Prendersi cura della scrittura - Associazione Europea Disgrafie
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Prendersi cura della scrittura - Associazione Europea Disgrafie
PRENDERSI CURA DELLA SCRITTURA di Sonia Barducci Corso di Specializzazione in Educazione e rieducazione del gesto grafico A.E.D. Firenze 2014-2015 1 Introduzione Mio intento in questa sede è proporre una riflessione a monte rispetto ad un eventuale percorso di rieducazione del gesto grafico: da quali ragioni dovrebbe essere mossa la richiesta di questo tipo di intervento, volto a migliorare, ripristinare e salvaguardare la scrittura corsiva di bambini e ragazzi il cui grafismo risulta a qualche livello compromesso e non funzionale? Sia che si tratti di generiche difficoltà di scrittura, sia in presenza di una diagnosi di disgrafia che accerti un vero e proprio disturbo specifico dell’apprendimento, sarebbe auspicabile non soltanto il riconoscimento della necessità di un intervento tempestivo e mirato, ma anche che esso passasse attraverso l’interrogarsi sulle reali e profonde motivazioni per le quali lavorare sulla scrittura del bambino. Qualora si giungesse alla conclusione di intraprendere un percorso con un rieducatore della scrittura esclusivamente nell’ottica di meglio rispondere alle richieste didattiche, per cui un progresso in fatto di resa esecutiva assicura benefici in termini di valutazione, se ne coglierebbero solo parzialmente il significato e le finalità. Certamente quanto concorre al raggiungimento di buoni esiti a scuola, contesto principale in cui viene richiesto di scrivere a mano, rappresenta un obiettivo da perseguire, ma sarebbe limitante fermarsi a questo adempimento a richieste esterne al soggetto. Rieducare quel gesto che consente un più armonioso e funzionale grafismo non dovrebbe, infatti, avvenire per accontentare o assecondare chi entra in contatto con la scrittura del bambino: insegnanti o specialisti che sollecitano l’intervento nella speranza di poter finalmente decifrare con minor sforzo testi dalla grafia maldestra o genitori che desiderano veder coronate le aspettative che ripongono sui figli e neppure per un mero discorso di rendimento scolastico. Quando si decide di accettare un intervento di questo tipo lo si dovrebbe fare per il bambino stesso, indiscusso e assoluto protagonista del proprio processo di crescita e apprendimento, accordando valore a tutti quei benefici ben più profondi che potrebbe trarne. Poste in chiaro queste premesse, ritengo necessario fare un passo indietro per delineare una rapida panoramica sull’inestimabile valore proprio della scrittura a mano per l’umanità in senso lato e, in modo particolare, per i bambini. Sapere cosa implica e significa per loro e quanto in profondità la sua riuscita, parziale o mancata acquisizione li tocchi, è base fondamentale per comprendere l'importanza di prendersene cura. 2 Prendersi cura della scrittura La scrittura prodotta dalla mano che, per interazione armonica di numerosi muscoli e altrettanti centri nervosi, richiede la partecipazione di tutto il corpo per tracciare segni su un supporto attraverso uno strumento grafico, non è sostituibile con la scrittura che si serve della tecnologia. Diversi sono i mezzi, diversi gli esiti e le finalità, diverse anche le implicazioni cerebrali e motorie che le consentono: non sono dunque codici comunicativi intercambiabili. Minacciata dall'avvento e dall'ampia diffusione di tali strumenti informatici, oggi più che mai la scrittura manuale necessita di essere valorizzata, tutelata e promossa. Le va riconosciuta l’immensa ricchezza, troppo spesso dimenticata, che essa rappresenta: un veicolo davvero potente da preservare con cura. Basti pensare alla lunga evoluzione che, per tappe ed approssimazioni graduali, ha portato alla costruzione e diffusione del codice scritto. È stata una conquista dalla portata tale da segnare il passaggio dalla preistoria alla storia; innegabile, dunque, che si tratti di un patrimonio umano e culturale che ha pochi eguali. Trascurare questa pratica, che tanto e tanto a lungo si è faticato per avere a disposizione, significherebbe rischiare di perderla; rimpiazzarla con nuove tecnologie equivarrebbe a rinunciarvi. In ambo i casi si tratterebbe di un considerevole impoverimento da scongiurarsi, in favore invece della valorizzazione e salvaguardia di una preziosa pratica dall'intriseca natura artistica. Non meno importante è il patrimonio personale che la scrittura autografa ha il potere di rappresentare per il singolo individuo. Essa è un mezzo di relazione, condivisione e scambio con l’altro al quale si offre un pezzo di sé. La scrittura è infatti proiezione di noi nella nostra interezza: quelle tracce su carta danno dimora ai nostri pensieri, alle nostre emozioni, al nostro vissuto, al nostro corpo anche e, come ben sanno i grafologi, alla nostra personalità, a tutto il nostro essere. Ci dice infatti Max Pulver, psicologo e grafologo svizzero: L’uomo che scrive disegna inconsapevolmente la sua natura interiore. La scrittura cosciente è un disegno inconscio, disegno di sé, autoritratto. 1 La scrittura è, dunque, tanto un veicolo di incontro, contatto e interazione con l’esterno, investito di un’alta carica di affettività, quanto una creazione, una 1 Max Pulver, Simbologia della scrittura, Torino, Boringhieri Editore, 1983, p. 8. 3 creatura da noi generata e quindi a noi intimamente connessa, in un viscerale gioco che oscilla tra la libera espressione della persona al mondo e nel mondo e l’introspezione, la quale si snoda in un profondo dialogo di autoscoperta, autoconoscenza, autoanalisi e talvolta autoterapia. Queste e mille altre sfaccettature (che chi ama la scrittura e in essa è in grado di vedere un tesoro non faticherà a trovare, probabilmente non senza i sentimentalismi che la gratitudine suole portare con sé) potrebbero concorrere ad elogio di questa straordinaria arte. Ma veniamo ora a spostare l’attenzione sul binomio bambino-scrittura. Fin dai primi giorni di vita, se non già all’interno del grembo materno, il bambino avvia le sue sperimentazioni e inizia ad attivare e scoprire ciò che, qualche anno più avanti, gli consentirà di usufruire di quel tanto prezioso patrimonio di cui si è parlato. Si prepara, insomma, a scrivere. L’inseguimento visivo, l’estensione delle dita, l’opposizione pollice-indice, l'afferramento sono solo alcune delle tante conquiste che, per tappe successive, predispongono il bambino a prendere in mano una matita o una penna e con questa tracciare segni su qualsivoglia superficie, producendo scarabocchi, poi disegni figurati, poi qualcosa che via via andrà sempre più somigliando alla scrittura. Affinché ciò possa avvenire, deve verificarsi un processo di maturazione a più livelli: motorio ed intellettivo indubbiamente, ma anche affettivo, percettivo e linguistico, che corrispondono ad altrettante competenze che il bambino dovrà imparare ad integrare tra loro. Così si acquisiscono, e via via interiorizzano, una serie di abilità basilari per riuscire ad imparare correttamente a scrivere all’ingresso della scuola primaria. Occorre saper coordinare la mano con l’occhio, conoscere lo schema corporeo, sapersi orientare nel tempo e nello spazio, integrando i due elementi nella creazione del ritmo. È, inoltre, opportuno saper padroneggiare l'associazione tra fonema e grafema, indispensabile per trasporre in lettere, sillabe e parole scritte i suoni che udiamo. E ancora sono necessarie memoria, attenzione, motivazione e, non ultima, capacità di astrazione e rappresentazione mentale. Infatti la scrittura, atto estremamente fine e specializzato che eppure richiede anche equilibrio e coordinazione motoria generale, è considerata un atto psicomotorio complesso. Vale a dire che la sua produzione passa necessariamente attraverso la messa in atto di una serie di movimenti sequenziali, precedentemente rappresentati e pianificati a livello cerebrale dal sistema nervoso centrale. Si può, infatti, parlare di scrittura come di una prassia finalizzata alla realizzazione di grafismi: prassia grafica, dunque. 4 Se è vero che, seguendo le naturali fasi del proprio sviluppo, il bambino già nella fase pre e neo natale prepara il terreno per accogliere la scrittura verso la quale ha una predisposizione innata, è altrettanto vero che la scrittura come gesto e come codice va insegnata: il bambino deve apprenderla ed esercitarla. La pratica è indispensabile affinché la così complessa funzione scrittoria venga assimilata e si automatizzi: proprio l'esperienza e la ripetizione hanno un ruolo di primo piano nella creazione di sinapsi e nel far sì che tali connessioni neuronali deputate alla scrittura sopravvivano al processo di selezione in atto nel nostro sistema nervoso. La scrittura manuale, insomma, influenza lo sviluppo cerebrale e concorre in particolare alla specializzazione dell'emisfero sinistro. Ad incentivarne la pratica e ad avvalorare questa tesi interviene, tra gli altri, Alessandra Venturelli nel suo testo “Dal gesto alla scrittura”, nel quale propone un nuovo modello di insegnamento del carattere corsivo: Occorre interrogarsi se vale la pena rinunciare a sviluppare quelle competenze e capacità cognitive ed espressive che soltanto la pratica del gesto grafico può gradualmente attivare.2 Durante i primi due anni di scolarizzazione è richiesto un investimento totale di risorse che comporta un notevole dispendio di energie da parte dei bambini, ai fini di un apprendimento al quale dedicano grande impegno, sforzo e coinvolgimento profondo e la cui riuscita è per loro più densa di significato di quanto non si possa pensare. Esplicativa in questo senso è una frase di uno dei grandi padri della rieducazione del gesto grafico, Robert Olivaux, il quale afferma: Nella vita del bambino la conquista della scrittura ha lo stesso valore della sua scoperta per la storia dell'umanità. 3 Qualora lo sviluppo delle tante abilità di cui si è detto e il loro cooperare siano corretti e il processo di realizzazione del grafismo si mostri agevole, a partire dal terzo anno di scuola primaria questa fase pre-calligrafica di intensa operosità, fatica e tensione lascia il posto ad una modalità tutta nuova di vivere la scrittura. Le principali difficoltà grafomotorie sono state ormai superate, le modalità di esecuzione delle lettere acquisite, il bambino va consolidando la 2 Alessandra Venturelli, Dal gesto alla scrittura, Milano, Mursia, 2014, p. 17. 3 Robert Olivaux, Disgrafie e rieducazione della scrittura, Ancona, AGI, 1993, p. 12. 5 sua abilità nel guidare lo strumento grafico per ottenere il risultato desiderato nel rispetto del modello appreso e senza l'eccessivo sforzo iniziale. Si procede allora verso una sempre maggiore confidenza e sicurezza nei confronti del gesto grafico, con il quale si sta familiarizzando e che andrà in seguito personalizzandosi. Inizia, in altre parole, quella che viene chiamata “l'età d'oro della scrittura", la quale può ora essere considerata un'attività gratificante in cui è possibile riscontrare da parte del bambino un certo piacere nello scrivere e nel saper scrivere. Ma come può sperimentare questo piacere un bambino per il quale difficoltà e fatica non caratterizzano solo la fase iniziale dell'apprendimento, ma permangono non permettendogli di conoscere questa "età d'oro"? In questo caso, se quella dell'acquisizione della lingua scritta è un'esperienza così significativa e carica di emotività, la sensazione predominante non potrà certo essere di appagamento, quanto piuttosto di inadeguatezza, frustrazione e fallimento. Il bambino può maturare un forte senso di colpa per non essere in grado di raggiungere i risultati attesi in maniera agevole e soddisfacente e sentirsi inferiore o non all'altezza rispetto a quei coetanei che invece riescono a soddisfare quanto richiesto senza eccessive difficoltà e ricevendo gratificazioni da parte degli adulti. Si tratta di un tipo di insuccesso autopercepito, ma spesso evidenziato anche dall'esterno, che può segnare una sconfitta pesante, con riscontri negativi sull'autostima, sulla considerazione di sè, sulla fiducia nelle proprie capacità e sulla motivazione ad apprendere. Inoltre, può essere concausa di un precoce abbandono scolastico. Tutto ciò non può che sfociare in un disagio, che ogni bambino con difficoltà di scrittura o disgrafia vivrà a modo proprio, al proprio livello di intensità. Abbiamo già ricordato che durante l'atto di scrivere proiettiamo tutti noi stessi sullo spazio grafico: tutto il corpo scrive e per intero il corpo, in quanto promotore del gesto e veicolo identitario al contempo, si può ritrovare tra le righe manoscritte. Anzichè allo specchio, come entità concreta dotata di una fisicità che agisce e si muove nel mondo, possiamo guardarci su carta, fatti di segni che si uniscono a creare parole e popolare il bianco della pagina. Roland Barthes è stato un saggista, critico letterario e semiologo francese degli anni '60-'70, nonchè difensore della scrittura autografa e uno dei rari autori del suo tempo a mostrare ai lettori la propria grafia all'interno di alcuni suoi libri. Egli si chiese una volta se il testo scritto non fosse forse un anagramma del corpo4, da lui inteso come istanza plurale in cui esteriorità 4 Si veda Roland Barthes, Le plaisir du texte, Parigi, Seuil, 1973. 6 fisica e interiorità psichica arrivano quasi a convergere. La figura linguistica dell'anagramma ben si presta a suggerire l'idea che gli esiti grafici della scrittura manuale siano composti dagli stessi costituenti del corpo di chi li genera: mescolati e ridistribuiti, questi elementi ci consentono di vederci secondo combinazioni diverse. La nostra scrittura, dunque, ci rimanda un'immagine di noi stessi che comporta una variazione dell'usuale modalità di autopercezione, eppure su carta siamo noi tanto quanto lo siamo abitando la nostra pelle: la sostanza è la medesima. Ma si trova poi corrispondenza tra sé scritto e sé corporeo? Non sempre. Come non sempre e non tutti ci si sofferma a scrutare la propria grafia, riuscendo poi a dire: "Quello sono io". Può avvenire di negare di essere ciò che trasponiamo su carta, così come di dissimulare, ovvero mettere una maschera alla propria scrittura per offrire un'immagine di sé alterata, abbellita da un'artificiosa e spesso vanitosa ricerca estetica che mina l'autenticità. Anche qualora vi sia riconoscimento di sé in quel fedele specchio che è la scrittura a mano, gli esiti prodotti e le sensazioni derivanti possono essere dei più svariati. Questa può essere accolta con piacere, in particolar modo da coloro che a fatica riescono a fare i conti con la propria componente materiale e con la propria fisicità. In questi casi, vedersi ritratti come in una fotografia attraverso la propria scrittura può arrivare ad essere un veicolo di accettazione e un aiuto a meglio convivere con se stessi, sentendosi maggiormente a proprio agio, liberi e protetti al contempo, nelle tracce di inchiostro che si prestano alla carta piuttosto che nel proprio corpo. Se in grado di far sentire chi la produce in pace con sè consentendogli di piacersi ed apprezzarsi, la pratica scrittoria non potrà che essere vissuta con coinvolgimento e trasporto, fino talvolta a sfiorare le soglie dell'autocompiacimento. Tuttavia, può esserci anche un riscontro del tutto opposto. Non è così raro per quanti continuano ad avere una scrittura lenta, maldestra, incerta, poco fluida e difficilmente leggibile maturare un rifiuto nei confronti di quell'immagine caotica che stentano a tenere sotto controllo. Questa, fonte di imbarazzo e avvilimento, può essere respinta, come a dire: "Se sono ciò che traccio sulla pagina, valgo davvero poco, forse nulla". Se a livello più o meno conscio si istaura un ragionamento di questo tipo, si tratterà di un riconoscimento sofferto, privato di tutti quei connotati positivi di autoaccettazione e valorizzazione. Al contrario, può indurre il bambino a sottovalutarsi e contribuire ad inasprire ulteriormente un senso di incompetenza e una considerazione di sé spesso già conflittuali ed essere, così, 7 causa di malessere. In linea con questa riflessione anche Monica Pratelli quando, in conclusione del suo manuale "Disgrafia e recupero delle difficoltà grafo-motorie", parla del quaderno di un ipotetico bambino disgrafico: Quel quaderno è segno tangibile della sua incapacità e l'alunno finisce per identificarsi con esso: non è la sua scrittura che non va bene, è egli stesso a non andare bene.5 Qui la rieducazione del gesto grafico può fare molto. Essa si appellerà inevitabilmente a quella che Robert Olivaux chiama "funzione strumentale" della scrittura, ai fini di promuovere un utilizzo adeguato e quanto più economico della motricità deputata all'esecuzione dell'atto scrittorio. Dichiarandosi attraverso difficoltà nel condurre il gesto grafico in modo fluido e controllato, velocità insufficiente ed eccessivo affaticamento, la carenza di questa funzione è generalmente quella che si coglie per prima e in maniera più evidente, nonché quella per la quale si richiedono approfondimenti: valutazioni, eventuali certificazioni ed interventi grafoterapeutici. In sede di rieducazione del gesto grafico non è, quindi, possibile prescindere dalla messa a punto di quegli aspetti tecnico-esecutivi che proprio la funzione strumentale della scrittura veicola. Le sedute rieducative danno, infatti, largo spazio ad esercizi di produzione ripetuta e graduale di forme prescritturali, quali coppe, archi, occhielli, fibbie, che contengono in sé il germe della scrittura corsiva. Al bambino non viene richiesto di prendere a modello una forma già data e conclusa e di ricopiarla come crede, al contrario gli viene mostrato dal rieducatore come eseguirla e spiegato in maniera analitica il procedimento preciso che consente la realizzazione grafica di ciascuna forma. I movimenti necessari all'esecuzione sono, dunque, verbalizzati dall'adulto, che fornisce altresì indicazioni che il bambino possa assumere come riferimenti: il punto di attacco e la direzione da seguire per ogni traccia grafica proposta. In questo modo si insegnano gesti da eseguire in successione che, ripetuti, vengono introiettati e registrati mentalmente, fino a diventare automatismi. Tali forme prescritturali cui il gesto è finalizzato, in sé non veicolano alcun significato, ma combinate e collegate tra loro sfociano nella scrittura corsiva. In una logica di ricondizionamento del processo esecutivo (preceduta da decondizionamento, qualora questo risultasse già radicato e automatizzato in maniera poco 5 Monica Pratelli, Disgrafia e recupero delle difficoltà grafo-motorie, Trento, Erickson, 2012, p. 123. 8 funzionale), si procede con esercizi tecnici di iscrizione, per il disegno e la strutturazione delle lettere in corsivo, presentate per gruppi di movimenti richiesti per la realizzazione. Inoltre si propongono esercizi di progressione, per lo scorrimento fluido del tracciato da sinistra verso destra che, attraverso i collegamenti interletterari, conferisce la peculiare caratteristica della continuità al corsivo, il quale anche etimologicamente corre e scorre. A ciò si affianca un lavoro di potenziamento di quelle abilità di base che saranno risultate carenti dal bilancio grafomotorio iniziale, si promuove il rilassamento e si favoriscono distensione e tonificazione muscolare. E ancora si propongono attività pittografiche e di motricità fine e si cercano di ottimizzare la postura del bambino durante l'atto di scrivere e l'impugnatura dello strumento grafico, in favore di una resa grafica qualitativamente soddisfacente. L'aspetto strumentale è, quindi, privilegiato durante la rieducazione della scrittura, ma lo è in quanto mezzo attraverso cui registrare consistenti benefici su svariati altri piani. Come sottolinea ancora una volta Olivaux, quella strumentale rappresenta la base indispensabile per la piena realizzazione delle altre funzioni, ad essa interconnesse: relazionale e, in linea con le riflessioni poco sopra riportate, rappresentativa della personalità. Una scrittura che, a seguito di un percorso di rieducazione, si mostri leggibile, funzionale, rapida, sciolta e che magari esprima anche un'idea di ordine, compostezza e padronanza, segna di per sé una conquista importante: gradita e auspicabile. Tuttavia un trattamento di questo tipo non può ritenersi pienamente e totalmente riuscito se l'esito finale fosse una bella scrittura fine a se stessa; vuole e deve andare oltre. Va scoraggiata l'idea che possa esistere una scrittura compiuta una volta per tutte, perfetta o ideale. Ideale sarebbe, piuttosto, una scrittura esplicativa del nostro essere in tutte le sue sfumature e unicità, che cresca e si evolva in armonia con il suo autore. Ecco allora che sarebbe bene intraprendere un percorso di grafoterapia consapevoli delle reali finalità e del significato profondo della rieducazione della scrittura che, non accontentandosi di un fatto puramente grafico, opera per promuovere il benessere del bambino nella sua interezza. Se il bambino riuscirà a vivere il rapporto con carta e penna non più come un peso, scandito da un senso di imbarazzo, disagio e inadeguatezza e giungerà ad accettare ed apprezzare la propria scrittura e quindi se stesso, con crescente distensione e autostima, allora si potranno ritenere soddisfatti i più reali e ambiziosi obiettivi della rieducazione. 9 In questo modo la scrittura, un tempo carica di difficoltà, Ha trovato un altro senso e trasmette un altro valore: un beneficio profondo, ancora più importante della guarigione dal sintomo grafico 6, poiché al bambino sono state restituite piene potenzialità comunicative ed espressive. Starà poi a lui o a lei decidere come farne uso, nella speranza che nella messa in atto possa avvertire il fascino della scrittura e la sua immensa ricchezza tutta da scoprire e che possa sperimentare, ritrovato o incontrato per la prima volta, il piacere di scrivere. 6 Robert Olivaux, Pedagogia della scrittura e grafoterapia, Roma, Epsylon Editrice, 2014, p. 217. 10 Bibliografia Olivaux, Robert, Disgrafie e rieducazione della scrittura, Ancona, AGI, 1993. Olivaux, Robert, Pedagogia della scrittura e grafoterapia, Roma, Epsylon Editrice, 2014. Pratelli, Monica, Disgrafia e recupero delle difficoltà grafo-motorie, Trento, Erickson, 2012. Pulver, Max, Simbologia della scrittura, Torino, Boringhieri Editore, 1983. Venturelli, Alessandra, Dal gesto alla scrittura, Milano, Mursia, 2014. 11