrestati e gli ostaggi liberati senza un graffio.
L’episodio aveva aiutato molto la sua carriera ma poi erano
state le sue capacità a portarlo a essere il capo della omicidi.
Era intelligente, dotato di intuizioni brillanti ma anche di una
capacità di lavoro incredibile, quando era impegnato in un caso
era capace di lavorare per giorni interi per seguire un idea,
leggere montagne di documenti e scrivere brevi appunti su
post- it colorati che poi appiccicava dappertutto nel suo ufficio.
Idee e intuizioni in libertà che poi improvvisamente trovavano
un filo conduttore che lo portava al bandolo della matassa.
Metodo e intuizione, i due capisaldi del lavoro del poliziotto,
così diceva ai suoi collaboratori.
Faticosamente il commissario riuscì ad afferrare il telefonino
sul comodino e a dare un occhiata al display lampeggiante,
LEONARDI, il suo vice. Doveva essere qualcosa di importante
se Leonardi lo svegliava a quell’ora sapendo che era andato a
letto dopo tre giorni passati a inseguire le tracce di un bastardo
che aveva ucciso una donna dopo averla violentata. Sperava per
lui che fosse importante, altrimenti l’avrebbe strapazzato per
bene. Ma se anche gli avesse letto nel pensiero Leonardi non si
sarebbe preoccupato più di tanto. Un’altra delle doti che
rendevano il commissario così amato era che era sempre di
buon’umore, sempre pronto al sorriso e a proteggere i suoi
uomini, anche nei momenti più pericolosi. Sembrava che le
brutte storie che era costretto ad affrontare non fossero in grado
di scalfire il suo ottimismo e la sua allegria. Ritrovava subito la
sua serenità e la sua gioia nel vivere tutti i momenti della vita.
E anche lui sapeva bene che poteva essere solo qualcosa di
veramente importante a spingere il fidatissimo Leonardi a
svegliarlo.
-
Leonardi, che cavolo è successo?
Commissario mi dispiace disturbarla ma abbiamo tra le
mani qualcosa di veramente strano.
La voce di Leonardi era fresca e tranquilla, come sempre.
-
Allora rendimi partecipe e raccontami cos’è successo.
Stanotte alle tre un ragazza si è suicidata buttandosi dal
terrazzo dell’Excelsior, un albergo qui in Via Veneto.
Una breve pausa.
-
-
Allora Leonardi vai avanti, non puoi avermi svegliato
solo per questo. Una ragazza che si ammazza è una cosa
triste ma non è per questo che mi hai chiamato.
Infatti commissario. Il fatto è che siamo stati fortunati,
proprio in quel momento passavano davanti all’albergo
due dei nostri, due ragazzi in gamba, De Cicco e Maestri,
appena hanno capito quello che era successo uno dei due
è rimasto vicino alla ragazza e l’altro è volato sul terrazzo
a controllare. Tutto a posto, non c’era nessuno e nessun
traccia. Suicidio accertato. Ma sa come sono i nostri
ragazzi, precisi, pignoli, merito dei suoi insegnamenti.
Leonardi, sono le cinque di mattina, sono stanco e
ancora mezzo addormentato, vieni al sodo.
Uno dei piccoli difetti di Leonardi; gli piaceva parlare,
allungare le storie e abbellirle con commenti e battute
personali. Ma aveva tante altre qualità.
-
Certo commissario, mi scusi. Dicevo che i nostri si sono
comunque attivati per cercare testimonianze, qualcuno
che avesse incontrato la ragazza, magari un fidanzato o
un amico nell’albergo. Una ragazza che si butta alle tre di
notte giù da un albergo non è cosa di tutti i giorni. Il
portiere di notte li ha messi subito sulla pista giusta. La
ragazza non alloggiava in albergo, era stata notata prima
al bar che beveva qualcosa con un uomo. Il portiere ha
detto che era difficile non notarla, una vera bellezza,
secondo lui. Poi ha detto che non li ha visti uscire insieme
ma che comunque sono rientrati insieme verso le due. La
ragazza e l’uomo e sono andati insieme nella camera
dell’uomo.
-
E lui sapendo che la ragazza non alloggiava lì non ha
detto nulla?
Beh sa com’è commissario. Si chiude un occhio. Se ci
formalizziamo su queste cose non si vive più.
Va bene Leonardi, andiamo avanti. Avete rintracciato
l’uomo? L’avete interrogato? Cosa vi ha detto?
Ecco, la cosa strana è proprio questa. Il portiere ci ha
indicato la stanza dell’uomo e De Cicco ci è andato, ha
provato a bussare ma non ha ricevuto risposta. Si è fatto
aprire la porta dal portiere e ha trovato l’uomo. Ma non
ha potuto interrogarlo perché l’ha trovato morto sul letto.
Imbavagliato, legato al letto e ammazzato. E allora ha
chiamato me e io ho chiamato lei, prima il medico legale
e poi lei. Così ha guadagnato qualche minuto di sonno.
Il solito Leonardi.
-
Insomma fammi capire. La ragazza si sarebbe suicidata
dopo avere ammazzato l’uomo nella sua camera? Siamo
sicuri che è stata lei? E siamo sicuri che si è suicidata?
Commissario sul fatto che è stata lei siamo sicuri.
Abbiamo trovato nella sua borsetta quella che il medico
legale ritiene sia l’arma del delitto. Una specie di grosso
ago che è stato usato per spaccare il cuore a quel
poveraccio. Che poi tanto poveraccio non era, anzi. Il
morto è, meglio era, il professor Walter Funari, professore
universitario e illustre psichiatra. Consulente di parecchie
associazioni e perito giudiziario nonché membro di
alcune commissioni ministeriali. Un pezzo grosso
insomma.
La mente del commissario si era svegliata del tutto, il suo
interesse si stava accendendo ed era già seduto sul letto per
prepararsi ad uscire.
-
-
Leonardi ascolta, sarò lì al massimo in un quarto d’ora,
a quest’ora forse anche meno. Mi raccomando non
muovete nulla e tenete lì gli eventuali testimoni. Voglio
vedere tutto di persona.
Va bene commissario, c’è qualche altro piccolo
particolare ma visto che ha deciso di venire glielo
racconto di persona. La lascio tranquillo alla guida,
parlare mentre si guida può essere pericoloso.
Leonardi era incredibile, aveva solo pochi anni più di lui e a
volte lo trattava come un figlio. Il pensiero strappò un sorriso al
commissario che in pochi minuti aveva finito di vestirsi, un
comodo jeans e una camicia, e si era precipitato alla sua auto.
Il piccolo appartamento del commissario era posizionato nella
centralissima Via Crescenzio di Roma, vicinissimo al Vaticano
ma, sopratutto, a pochi passi dalla sede della omicidi di Piazza
Cavour.
Al volante della sua C3 con cambio automatico il poliziotto
attraversò la città prima passando dalla Via Di Rienzo,
illuminata come sempre dalle luci e dalle vetrine dei molti
negozi che la rendevano una delle mete preferite degli amanti
dello shopping, poi passando sul ponte Regina Margherita per
attraversare il Tevere per poi costeggiarlo per un breve tratto
fino ad arrivare alla caratteristica Porta Pinciana a poche
centinaia di metri dalla sua destinazione, la famosissima Via
Veneto.
Era una tiepida mattina di fine Aprile, di quelle mattine che
solo Roma riesce a offrire. Il momento migliore per godersi la
città. Poco traffico, ancora immersa nell’oscurità ma già con un
accenno di luce, le vie e i monumenti immersi in una luce
particolare. La città esercitava ancora molto fascino sul
commissario, nonostante i molti anni già trascorsi. Il
commissario annotò mentalmente queste sensazioni mentre
procedeva a velocità elevata ma non eccessiva verso la sua
destinazione. Quella era anche l’ora in cui accadevano molti
degli incidenti più stupidi.
La sua mente però continuava a ripassare quello che gli aveva
detto il suo vice. Strana storia. Una giovane assassina che
uccide ferocemente un uomo e poi si uccide. Una vendetta
forse? Una pazza scatenata? Troppe cose da chiarire. Come
aveva previsto arrivò in Via Veneto in pochi minuti.
La via era transennata, due auto della polizia con i lampeggianti
accesi bloccavano la gente a distanza nascondendo nello stesso
tempo il corpo a terra coperto da un lenzuolo. Comunque non
c’era tanta gente a curiosare, troppo presto. Meglio così pensò
il commissario. Un agente si stava già avvicinando alla sua auto
probabilmente per invitarlo a spostarla ma dopo averlo
riconosciuto si limitò invece a un breve saluto per poi alzargli il
nastro bianco e rosso che delimitava la scena.
-
Buongiorno commissario, prego passi pure.
Il commissario ricambiò il saluto del giovane agente con un
cenno della mano. La sua mente era già impegnata
nell’osservare tutti i particolari della scena. Niente di
particolare, il corpo nascosto sotto il lenzuolo in una di quelle
strane posizioni che prendono spesso i cadaveri di chi si lancia
dall’alto, agenti di polizia che tenevano lontano i curiosi e
un’ambulanza parcheggiata poco lontano in attesa
dell’autorizzazione a portare via il corpo.
Solita scena già vista troppe volte ma qualcosa di diverso c’era.
Vicino all’ambulanza i tre membri dell’equipaggio erano
impegnati in un accesa discussione con un agente. Il
commissario non riusciva a sentire le loro parole ma dai gesti e
dal movimento del corpo si capiva che non era una semplice
discussione legata alla routine dell’intervento. Il commissario,
incuriosito, si stava già avvicinando al gruppetto quando vide
da lontano l’ispettore Leonardi dirigersi verso di lui. Si fermò
ad aspettarlo e mentre lo guardava avvicinarsi si ritrovò, come
sempre, a pensare che è proprio vero che le apparenze
ingannano. L’ispettore aveva quasi cinquant’anni ma ne
dimostrava almeno dieci di meno. Il corpo muscoloso, quasi da
culturista, era il lascito di una gioventù passata in palestra come
istruttore ed era tenuto in forma da sedute regolari di
allenamento. I capelli tagliati cortissimi e appena spruzzati di
bianco davano al suo viso un’aria decisa, quasi cattiva.
Vedendolo avvicinarsi in quella calda mattina di aprile in jeans
e maglietta bianca il commissario pensò ancora una volta che
era facile scambiarlo per il solito palestrato con poco cervello e
quello era uno sbaglio. In realtà l’ispettore nascondeva dietro la
sua fisicità un cervello di tutto rispetto. Intelligente e attento a
cogliere tutti i particolari di ogni situazione era capace di
intuizioni improvvise e chiarificatrici. Ma nascondeva anche
dietro il suo aspetto duro un uomo tutto di un pezzo, leale,
sincero e onesto, capace di slanci di bontà incredibili. Il
commissario pensò ancora una volta che era stato fortunato a
incontrarlo. All’inizio della sua carriera gli aveva fatto da
maestro e ben presto la loro collaborazione sul lavoro si era
trasformata in una sincera e profonda amicizia cementata dal
rispetto e dalla stima reciproca.
Lavoravano ormai insieme da dieci anni e nonostante l’amicizia
l’ispettore si ostinava a dargli del lei.
-
Buongiorno commissario, dormito bene?
Bene ma non abbastanza. Nel nostro mestiere non si
riesce mai a dormire abbastanza.
Perfettamente ragione, commissario, c’è sempre qualche
rogna che ti sveglia. Vuole andare a prendere un caffè
mentre le racconto tutto?
Lasciamo stare, inizia a raccontare e intanto fammi da
cicerone.
-
Va bene, mi segua. Verso le tre la ragazza si è buttata
giù dal terrazzo, tranquilla, senza urlare, andando quasi a
cadere addosso ai passanti. Eccola qui vede?
Così dicendo l’ispettore aveva accompagnato il suo capo verso
il corpo nascosto sotto il lenzuolo.
-
Sappiamo chi è ?
No commissario, non era cliente dell’albergo, questo lo
sappiamo, ma non sappiamo niente altro Nella sua
borsetta non abbiamo trovato documenti ma solo un
cellulare, uno di quegli aggeggi che si infilano nei
computer, un rosario e questo.
Così dicendo aveva preso dalla tasca una busta di quelle usate
per raccogliere le prove e l’aveva mostrata al commissario.
La busta conteneva un oggetto lungo e sottile, poteva sembrare
uno strano stiletto ma, osservandolo meglio, si capiva
dall’occhiello superiore e dalla sua forma che era in realtà un
grosso ago.
-
L’arma del delitto?
Sì commissario, il medico legale è convinto di sì. La
ferita sul corpo sembra proprio fatta da questo strumento.
Per un momento il commissario si soffermò a riflettere su
quella strana arma. Era stata portata apposta per uccidere o
l’assassina l’aveva usata in mancanza di meglio? Forse non era
venuta per uccidere.
-
Va bene Leonardi andiamo avanti.
Come le ho già detto al telefono, per fortuna, proprio in
quel momento c’erano in strada due dei nostri che si sono
subito messi all’opera. Uno è rimasto in strada e l’altro è
-
-
salito sul terrazzo. Era vuoto, non c’era nessuno e
nessuna traccia particolare, per questo siamo certi che è
stato suicidio, anche perché tutti i testimoni dicono che è
venuta giù in silenzio, come una convinta di farla finita
senza troppe storie. Una storia semplice e chiara, tragica
ma senza problemi per noi, sembrava.
Invece?
Invece De Cicco facendo un po’ di domande al portiere
ha scoperto che la ragazza era salita in camera con un
cliente dell’albergo, così naturalmente è andato a fargli
qualche domanda e l’ha trovato morto, legato al letto e
ucciso con un colpo al cuore, con quell’ago da
ricamatrice. Se mi segue la porto a vedere.
Sì adesso andiamo, fammi solo dare un occhiata alla
ragazza.
Come vuole.
L’ispettore conosceva troppo bene le abitudini del suo capo per
mettersi a discutere con lui, così senza dire altro si chinò per
scoprire il corpo sull’asfalto. Nonostante il colpo e la posizione
il corpo senza vita rivelava ancora tracce della sua bellezza. Il
viso da ragazzina non sembrava quello di un’assassina, ma,
pensò il commissario, quasi mai gli assassini hanno il viso da
assassino.
-
Va bene Leonardi andiamo di sopra.
I due poliziotti si incamminarono verso l’interno dell’albergo
salutati dai vari agenti che lo piantonavano, e preso l’ascensore
salirono all’ultimo piano.
-
Vuole vedere prima il terrazzo o prima la camera?
Vediamo prima il terrazzo, giusto per scrupolo. Se mi
dici che non c’è niente d’interessante non ci perderemo
-
molto tempo. Poi passiamo alla camera, lì ci sarà
sicuramente più roba da vedere.
Va bene commissario, mi segua.
L’ispettore guidò il commissario sulla stretta scaletta che
portava al terrazzo e una volta sbucati all’esterno lo guidò al
punto dal quale la ragazza si era buttata.
Con un rapido sguardo il commissario osservò il posto. Niente
d’importante, un semplice terrazzo vuoto. Il commissario si
stava convincendo che la ragazza si era proprio suicidata,
nessun’altro motivo poteva averla spinta a salire su quel
terrazzo. Per un attimo si affacciò anche a guardare giù nella
strada, si intravedeva il lenzuolo bianco e il giovane
commissario si chiese quanto coraggio ci voleva per uccidersi
senza emettere un solo grido. Coraggio o disperazione.
-
Va bene Leonardi scendiamo.
Ridiscesero in silenzio la scaletta per ritrovarsi davanti alla
porta della camera 520, chiusa e con due agenti in divisa a
sorvegliarla. Senza una parola uno dei due agenti aprì la porta
ai suoi due superiori.
Nella stanza c’erano ancora le luci accese nonostante la luce del
giorno ormai fosse sufficiente a illuminare l’ambiente.
Evidentemente nessuno aveva pensato a spegnerle. All’interno
c’erano due uomini che li salutarono senza troppe formalità,
uno era l’agente De Cicco, un giovane agente molto in gamba
che il commissario conosceva benissimo, e l’altro era il medico
legale, il Dr. Stoppani, l’anziano e pignolo medico legale,
collaboratore e amico dei due poliziotti.
-
Buongiorno De Cicco, ti sei beccato una lunga notte mi
pare?
-
Sì commissario, una lunga notte, ma non si preoccupi
non avevo molto di meglio da fare.
Bravo De Cicco, comunque stai tranquillo che appena
mi avrai raccontato tutto ti faccio andare a casa. Ti meriti
un po’ di riposo. Buongiorno anche a lei dottore, tutto a
posto?
Il secondo saluto era rivolto al medico legale che impegnato nei
suoi esami non aveva neanche distolto lo sguardo dal cadavere
all’ingresso dei due uomini.
-
Ciao Alberti, tutto bene. Solita vita, anzi, solita morte.
Il dottore era tristemente famoso tra i poliziotti per il suo gusto
alle battute, feroci e ciniche, assolutamente fuori luogo viste le
situazioni in cui era coinvolto. Probabilmente era il suo modo
per mantenere un certo distacco dalle atrocità che era costretto
a vedere.
-
Allora dottore la lascio finire il suo lavoro mentre io
intanto parlo con De Cicco.
A queste parole l’agente si avvicinò subito al suo capo
iniziando a raccontare con ordine e precisione quello che
l’ispettore aveva già riferito. Intanto lo sguardo del
commissario ispezionava la stanza. A parte il cadavere
sanguinante sul letto era tutto in ordine. La valigia sistemata
nell’apposito spazio dietro l’armadio e solo un vestito
appoggiato sulla sedia, un elegante vestito grigio con una
camicia bianca, appoggiato con una certa attenzione ma non
piegato sullo schienale della piccola sedia in dotazione alla
stanza.
Ma mentre ascoltava il suo agente lo sguardo del commissario
si soffermò su un particolare. Per terra, sotto il tavolino, c’erano
due fili infilati in una presa. Uno era un filo di corrente
collegato alla presa elettrica e l’altro un filo di collegamento
alla presa telefonica con uno spinotto per computer, un filo per
collegarsi a internet.
-
Il portatile l’avete trovato?
La domanda posta all’improvviso fece zittire l’agente che stava
finendo di raccontare la sua storia e fece sobbalzare l’ispettore
Leonardi.
-
-
Quale portatile?
Quello che era sicuramente collegato a quei due fili. Il
professore aveva evidentemente un portatile con sé e,
probabilmente, la pennetta che avete trovato nella borsa
della ragazza contiene qualche file preso da quel portatile.
Ma il portatile dov’è?
Ha ragione commissario, adesso lo cerchiamo.
L’ispettore si mise subito all’opera insieme a De Cicco. Non ci
volle molto tempo ai due uomini per capire che nella stanza non
c’era quello che cercavano.
-
Niente commissario, qui non c’è.
Manda qualcuno a controllare meglio il terrazzo, magari
la ragazza l’ha nascosto lì prima di buttarsi.
Va bene commissario ci vado io.
L’agente assunto l’incarico si diresse subito verso il terrazzo.
-
C’è qualcosa di strano Leonardi, qualcosa che mi
manca. Una ragazza uccide un uomo in questo modo,
copia qualcosa dal suo computer, se lo porta dietro ben
-
-
-
custodito su una pen drive e poi si uccide. Ma per farne
cosa se voleva suicidarsi?
E c’è anche qualcos’altro di strano.
Che cosa?
Un nostro agente di guardia al corpo della ragazza ha
notato una cosa strana.
Che cosa Leonardi? Su non farti pregare.
Beh lui dice che è solo una sensazione, una sua
impressione, ma secondo lui uno dei tre dell’ambulanza,
l’autista, stava frugando nella borsa della ragazza, come
se cercasse qualcosa. Appena se ne è accorto l’agente l’ha
presa e consegnata a Maestri ma è sicuro che quell’uomo
stava cercando qualcosa nella borsetta della ragazza.
Hai già interrogato l’uomo?
Sì ma lui dice che stava solo cercando i documenti per
avvisare i parenti. Ho interrogato anche l’altro volontario
e il medico dell’ambulanza, lo conoscono da molto tempo
e ci lavorano insieme da anni e sono convinti che non
avrebbe mai cercato di rubare nulla dalla borsetta.
Affermano che è una persona onestissima.
Magari non stava cercando di rubare, magari cercava
qualcos’altro che non fossero soldi. Ci voglio parlare
anche io dopo, adesso ascoltiamo il dottore così lo
lasciamo libero di andarsene.
Il medico sentendosi chiamato in causa si rialzò dal letto e dopo
essersi tolto gli occhiali e averli riposti con calma nella loro
custodia iniziò il suo rapporto.
-
C’è poco da dire. L’uomo è stato ucciso con un oggetto
sottile, lungo circa venticinque centimetri, sicuramente
quella specie di ago che l’ispettore ha trovato nella borsa
della ragazza. Prima di essere ucciso è rimasto legato al
letto per almeno un paio d’ore. Lo si capisce dai segni sui
polsi e sulle caviglie, legato ma non torturato, non ci sono
segni sul corpo, poi, diciamo verso le tre, è stato ucciso.
Se posso avanzare un’ipotesi è stato ucciso perché stava
cercando di liberarsi, anzi c’era quasi riuscito. Se
guardate la mano destra noterete che si era sciolto dal
laccio, probabilmente la ragazza si è accorta in ritardo che
il suo prigioniero stava per liberarsi e spaventata l’ha
ammazzato con la prima cosa che ha trovato sottomano.
I due poliziotti seguendo il consiglio del medico portarono la
loro attenzione sulla mano destra del cadavere che era
effettivamente libera e appoggiata sul fianco.
-
-
-
-
Forse è come dice lei dottore, probabilmente la ragazza
era solo venuta a prendere qualcosa dal computer del
professore, poi qualcosa deve essere andato storto e allora
l’ha ucciso. E deve averlo fatto anche velocemente e
all’improvviso. Vede la mano è pulita, senza ferite, come
se il professore non si fosse accorto di nulla e quindi non
ha neanche fatto in tempo a tentare di difendersi. Ma
adesso mi chiedo; cosa cercava la ragazza? E perché si è
uccisa dopo averla presa? Leonardi avete provato a
leggere la penna?
Sì commissario, ho provato ma è protetto da una
password. Appena torniamo in commissariato provo a
passarlo ai nostri esperti informatici, magari loro riescono
a scoprire come aprirlo.
Va bene, adesso andiamo giù, voglio parlare con il
portiere dell’albergo e con quelli dell’ambulanza. La
saluto dottore, buona giornata. E se scopre qualcos’altro
di interessante mi chiami subito.
Certo Alberti, lo sai che lavoro solo per te e non ho
nient’altro da fare.
Il commissario non diede peso alla battuta del professore, lo
sapeva che era un professionista serio e metodico, se avesse
trovato qualcosa l’avrebbe avvisato immediatamente.
Tornarono al pianterreno dell’albergo, l’ispettore guidò il
commissario verso una stanza piantonata da un agente.
-
Il portiere è là dentro.
Entrarono nella stanza dopo aver risposto al saluto dell’agente
di guardia.
All’interno era in attesa il portiere dell’albergo. In piedi
aspettava tranquillamente di essere interrogato anche dal
commissario, così gli aveva detto il colosso che si era
presentato come ispettore di polizia, prima di potersene andare
a casa a riposare, magari dopo essersi rilassato un po’ con la sua
ragazza.
Il commissario lo squadrò attentamente. Era un ragazzo
giovane, massimo venticinque anni, sembrava sveglio e furbo.
La persona adatta per un lavoro come quello. Faccia simpatica
anche se un po’ da canaglia e un sorriso pronto che sfoderò
subito al momento delle presentazioni.
-
-
-
Buongiorno, sono il commissario Alberti, della omicidi.
Devo scusarmi se l’ho fatta aspettare e se adesso le ruberò
ancora alcuni minuti ma volevo sentire di persona quello
che ha visto.
Tranquillo commissario, capisco che sono successe cose
gravi e sono a sua disposizione. Io sono Roberto Altieri e
come saprà faccio il portiere di notte qui in albergo. Mi
chieda pure quello che vuole.
Bene Roberto, allora partiamo dall’inizio. Mi parli della
ragazza, quando l’ha notata per la prima volta?
Questa è una domanda facile, commissario. L’ho notata
subito appena l’ho vista, le assicuro che era difficile non
-
-
-
-
notarla. Era bella, elegante e con una luce speciale negli
occhi; sembravano sorridere. Proprio una bellezza
speciale. L’ho notata all’inizio del mio turno, verso le
otto, praticamente siamo entrati in albergo insieme, poi
l’ho vista dirigersi verso il bar ma poi preso dal lavoro
non l’ho vista uscire con il professore. E poi l’ho vista per
l’ultima volta quando sono rientrati insieme verso l’una.
Anzi no, l’ultima volta l’ho vista quando il suo ispettore
mi ha obbligato a riconoscerla lì sulla strada.
Sì capisco che deve essere stato un brutto momento ma
le assicuro che l’ispettore Leonardi è stato costretto a
chiederglielo. Ma torniamo indietro di un passo.
L’ispettore mi ha detto che lei è sicuro che la ragazza non
fosse una vostra cliente. Come fa a esserne sicuro?
Beh non dovrei dirlo, non è professionale, ma devo
confessare che la ragazza mi aveva incuriosito, così ho
dato una controllata ai clienti di oggi e non c’era nessuno
che potesse essere lei. Poi, per maggiore sicurezza, ho
anche chiesto al mio collega di giorno, quando l’abbiamo
vista uscire, se si ricordava di lei e anche lui mi ha
confermato che non era certo una cliente, una così
l’avrebbe notata di certo.
Ho capito, ha notato qualcos’altro?
Diciamo di sì, più che altro una sensazione. Quando
siamo entrati l’ho seguita con lo sguardo, mi capisce
commissario, e ho avuto l’impressione che cercasse
qualcuno, lì al bar. Ho pensato che avesse un
appuntamento e, per un attimo, ho invidiato l’uomo che
stava cercando. Adesso certo non lo invidio più.
Immagino di no. E del professore che mi dice?
Ah il professor Funari lo conoscevo bene. Era spesso
nostro cliente e so che era un pezzo grosso. Persona
gentile e sempre cortese. Mai una protesta e mai visto con
una ragazza. Ieri sera infatti mi sono meravigliato nel
-
-
vederlo tornare ubriaco e con una ragazza così giovane.
Non era nel suo stile. Però, ripeto, la ragazza poteva far
perdere la testa a qualsiasi uomo.
Va bene Roberto per ora abbiamo finito, se dovesse
venirmi in mente qualcos’altro da chiederle o venisse in
mente a lei qualche altro dettaglio ci risentiremo. Lasci il
suo indirizzo e il telefono all’ispettore e vada pure a
riposare. E grazie per la collaborazione.
Grazie a lei commissario. Se ha bisogno sa dove
trovarmi. Le auguro una buona giornata.
Durante tutto il colloquio Leonardi non aveva aperto bocca.
-
-
Cosa ne pensa commissario?
Cosa ne penso? Penso che la ragazza è venuta in
albergo a cercare o incontrare Funari. Perché? Per
rubargli o convincerlo a darle qualcosa, qualcosa che era
nascosto in quel computer. Poi l’ha ammazzato dopo aver
trovato quello che cercava e poi si è uccisa. A questo
punto dobbiamo cercare di scoprire cosa custodiva di così
importante nel suo portatile il professore. Ci sono notizie
di De Cicco? Ha trovato qualcosa sul terrazzo?
Adesso vado a vedere, ma penso di no, altrimenti si
sarebbe precipitato ad avvisarci.
Leonardi stava già uscendo quando il commissario si ricordò di
qualcosa.
-
Leonardi ma la borsa della ragazza dov’è? Fammi
vedere quello che c’è dentro.
Adesso vado a prenderla commissario, l’ho data in
custodia a Maestri, la prendo e torno.
-
Lascia stare, vengo fuori con te. Voglio fare due
chiacchiere con quell’autista d’ambulanza e poi ce ne
torniamo in centrale.
Fuori era ormai giorno pieno. Davanti all’albergo si era
radunata una piccola folla tenuta a bada da un gruppo di agenti.
L’equipaggio dell’ambulanza era fermo in piedi davanti al
mezzo e uno dei tre era ancora in discussione con l’agente di
polizia.
Mentre Leonardi andava alla ricerca di De Cicco il
commissario si avvicinò al gruppetto riunito davanti
all’ambulanza.
-
-
-
Senta agente io capisco che lei sta facendo il suo dovere
ma anche io ho un lavoro da fare; sono un medico e non
mi piace essere trattato come un delinquente. Si può
sapere perchè ci state trattenendo?
Guardi dottore che io eseguo solo gli ordini del mio
superiore. Appena possibile parlate con il commissario e
ci pensa lui. Solo un minimo di pazienza e
collaborazione.
Un minimo di pazienza? Ma si rende conto che è più di
tre ore che ci tenete qui bloccati. Ma quando arriva sto
maledetto commissario?
Eccomi dottore. Mi scusi per l’attesa ma ho avuto
parecchie cose da fare.
La voce cortese ma decisa di Alberti bloccò le lamentele del
medico.
-
Ah dunque è lei il commissario. Mi scusi anche lei ma
davvero non capisco questa strana procedura di oggi.
Sono anni che faccio servizio sulle ambulanze e non mi
era mai capitato di essere trattato in questo modo.
-
-
Guardi le chiedo ancora scusa ma c’è qualcosa che devo
chiarire subito con voi. Innanzitutto, da chi siete stati
chiamati?
Noi siamo stati avvisati dalla centrale operativa chi
abbia chiamato loro io non lo so di certo.
Capisco, lo accerteremo dopo. Però c’è un’altra
questione da chiarire. Uno dei miei uomini ha riferito di
aver visto il suo autista guardare nella borsa della ragazza
morta, secondo il mio uomo sembrava che il suo stesse
cercando qualcosa. Lei cosa ne pensa?
Commissario il suo uomo ha le allucinazioni. L’autista,
Paolo, lo conosco da anni, sto insieme a lui parecchie ore
al giorno e l’ho visto all’opera centinaia di volte. Posso
mettere la mano sul fuoco sulla sua onestà. Se stava
guardando nella borsa, ed è possibile, stava solo cercando
i documenti della ragazza, magari per avvisare i parenti
nel modo più delicato possibile o magari solo per recitare
una preghiera per la sua anima. Paolo è molto religioso e
crede molto nel valore di una preghiera per la salvezza
dell’anima, sopratutto nei casi di suicidio, l’ho visto altre
volte compiere questo gesto per una persona morta.
Commissario glielo posso assicurare; non c’era nessun
intento cattivo nel gesto del mio autista. Se vuole
credermi bene, altrimenti non posso farci nulla.
Il dottore aveva una faccia che ispirava fiducia e dava l’idea di
saper giudicare le persone. Il commissario diede un ultimo
sguardo in direzione dell’autista che tranquillo chiacchierava
con l’altro suo collega, poi decise che non poteva fare altro che
credere al dottore. Per ora.
-
Va bene dottore, la saluto. Mi scusi ancora per tutto il
tempo che vi ho fatto perdere, si vede che questo lavoro
ci rende troppo sospettosi. Ci scusi anche con i suoi
uomini.
Poi rivolgendosi all’agente disse:
-
Agente i signori possono andare, e anche tu. Grazie.
Agli ordini commissario.
Con un ultimo saluto Alberti si congedò da tutto il gruppo.
Intanto Leonardi si stava avvicinando con De Cicco e Maestri
subito dietro.
-
Mi dispiace commissario del computer nessuna traccia.
Non è sul terrazzo e non l’abbiamo trovato da nessuna
parte. Qualcuno l’ha portato via.
Già qualcuno, ma chi?
Poi il commissario si ricordò di qualcosa.
-
Leonardi fammi vedere la borsa della ragazza. Cos’hai
detto che conteneva oltre alla pen drive e a quel maledetto
ago?
Un rosario e un cellulare commissario. E nient’altro.
Un rosario e un cellulare, anche la ragazza doveva essere stata
evidentemente un tipo molto religioso, come l’autista, un
rosario non era un oggetto molto presente nelle borse delle
ragazze di oggi. Ma il cellulare poteva contenere qualcosa
d’interessante.
-
Va bene Leonardi, torniamocene in centrale, lì daremo
un occhiata più approfondita al cellulare e anche al
rosario e poi cercheremo di ricapitolare le idee. De Cicco,
-
Maestri andate pure a riposare ma da domani siete
assegnati anche voi a questo caso, visto che vi ci siete
trovati dentro dall’inizio e che avete fatto un buon lavoro
mi sembra giusto farvelo seguire fino alla fine.
Grazie commissario ma stia tranquillo che il tempo di
andare a fare una doccia e bere un caffè e arriviamo
subito in centrale anche noi.
I due agenti si allontanarono senza perdere altro tempo.
-
Bravi ragazzi.
Hai ragione Leonardi, proprio bravi ragazzi. E davvero
in gamba, se non ci fossero stati loro presenti sul posto
forse avremmo avuto ancora meno tracce da seguire.
Adesso andiamo in ufficio.
L’ispettore prese posto nell’auto del suo capo e mentre
attraversavano la città ormai in pieno movimento nessuno dei
due parlò. Una piccola sosta al solito bar vicino al loro ufficio
per prendere un caffè per poi chiudersi nell’ufficio del
commissario.
-
Allora Leonardi fammi vedere tutto quello che c’era
nella borsa.
La borsa, un piccolo zainetto, era stretta tra le mani
dell’ispettore che senza farsi pregare lo aprì per rovesciarne il
contenuto sulla scrivania già ingombra di carte.
Dallo zaino vennero fuori solo il cellulare e il rosario.
-
L’ago e la pennetta li ho mandati alla scientifica per
vedere se riescono a tirarne fuori qualcosa di utile.
Hai fatto bene, adesso fammi dare un occhiata a questa
roba.
Incuriosito dall’oggetto il commissario lo prese in mano. Era di
madreperla nero con un piccolo crocifisso in legno alla fine.
-
E’ un bell’oggetto, certo non una di quelle cianfrusaglie
che vendono ai turisti. Un rosario. Da quanto tempo non
ne vedevo uno. Mia madre lo usava spesso per le sue
preghiere ma oggi non penso che siano molte le ragazze
che lo usano e lo portano in borsa. E sopratutto non
dovrebbero essere ragazze che poi vanno in giro a
pugnalare le persone. In questa storia è tutto strano.
Vediamo il cellulare se ci aiuta.
Il telefonino era acceso e una volta tolto il blocco tasti i due
poliziotti iniziarono a esaminarlo. Nessun numero nella rubrica,
nessuna telefonata ricevuta o in uscita. I due poliziotti stavano
quasi per rinunciare. Ma all’ultimo controllo, alla voce
messaggi, finalmente trovarono qualcosa. Un sms in memoria.
Con cautela, quasi temendo di poterlo cancellare, il
commissario schiacciò il tasto Visualizza del menù.
Il messaggio era lì, tutto in stampatello, inviato da un mittente
anonimo alle 2 e 43 di quello stesso giorno.
-
Il mittente è anonimo ma hai visto l’ora Leonardi?
Pochi minuti prima che la ragazza si buttasse giù
dall’albergo. Leggiamolo, dai.
FAI ATTENZIONE I CUSTODI DELLA FEDE SONO
SULLE NOSTRE TRACCE PORTA A TERMINE LA
TUA MISSIONE E RIFUGIATI IN UN LUOGO SICURO
CHE MARIA TI GUIDI E TI AIUTI
-
Che ne pensa commissario?
-
Non lo so Leonardi. Verrebbe da pensare a un gruppo di
fanatici religiosi, qualcosa a che fare con messe nere e
rituali satanici. Il rosario, i Custodi della Fede, il suicidio
della ragazza dopo l’omicidio, tutta roba che rimanda a
rituali religiosi o pseudo religiosi. Potrebbe essere una
storia ancora più brutta di quello che sembrava e,
sopratutto, una storia che non è finita con la morte della
ragazza. Abbiamo bisogno di informazioni. Un esperto
del ramo religioni e affini. Proviamo a cercare in internet
qualcuno che possa darci una mano.
La ricerca durò una mezz’ora poi, soddisfatti, l’ispettore e il
suo capo lanciarono la stampa.
-
Sembra la persona adatta a darci una mano. Ed è pure
qui vicino. Andiamo.
Quasi strappando il foglio dalla stampante il commissario
Alberti seguito dal suo vice si diresse verso l’uscita.
Il foglio che aveva in mano aveva solo poche righe stampate.
Prof. RICCARDO TESTORI
Docente di Storia delle Religioni
Università Cattolica di Roma
E verso l’università si mosse l’auto con i due uomini, senza
sirena ma a velocità sostenuta.
CAPITOLO TERZO
Come tutte le università del mondo anche l’università di Roma
era affollata di giovani intenti a chiacchierare, ridere,
bighellonare nei corridoi e spostarsi nelle varie aule alla ricerca
di quella giusta per la loro lezione.
Alberti alla vista di tanta bella gioventù ebbe un momento di
rimpianto per i begli anni passati della sua giovinezza. Anche
per lui gli anni dell’università erano stati un periodo intenso e
piacevolissimo, pieno di incontri, amicizie, amori e progetti per
il futuro. E adesso gli sembrava così lontano, un mondo
totalmente estraneo che non avrebbe mai più ritrovato.
Con un sospiro scacciò i pensieri tristi e si riconcentrò sul suo
mondo attuale.
-
Andiamo Leonardi, seguimi.
Aveva intravisto tra la fiumana di ragazzi e ragazze che
transitavano lì davanti una ragazza in divisa che dentro a un
piccolo gabbiotto a vetri cercava di dare informazioni agli
studenti sulla dislocazione delle aule e sugli orari dei corsi.
Alberti seguito dal suo ispettore si diresse da quella parte. C’era
davanti al gabbiotto una piccola fila di studenti in attesa. Il
commissario valutò che in pochi minuti sarebbe arrivato il loro
turno, decise di poter aspettare. Si mise in fila affiancato dal
suo vice, nell’attesa il giovane commissario ebbe modo di
valutare con calma la ragazza dietro i vetri e decidere che era
un tipo niente male.
Bionda, i lunghi capelli legati in una voluminosa coda di
cavallo tenuta ferma da un semplice elastico rosso, un piccolo
vezzo, un abbinamento non casuale con il colore della divisa
che indossava, rossa. Il completo gonna, camicia bianca e corta
giacca aperta le donava molto. Il viso era molto carino e anche
la divisa non riusciva a nascondere del tutto un corpo snello ma
procace nei punti giusti. Davvero una bella ragazza.
I pochi minuti di fila passarono velocemente e piacevolmente.
La ragazza lavorava di buona lena e sempre sorridente
consultando spesso dei fogli che aveva davanti con segnati orari
e numeri di aule.
Quando furono davanti alla ragazza Alberti
vicino mentre le rivolgeva la sua domanda.
-
la osservò da
Buongiorno, senta ho bisogno di rintracciare il
Professor Testori, lei può dirmi dove posso trovarlo?
Il sorriso che gli rivolse la ragazza non lo lasciò indifferente.
Era un sorriso da togliere il fiato e i suoi occhi verde mare non
erano da meno. Il giovane commissario ebbe qualche difficoltà
a ricordarsi del motivo che l’aveva portato in quel posto.
-
Un attimo solo, adesso controllo.
E che bella voce.
-
Il professor Riccardo Testori?
Sì, proprio lui.
Il professore insegna Storia delle Religioni e il suo
ufficio è al Dipartimento di Studi Religiosi, al terzo
piano. Però, probabilmente in questo momento è in aula.
Se aspetta un momento controllo.
Per qualche secondo la ragazza fu impegnata a consultare le sue
carte mentre Alberti la guardava tranquillo e beato. Facesse
pure con comodo a lui non dispiaceva stare lì a guardarla.
-
Infatti in questo momento sta tenendo una lezione in
aula P20, a questo piano, praticamente a pochi metri da
qui. La lezione dovrebbe finire tra una mezz’ora magari
vi conviene cercarlo direttamente lì.
La ragazza nel dare tutte le informazioni li aveva squadrati per
bene e doveva aver intuito che non erano studenti.
-
Scusate ma voi chi siete? Non sembrate due studenti,
perché state cercando il professore? Non è che mi fate
trovare in un guaio?
Stia tranquilla signorina, nessun guaio. Siamo della
polizia, ecco guardi.
Il commissario mostrò la sua tessera e la ragazza dopo averla
guardata gli sorrise di nuovo.
-
-
-
Scusi commissario ma sa i professori sono tipi strani, da
prendere con le molle, magari ti fanno delle storie
incredibili solo perché hai dato il numero di telefono a
qualche studente senza prima chiederglielo.
Non si preoccupi abbiamo solo bisogno della
consulenza del professore, diciamo che dobbiamo
chiedergli un favore, saremo gentilissimi e discreti. Stia
tranquilla.
Bene commissario, adesso sono tranquilla. Guardi l’aula
P20 è proprio lì davanti, subito a destra. La troverà senza
difficoltà. Arrivederci.
Grazie, buona giornata.
Il commissario si allontanò con un certo dispiacere dal vetro del
gabbiotto non senza essersi girato un paio di volte a guardare la
ragazza che nel frattempo era di nuovo presa dal suo lavoro e
dalle sue carte.
-
Carina eh, commissario? E’ un pò che non la vedo
uscire con qualcuna.
Leonardi sai cosa sono gli affari tuoi? Con chi vuoi che
esca, questo lavoro non favorisce certo le relazioni
sociali. Inviti a cena una ragazza e devi disdire perchè
qualcuno decide di farsi ammazzare o magari c’è qualche
rompiballe di ispettore che ti chiama proprio sul più
-
bello. Lascia stare, un ragazza dovrebbe avere troppa
pazienza per sopportare cose del genere.
Eppure fino a qualche tempo fa non la vedevo spesso
andare a cena da solo.
Leonardi?
Sì commissario.
Siamo qui per lavorare, perciò concentriamoci sul
lavoro e cerchiamo questa maledetta aula P20, qua dentro
sembra un labirinto.
In realtà trovarono l’aula facilmente. Sbirciando da una
finestrella della porta videro che l’aula era occupata solo nelle
prime file da una ventina di studenti. Il professore in quel
momento voltava loro le spalle e stava illustrando il contenuto
di una diapositiva proiettata sul muro.
-
Che facciamo commissario? Aspettiamo fuori?
Senti sono stanco e non ho voglia di aspettare qua fuori
come un salame. Entriamo dalla porta in fondo, ci
mettiamo buoni buoni in ultima fila e aspettiamo che
finisca la lezione. Poi chiederemo al professor Testori di
dedicarci qualche minuto del suo tempo.
Così fecero. Entrati nell’aula si accomodarono proprio in ultima
fila. Le luci dell’aula erano spente per permettere una migliore
visione delle immagini proiettate dal docente, favoriti dalla
penombra del locale e dalla quiete della stanza dove solo la
voce del docente rompeva il silenzio i due uomini si concessero
qualche minuto di riposo. L’ispettore a braccia conserte cercava
di capire di cosa trattasse la lezione in corso mentre i pensieri
del commissario erano tornati alla ragazza incontrata
all’ingresso.
L’ispettore aveva ragione, era troppo tempo che non
frequentava una ragazza. Il problema era che il suo lavoro gli
piaceva troppo, quando era impegnato in un caso non riusciva a
pensare ad altro. Era come una sfida per lui, un rompicapo da
risolvere e fino a quando non lo risolveva non riusciva a
staccare la mente. E appena risolto uno ne arrivava un’altro,
come quest’ultimo appena iniziato. Ci stava pensando da ore
ma ancora non riusciva a trovare un qualcosa che tenesse
insieme tutti i pezzi del puzzle. Bene magari il professor Testori
gli avrebbe dato qualche informazione utile.
A un tratto si rese conto che nell’aula qualcuno aveva acceso le
luci e che gli studenti stavano uscendo. In fondo all’aula, vicino
alla cattedra, l’unica persona rimasta oltre a loro stava infilando
alcune carte in una borsa dando loro le spalle.
Il professore intento a sistemare le sue carte non li sentì
avvicinarsi.
-
Professore ci scusi, possiamo rubarle qualche minuto?
Mi dispiace ragazzi, a parte che oggi non è giorno di
ricevimento, ma è proprio una brutta giornata. Ho un
consiglio di facoltà tra dieci minuti e poi un colloquio con
un tesista. Però vi posso ricevere dopo, qual’é il
problema?
Il professore aveva risposto alla richiesta del commissario
Alberti senza neanche voltarsi ma poi, finito di sistemare le sue
carte nella borsa, si era girato dalla parte dei due poliziotti.
Ebbe un attimo di esitazione.
-
Voi però non mi sembrate due studenti? O siete molto
fuori corso?
La voce era gentile, simpatica e l’anziano professore li
guardava incuriosito.
Poteva avere circa sessanta anni, piccoli occhiali senza
montatura sul naso, occhi vivaci e sorriso aperto. Era di piccola
statura, molto magro, e la giacca sportiva sembrava più grande
di almeno una taglia. Invece della cravatta portava un colorato
papillon, molto colorato, che sarebbe stato ridicolo addosso a
chiunque altro ma che lui portava con disinvoltura. Personaggio
simpatico, pensò il commissario. Sarebbe stato pronto a
scommettere che era amatissimo dai suoi studenti.
-
Ha ragione professore, non siamo studenti, neanche
fuori corso. Siamo della polizia, io sono il commissario
Alberti e il mio collega, l’ispettore Leonardi.
Felice di conoscervi.
Una stretta di mano completò la presentazione.
-
E per quale motivo la polizia avrebbe bisogno del mio
tempo?
Diciamo che abbiamo bisogno di informazioni su un
argomento che lei magari conosce, però è una faccenda
delicata e, se fosse possibile, vorremmo parlarne in un
posto più tranquillo.
Un attimo di riflessione.
-
Senta commissario come vi ho già detto adesso proprio
non mi è possibile. Però possiamo fare in questo modo. Io
penso di sbrigarmi al massimo in un paio d’ore, non di
più. Diciamo che adesso sono le dodici, voi potete
aspettarmi magari mangiando qualcosa e poi ci vediamo
nel mio studio verso le due, due e mezza al massimo. Poi
avrò tutto il pomeriggio libero e sarò a vostra
disposizione. Che ne dite?
I due poliziotti si scambiarono un rapido sguardo d’intesa.
-
Va benissimo professore, grazie della disponibilità.
Faccia pure con comodo, ci ritroviamo nel suo studio
verso le due.
Va bene commissario, terzo piano, stanza 349. Adesso
devo proprio scappare. Mi aspettano. Vi saluto e ci
vediamo più tardi.
Arrivederci professore.
Presa la sua borsa gonfia di carte il professore si avviò a passo
svelto verso l’uscita dell’aula.
-
E adesso che facciamo commissario?
Non lo so Leonardi, iniziamo a uscire da quest’aula, si
muore di caldo.
Nel corridoio decine di studenti stavano uscendo dalle varie
aule e si dirigevano a gruppi verso il bar o la mensa
universitaria.
-
Abbiamo due possibilità; seguire il consiglio del
professore, mangiare qualcosa con calma qui e poi
aspettare l’ora dell’appuntamento oppure tornare in
ufficio, magari ci sono novità dalla scientifica, e poi
ritornare più tardi dal professore. Che ne dici? Certo
l’idea di mangiare alla mensa universitaria non mi
entusiasma; ho ricordi drammatici dei miei pranzi da
studente.
L’ispettore stava per rispondere quando tra la folla di studenti
sbucò una divisa rossa e nella divisa la ragazza del banco
informazioni. Anche il commissario la notò subito e il suo
sguardo fisso sulla ragazza suggerì a Leonardi la soluzione
giusta.
-
-
Senta commissario, è inutile fare tutti e due avanti e
indietro, io torno in centrale a vedere se ci sono novità
mentre lei può restare tranquillamente qui e pranzare con
calma. Non penso sia successo qualcosa di
particolarmente importante in queste ultime due ore. Che
ne dice?
Sai che ti dico, ispettore, a volte hai delle idee davvero
geniali. Penso che tu abbia ragione, un bel pranzo calmo e
tranquillo mi ci vuole. Facciamo come dici tu. Ci
vediamo dopo al terzo piano.
Il viso del commissario era sorridente e mentre parlava non
aveva tolto gli occhi di dosso alla ragazza in divisa. Non
sembrava in cerca o in attesa di qualcuno, si stava solo
avviando velocemente verso l’uscita. Doveva muoversi se non
voleva perderla.
-
Va bene Leonardi, ci vediamo dopo. Adesso scappo, ho
una indagine urgente da seguire.
Buona fortuna commissario, e buon appetito.
Se ci sono novità importanti chiamami.
Stia tranquillo, se ci sono novità la chiamo.
L’ispettore seguì con lo sguardo e un sorriso il suo giovane
capo che si affrettava verso l’uscita, dietro una divisa rossa e
una bella massa di capelli biondi. Un pò di distrazione non gli
avrebbe fatto male.
Con un ultimo sguardo si avviò anche lui verso un’altra uscita
dell’università
Intanto il commissario con poche falcate delle sue lunghe
gambe aveva quasi raggiunto la ragazza. Era alle sue spalle, a
pochi centimetri, indeciso sul da farsi. Magari stava andando a
incontrare qualcuno, magari poteva darle fastidio essere
fermata per strada da un quasi sconosciuto. La seguì ancora per
qualche metro, poi si fece coraggio.
-
Signorina, signorina mi scusi.
L’aveva affiancata per rivolgerle la parola. La ragazza
sentendosi chiamare si era voltata e l’aveva guardato con uno
sguardo freddo e interrogativo. Ma per fortuna di Alberti subito
dopo un sorriso le illuminò il viso.
-
Ah è lei commissario, stavo già pensando al solito
pappagallo di strada.
La battuta della ragazza smorzò di molto l’entusiasmo del
commissario. Bella figura di merda faccio adesso. Beh se non
altro l’aveva riconosciuto. Ed ora che le dico?
-
Ha bisogno di qualche altra informazione? Veramente
sarei fuori servizio ma se posso esserle utile volentieri.
Ecco sì, un’altra informazione. Ho trovato il professore
ma è impegnato fino alle due, allora mi chiedevo sa lei
può indicarmi un posticino tranquillo per mangiare. Sa, le
mense universitarie mi hanno lasciato un brutto ricordo.
Caspita che bel tentativo di abbordaggio, da manuale. Il
manuale del perfetto imbecille.
La ragazza lo guardò per un attimo incerta, scrutandolo con
attenzione, il sorriso meno spontaneo.
Anche il commissario la guardò con attenzione. Da vicino e
senza il vetro davanti era ancora più bella. Sostenne il suo
sguardo, la guardava e sorrideva. E alla fine anche sul viso di
lei il sorriso si aprì di nuovo.
-
Va bene commissario, le posso dare anche quest’altra
informazione. Le piace la pizza?
Vado matto per la pizza. È la mia passione.
Bene allora è fortunato. Guardi lì davanti. Sulla destra a
neanche cento metri c’è una pizzeria che fa una pizza
napoletana eccezionale. E’ un pò caruccia per gli studenti
perciò a mezzogiorno è anche abbastanza tranquilla ma le
assicuro che se le piace la pizza ne vale la pena.
Per indicare la strada si era voltata di profilo, aveva un profilo
delizioso, nasino piccolo e sotto la coda si intravedeva una
peluria bionda che copriva un collo sottile. Invece di seguire il
dito che indicava la strada il commissario fissava il viso della
ragazza.
-
Capito tutto commissario?
La ragazza lo guardava di nuovo in faccia.
-
Sì, sì, capito tutto. Cento metri più avanti sulla destra. E
come si chiama questa pizzeria?
La domanda era solo un tentativo di trattenerla, in realtà
l’insegna della pizzeria era già leggibile.
-
Il Portico, si chiama. Comunque la vede anche da qui.
La saluto commissario, e buon appetito.
Così dicendo la ragazza si era di nuovo voltata e aveva ripreso
a camminare. Per fortuna nella stessa direzione della pizzeria. Il
commissario ebbe solo un attimo di esitazione. Come avrebbe
detto Leonardi: “una pista si segue quando è calda”. Sopratutto
una bella pista come quella. La seguì e la raggiunse subito.
-
Senta ma a lei non piace la pizza? Sa perché è davvero
triste mangiare da solo, non lo sopporto. Anche lei è in
pausa pranzo, no? Dovrà pur mangiare qualcosa? O
aspetta qualcuno?
La ragazza si fermò a guardarlo. Seria. Il commissario sostenne
il suo sguardo tranquillo. Quella ragazza gli piaceva davvero
molto. Era da molto tempo che non sentiva tanto interesse per
una donna. Era bella, è vero, ma non era solo quello. Aveva un
viso e uno sguardo che ispiravano simpatia, sapeva sorridere
con spontaneità ma anche gelarti con lo sguardo. Sembrava una
ragazza forte, capace di affrontare le difficoltà senza farsi
sopraffare.
Alberti sentiva la sua attrazione crescere sempre di più. Aspettò
il risultato dell’esame.
-
-
Va bene commissario, vada per la pizza. Anche a me
piace molto la pizza, comunque non sono in pausa
pranzo. Io lavoro part-time e a quest’ora ho proprio finito
la giornata. Ma il tempo per una pizza ce l’ho.
Grazie la ringrazio molto. E’ davvero così deprimente
mangiare da soli.
Davvero, ha proprio ragione. Ma anche mangiare con
uno che ti dà del lei e ti fa sentire una vecchietta non è
così piacevole. Piacere, io mi chiamo Anna.
La mano stesa davanti a lei era piccola e bianca. Il commissario
la strinse nella sua delicatamente.
-
Ha ragione, anzi hai ragione Anna. Piacere io mi chiamo
Alberto. E’ davvero un piacere offrirti una pizza.
Ti ho già avvisato che è un pò caruccia?
Tranquilla al massimo chiedo un prestito. Andiamo,
adesso mi è venuta fame.
-
Anche a me a dire il vero. Andiamo.
Si incamminarono chiacchierando. Pochi passi per arrivare al
locale, era effettivamente poco affollato. Si accomodarono a un
tranquillo tavolo lontano dall’ingresso e dopo aver ordinato le
pizze ripresero a chiacchierare.
Furono due ore molto piacevoli per il commissario Alberti. La
pizza subito servita era molto buona e in compagnia di Anna si
trovò a ridere e scherzare e per quasi due ore dimenticò la
ragazza morta e il professore assassinato. E per poco non
dimenticò anche l’appuntamento con il professor Testori. Fu
Anna a ricordarglielo.
-
Guarda che sono le due, rischi di fare tardi al tuo
appuntamento se non ti muovi.
Caspita, hai ragione. Certo che il tempo vola quando la
pizza è buona e la compagnia piacevole. Adesso devo
andare però...
Però cosa?
Ecco mi piacerebbe rivederti, con più calma e più
tempo. Davvero Anna sono stato benissimo con te, come
non mi capitava da molto tempo e vorrei avere la
possibilità di conoscerti meglio.
Anna si prese un minuto di silenzio.
-
-
Mi dispiace ma non è possibile. Oggi è stato piacevole e
ti ringrazio, ho passato due ore serene e mi è piaciuto
stare con te ma è il massimo possibile. Per me ora non è
possibile.
Sei già impegnata?
Impegnata, sì, posso dire di essere impegnata.
Un’altro uomo?
Diciamo di sì.
-
Va bene, se è così non insisto. Mi dispiace ma non
insisto. Ti ringrazio della compagnia, sei stata davvero
gentile. E la pizza era davvero buona e il conto neanche
troppo caro. Grazie Anna è stato davvero bello.
Gli occhi della ragazza lo fissavano, quel verde lo mandava in
confusione. Poi con un sospiro lei parlò.
-
Ascolta Alberto tu mi sei simpatico e ho capito che sei
una brava persona perciò voglio essere sincera con te. Ti
ho detto che c’è un’altro uomo e adesso voglio fartelo
vedere.
Così dicendo Anna iniziò a rovistare nella sua borsa e dopo
qualche secondo ne tirò fuori il portafoglio.
Alberto la guardava stupefatto. Voleva fargli vedere la foto del
suo uomo? E perché?
Intanto Anna aveva aperto il portafoglio e ne aveva tirato fuori
due foto e gliele stava porgendo. Titubante il commissario le
prese. Erano le foto di un uomo, un piccolo uomo di circa tre
anni. Un bellissimo bambino che lo guardava sorridente seduto
su una biciclettina e da un’altra che lo ritraeva in primo piano.
Nel primo piano erano evidenti gli stessi occhi della madre.
-
-
Quello è Iacopo, mio figlio. Ha quasi tre anni ed è lui il
mio uomo, l’unico uomo della mia vita in questo
momento. Allora capisci che con un impegno del genere
mi è impossibile avere altri uomini.
E il padre?
Porgendole le foto il commissario Alberti non riuscì a trattenere
la domanda.
-
-
-
Il padre non c’è, è stato un errore di gioventù, per lui ma
non per me. Era il mio primo ragazzo, il primo amore
della mia vita e quando gli ho detto che ero incinta non se
l’è sentita. Mi ha chiesto di abortire ma come vedi non
l’ho fatto. E ne sono felice.
Ho capito. È davvero un bellissimo bambino. E capisco
che ti dia parecchio da fare però non capisco perché
questo ti impedisce di conoscerci meglio.
Troppo complicato. Poco tempo e tante cose da fare.
Vivo con mia madre ed è lei che accudisce Iacopo mentre
io lavoro e studio, non posso chiederle ancora di più. E
poi non sono sicura che un uomo possa accettare la
situazione. No troppo complicato. Preferisco di no. Ciao
ti saluto.
Non mi lasci neanche il numero di cellulare, magari
giusto una telefonata.
No meglio di no. Ciao.
Velocemente Anna si alzò dal tavolo e uscì. Il commissario
ancora preso dai suoi pensieri non fece caso all’uomo che si era
alzato subito dopo. Poi la sua mente ritornò alla realtà. Porco
Giuda, erano le due e un quarto, era in ritardo.
Velocemente lasciò il locale anche lui e dopo pochi minuti era
al terzo piano dell’università, davanti alla stanza 349.
Naturalmente Leonardi era già lì.
Il commissario non aveva fatto caso al secondo uomo che
aveva seguito lui.
-
Pranzato bene commissario? Il professore mi ha detto di
aspettarlo solo qualche altro minuto.
Tutto bene Leonardi, novità in centrale?
Nessuna commissario, la scientifica non è ancora
riuscita a trovare il modo per leggere i documenti
contenuti in quella maledetta penna elettronica e stanno
-
ancora esaminando l’arma. Secondo il medico legale la
forma della ferità è perfettamente compatibile con quella
specie di grosso ago. Quindi quella è l’arma del delitto.
Bene sembra tutto chiaro allora. La ragazza ha ucciso il
Professor Funari e poi si è ammazzata. Ci resta solo da
scoprire perché e che fine ha fatto il computer.
Proprio in quel momento la porta dello studio si aprì per lasciar
passare il professore e un giovane studente.
-
Va bene allora, mi sembra che stiamo procedendo per il
meglio. L’impostazione della tesi mi sembra buona perciò
direi che posiamo rivederci tra un paio di settimane.
La ringrazio professore, tra un paio di settimane penso
di poterle portare già la prima stesura e se per lei va bene
vorrei finire per la sessione di Luglio.
Penso che non ci saranno problemi, stai tranquillo.
Adesso vai che ho fatto aspettare anche troppo questi
signori.
Sì professore, grazie di nuovo e arrivederci.
Dopo aver salutato il suo studente il professore portò la sua
attenzione sui due uomini in attesa.
-
Commissario, ispettore, prego accomodatevi. Scusate
l’attesa ma erano davvero impegni che non potevo
rimandare.
Stia tranquillo professore, anzi, è stato già fin troppo
gentile a trovare tempo per noi.
Lo studio del professore era una piccola stanza con una
scrivania, una poltrona e due sedie. Stracolma di libri. I libri
occupavano non solo le librerie che coprivano i muri ma ogni
angolo della stanza. Pile di libri erano appoggiati per terra, sulla
scrivania e in ogni spazio disponibile, compresa una delle due
sedie piazzate di fronte alla scrivania.
-
Scusate il disordine ma le religioni sono tante e ognuna
di loro ha una storia lunghissima e una produzione
letteraria infinita. Adesso vi libero anche l’altra sedia.
Velocemente il professore liberò anche la seconda sedia
appoggiando i libri posati su di esse ad un’altra fila di libri
poggiati sul pavimento, in un equilibrio che sembrava
abbastanza instabile.
-
Prego accomodatevi.
Lo studioso dopo avere girato attorno ad altri libri prese posto
alla poltrona dietro la scrivania sul cui schienale era appesa la
giacca che si era tolto. Il papillon colorato risaltava ancora più
forte sulla camicia chiara.
-
Allora ditemi in cosa posso esservi utile.
Fu il commissario a parlare.
-
Vede professore abbiamo bisogno di avere informazioni
su quella che potrebbe essere una specie di setta religiosa.
Ha mai sentito parlare dei Custodi della Fede?
Il viso del professore prese subito un’aria di concentrazione
come se stesse cercando di riportare alla memoria tutto quello
che sapeva sull’argomento. Pochi secondi.
-
Certo commissario che non mi aspettavo una domanda
del genere. Cosa può mai avere a che fare un gruppo
come i Custodi della Fede, sparito da qualche secolo,
-
-
con un caso della polizia. Comunque rispondo alla sua
domanda. I Custodi della Fede non erano una setta,
assolutamente no. Erano un gruppo organizzato
all’interno della chiesa cattolica con compiti particolari.
Quali compiti?
E’ presto detto ispettore. I Custodi della Fede erano una
specie di compagnia di pronto intervento della chiesa,
dovunque venissero messi in pericolo gli interessi della
chiesa e della religione cattolica venivano mandati i
Custodi a proteggere tali interessi. Con ogni mezzo. I
Custodi venivano scelti tra i più devoti e fidati membri
della chiesa ed erano sottoposti direttamente solo
all’autorità del Vaticano. Una volta affidata loro la
missione erano liberi di agire come meglio ritenevano
opportuno per la difesa dei sacri valori della fede. Per
ogni azione commessa nell’ambito del loro incarico e
della loro missione ricevevano l’assoluzione plenaria e
preventiva dei loro peccati. I membri della compagnia si
sentivano investiti direttamente da Dio del compito di
difendere i valori più profondi della fede cattolica.
Professore lei ne parla al passato, vuole forse dirci che
oggi i Custodi della Fede non esistono più?
Esatto commissario, la compagnia è stata sciolta più di
trecento anni fa. Col tempo si era trasformata in un
gruppo di potere al servizio di alte gerarchie
ecclesiastiche che li utilizzavano per tutelate interessi
poco chiari. La loro religiosità esagerata si era
trasformata in fanatismo, tanto pericoloso per la chiesa
quanto le eresie che andavano combattendo. I mezzi
utilizzati andavano oltre ogni limite con la scusante che
tutto era fatto a fin di bene e per la massima gloria della
chiesa e della fede. I loro capi e i loro componenti erano
diventati incontrollabili e pericolosi per lo stesso
-
-
-
-
Vaticano. Per questi motivi la compagnia venne
eliminata.
Quanto tempo fa di preciso?
Questa non è una domanda che può avere una risposta
precisa, commissario. Lei deve capire che all’interno
della Chiesa e del Vaticano ufficialmente i Custodi non
sono mai esistiti, quindi, non sono mai stati sciolti con un
atto formale. Semplicemente i vecchi membri non sono
più stati sostituiti da nuovi adepti, così semplicemente. E
in silenzio e nella discrezione più assoluta, come è
costume della chiesa e del Vaticano. I segreti della chiesa
sono tra i meglio custoditi da molti secoli.
Ho capito professore. Da più di trecento anni dice.
Esatto commissario, almeno da trecento anni non
esistono più i Custodi della Fede. Posso chiederle come
mai è interessato a questo argomento?
Diciamo che non posso dirglielo, posso solo dirle che
potrebbe avere qualche attinenza con un caso che stiamo
seguendo. Magari un gruppo di fanatici religiosi, satanisti
o qualcosa di simile è venuto a conoscenza di questo
gruppo estinto e ha deciso di copiarne il nome, potrebbe
anche essere una semplice coincidenza nella scelta del
nome da parte di una banda di pazzi furiosi. Non lo
sappiamo. Comunque grazie, le sue conoscenze ci sono
state molto utili. Adesso abbiamo qualche idea in più di
che tipo di soggetti dobbiamo cercare. La ringraziamo di
nuovo e la lasciamo al suo lavoro. Le abbiamo già rubato
troppo tempo.
Prego commissario si figuri. Una volta tanto un
assaggio di vita vera mi fa piacere; sono sempre così
impegnato con il mio lavoro a studiare il passato che una
boccata di presente mi fa piacere. Se avete ancora
bisogno non fatevi scrupoli, ormai sapete dove trovarmi.
Grazie di nuovo professore, arrivederci.
-
Arrivederci a voi.
I tre uomini si alzarono in piedi e il professore accompagnò i
due poliziotti alla porta e dopo essersi stretti la mano i tre si
salutarono definitivamente.
-
-
Simpatica persona, vero commissario.
Sì davvero simpatico e disponibile. Solo che quello che
ci ha detto non ci aiuta molto. Appena torniamo in ufficio
fai una ricerca, anche all’Interpol, vedi se ci sono altri
casi in cui compaiono questi Custodi.
Va bene commissario. Comunque non è stata una
giornata persa, qualche informazione l’abbiamo avuta e
abbiamo conosciuto due persone simpatiche.
Con la voce Leonardi aveva calcato sul due e aveva fatto
tornare in mente al suo capo i momenti trascorsi con Anna. Ma
anche il definitivo saluto che la ragazza gli aveva fatto.
-
Non fare lo spiritoso e lasciamo perdere le battute,
abbiamo da lavorare.
Il tono del commissario consigliò all’ispettore di non
aggiungere altro. Si incamminarono verso l’uscita e nessuno dei
due fece caso all’uomo che li seguiva da lontano con lo
sguardo. Appena li vide uscire l’uomo fece una telefonata.
-
Sono andati via adesso. Li seguo?
No lascia stare, potrebbero insospettirsi. Con chi hanno
parlato?
Con un certo Professor Testori.
Lo studioso di storia delle religioni?
Proprio lui.
-
-
-
E’ strano, cosa mai possono aver scoperto per andare
dal professore? Va bene cercheremo di scoprirlo, qualcosa
hanno scoperto e dobbiamo sapere cosa. Non possono
essere andati alla cieca a cercare Testori. Dobbiamo
essere cauti. E la ragazza?
Padre Sebastian l’ha seguita, non abbiamo capito bene
se è un’amica del poliziotto che gli ha dato l’indirizzo
giusto o se invece è solo una conoscenza occasionale.
Certo è strano che si siano incontrati due volte
casualmente e poi abbiano pranzato insieme.
Scopriremo anche questo; mi raccomando prudenza e
discrezione e se avete bisogno di aiuto chiamatemi. In
questa città abbiamo tanti amici.
Va bene.
Il click del telefono interruppe la conversazione.
L’uomo che aveva ricevuto la telefonata dall’università si mise
a riflettere sulle possibili strade da seguire. Cosa sapevano i
poliziotti? Cosa potevano aver scoperto? Come mai erano
andati proprio da Testori? Anche quello era uno che ne sapeva
troppo, di storie della chiesa. Era da tenere d’occhio anche lui.
L’uomo fece parecchie telefonate, contattò molti amici e pose
molte domande. E ottenne molte risposte. Alla fine si convinse
che c’era solo una strada da prendere. A volte i nemici dei tuoi
nemici possono diventare tuoi amici, almeno temporaneamente.
Fece un’ultima telefonata. La risposta si fece attendere ma
l’uomo non si spazientì. Il numero che aveva chiamato era
conosciuto solo da lui e il destinatario sapeva bene che se lo
chiamava c’erano motivi urgenti. Avrebbe risposto appena
possibile.
-
Sì.
Solo una parola.
-
Eminenza mi dispiace disturbarla ma ho urgente
bisogno del suo consiglio.
Va bene, Padre Joseph, stasera alle undici nel mio
studio. Lascerò istruzioni precise per farla entrare senza
problemi. L’aspetto.
Va bene eminenza, ci sarò.
Senza altre parole la telefonata venne interrotta.
CAPITOLO QUARTO
I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello
studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce
proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che
divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso.
-
-
-
Padre Joseph è sicuro che sia una buona idea?
Sì eminenza, non possiamo fare altrimenti. Roma è una
città troppo grande, noi abbiamo tanti amici ma anche
loro hanno molte persone amiche che le aiutano.
Abbiamo bisogno di aiuto. Mi sono informato, ho
contattato tutte le nostre conoscenze e le informazioni che
mi hanno dato mi hanno convinto. Quel poliziotto, il
commissario Alberti è un uomo molto in gamba.
Intelligente, determinato e non molla mai un caso a metà.
Un vero mastino. Chi lo conosce lo considera uno dei
migliori poliziotti di questa città. E sa già qualcosa. Ha
preso contatti con una persona che neanche dovrebbe
conoscere, una persona che possiede informazioni per noi
pericolose.
E chi sarebbe questa persona?
Il professor Testori.
Lo studioso, lo storico delle religioni?
Proprio lui. Lo conosce?
Di fama. E lei mi dice che quel commissario ha parlato
con lui?
Sì eminenza, un lungo colloquio.
Capisco.
Così seguendo la mia idea otteniamo due risultati
favorevoli; otteniamo l’aiuto della polizia e possiamo
nello stesso tempo tenere sotto controllo i loro progressi.
Io lo ritengo necessario.
Va bene padre, l’autorizzo a procedere. Mi raccomando
la massima cautela, per ottenere quello che mi chiede
dovrò scomodare amicizie molto in alto e in questo modo
mi espongo e espongo tutta la chiesa direttamente. Stia
attento a come si muove, agisca solo per il meglio e con
la massima discrezione possibile. Siamo intesi?
-
Non dubiti eminenza, lei sa che le nostre azioni sono
guidate da sempre dal bene della chiesa.
Va bene, adesso vada, devo fare qualche telefonata e
muovere qualche pedina. Ma stia tranquillo entro domani
avrà quello che mi ha chiesto.
La ringrazio eminenza, la saluto e le auguro una buona
notte.
Arrivederci padre. Che Dio l’accompagni.
Appena uscito Padre Joseph dalla porta dello studio il cardinal
Ravasi chiamò il suo segretario.
-
Padre Michele mi chiami il ministro, devo parlare con
lui immediatamente.
Dopo pochi minuti il ministro in persona era al telefono con sua
eccellenza Cardinal Ravasi.
Nello stesso momento, su un volo proveniente da New York,
l’agente speciale del FBI Foster stava ammirando le luci di
Roma.
Il viaggio era stato lungo e non era stato facile convincere il suo
Direttore della necessità di quel viaggio in Italia, ma alla fine
l’aveva spuntata.
Per qualche minuto la sua attenzione venne catturata dalla
bellezza di Roma, immersa nelle sue luci che lasciavano
intravedere tutte le mille meraviglie della città eterna. Poi la
voce del comandante che invitava i passeggeri a prepararsi
all’atterraggio la distolse dal panorama. Prima di allacciare la
cintura si premurò di infilare nella borsa il foglio di carta che
teneva aperto sulle ginocchia. L’aveva letto e riletto anche se
sul foglio erano segnati solo alcuni nomi, cinque nomi, il primo
dei quali sottolineato con una linea rossa era quello del
professor Funari.
Il commissario Alberti ricevette la telefonata il mattino dopo.
Erano circa le undici, era nel suo ufficio a leggere i rapporti
della scientifica sul caso Funari. Poco d’interessante. Era certo
che il professore era stato ucciso dal grosso ago trovato nella
borsa della ragazza, il software del cellulare non aveva rivelato
nulla d’interessante.
La scientifica era riuscita ad aprire i file contenuti nella pen
drive, aggirando la password, ma avevano trovato centinaia di
pagine di relazioni professionali scritte dallo psichiatra che
adesso stavano esaminando. Ci sarebbe voluto tempo, molto
tempo, per riuscire a capire se in tutte quelle pagine si
nascondeva qualcosa di utile a chiarire il mistero di quelle due
morti. Il portatile del professore non era stato ritrovato e la
telefonata al pronto soccorso ambulanze era stata fatta da una
persona anonima. Nessun indizio utile a capire.
Lo squillo del telefono sulla scrivania lo sorprese immerso nei
suoi pensieri.
-
Pronto.
Commissario Alberti?
Sì sono io, lei chi è?
Commissario buongiorno, sono Marini del Viminale.
Alberti era sorpreso. Una telefonata dal ministero non era cosa
di tutti i giorni.
-
Buongiorno Marini, mi dica in cosa posso esserle utile?
Commissario il sottosegretario Carli avrebbe bisogno di
vederla prima possibile, direi subito, per parlarle di
persona di una faccenda particolarmente delicata. Le sarei
grato se potesse venire immediatamente qui da noi.
La sorpresa aumentò; cosa mai poteva avere da dirgli di così
delicato il vice del ministro da volergli parlare di persona?
C’era solo un modo per saperlo, del resto non poteva certo
rifiutare un “invito” così importante.
-
Va bene Marini posso essere lì in una mezz’ora.
Benissimo commissario, l’aspetterò all’ingresso in
modo da evitarle tutte le scocciature di riconoscimento e
registrazione. Arrivederci a tra poco.
Doveva essere una faccenda molto delicata e segreta se si
stavano preoccupando di non far neanche risultare la sua visita.
Bene, pensò il commissario, adesso mi hanno incuriosito
abbastanza, andiamo a sentire cosa hanno da dirmi.
Uscendo dalla porta quasi si scontrò con Leonardi.
-
Commissario ...
Lascia perdere, vieni con me. Accompagnami.
Dove andiamo?
Al Ministero, al Viminale.
E a fare cosa?
Tu vieni solo a tenermi compagnia in macchina, io vado
a parlare con il sottosegretario Carli. Il vice del ministro.
Leonardi fece una faccia a metà tra il sorpreso e il preoccupato.
-
Cos’ha combinato commissario?
Spero niente, il tono non sembrava minaccioso, anzi, fin
troppo gentile. E questo mi puzza, insieme al fatto che
non vogliono far sapere che vado lì.
Allora sbrighiamoci commissario, adesso sono proprio
curioso di sapere cosa le diranno.
Erano intanto arrivati al cortile ed erano saliti in macchina.
-
Sirena commissario?
Meglio di no, discrezione Leonardi, impara. Se vuoi
fare carriera ci vuole discrezione. Vai.
Arrivarono al Viminale in venti minuti. Leonardi parcheggiò
l’auto a poca distanza dall’ingresso.
-
Buona fortuna commissario.
A dopo Leonardi, se non mi vedi tornare avvisa la
polizia.
All’ingresso dell’imponente edificio Alberti individuò subito
quello che doveva essere Marini.
Immobile in un impeccabile abito blu l’uomo lo aspettava in
cima alla scalinata d’ingresso.
Quarant’anni circa, stempiato e pallido, aspetto tipico di chi
passa troppe ore in ufficio.
Alberti si avvicinò.
-
Marini?
Sì sono io, commissario. Prego mi segua, passiamo da
un ingresso secondario così evitiamo i fastidi burocratici.
Velocemente il funzionario si avviò seguito da Alberti.
Varcarono una piccola porta laterale, sorvegliata da un agente
in borghese che li fece passare senza fare domande e senza
chiedere documenti, con un saluto appena accennato rivolto più
a Marini che al commissario.
Evidentemente gli erano state date istruzioni in precedenza.
Poi Marini fece strada ad Alberti fino al primo piano del
palazzo fermandosi improvvisamente davanti a una solida porta
di legno scuro.
-
Il sottosegretario l’aspetta. Prego si accomodi.
Marini dopo un leggero bussare alla porta la aprì per poi farsi
da parte per far entrare il commissario, chiudendo subito la
porta alle spalle dell’ospite.
La stanza era molto spaziosa, arredata con bellissimi mobili
d’epoca e illuminata dalla luce del giorno che entrava da due
altissime finestre poste alle spalle dell’uomo, seduto su una
modernissima poltrona di pelle, oggetto certamente in contrasto
con lo stile degli altri mobili presenti nella stanza ma,
sicuramente, comodissima.
-
Buongiorno commissario, si accomodi.
Il senatore Carli si era alzato cortesemente in piedi per stringere
la mano al commissario e indicargli una sedia. Il tono era
cortese e amichevole.
Il commissario si accomodò.
-
Bene commissario vengo subito al dunque. L’ho
chiamata per il caso che sta seguendo; l’omicidio del
professor Funari. Mi è pervenuta una richiesta precisa da
un’alta personalità ecclesiastica che mi ha pregato di
permettere a un uomo di sua assoluta fiducia di seguire da
vicino gli sviluppi della vicenda, collaborando con lei. Il
cardinale, di cui non le faccio il nome, ma che, le ripeto, è
molto vicino alla segreteria del Santo Padre, ritiene che
questo suo collaboratore possa aiutarla moltissimo nelle
indagini in quanto in possesso di informazioni riservate,
utilissime per le indagini stesse. Non mi dilungo oltre e
non conosco i particolari; il mio segretario Marini le
presenterà subito dopo questo nostro colloquio, che
naturalmente resta riservato, il sacerdote in questione. Io
ho voluto incontrarla di persona solo per farle capire
quanto sia importante che lei offra tutta la collaborazione
possibile. E’ una questione molto delicata che è stata
direttamente sollecitata al ministro e alla quale il ministro
tiene, personalmente, tantissimo. Sono stato chiaro
commissario?
Questa volta la voce del sottosegretario, seppure ancora
cortese, aveva assunto l’inflessione tipica dell’uomo di potere
che vuole far capire che, anche se mascherate sotto forma di
educata richiesta, in realtà le parole pronunciate erano un
esplicito ordine.
Il commissario era assolutamente sorpreso. Quello che già era
uno strano caso si stava rivelando ancora più ingarbugliato.
-
Chiarissimo onorevole. Stia tranquillo che offrirò alla
persona in questione tutta la collaborazione possibile, nei
limiti delle mie possibilità e certamente senza rischiare di
compromettere le indagini. Lei capisce che è pur sempre
un caso di omicidio.
Il sottosegretario stava quasi per replicare alle ultime parole ma
il viso impassibile di Alberti lo dissuase.
-
Bene commissario, sono sicuro che saprà agire nel
miglior modo possibile. La saluto.
Dopo pochi secondi come richiamato da un segnale silenzioso
Marini era alla porta aperta in attesa del commissario. Il
senatore salutò il commissario solo con un gesto della mano e
senza alzarsi in piedi questa volta. Alberti era già sulla soglia
quando il senatore pensò bene di aggiungere una frase di
commiato.
-
Mi raccomando commissario, non ci deluda.
Alberti uscì senza rispondere. Preceduto da Marini raggiunse
l’altro lato del piano dove fu introdotto in un piccolo salotto
arredato solo da due alte sedie e un tavolino di legno. Aperta la
porta Marini salutò il commissario e lo lasciò entrare solo nella
stanza. L’uomo che lo aspettava in piedi indossava un elegante
e severo abito grigio scuro, una camicia di un grigio appena più
chiaro e solo lo stretto collare bianco al collo fece capire al
commissario che era un sacerdote. Era alto e ben piazzato,
capelli corti e barba ben curata a incorniciargli il viso. Era
giovane, non più di trent’anni, anche se la barba e i capelli
mostravano già alcune spruzzate di bianco.
I due uomini si guardarono in silenzio per qualche secondo.
Fu il sacerdote a prendere l’iniziativa.
-
Commissario è un piacere conoscerla. Mi hanno parlato
molto bene di lei.
Bene pensò piuttosto contrariato Alberti, hanno preso
informazioni su di me.
-
-
Permette che mi presenti. Sono Padre Joseph Kolzer,
sono un collaboratore di sua eccellenza Cardinal Ravasi
che è uno dei più stretti collaboratori del Santo Padre.
Padre Joseph mi hanno già spiegato che un pezzo grosso
del Vaticano è interessato a questo caso e che lei è un suo
uomo di fiducia.
Commissario la prego non si irriti; non era mia
intenzione impressionarla o intimorirla, volevo solo farle
capire quanto fosse alto l’interesse della chiesa per questa
spiacevole faccenda.
E perché vi interessa?
Un attimo di imbarazzo.
-
-
Diciamo che ci interessa per due motivi, collegati l’uno
all’altro. Il primo è che possiamo fornirle informazioni
molto utili per capire e, sopratutto, per evitare altre morti.
Altri omicidi? E il secondo?
Il secondo motivo è che la chiesa si sente in qualche
modo responsabile di quello che è successo.
Responsabile? In che senso?
Ecco posso dire che forse non siamo stati buoni custodi
del nostro gregge, alcune pecorelle ci sono sfuggite di
mano.
Beh persone che vanno in giro ad ammazzare la gente
non le chiamerei proprio pecorelle. Perché non mi
racconta quello che sa?
Volentieri commissario, però è una storia piuttosto
lunga e direi che è meglio raccontarla in un posto più
tranquillo e con più tempo a disposizione.
Forse ha ragione e, se come dice, la sua storia ha a che
fare con la morte di Funari è meglio che la racconti alla
presenza anche del mio vice. Se a lei va bene possiamo
andare nel mio ufficio e metterci comodi e tranquilli?
Come vuole lei commissario; da questo momento io
sono pronto a seguirla dovunque.
Bene allora andiamo, Leonardi ha già aspettato troppo.
Fuori della stanza il prete e il poliziotto trovarono ad attenderli
paziente il buon Marini che li accompagnò alla stessa uscita
laterale dove si congedò da loro.
I due uomini attraversarono la strada per dirigersi verso la
macchina dove l’ispettore attendeva il suo superiore.
Alla vista del sacerdote Leonardi lanciò uno sguardo
interrogativo al suo capo.
-
E questo chi è?
-
Leonardi ti presento Padre Joseph, ha notizie importanti
da darci e seguirà le indagini con noi. Padre Joseph le
presento il mio vice, l’ispettore Leonardi; magari, ha
sentito parlare anche di lui?
L’ironia nella voce del poliziotto non scalfì in nessun modo la
calma del prete.
-
Certamente commissario, anche dell’ispettore ci hanno
parlato molto bene. Piacere di conoscerla ispettore.
I due uomini si strinsero la mano con freddezza. L’ispettore si
mise alla guida e si guardò bene dal fare altre domande, aveva
capito che il commissario era parecchio nervoso. Anche per
questo gli diede l’altra notizia quando erano già quasi arrivati.
-
Ah commissario mi hanno avvisato che in centrale c’è
una persona che l’aspetta. Una ragazza.
E chi l’ha mandata?
De Cicco mi ha detto che l’ha mandata il questore in
persona.
Il questore? Cazzo oggi è proprio la giornata dei pezzi
grossi.
Poi ricordandosi della presenza del sacerdote.
-
Scusi padre ma quando ci vuole ci vuole.
Non si preoccupi commissario, anche se sono un prete
non vivo fuori dal mondo e capisco benissimo le sue
ragioni. Le assicuro che anche io ho dei superiori a che
anche io obbedisco a volte con una certa tristezza nel
cuore. Ma lo spirito di sacrificio fa parte della vita.
Nessuno dei tre parlò più fino all’arrivo in centrale.
Parcheggiata l’auto lo strano trio si incamminò verso l’ufficio
del commissario. All’ingresso il piantone con uno strano sorriso
si incaricò di informare il commissario.
-
Commissario nel suo ufficio c’è una ragazza che
l’aspetta. L’ha mandata il questore, forse un regalo.
In quel momento lo spirito dell’agente innervosì ancora di più
Alberti.
-
Malinverni non hai niente di meglio da fare che dire
battute idiote?
Scusi commissario.
La faccia contrita dell’agente calmò il commissario. Malinverni
era un ottimo agente e non meritava di scontare il suo nervoso.
-
Lascia perdere Malinverni. Sono io troppo nervoso.
Com’è questa ragazza?
La domanda fece illuminare il viso dell’agente.
-
Una fata, commissario. Una vera bellezza. Quando è
arrivata c’è stata un’agitazione che sembrava festa
nazionale. Ma la ragazza è davvero speciale. Vada
commissario, vada a vedere.
Incuriosito il commissario si diresse verso il suo ufficio seguito
dagli altri due. Malinverni non era il tipo facile agli entusiasmi
e se si era scaldato tanto la ragazza doveva davvero meritare.
Per un attimo un pensiero assurdo sfiorò la mente del
commissario; magari era Anna.
Ma naturalmente non era Anna. La ragazza che l’aspettava in
ufficio e che si era subito alzata in piedi al loro arrivo era
veramente spettacolare. Con i tacchi era alta quasi come il
commissario, che era alto un metro e ottantacinque buoni, un
fisico esplosivo, statuario, con curve mozzafiato, appena
dissimulato dall’elegante e casto completo giacca e pantaloni
indossato. Capelli biondissimi e labbra carnose. Una barbie
gigante, non giovanissima, sui trenta, una bellezza da togliere
il fiato.
Per un attimo i tre uomini stettero imbambolati a fissare la
donna.
Poi Alberti ritrovò la voce.
-
E lei chi è?
La voce piena e profonda della barbie rispose pronta alla
domanda.
-
Sono l’agente speciale Foster, della sezione FBI di New
York.
Lei sarebbe un agente del FBI?
La voce di Leonardi esprimeva tutta la sua sorpresa e molti
dubbi. Ma l’agente speciale Foster gli rispose a tono.
-
La prego di voler mettere da parte dubbi e sorrisetti
ironici. Ci ho messo molto tempo e ho sprecato molte
energie per farmi accettare nonostante il mio aspetto e le
assicuro che ho lavorato molto e duramente per diventare
un agente del FBI. E vorrei essere valutata per le mie
capacità e non essere subito catalogata come una stupida
bambolona.
La risposta secca della ragazza lasciò senza parole Leonardi
spegnendogli immediatamente il sorriso ironico già presente
sulle labbra. Ma la ragazza non era ancora soddisfatta.
-
Del resto anche lei potrebbe essere scambiato, a prima
vista, per un muscoloso gorilla tutto muscoli e poco
cervello.
Leonardi andò al tappeto, un colpo da KO.
-
Mi scusi agente, non volevo offenderla.
Mai Alberti aveva sentito il suo vice parlare a voce così bassa e
insicura. La ragazza era un osso duro.
-
Bene che ne dite di porre fine alle ostilità? Agente
Foster direi che è meglio terminare le presentazioni, così
poi potrà spiegarci il motivo della sua presenza in Italia.
Io sono il commissario Alberti, l’uomo che ha così
brillantemente buttato nell’imbarazzo più completo è il
mio vice, ispettore Leonardi e il sacerdote fermo sulla
porta a decidere se lei è reale o una visione è Padre
Joseph, un nostro consulente. Diciamo.
La ragazza, già perfettamente calma, si avvicinò all’ispettore e
gli strinse la mano con un sorriso.
-
Mi scusi ispettore, sono troppo sensibile su certi
argomenti. Dimentichiamo tutto e cerchiamo di diventare
amici; piacere Caterina Foster.
Poi l’agente speciale andò a stringere la mano a Padre Joseph e
infine si voltò verso il commissario e gli strinse la mano.
-
Caterina? Italiana? Ho sentito che parla bene la nostra
lingua.
-
Solo di origine. Mia nonna era italiana e da lei ho preso
il nome e ho imparato la lingua. Le dispiace se ci diamo
del tu?
Figurati è un vero piacere. Io mi chiamo Alberto.
E io Dario.
L’ispettore aveva ritrovato parte della sua sicurezza.
-
-
Caterina ti chiedo scusa per prima, non volevo
offenderti in nessun modo, sono solo rimasto sorpreso di
trovare un agente del FBI ad aspettarci. Un agente
speciale devo dire.
OK Dario, mettiamoci una pietra sopra.
Bene adesso che avete fatto la pace possiamo sapere il
motivo della tua presenza qui in Italia.
Certo se ci accomodiamo ve lo spiego subito.
Fu l’ispettore a procurare le due sedie mancanti e appena tutti si
furono accomodati la ragazza iniziò a parlare.
-
-
Tre giorni fa abbiamo trovato morto nel suo studio il Dr.
Russell. George Russel era uno degli psichiatri più noti
degli Stati Uniti. E’ stato trovato morto dalla donna delle
pulizie, pugnalato con un oggetto molto sottile e il suo
studio è stato messo sottosopra alla ricerca di qualcosa.
Una rapina.
La domanda di Leonardi era retorica.
-
-
No sicuramente no, C’erano oggetti di valore e soldi che
non sono stati portati via, siamo convinti che l’assassina
cercasse qualcosa tra le carte personali del dottor Russell.
E probabilmente ha trovato quello che cercava.
Perchè hai detto assassina?
La domanda questa volta era stata fatta da Alberti.
-
-
Dalle nostre indagini risulta quasi certo che ad ucciderlo
è stata una donna. Una donna che si era finta la sostituta
della sua segretaria che era rimasta a casa per malattia.
Solo che l’agenzia che si occupa di queste cose dice di
non saperne nulla.
E com’è questa donna? Una bella ragazza giovane e
bruna?
L’idea di Alberti venne subito affossata.
-
-
No. La donna che ci hanno descritto ha circa
quarantacinque anni, piuttosto robusta, capelli bianchi e
grossi occhiali da vista. Una tranquilla signora di mezza
età.
Ho capito. Ma perché sei venuta a cercarla a Roma?
Per questo.
La ragazza tirò fuori dalla borsa un foglio porgendolo al
commissario.
Sul foglio c’erano segnati cinque nomi e il primo nome fece
sobbalzare il capo della omicidi sulla sedia. Walter Funari. Il
nome era sottolineato in rosso.
-
Dove hai trovato questo foglio? E chi ha sottolineato il
nome?
Il foglio l’ho scritto io. Tra gli appunti del professore ce
n’era uno che riguardava un suo prossimo viaggio qui a
Roma per partecipare a un congresso internazionale che
inizierà nei prossimi giorni e nello stesso appunto aveva
annotato la necessità di parlare con alcuni colleghi per
decidere cosa fare.
-
Cosa fare rispetto a cosa?
Non lo so. Quello che so è che quando ho iniziato a
indagare ho scoperto che le persone in questione in questi
giorni sono tutti a Roma, tutti per partecipare a un
congresso. E quando ho saputo che il professor Funari era
stato ucciso con modalità molto simili al Dr. Russell ho
convinto il mio capo a mandarmi a Roma. Sono convinta
che l’assassina è qui a Roma e sono anche convinta che
quegli uomini sono tutti in pericolo.
Per qualche secondo nella stanza calò il silenzio.
-
-
Come hai saputo della morte di Funari e delle modalità
della sua uccisione?
Ho letto la vostra richiesta inviata all’Interpol e mi sono
informata di persona telefonando ad alcune nostre fonti
qui sul posto.
Ho capito. Sì penso di doverti dare ragione. Le
coincidenze sono troppe e le modalità troppo simili.
L’unica traccia in più che abbiamo noi è l’arma del
delitto. L’abbiamo trovata nella borsa dell’assassina. Nel
nostro caso non è sparita, si è suicidata subito dopo.
Suicidata?
La voce della ragazza era molto sorpresa.
-
-
Sì, all’inizio è sembrato strano anche a noi ma non
sembrano esserci troppi dubbi.
Ho capito. Adesso cosa facciamo?
Dobbiamo cercare di capire perché due assassine a
migliaia di chilometri l’una dall’altra hanno deciso di
uccidere due illustri clinici. E cosa collegava Funari a
Russell.
Se permette questo posso dirglielo io commissario.
Fu la voce di Padre Joseph, che aveva ascoltato concentrato e
in silenzio tutto il racconto, a sorprendere questa volta i
presenti.
-
Lei padre?
Sì commissario, posso io chiarirle molti dubbi. Però vi
avverto, è una storia lunga e per farvi capire bene devo
risalire a un fatto molto lontano nel tempo. Cosa sapete di
Fatima e dei suoi segreti?
Lo sguardo perplesso degli altri tre fece capire al sacerdote che
era necessario partire dall’inizio.
-
Va bene, concedetemi qualche minuto del vostro tempo
e della vostra attenzione. Cercherò di essere il più breve
possibile ma la storia parte da lontano e gli avvenimenti
da raccontare sono tanti. Abbiate pazienza. Vi assicuro
che ne vale la pena.
CAPITOLO QUINTO
Il racconto di Padre Joseph
-
Il 13 Maggio 1917 in una località vicino alla cittadina di
Fatima la Madonna appare per la prima volta a tre
bambini, tre pastorelli; i fratellini Francisco Marto e
Giacinta Marto di nove e sette anni e la loro cugina Lucia
dos Santos di dieci anni.
Dopo questa prima apparizione la Beata Vergine compare
ai tre bambini altre cinque volte, una volta per ogni mese
successivo, sempre il tredici di ogni mese, tranne quella
-
-
di Agosto spostata di qualche giorno perchè i tre bambini
non poterono presentarsi all’appuntamento perchè
rinchiusi in prigione.
Le apparizioni furono accompagnate da rivelazioni su
eventi futuri e da manifestazioni miracolose.
La vera e propria profezia di Fatima fu rivelata durante
l’apparizione del tredici Luglio.
Il terzo segreto di Fatima?
Esatto commissario, anche se in realtà le rivelazioni
sono contenute in un solo documento diviso in tre parti
rese pubbliche in momenti diversi, così come richiesto
espressamente dalla Madonna. Ma se permette di questo
parliamo dopo.
I due fratellini morirono in tenera età mentre la loro
cuginetta Lucia dos Santos divenne suora carmelitana
pubblicando le sue memorie.
Nel 1941 la pastorella ormai diventata Suor Lucia scrisse
un resoconto delle apparizioni spiegando che il segreto
svelatole nell’apparizione del 13 luglio era composto di
tre parti, la terza delle quali non poteva essere
ancora svelata. Le prime due parti del segreto furono
rese pubbliche nel 1942 dal Santo Padre, in occasione
della consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di
Maria.
La terza parte venne scritta da Suor Lucia il 3 gennaio
1944 e affidata al Vescovo di Leiria che la consegnò a
Papa Pio XII.
Il terzo segreto, su indicazione della stessa Suor Lucia,
doveva essere rivelato al mondo dopo il 1960, ma Papa
Giovanni XXIII, in carica in quel periodo, non ritenne
opportuno pubblicarlo e la stessa opinione ebbero i suoi
successori. Fu solo Giovanni Paolo II che, con una
decisione improvvisa, annunciò il 13 maggio 2000, in
occasione della beatificazione dei due fratellini di Fatima,
-
-
Giacinta e Francisco Marto, di aver incaricato la
Congregazione della Dottrina della Fede di tradurre,
interpretare e divulgare la parte della profezia nota
come il Terzo segreto di Fatima.
La terza parte venne subito messa in relazione con
l’attentato subito proprio da papa Giovanni Paolo II,
avvenuto il 13 Maggio 1981, in Piazza San Pietro.
Suor Lucia è morta il giorno 13 febbraio 2005, poche
settimane dopo la morte del papa. Vi prego di notare
come il numero 13 ricorra frequentemente in tutti questi
eventi straordinari. Anche questo avrà una sua
importanza.
Padre, questa storia è molto affascinante ma cosa
c’entra il Terzo segreto di Fatima con la nostra storia?
Se mi concede qualche altro minuto ispettore glielo
spiego. E per farvi capire meglio vorrei farvi leggere il
testo della profezia completa di Fatima. Purtroppo ne ho
una sola copia, è possibile fotocopiarla.
Ci penso io.
Preso in consegna i fogli che Padre Joseph gli porgeva
l’ispettore si incaricò di fotocopiarli, una copia per ognuno di
loro. Poi riconsegnato l’originale al sacerdote passò a
distribuire le copie al commissario e all’agente Foster.
Per qualche minuto i tre furono impegnati a leggere e cercare di
interpretare il documento.
IL SEGRETO DI FATIMA
PRIMA PARTE:
"La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava
stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demoni e le anime,
come fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma
umana che fluttuavano nell'incendio, portate dalle fiamme che
uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da
tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendi,
senza peso nè equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e
disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla
paura. I demoni si riconoscevano dalle forme orribili e riluttanti
di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri.
Questa visione durò un momento. E grazie alla nostra buona
Madre del Cielo, che prima ci aveva prevenuti con la promessa
di portarci in Cielo (nella prima apparizione), altrimenti credo
che saremmo morti di spavento e di terrore".
SECONDA PARTE:
"Avete visto l'inferno dove cadono le anime dei poveri
peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la
devozione del Mio Cuore Immacolato. Se faranno quel che vi
dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta
per finire (si tratta della Prima Guerra Mondiale 1914-1918);
ma se non smetteranno di offendere Dio, durante il Pontificato
di Pio XI ne comincerà un'altra ancora peggiore. Quando
vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta (Lucia
ritenne che la "straordinaria" aurora boreale nella notte del 25
gennaio 1938 era il segno di Dio per l'inizio della guerra),
sappiate che è il grande segno che Dio vi dà che sta per
castigare il mondo per i suoi crimini, per mezzo della guerra,
della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre. Per
impedirla, verrà a chiedere la consacrazione della Russia al mio
Cuore Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati
(questa promessa di tornare si è avverata il 10 dicembre 1925,
quando la Madonna apparve a Lucia a Pontevedra, in Spagna).
Se accetteranno le Mie chieste, la Russia si convertirà e
avranno pace; se no, spargerà i suoi errori per il mondo,
promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie
nazioni saranno distrutte. Finalmente, il Mio Cuore Immacolato
trionferà. Il Santo Padre Mi consacrerà la Russia, che si
convertirà, e sarà concesso al Mondo un periodo di pace (questa
promessa è incondizionata. Di certo si compirà. Siamo noi che
non conosciamo il giorno in cui questo avverrà)".
TERZA PARTE:
Ecco il testo integrale del terzo segreto di Fatima, così come
riportato nelle lettera in cui suor Lucia rivela il messaggio
della Madonna di Fatima del 13 luglio 1917.
"Scrivo in atto di obbedienza a voi mio Dio, che me lo
comandate per mezzo di sua Eccellenza Reverendissima il
signor Vescovo di Leiria e della Vostra e Mia Santissima
Madre. Dopo le due parti che ho già esposto, abbiamo visto a
lato sinistro di nostra Signora un poco più in alto un Angelo con
una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva
fiamme che sembra dovessero incendiare il mondo; ma si
spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora
emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando
la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza,
Penitenza, Penitenza. E vedemmo in una luce immensa che è
Dio: 'Qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno
specchio quando vi passano davanti' un Vescovo vestito di
Bianco 'abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo
Padre'. Vari altri vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salire su
una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce
di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il
Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città
mezza in rovina e mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto
di dolore e di pena, pregare per le anime dei cadaveri che
incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte,
prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce venne ucciso
da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi d'arma da
fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli
altri i Vescovi Sacerdoti, religiosi e religiose e varie persone
secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due
bracci della Croce c'erano due Angeli ognuno con un
innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il
sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si
avvicinavano a Dio".
Mio caro Padre non è che ci capiamo molto.
Lei ha perfettamente ragione commissario; del resto il
Segreto di Fatima è stato uno degli enigmi più
chiacchierati dell’intero secolo scorso. Per molti anni si è
chiacchierato di un annuncio catastrofico contenuto nella
sua terza parte e anche dopo la sua divulgazione e la sua
interpretazione ufficiale, che fu curata anche dall’allora
Cardinal Ratzinger, le illazioni più fantasiose non sono
mancate. Gruppi di mistici esaltati e pazzoidi di ogni tipo
ne hanno dato le versioni più diverse e inverosimili,
mettendo in dubbio l’autenticità dello stesso documento o
della sua spiegazione.
E qual’é invece la versione ufficiale della chiesa?
La domanda era stata fatta dall’agente del FBI.
-
E’ presto detto. La prima e la seconda parte del segreto
riguardano la spaventosa visione dell’inferno che viene
mostrato allo sguardo degli uomini, la necessità di
rivolgersi con profonda devozione al Cuore Immacolato
di Maria per evitarlo, la previsione della seconda guerra
mondiale e, infine, la previsione dei danni immensi che la
Russia, allontanandosi dalla fede cristiana e aderendo al
totalitarismo comunista, avrebbe recato all’umanità.
Secondo alcuni vi era anche indicato lo sterminio degli
ebrei durante il nazismo. Eventi ormai accaduti e lontani.
La terza parte nel passo concernente il Vescovo vestito di
bianco fu subito letta come l’annuncio dell’attentato
subito da Giovanni Paolo II. Fu la mano materna a evitare
che la pallottola avesse effetti mortali e l’intervento di
Maria fermò il Papa agonizzante sulla soglia della morte.
Per questo motivo in più occasioni Giovanni Paolo II
consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria
mettendo sotto la materna protezione l’intero genere
umano per liberarlo dalla guerra nucleare, dai peccati,
dall’odio e da ogni genere di ingiustizia. Su stessa
indicazione di Suor Lucia si capisce che la terza parte del
segreto, nella parte riguardante la Russia, ha un valore
simbolico di avvertimento e di monito. La conversione
della Russia per evitare altre guerre e incamminarci sul
cammino della pace della giustizia. La forza divina che si
è frapposta tra noi e l’Apocalisse è stata la Madre di Dio,
in tutto il suo amore e il suo splendore. Il futuro non era
scritto, la profezia era solo un avvertimento, l’uomo ha
potuto cambiare il suo destino mobilitandosi nel bene.
Questo era il senso premonitrice del segreto di Fatima.
Ma ormai sono vicende passate e non apocalittiche
previsioni sul nostro futuro. Per questo Maria nella sua
saggezza divina le ha tenute nascoste, per permettere
all’uomo in piena libertà, di cambiare il suo destino.
Infatti una delle frasi cardine della profezia: “il Mio
Cuore Immacolato Trionferà” significa che la parola di
Maria ha cambiato la storia del mondo. Questa è l’unica
versione accettata dalla Santa Madre Chiesa ed è l’unica
verità possibile.
Dopo questa lunga e appassionata dissertazione Padre Joseph fu
costretto a prendere fiato. Le altre persona presenti nella stanza
gli permisero un paio di minuti di riposo. Poi la curiosità ebbe
la meglio.
-
Mi scusi di nuovo padre, ma ancora non capisco cosa
c’entra tutto questo con omicidi di psichiatri e suicidi di
giovani ragazze.
Vero commissario ma adesso le spiego.
-
-
-
La versione ufficiale del segreto di Fatima è quella che
vi ho, in sintesi, appena raccontato, ma esistono persone
convinte che la verità contenuta nella profezia sia
un’altra. Queste persone sono convinte che il terzo
segreto, vero, non sia quello contenuto nella lettera
divulgata dalla chiesa.
Per loro la lettera è falsa o almeno parziale, contestano il
fatto che la
grafia della terza parte non è uguale a
quella delle prime e, secondo loro, la verità è un’altra.
Quale per la precisione?
Secondo queste persone la profezia annuncia
avvenimenti futuri, una visione di quello che potrebbe
succedere al mondo se non ci sarà una profonda
trasformazione nelle strutture di potere del mondo e della
stessa chiesa. La profezia annuncia la caduta della
vecchia chiesa basata sul potere degli uomini per
permettere la nascita di una chiesa nuova, più aperta al
femminile e guidata dallo spirito santo e dalla Vergine
Maria tramite una sua rappresentante in terra. L’unico
modo, dopo il fallimento di questa chiesa troppo centrata
sugli uomini, per permettere la nascita di un vero Regno
di amore e pace. La mano di Maria sarebbe intervenuta a
salvare il Santo Padre solo perché lui, riconoscente,
iniziasse una decisa opera di riequilibrio di potere
all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, con una forte
presenza femminile e la revisione di regole ormai
arcaiche sulla nomina di cardinali e dello stesso Papa.
Queste persone non sono rimaste contente del solo
affidamento simbolico alla Beata Vergine, loro vogliono
il potere effettivo.
Un movimento femminista eretico all’interno della
chiesa?
Una definizione spiritosa ma molto vicina alla realtà
Femministe, eretiche e pronte a tutto.
-
-
E voi sapete chi sono queste pecorelle, padre. E perché
siete sicuri che da una protesta politico religiosa sono
passate agli omicidi?
Lo sappiamo commissario, purtroppo lo sappiamo.
Adesso le spiego. Negli ultimi anni della sua vita, nel
Convento di Coimbra, Suor Lucia ha attratto un gruppo di
giovani suore la cui fede e vocazione era, evidentemente,
molto debole. Dalle parole di Suor Lucia e dai suoi scritti
queste sciagurate sorelle hanno tratto la convinzione che
la profezia di Fatima non dovesse avere valore solo
simbolico ma un effettivo valore di indirizzo dell’azione
della chiesa. Secondo questo gruppo di esaltate sorelle la
Beata Vergine con le sue parole aveva indicato la
necessità di una più forte presenza femminile all’interno
del Vaticano, nei luoghi che contano. Solo le donne
potevano salvare il mondo in corsa verso
l’autodistruzione e il primo luogo da conquistare al potere
femminile era proprio il Vaticano. Poi il resto dei luoghi
di potere. Una visione esaltata e estremista del
femminismo, come dice lei.
E voi cosa avete fatto?
Alla morte di Suor Lucia le abbiamo divise, lontane
l’una dall’altra, in conventi sperduti nelle varie parti del
mondo. Ma è stato uno sbaglio. Divise hanno iniziato la
loro opera di proselitismo, molto presto hanno convinto e
portato sulle loro posizioni moltissime sorelle, un vero e
proprio movimento. Sono iniziate le proteste e le
richieste. Quando ci siamo resi conto dell’errore abbiamo
cercato di rimediare, le abbiamo isolate in conventi diretti
da persone di nostra assoluta fiducia. Ma non è bastato,
ormai il veleno delle loro tesi eretiche si stava
espandendo velocemente. Pensi che siamo stati costretti a
sostituire alcune delle badanti del Santo Padre, per
precauzione ma siamo stati costretti. Le loro parole hanno
-
-
fatto tanto più breccia nei fragili cuori delle nostre
consorelle perché accompagnate dalla lettura di quello
che loro dicono essere il vero testo del Terzo Segreto
vergato dalla mano di Suor Lucia. Una specie di
testamento spirituale olografo. Custodito dalla loro
Maestra, così lo chiamano.
E cosa avete fatto?
Un’altro errore, purtroppo, devo dire con il senno di poi.
Abbiamo pensato di combatterle usando anche noi un
metodo moderno; abbiamo chiesto la consulenza e l’aiuto
di sei luminari delle malattie mentali, per capire se era
possibile attribuire i loro vaneggiamenti a una qualche
forma di malattia mentale. E così i sei specialisti, dopo
ore di colloqui, test clinici e analisi strumentali, hanno
confermato la presenza di forti disturbi della personalità
con forte dissociazione dalla realtà e deliri di tipo
religioso. Con quelle diagnosi, tutte concordi anche se
effettuate separatamente, ci era possibile rinchiuderle in
isolamento, in conventi di clausura.
Che strano eh? Le diagnosi hanno tutte confermato la
vostra speranza.
La voce di Alberti era molto ironica, certo che la chiesa quando
voleva ottenere qualcosa trovava sempre qualcuno pronto ad
accontentarla, in ogni settore.
-
-
Capisco la sua ironia, commissario, ma i fatti successivi
ci hanno dato ragione. Evidentemente le mie sorelle si
sono insospettite e prima che potessimo trasferirle in
luoghi più sicuri sono fuggite. Tutte. Senza esitare nella
fuga neanche di fronte alla violenza. Due nostre
consorelle hanno perso la vita nel tentativo di fermarle.
Padre Joseph lei mi sta dicendo che un gruppo di malate
di mente, esaltate religiose è fuggito dai vostri conventi,
-
-
uccidendo due loro compagne e voi non avete denunciato
il fatto?
Pensavamo di poterle fermare da soli. La Chiesa ci tiene
molto alla riservatezza. Ma la cosa ci è sfuggita di mano
quando abbiamo saputo della morte di Russell e Funari.
Evidentemente le sorelle vogliono vendicarsi di quelli che
ritengono complici della chiesa.
Padre è proprio sicuro che siano queste sue consorelle le
assassine? Perché ne ha la certezza?
I fatti che le ho esposto e un particolare decisivo; l’arma
del delitto.
Intende questa specie di grosso ago?
Il commissario aveva tirato fuori dalla scrivania l’oggetto in
questione. E l’aveva messo davanti al sacerdote.
-
Proprio questo commissario, e lei ha ragione. E’ un ago,
l’Ago della Provvidenza.
Ago della Provvidenza? Perché?
Veniva usato in origine, tanti secoli fa, dalle suore
carmelitane per cucire materassi e tappeti. Purtroppo in
alcune occasioni, tempi bui per la chiesa e per gli uomini,
alcune suore furono costrette a usare quell’oggetto per
difendere la propria virtù e il proprio onore di donne e di
suore. Facendo violenza spesso su se stesse e, qualche
rara volta, su uomini empi. A un certo punto, nessuno sa
bene perché, quell’oggetto iniziò a essere chiamato l’Ago
della Provvidenza, l’aiuto del Signore alle sue figlie in
pericolo. E oggi purtroppo un gruppo di sorelle l’ha
trasformato in arma di offesa e morte, per scopi di
vendetta e contrari alla fede, adottandolo come oggetto
simbolo della loro eretica setta. Un peccato gravissimo
che va ad aggiungersi ai tanti che già dovranno scontare
con la penitenza e la preghiera.
-
Ho capito padre, mi ha convinto. E scommetto di
indovinare dicendo che i quattro psichiatri ancora vivi
sono tutti qui a Roma per il convegno.
Esatto commissario, questo posso dirglielo io. Ho già
fatto le mie indagini. Sono tutti e quattro qui a Roma per
il convegno e per prendere una decisione riguardo a
qualcosa; così ho trovato scritto tra le carte di Russell.
La conferma venne dall’agente del FBI.
-
-
-
Bene proprio una brutta storia. Mi scusi padre, ma di
queste pazze scatenate è possibile avere foto, descrizioni
precise o qualcosa che ci possa essere utile per scovarle?
Roma è grande e piena di turisti; non sarà facile trovarle.
No commissario, mi dispiace. La chiesa non ha
l’abitudine di fotografare i suoi membri e descrizioni
precise potrebbero darcele solo le sorelle che le hanno
avute vicine ma sono lontane in varie parti dl mondo e
non sono del tutto sicuro che sarebbero disposte a darci
una mano. Per molte di loro sono una specie di apostolo
della nuova fede.
Sempre peggio commissario.
L’ispettore Leonardi aveva una faccia scurissima.
-
-
E posso anche aggiungere ispettore che, sicuramente,
hanno molte amicizie nei conventi di questa città e molti
luoghi dove trovare ospitalità e rifugio sicuro, anche
senza documenti e senza registrazioni di nessun tipo.
Ho capito che siamo in un bel guaio. Senta padre può
almeno dirci quante sono le persone che stiamo cercando?
Certo commissario, questo è facile. Probabilmente è
stata una scelta voluta o forse una semplice coincidenza
ma le sorelle ribelli sono tredici, la Maestra e dodici
-
apostole. Come avrebbe potuto essere altrimenti. La
mistica del numero tredici ha fascinato da secoli l’uomo e
loro non potevano essere da meno. Una nuova chiesa, una
nuova era che nasce con un nuovo gruppo di tredici
persone, questa volta donne e non uomini. Le sorelle del
gruppo originario erano tredici e adesso, dopo la tragica
morte di Via Veneto, sono rimaste in dodici.
Vedo che ha tutte le informazioni possibili , caro padre.
Il tono di voce di Caterina dimostrava chiaramente che il
sacerdote non godeva della simpatia della ragazza ma, anche
questa volta, l’ironia non fu rilevata dal prete.
-
E’ vero, cara ragazza, abbiamo molte informazioni e
molte amicizie. Però non abbastanza da riuscire a
individuare il luogo dove si nascondono le Sorelle.
Perciò ha pensato bene di utilizzare anche la polizia di
Roma, vero padre?
Anche il tono di voce di Leonardi tradiva una certa irritazione
nei confronti di Padre Joseph. Il prete era quasi sul punto di
rispondere ma fu interrotto dalla voce del commissario.
-
Va bene, per ora lasciamo perdere gli scontri personali,
abbiamo dodici potenziali assassine da prendere e quattro
uomini da proteggere. Per ora ci conviene unire le nostre
forze. Leonardi fatti dare i nomi da Caterina e cerca di
scoprire prima possibile dove sono alloggiati, fai il giro
degli alberghi e appena hai scoperto dove sono manda
immediatamente una pattuglia a prelevarli. Dobbiamo
informare questi uomini del pericolo che stanno correndo.
Lei padre ci procuri la lista dei conventi, collegi e
pensionati gestiti da suore. Probabilmente le nostre
sorelle sono nascoste in qualcuno di questi posti, protette
-
-
-
e mimetizzate fra altre suore. Sarà difficile che riusciamo
a trovarle ma possiamo provarci. Può darci altre
informazioni utili per individuarle?
No commissario, mi dispiace. I loro nomi potrebbero
averli cambiati e l’unica cosa certa che posso dirle è che
la loro Maestra si faceva chiamare Sorella Maria. L’unica
traccia che abbiamo è che ognuna di loro possiede una
copia del foglio contenente quella che loro spacciano
come l’interpretazione originale del Terzo Segreto scritta
personalmente da Suor Lucia di Coimbra, la pastorella di
Fatima. Mentre il documento originale vergato
direttamente dalla mano di Suor Lucia è custodito dalla
Maestra come un testo sacro destinato a portare la Verità
nel mondo.
Certo non ci serve a molto, padre, non posso certo
ordinare ai miei uomini di perquisire tutte le suore in giro
per Roma per vedere se hanno un pezzo di carta con su
scritta una strana profezia. A proposito, come mai la
ragazza dell’Excelsior non ce l’aveva? Dirò a Stoppani di
controllare meglio tra la roba della ragazza, vediamo di
trovare questo foglio se esiste.
E’ inutile commissario, il foglio è già stato prelevato
dagli abiti della ragazza, era cucito all’interno della
fodera. Un nostro uomo di fiducia l’ha cercato e trovato.
La voce di Padre Joseph era tranquilla ma il senso di quelle
parole fece scattare il commissario come una furia.
-
Mi faccia capire padre, lei ci sta dicendo che qualcuno
incaricato da lei ha fatto sparire un documento
importante, una possibile prova, dal corpo della ragazza
senza neanche darci modo di leggerla per valutarne
l’importanza?
-
Sì commissario, è proprio così, ma le assicuro che quel
foglio non ha nessuna importanza per le indagini,
nessuna, ma ha una importanza enorme per la Chiesa. Si
teme che quelle donne abbiano approfittato della
veneranda età e della poca lucidità di Suor Lucia per farle
scrivere parole suggerite da loro. Se il testo di quel
documento venisse divulgato spacciandolo come
autentico ci potrebbero essere conseguenze disastrose per
tutta La Santa Madre Chiesa. Mi dispiace ma non
potevamo permetterlo. Cerchi di capirmi commissario, la
sua missione è fermare quelle assassine e metterle al
sicuro, la mia è di impedire la pubblicazione di quel
documento per la sicurezza di tutto quello in cui credo. E
le assicuro che la mia missione è più importante della sua,
si tratta della salvezza e della sicurezza di una
organizzazione che esiste da molti secoli e che continuerà
ad esistere per molti altri secoli ancora, oltre le nostre
piccole vite.
La voce esaltata e l’espressione del viso del sacerdote fecero
capire al commissario che era inutile discutere con quell’uomo.
-
-
Va bene padre, per ora lasciamo perdere, ne parleremo
più avanti. Adesso abbiamo del lavoro da fare. Ci procuri
l’elenco che le ho chiesto, noi intanto vedremo di
rintracciare e mettere al sicuro i quattro psichiatri.
Come vuole commissario, provvedo subito. Ma le
ricordo che la nostra collaborazione è stata decisa da
persone molto più importanti noi, perciò la prego di
tenermi al corrente di tutte le novità. Le assicuro che
anche io posso fare molto per aiutarvi ma in cambio
chiedo reciprocità assoluta nello scambio di informazioni.
-
Va bene padre, come ho già detto per ora abbiamo un
obiettivo comune, poi si vedrà. Anzi a proposito di
scambio di informazioni ho un’altra domanda da farle.
Dica pure commissario.
Cosa sa dei Custodi della Fede?
Una espressione di sorpresa si dipinse sul volto del prete.
-
-
I Custodi della Fede? Mi scusi commissario ma davvero
non capisco. I Custodi sono un’antica setta scomparsa
secoli fa. Erano un’associazione segreta che si era
formata per tutelare gli interessi della Chiesa e la purezza
della dottrina. Ma ben presto si erano trasformati in una
specie di associazione a delinquere più propensa a
tutelare gli interessi personali dei suoi membri che non la
Chiesa. Per questo furono sciolti non so bene quando ma
certamente moltissimi anni fa. Cosa c’entrano con i fatti
di questi giorni?
Non lo so bene padre. Però in un sms che abbiamo
trovato nel cellulare della sorella morta c’era un avviso
riguardante i Custodi della Fede.
Davvero strano, commissario. Mi informerò meglio e le
saprò dire.
Va bene padre, ci spero. Come vede la sto informando
di tutto per dimostrarle la mia volontà di collaborare e la
mia fiducia in lei.
Bene commissario, anche io mi fido di lei. E non mi
giudichi troppo male per quello che ho fatto. A volte i
sentieri di Dio e della fede possono sembrare tortuosi ma
arrivano sempre sulla strada del bene e del giusto. La
saluto.
Senza aggiungere altro il prete uscì dalla stanza. Il commissario
e la bella Caterina restarono un attimo in silenzio.
-
-
Certo che la fede è una bella cosa, essere convinti di
essere nel giusto ti dà molta forza e molto coraggio.
Hai proprio ragione Caterina, Padre Joseph è un uomo
di fede è come tale va rispettato. Ma ora diamoci da fare.
Per ora l’unico appiglio che abbiamo per rintracciare
queste maledette sorelle sono le loro possibili vittime.
Faremo come il buon pastore, sorveglieremo le pecorelle
per prendere i lupi.
Allora andiamo commissario sono sicura che il suo
ispettore è già a buon punto. Mi sembra un uomo in
gamba, magari prevenuto con le donne ma in gamba.
Il sorriso sul volto della bellezza americana avrebbe fatto molto
piacere al buon ispettore Leonardi.
CAPITOLO SESTO
A poche centinaia di metri dalla sede della omicidi, intanto, in
una delle stanze dell’Hotel Cicerone, il Dr. Alfred Adler, uno
degli uomini indicati nella lista di Caterina Foster stava
preparandosi per uscire.
Il Dr. Adler non era di buonumore. Il convegno si annunciava
molto poco interessante e l’idea di perdere altri tre giorni a
Roma non lo entusiasmava. Ed era impossibile per lui andare
via prima, una delle relazioni dell’ultima giornata era stata
affidata proprio a lui. Inoltre la sua naturale antipatia per gli
alberghi era accentuata dal fatto di dover soggiornare in quella
specie di enorme palazzone sede del Cicerone. Troppe stanze,
troppi piani e troppi giapponesi in giro che si muovevano
sempre in gruppo scattando foto praticamente a tutto. Un via
vai di gente che sciamava a qualsiasi ora del giorno e della
notte nelle stanze dell’albergo, stanze curate e spaziose ma
troppo anonime per i gusti del dottore.
Del resto, quando aveva cercato di protestare con le segreteria
del convegno gli avevano fatto presente che la città era piena e
che la sistemazione al Cicerone era tra le migliori possibili, un
albergo di prima categoria e con un servizio eccellente, e
avevano ragione. Ma nonostante questo lui ci stava male.
Così cercava di starci il meno possibile e dopo le lunghe ore di
noia del convegno una bella passeggiata per le vie di Roma lo
avrebbe aiutato a recuperare un pò di buonumore e il giusto
appetito per poter gustare una buona cena in qualche tipico
ristorante romano.
Ma i suoi programmi erano destinati a subire un brusco
cambiamento.
Il leggero bussare alla porta lo sorprese.
-
Sì, chi è?
Servizio camere, signore. Dobbiamo riordinare la stanza
se non le dispiace.
La voce femminile che aveva risposto alla domanda del dottore
era bassa e gentile.
-
Se vuole ripassiamo dopo.
No, no prego tanto sto per uscire così vi lascio lavorare
in pace.
Rispondendo alla domanda il dottor Adler si era avvicinato alla
porta della stanza e aveva aperto. Le due donne indossavano il
camice dell’albergo e una delle due aveva davanti a se un
carrello con lenzuola e asciugamani puliti, oltre a tutto
l’assortimento tipico dei carrelli degli alberghi. Saponettine,
shampoo, bagnoschiuma e fazzoletti di carta negli appositi
contenitori. Una delle due era giovane e molto carina, l’altra di
mezza età, molto magra e con i capelli grigi tirati indietro. Tutte
e due risposero con un sorriso al saluto dell’ospite che dopo
aver aperto la porta era rientrato nella stanza per finire di
prepararsi.
-
Solo un minuto e vi lascio sole, il tempo di prendere
portafoglio e cellulare e vado. Direi che non avete molto
da sistemare ma vi lascio fare il vostro lavoro. Solo una
cortesia, se possibile, procurarmi un’altro cuscino più
morbido, quello nel letto è così basso e duro da farmi
venire il mal di testa.
Il dottor Adler parlava dando le spalle alle donne mentre si
infilava in tasca portafogli e cellulare poi rendendosi conto
della scortesia di parlare a delle persone dando loro le spalle si
stava girando verso di loro ma non riuscì a completare il
movimento. Si accorse appena della leggera puntura sul collo,
una lieve pressione sulla pelle, appena percettibile, che lo portò
istintivamente ad allungare la mano per toccare la parte e a
grattarla, poi in pochi secondi il potente narcotico immesso nel
suo sangue fece effetto facendolo crollare a terra con un
leggero rumore.
Le due donne impassibili lo videro cadere senza una parola e
senza mostrare il minimo segno di emozione, poi, muovendosi
in perfetta sincronia, iniziarono il loro compito che non era
certamente quello di mettere in ordine la stanza.
Il corpo privo di sensi dell’uomo venne sollevato e deposto sul
letto.
-
Lo spogliamo?
La ragazza più giovane aveva posto la domanda alla sua
compagna con voce tranquilla.
-
Sì sorella, è meglio. Nudi gli uomini diventano più
vigliacchi, sarà più facile convincerlo a parlare.
Senza altre parole le due donne si affrettarono a liberare il
corpo di Adler dei vestiti lasciandogli addosso solo gli slip ed
evitando pudicamente di soffermare lo sguardo sulle parti più
intime.
Nudo il corpo del dottore rivelava in modo più impietoso i
sessanta e passa anni del suo proprietario. Magro e con la pelle
flaccida indicava chiaramente che il dottore era più dedito allo
studio e alla lettura che all’attività fisica.
Poi le due donne completarono l’opera legando il loro
prigioniero al letto con una corda che la più giovane aveva
tirato fuori dal carrello di servizio.
-
-
E adesso che facciamo?
Tranquilla sorella, abbiamo qualche minuto da
utilizzare, lo sai che la sostanza che gli abbiamo iniettato
ha effetto solo per poco. Aspettiamo che si inizi a
svegliare, intanto possiamo guadagnare tempo trovando il
suo computer e accendendolo.
Per quello non ci vorrà molto, guarda sul tavolino.
La sorella più giovane aveva già visto pronto sul tavolino della
stanza l’oggetto che stavano cercando, il portatile del dottore.
Le due sorelle si avvicinarono allo strumento insieme.
-
Provo ad accenderlo e a darci uno sguardo.
Va bene sorella, vedi quello che riesci a trovare, per me
lo sai che sono negata per l’uso di questi oggetti.
La sorella giovane non si fece pregare ulteriormente, a
differenza della sua compagna più anziana a lei piaceva molto
utilizzare il computer per cercare informazioni e comunicare
con le altre sorelle. Era proprio con quei nuovi strumenti che
erano riuscite a tenersi in contatto quando le avevano divise ed
erano riuscite a coordinare le loro azioni per la fuga e tutto il
resto.
Anche se nella chiesa qualcuno riteneva quegli strumenti
pericolosi e possibili armi del Maligno lei e molte altre li
consideravano, invece, come possibili e potenti mezzi per una
veloce diffusione delle nuove idee.
Il vero significato del Segreto di Fatima comunicato a tutto il
mondo in simultanea avrebbe convertito moltissimi alle loro
idee e permesso loro di ottenere più facilmente le risposte alle
loro richieste di cambiamento.
Un nuovo vangelo globale.
-
Allora sorella?
La voce dall’anziana distolse la più giovane dai suoi pensieri.
-
-
Forse siamo fortunate sorella, sono riuscita a entrare
nell’archivio del nostro buon dottore che, evidentemente,
non ritiene necessario proteggere i suoi documenti con
nessuna password. L’unico problema è che il dottore è
anche molto disordinato, i file sono raccolti tutti in poche
cartelle e sono centinaia. Il nostro dottore ha parecchio
lavoro per sua fortuna e per nostra sfortuna. Potrei anche
inviarli tutti a Sorella Maria ma poi ci vorrebbero mesi
per leggerle tutte e individuare quelle che ci interessano.
Cosa facciamo?
Non abbiamo alternative sorella Elisabetta, dobbiamo
aspettare che si svegli a farci indicare i documenti che
vogliamo.
-
Allora sorella Letizia prepariamoci a una lunga attesa.
Le due donne senza altre parole si sedettero ai lati del letto ed
estratto ognuna un rosario da un tasca iniziarono in silenzio le
loro preghiere.
Agli occhi di un eventuale spettatore la scena avrebbe ricordato
molto una veglia funebre.
I minuti passavano lenti mentre il sole tramontava su Roma.
Un gemito leggero distolse le due donne dalle loro litanie
silenziose. Il dottor Adler si stava svegliando.
-
Sorella forse è meglio aiutare la natura, non possiamo
restare qui troppo a lungo solo per permettere al nostro
dottore di svegliarsi dolcemente.
Sorella Elisabetta con l’insofferenza tipica dei giovani stava
fremendo per l’attesa troppo lunga e troppo passiva e il piccolo
segno di vita dell’uomo addormentato le aveva dato modo di
esprimere i suoi dubbi.
Ma questa volta sorella Letizia dovette darle ragione.
-
-
Hai ragione sorella conviene darci da fare, abbiamo
molte persone che ci cercano e non è prudente perdere
troppo tempo in questo posto. Una nostra sorella ha già
pagato con la vita e i Custodi ci sono troppo vicini.
E la polizia.
Certo la polizia ma di quella mi preoccupo meno.
Troppe cose non sanno e tantissime altre non potrebbero
mai capire. Sono i Custodi a farmi paura. Comunque hai
ragione, diamoci da fare.
Così dicendo la sorella anziana si era alzata dalla sedia e riposto
il rosario nella tasca del camice si era diretta verso il bagno.
Sorella Elisabetta sentì lo scroscio dell’acqua che usciva dal
rubinetto e, dopo pochi secondi, vide sorella Letizia uscire dal
bagno con due bicchieri colmi d’acqua.
-
Non ho trovato niente di più capiente, iniziamo con
questi.
Con un gesto veloce l’anziana delle donne rovesciò il contenuto
dei bicchieri sul viso dell’uomo addormentato provocando
soltanto una piccola reazione consistente in un movimento del
viso e una specie di grugnito.
-
Non mi sembra un grosso risultato sorella, forse è
meglio trovare qualcosa di meglio.
Lo sguardo della sorella più giovane stava già esplorando la
stanza per trovare qualcosa di più efficace e, dopo aver
completato il giro, si era soffermato sull’unico contenitore
presente.
-
Ecco quello potrebbe essere più utile.
Con la mano stava indicando il cestino dei rifiuti sotto il
tavolino, bello grosso e di plastica sembrava adatto ai loro
scopi.
Fu sempre la ragazza più giovane ad avvicinarsi al contenitore
e dopo averlo liberato della busta verde chiaro che era al suo
interno lo prese con una mano dirigendosi anche lei verso il
bagno.
Questa volta fu sorella Letizia ad ascoltare il rumore dell’acqua
provenire dal bagno, più forte perchè il rubinetto aperto questa
volta era quello della vasca, e dopo pochi minuti vedere la sua
compagna uscire tenendo a due mani il cestino adesso usato
come secchio.
-
Dammi una mano sorella.
Aiutandosi a vicenda e con un minimo di difficoltà vista la
mancanza di appigli sicuri le due sorelle riuscirono a sollevare
il cestino colmo d’acqua fino all’altezza del letto.
-
Pronta sorella?
Pronta.
Al mio tre, uno, due e...tre.
Questa volta il risultato fu migliore della prima. La quantità di
acqua contenuta nel cestino era tale da dare una bella scossa
all’uomo ancora semiaddormentato.
Il dottor Adler si svegliò quasi completamente tossendo e
sputando acqua.
Scuotendo la testa aprì gli occhi e cercò di tirarsi su dal letto;
naturalmente non riuscì a farlo visto che era legato mani e
caviglie.
Resosi conto di non potersi muovere iniziò a girare lo sguardo
intorno e dopo alcuni secondi sembrò ritrovare un minimo di
lucidità.
I suoi occhi si fissarono sulle due donne in piedi alla sua
sinistra, forse la vista dei camici del personale dell’albergo gli
riportò alla mente l’ultimo ricordo.
-
Mi avete rifatto la stanza? Cos’è successo? Perché sono
legato? Mi spiegate che sta succedendo?
Stia tranquillo dottore e tutto andrà bene; abbiamo
bisogno di alcuni documenti in suo possesso e siamo
venute apposta a prenderli.
Documenti, quali documenti? Io sono un medico e i
miei documenti sono riservati, non posso darvi proprio
niente.
-
Caro dottore questa sua integrità professionale le fa
molto onore ma, le assicuro, che se lei non collabora le
conseguenze potrebbero essere molto gravi per lei.
Il tono di voce della ragazza iniziò a preoccupare l’uomo
imprigionato; parlava tranquilla e senza alterazioni particolari
nel tono ma pronunciava la parole con una freddezza e una
intransigenza tale da permettergli di capire che quella donna era
pronta a tutto per raggiungere il suo scopo. E anche l’altra,
quella più anziana, aveva un atteggiamento inquietante. Lo
guardava silenziosa muovendo però le labbra mentre con una
mano in una tasca maneggiava qualcosa.
Lo psichiatra emise la sua diagnosi, solo mentalmente però.
Due pazze, pronte a tutto e perciò molto pericolose. Cosa
poteva fare? Prendere tempo intanto e cercare di capire chi
fossero e per quale motivo erano interessate ai suoi documenti.
-
Chi siete? Quali sono i documenti che volete?
Chi siamo non ha importanza, siamo le nuove figlie di
Maria e operiamo seguendo le sue parole. La nostra
missione è portare al mondo la verità e la pace. Questo le
basti per capire che i nostri fini sono buoni e benedetti.
Per quanto riguarda i documenti che ci interessano
dovrebbe immaginarlo; ci interessano le relazioni che le
ha commissionato il Cardinal Ravasi.
Le poche parole della ragazza invece di chiarire le idee al
professore lo mandarono in assoluta confusione.
Figlie di Maria? Pace e verità nel mondo? Quelle due donne
erano davvero fuori di testa, in preda ad una esaltazione
religiosa assolutamente fuori dalla realtà. Fanatiche convinte di
essere nel giusto, la razza più pericolosa. Sicuramente pronte a
tutto. Ma perché si interessavano ai documenti chiesti dal
Cardinale? Cosa c’entravano loro con quella storia? E cosa
c’entravano con l’incarico avuto da Ravasi?
Troppe domande senza risposta e per il momento era inutile
cercarle.
Il problema principale ora era uscire da quella assurda
situazione.
Cosa poteva fare? Le due donne sembravano decise e
determinate, ma fino a che limite erano disposte ad arrivare?
Rifiutarsi poteva essere molto pericoloso.
Oltretutto con lo sguardo aveva già visto sul tavolino il suo
portatile aperto su una delle sue cartelle.
Si rimproverò mentalmente per la sua negligenza; tante volte
aveva pensato di proteggere i suoi documenti con almeno una
password e si era sempre dimenticato.
E adesso erano tutti lì alla mercè di quelle donne che avrebbero
potuto prenderseli tutti senza bisogno del suo aiuto.
Certo pensò sono tanti e a loro interessano soltanto quelli legati
al lavoro per il cardinale.
Al diavolo, per ora non posso fare altro che accontentarle. Il
cardinale non potrà certo farmene una colpa vista la situazione.
Presa la decisione il dottore si affrettò a comunicarla alle donne
in piedi vicino al letto; prima usciva da quella situazione
meglio era.
-
Va bene, vi darò quei maledetti documenti. Sono quelli
contenuti nella cartella DA RIVEDERE, tutti i file
denominati come CARD.
Bene dottore, ha preso una saggia decisione. Si è
risparmiato molte dolorose conseguenze.
Lasciato solo il dottore a riflettere sulla sua decisione le due
donne si avvicinarono al computer.
Con pochi click la più giovane, Sorella Elisabetta, arrivò ai file
che cercavano.
-
Bene cara Sorella Letizia portiamo a termine il nostro
compito e andiamocene, ogni minuto in più passato in
questa stanza è un pericolo.
Con pochi rapidi click i documenti furono spediti e poi salvati
su una pen drive che Sorella Elisabetta aveva tirato fuori dal
carrello.
-
Fatto sorella possiamo andare.
E di lui cosa ne facciamo?
Quello che dobbiamo sorella, dobbiamo metterlo in
condizione di non dare l’allarme e di non nuocere.
La porta dell’ascensore aprendosi fece uscire uno strano gruppo
che non poteva certo passare inosservato.
Il commissario Alberti seguito da Padre Kolzer e dall’agente
Foster, alta quasi quanto lui, e, a chiudere il gruppo, due agenti
in divisa molto impegnati a valutare la bellezza del corpo della
ragazza che li precedeva.
I due agenti erano quasi contenti di essere stati trascinati di
corsa in quell’albergo.
Il commissario accelerò il passo, era ansioso di parlare con il
dottor Adler.
Forse da lui avrebbe avuto qualche risposta alle molte domande
che stava formulando da troppe ore nel suo cervello.
Quando Leonardi era entrato come una furia nel suo ufficio,
pochi minuti prima, aveva capito che c’erano novità importanti.
-
Commissario uno l’abbiamo trovato e fortuna grandiosa
alloggia proprio qui vicino, al Cicerone.
Leonardi sei forte, presto andiamoci subito. Andiamo
Caterina ti faccio fare una breve passeggiata, il Cicerone
è a pochi metri. Ci andiamo a piedi. Leonardi fai venire
-
anche due agenti con noi così dopo li lasciamo a
sorvegliare questo tizio, e intanto fai continuare le
ricerche. A proposito come si chiama?
Adler commissario, Alfred Adler, è tedesco.
Uscendo dalla stanza il trio quasi si scontrò con Padre Kolzer
che con un fascio di fogli in mano si stava avvicinando.
-
Commissario ecco l’elenco che mi aveva richiesto.
Poi l’agitazione e la fretta dei tre gli fece capire che c’era
qualche novità importante.
-
Dove sta andando commissario? E’ successo qualcosa?
Adesso caro padre non ho tempo di spiegarle.
Quasi di corsa il gruppo si era precipitato fuori sbucando nella
piazza affollata.
-
Da questa parte, Via Cicerone è proprio la prima via a
destra. Voi due seguitemi.
L’ordine era stato rivolto a due agenti appoggiati a una volante.
-
In macchina commissario?
No a piedi, dobbiamo arrivare solo al Cicerone, mi
servite lì.
Tra la curiosità dei passanti e dei clienti del Cicerone, al loro
ingresso, il gruppo si era presentato compatto alla reception
dell’albergo.
Sventolando la sua tessera sotto gli occhi dello stralunato
portiere era stato il commissario a parlare.
-
Siamo della polizia, può dirci il numero di stanza del
professo Adler? E se è in albergo o è uscito?
Adler, commissario, Alfred Adler?
Il portiere del Cicerone ne aveva viste tante in venticinque anni
di servizio ma quella scena era tra le più curiose che avesse mai
visto. Polizia, tutta quella gente era della polizia. Ve bene
quello che gli stava parlando sventolandogli sotto il naso la
tessera, va bene i due agenti che se non altro erano
regolarmente in divisa, ma gli altri.
Una specie di culturista gonfio di muscoli, quel tipo con la
faccia impenetrabile vestito che sembrava un becchino in
servizio, anzi no , era un prete a giudicare dal collarino bianco e
poi quella sventolona bionda da telefilm americano tipo
Baywatch che era più adatta a fare la coniglietta di Playboy
piuttosto che la poliziotta. Da non crederci, ma dove li
arruolavano i poliziotti oggi.
La voce piuttosto nervosa del primo poliziotto lo aveva
costretto a lasciar perdere i suoi pensieri.
-
Allora riesce a dirci il numero di stanza di Adler o ha
bisogno di aiuto?
No, no scusi. Provvedo subito.
Dalla voce del giovane poliziotto il portiere aveva capito che la
cosa era seria, nonostante le apparenze. Le sue mani si mossero
veloci sulla tastiera e in pochi secondi ottenne la risposta.
-
Camera 507, quinto piano. Uscendo dall’ascensore a
destra. E a quello che mi risulta è in camera; la chiave
non c’è.
E a destra dell’ascensore ora si stavano dirigendo tutti, tranne
Leonardi che era rimasto nella hall.
Nessuno di loro fece molto caso alle due cameriere che,
spingendo un carrello carico di roba, passava loro di fianco,
costringendoli a mettersi quasi in fila indiana, e salutandoli con
un cortese buonasera prima di superarli.
Perso nei suoi pensieri e concentrato sui numeri delle stanze il
commissario rispose distrattamente al saluto.
Stanza 512, 511, 510 poi si ritrovarono davanti alla 507.
-
-
Cosa facciamo Alberto?
Bussiamo, visto che non ci siamo fatti annunciare
bussiamo educatamente e aspettiamo che il dottor Adler
ci apra. Il portiere ha detto che dovrebbe essere in
camera. Del resto telefonandogli lo avremmo solo messo
in apprensione senza potergli spiegare nulla. Di persona
sarà più facile spiegargli la situazione. A proposito, tu lo
sai il tedesco?
Io no, magari parla lui italiano.
Speriamo, se no sarà un guaio.
Non si preoccupi commissario, io parlo tedesco.
La voce di Padre Kolzer era tranquilla come sempre.
-
E’ vero padre, mi scusi. Naturale che lei parli tedesco,
che stupido. Bene allora la sua presenza ci sarà
sicuramente preziosa.
Il commissario bussò alla porta. Nessuna risposta.
-
Magari sta riposando o è in bagno.
Possibile, in ogni caso saremo costretti a disturbarlo.
Per il suo bene.
Rispondendo alla ragazza il commissario bussò di nuovo, con
più forza. In attesa della risposta, per ingannare l’attesa o per
abitudine professionale, gli occhi del poliziotto si misero a
esplorare l’ambiente e quasi inconsciamente notarono un
particolare.
Le due cameriere erano entrate in ascensore con tutto il loro
carrello, le porte si stavano già chiudendo quando con la coda
dell’occhio il commissario notò un gesto, un movimento
particolare di una delle due.
Un lampo nel suo cervello; cos’era quel movimento. Poi
l’intuizione. Un segno di croce, quella donna si stava facendo il
segno della croce.
All’intuizione seguì l’azione. Improvvisamente il resto del
gruppo lo vide lanciarsi verso l’ascensore.
-
Ferme, ferme, polizia.
Le due donne lo guardarono senza muoversi e senza rispondere,
anzi, al commissario parve di vedere sui loro volti un sorriso
beffardo prima che le porte dell’ascensore gli si chiudessero in
faccia.
-
Maledizione, erano due di loro.
Loro chi?
Caterina non aveva capito il perché dell’improvviso agitarsi del
commissario.
-
Due di quelle maledette sorelle, ho visto una delle due
farsi il segno della croce, l’ho capito da quello. Presto
andiamo, scendiamo per le scale. Voi due fatele in salita.
Anche questa volta l’ordine era rivolto ai due agenti.
-
Controllate le scale e i due piani superiori, sono solo
sette i piani di quest’albergo. E controllate anche il
terrazzo, se c’è. Mi raccomando.
I due agenti si lanciarono su per le scale mentre Alberti e
l’agente del FBI iniziarono a correre in discesa.
-
Leonardi mi senti?
Il commissario urlava nel telefonino
velocemente giù dalle scale del Cicerone.
-
mentre
correva
Cos’è successo commissario? Guai?
Due delle sorelle sono qui, hanno addosso il camice
dell’albergo. Una più giovane, carina, bruna l’altra più
anziana, sui quarantacinque, capelli tirati indietro.
Va bene commissario, se sono dirette qui le blocco io.
Adesso chiamo rinforzi e nel frattempo faccio bloccare le
uscite dalla sicurezza interna dell’albergo.
Ottima idea Leonardi. Attento all’ascensore, erano la
dentro l’ultima volta che le ho viste.
Tranquillo commissario, ci penso io. E Adler?
Non lo so, non siamo riusciti a entrare nella stanza.
Speriamo non gli sia successo niente. In attesa dei nostri
manda qualcuno della sicurezza interna a controllare e
digli di restare con lui se lo trova. Sempre fino a quando
arriviamo noi.
Intanto sempre seguito da Caterina che faceva molta meno
fatica di lui il commissario fece una rapida esplorazione di tutti
e quattro i piani sotto di lui, senza risultato.
Alla fine si ritrovarono nella hall con Leonardi che la
presidiava insieme ad altri agenti ormai arrivati.
Alberti fu costretto a riprendere fiato mentre Caterina fresca e
senza il minimo accenno di affanno spiegava quello che era
successo all’ispettore che, intanto, ne ammirava la perfetta
forma atletica.
-
-
Stia tranquillo commissario da qui non escono.
Speriamo Leonardi, mi darebbe parecchio fastidio
essermele fatte scappare da sotto gli occhi.
Evidentemente anche loro hanno un buon servizio
informazioni se sono riuscite ad arrivare qui prima di noi.
Gliel’ho detto che hanno molte amicizie.
La voce di Padre Kolzer era tranquilla come sempre.
-
Tutto bene padre.
Tutto bene commissario, sono solo sceso dalle scale
senza tappe.
Va bene, padre, meglio così. Leonardi notizie di Adler?
Per ora no. Ho mandato su due addetti alla sicurezza
ma non ci hanno ancora fatto sapere nulla.
Proprio in quel momento un uomo con una radio trasmittente si
avvicinò all’ispettore. L’abito nero che indossava e i muscoli
che si indovinavano nascosti sotto l’abito lo qualificavano
subito come uno degli addetti alla sicurezza. Porgendo
l’apparecchio a Leonardi annunciò cupamente:
-
Ispettore, notizie dal quinto piano. Brutte notizie.
Maledizione mi dia quell’aggeggio.
L’ispettore quasi strappò la trasmittente dalla mano dell’uomo.
-
Cos’è successo?
-
Un cadavere ispettore. Nella stanza, sul letto, nudo e
legato c’è il cadavere di un uomo.
Va bene, non toccate nulla, mi raccomando. Adesso
arriviamo.
Restituita la trasmittente al proprietario l’ispettore si voltò
verso il suo capo.
-
-
-
Cosa facciamo commissario?
Chiedi altri rinforzi e blocca tutte le uscite dell’albergo.
Nessuno deve uscire da questo posto. Dobbiamo trovare
quelle due assassine a costo di perquisire le stanze di
questo posto una per una. Chiama il Dr. Stoppani, digli di
venire urgentemente. De Cicco e Maestri?
Stanno già arrivando.
Bene, allora appena arrivano coordina le ricerche con
loro. Io torno al quinto piano. Quel cadavere me lo sento
sulla coscienza.
Non dica così commissario, abbiamo fatto tutto il
possibile.
Forse hai ragione ma non è stato sufficiente. Adesso è
inutile recriminare, pensiamo almeno a prenderle. Anche
per cercare di avere informazioni utili a prendere le altre.
Non mi piace l’idea di avere un gruppo di fanatiche
assassine in caccia nella mia città. Diamoci da fare.
Avvisa gli uomini che stiamo dando la caccia a due
assassine, pericolose e pronte a tutto. Digli di stare attenti,
non voglio altri morti.
Staremo attenti commissario. Sicuro.
Mentre Leonardi iniziava a dare istruzioni tra le proteste del
portiere il commissario seguito da Caterina e dal sacerdote si
diresse verso l’ascensore.
-
Venga pure lei padre, ormai la sua conoscenza del
tedesco non ci serve più ma potrebbe darci una mano a
capire meglio le sue “sorelle”. Devo darle ragione,
bisogna fermarle al più presto.
Attesero l’ascensore in silenzio mentre tutt’intorno a loro c’era
un frenetico andirivieni di persone. Poliziotti, clienti
dell’albergo bloccati e invitati ad aspettare nella hall e nelle
altre parti comuni l’evolversi della situazione. Una situazione di
caos perfettamente controllata dall’esperto Leonardi.
Il commissario si lasciò andare ai suoi pensieri. Quella storia
stava decisamente peggiorando. Tre morti in due giorni, due
assassine in fuga e altre dieci possibili complici da rintracciare.
Senza saperne i nomi e senza conoscerne i volti. In una città
come Roma. Un’impresa disperata.
Arrivato l’ascensore il commissario ci salì sopra seguito dalla
ragazza e dal sacerdote. Quinto piano, a destra. Stanza 507.
Davanti alla porta due addetti alla sicurezza dell’albergo,
inconfondibili nel loro abito nero, sorvegliavano la porta chiusa
della stanza.
-
Sono il commissario Alberti, vi ringrazio per l’ottimo
lavoro che avete fatto. Adesso appena arrivano i miei
agenti potrete tornare ai vostri compiti.
Di niente commissario, dovere nostro.
Avete notato qualcosa quando siete arrivati e nella
stanza.
Niente commissario, appena ci hanno detto di venire qui
ci siamo precipitati, questione di cinque minuti, abbiamo
bussato ma nessuno ci ha aperto. Allora abbiamo deciso
di aprire con la chiave universale e siamo entrati.
Abbiamo visto il cadavere sul letto e, dopo esserci
accertati che nella stanza non c’era nessuno, siamo usciti
senza toccare niente. E da quel momento siamo rimasti
fuori dalla porta senza vedere nessun’altro prima di voi.
Il vigilante aveva appena finito di parlare quando dalle scale
sbucarono le divise di tre agenti che si diressero di corsa verso
di loro.
-
-
Agli ordini commissario.
Bene agente, adesso uno di voi resterà qui di guardia
mentre gli altri due inizieranno a perquisire tutte le stanze
del piano. I due colleghi qui presenti vi daranno una
mano aprendovi le porte. Attenzione a fare un lavoro
preciso, entrate personalmente in tutte le stanze, anche se
protestano e controllate ogni angolo. Ci sono due
assassine in giro e non ci devono scappare. Appena arriva
il dottor Stoppani fatelo entrare. Tutto chiaro?
Tutto chiaro commissario. Stia tranquillo, faremo tutto a
dovere.
Mentre il commissario e Caterina entravano nella stanza gli
agenti e i vigilantes dell’albergo si dividevano seguendo le
istruzioni avute.
All’interno della stanza la scena che si presentò agli occhi dei
due investigatori era molto simile a quella già vista all’hotel
Excelsior.
Il corpo quasi nudo sul letto aveva un sottile rivolo di sangue
che scendeva lento dal piccolo foro proprio all’altezza del
cuore. Solo quel piccolo particolare indicava la presenza della
morte, nessun’altro segno sul corpo e nessuna tensione nel
volto del defunto dottor Adler.
-
Uguale all’altra volta commissario?
Tutto uguale purtroppo e la forma della ferita mi fa
pensare che anche questa volta quelle assassine hanno
-
usato il loro stramaledetto ago. Anzi questa volta non
hanno neanche la scusa che si stesse liberando; guarda, le
mani sono perfettamente legate e il nostro povero dottore
non sembrava avere un fisico da impensierire chiunque.
Avevano semplicemente deciso di ucciderlo dopo aver
ottenuto quello che volevano e l’hanno fatto.
Perché li uccidono?
Per odio, per vendetta, per eliminare possibili testimoni
scomodi o forse solo perché nella loro pazzia ormai si
sentono direttamente investite del potere di giudicare e
giustiziare. Ma non ci importa il perché, noi dobbiamo
solo fermarle. Vieni andiamo anche noi a dare una mano
nelle ricerche, qui non serviamo a nulla e penso che
neanche il medico legale ci potrà fornire niente di più di
quello che già vediamo con i nostri occhi.
Prima che l’agente Foster potesse rispondere e prima che
riuscissero a fare un passo verso la porta il rumore di due spari
li fece scattare.
Muovendosi verso la porta il commissario aveva già estratto il
cellulare dalla tasca e stava chiamando il suo vice.
La risposta non si fece attendere.
-
Pronto commissario.
Leonardi che succede? Dov’è che hanno sparato?
Al primo piano signore.
Scendendo le scale a due gradini per volta il commissario e la
sua compagna arrivarono davanti alla porta del primo piano in
pochi secondi.
Aperta la porta la prima cosa che videro furono le schiene di un
gruppo di agenti che copriva il resto del corridoio.
Appena lo sentirono arrivare gli agenti si spostarono
permettendogli di vedere la scena.
A terra sanguinante da una spalla e da un braccio c’era l’agente
Maestri e a pochi metri da lui due corpi riversi.
Il commissario riconobbe le divise dell’albergo e capì; le due
sorelle assassine erano state fermate, non come lui avrebbe
voluto ma erano state fermate.
In piedi vicino a Maestri l’agente De Cicco che impugnava
ancora la pistola e Leonardi che al cellulare stava chiedendo
urgentemente un’ambulanza.
Alberti aspettò che completasse la chiamata.
-
Cos’è successo?
Fu proprio Maestri da terra che rispose per primo.
-
-
Mi dispiace commissario, è colpa mia. Mi sono fatto
fregare. Io e De Cicco stavamo controllando questo
piano, stanza per stanza. Uscito da una stanza ho visto
una cameriera uscire dalla stanza davanti alla mia,
confesso che non ho pensato subito che potesse essere
una di loro, non credevo potessero essere così fredde da
dividersi e mantenere la stessa copertura. Questo
maledetto albergo è pieno di cameriere con il camice.
Continua Maestri, lascia stare le imprecazioni, ormai
servono a poco.
Mi scusi commissario, ha ragione. Insomma mi sono
avvicinato per chiederle di identificarsi, lei si era fermata
subito dopo la stanza da cui era uscita e io non ho pensato
di pararmi le spalle aspettando De Cicco. L’ho raggiunta
e ho iniziato a parlarci, era tranquilla e mi sorrideva, mi
ha detto che era una cameriera dell’albergo e che, sì,
certo, aveva i documenti. Ha messo le mani in tasca per
mostrarmeli e in quel momento alle mie spalle è sbucata
l’altra che mi ha pugnalato al braccio facendomi cadere la
pistola. Mi sono voltato per il dolore e per cercare di
-
fermare quella furia scatenata e l’altra mi ha colpito alla
spalla. Sono caduto a terra e quelle due assatanate mi
sono saltate addosso per completare l’opera. Ero ormai
convinto che fosse suonata la mia ultima ora quando per
fortuna è arrivato De Cicco. Mi ha salvato la vita.
E tu De Cicco che mi dici?
E’ andata proprio così commissario, cioè io sono uscito
da una stanza che avevo appena finito di controllare e mi
sono trovato davanti questa scena incredibile. Maestri a
terra sanguinante e quelle due donne su di lui pronte a
colpirlo di nuovo. Ho gridato a quelle due sciagurate di
fermarsi ma o non mi hanno sentito o non se ne sono
preoccupate più di tanto. Erano come invasate. Le ho
viste pronte a colpire e non ho potuto fare altro che
sparare. E.... mi dispiace commissario, ho provato a
mirare a punti non mortali ma è successo davvero tutto
troppo in fretta.
La faccia sconvolta dell’agente bloccò la furia del commissario.
Due agenti esperti e preparati farsi sorprendere in quel modo da
due donne, due suore. Poi però Alberti pensò che era
ingeneroso da parte sua. Quelle che lui si ostinava a considerare
solo pie e tranquille donne si erano rivelate delle fredde,
spietate e furbe assassine. Forse sarebbe stato meglio anche per
il futuro ricordarsi di quel particolare.
-
Va bene ragazzi, tranquilli. Avete fatto il possibile,
adesso dobbiamo imparare a non sottovalutare le altre
sorelle. Sono furbe e determinate, pazze ma non sceme.
Leonardi avvisa tutte le volanti e tutti gli uomini in giro.
Massima attenzione e massima prudenza, queste Sorelle
sono pericolose, mortalmente pericolose. E fai
accompagnare Maestri in ospedale prima che si dissangui.
E tu De Cicco, vai pure a casa a riposare. Andiamo
Leonardi si torna in ufficio, dobbiamo trovare subito le
altre persone segnate nella lista di Caterina.
Nel frattempo era arrivata l’ambulanza e i due paramedici dopo
aver tamponato le ferite dell’agente ferito lo avevano portato
via in barella mentre gli agenti si occupavano di coprire i corpi
delle due donne uccise in attesa di un’altra ambulanza che le
portasse via.
Alberti e Leonardi seguiti dall’agente Foster che aveva assistito
silenziosa ma attenta a tutta la scena si diressero verso l’uscita
dell’albergo.
-
Leonardi avvisa Stoppani di avvisarci se rileva qualcosa
di utile dall’esame dei cadaveri e poi raggiungici in
centrale. Mi sembra utile fare una piccola riunione per
valutare quello che è successo e decidere cosa fare. A
proposito il nostro buon Padre Joseph dov’è finito?
Guardandosi attorno il commissario ebbe subito la risposta alla
sua domanda.
Padre Joseph era inginocchiato davanti ai cadaveri delle due
sorelle e le stava benedicendo. Un’idea improvvisa si intrufolò
nella mente del commissario, forse un sospetto.
-
Leonardi controlla nelle tasche di quelle donne. Vedi se
hanno in tasca qualcosa, magari quel mitico foglietto con
la vera profezia di Fatima.
Già fatto commissario, non avevano niente. Forse
l’hanno lasciato in custodia alle loro sorelle o forse è solo
l’ennesima leggenda nata sul segreto di Fatima.
Sempre un passo avanti ispettore, complimenti.
La voce suadente di Caterina, con il suo italiano appena
inquinato da un leggero accento americano e, sopratutto, il
sorriso apparso sul suo volto furono per l’ispettore un raggio di
sole in una giornata troppo buia.
Senza altre parole tutto il gruppo si diresse verso le scale.
Padre Joseph pensò che erano proprio un bel gruppo. Quattro
come i quattro cavalieri dell’Apocalisse, ma loro lottavano per
la pace e la verità.
Il sacerdote maturò una precisa convinzione; insieme sarebbero
riusciti a fermare le sorelle e a salvare la chiesa da un terribile
pericolo.
A volte, pensò, il signore segue strade imperscrutabili e si serve
degli strumenti più impensabili.
Quegli uomini e quella donna senza fede avrebbero servito
sotto le insegne del signore.
Sia fatta la sua volontà, come sempre.
CAPITOLO SETTIMO
Il piccolo convento a est di Roma è uno dei più belli della
capitale. Nel suo cortile interno uno splendido giardino ospita
piante e fiori ordinatamente disposti in piccoli quadrati,
attraversati da stretti sentieri di fine ghiaia. Passeggiare in
quella pace con il solo rumore del pietrisco spostato dal
movimento dei piedi è un piacere immenso.
Per il resto il silenzio accoglie i pochi visitatori.
In quel piccolo convento, protette dalla complicità delle loro
consorelle, avevano trovato rifugio le tredici Sorelle e, proprio
in quel momento, le dieci sorelle superstiti erano riunite nella
sala refettorio, sedute in circolo attorno al grande tavolo
riservato al pranzo in comune.
-
-
Sei sicura sorella Agnese?
Sì Maestra, purtroppo sono sicura. Sorella Elisabetta e
Sorella Letizia sono morte.
Bene sorella, adesso calmati. Le nostre sorelle hanno
pagato con la vita la loro fede come ha già fatto Sorella
Rosa, lo sapevamo già all’inizio che la causa della verità
richiede sacrificio e dolore, dobbiamo spaventarci. Ora le
nostre sorelle riposano in pace tra le braccia della nostra
Santa Madre Maria. La nostra missione è più importante
della nostra stessa vita. E non chiamarmi Maestra,
nessuna di noi è diversa dalle altre. La nostra vera e unica
maestra è morta, era lei che ci parlava per conto della
nostra Santa Madre e ci ha indicato la via da seguire. E
adesso noi che siamo solo le sue umili apostole dobbiamo
solo rispettare la sua volontà e divulgare la verità. Il
mondo ha bisogno di conoscere il vero Segreto di Fatima.
Allora cosa facciamo ora, una breve esitazione, Sorella?
Proseguiamo la nostra opera. Abbiamo altri tre uomini
da cercare e adesso che la polizia e i Custodi sono sulle
nostre tracce tutto diventa più difficile e pericoloso. Ma la
nostra fede ci darà coraggio e forza.
Tutte le sorelle annuirono, la fede era la loro fonte di coraggio.
Per qualche secondo restarono in silenzio, una muta silenziosa
preghiera. Le loro menti e i loro cuori chiedevano forza e
perdono a Dio e alla Beata Vergine. Tutte loro sapevano di
essere in peccato e solo la bontà del loro fine poteva giustificare
le loro azioni.
-
Bene Sorelle adesso è il momento di agire.
Sparpagliatevi per la città, chiedete a tutte le sorelle che
condividono la nostra fede e le nostre speranze di essere i
nostri occhi e le nostre orecchie. Dobbiamo trovare quegli
uomini, soltanto dopo potremo portare avanti con forza le
nostre giuste richieste. Il mondo ha bisogno di questo
cambiamento e gli uomini che si oppongono sono molti e
potenti e abbiamo bisogno di argomenti convincenti per
vincere le loro resistenze. A molti di loro non bastano le
sacre parole della nostra venerata Suor Lucia di Coimbra.
Abbiamo bisogno di altro. E lo troveremo. Tutte le nostre
forze saranno spese per la nostra missione. E se
dovessimo morire nel tentativo sono sicura che il Signore,
nella sua immensa bontà e con l’intercessione della Santa
Madre, ci concederà il perdono.
Senza altre parole le Sorelle si prepararono a eseguire gli ordini
della loro consigliera e guida.
CAPITOLO OTTAVO
-
Padre Joseph quel poliziotto è di nuovo qui.
Nel salone dell’università Alberti non notò l’uomo vestito di
grigio che telefonava. La mano libera accarezzava
nervosamente la base del collo come a cercare qualcosa che
doveva esserci e non c’era.
Padre Sebastian si sentiva quasi nudo senza il suo collarino
bianco.
-
Cosa sta facendo?
Per ora è in fila davanti al gabbiotto di quella ragazza.
La stessa dell’altra volta?
-
-
Sì padre la stessa.
Va bene scopriremo dopo se quella ragazza ha qualche
importanza, adesso stai solo attento a dove va, se torna a
parlare con Testori fammelo sapere. Quel professore è
troppo informato e sa troppe cose; a volte studiare molto
può essere pericoloso. Seguilo e cerca di scoprire cosa
vuole sapere da Testori. Io ti mando subito Padre Raphael
che terrà d’occhio la ragazza.
Va bene Padre Joseph, stia tranquillo non lo perderò di
vista.
Il commissario era troppo impegnato a seguire i suoi pensieri e
a guardare la ragazza dentro il gabbiotto per accorgersi
dell’uomo che lo osservava.
La fila era piuttosto lunga e nonostante la cortesia e l’efficienza
di Anna ci sarebbe voluto un pò di tempo.
La decisione di tornare a parlare con Testori l’aveva presa dopo
una lunga, infruttuosa notte, passata con Leonardi, Caterina e
Padre Joseph.
Dopo l’omicidio di Adler e l’uccisione delle due sorelle erano
tornati in ufficio per tracciare un piano d’azione. Avevano tre
nomi di persone da proteggere e dieci aspiranti assassine libere
per le strade. E poco altro sapevano.
L’elenco di possibili rifugi delle sorelle portato dal sacerdote
comprendeva più di trecento indirizzi tra conventi, collegi e
pensionati vari gestiti da suore o simili. Centinaia di posti che
per essere controllati appena decentemente avrebbero richiesto
l’impiego di decine di uomini per settimane.
I documenti contenuti nella pen drive ritrovata sui vestiti delle
due sorelle comprendevano, come il primo, centinaia di fogli di
relazioni scritte dal medico. Li avevano stampati e sfogliati
velocemente senza capirci molto. E comunque anche se
contenevano il motivo scatenante della follia omicida di quelle
donne non potevano certo essere d’aiuto nella loro ricerca.
Le tre possibili vittime non si trovavano, negli alberghi di
Roma non erano registrate e stavano ancora controllando per
accertarsi della loro venuta a Roma. Magari avevano cambiato
idea all’ultimo minuto e avevano deciso di non venire. Con
l’aiuto dell’Interpol stavano cercando di rintracciarli per
avvisarli del pericolo e per avere il loro aiuto.
Il commissario rilesse per l’ennesima volta i nomi scritti sul
foglio, quasi sperando di avere una illuminazione solo
rileggendoli.
Lucien Bernaud, Lione, Francia.
Kurt Wermayer, Stoccarda, Germania
Paul Heffner, Londra, Inghilterra.
Se quegli uomini erano a Roma dovevano trovarli prima delle
sorelle.
Padre Joseph si era mostrato molto addolorato, come
rappresentante della Chiesa si sentiva in colpa per le
conseguenze tragiche derivate dalla fuga delle Sorelle ma non
aveva nessun’altra informazione utile da dare.
Caterina Foster aveva allertato i suoi colleghi del FBI e chiesto
la loro collaborazione per attivare tutte le fonti di informazione
presenti sul territorio della città ma con poche speranze.
L’ispettore Leonardi aveva contattato tutti gli informatori che
conosceva e strigliati per bene ma anche da quella parte si
aspettavano poco.
Le Sorelle si muovevano su un terreno diverso, sconosciuto ai
soliti spioni di cui si serviva la polizia.
Il mondo delle Sorelle era fatto di silenzi e segreti custoditi
gelosamente e invisibili a tutti.
E Roma era molto grande, troppo grande.
Leonardi pensò che veramente si poteva dire, visto il caso, che
stavano cercando il classico ago in un pagliaio, con una
differenza non da poco.
Il pagliaio era grande come un’intera città.
E adesso era lì in università per rintracciare e parlare con il
professor Testori, sperando che almeno lui potesse dargli
qualche informazione utile.
E nel frattempo ne avrebbe approfittato per rivedere Anna,
unire l’utile al dilettevole non è un male.
La ragazza indossava, naturalmente, la stessa divisa rossa
dell’altra volta ma in quella bella giornata di Maggio aveva
deciso di tenere i capelli sciolti. E la scelta era molto azzeccata,
pensò il commissario.
Era ancora più bella e sembrava ancora più giovane.
Era difficile pensare che quella ragazza potesse già essere
mamma di un bel bambino di tre anni.
Alla fine arrivò il suo turno.
-
Ciao Anna, tutto bene?
Salve commissario, io sto bene. E lei?
Diciamo molto impegnato. Scusa se ti disturbo di nuovo
ma cerco ancora il professore. Sono passato dal suo
studio ma è chiuso, puoi dirmi tu dove posso trovarlo?
Adesso ci provo.
Abbassando la testa la ragazza si era concentrata nello studio
delle sue carte e, dopo aver girato qualche foglio e cercato con
un dito sulle pagine si era soffermata su un punto.
-
Mi dispiace dirglielo commissario ma c’è da aspettare.
Oggi è giorno d’esame per il professore e ha appena
iniziato. In aula P30 comunque. Se vuole può trovarlo lì.
Il commissario guardò l’ora; erano appena le nove e trenta.
-
Grazie, provo a cercarlo. Arrivederci.
Seguendo le indicazioni il commissario raggiunse l’aula
indicata da Anna.
Che freddezza, pensava nella sua testa, davvero fredda. Era
ripassata al lei e non gli aveva rivolto neanche un sorriso.
Peccato davvero perché lui invece al solo rivederla si era
sentito un piacevole rimescolio, una sensazione che da
parecchio tempo non sentiva più e, nonostante la situazione, si
era sentito contento di essere lì. Comunque inutile pensarci.
Finita prima ancora di iniziare.
Sulla porta dell’aula c’era la solita finestrella. Il commissario ci
guardò dentro.
Nell’aula c’erano seduti una dozzina di studenti in attesa di
essere esaminati.
Il professor Testori, seduto alla cattedra, era già impegnato con
uno studente.
Il commissario decise di adottare la stessa tattica della prima
volta. Entrò nell’aula dalla porta posteriore per farsi vedere dal
professore. Magari vedendolo gli avrebbe concesso qualche
minuto. Al giovane commissario non piaceva molto l’idea di
disturbare l’esame e quei poveri ragazzi ma era troppo
importante per lui cercare di avere notizie e informazioni utili,
aveva degli uomini da salvare e delle assassine da prendere.
Fece come aveva detto e al rumore della porta che si chiudeva
il professore alzò la testa e lo vide. Solo un brevissimo cenno di
saluto.
Il commissario si sedette paziente già rassegnato a una lunga
attesa.
Dopo aver completato l’esame del primo studente e tutte le
operazioni di registrazione il professore si alzò in piedi.
-
Ragazzi facciamo una brevissima pausa, due minuti.
Dopo aver tranquillizzato gli studenti il professore si era
avvicinato al commissario.
-
Buongiorno commissario, di nuovo qui? Ha ancora
bisogno di me?
Eccome professore, parecchio bisogno. Posso dire senza
esagerare che lei è la mia ultima speranza.
Caspita commissario, la situazione è grave allora.
Guardi io capisco la sua situazione però, davvero, non
posso dedicarle tempo adesso. Se rimando l’esame, e non
sarebbe giusto per i ragazzi, poi mi diventa davvero
difficile fissare un’altra data, sa, problemi di aule e
impegni vari. Però se lei ha pazienza di aspettare,
diciamo, un paio d’ore, poi sarò a sua disposizione. Che
ne dice?
Alberti non aveva molto da dire; il professore aveva ragione.
Poteva solo aspettare.
-
-
Va bene professore, aspetterò. Faccia pure tutto quello
che deve fare, quando avrà finito io sarò qui.
Bene commissario, allora io torno ai miei ragazzi. Anzi
facciamo così, per lei è inutile perdere tempo qua dentro,
mi dia il suo cellulare, io appena mi libero la chiamo e ci
vediamo nel mio studio. Che ne dice?
Mi sembra un’ottima idea. Ho avuto una notte lunga e
pesante e non ho ancora fatto colazione. Approfitterò del
tempo a disposizione per riprendermi. Le do il mio
numero e la lascio ai suoi studenti.
Dopo aver dettato il suo numero al professore Alberti lo salutò
e uscì dall’aula.
Fuori il solito via vai di studenti. Le università non cambiano
mai, pensò Alberti.
Tirato fuori il cellulare chiamò Leonardi.
-
-
-
Novità particolari?
Nessuna commissario. Abbiamo messo in allarme tutte
le volanti e tutti gli agenti in servizio. Abbiamo anche
chiesto la collaborazione ai carabinieri e ai vigili urbani.
Tutti ci stanno dando una mano ma siamo al punto di
partenza. Troppi posti da controllare e troppe persone in
giro per Roma. E non avendo nessuna traccia precisa
possiamo solo fare domande troppo generiche. Abbiamo
anche contattato le polizia di Francia, Germania e
Inghilterra per chiedere di fare accertamenti sui nostri
uomini. Se non sono a Roma magari li trovano loro.
Bisogna avvisarli e magari possiamo scoprire qualcosa di
utile. E lì ha saputo qualcosa di utile?
Per ora niente Leonardi. Il professore è impegnato con
una seduta d’esame e mi ha rimandato a dopo. Perciò
sono in giro a non fare nulla ma visto che anche lì non ho
molto da fare resto qui sperando che il professore si liberi
in fretta. Intanto vado a mangiare qualcosa e bere un
caffè. Se ci sono novità avvisami subito.
Va bene commissario.
Spento il telefonino il commissario si stava guardando intorno
per cercare un’uscita. Il bar degli studenti non lo attirava,
preferiva cercarne uno nei dintorni dell’università. La voce
gioviale lo sorprese.
-
Allora commissario, le va di offrire un caffè anche a
me?
Mentre si voltava aveva già riconosciuto la proprietaria della
voce.
Anna che bella sorpresa. Un caffè glielo offro più che
volentieri, del resto la buona compagnia è uno dei requisiti
fondamentali di un buon caffè.
-
E gli altri quali sono?
Caldo e comodo. Come dicono i miei colleghi
napoletani.
Mi pare giusto. Allora andiamo, posso permettermi solo
una piccola pausa. Bar degli studenti o andiamo fuori?
Mi affido a lei.
Allora visto che sei un intenditore andiamo fuori. Ah, a
proposito, possiamo tornare a darci del tu? Prima sono
stata troppo formale ma sai questo è un ambiente molto
formale e i miei colleghi hanno la lingua troppo lunga. Se
ti va e mi scusi torniamo al tu. Ti va?
L’ultima domanda era stata posta accompagnata da un sorriso
così spontaneo e simpatico da far dimenticare al commissario
tutta la freddezza di pochi minuti prima.
-
Caspita se mi va . Andiamo signora Anna se il tuo caffè
è buono come la pizza dell’altra volta ti meriti anche di
più del tu.
Bene commissario, mi segua.
Ridendo e chiacchierando i due uscirono dall’università senza
accorgersi di essere seguiti da due uomini vestiti di grigio.
Seduto al bar con Anna il commissario dimenticò
completamente tutto il resto. La voce e la risata della ragazza
quasi lo ipnotizzarono. Parlarono e parlarono come se si
conoscessero da una vita.
Anna gli raccontò della sua vita normale da giovane studentessa
rivoluzionata e sconvolta dalla gravidanza inaspettata, della sua
scelta di tenere il bambino nonostante il parere contrario del
suo ragazzo e di quasi tutti gli altri, esclusa sua madre che
l’aveva invece sostenuta nella scelta di farlo nascere e che da
quel momento l’aveva sostenuta e aiutata in tutti i modi, anche
economicamente, per farla continuare a studiare.
Suo padre era morto in un incidente già da alcuni anni.
Poi gli disse della fortuna di aver trovato un lavoro proprio
all’università e di come questo le avesse facilitato le cose.
Tutto questo raccontato serenamente e con il sorriso. Solo per
un attimo le vide un accenno di tristezza nello sguardo, quando
stupidamente le chiese del padre del bambino. Mai più visto, fu
la risposta secca di Anna.
Lui le raccontò di come avesse abbandonato le aule di tribunale
per entrare in polizia, per passione e per sentirsi utile. Di come,
a volte, gli pesava molto quel suo lavoro e di quante altre volte,
invece, gli procurasse tanta soddisfazione.
Le raccontò della sua vita a Roma con tanti amici, visti poco
ma veri, e tante storie finite troppo presto.
Tra loro si era stabilita una atmosfera di spontaneità e intimità
davvero bella.
A un certo punto Anna guardando l’orologio si mise in
agitazione.
-
Povera me, la mia collega mi ucciderà quando torno.
Siamo qui da quasi un’ora. Mi dispiace ma devo proprio
andare.
Il commissario si stava alzando in piedi anche lui per
accompagnare Anna al suo posto quando lo squillo del
telefonino lo bloccò. Sul visore comparve il nome di Leonardi.
-
Dimmi Leonardi cosa c’è? Novità?
Mentre parlava al telefono Alberti cercava di rispondere al
saluto di Anna che con un cenno della mano, silenziosamente,
lo stava salutando.
Il commissario però aveva un’ultima cosa da chiederle.
-
Leonardi aspetta un attimo, sono subito da te.
Poi coprendo il cellulare con una mano si rivolse alla ragazza.
-
Anna scusami ma è una cosa importante, davvero.
Non
preoccuparti,
stai
tranquillo.
Capisco
perfettamente. Ti saluto, magari ci rivediamo presto visto
che sei sempre in giro in questa università.
Si magari, però non potresti darmi almeno il tuo
cellulare?
La richiesta del commissario rimase sospesa tra loro. Si vedeva
che Anna era indecisa tra la voglia di accontentarlo e i suoi
timori. Poi la voce di Leonardi al telefono costrinse il
commissario a tornare al suo dovere.
-
Va bene Leonardi, ci sono. Cos’è successo?
Commissario abbiamo scoperto che i tre che stiamo
cercando sono a Roma, abbiamo rintracciato i loro voli di
arrivo. Però...
Però?
Parlando con il suo vice Alberti continuava però a tenere lo
sguardo su Anna che lo guardava indecisa.
-
-
Però il problema è che non risultano registrati presso
nessun albergo di Roma. Sono spariti nel nulla, per ora.
L’unica possibilità di rintracciarli è domani mattina al
convegno. Lì dovrebbero esserci.
Va bene Leonardi, allora domani saremo al convegno
anche noi.
Mentre Alberti parlava con il suo vice Anna aveva aperto la sua
borsa e ne aveva estratto una penna e con quella aveva scritto
qualcosa su un pezzo di carta. E quel pezzo di carta adesso
stava passando al commissario impegnato al telefono. Poi con
un sorriso e un ultimo ciao con la mano Alberti la vide
allontanarsi. Ma sorrise vedendo scritto sul pezzo di carta un
numero di cellulare. Riuscì a riportare la sua attenzione al
telefono.
-
-
Allora Leonardi io resto qui in attesa che il professore
mi chiami, tu continua a tenere gli uomini pronti e
all’erta. Appena finito ci vediamo in ufficio. Caterina è lì
con te?
Sì commissario, anche lei sta muovendo le sue
conoscenze, ma ancora senza risultato.
Allora sei anche in buona compagnia, vi raggiungo
appena posso. A dopo.
Conclusa la telefonata Alberti si concesse qualche minuto di
tranquillità, del resto non aveva altro da fare.
Il foglietto con il numero di Anna in mano gli procurava uno
strano senso di gioia mentre continuava a guardarlo fino a
imparare il numero a memoria dopo averlo comunque
memorizzato sul suo telefonino.
Poi riposto il piccolo pezzo di carta nel portafoglio, piegato con
cura, si sforzò di tornare ai suoi problemi.
Da qualsiasi parte si guardasse la faccenda era complicata.
Poche informazioni e poche tracce da seguire. Il commissario
cercava una illuminazione che non arrivò mentre invece ad
arrivare fu la telefonata del professore. In anticipo rispetto ai
tempi previsti.
-
Commissario sono io, Testori. Io avrei finito e sto
andando nel mio studio. L’aspetto?
-
Certamente professore, sarò da lei in cinque minuti.
Grazie.
Bene pensò Alberti andiamo a sentire quello che ne sa il
professore di queste Sorelle.
In pochi minuti il commissario raggiunse lo studio del
professore che lo aspettava seduto dietro la scrivania con la
porta aperta.
-
Venga commissario, venga pure.
La stanza sembrava, se possibile, ancora più stracolma di libri
della prima volta. Molti erano ancora chiusi nell’involucro di
protezione e altri erano stati appoggiati aperti, come a non voler
perdere il segno.
-
Prego commissario, si accomodi.
La mano del professore indicava l’unica sedia libera della
stanza e lì si accomodò Alberti dopo aver chiuso la porta della
stanza.
-
Allora commissario, cosa vuole chiedermi stavolta.
Il professore si era appoggiato all’indietro sulla sedia e aveva
incrociato le dita davanti al mento, comodo e concentrato era
pronto a prestare tutta la sua attenzione al commissario.
Alberti decise di venire subito al sodo.
-
Cosa ne sa del Segreto di Fatima?
Il viso del professore si corrucciò leggermente e per un attimo il
suo solito sorriso si attenuò. Prese qualche attimo di riflessione
poi si decise a parlare.
-
Sarò sincero con lei commissario. Io ritengo il così detto
Segreto di Fatima una delle bufale più grosse dell’ultimo
secolo. Anzi le dirò di più. Per me il Segreto di Fatima è
una specie di grossa operazione di marketing della chiesa.
Per quasi cento anni si è spacciato un testo banale e forse
manipolato come una specie di avvertimento divino sulle
sorti future dell’umanità. Lo stesso fatto di averlo
divulgato a pezzi e nei momenti ritenuti opportuni la dice
molto lunga sulle intenzioni delle gerarchia cattolica.
Tenere il mondo in ansia e con l’attenzione puntata sulla
chiesa. Un trucco e una messinscena. Fatti bene, lo
ammetto, ma troppo spudorati per ingannare un vecchio
marpione come me. Effetti speciali a tutto beneficio del
popolino superstizioso.
La tirata del professore sorprese il commissario.
-
Mi scusi professore ma mi ha sorpreso, proprio lei, uno
studioso e appassionato di religioni mi parla così di uno
dei testi più studiati e venerati della Chiesa.
Proprio perché sono uno studioso serio certe cose mi
fanno andare su tutte le furie. Vede commissario nella
storia delle varie chiese e religioni esistono testi e autori
che hanno veramente scritto pagine importanti e
significative. Parole di verità e saggezza che, se
adeguatamente divulgate, potrebbero essere da guida per
l’intera umanità e potrebbero servire a cambiare questo
nostro sgangherato mondo. Parole così uguali nella
diversità di fede da far capire anche quanto le varie
religioni siano più simili e vicine di quanto si creda o si
vuole far credere. Messaggi che invitano alla pace e alla
fratellanza universale lanciati da profeti e messia in ogni
parte del mondo. Questi sono i veri segreti da svelare al
mondo se vogliamo averla vinta sulla violenza, i
terrorismi e le guerre. E invece la Chiesa si rifugia su
rivelazioni ad effetto e di tipo cinematografico per tenere
milioni di
persone soggiogate e passive. Allora
commissario io non ci sto, con tutto il rispetto per la
Santa Madre Chiesa e i suoi notabili io non ci sto.
Le violente parole dello studioso, anche se pronunciate con
calma e pacatezza, fecero calare nella stanza un momento di
imbarazzo.
I due uomini si guardarono per qualche minuto in silenzio.
Pur essendo così diversi e impegnati in modo differente si
sentivano molto simili, entrambi a modo loro impegnati nello
sforzo di portare un minimo di giustizia e verità nel mondo.
Una corrente di simpatia reciproca riempì la stanza.
Fu il professore a riprendere il discorso.
-
-
-
Commissario mi devo scusare, mi sono lasciato
prendere dalla mia solita vena polemica. Lei viene qui a
chiedere informazioni e io mi lancio in una stupida
dissertazione teorica. Immagino che i suoi problemi siano
già abbastanza gravi senza doversi sorbire una lezione di
Religioni Comparate.
Non si preoccupi professore, capire un pò di più la
mentalità religiosa mi è certamente di aiuto. Comunque
se ho ben capito, secondo lei, il Segreto di Fatima non
nasconde in realtà nessun segreto e non merita tutta
l’attenzione avuta?
Esatto commissario, molto fumo e niente arrosto, o più
shakespirianamente, molto rumore per nulla.
Ho capito professore. Posso farle un’altra domanda?
Certo commissario, a questo punto sono in debito con
lei. Dica pure.
-
Devo solo farle una preghiera prima. Deve promettermi
che non parlerà con nessuno di quello che le dirò? Anche
per la sua sicurezza.
Caspita commissario, adesso mi ha davvero incuriosito
e, anche, un pò preoccupato. Stia tranquillo non farò
parola con nessuno di quello che mi dirà. Glielo
prometto.
Dopo un ultimo momento di riflessione Alberti formulò la sua
domanda.
-
Ha mai sentito parlare delle Tredici Sorelle?
La sorpresa e la perplessità si disegnarono sul volto
dell’anziano studioso.
-
-
-
Le Tredici Sorelle? Mi coglie davvero di sorpresa caro
commissario. In tutti i miei anni di studio non ho mai
sentito parlare di nessun gruppo religioso o setta con
questo nome. E chi sarebbero?
Questo non posso dirglielo, posso solo dirle che sono
molto pericolose. Faccia conto di non aver mai sentito la
mia domanda e trattenga la sua curiosità. Le prometto che
quando questa storia sarà finita le racconterò tutto quello
che potrò su queste donne. Fino ad allora eviti di parlarne
e di interessarsi a loro. Va bene professore?
Certo commissario, stia tranquillo, capisco da come lei
ne parla che è veramente preoccupato e io seguirò il suo
consiglio. Nessuna parola e nessuna ricerca. Promesso.
Bene professore, la ringrazio ancora della sua
gentilezza. Adesso però mi scusi ma devo proprio andare.
Si figuri commissario capisco che lei ha sicuramente un
brutto lavoro da svolgere. Approfitti di me tutte le volte
che vuole.
-
Grazie ancora professore. La saluto.
I due uomini si erano alzati in piedi e dopo essersi scambiati
una stretta di mano il professore aveva accompagnato il suo
giovane amico alla porta.
Lo sguardo del professore seguì il commissario lungo il
corridoio che portava agli ascensori. L’ultimo pensiero del
professore quando vide le porte dell’ascensore chiudersi alle
spalle del giovane fu: “speriamo che Dio aiuti quell’uomo”.
Poi lo studioso rientrò nel suo studio chiudendosi al porta alle
spalle.
Nessuno dei due aveva fatto caso all’uomo vestito di grigio che,
seduto qualche metro più indietro, li aveva osservati facendo
finta di leggere un libro.
E che subito dopo aver visto il commissario andare via si era
affrettato a telefonare. Due telefonate, una brevissima.
-
Attento sta scendendo, seguilo.
L’altra telefonata più lunga.
-
Padre Joseph, sono di nuovo all’università Il poliziotto
ha parlato di nuovo con quel professore. Cosa faccio?
Resta lì e sorveglialo. Quell’uomo potrebbe essere
pericoloso. Non perderlo di vista un attimo. E Padre
Raphael?
Gli ho detto di seguire il commissario. Ho fatto bene?
Benissimo, vi mando subito qualcun’altro a darvi un
aiuto.
Senza altre parole i due uomini misero fine alla telefonata.
CAPITOLO NONO
Uno dei tre uomini che la polizia di tutta Roma stava cercando,
il serio e stimato professore dell’Università di Lione, Lucien
Bernaud, era tranquillamente e beatamente sdraiato su un
comodo letto di un piccolo appartamento situato nel più
popolare dei quartieri di Roma.
L’idea dell’appartamento era stata di Brigitte. Aveva fatto tutto
lei, proprio tutto. Quando aveva deciso di venire anche lei a
Roma con lui, al congresso, si era occupata di tutto.
Aveva cercato l’appartamento in Internet, l’aveva prenotato e
pagato con la sua carta di credito. Poi gli aveva fatto la
sorpresa.
Lei odiava gli alberghi, aveva detto, meglio, molto meglio e
molto più romantico un piccolo appartamentino tutto per loro in
uno dei posti più belli e più caratteristici di Roma. E così eccolo
lì.
Brigitte, il pensiero della ragazza procurava all’uomo, ogni
volta una scarica di desiderio, e un minimo senso di colpa.
Brigitte era la figlia ventenne di una coppia di suoi amici, più
amici di sua moglie per la verità. La ragazza gli era stata
mandata in cura proprio dai suoi genitori che l’avevano pregato
e scongiurato di fare qualcosa per guarire la loro giovane figlia
da una grave forma di depressione. E lui, illustre psichiatra, alla
non più giovane età di sessanta anni, si era invaghito di quella
ragazzina.
Certo non era facile resistere a Brigitte. Alta, snella e con un
viso e un corpo da far perdere la testa a chiunque. E lui non era
riuscito a resistere alle avance e alle proposte sempre più
evidenti della ragazza.
Aveva cercato di rifugiarsi nelle professionalità, lui sapeva
benissimo che la ragazza cercava in lui solo un sostituto della
figura paterna, che il desiderio che lei provava per lui era
dovuto al transfert e a un complesso di Edipo irrisolto, sì certo,
tutto vero e tutto risaputo. Ma, quando lei si era apertamente
offerta con il suo corpo nudo e con tutta la sua energia e la sua
passione giovanile lui non ce l’aveva fatta a resistere. La sua
professionalità, la sua razionalità e tutta la sua esperienza
medica erano stati cancellati dal desiderio che quel corpo gli
scatenava. Desiderio che ormai da molti anni non provava e che
mai avrebbe pensato di poter riprovare, non con quella intensità
e quella foga. Si era ritrovato a fare l’amore con Brigitte con la
stessa energia e la stessa forza di tanti anni prima, quando era
molto più giovane. Il corpo di quella ragazzina era in grado di
fargli ritrovare lo slancio della sua giovinezza, quasi intatto.
E così quando lei gli aveva proposto, quasi imposto, di andare a
Roma con lui per avere qualche giorno tutto per loro, si era
fatto convincere, con ben poca resistenza doveva ammettere.
E adesso era lì a Roma da tre giorni, tre giorni passati a girare
per le strade della città e a fare sesso.
Brigitte era scatenata, una vera macchina del sesso. Ancora si
meravigliava delle fantasie e delle improvvisazioni di cui era
capace quella ragazza dal viso angelico e dallo sguardo triste. A
letto Brigitte si trasformava. Tutta la sua compostezza e la sua
riservatezza venivano spazzate via da una frenesia sessuale
incredibile. E ora che avevano tempo a disposizione lui iniziava
a risentirne. La sua età si faceva sentire ma lei era sempre
capace di riaccendere il suo desiderio. Bene si disse il
professore, meglio morire per un attacco di cuore durante una
bella scopata che in qualsiasi altro modo. Ma non sarebbe
morto di un attacco di cuore.
Il rumore della porta che si apriva non lo scosse dal suo torpore.
Brigitte è tornata, pensò. Avevano fatto l’amore appena svegli e
lei l’aveva convinto, con un sistema molto piacevole, a non
andare alla presentazione del convegno.
Poi dopo averlo fatto ed essersi riposata qualche minuto
Brigitte gli aveva sussurrato all’orecchio di rimanere a letto e di
non muoversi, che lei sarebbe scesa a prendere qualcuno di quei
favolosi cornetti caldi che si trovavano nel bar sotto casa per
fare colazione. E poi dopo voleva fare di nuovo l’amore. Il
professor Bernaud non era sicuro che sarebbe bastato fare
colazione per riuscire di nuovo a soddisfare la voglia della
ragazza ma intanto si godeva il meritato riposo e si pregustava
il possibile seguito.
Magari Brigitte gli avrebbe concesso un piccolo antipasto
prima della colazione. Le piaceva molto baciarlo e leccarlo
mentre lui era a letto con gli occhi chiusi, perciò pensò bene di
rimanere immobile e di non aprire gli occhi quando sentì i passi
avvicinarsi. Solo un piccolo sorriso sul suo volto rivelava che
non stava affatto dormendo.
Quando il grosso ago si infilò nel suo cuore, spezzandolo
definitivamente, il sorriso si tramutò per un attimo in una
smorfia di dolore. La mano posata sulla sua bocca gli impedì
anche di lanciare un ultimo urlo.
Il professore non l’avrebbe mai saputo ma a condannarlo era
stata la signora Giovanna, certo involontariamente e
innocentemente, ma era stata proprio la grassa signora addetta
alle pulizie dell’appartamento a rivelare il suo nascondiglio
d’amore.
La signora Giovanna faceva le pulizie nell’appartamento per
arrotondare la bassa paga che prendeva come dipendente
dell’impresa di pulizia Fulgor.
Tra i tanti stabili che la Fulgor curava c’era anche la Clinica
Sacro Cuore di Gesù, una piccola clinica privata situata al
centro di Roma.
Ed era stato proprio durante il turno nella clinica che la signora
Giovanna aveva raccontato, con un certo disgusto, di quel
vecchio e distinto signore che si era portato a Roma una
ragazzina che poteva benissimo essere sua figlia se non sua
nipote. La capo sala della clinica, Suor Angelica, si era subito
mostrata molto interessata al racconto della donna delle pulizie
e quando la signora Giovanna le aveva riferito il nome
dell’uomo, sbirciato dal passaporto appoggiato sul comodino,
la suora si era subito precipitata al telefono. E aveva passato
l’informazione. Poverina certo non poteva immaginare per
quale motivo era stato chiesto a tutte loro di rintracciare
quell’uomo, e se l’avesse saputo, forse, neanche la sua
abitudine alla fedeltà e all’obbedienza sarebbe bastata a farle
compiere quel gesto. La vita è sacra.
Fu Brigitte a trovare il corpo senza vita e furono le sue urla a
far accorrere nell’appartamento la portinaia dello stabile che,
vista la scena, si era subito portata via la ragazza dopo aver
chiuso la porta dell’appartamento.
La signora Rosa, la portinaia, non ebbe neanche bisogno di
telefonare alla polizia, visto che appena scesa dalle scale e
uscita in strada per chiamare aiuto si era ritrovata davanti al
portone una volante della polizia.
I due agenti dell’equipaggio, l’agente Fiore e il vice brigadiere
Altamura ci misero qualche secondo a capire quello che la
signora Rosa stava dicendo, anche perché molta della loro
attenzione era rivolta alla bella ragazza che piangeva tra le
braccia della portinaia. Ma alla fine le parole morto ammazzato
fecero effetto. I due poliziotti salirono in fretta le scale,
l’appartamento era all’ultimo piano e senza ascensore, così alla
fine della loro salita i due poliziotti avevano entrambi il fiatone
e ci misero qualche secondo a riprendere fiato. La porta
dell’appartamento era rimasta aperta e già dall’uscio aperto si
riusciva a scorgere il letto disfatto sul quale giaceva senza vita
il corpo dell’uomo. I due agenti entrarono nel minuscolo
appartamento, una sola camera che fungeva da soggiorno-letto,
un piccolo bagno e un minuscolo angolo cottura. Tutto era
pulito, l’angolo cottura immacolato e il piccolo bagno, anche se
ingombro di tutto il necessario per un lungo soggiorno, era
ordinato e lindo. Uno dei due agenti dedicò la sua attenzione a
ispezionare velocemente il posto mentre l’altro, il più anziano e
alto in grado, si fermava davanti al letto a constatare la morte
dell’anziano uomo sdraiato nudo sulle lenzuola. Poi dopo
essersi scambiati uno sguardo i due agenti si misero al lavoro.
L’agente Fiore richiedendo telefonicamente l’intervento di
un’ambulanza mentre il vice brigadiere Altamura si prese il
compito di guardare i documenti poggiati sul comodino davanti
al letto. Prima gli capitò tra le mani il passaporto della ragazza,
Brigitte Anzieu, venti anni, francese, bella ragazza. Il pensiero
gli venne spontaneo guardando la bella foto che riempiva il
documento e ricordando con un pensiero veloce la bella figliola
che aveva intravisto piangere tra le braccia della signora Rosa.
Il vicebrigadiere dedicò qualche attimo in più a rimirare la foto
della ragazza prima di rivolgere il suo impegno e la sua
attenzione all’altro documento.
Lucien Bernaud, era il nome dell’uomo morto sul letto.
Nonostante la foto fosse di qualche anno prima non c’erano
dubbi. Aveva il volto dell’uomo proprio davanti e non poteva
sbagliarsi. Sessant’anni, francese, medico diceva il documento
e vecchio porco aggiunse lui. Farsela con una ragazzina di
vent’anni, pensò il poliziotto non gli aveva portato fortuna.
Magari un fidanzato geloso l’aveva beccato e fatto fuori. Diede
un’altra occhiata veloce al documento e rilesse il nome del
morto. Lucien Bernaud, questa volta il nome gli disse qualcosa.
L’aveva già sentito quel nome, cavolo, l’aveva già sentito.
-
Fiore, cazzo, dove hai messo la lista di quelle persone
da cercare con assoluta priorità?
Quei tre stranieri? L’ho lasciata in macchina. Perché?
Senza rispondere il vicebrigadiere si precipitò nelle scale.
Adesso era quasi sicuro che il morto che avevano trovato era
uno degli uomini che tutta la polizia della città stava cercando.
E se era così gli conveniva muoversi alla svelta e avvisare
subito chi di dovere.
Davanti al portone la portinaia che ancora teneva tra le braccia
la ragazza, Brigitte, si ricordò il poliziotto, che però aveva
smesso di piangere, notò, cercò subito di farsi dare notizie
dall’agente.
-
Brigadiere, allora, che è successo? Che mi dice? Devo
avvisare il proprietario?
Ma il vicebrigadiere Altamura era troppo preso dai suoi
problemi per risponderle. Senza una parola di risposta alla
portinaia si catapultò a leggere i nomi scritti sulla cartellina
poggiata sul sedile della volante.
Lucien Bernaud, era il primo dei tre nomi contenuti nella lista.
Immediatamente il poliziotto si mise in contatto con la centrale
e comunicò via radio il ritrovamento del cadavere, fornendo i
particolari e l’indirizzo.
Dopo pochissimi minuti la radio della volante crepitò.
-
-
-
Altamura, Altamura, sono il commissario Alberti.
Rispondi.
Pronto commissario, sono Altamura. Mi dica.
Brigadiere mi ascolti bene; adesso le mando subito
rinforzi. Isolate il posto, non fate avvicinare nessuno e
controllate il palazzo dappertutto. Se nella stanza c’è un
computer o qualcosa di simile controlli, se è spento lo
prenda in custodia personalmente, se invece è acceso non
lo tocchi e lo faccia sorvegliare attentamente. Tenga tutti i
testimoni a disposizione e faccia convocare il proprietario
dell’appartamento. Sono stato chiaro?
Chiarissimo commissario stia tranquillo. Sarà fatto tutto
come ha detto.
Bene brigadiere; un’ultima cosa. Si è fatto un’idea di
come è stato ucciso il professo Bernaud? Secondo la sua
esperienza.
Guardi penso che è stato ucciso con un’arma appuntita,
molto sottile che gli ha trafitto il cuore. Un colpo secco e
preciso. E’ uscito pochissimo sangue. Potrei sbagliare ma
ne sono quasi certo.
Bene brigadiere, probabilmente non si sbaglia. Ha avuto
buon’occhio. La ringrazio e ci vediamo tra pochissimo.
Grazie commissario, a sua disposizione.
La comunicazione venne chiusa prima ancora che il brigadiere
avesse finito di parlare. L’agente rimase seduto qualche
secondo ancora nella volante.
“Siamo capitati in qualcosa di grosso”, pensò, “mi conviene
muovermi e stare attento a non fare cazzate”.
Fece appena in tempo a scendere dall’auto che vide arrivare a
sirene spiegate altre due volanti. Il tempo di fermarsi con una
brusca frenata e dalle portiere subito spalancate delle auto si
precipitarono fuori quattro agenti.
Individuata la presenza del brigadiere si diressero in gruppo
verso di lui. Evidentemente avevano avuto istruzioni precise.
Uno dei quattro si incaricò di prendere la parola.
-
Brigadiere Altamura? Salve. Dalla centrale ci è stato
ordinato di correre a questo indirizzo e di metterci a sua
disposizione. Cosa dobbiamo fare?
Allora allontanate tutta questa folla di curiosi, delimitate
la zona con il nastro e sorvegliate la strada e il palazzo.
Nessuno deve uscire dalla casa e allontanarsi fino
all’arrivo del commissario. Uno di voi controlli che non
ci siano altre uscite e un’altro piantoni il portone. Io e
l’agente Fiore, il mio collega che è già dentro ci
preoccuperemo di controllare il luogo dell’omicidio. Mi
raccomando, attenzione e prudenza. Se ci sono problemi
mi trovate all’ultimo piano, almeno fino all’arrivo del
commissario prenderete istruzioni da me. Adesso diamoci
da fare.
Senza aggiungere altro il sottufficiale lasciò gli agenti al loro
lavoro e si diresse di nuovo verso l’interno del palazzo. Lungo
il percorso si fermò a parlare con la portinaia e la ragazza.
-
-
Tutto bene? Mi sembra che la ragazza si sia ripresa
abbastanza; adesso la porti in portineria, un agente sarà lì
davanti al portone, in caso di bisogno chiamatelo subito.
Capito?
Certo brigadiere, stia tranquillo. Resto io con la ragazza
e se qualche malintenzionato dovesse farsi vedere non
esiterò a lanciare un urlo a quel vostro bravo agente che è
già davanti al portone.
Infatti seguendo le istruzioni del proprio superiore uno degli
agenti appena arrivati si era già piazzato davanti all’ingresso
del palazzo, proprio davanti alla portineria.
-
Bene signora, la ringrazio della collaborazione. Ah
un’ultima
cosa.
Mi
chiami
il
proprietario
dell’appartamento.
Gli
dica
di
venire
qui
immediatamente.
Salutata la portinaia il brigadiere Altamura iniziò la sua risalita
sulle scale. Arrivato in cima trovò l’agente Fiore che lo
aspettava davanti alla porta.
-
-
Novità brigadiere?
E grosse pure. Il morto è uno degli uomini che stanno
cercando. Appena l’ho comunicato è scoppiato un
putiferio. Il commissario Alberti in persona mi ha
contattato dopo neanche un minuto per darmi istruzioni
precise. Perciò diamoci da fare. Hai visto per caso un
computer nella stanza?
Computer? No, no mi pare. E’ importante?
Il commissario pensa di sì. Adesso guardiamo meglio e
se lo troviamo bisogna sorvegliarlo a vista. Così mi ha
detto e così faremo.
Va bene brigadiere, non si preoccupi. Se c’è non è certo
andato via in questi minuti. Adesso controlliamo meglio.
I due poliziotti rientrati nell’appartamento si misero subito
all’opera. Ci volle pochissimo tempo per accertarsi che non
c’era nessun computer nella stanza.
-
Niente brigadiere, nessun computer. Adesso cosa
facciamo?
Un rumore di passi sulle scale impedì al brigadiere di
rispondere. I due agenti fecero appena in tempo a voltarsi che
dalla porta d’ingresso entrò un giovane alto che entrava deciso
e sicuro nella stanza.
-
-
-
Brigadiere, buongiorno. Sono il commissario Alberti.
Ho visto che ha fatto tutto quello che le avevo detto.
Bene, la ringrazio del buon lavoro svolto. Adesso mi dica
tutto quello che sa. Avete trovato il computer del
professore?
Buongiorno commissario. No nella stanza non c’è
nessun computer. E quello che sappiamo non è molto. Ci
hanno ordinato via radio dalla centrale operativa di venire
a questo indirizzo; appena arrivati una ragazza in lacrime
ci ha detto che c’era un uomo morto nell’appartamento e
siamo saliti a controllare. Abbiamo trovato il cadavere
così come lo vede, non abbiamo toccato nulla, solo i
documenti sul comodino per vedere chi fosse il morto e
quando ho letto il nome dell’uomo assassinato mi sono
ricordato della segnalazione di ricerca inviataci dalla
centrale e sono sceso giù a controllare sulla lista. Appena
ho avuto conferma che era proprio uno di quei tre
ricercati ho avvisato la centrale. E poi ho fatto quello che
lei mi aveva ordinato.
Complimenti brigadiere, ottimo lavoro. Adesso mi dica;
avete incrociato qualcuno salendo le scale? Sentito
qualcosa?
Nulla commissario; siamo stati attenti anche perché non
sapevamo bene cosa potesse essere successo, e appena
entrati
nell’appartamento
abbiamo
controllato
dappertutto, anche se non c’erano molti spazi dove
-
-
nascondersi, ma non abbiamo trovato nessuno.
Evidentemente l’assassino era già andato via.
E’ più probabile l’assassina brigadiere; molto più
probabile.
Pensa che sia stata la ragazza commissario? Perché
quando siamo arrivati mi sembrava davvero molto
sconvolta; a prima vista non sembra proprio una capace
di ammazzare qualcuno.
Probabilmente ha ragione brigadiere, la ragazza
probabilmente non c’entra nulla. Se fosse una di quelle
che stiamo cercando non l’avrebbe certo trovata in
lacrime ad aspettare voi. No lei probabilmente non
c’entra ma un’altro tipo di donna sì. Comunque grazie,
tornate ai vostri compiti, adesso qui ci pensiamo noi.
Grazie ancora e buon lavoro.
Il brigadiere e l’agente non avevano capito molto dalle parole
del commissario ma erano ben felici di lasciare quella patata
bollente nelle mani di qualcun’altro. Così senza aspettare altro
salutarono il giovane commissario e si avviarono all’uscita.
Sulle scale un’altro spettacolo insolito completò la loro strana
giornata. Sul pianerottolo stazionavano confabulando tra di loro
tre persone che davvero formavano un gruppo ben strano.
L’ispettore Leonardi, che entrambi conoscevano bene, una
sventola di ragazza tipo pin up di playboy e un uomo sulla
trentina che, a giudicare dall’abito e dal collare, sembrava
proprio un prete. I due poliziotti rivolsero uno sguardo sorpreso
allo strano trio ma dopo aver ricevuto il saluto dell’ispettore e
averlo rispettosamente salutato alzando la mano al berretto
pensarono bene di non fare domande e di non impicciarsi oltre
di quella storia. L’ispettore li vide scendere le scale con un
ultimo sguardo indietro.
-
Leonardi, vieni dentro.
La voce dal commissario distolse l’ispettore dai suoi pensieri.
Facendo cenno a Padre Joseph di restare fuori dalla porta
l’ispettore, seguito dalla ragazza, entrò nell’appartamento.
Con un rapido sguardo notò il cadavere sul letto, il resto della
piccola casa, in ordine e pulito, e il suo capo che osservava
accigliato i documenti che gli erano stati lasciati in custodia dal
brigadiere Altamura.
-
-
-
-
Solita storia Leonardi. Sembra proprio un’altro
lavoretto delle nostre care sorelle. Appena arriverà il Dr.
Stoppani ce lo confermerà ma sono certo che l’arma usata
è la stessa. E sono anche certo che il professore un
computer ce l’aveva. Ho ispezionato i bagagli e dentro
una delle valigie ci sono dei Cd e una batteria di riserva
per PC. Le sorelle hanno trovato anche questa volta
quello che cercavano. Siamo arrivati tardi ancora una
volta.
E adesso che facciamo commissario?
Non lo so bene, per ora andiamo giù e interroghiamo la
ragazza, Brigitte Anzieu, vediamo di capire perché era qui
con il professore e se può esserci utile. Ne dubito molto,
presumo che sia solo una piacevole scappatella che si era
preso il nostro professore, ma farci due chiacchiere non
potrà certo farci male.
E la portinaia? E i vicini?
Hai ragione; tu e Caterina bussate a tutti gli
appartamenti del palazzo. Vedete di scoprire se qualcuno
ha visto o sentito qualcosa, io intanto parlo anche con la
portinaia. Ma sono maledettamente sicuro che non ci
diranno niente di utile; anche questa volta le sorelle sono
state rapide e silenziose.
Va bene commissario, intanto ci proviamo.
-
OK, lascia un agente di guardia all’appartamento,
quando arriva Stoppani vedi se ti dice subito qualcosa.
Quando avete finito ci vediamo a piano terra.
Senza altre parole i due uomini e la ragazza si misero all’opera.
Mentre Leonardi e l’agente del FBI iniziavano il loro giro tra
gli appartamenti Alberti sceso al piano terra si infilava nella
portineria accolto dal saluto dell’agente di guardia, dal pianto
della ragazza che era ripreso e dalla voce materna di Rosa, la
portinaia, che cercava di consolare la giovane francese.
-
Su, signorì, cercate di calmarvi. Adesso dovete cercare
di calmarvi, vedete che poi le cose si aggiustano, siete na
ragazzina, state tranquilla.
La ragazza confortata dalla voce e dalle carezze della giunonica
portinaia smise di piangere e usando un fazzoletto che Alberti si
era premurato di offrirle si asciugò le lacrime. Poi notata la
presenza del commissario si lasciò sfuggire anche un accenno
di sorriso alla vista del giovane poliziotto che la sovrastava in
piedi. La gioventù fa presto a riprendersi. Alberti approfittò
subito per iniziare il suo lavoro.
-
Signorina, mi scusi la mancanza di tatto ma ho bisogno
di farle subito alcune domande. Sono il Commissario
Alberti, della polizia italiana, e ho idea che la morte del
professor Bernaud sia strettamente collegata ad altri
omicidi che sono avvenuti in questi giorni a Roma. Perciò
ho necessità di farle alcune domande. Immediatamente.
Se la sente di rispondere? Capisce l’italiano?
Lo sguardo della bella francese esprimeva stupore e meraviglia
ma non a causa della lingua che parlava e capiva benissimo ma
per il fatto di venire a sapere che la morte del suo, amante?,
terapeuta?, il dubbio la colpì dolorosamente, fosse collegata in
qualche modo a tutta una serie di omicidi e non fosse solo la
tragica conseguenza di una rapina, la prima ipotesi che le era
venuta in mente vedendo il corpo senza vita di Lucien.
Comunque si fece forza e si premurò di rispondere alle prime
domande del commissario.
-
Stia tranquillo commissario, parlo bene l’italiano e
capisco anche che è necessario farmi forza e rispondere
alle sue domande. Chieda pure.
La voce della ragazza era molto piacevole, roca e sensuale, e il
suo italiano appena velato da una leggera pronuncia francese
era molto affascinante. Come cavolo aveva fatto una ragazza
del genere a mettersi con quell’uomo morto nel letto? La
domanda emerse inopportuna e non voluta nella mente del
commissario. Che subito la scacciò per concentrasi sulla
ragazza.
- Le chiedo scusa signorina ma devo farle anche domande
di natura privata. Può dirmi in che rapporti era con il
professore?
La ragazza si prese qualche secondo di riflessione prima
di rispondere.
- Penso di dover essere sincera con lei, caro commissario.
Lucien, il professor Bernaud, è, era un caro amico dei
miei genitori e proprio per questo aveva accettato di
prendermi in cura per una grave forma di depressione che
mi accompagna da molti mesi. Poi, come avrà già capito,
i nostri rapporti sono cambiati e siamo diventati amanti. E
posso assicurarle, per rispetto alla memoria del
professore, che l’iniziativa e la colpa di questo è stata
tutta mia. Lui ha cercato di resistere e convincermi a
cambiare anche medico ma io ero completamente presa
dal nostro rapporto e l’ho banalmente sedotto.
- Va bene signorina, tutto questo ora non ha più
importanza. Mi dica, come avete organizzato questo
viaggio? Chi sapeva del vostro soggiorno a Roma in
questo appartamento?
- Credo assolutamente nessuno, commissario. Come lei
ben capirà abbiamo fatto tutto molto discretamente, anzi
ho programmato e preparato tutto io. Ho prenotato
l’appartamento tramite un sito internet e ho pagato con un
bonifico bancario, senza neanche usare la carta di credito.
Lucien era terrorizzato dal fatto che qualcuno potesse scoprire
il nostro viaggio insieme.
“Ci credo bene”, pensò il commissario, “era roba da
cancellazione dall’albo e forse anche da denuncia penale. Il
professore si era fatto convincere e sedurre dalla ragazzina ma
non era scemo”.
-
Ho capito. E una volta a Roma avete incontrato
qualcuno? Ha notato se qualcuno vi ha seguiti?
Penso proprio di no commissario, sono quasi certa.
Siamo stati quasi tutto il tempo chiusi in camera e Lucien
era troppo stanco per uscire o fare vita notturna.
Capisco. Quindi lei non sa spiegarsi come sia stato
possibile per chi l’ha ucciso scoprire dov’era?
Le assicuro di no. Da parte mia ero convinta fino a
pochi minuti fa che l’omicidio fosse opera di un ladro, un
rapinatore entrato in camera per rubare. Non riesco a
trovare nessun’altra ragione per la morte di Lucien.
Le parole della ragazza furono una nuova fonte di
preoccupazione per il commissario. Le Sorelle erano ben
organizzate e avevano molte amicizie in città. Riuscire a
trovare il professore in quella situazione dimostrava che le loro
fonti di informazione erano molte e molto efficienti.
-
“Molto più delle nostre” pensò il commissario.
La voce di Padre Joseph alle sue spalle lo colse di sorpresa,
immerso com’era nei suoi pensieri.
-
Gliel’avevo detto commissario. Le donne che stiamo
cercando hanno moltissime amicizie a Roma e tanti modi
per avere informazioni e scoprire anche i segreti più
nascosti. E non hanno nessuno scrupolo; si ricordi che per
loro quello che stanno facendo è ispirato direttamente
dalla Santa Madre. Sono fanatiche assassine ma molto
furbe e molto veloci.
Lo sguardo del commissario non era certo amichevole.
-
-
-
Ha ragione padre; lei me l’aveva detto ma devo anche
ricordarle che queste stesse assassine sono libere di fare
quello che stanno facendo proprio a causa vostra.
Potevate starci più attenti.
Commissario mi scusi, il mio non voleva certo essere un
rimprovero al vostro lavoro. Volevo solo sottolineare che
la forza delle nostre avversarie deve rafforzare la nostra
collaborazione. Le assicuro che anche la Chiesa ha molti
amici e molte conoscenze e sono state tutte messe
all’opera per darci un aiuto. Sono sicuro che presto i
nostri sforzi uniti daranno i loro frutti.
Mi scusi anche lei padre. Sono stato troppo brusco, ha
ragione lei. Dobbiamo unire i nostri sforzi per trovare
quelle donne. Hanno già versato troppo sangue nella mia
città, e anche io le assicuro che non mi fermerò fino a
quando non le avrò prese e consegnate alla giustizia.
Adesso vediamo se Leonardi e Caterina hanno notizie
altrimenti ci conviene tornare subito in centrale. Voglio
aumentare il livello di sorveglianza delle volanti e di tutti
gli agenti disponibili.
La voce di Leonardi gli diede la risposta che voleva.
-
-
Nessuna notizia utile commissario; nessuno ha visto o
sentito niente. Il Dr. Stoppani è arrivato e ha confermato
con quasi assoluta certezza i nostri sospetti. L’arma che
ha ucciso il professor Bernaud è la stessa, o una molto
simile a quella degli altri omicidi. Un colpo solo, preciso
e senza resistenza. L’uomo doveva essere addormentato o
comunque molto rilassato. Quelle donne sanno come
muoversi senza dare nell’occhio e senza lasciare tracce.
Tranne i cadaveri.
Era stata Caterina a sottolineare con quelle tre parole la terribile
situazione che stavano affrontando.
Per qualche secondo tutti e quattro restarono in silenzio. Poi fu
il commissario a dare la scossa a tutti.
-
Va bene, è inutile piangerci addosso. Diamoci da fare.
Leonardi, raccogli la deposizione della ragazza e poi falla
scortare fino a quando sarà possibile farla ripartire per la
Francia. Caterina cerca di contattare le tue fonti a Roma e
fai in modo che anche loro aumentino l’impegno sulla
ricerca di quelle donne. E lei padre solleciti i suoi amici e
le sue conoscenze, a qualsiasi livello, e usi tutta l’autorità
del Vaticano per cercare di scoprire qualcosa.
Il giovane commissario si stava già muovendo quando pensò di
aggiungere sempre rivolto al prete.
-
E visto che c’è rivolga pure una preghiera al suo
principale.
E senza aggiungere altro il gruppo si avviò verso le volanti in
attesa.
CAPITOLO DIECI
Anna era seduta su una panchina di Villa Borghese.
Il suo sguardo era quasi sempre concentrato su una piccola
figura che correva instancabile da un punto all’altro del parco,
raccogliendo foglie e pietre che poi lasciava in consegna a sua
madre.
Iacopo occupava anche interamente i suoi pensieri e le sue
preoccupazioni; non era facile crescere da sola, senza un padre
e un compagno, un figlio.
Ma da qualche giorno un’altra persona si insinuava a volte,
sempre più spesso, nei suoi pensieri.
Alberto, il commissario Alberti, le ritornava spesso in mente.
Le era piaciuto subito, con la sua aria riservata e il suo
comportamento cortese e quasi timido. Aveva capito subito che
era un uomo onesto e di cui potersi fidare e pensava, in un’altro
contesto avrebbe accettato volentieri di conoscerlo meglio.
L’ultima vota che l’aveva visto le era sembrato ancora più
simpatico e interessante; il tempo trascorso in sua compagnia le
era volato via in un attimo, piacevole e rilassante, e si era
lasciata convincere a dargli il suo numero di cellulare.
Ma forse era stato uno sbaglio. In quel momento della sua vita
non poteva permettersi una storia, una relazione. Troppe cose
da fare, troppi impegni e pensieri e, soprattutto, non aveva
ancora metabolizzato la fine della storia con il papà di Iacopo.
Ancora ne soffriva e non era sicura di avere la forza di
riprendersi da un’altra, eventuale, storia finita. Non era ancora
pronta a impegnarsi di nuovo, a soffrire di nuovo.
Persa nei suoi pensieri non notò minimamente l’uomo vestito in
grigio che la sorvegliava discretamente, in silenzio, leggendo
un libro su una panchina poco lontano dalla sua.
Padre Raphael non capiva perché dovesse passare il suo tempo
seguire quella ragazza ma così gli era stato ordinato e lui era
abituato a obbedire agli ordini.
Si consolò pensando che, in fondo, leggere la Bibbia seduto su
una comoda panchina di Villa Borghese era un modo fin troppo
facile di servire il Signore.
Dopo un altro sguardo lanciato verso la ragazza si rimise
tranquillo a leggere i suoi salmi.
Intanto in un’altra zona di Roma, non molto lontana, un fatto
clamoroso sconvolgeva la città
Fu Padre Joseph a dare la notizia al commissario e ai suoi
collaboratori.
Dopo aver dormito poche ore per recuperare le forze, il gruppo
era riunito nell’ufficio del commissario per fare il punto della
situazione dopo il ritrovamento del cadavere di Lucien
Bernaud.
Tutti erano d’accordo su alcuni punti. Le Sorelle si muovevano
velocemente, efficienti e decise e loro avevano ben poche
speranze di ritrovarle. Il caso fortunato di essere riusciti a
beccarne due era stato un vero e proprio colpo di fortuna, unita
a una fulminea intuizione del commissario, ma era difficile
immaginare altri colpi di fortuna simili.
-
Da vive avrebbero potuto darci qualche informazione,
magari saremmo riusciti a farle parlare, ma così non ci è
rimasto in mano nulla. Un vero peccato.
Mi dispiace commissario, davvero. So di essere stato un
imbecille ma in quel momento mi è venuto solo in mente
di salvare Maestri.
L’agente De Cicco sentendosi chiamato in causa dal suo
superiore si era sentito in dovere di scusarsi di nuovo.
-
Lascia perdere. Non è stata certamente colpa tua. Non
volevo dire questo. So benissimo che in una situazione
come quella la cosa più importante era salvare Maestri.
Adesso non pensiamoci più. Cerchiamo di farci venire
un’idea.
Il silenzio che seguì le parole del commissario fu rotto dalla
suoneria del cellulare di Padre Joseph.
Imbarazzato il prete si affrettò a rispondere. Poche parole e poi
la conversazione venne interrotta. Alla fine della telefonata il
viso del prete aveva un’aria preoccupata. Incredula e
preoccupata. Restò in silenzio a guardare il cellulare spento in
mano.
-
E’ successo qualcosa padre?
-
-
Sì commissario. Qualcosa di molto grave e molto
strano. Qualcosa di inaudito che mai avrei potuto pensare
accadesse. Mi hanno appena avvisato che i Musei
Vaticani sono chiusi. L’apertura è stata prima rimandata e
poi è stato annunciato che per oggi i musei non apriranno.
E per quale motivo?
Questa è la cosa che mi sconvolge. Sembra che siano
stati trovati all’interno del museo due uomini uccisi.
Le parole del prete lasciarono i presenti di sasso. Due uomini
uccisi nei Musei Vaticani erano una cosa difficile da credere.
Quasi impossibile. Com’era possibile uccidere due persone in
uno dei luoghi più protetti e sorvegliati del mondo. Questa era
la domanda che tutti si ponevano.
Dopo qualche attimo di silenzio fu ancora il commissario a
parlare.
-
Si sa chi sono? Hanno preso chi li ha uccisi?
Mi dispiace commissario. Non mi hanno detto nulla. Le
notizie, come capirà, sono ancora poche e confuse. Il mio
collaboratore non sapeva nient’altro di preciso. Solo che
c’è molta agitazione e che i Musei sono stati circondati
dagli agenti della gendarmeria vaticana. Per ora non si sa
altro.
Certo, capisco.
Ancora il silenzio piombò nella stanza. Fu Caterina a romperlo
stavolta.
-
Alberto dobbiamo andare lì.
Lì dove?
Ai Musei Vaticani. Sono sicura che questi omicidi
hanno qualcosa a che fare con le Sorelle.
Perché?
-
-
Diciamo una intuizione ma anche un ragionamento.
Fatti così strani che accadono nello stesso momento non
possono non avere qualcosa in comune. Naturalmente
non so cosa ma ho la forte sensazione che i due omicidi
siano collegati al nostro caso.
Forse hai ragione Caterina ma in ogni caso non abbiamo
modo di entrare ai Musei. I Musei fanno parte della Città
del Vaticano e lì noi non abbiamo nessuna autorità sono
fuori, come dire, dalla nostra giurisdizione. Se anche ci
presentassimo lì non ci farebbero neanche entrare.
Leonardi aveva bloccato la foga di Caterina con le sue parole.
Aveva perfettamente ragione. All'interno del Vaticano loro non
potevano entrare, se non come visitatori.
-
-
L’ispettore ha ragione cara ragazza. Il Vaticano è uno
stato autonomo nel quale la polizia italiana non ha
nessuna autorità. Tanto più in una situazione così delicata
come questa. Un omicidio all’interno dei Musei è un fatto
inaudito. E sono sicuro che il primo intento dei miei
superiori sarà quello di darne la minore pubblicità
possibile. Ci penserà la gendarmeria vaticana a risolvere
la questione senza intromissioni esterne.
Caro Padre, vedo che le piace la collaborazione solo
quando le conviene. Mi meraviglia la sua poca sensibilità.
Per due motivi. Il primo è che quando lei ha chiesto il
nostro aiuto le è stato subito fornito. Il secondo è ancora
più importante. Se la sensazione di Caterina è esatta, e
anche io ho avuto la stessa idea, se i due omicidi sono
collegati in qualche modo alle Sorelle, dovrebbe essere
nel suo come nel nostro interesse darci una mano a sapere
quello che è successo nei Musei.
La voce del commissario era fredda e lo sguardo che stava
lanciando al prete non era certo amichevole. Non gli era
piaciuta la sparata del prete che già sopportava a stento.
-
-
Commissario, mi dispiace che se la sia presa. Non
volevo essere poco collaborativo. Ma ad essere sincero
non penso proprio che il tragico fatto accaduto questa
notte ai Musei possa essere collegato alle Sorelle. Mi
sembra troppo, come dire, da romanzo.
A lei forse sembrerà da romanzo ma io voglio saperne
di più. E se lei non vuole fornirmi la sua collaborazione
ritengo sia il caso di non fornirle più la nostra. Perciò la
saluto.
Le parole del commissario furono accolte dal prete come uno
schiaffo in pieno viso. Una smorfia di rabbia incrinò per un
breve attimo il suo viso di solito impassibile e imperscrutabile.
Poi con uno sforzo il prete ritornò calmo.
-
Commissario lei forse dimentica che la sua, come dire,
collaborazione le è stata richiesta, direi imposta da una
persona molto importante del suo governo. Lei capisce
che se dovesse decidere diversamente io sarei costretto a
segnalare la sua decisione a chi di dovere. Con esiti e
conseguenze che può forse immaginare.
Il lieve sorriso di compiacimento sulle labbra del prete fece
perdere definitivamente le staffe al commissario.
-
Mio caro padre Joseph le sue neanche tanto velate
minacce non mi convinceranno a cambiare idea. Con
riluttanza ho accettato di collaborare con lei, dopo aver
sentito la storia delle Sorelle speravo di ricevere da parte
sua un aiuto per porre fine a questa storia, ma mi sono
accorto che lei ha un solo scopo: nascondere i fatti e far
sparire le sue stramaledette Sorelle. Come capirà io ho
altri obiettivi. Io voglio fermare questa catena di morti e
sbattere in galera i responsabili. Perciò adesso la saluto
definitivamente e lei avvisi pure chi vuole.
Il prete rimase in silenzio qualche istante. Cercava qualcosa da
dire per spingere il commissario a tornare sulla sua decisione
ma il viso impassibile del suo interlocutore gli fece capire che
non c’era da sperare in un suo ripensamento. Cercò allora
sostegno con lo sguardo nelle altre due persone presenti ma né
l’ispettore né l’agente americano mostrarono la minima
solidarietà.
Senza aggiungere altro e senza salutare Padre Kolzer uscì dalla
stanza.
-
-
Complimenti commissario. Quel pretucolo mi stava
davvero sulle scatole. Perciò non voglio certo dire che ha
fatto male a cacciarlo ma adesso abbiamo un problema.
Se prima avevamo poche speranze di avere qualche
notizia su quello che è successo in Vaticano adesso le
nostre speranze sono praticamente pari a zero.
Forse hai ragione Leonardi ma non sono riuscito a
trattenermi. Quell’uomo mi ha dato sui nervi subito. Però
ho ancora una speranza.
Una speranza? E quale?
Paolo Benelli.
Caspita commissario, è vero.
Paolo Benelli, ex colonnello dei carabinieri era da qualche
mese comandante della gendarmeria vaticana. Dopo
venticinque anni passati nell’arma era stato chiamato dalla
curia romana a capo della gendarmeria. Tra il commissario e
Benelli c’era una lunga e solida amicizia, amicizia basata sulla
stima reciproca e cementata da lunghe giornate passate insieme
durante delicate e pericolose indagini. Paolo Benelli poteva
essere la persona giusta per entrare nei segreti vaticani.
Senza esitare Alberti cercò il numero di Benelli sul suo
cellulare e premette il tasto invio. Il numero era libero ma per
lunghi, interminabili secondi non ci fu risposta. Poi la chiamata
venne rifiutata.
Alla chiusura della comunicazione Alberti guardò quasi con
odio il suo telefono come se la colpa fosse dell’oggetto che
teneva in mano. Pensò qualche attimo poi decise di fare un altro
tentativo. Forse Paolo avrebbe capito che era una cosa
importante. Rifece il numero. Ancora libero. Gli squilli si
succedevano ma senza risposta. Questa volta fu lui a decidere
di rinunciare, stava per schiacciare il tasto di fine chiamata
quando la voce di Benelli lo raggiunse.
-
Alberto scusa ma è davvero una giornata dannata. Non
posso parlare, ci sentiamo dopo.
Il commissario lo bloccò subito.
-
-
Paolo ascolta, so che sei in un grosso casino e non ti
chiamo per salutarti. Sono anche io in un casino
dannatamente grosso e se ti chiamo è solo perché ho la
sensazione che i nostri due casini siano, in qualche modo,
collegati. Non so dirti bene in quale modo ma ne sono
convinto.
Non capisco.
Lo so Paolo che non puoi capire. E so anche che non
puoi perdere molto tempo. Ti chiedo solo un minuto.
Ascolta ti mando un messaggio, un elenco di nomi, i
primi quattro sono stati ammazzati in questi ultimi giorni.
Se leggendo i nomi trovi un qualche collegamento con
quello che è successo stanotte lì da voi decidi se
chiamarmi. Se non ti sento vuol dire che mi sono
sbagliato. Va bene?
Dall’altra parte una lunga pausa.
-
-
Va bene Alberto. Effettivamente non capisco ma ti
conosco bene e ho troppa stima di te per non darti un
minuto del mio tempo. Mandami quei nomi. Poi
vedremo. Per ora ti saluto e in ogni caso spero di sentirti e
vederti con più calma appena possibile.
Ok grazie Paolo.
Senza perdere altro tempo Alberti digitò i nomi dei sei
psichiatri e li spedì al numero di Benelli.
I pochi secondi che passarono tra l’invio del messaggio e la
telefonata sembrarono durare un secolo ai tre in attesa nella
stanza.
Al primo squillo del cellulare di Alberti i tre balzarono in piedi,
incapaci di restare ancora fermi.
Prima ancora che il commissari potesse guardare il nominativo
del chiamante Leonardi e Caterina chiesero insieme:
E’ lui?
Dopo un breve sguardo al visore il commissario annuì
affrettandosi a rispondere.
-
Ciao Paolo. Allora non mi sono sbagliato.
Ciao Alberto che io sia dannato, e non dovrei usare
questo linguaggio qui, ma hai ragione. Uno dei tuoi nomi
è collegato al mio casino. Però per telefono non posso
dire altro. Puoi raggiungermi ai Musei. Ti aspetto tra dieci
minuti all’ingresso laterale per farti entrare.
-
-
Va bene Paolo, però devo portare con me il mio vice,
Leonardi, e un agente del FBI che collabora con noi in
questo caso.
Va bene, sarà complicato ma non posso certo dirti di no.
Sono troppo curioso di sentire la tua storia e, detto tra noi,
ho bisogno di tutto l’aiuto disponibile per cercare di
capirci qualcosa. Venite pure, vi aspetto.
OK Paolo, saremo lì in pochi minuti.
Senza perdere altro tempo il commissario scattò.
-
Leonardi, Caterina andiamo.
Poi uscendo dalla stanza lanciò un urlo.
-
Malinverni fammi trovare un auto pronta davanti al
portone.
L’urlo del suo superiore fece sobbalzare il piantone che
rendendosi conto dell’agitazione del suo capo si affrettò a
telefonare all’ingresso.
All’arrivo dei tre l’auto era già pronta con il motore acceso.
Con lo sportello ancora mezzo aperto Alberti diede la
destinazione all’autista che con una sgommata partì verso il
Vaticano.
In pochi minuti arrivò a destinazione. Sulla porta il comandante
Benelli era già in attesa.
-
Ciao Alberto, Leonardi sempre in gran forma. E questa
splendida ragazza sarebbe l’agente del FBI?
Nonostante la tensione l’accoglienza fu calda e cordiale.
-
Esatto Paolo. L’agente Foster, Caterina per gli amici. E
anche tu sei in gran forma.
Me la cavo. Ma i cinquanta si sentono.
Beh lei non li dimostra proprio comandante.
Le parole di Caterina e il suo sorriso accompagnate dalla sua
mano allungata verso quella del comandante illuminarono per
un secondo la buia giornata di Benelli.
-
-
Troppo gentile signorina. La ringrazio e sono felice di
fare la sua conoscenza. Adesso finiamola con i
convenevoli e seguitemi. Durante il tragitto vi racconterò
quello che sappiamo. Poi voi mi racconterete quello cha
sapete voi.
Va bene Paolo. Solo una domanda. Quale dei nostri
nomi ti ha colpito? E perché?
Kurt Wermayer. E il perché è presto detto. E’ uno dei
morti che abbiamo trovato.
Porca miseria.
L’imprecazione sfuggì dalla bocca di Leonardi che si guadagnò
lo sguardo di disapprovazione del comandante Benelli, del suo
capo e della ragazza americana.
-
Scusate, mi è scappato.
Non si preoccupi ispettore. La capisco.
E l’altro morto chi è?
Fu Caterina a porre la domanda.
-
Suo fratello, il cardinale Hans Wermayer.
Questa volta anche il commissario dovette trattenersi per non
lanciare una solenne imprecazione.
-
Caspita, sempre più complicata la situazione.
Hai ragione Alberto, molto complicata. Venite adesso
andiamo che intanto vi ragguaglio.
Salutati dal saluto rispettoso al loro capo dei gendarmi di
guardia alla porta i tre amici accompagnati e scortati da Benelli
entrarono nei locali del museo più famoso del mondo.
CAPITOLO UNDICI
Il percorso non fu lungo. I corridoi che percorsero erano deserti
con la sola presenza dei custodi che schierati ai lati lungo i
muri, a pochi metri l’uno dall’altro, sorvegliavano i locali
stranamente vuoti e silenziosi.
Al passaggio del gruppo tutti salutavano con un breve cenno il
capo della gendarmeria e molti non mancavano di lanciare uno
sguardo alla bellezza bionda che lo seguiva.
Durante il tragitto Benelli si incaricò di fornire un breve
resoconto dei fatti accaduti quella notte. I due poliziotti lo
ascoltavano attenti e silenziosi senza degnare di uno sguardo le
molte opere d’arte esposte mentre l’agente americano era
praticamente incantata dal posto. E come non capirla. Era la
prima volta che veniva in Italia e che visitava quel posto
favoloso. Occasione resa ancora più speciale dalla tranquillità
insolita di cui poteva godere. I suoi occhi passavano rapiti dai
soffitti alle pareti ricoperte di quadri e arazzi, ai pavimenti e
agli oggetti esposti in ogni angolo del museo. Rapita e
affascinata da tanto splendore la ragazza faceva fatica a prestare
la propria attenzione alle parole di Benelli.
Il racconto del comandante fu comunque breve. I fatti erano
presto detti.
-
-
-
Questa mattina i custodi incaricati del primo giro di
controllo hanno trovato uno degli archivi riservati aperto.
Si sono naturalmente insospettiti e mi hanno chiamato.
Senza entrare come è previsto dai nostri regolamenti.
Scusa Paolo, ma cosa sono questi archivi riservati?
Sono stanze che contengono documenti particolarmente
importanti e delicati. Sono stanze nascoste la cui
collocazione è conosciuta solo dai più stretti e fidati
collaboratori dei musei. L’accesso in quelle stanze è
riservato a pochissime persone e solo su autorizzazione
del Santo Padre in persona. Perciò puoi capire che
trovarne una aperta di primo mattino ha subito fatto
scattare l’allarme. Quando sono arrivato sono entrato solo
io. A terra c’erano due cadaveri. Assassinati.
Hai potuto capire come?
Da un primo esame che ho fatto mi è sembrato che
siano stati pugnalati con un oggetto lungo e molto sottile.
Una specie di ago.
Il commento del suo amico commissario sorprese l’ex
carabiniere che però trattenne la sua curiosità per dopo.
-
-
-
Potrebbe essere come dici tu. Poi mi spiegherai come
fai a saperlo. Comunque dopo aver fatto bloccare
l’ingresso ai musei ho controllato con più calma la stanza
senza trovare nessuna traccia o indizio.
Conoscevi di persona le due persone assassinate?
Certo. Il cardinale Hans Wermayer è, era, uno dei più
stretti collaboratori del papa. Si conoscevano da molti
anni e avevano frequentato anche alcuni corsi teologici
insieme. Suo fratello Kurt era uno stimatissimo psichiatra
e quando veniva a Roma era sempre ospite del cardinale.
Per questo non lo trovavamo.
Il commento di Leonardi non ricevette risposta.
Nel frattempo il gruppo era arrivato nei locali della Biblioteca
Vaticana. Preceduti da Benelli si diressero verso uno dei grandi
saloni della biblioteca. I muri erano ricoperti di enormi scaffali
colmi di libri e proprio in fondo al salone un gruppo di
sorveglianti formava una specie di muro umano, quasi a
nascondere qualcosa. All’arrivo del comandante e ad un suo
cenno si spostarono rivelando l’ingresso a una stanza nascosta.
La porta era aperta verso l’interno.
-
La porta è nascosta da quello scaffale che adesso vedete
spostato di lato.
Effettivamente un grosso scaffale colmo di libri era spostato di
lato alla porta aperta.
-
Non deve essere stato facile spostare quel coso.
-
Ti sbagli Alberto. Lo scaffale si muove su un binario
nascosto e si sposta da solo muovendo una leva nascosta
dietro i libri. Facile, per chi lo sa.
Certo che questo posto è davvero una fabbrica di
misteri.
Hai perfettamente ragione. Il Vaticano nasconde segreti
e misteri tali che penso nessuno li conosca tutti.
Un sorriso attraversò il viso del comandante Benelli.
-
Adesso entriamo. Non dovrei farvi entrare ma a questo
punto ho capito che anche voi avete informazioni utili per
me perciò mi assumo questa responsabilità. Al massimo
torno a fare il carabiniere. Non i dispiacerebbe neanche
tanto.
I quattro entrarono nella stanza. La stanza era grande, più
grande di quanto si potesse immaginare. Era lunga circa dieci
metri e larga almeno la metà. Le pareti erano interamente
coperte, fino al soffitto, di grossi armadi, alcuni aperti altri
chiusi, pieni di libri, documenti vari e faldoni pieni di carte che
sembravano molto antiche. Per qualche attimo i tre visitatori
restarono a bocca aperta a guardare. Oltre agli armadi la stanza
conteneva solo un tavolo di legno di circa un metro per un
metro e due sedie, proprio al centro della stanza e due sedie,
anch’esse di legno situate su due lati diversi. Per permettere la
consultazione dei libri e dei documenti. Per terra, vicino al
tavolo, uno su un lato e uno sull’altro i due cadaveri. Con il
viso rivolto verso l’alto e due sottili fori all’altezza del petto.
Sul tavolo una specie di chiave appoggiata. Di ferro con un
grosso cerchio come impugnatura, lunga circa dieci centimetri e
con una strana punta di forma ottagonale. Nessun libro o
documento era posato sul tavolo o sembrava mancare dagli
armadi. Sembrava tutto in ordine. A parte i cadaveri.
Alberti esaminò ancora una volta la stanza. Niente di utile. Solo
sul battente della porta appoggiato al muro un simbolo. Il
numero XV in caratteri romani. La curiosità lo spinse a una
domanda.
-
Cos’è quel numero sulla porta?
Benelli lo guardò sorridendo.
-
-
-
Sempre attento ai dettagli commissario?
Nei dettagli si nasconde il demonio.
Non nominare quel nome qua dentro, blasfemo.
Comunque è solo un numero. Gli archivi segreti sono
catalogati e numerati per capire quali documenti sono
conservati in ognuno di essi. E ognuno ha una chiave
differente. Se esamini quella chiave troverai lo stesso
numero. E per avere la chiave ci vuole un permesso
personale del Curatore degli archivi. Che non lo concede
tanto facilmente.
E in questa stanza che documenti ci sono?
Mi dispiace Alberto questo non lo so e non posso
saperlo neanche io. I libri e documenti conservati in ogni
archivio sono uno dei segreti più segreti dell’intero
Vaticano. Sono documenti, testi, lettere che contengono
informazioni così importanti e così pericolose per la
stessa sopravvivenza della Chiesa che per molti secoli la
chiesa ha raccolto e custodito. Molte persone hanno
lottato, sofferto e perso la vita per recuperarli e portarli al
sicuro in modo che si perdesse memoria non solo del loro
contenuto ma della loro stessa esistenza. Capisci perciò
che l’accesso queste stanze e la consultazione di questi
documenti è riservato a pochissimi eminenti personaggi.
E io non sono tra questi.
E il cardinale Wermayer era uno di quelli?
-
-
Esattamente. Uno dei più eminenti. Solo questo spiega
come gli sia stato possibile entrare in questa stanza di
notte e con un’altra persona insieme. Ti assicuro che non
deve essere stato facile neanche per lui. Deve aver avuto
motivi veramente speciali per convincere il Curatore
degli Archivi o addirittura qualcuno più in alto ad
autorizzarlo.
Chissà cosa cercavano?
Caterina si era riavuta dalla sua meraviglia e aveva espresso la
domanda che tutti avevano in testa.
-
Cercheremo di scoprirlo. Così come cercheremo di
prendere chi li ha ammazzati. Loro come gli altri.
Pensi che anche questo sia opera delle Sorelle?
La domanda di Caterina era rivolta al commissario ma non
sfuggì a Benelli.
-
Cosa sapete delle Sorelle?
Te lo diremo dopo con calma. Adesso finisci di
raccontare.
C’è ben poco d’altro da dire. Nessuno dei custodi di
notte ha visto o sentito nulla di strano.
E le telecamere di sorveglianza?
Mi dispiace Leonardi, anche da quelle non possiamo
aspettarci nulla. Erano spente per una manutenzione del
sistema.
Strana coincidenza.
Era stata Caterina questa volta a parlare con una certa dose
d’ironia.
-
-
-
Mi dispiace deluderla signorina ma non c’è niente di
strano. Sono manutenzioni periodiche che effettuiamo per
controllare e mettere a punto il sistema di sorveglianza.
Sono programmate con molto anticipo.
Allora il cardinale e forse anche chi lo ha ucciso
avrebbe potuto approfittare dell’occasione per fare la sua
escursione notturna senza lasciare tracce.
Su questo Alberto posso essere d’accordo con te. Non è
naturalmente una notizia che viene divulgata ma per una
persona importante come il cardinale non sarebbe stato
difficile sapere le date delle manutenzioni.
Le telecamere sono state spente tutta la notte?
No. Solo dalle due alle sei.
Perciò tutto è successo in quelle quattro ore. Saperlo
non ci aiuta molto ma è sempre meglio che niente.
Hai ragione Alberto. Non ci aiuta. Adesso però dovete
concedermi qualche minuto. Devo far portare via i corpi,
chiudere la stanza e far riaprire i Musei. La notizia ha già
fatto troppo scalpore e voglio evitare che la chiusura si
protragga per tutta la giornata. Poi sarete voi a
raccontarmi la vostra storia.
Alberti stava per rispondere al suo amico quando fuori della
stanza si udì un movimento di persone e una voce autoritaria
ordinare ai custodi di farlo entrare. L’uomo che entrò subito
dopo nella stanza era anziano, piccolo di statura e con un piglio
autoritario tipico di una persona molto potente abituato a
comandare e vedersi obbedito. Il suo viso era fresco e sembrava
sbarbato di fresco. Al suo ingresso nella stanza squadrò subito
tutte le persone presenti esaminandole con attenzione. Sulla
ragazza il suo sguardo si soffermò per un attimo in più che sulle
altre persone per poi fermarsi fisso sul Comandante della sua
Gendarmeria.
Alberti e i suoi amici lo riconobbero subito. A Roma il cardinal
Valente era da molti anni uno degli uomini più conosciuti,
rispettati e potenti. Con la nomina di Papa Ratzinger la sua
influenza era aumentata ancora. Faceva parte dello staff
ristretto dei più fidati collaboratori del papa e molte decisioni
anche politiche venivano prese solo dopo il suo consenso. Si
diceva anche che fosse uomo inflessibile ma giusto, capace di
grande rispetto ma anche molto irascibile. Un personaggio da
prendere con le molle pensò Alberti. E in quel momento era di
sicuro molto irritato e il primo a farne le spese fu il povero
Benelli al quale il cardinale si rivolse con tono molto secco.
-
-
Lei comandante mi spiegherà spero perché ha permesso
a queste persone di essere qui. Lei sa benissimo che
l’accesso a queste stanze è riservato a pochissime
persone.
Lo so benissimo eminenza.
Benelli non si era fatto intimidire. La sua voce era forte e
decisa. Alberti sapeva che la nomina del suo amico era stata
fortemente voluta proprio da Valente ma questo non gli
impediva di controbattere con coraggio alle parole del suo,
praticamente, datore di lavoro.
-
-
Prima di tutto mi permetta di presentarle i nostri ospiti.
Il commissario Alberti, capo della Squadra Omicidi di
Roma, il suo vice l’ispettore Leonardi e l’agente Foster
del FBI americano. Sono qui perché stanno seguendo un
caso di omicidio collegato strettamente al nostro.
E come fa a esserne sicuro?
Perché nei giorni scorsi sono stati uccisi a Roma il
professor Funari, il professor Adler e il professor
Bernaud. E qualche giorno fa negli Stati Uniti il professor
Russell.
-
Uccisi? E da chi?
Il commissario è sicuro che siano state le Sorelle.
L’ultima frase di Benelli mise un po’ più tranquillo l’alto
prelato che dopo qualche attimo di silenzio si rivolse di nuovo a
lui con tono decisamente più calmo.
-
-
-
Penso comandante che lei abbia agito per il meglio.
Come al solito. Mi scusi per il mio tono di poco fa. Il
cardinale e suo fratello erano miei carissimi amici e la
loro morte, in questo modo e in questo luogo, mi ha
molto colpito e turbato. E quello che lei mi ha detto
aumenta ancora le mie preoccupazioni. Mi dica come
pensa di agire ora?
Per prima cosa farò portare via i corpi, farò rimettere
tutto a posto in modo da poter riaprire i Musei al
pubblico. Poi ci metteremo tutti in un posto tranquillo per
sentire quello che ha da dirci il commissario. Dobbiamo
cercare di capire se e quanto i vari fatti accaduti siano
collegati. E poi decideremo come muoverci.
Mi sembra ottimo. Anzi comandante le faccio una
proposta. Dopo aver sistemato la cose venga con i nostri
ospiti nel mio appartamento, lì saremo tranquilli e
potremo ascoltare con calma il racconto del commissario.
Io mi avvio per portare notizie al Santo Padre. Vi aspetto
dopo. Avviserò il mio segretario, Padre Matteo di farvi
accomodare nel caso io fossi trattenuto più a lungo da Sua
Santità. Va bene anche a voi signori la proposta?
Dal tono si capiva che la domanda del cardinale era puramente
retorica, non poteva minimamente pensare che si potesse
rifiutare un suo invito.
-
Lei è molto gentile eminenza.
Alberti pensò bene di non mettersi a discutere con il cardinale.
Il suo amico Benelli si era già fin troppo esposto e non era il
caso di indispettire il prelato con inutili obiezioni. Del resto
aveva troppo bisogno di altre informazioni e soprattutto
dell’aiuto di Benelli e di tutte le informazioni che potevano
venirgli da quella parte. Ora che aveva cacciato in malo modo
Padre Joseph aveva bisogno di un altro aggancio in Vaticano.
-
Saremo felici di accogliere il suo invito. Ho molte cose
da raccontarvi e spero dopo di poter trovare un modo di
collaborare.
Bene commissario, vedremo. Per ora la saluto e la
lascio, con i suoi collaboratori, nelle mani del
comandante. Vi aspetto dopo.
Poi si voltò verso Benelli.
-
Bene comandante. Lascio tutto nelle sue mani. Mi
affido a lei perché nulla trapeli all’esterno. Per la chiusura
inventi qualcosa e faccia fare un comunicato dalla
direzione del museo. Stringato e generico. A dopo.
Senza aggiungere altro il cardinale uscì dalla stanza.
-
Simpatica persona.
Leonardi.
Scusi commissario. Ha ragione. Anche per lui è stata
una giornataccia.
Il comandante si sentì in dovere di intervenire.
-
Hai ragione Leonardi. E’ stata una giornataccia anche
per lui. Forse più della nostra. Vedi sua eminenza ha
-
perso due carissimi amici e ha visto accadere cose che
sembravano inimmaginabili. Due omicidi qua dentro non
si erano mai visti. Proprio all’interno di uno dei luoghi
simbolo del Vaticano. Un vero e proprio attacco alla
Chiesa. E la Chiesa è la sua vita. E’ un uomo molto
credente, la sua fede è la sua forza e la sua vita. Perciò
bisogna capire la sua reazione. Ti assicuro che è
un’ottima persona e un grande uomo.
Mi scusi colonnello, sono stato uno stupido.
Lascia perdere Leonardi, non volevo certo
rimproverarti. Figurati. Comunque non sono più
colonnello. Ricordatelo. E adesso mettetevi da parte e
fatemi lavorare. Uscite da qui.
Senza aggiungere altro i tre amici uscirono dalla stanza. Il
comandante uscì subito dopo. Aveva il cellulare in mano e stava
già organizzando con efficacia e autorità le cose da fare.
-
Giuliani dove siete voi del GIR?
Caterina ormai pienamente concentrata sul lavoro chiese lumi a
Leonardi.
-
Cos’è il GIR?
Il Gir è il Gruppo di Intervento Rapido della
gendarmeria. Una specie di corpo speciale alle dirette
dipendenze del nostro comandante. Che evidentemente
non lo ritiene, in questa occasione almeno, abbastanza
rapido.
Ma Leonardi fu subito smentito dalla voce sicura di un giovane,
alto e abbronzato, che sbucava in quel momento nel salone
accompagnato da una ventina di persone. Vestivano tutti di
scuro ed erano tutti uomini. Portavano con loro due cilindri
termici abbastanza grandi da contenere un corpo.
-
-
-
Bene Giuliani. Un po’ in ritardo ma già attrezzato.
Adesso datti da fare. Fai allontanare gli addetti del
museo, non voglio nessuno in giro mentre facciamo
quello che dobbiamo fare. Falli scortare tutti verso le
uscite. Poi sposta i poveri corpi del cardinale e di suo
fratello, chiudi personalmente la stanza e riconsegna,
sempre di persona, la chiave al Curatore. Poi penserò io a
rimettere l’armadio al suo posto. Tutto chiaro?
Tutto chiaro comandante. Non si preoccupi. Sarà fatto
tutto in fretta e bene.
Bene Giuliani. Ci conto. Io intanto faccio compagnia ai
nostri ospiti. Poi quando sarai pronto andremo insieme
negli alloggi di Valente. I nostri amici hanno una storia da
raccontarci e mi piacerebbe che ci fossi anche tu ad
ascoltarla.
Agli ordini comandante.
Senza aggiungere altro il giovane si mise in movimento
entrando nella stanza e facendo segno a quattro dei suoi uomini
di seguirlo con i due contenitori.
Benelli si era intanto avvicinato ai tre che lo attendevano.
-
Te lo ricordi Giuliani?
Certo che mi ricordo del tenente Giuliani. Un giovane in
gamba. Molto in gamba. Vedo che te lo sei portato dietro.
Sì. Avevo bisogno di un uomo in gamba e
assolutamente fidato per svecchiare la mentalità della
gendarmeria. Erano ancora abituati a una mentalità di tipo
militare poco adatta a combattere i pericoli di oggi.
Adesso sono molto più moderni ed efficienti. La nostra
Sala Operativa non ha nulla da invidiare a quelle delle più
-
-
-
moderne
polizie.
Abbiamo
un
sistema
di
videosorveglianza attivo 24 ore su 24 e siamo forniti delle
più sofisticate attrezzature tecnologiche. Inoltre oltre al
Gruppo di Intervento Rapido ho potenziato anche un’altra
struttura di pronto intervento, l’Unità Antisabotaggio.
Quello che mi rode è che nonostante tutto questo un
gruppo di fanatiche esaltate è riuscito a uccidere due
persone sotto i nostri occhi. Non me la perdonerò mai. E
ti assicuro che non mi darò pace fino a quando non le
avrò prese.
Non prendertela troppo Paolo. Ti assicuro che quelle
maledette hanno fatto fare brutte figure a tutti noi. Sono
pazze ma non sceme. Si muovono veloci, discrete e sono
letali. E da quello che mi ha detto un certo Padre Joseph
hanno parecchi amici e parecchie persone che le
proteggono.
Sai Alberto sono proprio curioso di sentire quello che
hai da dirmi.
Stai tranquillo che non rimarrai deluso. Sono accaduti
fatti davvero incredibili. Appena avrete finito di sistemare
questo posto andremo dal cardinal Valente e vi
racconteremo tutto. Sarebbe inutile iniziare a raccontarlo
a te per poi doverlo ripetere.
Hai ragione. Avrò pazienza.
In quel momento Giuliani con i quattro uomini che
trasportavano i corpi nei contenitori uscirono dalla stanza. Il
giovane vice di Benelli si incaricò come gli era stato ordinato di
chiudere personalmente la stanza. Dopo aver controllato la
chiusura con una spinta il giovane si avvicinò al suo
comandante e al gruppo. Anche lui si soffermò con lo sguardo
su Caterina.
-
-
Fatto comandante. Adesso faccio trasportare i due corpi
dal medico legale per l’autopsia. Faccio un ultimo giro di
controllo e poi, se lei è d’accordo, avviserò il
responsabile del museo che può riaprirlo al pubblico.
OK Giuliani. Va bene. Vai pure. Quando avrai finito mi
raggiungerai dal cardinale. Adesso solo un minuto. Ti
faccio salutare quelli che conosci e ti presento chi non
conosci. Ho visto che la cosa ti interessa.
Un leggero imbarazzo si dipinse sul volto del giovane.
-
Scusi comandante.
E di che? Te lo ricordi il commissario Alberti?
Certamente. Salve commissario. A quanto
lavoreremo di nuovo insieme. Mi fa piacere.
Anche a me tenente. Anzi vicecomandante.
pare
I due si scambiarono una stretta di mano.
-
Si ricorderà anche dell’ispettore Leonardi?
Anche di lui è difficile scordarsi comandante. Saluti
Leonardi. Sempre in forma vedo.
Ci difendiamo. L’età avanza ma cerco di tenerla lontana.
Anche tra Leonardi e Giuliani ci fu una vigorosa stretta di
mano.
-
Bene Giuliani. Adesso ti presento l’unica persona che
non conosci. La splendida ragazza qui presente è l’agente
del FBI Caterina Foster.
I due giovani si guardarono un attimo. Poi si scambiarono una
stretta di mano con un sorriso.
-
-
Piacere agente Foster. E’ un piacere conoscerla.
Anche per me è un piacere tenente. Le dispiace se la
chiamo tenente? Vicecomandante mi sembra troppo lungo
e anacronistico. Oppure se non le dispiace possiamo darci
del tu. Io preferisco.
Certamente. Non ci sono problemi. Mi chiamo Antonio.
Allora Caterina va bene.
Bene se avete finito i convenevoli direi di muoverci.
Il comandante aveva lasciato qualche attimo di tranquillità al
suo vice ma ora stava di nuovo dettando i tempi.
-
Certo comandante. Vado subito. Vi raggiungerò negli
alloggi del cardinale il più presto possibile.
Bene. Io adesso sistemo quello che c’è da sistemare e
mi muovo. Giuliani porta i nostri amici con te fino
all’ingresso. Lasciali in compagnia di uno dei nostri
uomini. Passo io a prenderli.
Il buon vecchio Benelli, pensò Alberti. Doveva rimettere a
posto quel vecchio armadio con il suo congegno segreto e per
correttezza non voleva farlo davanti a loro. Fedele nei secoli,
davvero.
Giuliani accompagnato dagli altri si diresse verso l’ingresso
seguito dai quattro uomini con i corpi. Il passo veloce e
spedito, indifferente alle bellezze esposte ma non disdegnando
la conversazione con Caterina.
Maschilisti al massimo qui in Vaticano. Ho notato che
nel vostro gruppo non ci sono donne.
Vero Caterina. Possono essere arruolati solo maschi e
celibi.
Caspita, quasi una specie di sacerdozio. E’ previsto
anche il voto di castità?
La domanda maliziosa dell’americana non venne raccolta da
Giuliani. In pochi minuti furono davanti all’ingresso. Giuliani
dopo aver chiamato uno dei suoi uomini e dopo avergli
ordinato di aspettare insieme a loro l’arrivo del comandante li
salutò per eseguire i suoi compiti.
-
Ci vediamo tra poco.
Furono le sue ultime parole.
I tre amici si sedettero tranquillamente sulle scomode sedie di
solito riservate ai custodi e si misero in attesa. In quei pochi
minuti non parlarono molto. Ognuno di loro rimase immerso
nei suoi pensieri ricapitolando e rimuginando sugli eventi degli
ultimi giorni. Benelli li trovò così silenziosi e immersi nei loro
pensieri.
-
-
Vi vedo pensierosi?
Stavamo solo recuperando un po’ le forze. Sono state
giornate pesanti.
Vi capisco. Giuliani è andato?
Sì come avevi ordinato.
Va bene. Allora possiamo andare. Ci raggiungerà dopo.
Sono sicuro che farà in un lampo. Lui è ancora più
curioso di me. Andiamo, fuori ci sono due delle nostre
auto che ci aspettano. Puoi anche mandare indietro la tua.
OK allora avviso l’agente di tornare in sede.
I quattro si diressero verso l’uscita dove due grosse berline li
attendevano. Alberti e Benelli salirono insieme su una delle
due e Leonardi e Caterina sull’altra. La prima auto prese la
testa del piccolo corteo e silenziosamente si diressero verso le
mura del Vaticano dove giunsero in pochi minuti e dove
entrarono da un ingresso secondario superando senza ostacoli il
blocco delle Guardie Svizzere e della stessa gendarmeria.
Nessuno fece domande. La presenza del comandante era un
lasciapassare sufficiente.
Entrati nelle mura le auto si portarono davanti all’ingresso degli
appartamenti privati del cardinale. Una splendida ala del
palazzo circondata da un giardino meraviglioso che lasciò a
bocca aperta i visitatori nei pochi attimi che ebbero a
disposizione per ammirarli. Velocemente Benelli li condusse
all’interno del palazzo dove li fece accomodare in una sala
riservata, luminosa e con una splendida vista sui giardini. Dopo
averli fatti accomodare Benelli li lasciò per avvisare il
cardinale del loro arrivo. I tre passarono i minuti di attesa
ammirando dalle finestre le splendide piante e i coloratissimi
fiori del giardino. Prima dell’arrivo del cardinale furono
raggiunti da Giuliani che, avvezzo allo spettacolo, si accomodò
invece su una delle comode poltrone della stanza.
Al suo arrivo il cardinale li trovò così. All’ingresso del prelato e
del suo comandante il giovane ufficiale scattò in piedi mentre i
tre amici sentendo il rumore si voltarono verso la stanza per
accogliere e salutare i due uomini.
Il viso del cardinale era molto turbato. Evidentemente con il
passare delle ore la situazione appariva ancora più grave. Li
salutò con un breve cenno della mano. Poi si sedette e li invitò
a fare altrettanto preparandosi ad ascoltare quello che avevano
da dirgli.
CAPITOLO DODICI
-
-
Allora commissario inizi pure a raccontare la sua storia.
Il comandante Benelli mi ha già fornito qualche cenno ma
ora è necessario che lei mi racconti tutto nei dettagli. Le
chiedo di non tralasciare nessun particolare. Si prenda
tutto il tempo necessario e mi perdoni se la interromperò
con qualche domanda.
Non si preoccupi Eminenza, la capisco. Cercherò di
raccontarle tutto in modo esauriente ma non esiti a
interrompermi tutte le volte che lo ritenesse opportuno.
Alberti iniziò il suo racconto. Più il racconto del commissario
procedeva e più il viso del cardinale si rabbuiava. Quando il
commissario fece il nome di Padre Joseph l’espressione del
prelato si fece ancora più accigliata. Tuttavia non fece
commenti e solo poche volte interruppe il poliziotto per
chiedere di chiarire qualche particolare.
Alla fine un lungo sospiro accolse la fine del resoconto.
-
E’ davvero una brutta storia. Lei cosa ne pensa Benelli?
Anche il viso del comandante tradiva una certa preoccupazione.
-
-
Penso esattamente come lei eminenza. E’ una
bruttissima storia. E la presenza di Padre Joseph, e
quindi, del Cardinal Ravasi la rende ancora più
preoccupante.
Ha ragione comandante, pienamente ragione.
Scusate chi è il Cardinal Ravasi?
Scusi commissario, ha ragione. Adesso risponderò alle
sue domande ma, prima, preferisco darle un quadro
completo della situazione. Però voglio da lei la sua parola
che quello che le dirò rimarrà un segreto. Benelli la
conosce e la stima moltissimo e garantisce per lei ma io
voglio la sua parola d’onore.
Il commissario si prese qualche attimo di riflessione.
-
-
-
Eminenza lei capisce che io sono un poliziotto, un
funzionario dello stato italiano e ho giurato di servire le
sue leggi. Per me è difficile impegnarmi al silenzio
assoluto. Posso però assicurarla e darle in questo senso la
mia parola che non rivelerò a nessuno quello che mi dirà
in questa stanza e che userò le informazioni che lei mi
darà solo per fermare le Sorelle. Naturalmente quello che
già so o che scoprirò per mio conto non rientra in questo
accordo tra noi due.
Benelli ha ragione commissario. Lei è una persona
onesta e fedele, giustamente, al su paese. Non voglio
imbarazzarla inutilmente, mi fido della sua intelligenza e
buon senso. Sono sicuro che saprà come comportarsi in
ogni situazione.
Allora se permette inizio dai Custodi.
Ma allora esistono?
Ecco già questa è una bella domanda che, però, non ha
una risposta precisa. Le spiego. Come le hanno detto sia il
professor Testori, che conosco e stimo sia come studioso
che come uomo, sia il nostro caro padre Joseph, che
anche conosco benissimo ma stimo molto meno, i
Custodi sono stati sciolti moltissimi anni fa. Questa è la
verità, quella ufficiale almeno. In realtà non è proprio
così. Adesso le spiego. I Custodi della Fede nascono
verso l’anno mille, un periodo molto difficile per la
Chiesa e per il mondo. Venivano effettivamente scelti tra
la persone più devote di ogni classe sociale per difendere
gli interessi della Chiesa. Come le ha già detto il
professore godevano di grande autonomia e grande potere
-
e l’assoluzione plenaria preventiva che veniva loro
concessa li rendeva assolutamente liberi da ogni
condizionamento. Ben presto però proprio queste
caratteristiche portarono i Custodi ad assumere
atteggiamenti assolutamente inammissibili. Molti di loro
si convinsero di poter decidere quali fossero le azioni più
giuste da compiere nell’interesse della Chiesa. Inoltre
molti di loro iniziarono a usare il loro potere per compiere
vendette personali, eliminare i loro nemici e favorire gli
interessi delle loro famiglie o di amici influenti. Una vera
e propria degenerazione. Nonostante questo per molti
secoli, grazie anche all’appoggio e alla protezione di
parte delle alte gerarchie ecclesiastiche, che spesso
utilizzavano i loro servizi per i propri affari personali, i
Custodi riuscirono a conservare la loro forza e la loro
influenza. Fu Papa Innocenzo XIII, circa trecento anni fa,
a decidere di far scomparire i Custodi. Innocenzo si
comportò con saggezza e prudenza, qualità che sempre
dovrebbero accompagnare chi ha in mano le sorti di uno
stato, rendendosi conto che una soppressione immediata
della Compagnia, così si facevano chiamare i Custodi che
scimmiottavano spesso i Gesuiti, avrebbe portato a
proteste e ostacoli forti da parte di molta parte della
gerarchia vaticana, si limitò a vietare l’ammissione di
nuovi membri nella compagnia. Sperava insomma di farla
finire per estinzione naturale dei membri ancora attivi.
Ma le cose non andarono così?
No ispettore non andarono secondo gli intendimenti di
Papa Innocenzo. Purtroppo, aiutati e coperti da alcuni
cardinali, i Custodi continuarono non solo a compiere le
loro azioni efferate ma continuarono anche a introdurre
nuovi membri nella loro setta. Spesso passavano le
consegne ai figli, ai nipoti ma anche semplicemente
cooptavano nuovi adepti che accettavano per fede
-
-
convinta o anche per ricavarne benefici di vario tipo. I
Custodi avevano un notevole potere e godevano di molte
e influenti amicizie.
Avevano o hanno?
Questa è una domanda difficile commissario. I Custodi
fanno della segretezza la loro forza. Non posso dirle con
certezza quali e quanti appoggi abbiano ancora oggi nella
Chiesa, né quanti siano effettivamente, posso però dirle
sicuramente che non sono scomparsi e che ancora oggi
agiscono, si muovono e cospirano nelle ombre del
Vaticano.
E Ravasi?
Ravasi è sicuramente uno dei loro estimatori e un loro
protettore.
E Padre Joseph?
Non lo so commissario ma poco importa. Comunque il
padre è solo un esecutore dei voleri di Ravasi, un’ombra
fedele e nulla più.
Per qualche momento il silenzio scese nella stanza come se le
persone presenti stessero assimilando le nuova informazioni
ricevute. Poi Alberti fece la domanda successiva.
-
E le Sorelle? Cosa c’entra tutto questo con le Sorelle?
C’entra commissario, c’entra. Il collegamento è proprio
Ravasi. Adesso le spiego. Tutto parte dall’attentato a Papa
Giovanni Paolo II, il 13 maggio 1981. Il Santo Padre fu
molto colpito da quell’evento. Lei sa che sull’attentato ci
sono molte ipotesi. Si parlò di un coinvolgimento del
KGB russo e addirittura del coinvolgimento di qualcuno
all’interno dello stesso Vaticano. Voci e ipotesi mai
confermate e mai del tutto escluse. Quello che è certo fu
che Sua Santità dopo l’attentato pensò molto alle parole
del Terzo Segreto. Come le ha già detto Padre Joseph
-
-
dalla lettura del testo sembrerebbe esserci l’annuncio
proprio dell’attentato subito da Giovanni Paolo II. Certo
capito solo dopo l’accadere dell’evento. Quello che è
sicuro è che anche il papa, sfuggito alla morte, attribuì la
salvezza all’intervento all’intercessione di Maria. Per
questo iniziò a guardare con una certa attenzione alle
richieste delle Sorelle, una nuova congregazione di suore
devote e fedeli di Suor Lucia, la pastorella di Fatima che,
dopo la divulgazione del Terzo Segreto il 13 maggio
2000, sostenute fortemente da Suor Lucia in persona,
pensavano di poter finalmente ottenere delle aperture al
sacerdozio femminile e una ridistribuzione del potere
all’interno della Chiesa. Ci furono alcuni momenti di
dialogo e possibili aperture ma poi, la rigidità delle
richieste delle Sorelle che appoggiavano le loro
rivendicazioni su un presunto testo del Terzo Segreto
diverso da quello ufficialmente divulgato, ma avvalorato
da Suor Lucia in persona, bloccò ogni possibile spazio di
discussione. Anche perché lo stesso Giovanni Paolo II si
trovò di fronte l’intransigenza più assoluta da parte di
quasi tutta la gerarchia vaticana.
Quasi tutta?
Sì commissario, quasi tutta. Qualcuno, tra i quali io,
pensa che forse è giunto il momento di pensare a qualche
cambiamento nella Chiesa. Lei capisce che è difficile solo
pensare di cambiare una organizzazione e una struttura
immobile da secoli. Però all’interno della Chiesa, nella
sua complessità, esistono varie opinioni, varie anime
direi, che non riescono a trovare il modo per dialogare tra
di loro.
Ho capito eminenza. E cos’è successo dopo?
La situazione si è tenuta, diciamo così in equilibrio, fino
al 2005. In quell’anno, a pochi giorni di distanza,
muoiono prima Suor Lucia e poi il papa. A quel punto le
-
Sorelle, senza più speranza di vedere accolte almeno in
parte le loro richieste, iniziano
a fare opera di
proselitismo divulgando la loro versione del Terzo
Segreto e spingendo la Chiesa ad un atteggiamento
ancora più rigido. Lo sbaglio grandissimo è stato quello
di affidare tutta la questione all’uomo meno adatto.
Ravasi?
Esatto, proprio Ravasi. Il più rigido e intransigente della
Curia. Cosa ha pensato il buon Ravasi? Di far passare le
Sorelle per pazze scatenate.
Proseguendo nel suo racconto il cardinale aveva perso la sua
calma e la sua tranquillità. Quando pronunciò il nome di Ravasi
la sua voce tradì una collera a stento trattenuta. Ma si riprese
subito.
-
Mi scusi commissario, scusate tutti. Ma quando ripenso
ai guai che quell’uomo ci ha e ci sta procurando perdo
davvero il controllo.
Di preciso cosa ha organizzato il suo collega?
Era stata l’agente del FBI a porre la domanda a Benelli.
-
Ha ragione cara signorina a sottolineare il fatto che io e
Ravasi siamo “colleghi” come dice lei. Comunque per
rispondere alle sua domanda il furbo Ravasi ha
organizzato un bel gruppo di psichiatri, tutti scelti
rigorosamente da lui. Motivi di sicurezza e riservatezza le
sue ragioni. Dicevo un bel gruppo di psichiatri che, senza
farsi troppo pregare, hanno diagnosticato, dopo una serie
di colloqui, a tutte le tredici sorelle, una serie di disturbi
della personalità e del comportamento con una forte
dissociazione dalla realtà e la propensione a costruire
realtà alternative. Aggravati da forti sintomi di deliri di
-
-
persecuzione e allucinazioni di tipo mistico-religioso.
Insomma tutta una serie di emerite baggianate che però
avallate dall’autorevolezza degli illustri dottori hanno
permesso a Ravasi di ottenere dal Santo Padre
l’autorizzazione ad agire, per il bene della Chiesa e delle
stesse Sorelle, in qualsiasi modo avesse ritenuto
opportuno. Così dopo anni di insofferenza nei confronti
delle Sorelle e delle loro richieste Ravasi è riuscito a
liberarsi di loro dividendole e spedendole nei conventi più
remoti e inospitali. Ma ha fatto uno sbaglio. Nei conventi
le Sorelle hanno continuato la loro opera di proselitismo,
tenendosi in contatto con ogni mezzo, compreso internet,
con la complicità e l’aiuto di quelle che dovevano essere
le loro carceriere. Dopo pochi mesi le parole delle Sorelle
avevano già convinto o almeno instillato il dubbio in
tantissime suore. Accortosi di quello che stava
succedendo Ravasi ha tentato di correre ai ripari e aveva
preso la decisione i riunire di nuovo le Sorelle in un unico
luogo, questa volta più sicuro e affidato alla sorveglianza
di persone fidate. Ma non ce l’ha fatta. Le Sorelle venute
a sapere dell’intenzione di Ravasi hanno organizzato la
loro fuga e sono tutte sparite la stessa notte di qualche
mese fa, lasciando con un palmo di naso il mio collega e
la sua anima nera.
Padre Joseph.
Esatto commissario, padre Joseph.
E perché le Sorelle hanno deciso di uccidere i sei
psichiatri secondo lei?
Questo esattamente non lo so commissario. Potrebbe
essere per vendetta, forse le lunghe persecuzioni subite le
hanno esasperate e le hanno portate alla violenza. Non lo
so davvero. Forse sono impazzite davvero.
Potrebbe aver ragione eminenza. Quindi nei computer
degli uomini assassinati cercano, probabilmente, i
-
-
-
documenti che i medici hanno preparato sulla loro
presunta pazzia. Per farli sparire.
Forse commissario ma anche, potrebbe essere, per averli
in mano, poterli studiare, con qualche psichiatra loro
amico o semplicemente più obiettivo, e ricucire a farli
contestare e invalidare con analisi successive. Per ridare
credibilità e rispetto al loro movimento all’interno della
Chiesa.
Anche questo è possibile, può essere stato il loro
intento. Ma ora che hanno ucciso sei persone non sarà
così facile per loro recuperare credito.
Certo. Forse la situazione è sfuggita di mano. Magari un
intoppo, una resistenza di troppo e qualcuna di loro ha
perso il controllo. Poi dopo aver ucciso una volta sono
state trascinate dalla loro stessa passione e hanno
continuato. Forse nella loro testa la loro causa, benedetta
dalla stessa Vergine Maria con il messaggio del Terzo
Segreto, è così giusta e santa da rendere ammissibile
anche la violenza e l’omicidio. Cosa vuole che le dica
commissario. Io so solo che le sventurate azioni di Ravasi
hanno portato a tutto questo. Suore devote trasformate in
assassine e ancora in giro per Roma. Con un pericolo così
grande per la Chiesa che il solo pensiero mi fa tremare.
La capisco eminenza. Quando la storia verrà fuori sarà
un disastro.
Esatto commissario, sarebbe un vero disastro. Più
grande di quanto lei stesso possa immaginare.
Certo eminenza. Posso farle un’altra domanda?
Faccia pure.
Lei sa cosa cercavano i fratelli Wermayer nell’archivio?
O almeno sa quali documenti sono custoditi in quella
stanza in particolare?
No commissario di preciso non lo so. Il mio amico Hans
mi aveva solo accennato alla cosa. Mi disse che aveva
-
bisogno di entrare in quella stanza per cercare alcuni
documenti. Ma non mi specificò quali. Così come non mi
disse nulla dell’intenzione di introdurre anche suo
fratello.
Non ha qualche idea? Qualche sospetto?
Il cardinale si prese qualche secondo di riflessione. Poi si
decise.
-
-
-
-
A questo punto commissario voglio rivelarle davvero
tutto. Ripeto, mi fido di lei. Il comandante Benelli mi ha
convinto che lei è capace di trovare quelle donne e io
voglio darle tutto l’aiuto possibile. Io penso di sapere
cosa cercavano Hans e suo fratello. Vede commissario
Padre Joseph non le ha detto tutta la verità sulle Sorelle.
In realtà quando sono state spostate e divise nei vari
conventi sono stati creati dei fascicoli su tutte le Sorelle.
Biografia, foto e perfino impronte digitali e
individuazione del DNA.
Una vera e propria schedatura, direi.
Potremmo chiamarla così, se vuole. Ma dovevamo usare
la massima prudenza. E da quello che è successo direi che
abbiamo fatto bene. Almeno su questo Ravasi si è
mostrato ragionevole e ha accettato le mie richieste.
Ma allora tutto diventa molto più semplice. Eminenza
lei deve assolutamente fornirmi una copia di quei
fascicoli. Lei capisce che con quei dati in mano le nostre
ricerche sarebbero molto più efficaci e in caso di bisogno
potremmo accertarci con sicurezza del’identità di
eventuali donne sospette.
Capisco commissario ma non penso di poterla
accontentare.
Come? Non capisco?
-
-
E’ semplice commissario. Quei documenti sono
riservatissimi. Pochissime persone possono accedere alla
loro semplice lettura e nessuno può farne copie. E di tutte
queste persone nessuna al di fuori del Vaticano. Se anche
volessi aiutarla non potrei. Per poterla accontentare
dovrei,
probabilmente,
chiedere
direttamente
l’autorizzazione al papa.
Ma lei non vuole farlo?
Era stato l’agente americano a porre la domanda.
-
Cosa glielo fa pensare signorina?
Il cardinale si era rivolto a Caterina con tono gentile.
-
Lei ha detto “se anche volessi aiutarla”. Un attimo fa.
Ma non vuole evidentemente.
Osservazione acuta. E’ vero, non voglio.
Per quale motivo eminenza?
E’ presto detto commissario. Fermare le Sorelle è un
obiettivo che abbiamo in comune. Ma poi le nostre
intenzioni sono completamente diverse. Lei vuole
arrestare le Sorelle per poi farle processare e condannare.
Lei si immagina certo il clamore che questa storia
susciterebbe sui media. Una vera e propria ghiottoneria
per i nostri tanti nemici. In questo momento l’autorità
morale della Chiesa è già fortemente messa in dubbio per
altre vicende. Un altro scandalo potrebbe essere un colpo
troppo grande da sopportare. Non posso permetterlo.
Perciò le mie intenzioni sono totalmente diverse dalle
sue. Dopo averle trovate e riprese è mia precisa
intenzione metterle in un luogo assolutamente sicuro, un
luogo da dove non potranno né scappare né mettersi in
contatto con il mondo. Devo impedire che possano
-
-
-
-
continuare a divulgare il loro falso messaggio e la loro
opera di proselitismo. Indebolirebbero troppo l’autorità
delle istituzioni vaticane e in questo momento abbiamo
bisogno di tutta la nostra forza e autorevolezza.
Io comprendo la sua posizione eminenza, ma i miei
obblighi sono altri. Io devo fermare quelle assassine e
dopo sarà mio preciso dovere affidarle alla giustizia
italiana. Per un giusto processo.
Giusto commissario, anche io la capisco bene. Lei ha
giurato fedeltà al suo stato e alla sua nazione ma io ho
giurato e dedicato tutta la mia vita a qualcosa di molto più
di uno stato e di una nazione, un’organizzazione che da
più di duemila anni opera per il bene del mondo intero.
Alla Chiesa va la mia fedeltà e tutto il mio impegno. Per
questo motivo non le darò altri aiuti. Sono già stato fin
troppo generoso con lei. Continui le sue ricerche e noi
continueremo le nostre. Vedremo chi vincerà la sfida.
Va bene eminenza, come vuole. Voglio solo ricordarle
che ci sono anche altri concorrenti in questa sfida. I
Custodi sguinzagliati da Ravasi. Secondo lei quali sono le
loro intenzioni?
Penso che Ravasi abbia il mio stesso intento. Mettere le
Sorelle al sicuro. Comunque parlerò con lui. Adesso devo
congedarvi. Il comandante vi accompagnerà fuori dal
Vaticano.
Senza aggiungere altro il cardinale si alzò e uscì dalla porta. Il
gruppo restò per qualche attimo in silenzio. Poi Leonardi
alzandosi diede la scossa a tutti.
-
Bene commissario, dire che qui non abbiamo altro da
fare. Invece fuori abbiamo molto lavoro che ci aspetta.
Adesso abbiamo anche un avversario temibile.
Non prendertela con me Leonardi.
Benelli si era sentito chiamato in causa.
-
Scusalo Paolo. Leonardi è solo teso e nervoso. Stai
sicuro che capiamo benissimo la tua situazione. Non ce
l’abbiamo certo con te. Solo che sarebbe stato utile unire
le nostre forze per prendere al più presto quelle assassine,
magari prima che riescano a far fuori anche l’ultimo
dottore e chi sa chi altro. Comunque è andata così. Non
possiamo certo piangerci sopra. Come ha detto Leonardi
abbiamo molto lavoro che ci aspetta.
Senza aggiungere altro tutto il gruppo si diresse verso l’uscita.
Preceduti da Benelli e seguiti da Giuliani i tre amici furono
accompagnati verso l’uscita.
-
Vuoi che vi faccia accompagnare da un mio autista?
Benelli, forse sentendosi un po’ in colpa, si mostrò gentile.
-
No, non preoccuparti. Adesso chiamo il mio autista e gli
dico di farsi trovare fuori.
Ve bene, come vuoi.
Ancora silenzio. Erano quasi davanti all’uscita dalle mura
quando il commissario fece un’ultima domanda al suo amico.
-
Palo posso chiederti un’ultimissima cosa?
Benelli lo guardò sospettoso. Poi con un sorriso gli rispose.
-
Va bene, non posso certo negarti un’ultima domanda.
Anche perché voglio metterti in condizione di fare una
gara alla pari con noi.
-
-
Sì, alla pari. Voi avete foto, impronte e DNA e noi
niente. Comunque ti ringrazio. Voglio farti una domanda.
Visto l’ossessione della Chiesa per i documenti e la
conservazione di ogni notizia mi chiedo, come curiosità, è
mai possibile che sui Custodi non abbiano conservato
nulla. E se è così come ha fatto Ravasi a contattarli così
velocemente e a colpo sicuro?
Sempre il solito segugio eh?
Benelli sorrideva ancora.
-
-
E come al solito hai ragione. In realtà, come tu hai
intuito, il Vaticano è riuscito negli anni a conservare
memoria e traccia dei Custodi. Molti nomi dei nuovi
Custodi sono stati rivelati da persone fedeli alla Chiesa,
molte volte familiari degli stessi Custodi. Spesso anche
da Custodi che, in seguito a episodi particolarmente
violenti, si sono, come dire, pentiti e hanno confessato
non solo la loro appartenenza alla setta ma anche i nomi
degli altri Custodi. Certo notizie frammentarie e nomi
scollegati. L’organizzazione dei Custodi è molto
articolata, tra loro si conoscono direttamente in pochi e ai
livelli più bassi sono, praticamente, semplici esecutori.
Vuoi dire che anche tra di loro c’è una specie di
gerarchia.
Una specie? C’è una vera e propria scala di importanza.
In cima stanno i discendenti diretti dei primi Custodi, di
solito di vecchia nobiltà e con grandi possibilità
economiche. Una specie di vertice che prende le decisioni
e dà ordini. Sono solo loro che hanno gli elenchi di tutti
gli affiliati. Poi sotto di loro tutta una serie di livelli
intermedi che sanno poco o nulla, che conoscono solo
pochissimi altri affiliati e che sono quelli che fanno i
lavori più sporchi.
-
-
-
E i nomi conosciuti dal Vaticano dove sono custoditi?
Indovina?
Nella stanza degli omicidi?
Esatto mio caro amico.
Ho capito. E Ravasi? Pensi sia anche lui un custode?
L’ho sospettato ma penso di no. Troppo propenso alla
vanteria e all’ostentazione delle amicizie importanti. Non
ha lo stile dei capi dei Custodi. Loro preferiscono le
riservatezza, l’anonimato quasi l’invisibilità sociale.
Credo di no. Ha solo chiesto il loro aiuto, probabilmente
dopo aver trovato qualche nome nell’archivio.
Ho capito. Allora direi che è davvero ora di salutarci.
Sia noi che voi abbiamo del lavoro da fare. Diamoci da
fare. Ti saluto e ti auguro, con tutto il cuore, buona
fortuna. L’importante che o noi o voi riusciamo a fermare
intanto le Sorelle. Il resto si vedrà.
Auguri anche a voi.
Tutto il gruppo si salutò amichevolmente con reciproche strette
di mano. Poi Alberti, Leonardi e la Foster uscirono dai Musei
trovando all’uscita già pronta la loro auto.
-
Gente in gamba. Peccato non poterci lavorare insieme.
Giuliani aveva seguito con lo sguardo i tre fino all’uscita. Il suo
commento era davvero sincero.
-
Un gran peccato. In questa storia abbiamo tutti bisogno
uno dell’altro. Ma, purtroppo, ci è stato ordinato
diversamente. Andiamo Giuliani, andiamo a lavorare.
CAPITOLO TREDICI
I due uomini erano seduti sulle comode poltrone in pelle dello
studio. Il buio della stanza circondava il piccolo cono di luce
proiettato dalla lampada, appoggiata sul basso tavolino che
divideva le due poltrone, lasciando in penombra il loro viso.
Solo la voce tradì l’insoddisfazione dell’uomo che parlava.
-
-
-
-
Mi dispiace dirglielo Padre Joseph ma questa volta lei
mi ha deluso. Pensavo sarebbe riuscito a sistemare questa
brutta storia in poco tempo e con una certa riservatezza.
Invece ci ritroviamo con due assassinii all’interno dello
stesso Vaticano e un commissario della polizia italiana
che è venuto a conoscenza di troppi segreti e che si è
anche permesso di cacciarla. Senza contare che lo stesso
commissario avrà certamente raccontato tutto quello che
sa a Valente e al suo fido Benelli. Davvero un bel
risultato.
Eminenza chiedo il suo perdono. Ha pienamente
ragione. Ho tradito la sua fiducia, ma quelle Sorelle si
sono rivelate più astute e decise di quello che pensavo.
Va bene padre, lasci perdere le scuse e mi dica cosa ha
intenzione di fare.
Ho già fatto eminenza. Ho mobilitato tutta la nostra rete
di conoscenze e informatori. Anche all’interno della
polizia, nonostante il nostro caro commissario, abbiamo
uomini fedeli che ci terranno informati di tutti gli sviluppi
delle indagini. Sono sicuro che presto scopriremo dove si
nascondono quelle donne e poi, metterle in condizione di
non procurare altri danni sarà questione da poco.
Lo spero padre, lo spero davvero. Ma con Valente e
Benelli come la mettiamo? Anche loro hanno informatori
e mezzi a disposizione. Se dovessero malauguratamente
trovare le Sorelle prima di noi sarebbe un guaio.
Di questo non mi preoccuperei. Se anche dovesse
succedere sappiamo bene che Valente non farebbe mai
-
-
-
-
-
nulla per mettere in pericolo la Chiesa perciò anche lui
non potrebbe fare altro che far sparire le Sorelle in un
luogo sicuro.
Forse ha ragione padre. Allora si dia da fare. Cosa
sappiamo dell’ultimo psichiatra, Heffner mi pare si
chiami?
Abbiamo scoperto che è arrivato a Roma ma non si è
presentato all’albergo che aveva prenotato e non ha
confermato alla segreteria del congresso la sua presenza.
Per ora è sparito ma lo stiamo cercando.
Pensa possano aver ucciso anche lui?
Potrebbe essere ma non ne abbiamo la certezza. In ogni
caso trovate le Sorelle la cosa più importante sarà
ritrovare i documenti che ci interessano, quelle carte sono
molto più importanti della vita del professor Heffner.
Lei parla poco da prete padre, ma ha ragione. Va bene,
vada e mi tenga informato. Io voglio fare una telefonata
al sottosegretario Carli, forse lui riuscirà a convincere
quel commissario a tornare sulla sua decisione.
Io non ci conterei. Il commissario Alberti è uomo molto
testardo. Sono sicuro che non si farebbe convincere
neanche dal ministro in persona.
Potrei sempre fargli togliere l’indagine.
Forse, ma in questo momento non ci conviene. Il
commissario è anche un poliziotto molto in gamba e
potrebbe arrivare a scoprire il rifugio delle Sorelle e in
quel caso i nostri uomini ci informerebbero comunque.
Meglio non privarci di un’altra possibilità.
Va bene padre, per ora lo lasceremo stare ma, appena
finita questa storia, mi occuperò personalmente di far
spostare il commissario Alberti ad altro incarico. Non mi
piace avere a Roma un capo della omicidi che non
capisce le regole della diplomazia e del rispetto dovuto
alla Curia.
-
Ci occuperemo dopo del commissario eminenza. Per ora
pensiamo al nostro obiettivo principale. Io vado, la saluto
e stia tranquillo, presto avrà buone notizie. Ci conti.
Dopo aver baciato rispettosamente l’anello al cardinale padre
Joseph uscì dalla stanza lasciando il cardinal Ravasi a riflettere.
Nello stesso momento nel piccolo convento fuori Roma le
Sorelle si erano riunite nel refettorio. Suor Maria seduta a
capotavola del lungo tavolo di legno che occupava tutta la parte
centrale della grande sala ascoltò in silenzio le ultime notizie
che due consorelle appena rientrate dalla città avevano portato.
Rimase in silenzio anche dopo il racconto. Poi dopo un lungo
sospiro parlò alle nove donne che da lei si attendevano conforto
e ispirazione.
-
La morte di due uomini è un evento tragico. Dio sa
quanto sarei stata felice se avessi potuto evitare tutto
questo. Ma è anche vero che una causa giusta, santa e
benedetta richiede spesso qualche sacrificio. Pregheremo
tutte per l’anima degli uomini morti a causa nostra ma
non smetteremo di lottare per la nostra causa. Troppo
importante è per tutta l’umanità. Adesso è rimasto vivo
uno solo degli uomini che da tanto tempo cerchiamo,
bisogna trovarlo. Il dottor Heffner ha documenti vitali per
la nostra vittoria. Vi esorto perciò care sorelle a mettere
da parte il dolore, il senso di colpa per concentrarci sul
nostro scopo. Trovare il dottor Heffner. Andate, contattate
tutte le nostre consorelle, tutte quelle che condividono le
nostre idee e fate in modo che diventino i nostri occhi, le
nostre orecchie e, se necessario la nostra mano. Adesso
preghiamo tutte insieme per ritrovare forza e unione. Poi
sarà il momento dell’azione. Se vuoi che le cose cambino
la sola preghiera non basta, è necessario che i giusti
agiscano.
Tutte le Sorelle annuirono senza parlare. La loro Santa Madre
aveva ragione, come sempre. Sempre in silenzio si
inginocchiarono e tutte insieme pregarono intonando ad alta
voce l’Ave Maria. Nessuna di loro dubitava di essere nel giusto.
L’unica che si chiedeva se davvero la loro causa potesse
giustificare e far perdonare tanti peccati era proprio la loro
guida.
Intanto l’uomo cercato dalle Sorelle, dalla polizia italiana e
dalla gendarmeria vaticana, ignaro di tutto, era tranquillamente
in viaggio per le campagne romane. Il professor Heffner era
effettivamente giunto a Roma per il convegno, addirittura con
qualche giorno in anticipo ma aveva poi deciso di non
partecipare alla manifestazione. Soprattutto aveva bisogno di
riflettere prima di incontrare i suoi amici e colleghi, Funari e gli
altri, che volevano approfittare della contemporanea presenza a
Roma di tutti loro per concordare come procedere con i risultati
venuti fuori dallo studio commissionato a tutti loro dal cardinal
Ravasi. Certo i risultati venuti fuori erano importanti.
Sorprendenti e scioccanti allo stesso tempo, erano davvero
importanti. Importanti ma molto delicati da trattare, c’era di
mezzo la chiesa e quando c’era di mezzo la chiesa bisognava
essere molo prudenti. Lui poi era ancora più esposto come
responsabile dell’intero gruppo e dell’intera ricerca. Prima di
mettersi in contrasto con le gerarchie romane voleva pensarci
ancora un po’ pensarci bene. Per questo aveva dato buca ai suoi
colleghi. Senza i precisi dati di riferimento sui soggetti
coinvolti nella ricerca e sulla loro storia personale tutti i
documenti in possesso degli altri non avevano nessuna
rilevanza scientifica e non potevano essere pubblicati. E lui
ancora non era sicuro di volerlo fare. Così appena giunto a
Roma aveva noleggiato un camper e aveva iniziato a girare
senza meta, visitando piccoli borghi fuori Roma e pernottando
tranquillamente in solitari e tranquilli angoli di campagna
romana. Senza radio, televisione o giornali, staccando
completamente i contatti con il resto del mondo. Per questo
ancora non sapeva nulla della tragica fine dei suoi colleghi e
per questo era ancora vivo.
Mentre il professo Heffner si godeva la sua vacanza il
commissario Alberti era invece impegnato al massimo. Nei due
giorni successivi agli omicidi dei Musei aveva intensificato le
ricerche delle Sorelle e di Heffner. Aveva richiamato tutti i suoi
uomini dalle ferie e dai permessi e li aveva sguinzagliati per le
strade della capitale. Una foto di Heffner, vecchia di qualche
anno ma ancora somigliante, a detta di Scotland Yard che
l’aveva inviata, era stata stampata in centinaia di copie e
consegnata a tutte le pattuglie in servizio, non solo della polizia
ma anche dei carabinieri, della finanza e dei vigili urbani di
Roma. Una grande e straordinaria opera di ricerca che in
quarantotto ore non aveva dato nessun risultato rendendo il
commissario di pessimo umore.
-
-
-
Porco Giuda Leonardi, possibile che nessuno dei nostri
abbia trovato nulla? Ma che cavolo combinano?
Lo sa anche lei commissario è come cercare il
proverbiale ago nel pagliaio, con la differenza che il
nostro pagliaio è una città con milioni di abitanti e turisti
che la affollano ogni giorno. E il nostro ago è davvero
minuscolo. Non sappiamo neanche se è ancora a Roma e
non sappiamo neanche se è ancora vivo.
Hai ragione, hai ragione. Solo che questa attesa inutile
mi snerva. Mi sento un imbecille a stare qui senza poter
fare nulla mentre la fuori un uomo potrebbe essere ucciso
e le sue assassine farla franca e sparire nel nulla. Mi fa
girare i cosiddetti.
Ha ragione commissario, io mi sento come lei ma non
possiamo fare nulla di più di quello che già stiamo
facendo. Tutti i nostri uomini ce la stanno mettendo tutta,
-
-
-
-
lavorano anche dopo il servizio e hanno preso contatto
con tutti i loro informatori. De Cicco e Maestri stanno
interrogando di nuovo tutti i testimoni e tutte le persone
che, in qualche modo, hanno avuto contatti con questa
storia. Per ora, però, niente.
E Caterina?
Anche lei ha mosso tutte le sue fonti, per quello che ha
potuto. Sa negli Stati Uniti non è che se la stiano
prendendo più di tanto. Un solo omicidio nel loro
territorio non è sufficiente a scuoterli. Non sanno niente
di Sorelle e Custodi e anche del coinvolgimento del
Vaticano. Caterina sta ottenendo qualche aiuto solo per
amicizia e rispetto nei suoi confronti. Sa che ho scoperto
che è molto stimata nel FBI?
Ne sono convinto. E’ una ragazza in gamba, bella e in
gamba.
Già bella e in gamba. E la ragazza dell’università?
Sai Leonardi a volte questo tuo saltare di palo in frasca
mi innervosisce parecchio. Dovresti smetterla di
impicciarti dei fatti miei personali, non ho bisogno,
ancora, né di un tutore né di un mediatore matrimoniale.
Che c’entra commissario, chiedevo per chiedere.
Pensavo che, visto che non abbiamo molto da fare,
potrebbe rilassarsi andando magari a pranzo con quella
ragazza. Sinceramente parlo anche nel mio interesse, è
diventato così nervoso che mi mette in agitazione e mi
innervosisce tutta la squadra. Del resto anche io sto
aspettando il ritorno di Caterina per portarla a mangiare i
veri bucatini all’amatriciana dal Matriciano. Possiamo
solo aspettare, abbiamo messo in movimento tutto quello
che potevamo perciò tanto vale recuperare le energie per
quando ci serviranno. Era solo un suggerimento.
Un ottimo suggerimento. Mi hai convinto. Adesso ci
provo però, se non ti dispiace, vorrei un po’ di intimità.
-
Come vuole commissario. Scendo a cercare Caterina e
dare le ultime istruzioni ai nostri uomini. Li avviso, in
caso di novità di chiamarci subito sul cellulare.
Senza aggiungere altro Leonardi uscì dalla stanza lasciando
solo il commissario. Ci mise solo pochi minuti a dare istruzioni
ai suoi uomini prima di tornare davanti alla porta dell’ufficio di
Alberti. La porta era ancora chiusa e Leonardi si mise
tranquillamente in piedi davanti alla porta preparandosi
pazientemente a una possibile lunga attesa.
Dopo qualche minuto fu lo stesso commissario ad aprire la
porta. Leonardi e Caterina, che l’aveva raggiunto notarono
subito il viso più rilassato e il sorriso che gli attraversava la
bocca.
-
-
Allora commissario tutto bene?
Bene Leonardi, tra un’oretta vado a pranzo fuori. Tu
Caterina hai novità?
Poco, quasi niente. I miei colleghi non hanno trovato
nulla nei nostri archivi sulle Sorelle o sui custodi. Per noi
non esistevano fino a ieri.
Un vero peccato, tutto quello che sappiamo ci viene
solo da racconti verbali. Troppo poco. Mi piacerebbe
sapere Benelli cosa ha scoperto. Magari è stato più
fortunato o più bravo di noi.
Sarebbe da augurarselo Alberto. In ogni caso
chiunque ci riesca fermare le Sorelle è la cosa principale.
Se Benelli ci riesce tanto meglio.
Ha ragione Caterina.
Lo so, avete ragione tutti e due ma, confesso, che mi
darebbe parecchio fastidio se il Vaticano riuscisse a
mettere tutto a tacere. Ma capisco che l’importante è
fermare questa catena di morti.
-
Potrebbe anche essere che le Sorelle si siano ritirate,
magari sono già fuori Roma, nascoste in qualche posto
sicuro dove non le troveremo mai.
Era stato Leonardi a esprimere il dubbio o forse la sua
speranza.
-
-
Sono sicuro di no. Me lo sento. Tieni conto che le
Sorelle non agivano solo per vendetta e odio, cercavano
qualcosa, qualcosa per loro molto importante. E secondo
me non l’hanno ancora trovata. Se ce l’avessero già in
mano si sarebbero fermate prima, non penso siano così
idiote da rischiare la loro vita solo per vendicarsi. Anche
perché ricordiamoci che stanno lottando per una causa per
loro importantissima e non la metterebbero certo a rischio
per un motivo così stupido. No, secondo me sono ancora
in città e stanno cercando Heffner, lui ha in mano
documenti di cui hanno bisogno e non si fermeranno fino
a quando non li avranno trovati o fino alla morte di tutte
loro. E non si fermeranno davanti a nulla per riuscirci. Me
lo sento nelle ossa.
Allora cara mia siamo certi che è così, quando il
mio commissario ha una intuizione è sempre giusta.
Va bene Leonardi adesso dopo questa sviolinata
posso anche andarmene a pranzo. Auguro buon appetito
anche a voi. Se non ci sono novità ci vediamo dopo
pranzo.
Alberti era già sulla porta quando il suono del cellulare lo
bloccò. Prima di rispondere si girò a guardare Leonardi e
Caterina che lo fissavano. Quella telefonata li avrebbe
probabilmente costretti a rinunciare al loro pranzo. Poi Alberti
si decise a rispondere. La sua faccia si rabbuiò per un attimo,
solo qualche secondo, poi un sorriso fece capolino. I suoi
lineamenti si rilassarono e sembrava anzi divertirsi molto. Con
un cenno fece capire al suo ispettore e all’agente americano che
non c’era nulla di cui preoccuparsi. Poi lo sentirono replicare
all’interlocutore.
-
Devo dire che mi dispiace di essere stato troppo
brusco con quel prete ma, lei capisce che le circostanze
non mi hanno permesso di fare altrimenti. Siamo di fronte
a un serie di omicidi e il solo sospetto che quel sacerdote
potesse nascondermi prove o informazioni importanti mi
ha costretto a estrometterlo dalle indagini. Dica pure al
sottosegretario che, appena prese le assassine, farò le mie
scuse a Padre Joseph. Intanto la saluto, ho molto lavoro e
sono sicuro che anche lei ritiene prioritario assicurare alla
giustizia le responsabili di queste morti. Grazie e la
saluto.
Interrotta la comunicazione Alberti soddisfò subito la curiosità
dei suoi amici.
-
-
Il signor questore. Ha ricevuto lamentele da
qualcuno delle alte sfere della Curia e dal sottosegretario
in persona. E naturalmente ha deciso subito di farmi una
bella ramanzina, così giusto per pararsi il culo. Scusa la
parola Caterina. Adesso siamo davvero nella melma, se
non troviamo le Sorelle ci ritroviamo, se va bene, in
qualche commissariato di periferia o di qualche sperduto
paesino di provincia e se va male all’ufficio passaporti a
timbrare cartacce. Che ne dici Leonardi?
Intanto sono sicuro che troveremo quelle maledette
e, se proprio dovesse andare male, vuol dire che avrò più
tempo da passare in palestra. Meglio. Orari comodi.
Precisi e tutto il pomeriggio da riempire come mi piace.
Quasi quasi.
-
Sì, va bene, ho capito. Al massimo cercherò di farti
almeno mandare a dirigere il traffico. Aria buona e tanta
gente intorno. Adesso smettiamola di scherzare, andiamo
a pranzo e poi ci rimetteremo al lavoro. Vi saluto.
Il commissario arrivò velocemente all’uscita. Con la sua auto si
avviò con calma verso l’università. Era ancora in anticipo
perciò se la prese comoda, guidando piano e godendosi la bella
giornata. Il suo cervello continuava, è vero, a riflettere sulle
Sorelle e a rievocare tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni,
sperando di trovare un indizio, una traccia che potesse metterlo
su una buona pista ma, nello stesso tempo, si godeva l’attesa
dell’incontro con Anna. Il solo pensiero gli metteva allegria e
gli permetteva di guardare al futuro, comunque, con serenità e
fiducia. Arrivò davanti all’ingresso dell’ateneo in anticipo.
Parcheggiò l’auto in un posto fortunosamente trovato libero e si
piazzò in piedi davanti all’ingresso. Aspettare quei pochi minuti
non gli sarebbe pesato. Era davanti all’ingresso da pochi minuti
intento a guardare verso l’interno quando sentì una voce alle
sue spalle.
-
Buongiorno commissario, ha ancora bisogno di me?
La voce dell’uomo colse il poliziotto di sorpresa. Era talmente
intento nei suoi pensieri che non l’aveva neanche visto
avvicinarsi. Era il professor Testori. Un po’ in imbarazzo il
commissario lo salutò.
-
No professore, grazie. Sono
appuntamento personale.
Una bella ragazza scommetto?
qui
per
un
La voce del professore era come al solito cordiale e un sorriso
di complicità gli attraversava tutta la faccia.
-
Indovinato, una ragazza. Mi ha preso in castagna.
Ma quale castagna, avessi io la sua età. Lei è
giovane, commissario, si goda la vita e i suoi lati belli.
Sono sicuro che con il lavoro che fa ne vede fin troppo di
cose brutte perciò, se lo faccia dire, appena può approfitti
dei momenti belli. Una bella ragazza è un ottimo
toccasana per dimenticare le brutture del mondo.
Alberto stava per replicare al simpatico professore quando
Anna sbucò dall’ingresso. Aveva naturalmente la solita divisa
rossa, i capelli sciolti e un largo sorriso. Era ancora più bella.
Salutandolo con un cenno della mano gli fece capire che
l’aveva visto. Vedendolo in compagnia di Testori la ragazza non
si avvicinò. Alberto si incantò a guardarla e anche il professore
la ammirò per qualche secondo.
-
Avevo proprio ragione, commissario. Davvero una
bella ragazza. Complementi. Vada, vada pure, non perda
tempo con questo povero vecchietto. Quella ragazza non
va fatta aspettare. Vada e buon appetito.
Senza aggiungere altro il professore salutò il commissario
dirigendosi verso l’ingresso dell’edificio. Alberto si avvicinò
alla ragazza.
-
Ciao Anna, come stai?
Bene, stanca per il lavoro ma sto bene. E tu? Come
va il tuo lavoro?
Devo dire abbastanza male. Sono in mezzo a una
serie di eventi terribili e non riesco a venirne a capo.
Sono quegli omicidi di cui ho letto sui giornali?
Proprio quelli. Troppi morti e sono ancora senza una
traccia valida.
-
Sono sicura che ne verrai a capo. Devo dire che i
giornali parlano molto bene di te. Dicono tutti che sei
molto bravo nel tuo lavoro.
Esagerano, mi tengono buono per avere poi notizie
di prima mano.
Sarà come dici ma ho idea che vuoi fare il
modestino.
Adesso però basta parlare di lavoro e cose brutte.
Godiamoci questi minuti. Quanto tempo hai?
Non moltissimo, giusto un paio d’ore. Poi devo
rientrare. Cosa vuoi fare?
Che ne dici di un’altra pizza?
Mi sembra un’ottima idea. Ho proprio fame e una
pizza mi va a genio. Solito posto?
Solito posto.
Tra i due si era creata spontaneamente una corrente di simpatia,
raggiunsero il locale camminando fianco a fianco, molto vicini,
chiacchierando del più e del meno, sorridenti e tranquilli.
Alberti dimenticò i guai degli ultimi giorni, omicidi, Sorelle e
Custodi. La sua mente era presa completamente da quella
ragazza che conosceva da così poco ma che gli sembrava di
conoscere da sempre.
Il locale era semideserto, accompagnati dal cameriere, i due
giovani presero posta a un tranquillo tavolino in fondo alla sala.
Ordinarono subito e furono serviti quasi immediatamente. La
pizza era ottima e mangiarono con gusto senza smettere mai di
parlare, sorridere e guardarsi negli occhi. Alberto teneva gli
occhi fissi sul viso della ragazza e questo gli salvò la vita.
Mentre la guardava vide il sorriso sparirle all’improvviso dalla
faccia e un’espressione di terrore profondo le stravolse il viso.
Alberti reagì d’istinto. Si alzò in piedi di scatto girandosi
velocemente e impugnando nello stesso tempo la pistola
estratta dalla fondina che teneva di fianco. Le vide avvicinarsi
velocemente, erano già molto vicine, vicinissime. Con il
braccio già alzato, nella mano la loro solita arma. Le due donne
erano assolutamente scialbe, due signore di mezza età, con
vestiti semplici e senza trucco. Due innocue zitelle di mezza età
se non fosse stato per l’espressione del loro viso e per il lungo
stiletto che tenevano nella mano alzata, pronte a colpire. Non
smisero di avvicinarsi neanche vedendo l’arma ormai puntata
su di loro. Continuarono ad avvicinarsi senza timore, erano
troppo vicine. Alberti gridò di fermarsi ma le due donne
continuarono ad avanzare come se non l’avessero sentito.
Alberti non aveva più tempo, non poteva più aspettare. Fosse
stato da solo, forse, avrebbe tentato qualcosa per prenderle vive
ma la presenza di Anna, il suo viso terrorizzato, il suo urlo
terrorizzato che sentì rimbombare nelle orecchie lo spinsero ad
agire. Il primo sparo colpì la donna più vicina che cadde a terra
con il sangue che sgorgava dal petto, la seconda ne scavalcò il
corpo lanciandosi su Alberti senza timore. Alberti sorpreso
dalla reazione della donna ebbe un attimo di esitazione che per
poco non gli costò la vita. Solo l’istinto di sopravvivenza gli
fece schivare il colpo sferrato dalla donna al suo petto. Il
movimento gli fece perdere l’equilibrio facendolo quasi cadere.
La donna invece si rimise subito in posizione slanciandosi di
nuovo verso di lui con il braccio alzato. Alberti non esitò
ancora. Le sparò cercando di mirare al braccio ma nel
movimento verso di lui la donna cambiò direzione. Il colpo la
colpì in pieno viso. Solo dopo averla vista a terra il
commissario riprese a sentire. Anna e tutti gli altri clienti del
locale urlavano terrorizzati, qualcuno seduto immobile sulla
sedia, qualcun altro buttato a terra o cercando di raggiungere
l’uscita. Alberti riprese in pugno la situazione.
-
Calma, calma, sono della polizia. State tranquilli, è
tutto finito. State tranquilli.
Poi il poliziotto si avvicinò a Anna che sedeva rigida e
terrorizzata al suo posto.
-
Anna, Anna, tutto bene? Sei ferita?
Per qualche secondo la ragazza lo guardò senza parlare e senza
dare segno di riconoscerlo. Poi si riprese. Un lieve sorriso.
-
-
-
Sto bene, sto bene. Solo tanta paura. Ma chi erano
quelle due pazze?
Due pazze, hai ragione. Due della pazze che sto
inseguendo da giorni. Mi dispiace Anna, è tutta colpa
mia. Ti ho messa in pericolo, sono stato un idiota. Io me
ne vado in giro mentre delle pazze scatenate sono pronte
a tutto. Ti chiedo scusa.
Stai tranquillo Alberto, è tutto a posto. Non fartene
una colpa, non potevi certo immaginare una cosa del
genere.
Forse no, ma avrei dovuto essere più prudente e più
attento. Queste donne sono davvero pronte a tutto, avrei
dovuto saperlo. Adesso scusami, devo avvisare il mio
vice, potrebbe essere in pericolo anche lui.
Vai Alberto, pensa a fare quello che devi. Io sto bene
e tra qualche minuto sarò a posto.
Grazie, aspettami qui.
Alberto si allontanò per telefonare a Leonardi. In quel momento
a sirene spiegate arrivò una volante. I due poliziotti scesero
velocemente dall’auto impugnando le pistole e entrando di
corsa nel locale. Alberti rimessa a posto l’arma si premunì di
alzare bene in alto le mani. Meglio essere prudenti. I due agenti
lo videro subito e altrettanto velocemente lo riconobbero.
-
Commissario, cos’è successo?
-
-
Tranquilli, adesso è tutto sotto controllo. Due donne
hanno tentato di uccidermi, sono stato costretto a sparare.
Adesso ascoltatemi bene. Chiamate altre pattuglie e
avvisate la centrale di mandare la scientifica e il medico
legale. Poi identificate tutti i presenti, ricordate che è solo
per prudenza, sono certo che sono tutte persone a posto.
Perciò massima cortesia e cercate di fare in fretta a
mandarli via. Ne hanno già passate troppe oggi. Io devo
fare delle telefonate. Per qualsiasi cosa chiedete. Tutto
chiaro?
Chiarissimo commissario, stia tranquillo. Faremo
come ci ha ordinato.
Ah un’ultima cosa. La ragazza a quel tavolo è una
mia amica. E’ molto scossa, lasciatela tranquilla. A lei
penso io.
Agli ordini commissario.
Bene, ci vediamo dopo.
Dopo aver salutato i due agenti Alberti uscì per telefonare.
Stava ancora componendo il numero quando sentì le sirene
delle altre volanti che arrivavano. Ottimo, pensò. Poi Leonardi
rispose.
-
Salve commissario, novità?
Solo una, due Sorelle hanno tentato di uccidermi.
Dall’altra parte silenzio. Poi la voce agitata dell’ispettore.
-
Sta bene commissario? La ragazza sta bene? Com’è
andata?
Tranquillo, tutto bene. Cioè noi stiamo bene ma le
due donne sono morte. Ho dovuto ucciderle, sembravano
pazze scatenate, senza nessun timore di morire. Si sono
fermate solo morte. Una cosa spaventosa. Sembravano in
-
una specie di trance mistica, due esaltate pronte a morire
per la loro causa. Terribile. Ho dovuto ucciderle.
Non ci pensi commissario, ha fatto quello che
doveva. Adesso chiamo Caterina e la raggiungiamo.
Bene Leonardi ma state attenti anche voi, potreste
essere un bersaglio anche voi. Prudenza.
Va bene, saremo prudenti.
Bene vi aspetto. Sono in una pizzeria a pochi metri
dall’università. La troverete subito, è quella circondata
dalle nostre volanti. A dopo.
A dopo commissario.
Leonardi messo in allarme dalla telefonata si avviò verso i
bagni per chiamare Caterina. Davanti alla porta sentì la ragazza
parlare con qualcuno. Una voce di donna. Una specie di
presentimento lo spinse ad aprire subito la porta. Fu quella
specie di presentimento a salvare la vita della ragazza. Caterina
era tranquillamente intenta a lavarsi le mani dando le spalle
alla sua interlocutrice. Un’anziana signora, una tranquilla
vecchia signora che alle spalle della ragazza mentre continuava
a parlarle normalmente stringeva nella mano alzata un lungo
ago già pronto a colpire. Leonardi, impugnando la pistola,
lanciò un urlo, un avvertimento per Caterina e una
intimidazione per l’anziana signora, sicuramente un’altra delle
Sorelle. Caterina si voltò di scatto e con uno scatto repentino
riuscì a schivare il colpo della Sorella, scivolando però sul
pavimento bagnato e cadendo per terra dopo aver battuto la
testa sul lavandino. Svenuta cadde ai piedi della donna.
Leonardi puntò l’arma sulla donna.
-
Ti consiglio di non muoverti, fai un solo gesto e sarò
costretto a sparare. Mi hai capito?
La domanda gli venne spontanea. La donna non sembrava
minimamente intimorita. Lo guardava tranquilla, quasi
sorniona. Stringeva la sua arma senza dare segno di volerla
lasciare. Poi con un leggero sorriso, così sembrò a Leonardi, la
donna si mise a fissare la ragazza svenuta ai suoi piedi.
Leonardi pensò fosse sul punto di colpire Caterina e mirò alla
spalla della donna. L’avrebbe disarmata. Ma la donna lo
sorprese, si voltò di scatto e alzando il braccio si mise correre
verso di lui. Leonardi pensò per un attimo di gridarle qualcosa
ma poi capì dallo sguardo perso della donna che nessuna parola
avrebbe potuto fermarla. Sparò cercando di mirare alla spalla.
CAPITOLO QUATTORDICI
Nell’ufficio del commissario l’atmosfera era pesante. Alberti
sedeva teso e nervoso alla scrivania continuando a leggere con
evidente insoddisfazione tutta la serie di rapporti negativi che
continuavano ad arrivare. Niente, nessun traccia, nessuna
notizia, né di Heffner né delle Sorelle. Dopo aver evitato
l’attacco delle Sorelle il commissario e i suoi amici si erano
messi con ancora più impegno in caccia, ma senza risultato.
-
-
-
Niente da fare, quelle maledette si devono essere
rintanate di nuovo nella loro tana. Si vede che dopo aver
fallito il loro piano per ucciderci hanno ritenuto più
prudente tornare a nascondersi. Vorrei tanto sapere dove.
Una cosa è certa, Alberto, ci hanno messo nella lista
dei loro nemici.
Hai ragione Caterina, nella lista nera. Ci siamo
salvati per miracolo, scusate il termine. Ma c’è un’altra
cosa certa, non siamo solo noi in caccia. Le Sorelle ci
controllano e ci spiano, ci seguono e sanno sempre
perfettamente dove siamo. Lo fanno loro direttamente o
tramite qualcuno. Questo deve farci diventare ancora più
prudenti, non parlare con nessuno che non sia fidatissimo
degli sviluppi e stare sempre in guardia.
Sono perfettamente d’accordo, commissario. Se
ripenso alla scena di qualche ora fa mi vengono ancora i
brividi. Un minuto di ritardo e quella donna avrebbe
ucciso Caterina. Mi ritorna sempre in mente il suo
sguardo, vuoto, senza espressione. Sia quando stava per
uccidere sia quando ha accettato di morire, perché sapeva
di morire, non ha minimamente cambiato espressione.
Non riesco a decidere se sono pazze o semplicemente
fanatiche. In ogni caso mi fanno paura e, lei lo sa
commissario, non sono certo il tipo che si spaventa
-
-
facilmente. A proposito come sta quella ragazza che era
con lei, Anna?
Sta bene, molto scossa anche lei ma sta bene. Per
fortuna non le è successo nulla. Non me lo sarei
perdonato, sono stato uno stupido.
Non poteva certo immaginare una cosa del genere.
Non se ne faccia una colpa.
Lo so Leonardi, lo so. Però avrei dovuto pensarci. Ci
troviamo di fronte a un gruppo di fanatiche religiose che
ammazzano in nome di Dio, la razza più pericolosa gli
assassini convinti di fare il volere del loro Dio. Da loro
bisogna aspettarsi di tutto. Sono persone disposte a
uccidere e farsi uccidere, senza esitazioni. A proposito,
sei stato bravo a non ucciderla.
Sono stato fortunato, all’ultimo momento, devo
essere sincero, ho sparato avendo solo in testa di fermarla
e non averlo fatto è stato solo un caso.
Caso o non caso mio caro Dario sei stato bravo e
non dimentico che ti devo la vita.
Il sorriso e le parole di Caterina fecero tornare, per un attimo, il
sorriso sulle labbra dell’ispettore.
-
-
Comunque non penso che ne ricaveremo nulla, per
ora la donna che hai ferito non è in grado di parlare e
quando si rimetterà non so quanto ne ricaveremo. Non
penso che una persona disposta a morire per la sua fede
sia poi disponibile a darci una mano contro le sue
compagne. Vedremo quando starà meglio. Per ora
continuiamo a tenerla sotto strettissima sorveglianza.
Temi che possano tentare di liberarla?
Non lo so Caterina, ormai da quelle donne mi
aspetto di tutto. Potrebbero tentare di liberarla o
-
semplicemente tentare di ucciderla per essere
assolutamente sicure che non parli, tutto è possibile.
Pensi possano arrivare a tanto, uccidere una di loro?
Non
ho
dubbi
Caterina,
lo
farebbero
tranquillamente. La loro causa viene prima di tutto anche
della loro stessa vita.
Penso che lei abbia ragione commissario, quelle
donne non si fermeranno davanti a nulla per raggiungere
il loro scopo, perciò dobbiamo fermarle noi.
Lo faremo Leonardi, lo faremo. Adesso vai a vedere
se ci sono novità dalle pattuglie.
Vado subito commissario, ho dato incarico a De
Cicco e Maestri di controllare ma ci vado anch’io.
Leonardi uscì dalla stanza lasciando Alberti e l’agente
americano intenti a spulciare le carte in cerca di un qualsiasi
indizio. La sua assenza durò pochi minuti. All’improvviso la
porta dell’ufficio si aprì e la voce agitata dell’ispettore
annunciò la notizia.
-
-
Abbiamo una traccia su Heffner. A uno dei nostri
agenti è venuto in testa di controllare anche le agenzie di
noleggio auto e ha scoperto che Heffner ha noleggiato un
camper appena arrivato a Roma.
Ecco perché non lo trovavamo. Hai diramato
l’ordine di ricerca a tutte la pattuglie?
Certo commissario, già fatto. Tutte le pattuglie di
Roma e di tutta la regione. Se ha preso a noleggio un
camper probabilmente vuole spostarsi fuori dalla città.
Bene Leonardi, allora adesso possiamo solo
aspettare, non dovrebbe volerci molto a individuare un
camper. Una volta che avremo trovato e messo al sicuro
Heffner vedremo che spunti potrà darci per trovare le
Sorelle. In ogni caso saremo più tranquilli. Ordina
qualcosa da mangiare, restiamo qui.
Mentre i tre amici si mettevano tranquilli in attesa di notizie
anche il professor Heffner ignaro di tutto si godeva
tranquillamente la sua vacanza in giro per le campagne romane.
Non sapeva neanche bene dove fosse, aveva girato a casaccio
seguendo strade e stradine poco battute, fermandosi quando ne
aveva voglia in posticini tranquilli. In quel momento era
parcheggiato in una piccola piazzola di sosta, appena fuori un
piccolo paesino di cui non sapeva neanche il nome. Il sole stava
tramontando e dopo aver mangiato qualcosa il professore si
mise beatamente a fare un pisolino su una comoda sdraio
compresa nella dotazione del camper. Si appisolò subito senza
notare le due persone che già da qualche ora seguivano con
discrezione i suoi movimenti. Quando lo videro respirare
tranquillamente le due persone si avvicinarono. Erano due
donne.
-
L’abbiamo trovato, sorella.
Silenzio.
La seconda donna zittì la prima. Poi silenziosamente si
avvicinò all’uomo sdraiato. Era profondamente addormentato.
Senza parlare la donna estrasse dalla capiente borsa che teneva
a tracolla una boccettina contenente un liquido chiaro. Aperta
delicatamente la bottiglietta la donna si avvicinò al professore
addormentato e lentamente la fece passare sotto il suo naso poi,
dopo una serie di passaggi, aprì lievemente la bocca dell’uomo
e versò qualche goccia del liquido direttamente sulla lingua.
Solo dopo qualche secondo si decise a parlare, con tono
normale.
-
-
Adesso siamo sicure che non si sveglierà. Forza
Sorella Lucia carichiamolo sul camper e portiamolo dalla
Santa Madre. Lei saprà cosa farne.
Hai ragione Agnese, lei sa sempre cosa fare. Sarà
una fatica caricarlo.
No, tu sei in grado di guidare quel coso, adesso
spostalo più vicino possibile, poi useremo la sedia come
lettiga per tirarlo su. Del resto non potevamo rischiare di
affrontarlo sveglio, per quanto anziano avrebbe potuto
darci dei problemi e siamo troppo vicini al paese per
permetterci una lotta.
Hai ragione. Adesso sposto il camper.
Sorella Lucia si avviò verso il mezzo parcheggiato. Salita al
sedile di guida constatò con soddisfazione che le chiavi erano
infilate nel cruscotto. Evidentemente il professore si sentiva
tranquillo. Messo in moto la donna si avviò lentamente verso il
corpo addormentato parcheggiandolo con la porta di fianco alla
sedia. Poi, scesa velocemente, aiutò la sua consorella infilare la
sedia con tutto il suo peso nel retro del camper. L’operazione si
rivelò più complicata del previsto, la porta era stretta e non
permetteva di infilare la sedia aperta. Durante i vari tentativi il
corpo addormentato del povero professore finì a terra. A quel
punto le due donne, ormai stanche e demoralizzate, si decisero
a trascinarlo semplicemente fino allo scalino e poi sul mezzo.
Finita l’operazione lo legarono per precauzione e risalite nella
cabina di guida si misero in viaggio verso la loro meta.
Prudentemente si tennero lontane dalle strade principali e la
loro decisione le salvò dall’essere intercettate dalle pattuglie di
polizia e carabinieri impegnate nella ricerca del camper. Il
viaggio non fu lungo, dopo neanche un’ora di cammino
entrarono nel cortile del convento. Madre Maria era lì ad
aspettarle.
Nel frattempo Alberti era al telefono con il suo amico Benelli.
Il commissario aveva deciso di avvisare anche il comandante
della gendarmeria di quello che avevano scoperto. Più erano a
cercare più probabilità avevano.
-
-
-
-
Ti ringrazio dell’informazione Alberto. Apprezzo
molto la tua collaborazione. Io la penso come te, sarebbe
stato meglio unire le forze per aumentare la nostra
capacità operativa. Purtroppo non dipende da me.
Lo so Carlo, tranquillo. Adesso preoccupiamoci di
fare il nostro lavoro. Salvare la vita Heffner e trovare le
Sorelle. Novità da quella parte?
Niente, ti assicuro. Sarei felice di poterti dare
qualche buona notizia ma la verità è che è una ricerca
quasi senza speranza. I posti dove possono nascondersi
sono centinaia e io non ho nessuna traccia precisa e non
ho abbastanza uomini per controllarli tutti. Non voglio
essere banale ma è davvero come il classico ago nel
pagliaio.
Lascia stare gli aghi che se ci penso mi vengono di
nuovo i brividi.
Hai ragione, non avrei mai pensato che sarebbero
arrivate a tentare di uccidere te e i tuoi collaboratori.
Quelle donne hanno superato qualsiasi limite. Quando le
prenderemo dovremo trovare un sistema davvero sicuro
per impedire che possano ripetere le loro gesta.
Comunque sono felice che vi siate salvati senza un
graffio. Saluta l’agente Foster da parte mia e anche da
parte di Guliani.
Lo farò Paolo, grazie. Adesso torno al lavoro. Fatti
sentire se ci sono novità e se puoi.
Lo farò tranquillo. Saluti.
Chiuso il telefono Benelli ci pensò un attimo. Poi si decise e
compose il numero riservato del cardinale.
-
Buongiorno eminenza, volevo informarla degli
ultimi sviluppi.
Venga pure comandante. Preferisco parlare di
persona.
Il cardinal Valente non aggiunse altro e neanche il comandante
Benelli. In pochi minuti Benelli raggiunse le stanze del
cardinale e lo aggiornò degli ultimi sviluppi.
-
Lei ha perfettamente ragione comandante, quelle
donne hanno superato ogni limite. Bisogna fermarle al
più presto.
Per questo sono qui eminenza. Voglio rinnovarle la
mia richiesta di collaborazione con la polizia italiana, con
il commissario Alberti. Se uniamo le nostre forze avremo
più speranze di trovare le Sorelle. Se poi lei riuscisse a
ottenere anche l’aiuto diretto del ministro, magari
mettere in campo anche i carabinieri e qualche unità
dell’esercito potremmo iniziare un’opera di controllo a
tappeto di tutti i possibili nascondigli delle Sorelle.
Il cardinale non ebbe esitazioni.
Mi dispiace comandante, non è possibile. E’
inimmaginabile, non posso permettere a poliziotti e
carabinieri di entrare nei nostri conventi e monasteri.
Sarebbe una vera e propria offesa a secoli di storia e
potrebbe creare un pericolosissimo precedente. Capisco le
sue buone intenzioni ma non posso autorizzarlo. Continui
a operare con le sue forze, so che farà il massimo, ho
piena fiducia in lei ma ho anche altrettanta fiducia che il
Signore ci aiuterà. Abbia fede anche lei comandante.
Spesso l’aiuto di Dio arrivi proprio quando tutto sembra
perduto. Adesso vada, devo informare il Santo Padre. Le
prometto che accennerò alla sua richiesta, anche se sono
certo che Sua Santità concorderà con la mia scelta ma se
dovesse invece decidere di venire incontro alla sua
preghiera, la richiamerò subito e in quel caso muoverò
tutte le mie amicizie e conoscenze per mettere in campo
quante più forze possibili.
Benelli capì che non era il caso di insistere, era sicuro che
Valente avrebbe riportato al Papa la sua idea ma era altrettanto
sicuro che senza il pieno appoggio del cardinale non avrebbe
avuto nessuna possibilità di essere accettata. Salutò il cardinale
e ritornò nella Sala Operativa della Gendarmeria per riprendere
il suo lavoro di ricerca. Speriamo in Dio, pensò, o almeno in un
grosso colpo di fortuna.
Intanto il povero professor Heffner, ancora mezzo
addormentato si trovava seduto su una scomoda sedia di legno,
legato mani e piedi, in quella che sembrava una cucina, di
fronte a una suora con il volto dolce e sereno che lo guardava
sorridendo. A parte il fatto di essere legato non si sentiva in
pericolo, quella donna aveva uno sguardo così dolce da non
fargli nessuna paura. Anche le altre donne sedute intorno a lui,
tutte suore, non sembravano pericolose. Solo non riusciva a
capire perché l’avessero legato.
-
Ben svegliato caro professore, come si sente?
La voce della suora era dolce e bassa e sembrava veramente
interessata al suo stato di salute. Oltretutto al professore
sembrava di averla già incontrata qualche tempo prima. Il
professore trovò naturale risponderle cortesemente.
-
Direi che sto bene, solo un po’ intontito.
-
-
-
Stia tranquillo, le passerà presto. E’ un lieve effetto
secondario del sonnifero che le mie consorelle le hanno
fatto prendere. Ci deve scusare ma non avevano tempo e
possibilità di darle troppe spiegazioni. Adesso invece le
spiegherò tutto. La lascio tranquillo ancora per qualche
minuto, intanto le consiglio di bere una bella tisana calda,
tutta naturale che le rimetterà in piena salute in pochi
minuti.
Lei è molto gentile ma non riesco a capire perché mi
avete rapito e perché mi tenete legato. Cosa volete da me?
Diciamo che abbiamo bisogno della sua consulenza
professionale per capire meglio alcuni documenti in
nostro possesso.
Di quali documenti parla?
Li conosce benissimo professore. Parlo delle
relazioni che lei e altri suoi colleghi avete presentato al
cardinal Ravasi.
Ma come avete fatto ad averli. Quei documenti sono
molto delicati e devono rimanere segreti. Vanno letti e
interpretati, se venissero divulgati senza un’adeguata
presentazione e spiegazione potrebbero causare gravi
danni alla Chiesa e al mondo intero.
Lei ha ragione professore. Comunque per averli
abbiamo dovuto usare metodi poco ortodossi e poco
giustificabili e di questo renderemo conto a nostro
Signore ma siamo sicure che non danno deriverà alla
Chiesa ma una positiva e benefica spinta al cambiamento
e al rinnovamento. La nostra amata Chiesa ha bisogno di
un sussulto, di una scossa, che la smuova dalle
fondamenta e la porti su una via più conforme al volere
della Beata Vergine Maria, via indicata nel Terzo Segreto
di Fatima.
Il professore iniziò a preoccuparsi. Quella donna pur
conservando il suo sorriso e il suo tono dolce sembrava molto
presa delle sue convinzioni. Senza aggiungere altro la donna si
allontanò, subito seguita da tutte le altre suore. Evidentemente
la consideravano la loro superiora. Con un cenno indicò una
delle suore più giovani che subito si diresse verso i fornelli
dove da tempo bolliva una grande pentola. Con gesti rapidi e
precisi la giovane suora versò il liquido scuro dalla pentola in
una grossa tazza scura. Tenendo la tazza con due mani si
avvicinò all’uomo legato. Arrivata vicina al grosso tavolo in
legno che occupava tutto il centro della stanza posò la tazza e si
avvicinò al professore iniziando a slegarlo. Una sola mano. Con
la mano libera il professore era alla distanza giusta per
prendere la tazza. Senza neanche farselo chiedere lo fece. La
bevanda era calda ma non bollente, densa e saporita. Molto
piacevole da bere. Il professore provò subito un senso di
benessere, il leggero stato di stordimento passò completamente
lasciandolo in un piacevole stato di rilassamento. La sua mente
tornò in breve tempo lucida e reattiva e si rese conto di essere
probabilmente in un grosso guaio. Doveva prendere tempo, non
far arrabbiare quelle donne e far finta di collaborare ma senza
dare troppe spiegazioni. I segreti di quei documenti erano
troppo scottanti e permettere a quelle donne di venirne in
possesso l’avrebbe messo nei guai con persone anche più
pericolose. Era davvero in una brutta situazione. Decise di stare
al gioco.
-
Davvero buono sorella. Cosa c’è dentro?
Erbe, solo erbe mischiate secondo antiche ricette.
Stia tranquillo non sono velenose e neanche pericolose in
qualsiasi modo. Non vogliamo farle del male.
Ne sono sicuro sorella, era solo curiosità.
Se adesso si sente meglio posso chiamare la Madre.
-
-
-
Veramente sono un po’ stanco e ho anche un leggero
appetito. Sarebbe possibile avere qualcosa da mangiare e
poi dormire qualche ora? Ero in viaggio già da molto e ho
bisogno di riposare in un buon letto.
Come desidera. Adesso le preparo qualcosa di
semplice e leggero ma anche molto gustoso, poi
l’accompagnerò nella sua stanza. Vedrà la Madre domani
mattina. Mi è stato ordinato di accontentarla e per quello
che posso sono a sua disposizione.
Spero mi slegherà per mangiare.
Purtroppo no, non posso farlo. La imboccherò io.
Questo è veramente ridicolo, imboccarmi come un
bambino. Le prometto che non tenterò né di assalirla né
di fuggire.
Le ripeto, mi dispiace ma non è possibile. Le
istruzioni della Madre sono state chiare e precise. Lei
rimarrà legato e io la imboccherò come un bambino.
Un sorriso divertito addolcì il volto della giovane che era, notò
il professore, molto carina. Rassegnato alla sua sorte, neanche
tanto spiacevole, il professore si rilassò e si mise seduto il più
comodamente possibile sulla sedia. Se non altro, pensò ho
guadagnato un’intera notte per cercare una soluzione ai suoi
problemi. Il buon odore proveniente dai fornelli lo distrasse
completamente dalle sue preoccupazioni.
Carina e gentile, ottima cuoca, ragazza da sposare, con
quest’ultimo pensiero il professore si accinse tranquillamente a
gustare la sua cena.
Molto meno tranquillo era invece padre Joseph.
Questa volta nello studio del cardinal Ravasi l’aria era
decisamente più tesa. L’alto prelato era molto irritato con il suo
segretario.
-
-
-
Insomma padre, mi aveva promesso risultati in poco
tempo e invece quelle Sorelle sono ancora in giro. E
anche del professore non abbiamo nessuna novità. Mi
spiega cosa intende fare?
Le assicuro eminenza che non è così. Abbiamo
nuove notizie sul professore. Le mie fonti mi hanno
informato che appena arrivato a Roma ha noleggiato un
camper che stiamo cercando con tutti i mezzi a
disposizione. Anche sulle Sorelle abbiamo novità
importanti, ci sono arrivate alcune segnalazioni, molto
interessanti e dettagliate, su alcuni possibili rifugi. Le sto
facendo controllare tutte e sono sicuro che in poco tempo
individueremo il posto dove si nascondono e lì troveremo
loro e, magari, anche il professore.
E spera di trovarlo vivo o morto, padre?
Questo non lo so eminenza. Io spero vivo ma questo
non dipende da me.
Certo che non dipende da lei ma da quanto tempo ci
metterà a trovare quel posto. Vada e mi tenga informato
continuamente.
Senza ribattere e con il capo chino il prete si alzò dalla
poltrona. Si avvicinò al cardinale per baciargli l’anello ma il
prelato ostentatamente non allungò la mano. Padre Joseph capì
che non era il caso di insistere e lasciò la stanza.
Rimasto solo il cardinale diede sfogo alla sua rabbia lasciandosi
sfuggire una imprecazione. Maledizione le cose si stavano
mettendo davvero male. Le notizie erano arrivate direttamente
alle orecchie del Santo Padre, ci aveva pensato quel maledetto
di Valente a informarlo di tutto. Se non fosse riuscito a fermare
presto le Sorelle e bloccare qualsiasi fuga di notizie all’esterno
la sua carriera sarebbe stata rovinata. Ma la cosa non era facile.
Anche il comandante Benelli era sulle tracce delle Sorelle e
onestamente il cardinale pensava che il capo della gendarmeria
avesse molte più possibilità di trovarle di padre Joseph. Quel
prete si stava rivelando un incapace. Per anni aveva risolto con
grande abilità molte situazioni piacevoli ma in quella storia
l’aveva consigliato e si era mosso in modo molto maldestro,
troppo. Finito quel casino lo avrebbe rimandato in qualche
sperduta parrocchia di provincia a fare un po’ di penitenza. E
poi, per finire, c’era pure quel piccolo funzionario di polizia,
quel commissario, che sembrava seriamente intenzionato ad
arrestare le Sorelle e portarle in tribunale. E questa possibilità
era ancora più catastrofica della prima. Le Sorelle in mano a
Benelli sarebbero comunque state messe sotto silenzio ma in
un’aula di tribunale la storia avrebbe scatenato un vero e
proprio putiferio che neanche tutte le amicizie del Vaticano
avrebbe potuto fermare. Doveva bloccare quel poliziotto in
qualche modo, pensò, ma non gliene venne in testa nessuno.
Sconsolato spense la lampada e uscì dallo studio. Una notte di
sonno gli avrebbe portato consiglio, forse.
CAPITOLO QUINDICI
Alle nove di mattina del giorno dopo gli eventi ebbero
un’accelerazione improvvisa.
Nell’ufficio del commissario era riunito già dalle sette tutto il
gruppo per un esame della situazione che non era confortante.
Leonardi aveva già chiamato tutte le sue fonti senza ottenere
nessuna informazione utile
Caterina aveva fatto lo stesso con tutti i contatti che l’FBI
aveva in Italia ma anche lì nessuna notizia utile.
De Cicco e Maestri, in servizio nonostante le ferite, avevano
spulciato pazientemente tutti i rapporti della notte di tutte le
pattuglie in servizio sperando di trovare una traccia nelle
centinaia di fatti strani che ogni notte accadono a Roma ma,
anche da quella parte niente.
Alberti sembrava davvero sconsolato, non avevano tracce di
nessun tipo.
Un cupo silenzio era caduto nella stanza, nessuno si sentiva di
dire qualcosa o dare un suggerimento. La situazione già tesa
peggiorò ancora con l’arrivo di Malinverni, il piantone di turno
che arrivò talmente trafelato che entrò senza neanche bussare,
agitando nella mano un foglietto di telescrivente.
-
Commissario, commissario, l’hanno trovato.
Malinverni calmati, cosa hanno trovato?
-
Il camper, commissario, il camper che stiamo
cercando.
La notizia mise in movimento tutti i presenti. Alberti scattò in
piedi strappando il foglio dalle mani dell’agente.
-
Bravo Malinverni, bravo.
L’agente si prese il complimento che certo non spettava a lui,
semplice postino della notizia e rimase in attesa di ordini.
Alberti dopo aver letto velocemente le notizie ottenute nel
foglio ne fece un breve riassunto a beneficio di tutti.
-
L’hanno trovato ma il professore non c’è, direi per
fortuna, perché questo vuol dire che è ancora vivo.
Dove l’hanno trovato?
In un campo abbandonato sulla Prenestina,
Leonardi. Ora diamoci da fare. Intanto che andiamo a
dare un’occhiata avvisa la scientifica e la Squadra
Cinofila. Voglio che impegnino tutti gli uomini liberi e
ogni mezzo per cercare qualsiasi indizio possa esserci
utile. Dove è stato quel camper? Quanti chilometri ha
fatto? Su quali terreni è passato e, naturalmente, se ci
sono tracce di lotta e di sangue. Contatta anche l’agenzia
che lo ha noleggiato e fatti dare tutti i dati che hanno sul
chilometraggio al momento del noleggio così sapremo di
preciso quanti chilometri ha fatto. Magari non ci
serviranno a nulla ma è un tentativo che dobbiamo fare.
De Cicco e Maestri resteranno qui a raccogliere i dati che
arrivano e dirameranno l’ordine a tutte le pattuglie di
continuare le ricerche del professore mettendo dei posti di
blocco e perquisendo tutti i mezzi sospetti. Leonardi, io tu
e Caterina adesso andiamo sul posto. Avvisa gli agenti sul
luogo di transennare tutto, non avvicinrsi e non fare
avvicinare nessuno fino a quando non arriviamo noi e la
scientifica. Non possiamo rischiare che qualche agente
troppo zelante ci rovini tracce preziose.
Senza aggiungere altro Alberti si avviò velocemente verso la
porta seguito dal Leonardi e dall’agente americano. Poi si
bloccò di colpo e si girò di scatto verso De Cicco.
-
-
De Cicco occupati tu di contattare l’agenzia di
noleggio, di persona. Chiedigli se per caso il camper ha
un navigatore satellitare incorporato, di quelli antifurto.
Se fossimo così fortunati potremmo sapere esattamente
che percorso ha fatto nelle ultime ore e se le Sorelle lo
hanno usato per trasportare il professore al loro rifugio
prima di abbandonarlo potrebbe avere una traccia precisa
da seguire. Fammi sapere subito se è così e nel caso fatti
dare subito i dati di ricerca e mobilita il Reparto
Tecnologico. Va bene?
Tutto chiaro commissario, non si preoccupi. Lo
faccio personalmente e le faccio sapere.
Bene De Cicco magari ci scappa il primo colpo di
fortuna di questa storia. Adesso andiamo.
Davanti al commissariato l’auto del commissario era già pronta
con il motore acceso. Appena saliti il commissario diede
l’ordine di partire.
-
Vai Russo e vai più veloce possibile.
Agli ordini commissario.
Per l’agente Russo che amava andare forte l’ordine del suo
superiore era un vero regalo. Partì sgommando e facendo
schizzare via di fretta un agente un po’ troppo vicino all’auto.
-
Senza ammazzare nessuno, Russo, ci sono già troppi
morti in questa storia.
Tranquillo commissario, si fidi di me.
Speriamo bene fu il pensiero di Caterina che non conosceva
bene le doti di pilota dell’agente ma che vedeva sfilare troppo
velocemente le strade e il paesaggio davanti all’auto lanciata a
forte velocità verso la Prenestina.
Nonostante i timori della ragazza americana l’auto giunse senza
incidenti al campo del ritrovamento. Il luogo era invisibile dalla
strada ma seguendo le indicazioni radio di uno degli agenti sul
posto Russo riuscì senza troppi problemi a individuare il posto
preciso. Nel piccolo campo c’era una folla di agenti, alcuni in
divisa che circondavano il piccolo camper abbandonato, altri
con addosso i particolari camici bianchi degli esperti della
scientifica che esaminavano attentamente e minuziosamente
ogni centimetro del mezzo e del terreno circostante.
Evidentemente le istruzioni di Alberti avevano avuto effetto.
L’auto era ancora in movimento quando il commissario e i suoi
due collaboratori si precipitarono fuori. Riconosciuto il
commissario subito uno degli agenti si diresse verso di lui.
-
Buongiorno commissario, ben’arrivato. Sono il
maresciallo Capelli, ho coordinato le operazioni,
seguendo le sue istruzioni, in attesa del suo arrivo.
Molto bene maresciallo, mi dica tutto.
Non c’è molto da dire commissario. In centrale è
arrivata una segnalazione anonima che indicava la
presenza di un camper abbandonato in questo posto.
Come al solito abbiamo mandato una pattuglia a
verificare e quando la volante ha verificato il numero di
targa si è accorta che era il camper di cui ci era stata
-
-
segnalata la ricerca. A questo punto siete stati avvisati al
commissariato. Questo è quanto.
Avete trovato qualcosa di interessante?
Durante il primo sopralluogo per verificare la
presenza di persone o corpi all’interno gli agenti non
hanno visto nulla di particolare poi, secondo i suoi ordini,
abbiamo sospeso ogni operazione in attesa della
scientifica. Adesso sono loro che stanno lavorando.
Va bene, dica agli agenti di dare un’occhiata anche
nel terreno circostante. Potremmo trovare qualche brutta
sorpresa.
L’abbiamo già fatto commissario. Abbiamo
esplorato il campo tutt’attorno fino alla statale. Anche
utilizzando i cani. Niente. Niente cadaveri e niente tracce.
Solo il solco dei pneumatici del camper dalla strada a
questo posto. Nessuna traccia di persone o altre auto.
Il commissario guardò il maresciallo con attenzione. Era molto
giovane e aveva uno sguardo diretto e molto sveglio. Si era
mosso molto intelligentemente e con grande spirito di
iniziativa. Tutte qualità che ad Alberti piacevano molto.
-
Davvero un ottimo lavoro maresciallo. Quanti anni
ha? Sembra molto giovane.
Venticinque anni signore.
Da quanto tempo è in servizio?
Sono sei anni signore. Volontario appena compiuti i
diciotto anni, stradale per due anni, poi scuola sottufficiali
e in sevizio alle volanti da quasi tre anni.
Complimenti maresciallo. Senta ha mai pensato di
passare alla investigativa?
Certo commissario, ne sarei ben felice.
Allora facciamo così. In questo momento non ho
tempo ma appena avrò sistemato questa brutta storia la
-
contatterò per fare due chiacchiere più tranquille con lei.
Vedremo cosa si potrà fare. Adesso la saluto, devo parlare
con quelli della scientifica.
Ai suoi ordini commissario, quando vuole.
Il maresciallo salutò il suo superiore alzando la mano al
berretto ricambiato da un cenno del commissario. Alberti
seguito da Leonardi e da Caterina si diresse verso uno degli
uomini in bianco.
-
Che ne dici Leonardi, sembra in gamba quel
ragazzo.
Sono d’accordo, giovane e sveglio. Ottimo
elemento. Abbiamo bisogno di qualche rinforzo in
gamba. Ho stai pensando di sostituirmi?
La domanda scherzosa dell’ispettore fece sorridere Caterina che
non esitò a lanciare una frecciatina a quello che era ormai un
suo caro amico.
-
-
-
Sai Dario potrebbe anche essere. Diciamoci la verità
gli anni passano per tutti e tu non sei più un ragazzino di
primo pelo io al posto di Alberto inizierei a pensare a un
cambio di guardia.
Davvero spiritosa ragazzina. Grazie dei complimenti
e della considerazione.
Lasciala perdere Leonardi e stai tranquillo. Non ho
nessuna intenzione di sostituirti e per me non sei troppo
vecchio. Anche se a volte sei proprio petulante come un
vecchio zio.
Va bene, va bene, gioventù ingrata. Tutti contro la
vecchia guardia. Me ne ricorderò la prossima volta che
avrete bisogno di me per salvarvi la vita.
La frecciatina era rivolta alla ragazza che però non fece in
tempo a ribattere. Vedendoli arrivare uno degli uomini della
scientifica si era infatti avvicinato e ora li guardava in attesa.
-
Saluti, sono il commissario Alberti.
Alberto salutò il collega in camice bianco porgendo la mano
che l’altro non strinse.
-
-
Scusi commissario, ho i guanti. Saluti anche a voi,
sono l’ispettore Antonini.
Salve ispettore. Le presento l’ispettore Leonardi e
l’agente del FBI Foster, che collabora con noi in questa
indagine. Trovato qualcosa?
Per ora niente. Non sembra ci siano tracce
interessanti. All’interno del camper c’è ben poco.
Qualche vestito da uomo, molti libri e la solita roba per la
toilette. Nient’altro. Anche fuori non c’è molto, anzi direi
niente. Gli unici indizi potrebbero venirci dal fango sugli
pneumatici ma per analizzarlo dobbiamo tornare in sede.
Mi dispiace ma non penso di potervi essere di aiuto.
Peccato ispettore, ci speravamo. Ha notato se il
camper ha un navigatore satellitare?
No commissario, ci ho pensato anche io ma non l’ho
trovato. Questo modello è abbastanza vecchio e di serie
non ne era fornito.
Allora siamo di nuovo in un vicolo cieco.
Direi di sì. Cieco e buio. Le persone che state
cercando sono state molto attente a non lasciare nessuna
traccia della loro presenza.
Su questo sono bravissime, le uniche tracce che
lasciano sono i cadaveri.
L’ispettore non replicò, non aveva nulla da dire.
-
-
Va bene ispettore, non se la prenda. Non è certo
colpa sua. La lascio al suo lavoro. Torno in ufficio. Se
dovesse trovare qualcosa che possa darci anche la pur
minima indicazione mi telefoni subito.
Naturalmente commissario, stia tranquillo. La
saluto.
Abbastanza sconsolati Alberto, Leonardi e Caterina si
avviarono verso l’auto che li aspettava poco distante. La
delusione era evidente. La notizia del ritrovamento aveva fatto
sperare in un qualche passo in avanti ma ancora una volta le
Sorelle erano state più svelte e furbe di loro. Russo capì subito
che l’aria non era tranquilla cos, appena li vide avvicinarsi con
le espressioni cupe, spense frettolosamente la sigaretta che si
stava godendo tranquillo e si mise al volante senza dire una
parola.
-
Andiamo Russo, torniamo in centrale. Vai pure
piano, non abbiamo fretta adesso.
Il viaggio di ritorno si svolse in un assoluto silenzio. Persi nei
loro pensieri i tre amici non si scambiarono neanche una parola.
Proprio mentre stavano già entrando nel cortile della centrale
una telefonata arrivò al telefono di Alberti. Vedendo il nome sul
visore, nonostante tutto il viso del commissario si rischiarò un
poco. Leonardi e Caterina capirono subito chi era.
-
Ciao Anna, come stai? Bene, bene ne sono felice.
Scusami tanto se non sono venuto a trovarti e se non ti ho
chiamata ma sono state ore molto pesanti.
Un attimo di silenzio.
-
No, non le abbiamo ancora trovate ma stai
tranquilla, le troveremo. Presto, te lo prometto. E devi
perdonarmi ma fino a quando non le avrò messe in
condizione di non fare più del male a nessuno non ci
vedremo. Mi sento in davvero in colpa per averti messa in
pericolo, non riesco neanche a pensare alla possibilità che
ti succeda qualcosa per causa mia. Non me lo perdonerei
mai.
Ancora silenzio, dall’altra parte evidentemente Anna stava
cercando di tranquillizzare Alberto.
-
Forse hai ragione, forse è come dici tu e non potevo
certo immaginare una cosa del genere ma è il mio
mestiere e dovevo essere più prudente. Non capiterà più.
Ti prometto che farò del mio meglio per prenderle ma
fino ad allora è meglio,credimi molto meglio, non
vederci. In ogni caso ho predisposto un servizio di
sorveglianza per te e la tua casa. Non voglio correre
nessun rischio d’ora in poi. Ti chiamo io ogni volta che
posso. Ciao, riposati e stai tranquilla. Un bacio a Iacopo.
Chiusa la telefonata il commissario sembrava più risoluto. Il
suo sguardo era tornato deciso e la fretta con la quale scese
dall’auto fece capire ai suoi amici che era tornato il poliziotto
implacabile e mastino che conoscevano. Il breve momento di
scoramento e delusione era passato. Le Sorelle avevano di
nuovo un degno avversario. Percorsero velocemente le scale e i
corridoi fino all’ufficio. Alberti si sedette subito alla scrivania
per controllare gli ultimi messaggi. Poi con una telefonata
convocò anche De Cicco e Maestri per sentire i loro rapporti e
fare il punto della situazione. I due agenti arrivarono subito.
-
Novità commissario?
-
-
-
-
Purtroppo no Maestri. Niente di niente. Tu come stai
piuttosto?
Non si preoccupi commissario, roba da poco. Ci
vuole ben altro per fermare una vecchia pellaccia come
me.
Bene , mi fa piacere. Comunque appena chiudiamo
la questione con quelle maledette ti prendi qualche bel
giorno di vacanza e ti vai a riposare. Anzi forse ce lo
prendiamo tutti. Ne abbiamo sicuramente bisogno. De
Cicco che mi dici?
Nulla commissario. Ho contattato l’agenzia di
noleggio che mi ha confermato che il camper non ha
nessun sistema di segnalazione satellitare. Dicono che è
un modello così vecchio che non ne vale la pena.
Questo me l’avevano già detto altre persone.
Nessuna traccia dai rapporti.
Niente commissario. Ho contattato tutte le pattuglie
della stradale e dei vigili urbani in servizio da stamattina
in quella zona per chiedere se avessero notato il camper o
qualcos’altro di particolare. Niente, nessuno ha visto o
notato qualcosa. Mi sono fatto mandare il filmato di un
elicottero che stava sorvolando la zona ma anche lì
nessuna traccia. Sembra di stare dando la caccia a dei
fantasmi.
Forse hai ragione ma, fantasmi o no, le beccheremo
prima o poi. Adesso direi che è il caso di mangiare
qualcosa, la giornata è ancora lunga. Chiamo il bar
all’angolo e ordino panini per tutti. Avete preferenze
particolari?
Nessuno rispose. Al ragazzo del bar il commissario ordinò un
vassoio misto di panini e tramezzini. Dopo neanche un quarto
d’ora il barista era davanti alla porta dell’ufficio con
l’ordinazione. Mangiarono in silenzio, senza fretta. Avevano
appena finito di spolverare tutto quando Malinverni sentirono
un leggero bussare alla porta. Era Malinverni.
-
Commissario mi scusi. Ho al telefono un uomo che
vuole parlare con lei.
Chi è?
Mi ha detto di chiamarsi Altieri. E che ha bisogno di
parlare con lei.
Altieri?
Il commissario ripetè due o tre volte il nome poi la sua
memoria mise a fuoco la persona.
-
Altieri, ma certo. E’ il portiere dell’albergo
Excelsior. Cosa avrà da dirci di così importante?
Qualsiasi cosa sia conviene sentirlo.
Su questo non c’è dubbio. Magari gli è venuto in
mente qualche particolare utile. Malinverni passamelo
subito.
Il piantone si affrettò a tornare al centralino del posto di guardia
per passare la chiamata al suo superiore. Pochi secondi e il
telefono sul tavolo di Alberti squillò. Il commissario con la
mano già pronta sul telefono ripose al primo squillo.
-
Pronto sig. Altieri, sono il commissario Alberti, mi
dica.
Il commissario aveva inserito il vivavoce così che anche tutti
gli altri presenti potessero sentire la conversazione.
-
Buongiorno commissario. Le chiedo scusa se la
disturbo, potrebbe anche essere una sciocchezza ma ho
pensato che valeva la pena dirglielo.
-
Dirmi cosa?
Vede stamattina abbiamo avuto una piccola perdita
d’acqua in una delle nostre stanze, la 520. La stanza si è
allagata e abbiamo dovuto svuotarla tutta per pulirla.
Le parole del portiere avevano immediatamente attirato
l’attenzione del commissario e dei suoi amici. La stanza 520 era
la stanza occupata dal professor Funari.
-
Vada avanti.
Il commissario con un tono fin troppo brusco sollecitò l’uomo
al telefono. Se ne rese subito conto.
-
-
Mi scusi signor Altieri, siamo molto tesi. Invece di
ringraziarla per la sua collaborazione la sto quasi
sottoponendo a un interrogatorio.
Non si preoccupi commissario, la capisco. Anch’io
da quella sera sono ancora sotto schock. Comunque si
ricorderà che la 520 era la camera occupata dal professor
Funari e dopo quella notte nessun’altro ci ha soggiornato.
Perciò sono quasi sicuro che quello che abbiamo trovato
era lì da quel giorno.
E cosa avete trovato?
Un biglietto ferroviario, incastrato dietro il letto.
Un biglietto ferroviario?
Sì commissario, un biglietto di una linea regionale.
Comprato e timbrato il primo pomeriggio proprio di quel
giorno.
Le parole dell’uomo al telefono diedero una scossa di
adrenalina a tutto il gruppo. Altieri poteva davvero avere
ragione. Se quel biglietto era stato usato dalla ragazza
suicidatasi dalla terrazza dell’Excelsior poteva essere la prima
traccia utile a trovare il nascondiglio delle Sorelle.
-
-
Pronto commissario, è ancora lì?
Certo sig. Altieri, sono qui. Senta intanto al
ringrazio, la sua informazione potrebbe essere molto
importante per noi. Adesso mando subito uno dei miei
uomini a prendere quel biglietto, mi raccomando non
faccia parola con nessun’altro di questo fatto e consegni il
biglietto solo al mio agente. Si chiama De Cicco. Sarà lì
in pochi minuti.
Va bene commissario, non si preoccupi. Aspetto il
suo uomo.
La ringrazio di nuovo sig. Altieri. La saluto.
Alberti stava quasi per riattaccare quando ci ripensò di colpo.
-
-
Altieri, mi scusi. Riesce a vedere in quale stazione è
stato fatto il biglietto?
Pensavo non me lo chiedesse più commissario.
Certo che riesco a dirglielo, è scritto bello grossa sul
biglietto. La stazione di partenza una certa Borgata San
Cosimato, Vicovaro.
E dov’è questo posto?
Questo davvero non lo so commissario. Dev’essere
nei dintorni di Roma ma prima d’ora non l’ho mai sentito
nominare. Certo non è una metropoli.
Certo sig. Altieri, grazie di nuovo. Buona giornata e
buon lavoro.
Riattaccato il telefono Alberti iniziò a dare disposizioni a tutti.
-
De Cicco vola all’albergo e prendi in consegna quel
biglietto. Magari esaminandolo troviamo qualche altra
indicazione utile. Leonardi tu cerca di scoprire dov’è di
preciso questo posto. Maestri tu vedi se risulta la presenza
di una stazione di polizia o dei carabinieri sul posto e
avvisali subito di tenersi pronti. Magari li mettiamo in
allarme inutilmente ma è meglio tenersi pronti. Le Sorelle
ci sono già sfuggite troppe volte e se stavolta ci siamo
vicini non voglio dare loro nessuna possibilità di fuga.
Gli uomini di Alberti si stavano muovendo in fretta per eseguire
gli ordini del loro capo. Finalmente qualcosa si muoveva nel
verso giusto.
CAPITOLO SEDICI
Era passata solo un’ora dalla telefonata di Altieri e il gruppo era
di nuovo riunito nell’ufficio del commissario.
Alberti aveva in mano il biglietto ferroviario consegnatogli
qualche minuto prima da De Cicco. Lo aveva esaminato
attentamente percorrendo con lo sguardo i pochi centimetri
quadrati del sottile cartoncino. Un normale biglietto della linea
regionale da Pescara a Roma emesso nel primo pomeriggio del
giorno della morte di Funari. Partenza da Vicovaro e arrivo a
Roma Termini. Nient’altro che potesse essergli utile.
-
-
Allora Leonardi, cos’hai scoperto su questo paese,
Vicovaro?
Niente di particolare, è un piccolo paesino a circa
cinquanta chilometri da qui, sulla Tiburtina. Maestri mi
ha detto che non ci sono stazioni di polizia o carabinieri
sul posto perciò gli ho detto di contattare la stazione più
vicina e mandare lì, intanto, una pattuglia.
Hai fatto bene. Nient’altro?
Sto aspettando altre notizie.
In quel momento fu Caterina a intervenire.
-
Io invece penso di aver scoperto qualcosa di
interessante.
Alberti e Leonardi si voltarono verso di lei.
-
-
Vuoi dircelo o vuoi tenerci sulle spine tutto il
pomeriggio?
Certo che ve lo dico. Ho fatto alcune ricerche in
Internet e ho scoperto qualcosa che potrebbe essere utile.
In paese sorge un antico convento di monache, il
Convento delle Suore Clarisse. E’ molto antico, più di
cinquecento anni e ospita una piccolissima comunità di
suore che custodiscono un importante archivio di antiche
pergamene medievali.
Molto interessante.
Leonardi era troppo impaziente per una lezione di storia.
-
-
Tranquillo Dario, vengo subito al sodo. La comunità
di suore era formata da pochissime sorelle, fino a qualche
mese fa. Poi, improvvisamente, sembra che ci sia stato un
rifiorire di vocazioni tra le giovani ragazze e attualmente
il convento sembra essersi ripopolato.
E tu come l’hai scoperto tutto questo?
Alberti era impressionato.
-
Ti assicuro che non è stato difficile Alberto. Ho solo
lanciato una ricerca sui blog che parlano di Vicovaro e
dintorni. Ne ho trovato uno proprio di un addetto delle
ferrovie che è costretto per lavoro ad andare spesso in
paese.
-
-
-
Caterina sei un angelo.
Grazie Alberto, troppo gentile.
A questo punto, anche se non voglio essere troppo
ottimista, potremmo anche pensare che quel convento è il
rifugio delle Sorelle.
Sembra troppo bello per essere vero.
Hai ragione Leonardi ma lo sai anche tu che nel
nostro mestiere a volte è proprio un colpo di fortuna a
portarti sulla strada giusta, comunque vale la andare a fare
un controllo. Al massimo avremo fatto una passeggiata
inutile.
Su questo non c’è dubbio commissario. Come ci
organizziamo?
Anche se non ne abbiamo la certezza ci muoveremo
con la massima prudenza e attenzione. Se le Sorelle sono
lì non voglio farmele scappare. Maestri tu sei ferito e in
azione non servi. Ti occuperai di coordinare l’invio sul
posto di tutte le volanti disponibili in zona. Se non fossero
abbastanza contatta anche i carabinieri. Mi raccomando la
massima discrezione, senza sirene e senza chiasso. Se le
Sorelle sono lì non voglio che le mettano in allarme. Fai
circondare il convento in attesa del nostro arrivo. Noi
arriveremo lì prima possibile. Io, Leonardi e Caterina
andremo con un’auto mentre De Cicco ci seguirà con
un’altra auto e altri due agenti. De Cicco.
Comandi commissario.
Tu porterai con te altri due agenti, mi raccomando,
scegli gente in gamba ma non dirgli nulla sui dettagli
dell’operazione.
Sarà fatto commissario.
Bene teniamoci in contatto e se ci sono problemi
fatemi sapere subito. Adesso andiamo. Maestri avvisa
Russo di farsi trovare all’uscita.
Come fosse già fatto commissario.
Il commissario erano sulla porta quando udirono la chiamata di
Maestri che allertava l’autista che trovarono già pronto con il
motore acceso. Alberti salì davanti mentre Caterina e l’ispettore
si accomodarono dietro. Gli sportelli furono chiusi
velocemente. Dietro di loro la seconda auto con De Cicco e gli
altri agenti si accodò.
-
Dove andiamo commissario?
Vicovaro, sai dov’è?
L’autista rimase per un attimo sorpreso?
-
Vicovaro?
Esatto, ci sai arrivare.
Sì commissario, un mio zio abita lì vicino e dato che
produce vino ogni tanto vado a prenderne qualche
bottiglia.
Russo, abbiamo fretta, molta fretta.
Tranquillo commissario, la porto in paese prima
possibile. Posso usare la sirena?
Solo fino a un certo punto. Poi silenzio, voglio fare
una bella sorpresa a delle amiche mie.
Va bene commissario.
Senza aggiungere altro l’agente partì a razzo inserendo
contemporaneamente la sirena. Grazie alla sirena che liberava
la strada davanti a loro e grazie all’abilità di Russo i cinquanta
e passa chilometri furono coperti in poco più di un’ora
nonostante il solito traffico della Tiburtina e del Grande
Raccordo Anulare. Imboccato il raccordo l’auto lo percorse per
una quindicina di chilometri prima di trovare la prima
indicazione precisa del paese su un cartello di uscita. Appena
letto il cartello con la scritta Uscita Vicovaro-Mandela il
commissario ordinò a Russo di spegnere la sirena. Erano ormai
a solo pochi chilometri dal paese, la statale era deserta e non
c’era bisogno della sirena. Le prime ombre della sera stavano
calando. Percorsero i pochi chilometri fino la paese.
-
Sai se in paese c‘è un convento di suore Russo?
No commissario, mi dispiace. Di conventi non ne so
nulla.
Alberti si stava chiedendo come avrebbero fatto a trovare il
convento, non voleva certo mettersi a chiedere a qualche
passante, quando un chiamata via radio lo tranquillizzò. Era
Maestri dalla centrale.
-
Commissario, pronto commissario?
Impugnato velocemente il microfono Alberto rispose al suo
agente.
-
-
-
Sono qui Maestri, dimmi.
Volevo avvisarla che è tutto a posto. Sul posto ci
sono almeno una decina di pattuglie altre stanno
confluendo. Ho mandato un’auto dei carabinieri ad
aspettarvi all’entrata del paese per guidarvi fino la
convento. Loro sanno di preciso dov’è.
Ottimo lavoro Maestri, veramente ottimo.
Grazie commissario ma è stato facile. A dire il vero
mi pesa un po’ starmene qui su una poltrona mentre voi
siete lì a divertirvi, comunque per questa volta vi lascio
tutto il divertimento. Mi raccomando però state attenti,
quelle donne sono pericolose e io lo so bene.
Grazie Maestri, non preoccuparti, staremo attenti.
Adesso ti saluto ho appena visto l’auto che ci aspetta.
Infatti proprio davanti a loro c’era un’auto dei carabinieri a luci
spente che li attendeva.
-
Ottimo elemento quel Maestri.
Il commento di Alberti fu approvato da un cenno di Leonardi.
L’auto del commissario seguita dall’altra volante si fermò
davanti alla gazzella dell’arma. In piedi davanti allo sportello
aperto un militare con i gradi di maresciallo li salutò
militarmente.
Il commissario aprì il finestrino.
-
Sono il commissario Alberti maresciallo.
Salve commissario, la stavo aspettando. Seguitemi e
vi porto al convento come ci è stato ordinato.
Grazie maresciallo, la seguiamo.
Senza aggiungere altro il sottufficiale risalì sulla sua auto.
L’auto si mise in moto e si piazzò davanti alla due auto della
polizia. Procedendo lentamente le tre automobili procedettero
in fila indiana attraversando le strade deserte del piccolo paese
senza incontrare anima viva.
-
Caspita che vita che c’è qui.
Il commento fu di Caterina.
-
Tieni conto che ci sono solo quattromila abitanti e
tutta gente anziana. In questi piccoli paesi ormai ci vivono
solo loro e certo non vanno molto in giro.
Leonardi rispose alla ragazza.
-
-
Proprio per questo è un ottimo posto per
nascondersi. Poca gente, anziana e abituata a farsi i fatti
propri. E poi il convento deve essere anche fuori dal paese
vedo che stiamo uscendo dall’abitato.
Abitato per modo di dire.
Questa volta nessuno ripose alla battuta di Caterina.
L’attenzione era ormai rivolta alla grande costruzione del
convento che già si intravedeva a poca distanza. Era un grande
fabbricato a due piani squadrato e abbastanza tozzo. La facciata
anteriore era proprio davanti a loro con due ingressi sbarrati da
porte di legno situati a pochi metri l’uno dall’altro e una ventina
di finestre, tutte chiuse, probabilmente quelle delle celle delle
monache. Davanti al convento quattro auto della polizia
disposte in fila a coprire tutto il perimetro con una decina di
agenti disposti di guardia davanti all’edificio. Le tre auto si
fermarono. Tutti gli occupanti si precipitarono fuori. Alberti
osservò la scena per qualche secondo. Sembrava tutto posto.
Un uomo in borghese gli si avvicinò.
-
Il commissario Alberti?
Sì, sono io.
Piacere commissario, io sono l’ispettore capo
Gerardi, mi è stato ordinato di aspettare il suo arrivo per
poi cederle il comando delle operazioni.
Grazie ispettore, mi sembra che abbiate già fatto un
ottimo lavoro. Mi dia qualche dettaglio.
Presto fatto commissario. Il convento ha solo questi
due ingressi davanti, sul retro è circondato da un muro
alto più di tre metri con in cima pezzi di vetro per
renderlo difficilmente scalabile. Una misura di sicurezza
che si usava in passato per difendere il convento. Quindi
diciamo che le uniche vie di uscita e di fuga sono qui
davanti. Comunque ho posizionato auto e agenti attorno a
-
-
tutto il perimetro del convento per bloccare qualsiasi
tentativo di fuga anche da quella parte.
Quanti agenti abbiamo sul posto?
Per ora una trentina più voi. Vuole che ne faccio
arrivare altri?
No ispettore, dovrebbero bastare. Queste donne sono
pericolose ma non penso possano darci problemi, a questo
punto. Non sono combattenti e come armi hanno solo, da
quello che ne sappiamo, aghi che usano come pugnali.
Aghi?
La faccia dell’ispettore sembrava molto sorpresa.
-
Sì ispettore, capisco che le sembrerà strano ma le
assicuro che è una storia davvero particolare. Poi con
calma gliela spiegherò, adesso pensiamo prendere quelle
donne. Intanto le presento i miei collaboratori, l’ispettore
Leonardi, mio vice, e l’agente del FBI Caterina Foster.
L’ispettore strinse la mano a Leonardi e Caterina.
-
Per qualsiasi problema faccia riferimento anche a
loro.
-
Agli ordini commissario.
Ben adesso vediamo come procedere. Ha già dato
un’occhiata a quelle porte?
Sì, con cautela mi sono avvicinato e le ho esaminate.
Sembrano solide ma non abbastanza da resistere a un paio
di buoni colpi dell’Ariete.
Bene ispettore, allora procederemo in questo modo.
Sfonderemo tutti e due gli ingressi contemporaneamente,
poi entreremo tutti lasciando davanti al convento quattro
agenti di guardia. Li coordinerà l’agente De Cicco.
Con un cenno Alberti fece avvicinare De Cicco per presentarlo
all’ispettore che però lo precedette salutando l’agente con una
cordiale stretta di mano.
-
-
-
Salve De Cicco, ci si rivede.
Ogni tanto capita ispettore. Tutto bene?
Tutto bene.
Bene, vedo che vi conoscete. Meglio. Allora De
Cicco quando noi entreremo tu resterai fuori con quattro
agenti. A questo punto lascia con te direttamente i tre che
hai portato e Russo. Lui è un grande autista ma con un
arma in mano è ancora più pericoloso di quando guida.
Mi raccomando, massima attenzione precauzione.
Tranquillo commissario, staremo attenti.
Bene, allora ispettore faccia venire qui con noi
anche gli agenti delle altre pattuglie, quelle intorno al
convento. All’interno voglio una ventina di agenti. Gli
autisti delle auto resteranno fuori a sorvegliare per evitare
eventuali tentativi di fuga. Li avvisi di girare
continuamente e tenersi pronti a intervenire all’interno in
caso di bisogno.
Lo faccio subito commissario. Due minuti e saranno
tutti qui.
Bene. Io e una metà degli agenti entreremo
dall’ingresso qui davanti mentre l’altra metà entrerà agli
ordini di Leonardi dall’altro ingresso più avanti.
Posizioniamoci. Leonardi diamoci cinque minuti. Poi ti
chiamo e se siamo a posto ci muoviamo. Sfondiamo le
porte e poi subito dentro. Il rumore metterà in allarme le
Sorelle ma non penso potranno fare molto a quel punto.
Mi raccomando di nuovo, massima prudenza, ci sono già
stati troppi morti in questa storia. Se possibile voglio
evitarne altri.
-
Stai tranquillo Alberto useremo la massima
prudenza.
Bene, Caterina tu cerca di stare indietro e rischiare il
meno possibile.
Perché? Perché sono l’unica donna presente?
Che ti metti a fare la femminista in questo
momento?
Nonostante tutto un leggero sorriso attraversò il viso di Alberti
e del suo vice. La ragazza aveva proprio un punto sensibile e un
caratteraccio.
-
-
-
Non c’entra niente che sei una donna. Solo che tu
non sei operativa e non dovresti essere impegnata in un
intervento armato. Non dovresti neanche essere qui, ora.
Se ti dovesse succedere qualcosa avrei molte cose da
spiegare.
Scusa Alberto hai perfettamente ragione. Il mio
solito caratteraccio. Ti chiedo scusa, ti prometto che sarò
prudentissima e me ne starò in disparte, farò la semplice
spettatrice.
Bene, allora andiamo.
Tutti si mossero per raggiungere i loro posti. Davanti a ogni
ingresso si posizionarono due agenti con l’Ariete tra le braccia
mentre tutti gli altri si tenevano pronti a entrare con le armi in
pugno. Uno squillo di Alberti fece scattare l’operazione. Le
porte di legno non opposero nessuna resistenza al colpo vibrato
con forza dai poliziotti e si spalancarono completamente
permettendo a tutti gli agenti di entrare velocemente nelle mura
del convento. Dietro ogni porta trovarono un lungo corridoio
che portava probabilmente direttamente nel cortile interno da
dove proveniva una luce fioca e un lieve sussurrare. Leonardi si
bloccò in attesa di istruzioni. Arrivò la telefonata di Alberti.
-
Leonardi dimmi com’è la situazione?
Siamo davanti a un lungo corridoio, penso porti al
cortile, vedo una luce e sento qualcosa provenire proprio
da lì, se non mi sbaglio.
Stessa cosa anche qui. Lascia un uomo davanti al
corridoio e andiamo in fondo. Vediamo cosa troviamo,
potrebbe essere un trappola. Prudenza.
Va bene, andiamo.
I due gruppi percorsero il lungo corridoio correndo in pochi
secondi. All’uscita trovarono uno spettacolo che non si
aspettavano.
Al centro del cortile sedute attorno a un grande tavolo di legno
dieci donne stavano pregando illuminate solo nella tiepida e
chiara sera primaverile da un grande numero di candele che
spandevano nell’aria una luce chiara e un odore penetrante.
Le donne non diedero segno di averli sentiti ma sicuramente
non potevano non essersi accorte del loro ingresso. Li stavano
ignorando. Tutti gli uomini in divisa si fermarono a guardare
senza sapere cosa fare. Fu Alberti dopo qualche secondo di
indecisione a sbloccare la situazione.
-
Circondate quelle donne, tenetevi a distanza ma
tenetele sotto tiro. Non fatevi ingannare dal loro aspetto
mite sono pericolose.
La voce del commissario fece scattare tutti. Rapidamente gli
agenti circondarono le donne tenendosi a circa dieci metri di
distanza. Dopo aver controllato la posizione dei suoi uomini
Alberti si avvicinò al tavolone che raccoglieva le donne e parlò
ad alta voce.
-
Sono il commissario Alberti della polizia italiana. Vi
dichiaro in arresto per omicidio e vi ordino di non opporre
resistenza e di non fare nessun tentativo di fuga. Il
convento è circondato e non avete nessuna possibilità di
farcela. Vi avverto che ho dato ordine di sparare al
minimo accenno di resistenza. Mi avete capito?
Dalle donne sedute non arrivò nessun cenno o segnale.
Continuarono a pregare tranquillamente scandendo le parole
che erano ora perfettamente udibili da tutti gli uomini che le
circondavano. La preghiera che recitavano era l’Ave Maria. Era
uno strano contrasto. Alla tenue luce delle candele un picolo
gruppo di suore recitavano serenamente una preghiera con gli
ochhi chiusi e le mani giunte mentre uomini armati le tenevano
sotto mira con le armi, in un luogo dove le armi avrebbero
dovuto essere bandite. Alberti iniziò a provare un leggero
imbarazzo, si sentiva quasi in colpa.
Si scosse pensando a tutti gli uomini uccisi da quelle esaltate
che anche in quel frangente si stavano dimostrando
pericolosamente esaltate. Continuare a pregare tranquillamente
circondate da uomini armati non era normale. Alberti decise di
porre fine a quella sceneggiata.
-
Vi ordino di smetterla, voglio parlare con il vostro
capo, quella che voi chiamate Madre.
Anche questa volta nessuna di loro rispose al commissario o
diede un qualsiasi cenno di averlo sentito.
La stanno proteggendo, pensò Alberti. Sono sicuro che non mi
diranno mai chi è di loro. Poco male, in ogni caso per tutte loro
c‘è una cella pronta.
All’improvviso il silenzio calò nel cortile. Un silenzio assoluto.
Le suore avevano finito di pregare. Dopo pochi secondi una
delle donne si alzò e si avvicinò al commissario.
-
Buonasera commissario, deve scusare l’attesa ma la
nostra regola ci impone di non interrompere mai la
preghiera vespertina. Del resto non ci aspettavamo visite.
Il viso della donna era bello e sereno e la sua voce cordiale e
tranquilla. Alberti ne fu impressionato. Quella donna era
straordinaria. Si era probabilmente resa conto della sua fine e di
quella di tutte le sue compagne ma ostentava una calma e una
serenità incredibili. Ma Alberti non si fece incantare.
-
-
Lei è quella che chiamano Madre presumo?
Alcune delle mie sorelle si ostinano a chiamarmi
così commissario.
Bene allora lei dovrà rispondere a molte domande.
Prima di tutto mi dica se c’è qualcun’altro nel convento.
No commissario, abbiamo preferito mandare via le
consorelle che ci ospitavano, Non volevano metterle in
pericolo. Adesso siamo rimaste solo noi, le superstiti del
gruppo originario delle Sorelle. E in una cella legato, ma
in ottima salute, il professor Heffner.
Bene, questa è una buona notizia.
Poi Alberti si voltò a guardare le donne sedute al tavolo.
Osservavano in silenzio la conversazione tra la loro guida e il
giovane commissario. Le contò, erano nove. Dieci compresa la
loro superiora.
-
Mi sta già mentendo madre.
L’appellativo era stato usato con tono ironico dal poliziotto.
-
-
Vede io so che eravate in tredici, le prime seguaci di
Suor Lucia e adesso, considerato che quattro di voi sono
morte e una è in ospedale, dovreste essere in otto.
Vede commissario lei si sbaglia. Tre delle nostre
povere sorelle sono morte. Sorella Rosa, Sorella
Elisabetta e Sorella Letizia. Nessun’altra di noi ha ancora
raggiunto Nostro Signore.
E le due che hanno tentato di uccidere me e la mia
ragazza?
Quelle donne non facevano parte del nostro gruppo,
nessuna di noi potrebbe mai pensare di togliere la vita a
un essere umano. La nostra fede non ce lo consentirebbe
in nessun occasione.
La voce e l’espressione del viso della donna erano sincere.
Sembrava davvero convinta. Alberti pensò che quella donna
aveva una notevole faccia tosta. E si arrabbiò.
-
-
Sorella o Madre o come diavolo vuole farsi
chiamare non pensi di potermi prendere in giro. Lei ha
ordinato alle sue fedeli seguaci di eliminare molti uomini
per vendetta e per recuperare documenti che ritenete
importantissimi. E avete tentato di uccidere anche me e
una ragazza a cui tengo molto.
Commissario innanzitutto la invito a usare un
linguaggio adatto al luogo in cui siamo.
Alberti si sentì avvampare in viso. Quella donna lo stava
rimproverando come uno scolaretto. Davvero incredibile.
-
In secondo luogo, le ripeto, io e le mie Sorelle non
potremmo mai togliere la vita a un essere umano. E’ vero
abbiamo compiuto azioni poco pie ma lo scopo era buono.
-
-
Abbiamo cercato di recuperare quei documenti. Lo
ammetto, ma solo per salvare la Chiesa dalla rovina. La
nostra Santa Madre Chiesa corre un rischio gravissimo e
anche di fronte alla possibilità della rovina totale si rifiuta
di cambiare secondo quanto indicato dalla stessa Vergine
Maria a Suor Lucia, tanti anni fa. Sono passati tanti anni e
nonostante il messaggio di Maria gli uomini di potere
della Chiesa non hanno voluto operare secondo la volontà
divina. Un vero peccato mortale. Così quando abbiamo
saputo dell’esistenza di altri documenti utili per spingere
la Chiesa sulla strada del rinnovamento abbiamo operato
per recuperarli ma senza mai pensare di poter superare
certi limiti. E dare la morte a una persona è un limite che
non supereremo mai, per nessun motivo. A noi hanno dato
la morte.
Sorella io non capisco se crede a quello che dice o
mi considera un imbecille e sta cercando di prendermi per
i fondelli?
Le dico solo la verità commissario.
Allora mi spieghi cosa ci sarebbe in quei documenti
di così importante oltre al fatto di dichiararvi pazze
furiose e mi dica pure chi avrebbe ammazzato i sei uomini
morti in questa storia. E cerchi anche di spiegarmi, se
può, perché.
Forse posso spiegarglielo io commissario.
La voce che rispose alle domande del commissario non era
quella della donna di fronte a lui. Era la voce di un uomo che
Alberti riconobbe subito. Sorpreso Alberti si girò verso il punto
da dove proveniva la voce e la scena che vide lo lasciò ancora
più sorpreso. Padre Joseph lo guardava con un sorriso molto
poco amichevole mentre di fronte a lui De Cicco teneva sotto il
tiro della pistola l’agente Russo con le mani alzate e
un’espressione stupefatta sul volto. Alberti ci mise qualche
secondo a riprendersi dalla sorpresa.
-
-
-
Padre Joseph, cosa ci fa qui? Come ci è arrivato?
Le spiegherò tutto con calma commissario. La cosa
più importante è che sono qui per portare le Sorelle al
sicuro e far sparire tutte le persone che sanno della loro
storia.
Lei deve essere pazzo padre. Si rende conto che è
circondato da decine di agenti e che non ha nessuna
possibilità di convincermi a lasciarle in custodia queste
donne. Sono assassine e un tribunale italiano le giudicherà
per questo. Perciò le consiglio di andarsene. In quanto a
te De Cicco non capisco cosa pensi di fare.
Lasci che le spieghi commissario, io non voglio
convincerla, anche perché non sono io a essere circondato
ma lei e i suoi amici.
Le parole del prete spinsero Alberti a guardarsi intorno. Le armi
degli agenti erano puntate al centro del cortile e tenevano sotto
mira le Sorelle ma anche lui e Leonardi che gli si era avvicinato
durante il colloquio con la Madre. In quel momento a un cenno
del prete anche Caterina e Russo vennero spinti verso centro
dello spazio. Caterina spinta dalla canna di un mitra fece i
pochi metri con pochi passi mentre Russo ancora incredulo
avanzava lentamente fino a quando un ordine imperioso di De
Cicco lo convinse ad accelerare il passo. L’autista sentì il
bisogno di scusarsi con il suo capo.
-
Commissario mi scusi ma non è colpa mia.
All’improvviso è arrivato questo prete e ha parlato
qualche secondo con De Cicco, poi è successa una cosa
incredibile. I colleghi mi hanno puntato addosso le armi,
-
mi hanno disarmato e mi hanno portato dentro. Non ho
potuto far niente per fermarli o avvisarla.
Non preoccuparti Russo, non è certo colpa tua.
Inizio a pensare che siamo in una grossa trappola. Vero
padre Joseph?
La domanda era stata rivolta
guardava pacifico la scena.
-
voce più alta al prete che
Vero commissario, una trappola per acchiappare le
Sorelle ma anche per eliminare tutti i possibili testimoni.
Come ha fatto a sapere?
Commissario lei mi delude. Come non ha ancor
capito? Maestri E De Cicco lavorano per me o meglio per
il bene della Chiesa. Prima ancora di essere poliziotti sono
Custodi e prima di loro i loro padri e i loro nonni.
Lo sguardo lanciato da Alberti a De Cicco fu di fuoco e
l’agente si sentì in dovere di rispondere.
-
Mi dispiace commissario, io l’ammiro e la considero
un persona per bene ma se la Chiesa chiama io rispondo.
De Cicco ma non ti rendi conto che non è la Chiesa
che chiama ma solo un gruppo di delinquenti esaltati che
la Chiesa vera ha sciolto da secoli?
L’agente non rispose ma continuò a tenere sotto mira Alberti e
i suoi amici.
-
Lasci perdere commissario, ci siamo tenuti due serpi
in seno.
Anche la battuta velenosa di Leonardi non fece effetto.
-
-
Va bene padre, quindi vi hanno avvisato Maestri e
De Cicco appena abbiamo rintracciato le Sorelle, poi
avete travestito un bel gruppo di vostri compari da
poliziotti e carabinieri e li avete mandati qui ad
aspettarci. Bel lavoro.
Esatto commissario ma inesatto. Qui non c’è
nessuno travestito, gli uomini che vede sono veri
poliziotti e carabinieri, solo che sono anche e prima
Custodi. La loro fedeltà viene prima alla Chiesa e poi allo
stato italiano.
La rivelazione di padre Joseph lasciò Alberti ancora più
infuriato. Gli faceva mal pensare a tanti traditori tra i suoi
agenti e tra i carabinieri. Pensò che la capacità dei Custodi di
infiltrarsi dappertutto era davvero impressionante e pericolosa.
-
-
-
Ho capito padre ma mi spiega perché tutto questo?
Per le Sorelle?
Caro commissario lei non ha ancora capito nulla.
Pensa davvero che un piccolo gruppetto di pazze esaltate
avrebbe potuto essere un pericolo perla Chiesa. Loro
avremmo potuto controllarle tranquillamente, le avevo già
messe al sicuro. E lì le avrei lasciate senza la stupidità del
cardinal Ravasi.
Non capisco, Ravasi? Ma non è il suo capo? Non è
anche lui uno dei Custodi?
Quel piccolo uomo, inetto e inutile, un Custode. Si
sbaglia commissario, i Custodi operano nell’ombra, nel
silenzio e nel segreto. Al cardinale piace troppo mettersi
in mostra, prendere il palcoscenico e sbandierare le sue
amicizie e il suo potere. E questo ci ha portati alla rovina.
Forse sono stupido padre ma non capisco. Me lo
spiega?
-
Certo commissario, le dirò tutto, sarà come esaudire
l’ultimo desiderio di un condannato a morte.
Le parole dure del prete fecero rabbrividire Alberti. Era chiaro
che per lui e i suoi amici non ci sarebbe stato scampo. Non
capiva ancora bene perché ma il prete aveva deciso di ucciderli.
Sembrava incredibile ma quel prete parlava tranquillamente di
uccidere delle persone, freddo. Era ancora più pazzo delle
Sorelle.
-
Sono tutto orecchi padre.
Alberti pensò che intanto avrebbe preso tempo, non sapeva
bene in cosa sperare ma avrebbe cercato di guadagnare tempo
per sé e per i suoi amici che erano anche loro immobili e
silenziosi.
-
Vede commissario tutto è nato qualche mese fa.
Quell’imbecille di Ravasi ebbe la grande idea di far
dichiarare le Sorelle pazze, un modo per diminuire il
valore di quello che dicevano. Il Terzo Segreto, il
Rinnovamento della Chiesa voluto da Maria, una volta
dichiarate pazze tutto quello che avrebbero potuto dire
non avrebbe avuto alcun valore. Sembrava una bella idea,
così ha affidato l’incarico della perizia a ben sei luminari
della medicina. Settimane di colloqui, test e valutazioni
neurologiche. Alla fine, con grande disappunto, i medici
furono costretti a dichiarare che quelle donne non erano
pazze, appassionate e un po’ esaltate ma non pazze. Poco
male, lo convinsi a spostarle e rinchiuderle comunque in
conventi sicuri. Per evitare il propagarsi delle loro idee. Il
cardinale acconsentì e mi ordinò di provvedere
personalmente ai loro spostamenti. Obbedii e questo mi
portò in giro per settimane. Al mio ritorno scoprii che il
-
cardinale aveva avuto un’altra brillante idea. Il cardinale
aveva pensato di affidare gli stessi dottori una valutazione
psichiatrica di alcune decine di preti coinvolti in
comportamenti pedofili o sessualmente riprovevoli. Per
tracciare un profilo della personalità dei colpevoli e
individuare possibili cause patologiche preesistenti. Come
dire non sono preti che sbagliano ma malati da curare.
E allora?
Allora sa cosa è venuto fuori dagli studi e dalle
relazioni di quel gruppo di illustri scienziati? Le cause
della pedofilia e dei comportamenti anormali dei preti
erano da ricercarsi nella regola imposta ai sacerdoti
dell’astinenza e del celibato. Una regola da considerarsi
innaturale e anacronistica che spinge fatalmente, secondo
quei bravi medici, a cercare la mancata soddisfazione in
altri modi, più perversi e su vittime più deboli. E sa quale
rimedio suggerivano? La soppressione della regola del
celibato e dell’astinenza. Quei miscredenti volevano
attaccare alla base una delle regole principali del
sacerdozio, la promessa fondamentale che ogni sacerdote
fa quando decide di dedicare la sua vita a Dio. La
presunta verità della loro scienza voleva scalzare uno dei
canoni di fede più importanti. Il sacerdote votato solo al
servizio e all’amore per Cristo. Appena tornato dalla mia
missione Ravasi mi informò e mi disse anche che i sei
medici erano intenzionati a pubblicare i risultati dei loro
studi, Erano troppo importanti dal punto di vista
scientifico e della comprensione delle cause dei
comportamenti sessuali anomali dei soggetti privati di un
naturale sfogo sessuale. Una bestemmia che avrebbe
sconvolto la vita della Chiesa, una notizia del genere
poteva distruggere le fondamenta stesse della nostra fede.
E quel piccolo uomo non sapeva cosa fare per impedirlo.
Non aveva il coraggio di prendere decisioni drastiche.
-
-
Bisognava fermare quegli uomini e distruggere i loro
documenti. A qualsiasi costo e prima possibile. Così ho
dovuto agire come Custode. Mi sono consultato con il
mio Superiore e da lì ho avuto i miei ordini.
Quali ordini padre?
Ordini precisi. Eliminare tutti i membri del gruppo
di ricerca e trovare un colpevole su cui scaricare le loro
morti.
Così ha messo di mezzo le Sorelle?
Esatto caro commissario, le nostre care Sorelle
erano un capro espiatorio perfetto. Ho fatto arrivare alle
orecchie della nostra cara Madre Maria qualche voce,
notizie interessanti ma incomplete, dell’esistenza di
documenti riservati in grado di dare forza, se divulgati,
alle loro richieste. Poi ho dato a Madre Maria e alle sue
Sorelle la possibilità di scappare e quando hanno iniziato
a muoversi e a cercare i miei cari professori ho convinto il
cardinale che le Sorelle avevano saputo di quei documenti
e volevano recuperarli per mettere in difficoltà la
gerarchie vaticane e costringerle a venire a patti con loro
per evitarne la pubblicazione. L’ho convinto che erano
disposte a tutto e non si sarebbero fermate di fronte a
nulla, l’ho convinto che erano disposte a uccidere per
averli. Devo dire che non è stato difficile convincerlo. Il
buon cardinal Ravasi odia così tanto le Sorelle da essere
disposto a credere qualsiasi cosa su di loro. Fu Madre
Maria a intervenire.
Invece era lei quello disposto uccidere, vero padre?
Esatto Sorella, esatto. Se necessario noi Custodi
siamo disposti a uccidere per il bene della Chiesa.
Distruggere i documenti non sarebbe bastato. Bisognava
chiudere la bocca per sempre a quei dottori. Doveva esser
fatto ed è stato fatto. Ho pensato bene di rendere più
-
-
scenografica la situazione, ho inventato la storiella
dell’Ago di Dio, recuperato qualche vecchio ago da
materassaia e al momento giusto ho agito.
Allora è stato lei maledetto a uccidere quelle
persone?
Proprio io commissario, io personalmente, un
peccato mortale che Dio mi perdonerà. Il professor Funari
l’ho ucciso dopo aver spinto dal terrazzo la ragazza.
Povera illusa, si era inginocchiata per pregare sperando di
essere perdonata. Pensava di finire di nuovo in un
convento segregata ma non c’era tempo. Così l’ho spinta,
una piccola spinta dopo averla benedetta e dopo averle
perdonato i suoi peccati.
Tu l’hai benedetta? E perdonata dei suoi peccati?
Come hai osato, assassino. Che Dio ti perdoni.
L’urlo di Madre Maria squarciò il silenzio della sera ma senza
intaccare le certezze di padre Joseph.
-
-
Sì sorella, l’ho benedetta e perdonata grazie ai poteri
che mi conferisce il mio stato di Custode. In quanto al
perdono noi Custodi lo riceviamo in anticipo da Dio in
persona per i peccati che potremo compiere durante la
nostra missione. Stia tranquilla.
E poi cos’è successo padre?
Alberti fremeva ormai dalla curiosità ma anche dalla rabbia.
Quel prete l’aveva preso in giro per bene.
-
Poi ho avvisato De Cicco e Maestri di andare sul
posto per far sparire la copia del Terzo Segreto che le
Sorelle dicono di avere sempre addosso e di infilare nella
borsa della ragazza un ago mentre io sono ridisceso nella
stanza di Funari. Era ancora legato al letto ma era riuscito
-
-
a sciogliersi una mano. Fu felice di vedermi, ci eravamo
conosciuti qualche tempo prima in occasione di alcuni
incontri con il cardinale. L’ho pugnalato e sono andato via
con il suo computer.
Però nella sua fretta di uccidere ha commesso un
errore. Ha lasciato nella borsa della ragazza la pen drive
con i file copiati a Funari.
Vero commissario, un errore. Per fortuna quei
documenti non erano pericolosi senza i dati relativi ai
soggetti esaminati e quei dati ce li ha solo il professor
Heffner e presto spariranno definitivamente insieme a lui,
che le Sorelle mi hanno gentilmente ritrovato.
E per ritrovare Adler si è servito di me?
Esatto commissario. Con Adler le cose potevano
essere più complicate. Le Sorelle l’avevano già trovato e
quando siamo arrivati e lei commissario le ha riconosciute
mi ha fatto un bel favore. Mentre voi le inseguivate io ho
avuto il tempo di eliminare Adler, poi per fortuna sono
stati De Cicco e Maestri a trovare le due donne, così
hanno potuto inscenare la commedia dell’aggressione per
ucciderle.
Il racconto del prete era sconvolgente per Alberti e Leonardi.
Scoprire che due uomini che avevano diviso con loro pericoli e
fatiche erano due traditori e assassini a sangue freddo metteva a
dura prova le loro certezze.
-
Bernaud come l’avete scoperto?
Con quel piccolo pervertito le cose sono state più
semplici. E’ stato individuato grazie alla segnalazione di
una brava e pia signora addetta alle pulizie
dell’appartamento che occupava. Quando sono arrivato
era beatamente sdraiato sul letto con ancora addosso
l’odore della sua giovane vittima. Se ne è andato senza
-
accorgersene. Con il cardinale Wermayer e suo fratello è
stato più difficile. Ho dovuto eludere tutti i sistemi di
sorveglianza dei Musei ma anche lì, per fortuna, abbiamo
molte persone fedeli che ci hanno aiutato. Adesso resta in
vita solo il caro vecchio professor Heffner ma sono sicuro
che lo troverò in qualche cella di questo convento. Con lui
morto sarà eliminata anche l'ultima persona in grado di
divulgare e spiegare quelle ricerche.
Perché voleva far uccidere anche me i miei amici?
In realtà commissario non volevo uccidere né lei né i
suoi amici. Non in quel momento. Avessi voluto
veramente ucciderla non avrei mandato due povere donne
a farlo. La ritengo troppo in gamba, me ne sarei incaricato
personalmente. Diciamo che le ho dato un motivo in più
per voler prendere le Sorelle, un piccolo sacrificio per
aumentare la sua motivazione.
Pazzo, quell’uomo era completamente pazzo. Il pensiero
attraversò la mente di tutti. Alberti e i suoi amici si resero conto
che per loro non ci sarebbe stato scampo. Se padre Joseph si era
deciso a confessare tutto era perché non li avrebbe lasciati vivi.
Alberti tentò ancora di prendere tempo.
-
Un piano perfetto padre.
Perfetto. Un solo piccolo intoppo. A un certo punto i
miei uomini hanno perso le tracce delle Sorelle. Ma per
fortuna ci ha pensato lei commissario a ritrovarle per me.
E come pensa di tenere nascosto tutto questo padre?
Si rende conto che le sarà impossibile?
Lei si sbaglia commissario, è già tutto previsto. Lei e
i suoi amici sarete uccisi dalle Sorelle, qui, stasera. Le
avevate scoperte ma imprudentemente non avete aspettato
i rinforzi. Lo testimonierà, in lacrime, l’agente De Cicco,
ferito ma vivo. Tutto sarà ancora più convincente grazie
-
-
all’ago che troveranno infilato nei vostri corpi. Poi le
Sorelle sono riuscite a scappare ma il Vaticano è riuscito a
rintracciarle e le ha rinchiuse in un posto sicurissimo da
dove quelle pazze non usciranno mai. Ci penserà Ravasi,
almeno questo, a muovere le sue amicizie per convincere
le autorità italiane a non protestare troppo e a non
pretendere con troppa fermezza la consegna delle Sorelle.
Tutto andrà a posto. Bene adesso è ora di chiudere la
faccenda. E’ già durata troppo. Buttate le armi.
E perché dovremmo farlo, tanto ci ucciderete
ugualmente. Preferiamo darvi un po’ di problemi e morire
sparando. Almeno le sarà più difficile spiegare le cose.
Forse ha ragione caro commissario. Vede però se lei
e i suoi amici doveste decidere di seguire questa strada
potrebbero morire anche altre persone oltre a voi. Le care
Sorelle qui presenti sarebbero certo coinvolte nella
sparatoria e molte di loro sicuramente ci rimetterebbero la
vita.
A noi non importa morire.
La voce di Madre Maria risuonò ferma.
-
Non lo metto in dubbio cara Madre ma sono
altrettanto sicuro che il commissario, per come ho
imparato a conoscerlo, non è uomo da mettere in pericolo
la vita di persone innocenti e adesso lui sa che siete
totalmente innocenti. Vero commissario?
Alberti stava per rispondere sprezzante all’ironia del prete che
però lo bloccò aggiungendo alcune parole.
-
Ah dimenticavo commissario, dalla sua scelta
dipenderà anche la vita o la morte di altre due persone a
cui lei tiene molto. Se mi creerà qualche difficoltà mi
occuperò personalmente di una certa signorina e del suo
splendido bimbo, Iacopo mi pare si chiami. E lei
commissario sa che io mantengo le mie promesse.
Le ultime parole di padre Joseph convinsero Alberti. Era certo
che quell’uomo avrebbe mantenuto la sua promessa di morte.
-
Va bene padre, ha vinto.
Senza dire altro Alberti buttò lontano la sua pistola subito
seguito da Leonardi e da Caterina. Sicuro di sé. Trionfante il
prete si avvicinò alle sue vittime. In mano era comparso un
lungo ago. La prima persona sul suo cammino era Caterina.
Appena lo ebbe vicino la ragazza ebbe una reazione inaspettata
che sorprese del tutto i suoi amici. Piangendo si inginocchiò
davanti al prete, singhiozzando.
-
La prego padre, io non c’entro. Mi lasci andare, le
prometto che me ne torno negli Stati Uniti e lei non
sentirà mai più parlare di me. Le giuro che non farò parola
con nessuno di tutto questo. Sarò una tomba.
Padre Joseph le lanciò uno sguardo di commiserazione.
-
Ecco le donnette che vorrebbero impadronirsi della
Chiesa, menti deboli e fragili, incapaci di sacrificio. E
stupide. Pensi davvero sciocca ragazza che io possa avere
pietà di te e lasciarti libera, rischiando di mettere in
pericolo la mia fede. Stupida e vigliacca.
Senza nessun tentennamento il prete afferrò per i capelli
Caterina per alzarle la testa e infilarle l’ago nel collo ma il suo
movimento venne interrotto dallo scatto improvviso della
donna che con un balzo si ritrovò alle sue spalle mentre con gli
torceva forte il braccio armato dietro la schiena. Padre Joseph
sentì la forza dei muscoli allenati della ragazza e capi di essere
finito in una piccola trappola anche lui. La mano di Caterina gli
strappò l’ago e glielo puntò al collo.
-
Allora padre, come la mettiamo adesso? Le piace
avere puntato al collo questo grazioso souvenir? Adesso
dica ai suoi fedeli compagni di abbassare le armi o per lei
sarà la fine.
Padre Joseph esitò solo un attimo. Poi sorridendo rispose.
-
Bella mossa ragazza. Furba ma inutile, Crede davvero che
metterei in pericolo la mia missione solo per salvare la
mia piccola vita? Questi uomini non sono fedeli a me ma
alla loro fede. Mi uccida pure, le cose non cambieranno.
Comunque voi sarete uccisi, così come saranno uccisi la
ragazza e suo figlio e dopo di me altri custodi si
incaricheranno di continuare la mia missione. Faccia pure
quello che vuole.
La reazione del prete sorprese Caterina lasciandola incerta su
cosa fare.
-
Alberto, Dario, cosa faccio?
La voce della ragazza tradiva tutta la sua insicurezza. Fu
l’ispettore e risponderle.
-
Penso proprio che quell’uomo sia disposto a morire
tranquillamente . Ucciderlo temo che non cambierà la
nostra situazione. Fai come credi.
-
Forse non cambierà la nostra situazione ma mi
darebbe una grande soddisfazione morire sapendo di
averlo eliminato.
Alberto pensò bene di intervenire. Il suo pensiero era rivolto
alla salvezza di Anna e di Iacopo. Se Caterina avesse deciso di
seguire il suo istinto e la sua rabbia avrebbe decretato al morte
anche delle due persone a cui teneva di più. Un sacrificio
inutile a quel punto.
-
-
Caterina ti prego. Lascia andare quell’uomo. Lo mso
anche io che meriterebbe di morire non una ma cento
volte. Ma la sua morte sarebbe inutile per noi e
uccidendolo firmeresti la condanna a morte anche di Anna
e suo figlio.
Ma tu credi davvero alle sue promesse? Chi ci dice
che manterrà la sua parola?
Nessuno, hai ragione, non abbiamo nessuna
certezza. Possiamo solo sperare.
Durante il colloquio tra i due padre Joseph continuava a
rimanere assolutamente tranquillo come se per lui non facesse
nessuna differenza vivere o morire. Forse fu proprio
l’indifferenza del suo ostaggio a convincere Caterina.
-
Forse hai ragione tu Alberto. Possiamo solo sperare.
Del resto non me la sento proprio di firmare la condanna a
morte sicura di Anna e del suo bambino. Visto che stiamo
per morire non voglio avere questa colpa sulla coscienza.
Le ultime parole della ragazza furono coperte da un rumore
violento. Un rombo di motore accompagnato d auna folata di
vento che spazzò il cortile. Tutti gli sguardi si alzarono al cielo.
La sagoma del grosso elicottero era sospesa proprio su di loro.
L’elicottero era a circa cento metri di altezza e al suo interno si
scorgevano perfettamente le sagome di alcuni uomini con le
armi puntate. Dall’elicottero un voce metallica proveniente da
un altoparlante arrivò fino a terra.
-
Vi ordiniamo di non muovervi. Il convento è
circondato dal Gruppo di Intervento Rapido della
Gendarmeria Vaticana. Non opponete resistenza e non
provate a fuggire.
Nonostante fosse distorta dall’altoparlante Alberti riconobbe
subito la voce di Antonio Giuliani.
Nello stesso momento a dare forza alle intimazioni della voce
di Giuliani dai due ingressi del convento una cinquantina di
uomini erano velocemente entrati nel cortile e si erano
posizionati alle spalle del primo cerchio formato dagli uomini
al servizio di padre Joseph. I nuovi arrivati indossavano tute
mimetiche nere senza simboli e senza nomi ma il loro
atteggiamento e i loro movimenti sicuri facevano capire che
erano professionisti ben addestrati e molto decisi. Le armi da
guerra che imbracciavano erano già puntate sui loro bersagli.
La voce dall’elicottero continuò a scandire i suoi avvertimenti.
-
Ripeto, non opponete resistenza. Siete sotto tiro, non
avete nessuna possibilità di resistere.
Nello stesso momento dalle finestre delle camere superiori altri
uomini in mimetica nera si erano affacciati sul cortile puntando
anche loro le armi sugli uomini di padre Joseph. Le poche
velleità di resistenza dei Custodi si spensero del tutto. Uno alla
volta tutti lasciarono cadere le armi mentre padre Joseph
urlando cercava di spingerli a lottare.
-
Vigliacchi cosa fate? Avete dimenticato la vostra
promessa di morire, se necessario, per la Chiesa?
Le urla isteriche del prete cessarono quando il pugno di
Caterina lo raggiunse in pieno volto facendolo crollare a terra.
-
Ah che soddisfazione. Confesso che avrei voluto
darglielo un bel pugno già la prima volta che l’ho
incontrato ma adesso, dopo aver scoperto tutti i suoi
segreti, sono ancora più contenta. Scusate non avrei
dovuto ma almeno questa piccola soddisfazione me la
dovevo togliere.
Alberti e Leonardi non si sentirono di rimproverarla. Erano
troppo contenti. La cavalleria era arrivata davvero al momento
giusto. E il comandante dei cavalleggeri stava entrando giusto
in quel momento mentre i suoi uomini portavano via tutto il
gruppo dei Custodi dopo averli disarmati e ammanettati.
Dopo aver dato uno sguardo veloce alle Sorelle ancora sedute
al tavolo Paolo Benelli salutò sorridendo i suoi amici.
-
Salve ragazzi, come mai in convento? Avete deciso
di prendere i voti?
Anche Alberto rispose con un sorriso.
-
Fai pure lo spiritoso lo sai che non posso dirti nulla.
Grazie Carlo, ci hai salvato la vita.
La seconda parte della frase fu pronunciata con tono più serio.
-
Lascia perdere i ringraziamenti. Avevamo un lavoro
da fare e l’abbiamo fatto. Tu hai scoperto il rifugio delle
Sorelle e io ho finito l’opera.
-
-
-
-
A dire il vero ci siamo sbagliati di grosso. Le Sorelle
sono completamente innocenti. Il vero colpevole di per
tutto quello che è successo è quella specie di prete
sdraiato per terra.
Lo so Alberto, io e Valente sospettavamo da molto
tempo di padre Joseph. Abbiamo anche noi le nostre fonti
di informazione, dentro e fuori il Vaticano. Abbiamo fatto
finta di nulla per farlo scoprire. Gli abbiamo dato, come si
dice, abbastanza corda perché ci finisse impiccato. Il
cardinal Valente conosce molto bene Madre Maria e le
sue Sorelle, non ha mai creduto alla storia che fossero
diventate delle assassine. Avevamo solo bisogno di
farglielo credere, a lui e a Ravasi, per scoprire tutto il
gruppo di Custodi collegato con padre Joseph. Sono anni
che li cerchiamo. Gli omicidi di cui ti stai occupando tu
non sono i primi crimini compiuti da questi miserabili.
Dovevamo fermarli. Certo speravamo di farlo prima,
quegli uomini morti li sento sulla coscienza. Stamattina
Ravasi ha confessato tutta la storia. E’ un ingenuo, non
voleva credere di essere stato usato dal suo segretario e
non riusciva credere che padre Joseph fosse un Custode.
Adesso però è tutto finito.
Finito come? Cosa pensi di fare adesso?
Lo sai cosa devo fare. Farò sparire tutti i documenti
pericolosi per il Vaticano, le Sorelle torneranno al loro
convento e il cardinale ha promesso che farà quanto
possibile per far accogliere in parte le loro richieste. Per
quello che hanno fatto non riceveranno nessuna
punizione.
E la punizione per tutti gli altri? Padre Joseph, De
Cicco, Maestri, assassini e traditori. E tutti quegli agenti e
carabinieri venduti ai Custodi?
Non preoccuparti, padre Joseph riceverà la giusta
punizione. Ti assicuro che la Chiesa sa punire
-
severamente i suoi membri che sbagliano. Per i tuoi agenti
ci penserai tu. Direi che con una nuova ricostruzione della
sparatoria al Cicerone potresti anche accusarli di omicidio
volontario. Ti assicuro che il procuratore capo sarà molto
flessibile e appoggerà il tuo capo di accusa. E’ un grande
amico del cardinal Valente. Per quello che riguarda gli
altri agenti infedeli penso che riuscirai facilmente a farli
espellere e accusarli magari di sequestro di persona o
qulacos’altro. L’importante è che non saranno più in
grado di fare danno per qualche anno. Del resto adesso
che li abbiamo individuati ci penseremo noi a tenerli sotto
controllo.Te li lascio fuori ammanettati. Chiama pure i
tuoi uomini con calma. E non te la prendere, poteva finire
molto peggio.
Forse hai ragione ma mi resta un po’ di amaro in
bocca.
Lo so, hai ragione, ma non è possibile fare
altrimenti, la posta in gioco è troppo alta. Adesso saluta
Madre Maria e le sue compagne, devo farle portare via.
Intanto faccio portare via padre Joseph.
A un cenno del comandante due dei suoi uomini si erano
avvicinati e senza sforzo apparente avevano sollevato il corpo
svenuto di padre Joseph e lo avevano portato via.
Madre Maria si avvicinò. Un sorriso le illuminava il viso.
-
Salve comandante, la rivedo volentieri.
Anch’io Madre. Come sta?
Bene. Triste ma sto bene. Troppi brutti fatti sono
successi, anche per colpa mia.
Lei non ha nessuna colpa Madre. Siete solo state
usate coma paravento da padre Joseph e dai Custodi. Le
porto i saluti anche del cardinal Ravasi e la sua promessa
di intercedere presso il Santo Padre per dare spazio alle
-
vostre richieste. Lei sa che la Chiesa si muove lentamente
ma il cardinale non dispera di poter ottenere qualche
risultato a breve.
Ringrazi il cardinale da parte mia e da parte delle
mie consorelle.
Lo ringrazierà di persona Madre. Verrà a trovarla
appena sarete sistemate nella vostra nuova sede. Adesso
dica alle sue compagne di seguire i miei uomini. Vi
portiamo al sicuro.
Madre Maria con poche parole diede le istruzioni necessarie
alle Sorelle che ordinatamente e silenziosamente si diressero
verso le loro celle per prendere i loro pochi averi.
-
Mi scusi Madre può anche far accompagnare uno
dei miei uomini al posto dove tenete il professor Heffner?
Certo comandante. Ho già detto a Suor Agnese di
liberarlo e portarlo da voi.
Bene.
Madre Maria si volse verso il commissario, muto e pensieroso.
-
Commissario posso darle un consiglio? Non sia così
triste o deluso, le vie del Signore sono tante, misteriose e
a volte incomprensibili per noi poveri peccatori ma è
certo che Lui sa cosa fare. Vada sereno lei ha fermato un
grande pericolo e io so che lei è un uomo onesto. Continui
la sua lotta contro il male e il peccato, a modo suo la
continui.
Alberto stava per replicare ma lo sguardo sereno e profondo
della donna lo costrinse al silenzio.
-
E aggiungo un ultimo consiglio caro commissario.
Quella donna a cui tiene così tanto non la lasci scappare e
quando deciderà di consacrare la vostra unione venga da
noi a farlo. Il comandante le dirà dove raggiungerci, mi
farebbe molto piacere. Adesso devo andare, la saluto ma
sono sicura di rivederla.
Alberto strinse la mano della donna sentendone il calore. Le
sorrise senza dire nulla e la seguì con lo sguardo fino all’uscita
dal cortile.
-
Bene Alberto io devo andare. Ti lascio qualcuno dei
miei a sorvegliare i prigionieri intanto che arrivano i tuoi
uomini.
I due uomini si strinsero la mano con calore poi Benelli salutò
anche Leonardi e Caterina con una stretta di mano. Era quasi
uscito quando Alberti lo bloccò.
-
Paolo scusa ma tu come lo hai trovato questo posto?
Benelli sembrava leggermente imbarazzato.
-
Prometti di non prendertela quando te lo dico?
Perché dovrei prendermela? Se tu non fossi arrivato
in tempo saremmo tutti morti.
Bene allora te lo dico. Non l’ho trovato io ma tu. Io
ti ho solo seguito.
Seguito? In che senso?
Diciamo seguito tecnologicamente. Vedi ero sicuro
che lo avreste trovato così ho fatto mettere sotto controllo
i vostri cellulari e quando li ho visti sfrecciare tutti verso
la stessa direzione ho capito che c’eravate riusciti. E vi ho
raggiunti.
Alberto era sbalordito.
-
Ti hai fatto mettere sotto controllo il mio cellulare?
Anche quello di Leonardi . Lo sai che la nostra Sala
Operativa è ormai una delle più attrezzate e moderne
d’Europa.
E quello di Caterina perché no?
Non ho il suo numero, purtroppo.
La risposta di Benelli fu accompagnata da un sorriso.
-
Dovrei prenderti a calci Paolo, lo sai?
Lo so Alberto ma non puoi farlo. Ti ho appena
salvato la vita, non puoi essere così irriconoscente. Ciao,
buona serata a tutti.
Alberto e i suoi amici erano senza parole. I loro cellulari sotto
controllo. Prima o poi l’avrebbero fatta pagare a Benelli e a
tutta la sua gendarmeria. Prima o poi.
Prima di uscire dal cortile Benelli si voltò di nuovo.
-
Comunque per tranquillizzarvi seguivamo solo il
tracciato del telefono senza ascoltare neanche una parola
delle vostre conversazioni. Siamo riservati noi in
Vaticano.
Con un ultimo cenno il comandante salutò i suoi amici.
-
Certo che il tuo amico è una vera lenza.
Caterina sorrideva apertamente dell’imbarazzo di Alberto e
Leonardi.
-
-
Cerca di non prenderci in giro anche tu adesso. E a
proposito complimenti per la sceneggiata della crisi
isterica. Senza la tua improvvisazione forse Benelli non
sarebbe arrivato in tempo. Comunque con padre Joseph
sotto la tua minaccia è stato più facile convincerli ad
arrendersi. Con lui libero non so se saremmo risuciti a
evitare lo scontro. Brava.
Grazie ispettore, molto gentile. Allora visto che sono
salita nella sua considerazione mi inviterà a cena.
Appena possibile sarà un piacere anche per me
portarti a cena Caterina. Per ora pensiamo a chiamare
rinforzi per portare via questi delinquenti, poi andremo in
centrale per prendere personalmente a calci Maestri e poi
avremo un bel po’ da fare per spiegare tutta questa storia
al questore e al procuratore. Potrebbero anche prenderci
per pazzi e rinchiuderci in manicomio.
Alberti aveva riportato i suoi amici alla serietà.
-
-
Ha ragione commissario ma mi pare di aver capito
che il cardinal Valente ci ha già spianato la strada, è anche
nel suo interesse chiudere questa storia al più presto con
meno clamore possibile.
Forse hai ragione. Allora muoviamoci, sono stanco e
voglio chiudere la faccenda.
CAPITOLO DICIASETTE
Nei giorni successivi Alberti e i suoi amici furono molto
impegnati. Prima il questore, poi il procuratore, li obbligarono a
raccontare più volte tutta la storia.
Alberti ebbe la netta sensazione che sia il suo capo diretto sia il
procuratore conoscessero già, almeno in parte, i fatti accaduti.
Il racconto dettagliato era necessario per mettere a punto le
mosse successive.
Il procuratore, alla fine di due lunghe giornate di colloquio con
il commissario arrivò alle sue conclusioni.
Avrebbe incriminato De Cicco e Maestri per eccesso di
legittima difesa per l’uccisione delle due donne al Cicerone.
Secondo la sua opinione non si poteva sperare di più. Per tutti
gli altri agenti coinvolti negli eventi accaduti al convento
avrebbe utilizzato la testimonianza di Alberti e Leonardi per
ottenere l’espulsione dal corpo.
Senza nessun’altra incriminazione.
Non si poteva ottenere di più senza prove aggiuntive sul loro
eventuale coinvolgimento in altri eventi e senza poter divulgare
tutta la storia. Incriminarli per sequestro o addirittura tentato
omicidio non avrebbe retto in tribunale.
Alla fine, nonostante i complimenti del questore, Alberti e i
suoi amici non erano certo soddisfatti di come erano andate a
finire le cose. Troppe persone se l’erano cavata con poco
danno.
Alberti era nel suo ufficio a riflettere su questo. Era tardo
pomeriggio e Leonardi e Caterina erano andati a prepararsi per
la cena. L’ispettore voleva mantenere la promessa fatta alla
ragazza prima della sua partenza imminente. A loro si sarebbe
unito anche Antonio Giuliani. Alberti aveva rifiutato l’invito ad
andare con loro. Non era dell’umore adatto e aveva preferito
lasciarli soli.
A furia di rimuginare sui fatti il suo umore non era certo
migliorato. Lo squillo del telefono lo distolse dai suoi pensieri e
leggere il nome sul display gli fece tornare un minimo di
serenità, ANNA.
-
-
-
-
Ciao Anna, come stai? Devi scusarmi se non ti ho
più chiamata ma ti assicuro che ho avuto giorni di fuoco.
Quando ti racconterò mi capirai.
Figurati, lascia stare le scuse. Immagino che sarai
stato molto impegnato. Anzi se sei ancora preso dimmelo
senza problemi. Volevo invitarti a cena ma se non puoi
rimandiamo.
No, no, anzi. Mi fa molto piacere. Era qui a
rimuginare da solo e mi stavo deprimendo. Mi fai un vero
favore. Dimmi quando tempo vuoi per prepararti e passo
da casa tua a prenderti. Ti porto in un ristorantino di un
mio amico, piatti tipici napoletani e musica. A che ora?
Direi che va bene anche adesso. Solo che sono
ancora in ufficio, avevo un lavoro urgente da finire e ho
dovuto fermarmi. Ti dispiace venire
a prendermi
direttamente qui?
Figurati, per me è anche più vicino. Vengo subito?
Certo vieni pure. Se non mi trovi all’entrata vuol
dire che non ho ancora finito, magari mi raggiungi tu.
Sono nell’aula S21.
Va bene. Sarò lì tra poco. Ciao.
La telefonata l’aveva fatto tornare di buonumore. Al diavolo i
Custodi, a loro avrebbe pensato dal giorno dopo. Per lui la
storia non era ancora finita ma ci avrebbe pensato il giorno
dopo al da farsi. Per quella sera avrebbe messo tutti i pensieri
da parte, avrebbe portato Anna in quel ristorantino tipico e dopo
una buona cena e con la musica di un mandolino dietro, come
sottofondo, le avrebbe proposto una storia seria, vera. Per
quello che riguardava lui aveva capito che Anna era la donna
che voleva al suo fianco, insieme a Iacopo. Quando l’aveva
vista in pericolo e aveva temuto per la sua vita aveva capito di
amarla e l’idea di poterla perdere l’aveva mandato nel panico. E
stasera glielo dirò. Più tranquillo si alzò e dopo aver salutato
Malinverni uscì dall’edificio. Russo lo attendeva tranquillo
davanti all’entrata. Lo salutò con un sorriso. Dopo la sera al
convento non aveva avuto modo di ringraziarlo. Aveva rischiato
di morire e in quel momento si era preoccupato solo di
riaffermare la sua fedeltà al suo capo e poi era tornato
tranquillamente, normalmente al suo compito. Alberti gli si
avvicinò.
-
-
Ciao Russo, tutto bene?
Tutto bene commissario. Dove la porto?
Direi da nessuna parte. Adesso te ne vai a casa e ti
godi la tua famiglia . Ti meriti una serata tranquilla. A
proposito, grazie per l’altra sera.
E di che commissario, non ho fatto nulla. Mi sono
solo lasciato prendere come un pollo.
Non è stata certo colpa tua, quei due hanno preso in
giro per bene tutti. Il grazie è per tutte le volte che mi stai
dietro senza lamentarti. Mi rendo conto che a volte
pretendo troppo da tutti voi e neanche vi ringrazio mai.
Commissario qui siamo tutti felici e onorati di
lavorare per lei. Quei due erano solo due mele marce che
non meritavano di essere poliziotti. Adesso vado a casa e
le auguro una buona serata. E grazie a lei.
Con un saluto alla visiera l’agente salutò Alberti che lo seguì
con lo sguardo. Brava persona, pensò. Poi il rumore della solita
sgommata di Russo lo fece sorridere. Salito sulla sua auto
personale Alberti si diresse verso l’università. Era contento. La
strada era libera, a quell’ora i romani erano già rientrati per la
maggior parte a casa e si stavano preparando per la cena.
Trovato posto proprio davanti all’ingresso Alberti si avviò
verso la porta principale, l’unica ancora aperta a quell’ora.
Anche lì c’era ben poca gente in giro. Giusto qualche studente
che bighellonava chiacchierando magari dell’ultimo esame e
qualche impiegato che frettolosamente usciva dall’ingresso.
Anna però non era davanti all’ingresso ad aspettarlo. Proprio
davanti all’ingresso Alberti quasi si scontrò con una persona
che conosceva, il professor Testori che riconosciutolo si fermò
a salutarlo.
-
Salve commissario, cerca me o la bella ragazza di
qualche giorno fa?
Il sorriso del professore faceva capire chiaramente che
l’anziano, simpatico vecchietto sapeva perfettamente che il
giovane commissario non era lì per lui.
-
La risposta giusta è la seconda professore.
Anche Alberti sorrideva.
-
-
Ne ero sicuro commissario, gioventù e bellezza
attirano più del sapere e della saggezza. La capisco e la
invidio.
Grazie professore. Posso chiederle un’informazione?
Certo commissario, dica pure.
Sa dirmi dov’è l’aula S21?
Come no commissario, ci ho fatto decine di lezioni
ed esami. È al piano inferiore, scendendo le scale l’ultima
in fondo a destra. Ma non so se troverà qualcuno a
quest’ora.
C’è una persona che mi aspetta lì.
Allora vada commissario, la saluto e le auguro una
buona serata.
Grazie professore, anche a lei.
Con una stretta di mano e un ultimo cenno i due uomini si
salutarono. Alberti seguendo le indicazioni del professore scese
le scale e si diresse in fondo al corridoio. Proprio l’ultima aula
era contrassegnata con la sigla S21. C’erano due ingressi.
Alberti socchiuse piano la porta del primo. L’aula era molto
grande, tutta illuminata ma vuota, il pavimento degradava verso
il basso nella tipica conformazione delle aule universitarie che
tanto bene ricordava. I banchi erano tutti deserti e da quella
posizione non si vedeva nessuno. Alberti richiuse la porta e si
diresse verso il secondo ingresso posto più in basso. Guardando
dentro dalla finestrella della porta Alberti vide subito Anna con
la solita divisa rossa che ordinava delle carte aiutata da un suo
collega davanti alla cattedra riservata ai professori. Alberto ci
pensò un attimo poi si decise ad entrare. Voleva almeno
avvisare Anna che era arrivato.
-
Buonasera a tutti.
Al suo saluto fatto ad alta voce Anna e l’uomo che era con lei si
voltarono. Solo la ragazza rispose al saluto.
-
Ciao Alberto, vieni pure avanti.
Alberto iniziò ad avanzare verso di lei ma qualcosa nella sua
espressione lo spinse a fermarsi.
-
Anna, tutto bene? Hai una faccia strana.
La risposta della ragazza lo lasciò dubbioso.
-
Alberto perdonami. Perdonami se ti ho fatto venire.
Il giovane non capiva.
-
Anna cosa c’è? Spiegami. Se non hai ancora finito o
non puoi venire a cena con me non è un problema.
Tranquilla rimandiamo a domani o quando puoi. Non è
una cosa grave.
Anna lo guardava sconvolta e quasi piangendo. Con la coda
dell’occhio Alberto vide solo in quel momento che il collega di
Anna la teneva per un braccio. Con una presa troppo stretta.
Stava per avvicinarsi all’uomo ma la sua voce lo fermò.
-
Vede commissario la cosa è grave invece. Lei è
venuto qui per morire.
L’uomo aveva una voce tranquilla che non denunciava nessuna
particolare emozione. Alberti estrasse la pistola puntandola
addosso all’uomo.
-
Lasciala andare subito. Immediatamente.
La mossa e le parole di Alberti non intimorirono in nessun
modo l’uomo. La sua mano continuò a stringere il braccio della
ragazza e la sua risposta non tradiva nessuna paura.
-
Non è possibile commissario. Lascerò andare la sua
cara amica solo quando lei mi consegnerà la sua arma.
Tu sei pazzo. Te lo ripeto, lasciala subito se non vuoi
che ti spari. Anna chi è quest’uomo.
La ragazza continuava a guardarlo disperata e confusa. Ci mise
qualche secondo prima di rispondere.
-
Alberto mi dispiace, non lo so. So solo che hanno
Iacopo.
Iacopo?
-
Sì commissario, il piccolo tesoro della sua amica è
qui con noi. Dietro di lei.
Alberto si voltò di scatto. In cima alle scale era spuntato un
altro uomo che teneva il bambino tra le braccia puntandogli
alla gola un lungo ago. Alberti ebbe un brivido. Forse sapeva
chi erano quegli uomini.
-
Anna cos’è successo?
Piangendo sommessamente la ragazza rispose.
-
-
Mi dispiace Alberto. Mi hanno costretta a chiamarti.
Sono venuti a casa e hanno preso me e Iacopo. Hanno
minacciato di ucciderlo se mi fossi rifiutata di chiamarti e
farti venire qui. Perdonami non potevo fare nulla.
Stai tranquilla, non è colpa tua. So chi sono questi
due bastardi.
Poi Alberti si rivolse all’uomo.
-
Sei un altro di quei maledetti Custodi, vero?
Benedetti da Dio e dalla Chiesa commissario.
Custodi della Fede. Padre Joseph ci ha lasciato precise
istruzioni su cosa fare nel caso di un suo fallimento. Lei
commissario ha inferto un duro colpo alla nostra
compagnia, padre Joseph è rinchiuso in qualche sperduto
monastero, le Sorelle sono libere di continuare la loro
opera blasfema di propaganda e molti nostri fratelli sono
stati individuati dai nostri nemici e ora non potranno più
operare per il bene e la salvaguardia della Chiesa. Lei
deve morire commissario. Padre Joseph è stato categorico
su questo. Mi consegni la sua pistola senza fare resistenza
e lasceremo liberi la donna e il suo bambino.
Alberti non si mosse. Era sicuro che avrebbero ucciso sia
lui che Anna. Non avrebbero certo lasciato una testimone
pericolosa in giro. Forse avrebbero risparmiato il bambino.
Il suo sguardo correva da un uomo all’altro cercando di
valutare la possibilità di colpirli. No, era impossibile.
Soprattutto il secondo era troppo lontano e ben coperto dal
piccolo. Avrebbe rischiato di colpire Iacopo.
L’uomo vicino a lui indovinò i suoi pensieri.
-
Non ci pensi nemmeno commissario. Non può
farcela. Se decide di sparare almeno una di queste due
persone morirà. Probabilmente riuscirebbe a uccidere me,
magari prima che io riesca a colpire la sua cara amica ma
le assicurò che nello stesso momento padre Raphael
ucciderà il bambino.
Preti, ancora preti. Alberti pensò amaramente che il Vaticano
negli ultimi tempi non aveva certo scelto bene i suoi sacerdoti.
-
Mi giura che manterrà la promessa di lasciare liberi
tutti e due?
Certo commissario, ha la mia parola. Il mio
Superiore mi ha dato questa consegna anche lui.
Chissà chi era questo Superiore nominato anche da padre
Jospeh? Nonostante la situazione il cervello da poliziotto del
commissario si pose la domanda. Comunque non l’avrebbe mai
saputo. Alberti aveva deciso. Nonostante i suoi dubbi sulle
promesse di quel prete non aveva scelta. Doveva accettare le
sue condizioni. L’avrebbero ucciso ma sperava nella salvezza di
Anna e di suo figlio.
Stava per consegnare la sua arma all’uomo quando si sentì un
trambusto in fondo all’aula. Alberti si voltò. L’uomo che teneva
in ostaggio il bambino, padre Raphael, stava lottando con
un’altra persona. Stretti l’uno all’altro i due uomini iniziarono a
rotolare lungo la discesa. Il bambino piangeva disperatamente.
Alberti si voltò di scatto verso l’uomo vicino a lui. La sua
mano si era alzata pronta a colpire Anna ma aveva fatto uno
sbaglio. Per prendere la distanza giusta per sferrare il colpo si
era allontanato dalla ragazza e offriva ora un facile bersaglio al
poliziotto che esplose due colpi in rapida successione.
Nonostante la vicinanza Alberti aveva temuto di poter colpire
Anna ma la sua mano non aveva tremato. I due proiettili
avevano raggiunto con precisione l’uomo al petto e solo un
fiotto di sangue aveva colpito Anna che guardava con gli occhi
sbarrati il corpo dell’uomo ai suoi piedi. Poi lo sguardo della
donna si rivolsero verso l’alto. Il commissario seguì quello
sguardo. Il bambino stava percorrendo piano la discesa
dirigendosi verso sua madre ma sul suo cammino c’era padre
Raphael che aveva avuto la meglio sul suo avversario e che si
muoveva velocemente verso il piccolo con la mano armata in
alto. Pochissimi metri lo separavano dal bambino e le sue
intenzioni erano chiarissime. Voleva mantenere la promessa di
morte fatta dal suo compagno. Albert puntò la pistola verso di
lui.
-
Padre Raphael si fermi. E’ finita. Non si macchi la
coscienza con l’inutile morte di un bambino. Si fermi o
sarò costretto a sparare.
Mentre Alberti urlava Anna si stava precipitando verso il
bambino. Era sconvolta e non si rendeva conto che non
sarebbe mai potuta arrivare da Iacopo prima dell’uomo e nella
sua corsa forsennata rischiava di coprire il bersaglio al
commissario. Alberti capì di non poter più aspettare. Il primo
colpo colpì padre Raphael alla gamba. L’uomo cadde ma
incurante del dolore si rialzò. Trascinando la gamba ferita
riprese a muoversi verso il bambino. Alberti capì che era inutile
tentare di fermarlo con le parole. Aveva capito che l’esaltazione
e la pazzia dei Custodi per la loro missione ottenebrava
completamente la loro mente. Sparò di nuovo prendendo la
mira con calma. L’uomo venne colpito alla spalla e di nuovo
alla gamba. Questa volta cadde per non rialzarsi. Nel frattempo
Anna era riuscita a raggiungere il suo bambino e lo teneva tra le
braccia piangendo. Alberti si stava dirigendo verso il corpo
dell’uomo che l’aveva aiutato, immobile sul pavimento. Voleva
vedere chi era e sperava ardentemente che fosse vivo. Senza il
suo intervento non ce l’avrebbe fatta. In quel momento però dai
due ingressi dell’aula fecero il loro ingresso quattro addetti alla
sorveglianza interna dell’università con le armi in pugno. Gli
spari avevano richiamato la loro attenzione. Alberti alzò con
calma la pistola.
-
Fermi, tranquilli. Sono il commissario Alberti della
polizia. E’ tutto finito, tutto sotto controllo.
Parlando Alberti aveva estratto il tesserino dalla tasca e l’aveva
mostrato ai vigilantes. Uno di loro gli si avvicinò per
controllare il documento. Rassicurato lo salutò portando la
mano alla visiera.
-
Ci scusi commissario. Abbiamo sentito gli spari e
siamo accorsi. Cosa posso fare per lei?
Chiami il 113 a nome mio. Dica di mandare un paio
di pattuglie e un paio di ambulanze. Ci sono degli uomini
feriti.
Agli ordini commissario.
Alberti stava per chiamare Leonardi per avvisarlo ma decise di
non farlo. Inutile rovinare la cena ai suoi amici. Per ora era
tutto a posto. Il bersaglio dei custodi era lui e solo per colpire
lui avevano preso di mira Anna e suo figlio. Per ora il pericolo
era passato.
Si incamminò velocemente verso il corpo di padre Raphael. Un
rapido sguardo e un controllo del polso per constatare che era
morto. Poi si diresse verso il corpo svenuto del suo salvatore.
Era disteso con la faccia verso il pavimento ma respirava.
Alberti capì subito chi era. Quel tipo di giacca lo usava solo un
certo professore, Testori. Alberti si inginocchiò su di lui. Non
mostrava segni di ferire e il respiro era abbastanza regolare. E’
solo svenuto, pensò con sollievo Alberti. Iniziò a scuoterlo e
dopo qualche tentativo il professore diede i primi segni di vita.
Aperti gli occhi l’anziano professore lo riconobbe subito.
-
-
Commissario, come sta? Cos’è successo? Il bambino
sta bene? E la sua amica?
Tutto bene professore, grazie a lei e al suo coraggio
è andato tutto ben. Lei ha salvato la vita a tutti.
Sono contento commissario. Ero venuto a cercarla
perché volevo dirle una cosa che avevo scoperto, sono
entrato piano temendo di disturbare e perciò quell’uomo
non mi ha sentito. Poi ho visto che teneva il bambino in
ostaggio e ho sentito tutto quello che ha detto l’altro. A
quel punto mi sono fatto coraggio e mi sono lanciato ma
nella lotta siamo rotolati e devo aver perso conoscenza.
Proprio così professore ma il suo intervento mi ha
dato l’occasione che mi serviva. Sono riuscito a fermarli.
Sono morti tutti e due. Mi dispiace ma non c’era altro
modo. Troppi innocenti hanno già perso la vita per colpa
di questa gente. Comunque complimenti professore per
essere uno studioso ha dimostrato una notevole forza e
agilità.
Il sorriso di Alberti fece sorridere anche il professore.
-
-
Guardi che oltre che studioso di dottrine religiose
sono anche un appassionato cultore di filosofie orientali e
come lei sa molte filosofie orientali contemplano anche
forme di lotta. In gioventù ne ho praticato qualcuna.
Troppi anni fa purtroppo. Devo confessare che ho
dimenticato tutto, mi sono solo buttato addosso a
quell’uomo a corpo morto. Se sono riuscito a fermarlo per
qualche minuto è stata solo fortuna.
Fortuna o non fortuna le devo la vita. Grazie
davvero professore.
Di niente commissario. Adesso lasci perdere questa
vecchia carcassa, vedo che stanno arrivando anche gli
infermieri, e vada dalla sua ragazza. In questo momento
ha più bisogno lei della sua presenza.
In effetti erano entrati nell’aula due infermieri con una barella.
Con un cenno Alberti li chiamò. L’unico a cui potevano essere
utili era solo il professore. Ad Anna e al bambino ci avrebbe
pensato lui.
-
Allora la lascio in buone mani professore. Grazie
ancora. Verrò a salutarla con più calma uno di questi
giorni.
Quando vuole commissario, sarà un piacere.
Alberti si stava allontanando dal professore per raggiungere
Anna quando si ricordò di qualcosa. Si voltò di nuovo verso di
lui.
-
Professore scusi ma ha detto che era venuto a
cercarmi per dirmi qualcosa? Cosa di preciso?
L’anziano professore lo guardò. Poi sorridendo gli rispose.
-
-
Pensi che era venuto a dirle che avevo fatto ulteriori
ricerche e avevo scoperto che, probabilmente, qualche
gruppo di Custodi era ancor attivo. Ma immagino che lei
ne fosse già a conoscenza.
Ha proprio ragione professore. Ma benedetto Dio
per averla fatta tornare indietro a cercarmi.
Salutato il professore Alberti raggiunse Anna. Si era calmata e
stringeva Iacopo tra le braccia in un atteggiamento di difesa.
Aveva rischiato di perderlo e ora lo teneva stretto per difenderlo
da qualsiasi pericolo. Alberti le si sedette vicino e l’abbracciò.
-
-
Alberto perdonami, ti ho trascinato qui mettendo a
rischio la tua vita ma c’era la vita di Iacopo in gioco.
Stai tranquilla, è tutto finito. Dovrei essere io a
chiederti perdono. Per colpa mia sei stata trascinata in
questa storia e hai rischiato due volte di morire e di
perdere Iacopo.
Lo sai che non è stata colpa tua.
Lo so ma mi sento in colpa lo stesso.
Non devi. Ci hai salvato la vita. Non hai niente da
farti perdonare.
Invece sì e visto che ti ho messa in pericolo adesso
mi tocca offrirti protezione per tutta la vita.
Alberto sorrideva e quando Anna capì il senso vero delle sue
parole un largo sorriso illuminò il suo viso.
-
Ma dici davvero? Il tuo senso di colpa ti spinge a
fare questo sacrificio?
Non è un sacrificio e non è senso di colpa. Mi sono
accorto di amarti e voglio stare con te. Per sempre.
Leonardi, Caterina e Giuliani, arrivati di corsa dopo essere stati
avvertiti dalla centrale, capirono che era tutto a posto davvero
quando videro Alberto e Anna che si baciavano davanti a tutti.