il sacro fuoco della regina
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il sacro fuoco della regina
Leggenda e racconti, ricordi e fantasia, storia e tradizione si fondono per generare nuove emozioni. Storie di vite spezzate da raccontare e ricordare. “Se questo è il volere degli dei”. Ercole De Angelis Il sacro fuoco della regina Racconto liberamente ispirato alle gesta di Camilla, Regina dei Volsci narrate da Virgilio nell'Eneide 1 “Stat sua cuique dies, breve et inreparabile tempus omnibus est vitae.” Eneide X, 467-468 (Trad.: A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita è breve e irreparabile per tutti.) A mio padre e alle mie figlie. 2 I Prologo Intorno al 1100 a.C., tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio di quella del ferro, in un'ampia area del Lazio, vivevano i Volsci. Un popolo di pastori, orgoglioso e fiero, sempre pronto alla battaglia; indomito, tanto da riuscire a resistere per molto tempo alla furia dei Romani, prima di essere inghiottito dalla storia. Proprio in quegli anni, quando in terre lontane si compiva il destino di Troia, nella valle del Sacco, in pieno territorio Volsco, lì dove gli Ausoni declinano a nord verso la pianura1, inizia la storia di una principessa di nome Camilla. Una storia fatta di coraggio, sacrificio e amore. 1 Attuale, Castro dei Volsci. 3 4 II Antonio il latino Si chiamava Antonio, detto “il latino”. Barba e radi capelli bianchi adornavano il suo viso. Era piuttosto singolare che un latino si fosse stabilito in pieno territorio volsco, ma Antonio, che doveva il nome al suo sangue etrusco, dopo una gioventù passata tra avventure e battaglie, sentiva quel posto come la sua casa. Era là che venticinque anni prima aveva conosciuto la sua compagna e trovato la pace dell’animo che aveva a lungo cercato durante la sua vita turbolenta. Chiamato con affetto “il saggio” dalla sua figlioccia Camilla, era diventato ormai un tranquillo agricoltore e pastore. Non era più un giovanotto, ma le sue braccia avevano ancora forza e vigore, i suoi occhi vedevano bene e non erano sazi ancora di bellezza. La sua mente, poi, era rimasta agile e rapida come un tempo, come se gli anni non fossero passati. Tutto quello che Antonio aveva era una modesta abitazione, poco più che un pagliaio. Le mura erano in pietra, il tetto in paglia. All’interno, con paglia, canne e argilla, aveva ricavato due stanze confortevoli. Qualche armento, un piccolo orto e la macina di pietra vulcanica, comperata al mercato annuale e trasportata a casa con il suo vecchio carretto di legno, provvedevano al suo sostentamento. Lì, ai piedi della collina che si stacca dall’ultimo dei monti Ausoni verso nord, scendendo come un bel seno 5 dal collo di una giovane donna, Antonio aveva tutto quello di cui aveva bisogno, e non desiderava altro. Da quando sua moglie Arisia se ne era andata per sempre nelle braccia di Plutone, portata via nel regno dei morti dalla febbre maligna, aveva imparato ad apprezzare la pace dei sensi e dell’animo che solo la solitudine può dare. Solo qualche volta, la sera, il ricordo di una donna, delle sue dolci braccia, dei suoi seni caldi e morbidi, del suo grembo accogliente, riaccendeva in lui il fuoco ardente nelle vene e risvegliava forte il desiderio. Ma Antonio sapeva bene che se la tristezza fosse stata restia a fuggire, la sua scorta di vino sarebbe bastata per riscaldare l’animo. C’era vicino la casa una ricca sorgente. La terra era rossa, grassa, fertile. Il “piccolo pozzo2” era una meraviglia, specialmente in primavera. In questa stagione, il profumo dei fiori era inebriante e il sole che faceva capolino tra le querce diffondeva una luce speciale, quasi divina; quando i suoi raggi incontravano gli spruzzi dell’acqua sorgiva, si animavano di mille meravigliosi e lucenti colori. Allora Antonio ringraziava gli dei dal profondo del cuore per la loro generosità verso il genere umano. Viveva in pace, dividendo quel poco che aveva con chiunque passasse di là. Non possedeva armi, tranne un coltellaccio di bronzo che usava malvolentieri al momento della tosatura, oppure quando doveva macellare le sue pecore. Non aveva alcun timore, e sentiva di aver vissuto abbastanza; aveva visto spargere troppo sangue in gioventù e si era ormai convinto che il destino dell’uomo era esclusivamente in mano al 2 Luogo denominato attualmente “Pozzotello” 6 capriccio degli dei. Erano loro a scegliere chi dovesse vivere o morire. Il “piccolo pozzo”, comunque, era un luogo sicuro a sufficienza, lontano come era dalla pista principale. Non molto distante un paio di leghe verso sud, inoltre, nei pressi del tempio di Diana sul Montenero, c’era una piccola guarnigione con un punto di avvistamento che dominava il sud della valle. La sua presenza toglieva a predoni, Bruzi e Sanniti la voglia di aggirarsi nei paraggi. I Volsci sapevano essere guerrieri impavidi. Era un popolo orgoglioso al quale era meglio non pestare i piedi. Da quando poi la sua figlioccia Camilla aveva addestrato il suo gruppo di giovani cacciatrici e guerriere in collina, per grazia di Diana, nemmeno i cinghiali e le fiere davano più fastidio, e nella valle si dormivano sonni tranquilli. 7 8 III Metabo La nostra storia inizia una notte di venti anni prima. Pioveva a dirotto. A intermittenza i lampi illuminavano di una luce sinistra la piccola valle e Scurtus, il cane di Antonio, iniziò ad agitarsi e abbaiare insistentemente. «Antonio..! Sveglia! Il cane sta abbaiando troppo, c’è qualche cosa che non va!» Arisia, immersa tra paglia e pelli di montone, svegliò bruscamente Antonio che, alquanto infastidito, rispose: «Che c’è!?.. Dormi, moglie!» «Antonio! – insistette la moglie, alzando il tono - Il cane è troppo agitato, vai a controllare. Magari è qualche volpe, o addirittura qualche lupo che vuole insidiare le nostre pecore, o peggio: i predoni…» Aggiunse poi in tono supplichevole: «Ho paura, vai a controllare, ti prego» Quest’ultima frase di Arisia risvegliò il senso di responsabilità del pastore e lo spinse, acceso il lume, a indossare i calzari, agguantare malvolentieri le pelli di montone da usare per riparasi dalla pioggia e a uscire brontolando in piena notte. Uscito, alla luce intermittente del lampi, parve ad Antonio di scorgere una figura umana. Gridò allora a squarciagola, per sovrastare il frastuono della pioggia e dei tuoni: «Chi è la? Vieni fuori!» 9 Fu allora, tra la luce di un lampo e il propagarsi del suo tuono, che udì un vagito di bimbo e vide stagliarsi nitida, non lontano da lui, la figura di un uomo. «Aiuto! Soccorso! - gridava con voce rauca. - Aiuto, non per me, ma per la mia creatura, mia figlia!» Tutti inzuppati e infreddoliti, finirono in casa, sul tronco spianato e levigato che fungeva da panca, davanti al fuoco attizzato in fretta da Arisia. Poco dopo, rinvigorito dal calore del focolare, lo stremato straniero iniziò il suo racconto. Metabo, questo era il suo nome. Era un volsco di mezza età, spalle larghe, braccia tozze e muscolose, un piglio guerriero, barba scura e fluente. I suoi profondi occhi neri ardevano come fuoco; nonostante le evidenti privazioni, il suo sguardo altero emanava lampi d’orgoglio e superbia smisurati. Stretti alla luce del focolare raccontò brevemente come era giunto fin lì. Era re di Privernum3, fiorente cittadina volsca sulla strada del mare. A dir suo, cacciato senza ragione dai suoi concittadini, ora braccato, fuggiva. Solo e reietto, era chiaro che le ragioni della sua fuga fossero meno limpide di quanto volesse far credere. Unica compagna del superbo tiranno era una dolcissima e piccola creatura. Quel fagottino spaventato e piangente era una tenera bimba di nome Camilla, figlia sua e di Casmilla. Della madre, abbandonata al suo destino, Metabo ormai non sapeva più nulla, ma era quasi certo della sua morte durante l’incendio della reggia, nel giorno della rivolta. 3 Attuale Priverno 10 Davanti al fuoco, con voce rauca e concitata, l’uomo continuò il suo racconto: «Questa sera stessa ho attraversato a nuoto il fiume Amaseno, ingrossato a dismisura dai tanti giorni di pioggia. Sentivo ormai vicine le grida dei mie inseguitori, disperato ho invocato l’aiuto di Diana “Oh Diana, mia dea! Non ti prego per me, ma per mia figlia! Guida la mia mente e le mie braccia verso la salvezza e ti giuro sul mio onore che mia figlia sarà per sempre tua.” - Senza indugio ho avvolto in una corteccia di albero, legato stretto e ben bilanciato alla mia lancia, questo cucciolo piangente e l’ho scagliato con tutte le forze sull’altra sponda. La Dea ha ascoltato le mie preghiere, e per ora ci siamo salvati. I miei inseguitori non hanno avuto il coraggio di affrontare il fiume in quel punto. Avranno cercato più in là qualche guado e questo mi ha dato qualche ora di vantaggio. Ma adesso sono sfinito e ho bisogno di riposo. Per questo ti prego: indicami un luogo sicuro dove possa nascondermi e riposare alcuni giorni, te ne sarò grato per sempre. Ti prometto che, Giove Pluvio mi sia testimone e garante, quando avrò ripreso la mia città e fatto pagar cara la rivolta, saprò ricompensarti adeguatamente per il tuo aiuto.» Seguì un momento di silenzio. La piccola aveva finalmente smesso di piangere e tra le braccia di Arisia, al calore del fuoco succhiava avida da un panno imbevuto un po’ di latte di capra munto in fretta dalla donna. Bastò incrociare per un attimo lo sguardo implorante di sua moglie affinché Antonio comprendesse: quella bimba era 11 l'agognato dono di Cerere4, in cui avevano smesso da tempo di sperare. Parve all’uomo di cogliere in un lampo il volere degli Dei. Esordì quindi con fare lento e solenne: «Metabo (questo, se non sbaglio, è il tuo nome), noi non saremo tuoi giudici. Che tu sia un re illuminato o un truce tiranno, a noi non importa. Gli dei ti hanno guidato fin qui, per una ragione che adesso ci è sconosciuta. Chi siamo noi per opporci? Avrai perciò tutto l’aiuto che la mia modesta famiglia può dare. Lassù, in cima alla collina, a cinque o sei stadi da qui, c’è un’ampia grotta, lontana da tutti i sentieri battuti, che uso quando il maltempo mi coglie mentre pascolo il mio gregge. E' nascosta agli sguardi della valle; è provvista di legna secca e asciutta, di un orcio d’acqua, di pelli di capra e di un po’ di cacio nascosto. Potrai mangiare e riscaldarti, riposando finché vorrai. Posso accompagnarti là fin da ora, se vorrai. – e, addolcendo il tono, soggiunse - Ma permettimi Metabo: la bimba che tu porti con te, tua figlia, di quali colpe si è macchiata per dover soffrire con te la fame e il freddo? In queste condizioni la piccola potrebbe non sopravvivere a lungo. Non può, così piccina, condividere con te la fuga e la vendetta! Non vedi? E’ stremata, ha ancora bisogno di latte. Per adesso lasciala a noi, la custodiremo come un prezioso e sacro dono degli dei. Per lei saremo un padre e una madre, questa per lei sarà una casa e avrà tutto secondo il suo bisogno. Non appena le acque si calmeranno e tu avrai seminato i tuoi inseguitori, tornerai a riprenderla. Ma se gli dei ti saranno avversi, la fanciulla sarà al riparo dalla loro vendetta.» 4 Dea della fertilità 12 L’orgoglioso volsco, spossato dalla lunga fuga, più re e guerriero che padre, con il desiderio di vendetta che aveva ormai preso il sopravvento su ogni altro sentimento, giudicò la proposta di Antonio come l'unica soluzione. La bambina sarebbe rimasta con loro. Le guance della piccola Camilla ormai colorite dal caldo focolare e gli occhi raggianti di Arisia furono per Antonio la più grande consolazione. Indossate di nuovo le pelli, stavolta di buon grado, il pastore prese il lume e condusse Metabo sulla collina, alla “sua” grotta. La stessa che, nel futuro, sarebbe diventata la grotta di Camilla, la Regina. Sotto un'enorme formazione rocciosa che caratterizzava la sommità della collina si apriva l'ingresso della grotta. Il tempo e le intemperie avevano consumato il massiccio in maniera tale da generare una spianata lunga quasi uno stadio e altrettanto larga. L’imboccatura dell’antro era abbastanza grande da permettere l’ingresso di un cavallo, ma era celato alla valle da alberi e arbusti. L’interno era ampio, in grado di ospitare comodamente una famiglia. Sul fondo, si aprivano due stretti cunicoli che si spingevano verso il basso; Antonio non aveva mai avuto interesse e coraggio di esplorarli, per la forte sensazione di oppressione che si percepiva addentrandovi. La grotta doveva in ogni caso sfogare verso l’esterno, dal momento che il fumo del focolare che il pastore aveva attrezzato al centro di essa non ristagnava mai. Accesero il fuoco, e Antonio mostrò a Metabo i piccoli segreti del rifugio. Rimasero d’accordo che, per prudenza, avrebbe fatto trascorrere due giorni prima di tornare alla grotta. Poco dopo i due si salutarono con una forte stretta di mano. 13 Antonio tornò a casa correndo per la collina, con il rischio di terminare prima del tempo la sua corsa con una caduta rovinosa. Correre al buio, in discesa, col sentiero intriso di fango e le rocce inumidite era da folli, ma ancora più folle era il desiderio di stringere finalmente quel cucciolo sul suo petto, e la strada verso casa sembrava non finire mai. Arrivò che la piccola dormiva accanto al fuoco, su un minuscolo improvvisato giaciglio di pelli e tela. Arisia la fissava estasiata in ginocchio, appoggiata sui talloni. Al vederla in quella posa, Antonio l’abbracciò teneramente in silenzio, pensando al sacrificio da offrire agli dei il giorno seguente, affinché non cambiassero idea. Rimasero così addormentati fino al canto del gallo. Già al tramonto del giorno dopo il povero pastore si rese conto che nemmeno un terremoto o un invasione Sannita sarebbero stati capaci di sconvolgere così improvvisamente la sua vita. Nulla sarebbe stato più come prima. Come d’accordo, Antonio tornò alla grotta due giorni dopo, ma Metabo era scomparso. Rassettò le poche cose sparse e salì fino alla cima del colle a riflettere. Era sua abitudine andare a meditare nel punto più alto della collina, su una roccia a strapiombo verso est. Nulla gli schiariva il pensiero come la vista della valle che si stendeva fino alle lontane montagne innevate. La mente lasciata libera, sospesa tra cielo e terra, si acchetava. Tutto diventava più chiaro, ogni preoccupazione si attenuava. Una serie di domande senza risposta, però, lo assillavano. 14 “Metabo è fuggito? E' in cerca d’aiuto? E' stato forse catturato dai suoi nemici? Oppure è stato ucciso?” Tutto era nelle mani degli dei. Ad Antonio restava soltanto una piccola bocca in più da sfamare a rallegrare la sua casa. 15 16 IV L'infanzia di Camilla Passarono così tre anni, come un soffio. La piccola Camilla era ormai diventata il centro stabile della famiglia. Una sera, Arisia arrivò a invocare di nascosto in preghiera la morte del volsco. Antonio non avrebbe mai potuto fare altrettanto, ma certamente, se fosse accaduto, non ne avrebbe pianto la scomparsa. Un giorno il pastore andò al mercato a Fregellae5 per scambiare un montone con della tela per Arisia, quando fu afferrato e quasi scaraventato a terra. In un angolo ombroso, avvolto dal mantello e incappucciato, riconobbe Metabo. Sentì come un colpo allo stomaco. «Antonio, ricordati della parola data. Come un dono degli dei.. come sta mia figlia?» «Cresce sana e forte! – rispose Antonio, riprendendosi immediatamente dalla sorpresa - È agile come un cerbiatto, furba come una volpe e bella... bella come... » «Come la dea Diana! - lo interruppe il volsco - Già! Bellissima come la dea delle selve. Ricorda, Antonio! E’ a Diana che Camilla è consacrata! Un giorno dovrò onorare l’impegno preso con la dea. – e, abbassando la voce, soggiunse con tono furtivo - Mio amico e salvatore, ti chiedo di pazientare ancora un poco. Sto organizzando 5 Attuale Ceprano 17 una nuova rivolta; la ricompensa per te sarà ancor più grande, ma i mie nemici sono ancora forti e tramano nell’ombra. Devo fuggire e nascondermi di continuo. Le loro spie sono dappertutto.» I suoi occhi spiritati si muovevano a scatti, scrutando rapidamente e incessantemente intorno a sé. Concluse dicendo: «Dai un bacio a mia figlia e dille che il grande Re Metabo, suo padre, tornerà presto con un regno per lei.» Cosi detto, scomparve come un fantasma, nel nulla da dove era venuto. Antonio non raccontò nulla di quello che era successo a sua moglie, pensando che la donna avrebbe sofferto inutilmente. Lasciò quindi scivolare ancora una volta Metabo nell’oblio, tra le fuggevoli e impalpabili nebbie del passato. All’età di sette anni, Camilla correva già come il vento; svelta di mente, sapeva contare e aveva imparato qualche parola d’etrusco e di greco. Gli dei più importanti non avevano segreti per lei. Ricordava persino a memoria le storie dei viaggi di Antonio e delle sue avventure giovanili e, come il più severo degli istruttori, con voce squillante e argentina, era là a inchiodarlo ogni qualvolta il padre adottivo romanzava troppo i suoi racconti: «Ti sbagli padre, non l’hai raccontata così l’altra volta!» Con la bella stagione, Camilla e Antonio a volte lasciavano gli armenti da soli e andavano all’insediamento che si era sviluppato non molto distante da “piccolo pozzo”, vicino al fiume, sul piccolo colle poco più a nord che scende lentamente fino al ponte di legno. Era chiamato “villaggio”, ma era esagerato definirlo così, composto com'era da quindici o venti capanne di pietra, fango e canne, affondate nella melma, tra maiali, pecore e 18 puzza di escrementi. Le acque fresche e cristalline del fiume, correndo verso sud, formavano un ampia e lenta curva accanto ad esso. Poco più a valle, c'era una piccola insenatura dove le donne lavavano i panni, nei giorni di calura. Quella piccola baia era inoltre frequentata da tutti fanciulli del villaggio, cosicché Antonio, di solito, restava a pescare un po' più su, sul ponte, mentre Camilla giocava in compagnia degli altri ragazzi. «Buongiorno Antonio! Anche oggi a pescare? Arisia è davvero una donna molto paziente.» «Buondì a te, Xeni. Anche oggi al fiume con una montagna di panni da lavare?» «Destino crudele! Beata tua moglie, con solamente una figlia e un marito da accudire! Povera me, con sette maschi! Tutti buoni a nulla, anzi, buoni solo a sporcare. Invece la tua Camilla..! Ah! Che bella e che forte è diventata. Sei un uomo fortunato. E’ un fulmine quella benedetta ragazza! Sfida e batte tutti i suoi coetanei, maschi e femmine, senza distinzione, anche quelli più grandi di lei. La osservo spesso, quando giocano a guerra. Li comanda a bacchetta. Mai visto e sentito! » Il tono di voce della donna si inasprì: «Una femmina! Invece di aiutare sua madre in casa! Che roba! Ne ho viste davvero tante, ma lei ha qualcosa di molto speciale. Tu ne sai qualcosa, vero, Antonio? Vecchia volpe di un latino, fosse figlia di Zeus? O tra te e Venere... Oppure è figlia di qualche altro sporcaccione di un dio. Si divertono sempre, quelli lassù, con noi poveri umani.» Scoppiarono entrambi in una grassa risata. La donna proseguì per la sua strada, e Antonio rimase a osservarla. 19 Che donna è, Xeni, col suo tunicone di tela grezza, sempre lo stesso da parecchie stagioni, sempre più logoro, sempre più spento. L’ho vista spesso quando al fiume se lo tira via zuppo d’acqua e, nonostante i sei figli che l’ammazzano di fatica, non è certo da buttare. In ogni caso, è tanto infaticabile e gioviale, quanto sciocca e chiacchierona. Però, ha di certo ragione su Camilla. Ha sangue di re, ed è promessa a Diana. Questo mi spaventa enormemente. Ho paura che sia come un vaso di bronzo in mezzo a otri di coccio. Quanti ne romperà? Ho molte domande senza risposta. Metabo tornerà? Sarò io a presentarla al tempio di Diana? Quale destino gli dei hanno in serbo per lei? Quando Antonio andava in cima alla collina e si sedeva con le gambe penzoloni sulla roccia a strapiombo tra cielo e terra, aveva l’impressione di essere più vicino agli dei e di percepire nel silenzio i loro progetti. In quei momenti, sentiva che Camilla era destinata a gloria immortale ed era grato ad essi di farne parte in qualche modo. C’era però qualche cosa che gli sfuggiva: qualche cosa di oscuro incombeva sulla sua figlioccia, come un'ombra che non riusciva ad afferrare. 20 V Il cinghiale «Padre! Padre!» Camilla, urlando, scendeva di corsa la collina. «Padre!» Continuò, gridando ancor più forte, riempiendo di eco la valle. Antonio contrariato, smise di tosare le pecore, buttò il coltellaccio a terra e le corse incontro. «Cosa è successo?» Camilla si calmò all’improvviso e disse con voce seria: «Padre, ho ucciso un cinghiale...» Antonio trattenne a stento un sorriso. «Ne sei proprio sicura? Non era magari un topaccio gigante?» «Dai ta’6, ti ho mai preso in giro? Per le cose serie intendo! Ho ucciso davvero un cinghiale!» «Allora spiegami come hai fatto, o grande cacciatrice!» Il tono era ironico, ma lei si imbronciò solo un attimo e iniziò a raccontare. «Lo sai, ta', che mi piace giocare a guerra e andare a caccia di topi e conigli selvatici. Allora, quando mi mandi a pascolare il gregge su in collina, mentre sorveglio gli armenti, mi costruisco delle armi e quando posso mi 6 Abbreviazione di tata. In dialetto Castrese = papà 21 esercito al loro uso. Sono diventata molto brava, sai? Ho costruito anche un arco e delle lance.» Antonio la interruppe. «Mentre mi racconti l’accaduto, portami a vedere quest'animale.» Si incamminarono di fretta tra le querce, su per la collina. Camilla riprese il suo racconto. «Mi trovavo davanti alla grotta, aguzzando una lancia indurendola con il fuoco, quando sento alle spalle un grugnito. Mi giro e lo vedo, brutto, nero, con le sue orecchie a punta, e le sue zanne! Padre, era davvero un cinghiale! Gli strillo per farlo scappare, ma lui invece di andare via resta immobile, mi fissa per un attimo, e poi mi carica. Io sono scappata via correndo come un fulmine, ma lui mi ha inseguita fino al roccione. Non avevo più scampo, ma a quel punto è sparita la paura: mi sono girata e ho puntato la lancia verso di lui. Quando è arrivato ho chiuso gli occhi e pregato gli dei. La bestia ha emesso un fortissimo urlo e quando ho riaperto gli occhi l'ho visto a terra, infilzato sulla lancia. Ha grugnito affannosamente ancora un poco e poi ha smesso di respirare. Padre, l’ho ucciso io. Ho ucciso un cinghiale! Giù al villaggio non mi crederanno mai.» Arrivati sul luogo, Antonio si rese subito conto che sua figlia aveva detto la verità. Un giovane cinghiale, nella sua ottusa carica, si era infilzato e spaccato il cuore sulla lancia di Camilla. La lancia s'era spezzata: metà era rimasta nel corpo dell'animale, l'altra si era incastrata dalla parte dell'impugnatura in una fessura della roccia. Questo aveva permesso alla fanciulla di resistere alla carica dell'animale. Per quanto incredibile, Camilla, con appena tredici primavere sulle spalle, armata di una lancia rudimentale, 22 aveva compiuto un’impresa da Ercole. Antonio rimase senza parole. L’accaduto lo aveva profondamente turbato. Non c'era alcun dubbio: era un altro segno degli dei. Decise allora che non poteva più nascondere a Camilla le sue origini. La sera ne parlò con sua moglie. Insieme decisero che l'indomani Antonio avrebbe rivelato la verità alla loro giovane figlia adottiva. 23 24 VI La rivelazione All'alba del giorno dopo, al canto del gallo, Antonio si alzò. Soffiando delicatamente sul fuoco che, stanco, dormiva sotto la cenere, lo ravvivò. Aggiunse poi dei ramoscelli secchi, che si infiammarono rapidamente. Dopo aver macinato una manciata di grano, lo impastò con dell'acqua presa da un orcio di coccio posto vicino al fuoco. Divise l'impasto su un tavolaccio in piccoli panetti, che stese poi a cuocere su una pietra infuocata dalla fiamma. Il delizioso profumo si diffuse nella stanza e Camilla si svegliò: «Ta', sei tu?» «Figlia, preparati. Dobbiamo andare.» «Dove? Che succede, padre? » «Non preoccuparti. Andiamo e lo vedrai.» Consumate assieme a della frutta due delle focacce calde, misero da parte le altre nel sacco. E si incamminarono di buona lena verso sud, tra le querce, accompagnati dal cinguettare degli uccelli. Camminavano in silenzio costeggiando il lato est dell'ultimo dei monti Ausoni. Camilla era una buona camminatrice e precedeva suo padre. Era alta per la sua età, longilinea, capelli neri lunghi sulle spalle, indossava la sua tunica che ormai cominciava a starle corta. Stava davvero crescendo. Grazie alla vita all'aperto, ai lavori che Antonio e Arisia non avevano mai lesinato di assegnarle, ai giochi e alla 25 sua predilezione per la corsa mostrava dei muscoli ben delineati, braccia forti e polso fermo. Dopo aver percorso un paio di miglia, deviarono verso est. Giunti ai piedi del monte, si dissetarono alle acque sorgive di un ruscello. Dopo una breve sosta, iniziarono a salire. Montenero non era molto alto e, dopo un altro miglio circa, la salita incominciò a scemare. Quindi si inoltrarono in un bosco di alte querce. La selva era fitta e stranamente silenziosa. Ogni tanto qualche roccia sbucava dal terreno umido e ricco di humus. Camminarono ancora verso sud per circa un stadio, oltrepassarono con molta attenzione un tratto privo di vegetazione, simile a una pietraia. Le pietre uscivano dal terreno come se fossero state piantate di taglio, spigolose, affilate e taglienti, e non cedevano al passaggio. Facevano parte di un unico massiccio roccioso che le intemperie avevano eroso in quel modo bizzarro. Alla fine della formazione rocciosa si trovarono in una strana radura. Gli alberi intorno erano posti in cerchio e a distanza regolare. Al centro della radura c'era una grossa roccia squadrata lunga circa otto piedi, altrettanto larga e alta un piede. L’enorme tavola di calcare poggiava su un'altra roccia che sbucava direttamente dal terreno, squadrata anch’essa. Sulla grande pietra c'era una carcassa di animale sgozzato con le viscere tirate fuori dal ventre. Più in là c'erano tracce di un grande falò, e per terra, sotto l'altare, perché di un altare si trattava, delle statuine di terracotta che rappresentavano la dea Artume. Questo era il nome che i numerosi commercianti etruschi stanziati nella vicinissima Fregellae attribuivano ad Artemide, la dea cacciatrice, dai latini chiamata Diana. Altre statuine giacevano sparse in terra. Rappresentavano cervi, cani, e altre figure votive. 26 A questa vista Camilla esclamò: «Padre, dove siamo? E' questa la nostra destinazione?» Antonio annuì. «Questo è il tempio della dea Diana. È giunto il momento che tu sappia cose molto importanti riguardanti la tua infanzia.» Le raccontò tutta la verità sulle sue origini, quindi soggiunse: «Vedi quell'altare di pietra? È dedicato a Diana, dea delle selve e tua protettrice, alla quale il tuo vero padre ti ha consacrato. Sono sicuro che è stata lei a proteggerti e ad aiutarti nello scontro con il cinghiale. Bada bene, ciò non sminuisce i tuoi meriti, ma ti carica di responsabilità. Dovrai sempre rendere onore alla dea ed esserle riconoscente.» Ma l'attenzione di Camilla non era certo rivolta ad Artemide. «Padre, io questo re Metabo non lo conosco e non lo voglio conoscere. Tu sei mio padre e insieme a mia madre siete la mia famiglia, e io non ne voglio un'altra!» Seduti sulle pietre poste intorno all'altare, parlarono a lungo. Con molta dolcezza e pazienza, Antonio convinse Camilla che ogni persona ha un destino da compiere e che ribellarsi ad esso non porta mai a nulla di buono. Se fosse stato necessario che lei divenisse regina lontano dal “piccolo pozzo”, tutti avrebbero dovuto accettarlo. In particolare, i membri della famiglia avrebbero dovuto con impegno cooperare con gli dei affinché il destino della giovanetta si coprisse di onore e gloria. Camilla, del resto, era consapevole delle proprie attitudini al comando e alla lotta. Quest'ultima argomentazione aprì una breccia nella ostinazione della 27 giovane nel non volere incontrare il suo vero padre. Insistendo sull'argomento, Antonio la convinse che Metabo, essendo un nobile guerriero, poteva insegnarle molte cose sull'arte delle armi e della caccia, piuttosto che un umile pastore come lui. Fece questo discorso con la morte nel cuore, nascondendo la propria tristezza, ma sentiva ormai avvicinarsi il giorno del distacco e non voleva che quel giorno cogliesse Camilla impreparata, facendola soffrire più di quanto fosse inevitabile. 28 VII Il Ritorno di Metabo Trascorsero due lune. Sembrava ormai che Camilla avesse accettato i suoi nuovi orizzonti. Anzi, la sua giovane età, unita alla sua indole guerriera, la portavano a fantasticare e a immaginare grandi cacce e battaglie. Scimmiottava scene di lotta persino nello spiazzo davanti casa in presenza di Arisia che ogni volta esprimeva la sua perplessità con un ironico mezzo sorriso. Una mattina, Arisia si presentò al marito, mani sui fianchi, in tono trionfante: «Camilla è donna! Incomincia a trovarle marito!» Povera Arisia, pensò Antonio. La donna ancora non voleva rendersi conto che la sua figlioccia non era come le altre. Il destino di Camilla era già scritto, e non era di certo quello che Arisia aveva immaginato per lei. Le strade che la bella Camilla doveva percorrere l’avrebbero portata per sempre lontano da loro. Passò ancora un’altra luna, quando un giorno, con il sole già alto nel cielo, nella piccola valle si udì come un’eco di tuono. Il rombo si faceva sempre più forte, come se una mandria di buoi impazzita si indirizzasse verso di loro. Era il rombo di cavalli lanciati al galoppo. Preoccupato, Antonio tornò di corsa a casa e intimò alle donne di rientrare in fretta. Il rumore degli zoccoli che percuotevano la terra si faceva sempre più forte. Poco 29 dopo, apparve Metabo al galoppo su un bel cavallo nero, con legati dietro a sé altri due cavalli. Era armato fino ai denti. La lancia tra la coscia e il cavallo, una corta spada al suo fianco; legato dietro la schiena, uno scudo di legno. Sulla corta tunica, anche essa nera, un pettorale di cuoio scuro, lucido di grasso, e un mantello scuro svolazzante sulle spalle, ornato da una pelle di lupo. Capelli neri e lunghi, impastati di sudore e polvere, gli scendevano sciolti sul collo e si intrecciavano in parte con la sua lunga barba. Da un cavallo di scorta pendevano due elmi, scudi, spade, lance, due archi e le relative faretre. Era davvero una vista impressionante. Si fermò davanti casa e, mentre la polvere che lo inseguiva si acchetava, parlò con tono secco e con ritrovato fare altero. «Salve Antonio! Finalmente ci rivediamo. Dov’è mia figlia? E’ ormai giunto il momento! » Camilla non aspettava altro. Uscì di corsa, eccitata e affascinata dalla vista dei cavalli. «Camilla, quello bianco è tuo, sali in groppa! » Gridò Metabo dall’alto del suo scalpitante destriero. Beata gioventù!, pensò Antonio. Al re volsco bastava solo una frase per conquistare in un attimo la fiducia di sua figlia. Come se fosse stata addestrata fin dalla nascita a tale compito, con un balzo Camilla fu in groppa al cavallo, prese le redini, strinse i talloni sui fianchi della bestia e via come il vento al galoppo. Tornarono insieme molto tempo dopo, con il sole che già volgeva al tramonto. Camilla era impolverata, stanca, ma i suoi occhi erano lo specchio della felicità. 30 La sera a tavola, intorno ad un modesto pasto, Metabo si rivolse ad Antonio: «Ho davvero un grande debito con te e, se pazienterai ancora, la mia riconoscenza sarà grande. Non voglio darti ulteriore disturbo. Domani, io e Camilla ci trasferiremo su in collina. Abiteremo per un po’ nella nostra grotta, giusto il tempo di completare il suo addestramento alle armi. Poi partiremo verso sud-est, verso la terra dei sanniti, in cerca di gloria e armi; allo scopo di reclutare guerrieri. Per fare la guerra, caro Antonio, ci vuole oro, molto oro, e noi offriremo i nostri servigi a chi ce ne darà di più. Se non sarà cosi, ce lo prenderemo con la forza. Vivremo di caccia, in completa libertà, fino al giorno in cui riconquisteremo il mio trono e io avrò la mia vendetta. Vendicheremo tua madre nel sangue, vero Camilla?» Ogni parola di quell’uomo orgoglioso e accecato dal desiderio di vendetta era un colpo di stilo ai cuori di Antonio e Arisia. Ma Antonio pensava di non poter opporsi al volere degli dei. Avevano goduto di Camilla per tante primavere; ora dovevano restituirla per sempre al suo destino. D'altronde, la fanciulla era affascinata dalla determinazione e dalla forza mostrata da suo padre. Da giovani si può essere coraggiosi, non saggi; generosi, non prudenti. Camilla era tanto soggiogata dallo spirito guerriero di Metabo che lo avrebbe seguito persino nel regno di Plutone. Antonio, ormai rassegnato, era convinto che non poteva rimproverarsi nulla, né poteva biasimare sua figlia adottiva. In gioventù, lui stesso si sarebbe comportato così, ma nella sua vita aveva visto scorrere troppo sangue e non poteva certo approvare il futuro che Metabo proponeva a Camilla. Lei ancora ignorava il 31 terribile e nauseante vuoto che si sente dentro l’animo dopo aver lanciato eccitati, con in alto le braccia lorde di sangue, circondati da cadaveri, al termine della battaglia, il grido di vittoria. 32 VIII Camilla la Regina amazzone Era da poco terminata la quarta mietitura dalla partenza di Camilla e Metabo, ma dei due ancora non era giunta alcuna notizia. Dopo un primo periodo colmo di tristezza, Antonio e Arisia cominciavano a essere più sereni. Seduti davanti alla porta di casa, il sole serale ritornava pian piano ad assumere per loro i suoi caldi colori, e illuminava come un tempo la pace dell’animo. Quella sera, mentre l’astro diurno, ormai prossimo al suo quotidiano riposo, lanciava i suoi ultimi strali, Antonio riposava a occhi chiusi sonnecchiando sdraiato sull’erba. A un tratto, il pastore semi addormentato sentì sussurrare: «Padre. Padre... » Come in un sogno ad Antonio parve di ascoltare di nuovo la voce argentina di Camilla. «Su, ta’... Apri gli occhi» Di scatto, Antonio aprì gli occhi. Camilla era lì, in carne e ossa. «Arisia! Arisia! – gridò Antonio - Corri! Presto! Camilla è tornata!» Con le lacrime agli occhi, baciò e abbracciò più volte la figlia che credeva ormai perduta per sempre. Come in una visione, in piedi, accanto il cavallo tenuto per le briglie, poggiata sulla lancia, la splendida figura di Camilla si 33 stagliava contro il sole del tramonto. Era proprio lei, la stessa bambina che la notte addormentava con antiche nenie di mare. Mille pensieri affollavano la mente di Antonio. Come era diventata bella sua figlia. Era cresciuta ancora. Era alta quasi quanto lui, irrobustita, ma ancora ben slanciata. I capelli neri legati dietro la nuca, abbronzata, gambe e braccia ben tornite e muscolose, sembrava Artemide in persona. Indossava una corta tunica bianca ormai molto impolverata. Aveva stretta in vita un'alta e robusta fascia di cuoio, che deliziosamente metteva in evidenza le sue forme; ai piedi calzari di pelle di montone con gambali e parastinchi in cuoio. Un lungo mantello nero pendeva dietro le sue spalle. Il suo armamento personale era completato da una corta spada di ferro, una fionda e un piccolo pugnale. Il cavallo era sellato con una coperta di pelle di uno strano animale mai visto dalle loro parti. Antonio avrebbe detto che fosse di un enorme gatto selvatico, con il manto striato di giallo, bianco, arancio e nero. Pendevano dal cavallo una bisaccia di pelle di capra a doppia tasca, un otre in pelle ormai vuoto, un arco con la faretra ricolma di frecce. Il pastore rimase in silenzio a rimirarla. Col fiatone arrivò subito dopo Arisia, che rimase senza parole. «Figlia mia, fatti abbracciare! Come sei bella, sembri la dea della guerra in persona. Ma questa cicatrice, cos’è? E un’altra ancora! Che t’hanno fatto? » L’abbracciò di nuovo, poi si staccò all’improvviso di scatto, dicendo con tono autoritario: «Ahhh, puzzi peggio di una capra! Vado subito a mettere l’acqua sul fuoco. Devi lavarti prima di cena, anzi, immediatamente! » 34 «Ben tornata a casa, Camilla!» Esclamò Antonio, ed esplosero tutti e tre in un’allegra risata. Quella sera a cena, dopo gli ordinari commenti sulla bravura di Arisia e sulla sua capacità di trasformare qualsiasi cosa di commestibile in cibo per gli dei, Antonio chiese a Camilla: «Figlia mia, ricordi come era buono il cosciotto del cinghiale che uccidesti allora? » Camilla abbozzò un sorriso, ma si fece subito seria: «Sì, padre, lo ricordo.» Tacque per un attimo e con lo sguardo fisso nel vuoto riprese a parlare con voce inespressiva. «Quanto sangue ho sparso da allora, padre mio. Animali, uomini, la mia lancia e il mio braccio da allora non hanno avuto riguardo per nessuno. » «Figlia, sento tanta amarezza nelle tue parole. Sappi che ti comprendo. Anche io da giovane ho cercato avventure e ho sentito acre l’odore del sangue sui campi di battaglia. Come te, ho sperimentato nel mio animo che non vi è nulla di buono nell'uccidere. » Antonio cercò quindi di cambiare argomento, chiedendo a Camilla notizie di Metabo, ma la ragazza replicò con durezza: «Quell’uomo non è più mio padre. È solo una belva impazzita che, in nome di un’impossibile vendetta, distrugge tutto quello che incontra. E' da più di un anno che le nostre strade si sono divise, e da allora non ho sue notizie. L'unico e mio vero padre sei tu. Tu che mi hai amata sin da quando ero in fasce, senza chiedere nulla in cambio. » Un nodo strinse la gola del pastore, avrebbe voluto abbracciarla e baciarla nuovamente. 35 Mangiarono qualche boccone in silenzio, poi Arisia le chiese: «E dimmi figlia mia, l'amore?» «L'amore!? Madre, se non avessi conosciuto te e papà, direi senza ombra di dubbio che l'amore tra uomo e donna non esiste. Gli uomini sono quasi tutti delle bestie senza ragione, i cui unici interessi sono guerra, armi e donne. Con le donne hanno un solo scopo, e non disdegnano di arrivare alla violenza per raggiungerlo. – e aggiunse - Possono anche provarci, se vogliono! Devo, infatti, ammettere che molti uomini hanno perso davvero la testa per me, nel vero senso della parola! Lungo la strada dal qui al mare, verso est, oltre le montagne innevate, alcuni di loro non faranno più male a nessuna. Uomini che pensavano che io fossi una cosa da prendere allungando la mano, ma si sbagliavano davvero. » Cambiò subito espressione e, con sguardo fiero e tono solenne, concluse: «Miei amati genitori, da quando sono partita ho incontrato tanti uomini, ma nessuno degno di questo nome; giunta a questo punto non mi interessa più incontrarne alcuno. Ho posto il mio accampamento sullo spiazzo in cima alla collina. Padre, la nostra grotta sarà il mio quartier generale. Voi ancora non lo sapete, ma ho il mio piccolo esercito: tutte donne. Tutte ragazze salvate da uomini indegni. Schiave liberate, vedove di guerra, fanciulle violentate. Tutte hanno storie di violenza alle spalle. Insieme abbiamo fatto voto che mai più uomo alzerà la mano su di noi senza incrociare il bronzo delle nostre spade! Io, Camilla, lo giuro, sono la loro garanzia. Sarò loro protettrice e regina, e Diana sarà la nostra amata dea. 36 Resteremo lassù, ci addestreremo alla difesa e alla guerra. Non daremo alcun fastidio, anzi, se vorrete saremo la vostra difesa e la vostra giustizia. Spargete la voce alle famiglie e alla gente del villaggio. » Quando la sera Antonio tornava stanco a casa, o quando qualcosa era andato storto durante la giornata, con fare solenne e pomposo iniziava a dire tra sé quella che era diventata per lui la formula magica del buonumore: Questa sera invito la regina a cena. La cosa lo divertiva talmente tanto che quasi sempre il malumore scompariva. Antonio ci pensava e ripensava spesso: Camilla regina! Qui da noi! Certo non aveva mai conosciuto di persona né re né regine, a parte quel violento di Metabo. Ma se davvero quel titolo fosse stato sinonimo di nobiltà, dignità, magnanimità, autorità, giustizia e servizio, ebbene: Camilla incarnava alla perfezione tutte queste qualità. Nell'accampamento sulla collina, Camilla era la prima ad alzarsi l’ultima ad andare a dormire. Esortava, rincuorava, aiutava tutte. Nelle liti bastava la sua presenza per calmare ogni animo e rimettere a posto le cose. Quando passava in mezzo a loro i volti delle sue guerriere si illuminavano. Era la prima a inforcare il cavallo quando qualche contadino chiedeva aiuto per una belva o per un armento smarrito. Chiunque le chiedeva aiuto non restava deluso. Anche i contadini in lite incominciavano a ricorrere al suo giudizio. A tal proposito Camilla chiedeva spesso aiuto ad Antonio che ormai era diventato il suo prezioso consigliere. La notte era il momento preferito da Camilla; quando la ragazza aveva bisogno di consiglio o di 37 conforto, non esitava a raggiungere il padre al “piccolo pozzo”. Molte volte lo svegliava anche a notte inoltrata. 38 IX Il Sacro fuoco Una notte al “piccolo pozzo”, Antonio fu svegliato bruscamente da Camilla. «Padre, padre, ascoltami. E’ accaduta una cosa straordinaria. Questa sera, all’imbrunire, ero sola nella grotta a riflettere, quando vedo entrare una bellissima giovane sconosciuta. Mi sono immediatamente chiesta come avesse fatto a eludere tutte le sentinelle, ripromettendomi di riprendere chi era di guardia. Ma la giovane mi dice: “Non ti inquietare Camilla e non punire nessuna delle tue guardie. Non hanno colpa alcuna, stanno dormendo un magico sonno. Il mio nome è Opi, ninfa prediletta della dea Diana. La mia Signora ha preso a cuore la tua causa sin da quando eri piccola e la sua predilezione verso te aumenta ogni giorno di più. Essa apprezza molto la devozione che dimostri con le tue preghiere e il tuo agire, e, nella sua generosità, ha deciso di elargirti un dono. Ecco un piccolo vaso di pietra e una ampolla. Essi sono sacri, dono degli dei, sempre con te dovrai portarli. Prima di ogni battaglia, versa nel vaso una goccia del liquido contenuto nell’ampolla e accendilo. Il sacro fuoco che ne scaturirà ti proteggerà nella caccia e in battaglia. Sarai poi tu a spegnerlo ogni volta al ritorno. Del 39 contenuto dell'ampolla non hai di che curarti, il Fuoco degli Dei che essa contiene non vedrà mai la fine.” Detto questo, voltate le spalle, si è allontanata. L’ho rincorsa per ringraziarla, ma era ormai come svanita nel nulla.» Sebbene assonnato, Antonio ascoltò attentamente il racconto e, dopo un attimo di riflessione, le rispose: «Figlia mia, con questa notizia mi rendi felice e nello stesso tempo preoccupato. Anche gli dei sono con te. La tua dedizione e il tuo comportamento non sono loro passati inosservati. Al più presto prenderai una pecora delle mie, andrai sul Montenero e la scarificherai sul grande altare di pietra dedicato a Diana. Tieni da conto questo preziosissimo dono. Come regina dovrai affrontare molti pericoli e battaglie, tienilo sempre con te e non affidarlo a nessuno. Diana sa essere generosa, ma tu sei tenuta alla riconoscenza» 40 X Castrum: L’accampamento Si era ormai sparsa la voce che sulla collina, nell’accampamento di Camilla, ogni donna in pericolo veniva accolta e difesa. Cosicché il piccolo esercito di amazzoni aumentava costantemente di numero. Il perimetro della radura che si allargava in cima alla collina era stato recintato con basse mura realizzate con pietra a secco, sulle quali venivano posti di traverso tronchi di legno legati tra loro. Sull’angolo del roccione a strapiombo che domina la valle, c’era un riparo in legno, dove vigilava sempre una sentinella. Le tende e i tuguri erano fuori il recinto. Man mano che i ranghi del piccolo esercito si ingrossavano, i nuovi rifugi venivano allestiti lungo i due sentieri principali che si erano formati a causa del calpestio dei cavalli. Questi due viottoli scendevano rapidamente verso valle; con l'uso sempre più intenso ai quali erano soggetti, si allargavano e delineavano sempre di più. Uno guardava verso le montagne innevate e terminava quasi davanti ai campi del “piccolo pozzo”, l’altro trovava sbocco sul lato opposto, verso la valle dell’Amaseno, in direzione del mare. Camilla era ormai conosciuta da tutti gli abitanti della valle stanziati al di qua del fiume per le doti di intelligenza, equilibrio e senso di giustizia di cui era dotata. Aiutava indistintamente tutti quelli che 41 chiedevano il suo intervento. Dopo un anno, questa sua disponibilità incominciò a portare i suoi frutti. I contadini e i pastori che erano stati aiutati le portavano, in segno di riconoscenza, piccoli regali: qualche gallina, uova, frumento. Ma, cosa singolare, le portavano doni anche quelli che non erano stati aiutati, nel puerile intento di ingraziarsene i favori. Il cuore di Antonio si rallegrava per aver allevato una figlia tanto capace. Se Camilla avesse avuto un uomo degno di lei al suo fianco, il saggio pastore non avrebbe avuto null’altro da chiedere alla vita. 42 XI La morte di Arisia Quell'anno il freddo inverno sembrava non finisse mai. Antonio di solito usciva presto con gli armenti e cercava di tornare con un po’ di legna secca formatasi dal distacco di rami vecchi e malati dalle querce secolari. Le scorte di legna secca e asciutta a causa del protrarsi del freddo erano ormai finite. Una sera, al rientro, Antonio trovò Arisia sul giaciglio pallida e tremante. La casa era ancora tutta in disordine e se Arisia non aveva fatto niente lungo tutta la giornata era un cattivo segno. Si chinò su di lei e le toccò la fronte: scottava terribilmente e tremava come una foglia. Rattizzò immediatamente il fuoco quasi spento aggiungendo alcune frasche e pezzi di legna appena portati, poi con delicatezza sussurrò: «Arisia.» La donna rispose con un filo di voce. «Marito mio, non sto per niente bene. Mi brucia tutto il petto. Ogni colpo di tosse mi da un dolore atroce. Non sono riuscita a fare niente. Non ce la faccio ad alzarmi.» Quella sera stessa, dopo aver bollito e tritato un po’ di verdure e dopo aver aiutato Arisia a consumarne il brodo, Antonio salì su in collina da sua figlia Camilla per chiedere consiglio e aiuto. 43 «Padre, adesso è ormai troppo buio - rispose Camilla Ma domani all’alba sellerò il cavallo e andrò da un uomo molto abile con le erbe. Ha una capanna vicino al fiume, verso Fabrateria7. Una volta ha curato e guarito una delle mie guerriere. E’ un pastore che conosce molti rimedi. Mi ha raccontato di essere stato istruito da, un “druido”, così lo ha chiamato, un uomo della medicina che veniva da molto lontano, dalle terre fredde del nord. Appena mi sarà possibile verrò da voi» Il giorno dopo Camilla fece quanto detto. Arrivò al “piccolo pozzo” a metà giornata, tutta infangata e fradicia d’acqua, essendo una giornata estremamente piovosa. Portava con sé un sacchetto di pelle che conteneva erbe essiccate di vario tipo. Lo consegnò ad Antonio e aggiunse: «Fanne un decotto, fallo raffreddare, non lo filtrare, anzi, mescola bene il residuo delle foglie e lascialo sciogliere nel liquido. Ne deve bere almeno una ciotola ben mescolata sia la mattina che la sera. Non darle altro, e speriamo bene. Secondo l’uomo delle erbe, mamma rischia molto. Ha una malattia al petto che spesso non perdona.» Antonio rimase in silenzio. Camilla purtroppo aveva confermato quello che già temeva in cuor suo. Nonostante il pastore avesse seguito scrupolosamente le istruzioni dell’uomo delle erbe, Arisia non migliorava, anzi, aveva sempre più freddo nonostante che nella casa fosse acceso costantemente un grande falò. La donna diventava sempre più pallida e le borse intorno agli occhi avevano assunto un colore blu scuro. Dopo un altro giorno Arisia rantolava. La sera 7 (Fabrateria vetus) attuale Ceccano 44 stessa, con accanto Antonio e Camilla che le stringevano le mani fredde e tremanti, Arisia si presentò dal vecchio traghettatore che l'avrebbe portata per sempre nel regno dei morti. L'indomani Antonio e Camilla, accompagnata da quattro delle sue fedeli guerriere, alla presenza di alcune donne del villaggio guidate dall'anziano che presiedeva tutte le cerimonie funebri, seppellirono Arisia. La fossa fu scavata non lontano dalla casa che l'aveva vista felice. Mentre le donne cantavano una nenia funebre, nella buca furono depositate le sue povere cose di donna contadina: un pettine d'osso, alcuni monili di rame. Per ultimo, Antonio depose delicatamente tra le mani della donna, in un sacchetto di pelle, i due orecchini d'argento che le aveva regalato il giorno delle nozze. Erano due splendidi orecchini di fattezza orientale. Antonio ne era venuto in possesso in uno dei suoi lunghi viaggi giovanili. La cerimonia fu breve e scarna: a partire dal più anziano, tutti gettarono un pugno di terra sul corpo che era stato deposto in una posizione simile a quella fetale. Al termine di questo breve rito, le guerriere finirono di ricoprire la tomba. Tutti erano abituati ad accettare la morte con naturalezza e serenità. Così era allora: per ogni individuo, vita e morte erano compagne di tutti i giorni e nessuno sapeva dire con certezza se sarebbe stato vivo o morto il giorno dopo. 45 46 XII Elinai e Lucero Una notte di alcuni mesi dopo, come al solito, Camilla svegliò Antonio nel pieno del sonno: «Padre.» «Camilla, dimmi, ma non dormi mai?» «Padre, ho un problema e ho bisogno del tuo consiglio.» Circa un mese prima si era presentato all'accampamento un giovane contadino di nome Lucero, che abitava all'imbocco della valle che porta all'Amaseno. Un gatto selvatico faceva strage delle sue galline e andò per questo a chiedere aiuto alle amazzoni. La regina, ascoltate pazientemente le lamentele del giovane, essendo impegnata in altre faccende più importanti, chiamò a sé Elinai e altre sue due compagne più inesperte, di nome Clei e Lucilla, e ordinò loro di tornare con la pelle dell'animale. Elinai era una giovane etrusca fatta schiava anni prima dai Sanniti in un incursione a Fregellae; liberata da Camilla durante il suo viaggio iniziatico verso sud, era stata una delle prime compagne di avventura della giovane regina. Aveva circa diciotto anni, carnagione chiara, occhi scurissimi e capelli castani che si allargavano sulle spalle in due lunghe trecce, corpo atletico e snello. Del resto, nessuna guerriera di Camilla avrebbe avuto il tempo e la possibilità di ingrassare. 47 Inforcati i cavalli, la giovane etrusca con il suo arco e la faretra a tracolla, partì al trotto verso valle insieme al giovane contadino e alle sue compagne. La caccia al felino durò più del previsto e le tre amazzoni tornarono con la pelle della fiera soltanto tre giorni dopo. Tutto doveva essere finito, ma Camilla notò alcune occhiate furtive e dei sorrisetti celati tra Clei e Lucilla, a cui non diede però eccessivo peso. Insolitamente, però, nelle settimane che seguirono, Elinai aveva cominciato a uscire da sola in ricognizione e a ritornare quasi sempre a sera inoltrata. Camilla, incuriosita, aveva chiesto all'amica cosa la spingesse a uscire tutte le sere, ma Elinai si era mostrata molto evasiva. Quel giorno, però, la giovane etrusca si era presentata innanzi a Camilla accompagnata da Lucero. “Camilla, mia regina e amica, so di recarti un grave torto, ma nascondere il mio amore verso Lucero sarebbe un torto ancor più grave che confessartelo. Ho tradito il nostro giuramento, ma conoscere questo giovane così onesto e leale mi ha fatto dimenticare tutti i torti subiti nella mia vita dagli uomini. Sì, perché Lucero è davvero un uomo, ma è diverso da tutti gli altri. Ti giuro, mia regina, che quando sto con lui dimentico tutto il male del mondo e mi sento bene. Le ferite che sanguinano del mio animo all'improvviso scompaiono e mi sento felice come non lo sono mai stata. Pur di non tradire la tua fiducia ho provato a starne lontano, ma senza di lui mi sento come morta. Regina mia, per il bene che provo verso di te e tutte le altre, scioglimi dal giuramento che mi lega a voi tutte e permettimi di sposare Lucero, l'uomo che amo. E se, nella tua magnanimità e giustizia, ci permettessi di rimanere nei pressi dell'accampamento, faresti di noi due 48 esseri felici ed eternamente a te riconoscenti. Non voglio perdere la tua amicizia e quella di tante compagne fedeli.” Camilla si era sentita tradita nel profondo e la richiesta di Elinai era stata come una pugnalata alle spalle. Aveva avuto sempre fiducia cieca nella fedeltà e nell'affetto dell'amica. Sentiva che la ragazza meritasse per questo una punizione esemplare, ma le sue appassionate parole avevano aperto una breccia nel cuore della regina. Camilla, quindi, aveva sospeso il giudizio di Elinai, rimandandolo al giorno successivo, per avere il tempo di ascoltare le compagne. Dopo aver narrato l’accaduto, la giovane riprese: «Padre mio, sono molto confusa. La ragione mi imporrebbe di punire Elinai come un'abietta traditrice. Ha violato le regole. Ci ha ingannate e deve pagare. Ma il cuore e l'affetto che provo per lei mi suggeriscono di concederle quello che desidera. Ho salvato e portato con me queste donne per renderle libere e per quanto possibile felici, non posso quindi togliere loro la libertà di scegliere il loro destino. Ma temo con questo di creare un precedente che possa minare la disciplina del campo. Temo, inoltre, che quell'uomo possa tradirla e umiliarla, come sempre fanno tutti gli uomini.» Antonio le rispose con un tono di velata tristezza. «Camilla, sempre? Tutti gli uomini? E io cosa sono? Non sono forse un uomo? – tacque per un attimo per dare ancora più forza a ciò che aveva appena detto, poi riprese -Figlia mia, non lasciarti trascinare nel vortice dell'odio dalle tue esperienze personali. Dimentica il tuo orgoglio ferito. L’amore è una forza straordinaria, incontrollabile. Nessuno, una volta scatenata, è in grado di fermarla. 49 Elinai non ha colpa, segue soltanto la voce del suo cuore, e io ti invito ad ascoltare la voce del tuo. Fai tacere la mente e ascoltalo: saprà indicarti la scelta migliore. Gli uomini che tu hai conosciuto e che ora ti fanno odiare tutti i loro simili, hanno fatto proprio questo errore: hanno strappato il cuore dal loro petto e lo hanno reso muto e sordo. Ascoltano solo il loro basso ventre, il loro orgoglio, la loro brama di potere, diventando peggio delle bestie. Rifletti su ciò che ti ho detto stasera.» Fece una breve pausa e poi riprese. «Ora figlia mia, torna sulla collina, guarda in silenzio il sorgere del sole, placa la tua mente e ascolta il tuo cuore; così saprai decidere da regina quale sei.» L’indomani, con il sole alto nel cielo, sul grande piazzale dell’accampamento c'era grande fermento. Tutte le amazzoni, compresa Elinai, erano riunite e discutevano animatamente riguardo alla delicata questione all'ordine del giorno. Arrivò quindi Camilla. Tutte le fecero strada. Salì in piedi su un gradino, fece un solo cenno e tutte zittirono. Fu in un rispettoso e totale silenzio, che la regina, con tono solenne, iniziò a parlare : «Sorelle mie, noi tutte inseguiamo un sogno di pace e di giustizia. Tutte noi abbiamo conosciuto la sofferenza a causa degli uomini, ma noi non cerchiamo vendetta, bensì pace. – tacque un momento, guardando negli occhi Elinai - Se una di noi, per mezzo di un uomo, può essere felice e trovare la pace agognata, io credo che questo sia un bene.» Si fermò per un attimo ancora una volta, continuando poi in tono declamatorio. «Se è quindi, a causa di un giuramento da noi stesse formulato che noi la condanniamo, io, Camilla, scelta da 50 voi come vostra regina, con l’autorità che voi stesse mi attribuite, lo sciolgo per sempre! D’ora in avanti, ci legherà le une alle altre solo l’affetto e il rispetto che regna tra noi. Per quello che riguarda la richiesta che la stessa Elinai ci ha fatto, noi permettiamo a lei e a suo promesso sposo di stabilirsi qui al Castrum, fuori le mura. - e, rilassando il tono, aggiunse - Ordino inoltre, a Elinai e Lucero di invitarci tutte al banchetto del loro matrimonio!» Cosi dicendo, Camilla scese dal gradino dove era salita e abbracciò a lungo la commossa Elinai. Tutte le amazzoni scoppiarono in un urlo liberatorio abbracciandosi l’una con l’altra. Quel giorno fu ricordato a lungo da tutti i presenti e rinforzò come non mai il carisma e l’ascendente che Camilla aveva presso il suo piccolo esercito. Annunciò anche una profonda trasformazione che nemmeno la giovane volsca poteva comprendere appieno: Camilla ormai non era soltanto la regina delle sue amazzoni, ma stava diventando la regina di un popolo. 51 52 XIII L'incursione dei Bruzi Avanzavano guardinghi nel bosco, a ventaglio, nascosti dalla nebbia mattutina che avvolgeva ogni cosa, silenziosi come fantasmi. Era una numerosa banda di Bruzi in cerca di bottino e schiavi. Erano molto lontani dai loro insediamenti, ma evidentemente la fame e il miraggio di un facile bottino li avevano spinti fin là. Nella notte appena trascorsa, con un abile incursione, avevano colto di sorpresa il manipolo di guerrieri Volsci stanziati di guardia su Montenero, trucidandoli. La valle ormai sguarnita era nelle loro mani. Dopo aver fatto strage degli inermi contadini, violentando le donne e uccidendo gli uomini validi, avrebbero lasciato vivi solo i fanciulli più robusti e le donne più giovani portandoli via con loro come schiavi. Vestiti di pelli di capra, con la barba e i capelli incolti, avevano tutti il volto imbrattato di fango, il che rendeva il loro aspetto ancora più feroce. Non tutti erano armati di spada, portavano picche, lance, asce e clave di legno, qualcuna anche rinforzata col bronzo. Gli esploratori che li precedevano avevano segnalato loro il villaggio, e ora, come lupi famelici, si avvicinavano in silenzio alla preda. Antonio, che era uscito di casa prima dell’alba, per cercare un agnellino scomparso la sera prima, se li trovò davanti all’improvviso. Memore del suo passato da 53 guerriero, capì immediatamente la situazione e con rapidità e prontezza d'animo si sdraiò subito in un avvallamento del terreno coprendosi di foglie e rami. Fece appena in tempo. Lo oltrepassarono quasi sfiorandolo, ma non si accorsero di lui. Restò immobile ancora qualche minuto, poi si alzo guardingo. Si allontanò in silenzio per circa un altro stadio verso il “piccolo pozzo”, poi iniziò a correre verso la collina, verso l'accampamento di Camilla, la regina guerriera. Arrivò trafelato da sua figlia e, con la testa che gli girava ancora per lo sforzo, disse: «Presto, figlia mia, i Bruzi! Hanno ucciso tutti i guerrieri a Montenero e ora vogliono il villaggio. Salva la nostra povera gente. Forse siamo ancora in tempo!» Camilla rispose concitata: «Dobbiamo intervenire immediatamente. Ho combattuto quei selvaggi. Sono come bestie feroci, non hanno pietà di niente e di nessuno. Distruggono e incendiano ovunque passano, ma questa volta la pagheranno cara, non dovrà sfuggirne nessuno. Presto, guerriere, a me!» Camilla dimostrò l’efficienza del suo piccolo esercito, in pochissimi minuti circa quaranta guerriere erano pronte in assetto di battaglia. La regina, resasi conto immediatamente della situazione, elaborò un piano semplice ed efficace. Mentre lei e la sua cavalleria composta da una quindicina di amazzoni avrebbero tagliato la strada ai predoni prima del villaggio, un gruppo di altre quindici guerriere armate di archi, passando per il “piccolo pozzo”, si sarebbe appostato nel bosco tra Montenero e i monti Ausoni, impedendo cosi la ritirata ai predoni. Un piccolo terzo gruppo, composto dalle più esperte, avrebbe raggiunto Montenero, dove sicuramente i Bruzi avevano posto il loro accampamento; 54 con cautela avrebbe eliminato le poche sentinelle lasciate a sorvegliare i prigionieri e liberato gli ostaggi. Anche Antonio che, ricordando la sua gioventù, aveva impugnato la spada, avrebbe seguito il gruppo di arciere nel bosco; un'arma in più, nel corpo a corpo, sarebbe certo servita. Una volta assegnato i compiti a ognuna, con la speranza di giungere in tempo, Camilla in sella al suo cavallo, con la spada sguainata, incitò le sue guerriere: «Sorelle mie, è giunto il tempo di sdebitarci con questa terra che ci ha accolto a braccia aperte. Un grave pericolo minaccia quella che ormai è diventata la nostra gente. Ora voi tutte conoscete la ferocia di questi predoni. Ma noi siamo guerriere e non temiamo nessuno. Mostreremo loro con la punta della nostra spada cosa noi donne sappiamo fare. Non daremo loro tregua e difenderemo queste famiglie come se fossero le nostre. Non un bruzio dovrà sfuggire! Che la dea Diana ci sia propizia!» Detto questo, lanciò il grido di battaglia e le sue guerriere con lei, poi giù per la valle. Il sole a est, verso le montagne innevate, cominciava ad affacciarsi sulla valle e la nebbia iniziava a diradarsi ai suoi raggi. Li raggiunsero nei campi, poco prima del villaggio. In campo aperto contro guerriere così bene addestrate le sorti della battaglia volsero rapidamente in favore delle amazzoni. I predoni non ebbero il tempo nemmeno di organizzarsi e serrare i ranghi. Camilla e il suo esercito si abbatterono come furie su quei rozzi guerrieri. La prima, come sempre, fu l'impavida regina. Cavalcando ventre a terra, puntò i primi due che già si erano preparati allo scontro. Il primo era armato di spada, il secondo di clava. I due cercavano di far passare l'amazzone in mezzo a loro. Quello con la clava avrebbe tentato di spezzare i garretti al cavallo e il secondo avrebbe trafitto alle spalle 55 il cavaliere. Ma Camilla, abile ed esperta quale era, evitò il trabocchetto. Scartò con il suo cavallo all'esterno del guerriero armato di spada e, con gesto veloce, anticipò il fendente, staccando di netto il braccio del malcapitato e squarciandogli parzialmente il torace. Fece poi un mezzo giro e con uno strappo alle briglie arrestò il cavallo a una ventina di metri dal luogo del primo impatto. Rinfoderata poi la spada, imbracciò l'arco e incoccata una freccia, scagliò il dardo che trafisse con un colpo in mezzo alla fronte l'altro selvaggio che le correva incontro urlando e brandendo minacciosamente la clava. L'uomo, lasciata cadere la clava, tentò di afferrare la freccia con entrambe mani, come per tirarla via, ma cadde pesantemente all'indietro, restando immobile tra l'erba e il fango. Immediatamente, Camilla riprese infaticabile la battaglia che ormai si era trasformata praticamente in una caccia all'uomo. Dopo il primo terribile impatto della cavalleria, infatti, i Bruzi, demoralizzati, si erano dati subito alla fuga inseguiti anche dagli abitanti del villaggio che, allertati dal clamore dello scontro, si erano armati di bastoni, forcole e coltellacci. Arrivati al limitare del bosco, il gruppo dei Bruzi fuggiaschi si trovò accolto dai dardi scagliati con precisione dalle arciere di Camilla. Fu una carneficina. Presi tra due fuochi, incalzati alle spalle dalla cavalleria, infilzati come selvaggina dall'alto del bosco, il loro destino era segnato. Come promesso da Camilla nemmeno uno dei predoni scampò alla morte. Furono bruciati ottantasette corpi quella sera, mentre tra le file volsche si contò un contadino ucciso e tre amazzoni ferite, delle quali solo una gravemente. L'urlo di vittoria di Camilla e delle sue guerriere riecheggio a lungo nella valle, così come a lungo, in tutta la valle del Sacco, il racconto di quell'epica giornata venne 56 narrato in ogni villaggio. Gli ostaggi liberati a Montenero, infatti, erano frutto delle varie incursioni effettuate dai Bruzi contro gli insediamenti sparsi a sud della valle. Una volta liberati, molti di loro tornarono ai loro luoghi d'origine, raccontando a chiunque incontrassero le gesta di Camilla e delle sue guerriere. Il nome di Camilla, invincibile guerriera e regina dei volsci, venne così conosciuto in tutta la valle e oltre. Quella sera, su al Castrum, il bagliore dei fuochi era visibile in tutta la valle. I contadini e i pastori di tutti i dintorni accompagnati dalle loro famiglie, come in processione, si erano riversati nell’accampamento portando ogni sorta di cibo e bevande in segno di gratitudine. C’era allegria nell’aria. Nel grande piazzale, attorno a grandi fuochi, si ballava e si cantava. Sugli spiedi, succulenti cuocevano i maiali. Il popolo si sentiva come non mai protetto e liberava spontaneamente la sua voglia di vivere. L’aria di cameratismo e condivisione che si era creata fece rompere gli indugi a molti giovani volsci che, come api sul miele, ronzavano intorno alle guerriere più belle. La regina Camilla con Antonio, suo padre e consigliere, sedevano su un panchetto allestito per l’occasione compiacendosi della vista che la piazza d’armi offriva. «Mia Regina! - disse scherzando Antonio, accostando la bocca all’orecchio della figlia - L’avresti mai detto? Non avrei mai potuto immaginare che potesse accadere tutto questo. Se fosse viva tua madre! Ora non manca che una cosa.» «Cosa, padre?» «Un uomo! Un uomo degno di te che ti possa aiutare a conservare intatto questo sogno.» 57 «Padre, non c’è uomo per me e tu lo sai. Sono consacrata alla dea. » «Figlia mia, non parlare in questo modo. Il futuro ci è sconosciuto. Il nostro fato è, sì, al capriccio degli dei ma, consigliati dal cuore e illuminati dalla mente, dobbiamo seguire sempre le nostre aspirazioni, fino a lottare con coraggio contro il destino che non sentiamo nostro.» 58 XIV Turno, re dei Rutuli La vita scorreva serena nella valle, ormai le giovani guerriere sentivano un forte legame di appartenenza al territorio. La strada aperta da Elinai raccoglieva seguaci: altre cinque nuove coppie si erano formate. Si udiva già, fuori le mura dell’accampamento, qualche vagito di lattante. Le abitazioni intorno al Castrum continuavano ad aumentare di numero e Camilla, per facilitare gli approvvigionamenti, aveva fatto allargare la strada che portava all’accampamento che ora era percorribile anche dai carri più grandi. Ormai gli abitanti delle terre che andavano dall’Amaseno fino alla sponda del fiume Sacco, proseguendo fino a Montenero e oltre, riconoscevano Camilla come unica guida. La fama della regina amazzone cresceva sempre più e aveva ormai valicato i confini della grande valle del Sacco. Un giorno giunsero all’accampamento quattro cavalieri ben armati, che venivano da molto lontano. Il loro abbigliamento e la fattezza delle loro armi indicavano l’appartenenza a un altro popolo, ma la loro lingua era comunque l'etrusco. Chiesero di incontrare esclusivamente la regina. Dovevano riferirle personalmente un importante messaggio: Turno, re dei Rutuli, aveva posto accampamento venti miglia più a nord, a Frusino8. La sua missiva chiamava a raccolta tutti 8 Attuale Frosinone 59 i capi dei Volsci e degli Ernici per un grande raduno che doveva svolgersi due giorni dopo. Turno li avrebbe ospitati nel proprio accampamento con tutti gli onori, per parlare di guerra e di alleanze, allo scopo di combattere un invasore arrivato dal mare che minacciava tutta la regione. Infatti, reduce dalla distruzione di Troia, dopo un lunghissimo viaggio e con i favori della dea Venere, era sbarcato alla foce del Tevere Enea con i suoi uomini. La sera stessa, al piccolo pozzo, Camilla ne discuteva con Antonio: «Padre, verrai anche tu? La questione è molto grave. Si tratta di guerra o pace. Questo nuovo invasore può infiammare e mettere a ferro e fuoco tutta la regione. » «Ho molti dubbi su quale sia la vera situazione e non ho molta voglia di venire ma, se lo ritieni importante, mia regina, verrò. » L'indomani all'alba, Camilla e Antonio, scortati da dieci guerriere, partirono sui loro cavalli alla volta di Frusino. Passarono il fiume al ponte del villaggio puntando dritti verso Nord e, dopo una lunga cavalcata, giunsero a destinazione. L'accampamento era stato eretto in una radura adiacente a un piccolo bosco di pioppi. Le tende, in gran numero, erano disposte a semicerchio, al cui centro numerosi guerrieri erano raccolti attorno a un tavolo. Venne incontro al drappello volsco un guerriero, non più di giovane età, ma di aspetto vigoroso e austero, il cui abbigliamento denotava la nobile origine. Con tono gentile ma autoritario, disse: «Benvenuti all'accampamento di Turno, re dei Rutuli. Io sono Volcente, uno dei suoi luogotenenti. Impastoiate i cavalli e seguitemi, tutti i capi sono già arrivati.» 60 Legati i cavalli ai margini della radura, si avviarono assieme al centro dell'accampamento. «La fama della tua abilità guerriera e della tua giovane età ti hanno preceduto, regina dei Volsci. – disse Volcente rivolgendosi a Camilla - I racconti delle gesta tue e della tua cavalleria amazzone sono giunti molto a Nord, fino ai nostri villaggi. Ora, vi prego di prendere posto insieme agli altri capi. » Così dicendo, il guerriero si avvicinò all’estremità del tavolo dove era seduto Turno per annunciare l'arrivo di Camilla. Leggenda narra che Turno fosse un semidio, e a vederlo c'era da crederlo. Alto, bello e possente, mostrava trent’anni, o poco più. Le spalle muscolose erano adornate da lunghi capelli neri e i suoi occhi vividi splendevano come due smeraldi sul volto abbronzato; il naso era dritto e regolare, e una corta barba color della pece metteva in risalto le labbra carnose. Indossava una tunica lunga fino ai piedi del colore dei suoi occhi e un pugnale con il manico d'oro era infilato in un cinturone di pelle lento sui fianchi. Un drappo di tela nera, tenuto da due spille d'oro, ricadeva dalle spalle, avvolgendogli le braccia. Alzandosi in piedi, prese la parola e, con voce forte, si rivolse all’adunata: «Nobili guerrieri! Forse alcuni di voi già sono a conoscenza del motivo per il quale vi ho chiamati a raccolta! Tempo fa, è sbarcato sulla costa, a un giorno di cavallo verso Nord, un guerriero di nome Enea. Profugo di una città d’oltremare, il re Latino ha concesso a lui e alla gente del suo seguito il permesso di abitare i suoi confini. Ma, come spesso accade, il fuggiasco ha abusato dell'ospitalità concessagli, e ora sta attentando alle nostre 61 terre e alle nostre donne. In questo stesso momento, sta combattendo contro di noi verso Nord, e ha mostrato l’intenzione di allearsi con gli Etruschi. Vedete bene che, se domani ne usciremo sconfitti, non farà altro che allargare le sue mire. - tacque per un attimo, per riprendere con maggior impeto - Le belve vanno uccise da piccole, perché da grandi saranno un pericolo per tutti! Lascerete noi, Rutuli e Ausoni, a combattere da soli l'invasore? Ecco, io vi propongo una grande alleanza per ricacciare in mare questi serpenti prima che possano prosperare e distruggere noi e le nostre genti. » Un brusio si alzò da tutta l'assemblea. Seguirono gli interventi di alcuni capi Volsci ed Ernici, che chiedevano informazioni più dettagliate riguardo ai Troiani, e la discussione si perse in mille rivoli. Mentre ascoltava, Camilla osservava attentamente la platea e fu colpita da un bel giovane dalla chioma bionda e dagli occhi del colore del cielo, che si trovava accanto al guerriero che li aveva accolti al loro arrivo. Il sole volgeva al tramonto e, ormai stanchi e affamati, si stabilì di continuare la discussione il giorno seguente. I fuochi erano già accessi e l'odore di carne messa ad arrostire già si spandeva intorno. Camilla, Antonio e le guerriere allestirono rapidamente le loro tende e si ritirarono. Appena entrate in intimità, mentre si liberavano delle loro armi, le giovani fanciulle iniziarono a lodare entusiaste la bellezza e il fascino di Turno. Camilla, annoiata da quei discorsi, uscì contrariata dalla tenda; Antonio sedeva fuori, pensieroso. «Cosa ne pensi, padre? Sei d’accordo con Turno riguardo gli invasori? » «Invasori? Chi è l'invasore, figlia? Non sono forse invasori gli Etruschi, che si stanno insediando lentamente 62 in tutto il Lazio, e i Bruzi, che scendono a valle in cerca di cibo? O questa gente, in cerca di una terra per vivere? Non lo è forse Turno, che cerca vite da mandare al macello per difendere il suo potere? Non so dove è il giusto, Camilla. Quali diritti ognuno può invocare sulla terra in cui vive? Quando si muore si lascia tutto, e la terra che credevi tua passa in mano a un altro. La terra è di chi se ne prende cura, la fa vivere e fruttare. Prima di prendere una decisione riguardo alla guerra, bisogna riflettere seriamente sulle conseguenze che essa comporta. Inoltre, sono convinto che vi siano altre motivazioni, certo più personali, nascoste dietro la rabbia ardente che ci ha mostrato re Turno. » Camilla replicò: «Forse hai ragione. Turno non mi è parso sereno, come invece è richiesto a un vero sovrano, per quanto possibile: la lucidità è fondamentale per saper prendere le migliori decisioni per il proprio popolo. Per quello che mi riguarda, l'unica cosa certa è che quell'Enea è scaltro come una volpe. Accidenti! È davvero una questione spinosa! Ho una gran confusione in testa. Qui ci vuole una camminata per schiarirmi le idee. Tu fai un giro nel campo, e tieni orecchie e occhi bene aperti. Ogni informazione può essere utile per capire meglio la situazione. » Detto questo, Camilla prese il mantello e si inoltrò a piedi nel bosco di pioppi. Di lì a poco, incrociò un ruscello e si mise a sedere sulle sue sponde a pensare. 63 XV L'incontro Era davvero una bella giornata. Il sole non era ancora tramontato e l’aria si era tinta di rosa. Camilla, intenta a riflettere sulla complicata situazione, osservava distrattamente il vermiglio del cielo che si rifletteva nell’acqua spezzandosi in rivoli d'argento. All’improvviso, si girò di scatto, portando le mani alla spada. Gli uccelli avevano smesso di cantare e la foresta si era fatta improvvisamente silenziosa. La cacciatrice conosceva perfettamente il significato di questo silenzio: qualcuno stava avvicinandosi. Con la spada stretta nel pugno stava alzandosi per controllare i dintorni, quando una voce maschile si levo da dietro un albero: «Pace! Sono venuto in pace! La guerra è ancora lontana! Non so per quanto tempo, ma è ancora lontana. Scusami se mi sono avvicinato senza preavviso. Ti ho vista preoccupata al campo: è un problema comune, del resto, e mi farebbe piacere conoscere la tua opinione in merito. Non è mai facile prendere delle decisioni tanto importanti da cui dipende il bene di tutti. » La voce prese corpo. Il guerriero biondo, che Camilla aveva notato durante l’assemblea dei capi, si fece avanti sorridendo. La giovane aggrottò le ciglia, rimanendo ancora sulla difensiva; lui proseguì come se non se accorgesse, avvicinandosi ulteriormente. 64 «So cosa provi. – il ragazzo parlava con voce tranquilla È difficile decidere quando si può causare morte e dolore. E' bene, in questi casi, prendere tempo; cercare di capire, riflettere a lungo. Pesare ogni azione, ogni parola. È sempre arduo governare con giustizia, ma, in alcuni momenti, il compito diventa ancora più gravoso, non è così?» Non ricevendo risposta alcuna, continuò con tono allegro: «Tu sei Camilla, l’amazzone regina dei Volsci, vero? Volcente, mio padre, mi ha parlato di te. Io sono Camerte, e mi onoro di guidare e servire il popolo Ausono di Amyclae. Sono felice di incontrarti! Devo ammettere che indubbiamente rendi giustizia alla tua fama, sei davvero molto giovane e bella come si racconta! – e, seriamente, aggiunse - Forse davvero troppo giovane per avere sulla spalle la responsabilità di una decisione così importante per il destino di un popolo. » Camilla rimase per un attimo perplessa. Quell'uomo aveva letto nei suoi pensieri. Non è facile essere regina, soprattutto se si vuole essere una buona regina. Camerte si sedette non distante da lei e, guardandola diritta negli occhi, aggiunse: «Non sentirti inadeguata. In frangenti come questi, solo gli incoscienti hanno subito le idee chiare. Anche io sono confuso. Ho parlato con capi molto più anziani ed esperti di noi e mi hanno palesato gli stessi dubbi. Re Turno domani dovrà trovare ragioni più convincenti. Sei d'accordo con me?» Camerte era un bel guerriero di circa venticinque anni, alto, di carnagione chiara. Indossava un paio di brache di pelle conciata lunghe fino al ginocchio, con sopra una corta tunica di tela di colore rosso. Al suo fianco, pendeva una corta spada di bronzo, con un’impugnatura 65 finemente lavorata. Forse erano quegli occhi color di cielo che sembravano leggere nei suoi pensieri a distrarla, o forse era solamente la stanchezza del viaggio, ma indubbiamente Camilla si sentiva stordita e incapace di formulare una risposta. Il buon odore che proveniva dall'uomo e quel suo sorriso franco e schietto l’avevano come incantata. Senza trovarne una ragione, Camilla provava una certa inquietudine. Si sarebbe certamente sentita più a proprio agio se si fosse trovata ad affrontare il giovane in battaglia spada in mano. «E' raro incontrare una guerriera tanto famosa quanto bella. – riprese Camerte - Mi piacerebbe conoscere la tua storia, quella vera. Se ne raccontano tante sul tuo conto. Ora che ho avuto la fortuna di incontrarti di persona, vorrei conoscere la verità su di te. Sempre se hai voglia di raccontarla, naturalmente.» Il modo di fare del giovane le piacque e, rinnegando le proprie abitudini che la rendevano scontrosa quando si parlava di lei, Camilla accettò la proposta. Parlarono a lungo. Dopo i primi momenti di imbarazzo, Camilla si tranquillizzò, come se conoscesse quel giovane da sempre. Camerte continuò a mostrarsi un interlocutore attento e sensibile. Fu dopo molto tempo che i due sentirono i morsi della fame, ma ormai la luna era alta nel cielo e per il pasto avrebbero dovuto arrangiarsi. «C'è luna piena, l'aria è tersa e si vede come se fosse giorno – disse Camerte - Mostrami come cavalca una vera amazzone volsca, io cercherò di non essere da meno. » Quando si trattava di fare un giro a cavallo Camilla non si tirava mai indietro, soprattutto quando c’era aria di sfida. Si avviarono a passo svelto verso i cavalli impastoiati. Camerte disse qualcosa alla sentinella e via, a 66 cavallo verso i campi e i boschi della pianura frusinate. Antonio che era fuori, seduto all'ingresso della sua tenda, mentre li vedeva andare via pensò quanto fosse bella sua figlia coi i suoi capelli neri al vento, al galoppo sul suo cavallo bianco. Faceva coppia perfetta con il giovane che, biondo, cavalcava al suo fianco sul suo nero stallone. Il pastore si compiacque non poco e pregò gli dei dell'Olimpo affinché concedessero pace e serenità al cuore di sua figlia e, perché no? la felicità domestica di una propria famiglia. Camilla e Camerte tornarono sereni e scapigliati. Quelle poche ore passate insieme avevano fatto scomparire i venti di guerra e le loro responsabilità. Camminavano l’uno accanto all'altro, tenendo i cavalli per le briglia. «Io continuo a non essere molto favorevole a questa guerra – disse il giovane - Eppure, se mio padre mi chiederà di combattere al suo fianco, lo seguirò. È stato un vero piacere incontrarti, regina dei Volsci, popolo fortunato. » Si guardarono un’ultima volta negli occhi ed entrambi sorrisero. Il giovane poggiò per un attimo la mano sulla spalla della ragazza, poi si girò e a passo svelto raggiunse la sua tenda. Mentre Camerte rientrava in tenda, Camilla si fermò un attimo a guardarlo. Quel giovane aveva scosso non poco le sue convinzioni sugli uomini. Rientrò anche lei sotto i teli e si lasciò cadere come un sasso. Sdraiata, ripensò per un attimo a Camerte, a suo padre e alle sue parole riguardo agli uomini, ma era troppo stanca e cadde in un sonno profondo. 67 68 XVI La bufera L'indomani, prima che rincominciasse l'assemblea, Antonio riferì a Camilla ciò che aveva sentito di interessante la sera precedente. Sembrava che Turno avesse una forte rivalità personale con Enea, per la questione di un matrimonio. Turno avrebbe dovuto sposare Lavinia, la figlia di Latino, in accordo con la regina madre. Per sigillare l’alleanza con Enea, però, il re aveva rinnegato la parola data: offrendo Lavinia al principe troiano, e l’orgoglioso re dei Rutuli non poteva incassare il colpo senza cercare vendetta. Queste vicende spiegavano il forte risentimento di Turno nei confronti di Enea. Il dibattito riprese poco dopo, ma le opinioni continuavano a essere contrastanti. Nonostante tutti gli sforzi oratori di Turno, molti dei capi erano titubanti. Così, per scongiurare sul nascere una sconfitta politica, il re e i suoi luogotenenti approfittarono di un minaccioso temporale, che si stava avvicinando velocemente all’orizzonte, per sciogliere l'assemblea. L’appuntamento successivo fu fissato nello stesso luogo la luna seguente, per dare a ognuno il tempo di riflettere attentamente consultando gli anziani del proprio popolo. Turno aveva stabilito questo lungo 69 intervallo prima del nuovo incontro con l’intenzione di contattare singolarmente i capi più importanti nei loro insediamenti, nella speranza di indurli alla lotta. Era convinto che questi, con il loro ascendente, avrebbero trascinato alla guerra anche i capi minori. Nel frattempo, nel campo si era alzato un fortissimo vento. Le nubi scure avevano avvolto tutta la valle. I cavalli impastoiati scalpitavano nervosi e la polvere si alzava turbinando. Nel campo, tutti si affrettavano a levare le tende o a rinforzare il legacci di cuoio che le tenevano a terra; quello che si avvicinava sembrava piuttosto una bufera che un semplice acquazzone. Camilla, le guerriere e Antonio furono pronti in un lampo e decisero di avviarsi immediatamente. Il loro castrum non era che a poche ore di cavallo e il temporale non li avrebbe certo fermati. Con la scusa del temporale in arrivo si congedarono da Turno e da Volcente quando erano già in arcione, scambiando con loro solamente un brevissimo saluto. Solo per un attimo, prima di partire al galoppo, Camilla si guardò intorno in cerca di Camerte, ma il turbinio della polvere e il caos che regnava in quel momento nel campo impedivano ogni visuale. Senza indugio, la regina piantò i talloni nei fianchi del suo cavallo, che si avviò galoppando a briglie sciolte verso casa. Avevano da poco superato l'agglomerato di Fabrateria quando li raggiunse quella che era davvero una fortissima bufera. Le nubi erano così basse, dense e scure che sembrava fosse piombata improvvisamente la notte. La pioggia sospinta dal vento sembrava che cadesse parallela alla terra. I cavalli, nervosissimi, spaventati dai lampi e dai tuoni che si susseguivano a un ritmo impressionante, rischiavano ogni attimo di imbizzarrirsi e 70 di disarcionare il proprio cavaliere. A quel punto, Camilla decise di fermare il drappello. Giunti nei pressi di un gruppo di querce secolari, ai piedi di una piccola collinetta, la giovane regina scelse per la sosta il lato più riparato dal vento. Subito dopo i cavalieri scesero dai loro nervosi destrieri, li fecero sdraiare in terra coprendo loro gli occhi e le orecchie con delle pelli, per accucciarsi successivamente insieme a loro. Il vento fischiava nelle loro orecchie in maniera assordante. Ancora un attimo e si scatenò il finimondo. Insieme all'acqua e alle foglie che turbinavano nell'aria, volavano pericolosamente anche grossi rami e piccoli tronchi. All’improvviso, si sentì un boato tremendo accompagnato da una luce abbagliante: una quercia a un centinaio di piedi su per la piccola collina era stata colpita da un fulmine e, spezzata, bruciava. Camilla e le ragazze, anche se avvezze alla battaglia, erano alquanto scosse. Antonio attribuì a quel fulmine un significato di cattivo presagio, ma si guardò bene dal confidarlo a sua figlia. Poco dopo, con la stessa rapidità con cui era arrivata, la bufera si spostò verso ovest, proseguendo la sua corsa verso il mare. Aveva lasciato dietro di sé un paesaggio desolante: rami spezzati, arbusti e alberi divelti. Il sentiero che attraversava il bosco e che portava al ponte era ridotto a una melma appiccicosa, ma il peggio era decisamente passato e il drappello, montate di nuovo le cavalcature, riprese lentamente la via verso casa. 71 72 XVII Il Re di Amyclae Alcuni giorni dopo, al Castrum la vita sembrava fosse tornata a scorrere come prima, ma solo in apparenza. Camilla, infatti, non aveva ancora affrontato con Antonio la questione posta da Turno. Aveva ancora tempo per decidere, ma era consapevole che in questi casi il tempo passa molto in fretta. Sapeva di essere in contrasto con l'opinione di suo padre e stava in realtà rimandando con ogni scusa il momento del confronto, nell'illusoria speranza che qualcosa o qualcuno l'aiutasse a prendere una decisione definitiva. La giovane passava gran parte della giornata a cavallo cacciando. Ritornava spesso, però, a mani vuote, cosa che non sarebbe mai accaduta in altri momenti. Si sentiva irrequieta e insofferente. Ogni cosa le sembrava inutile. Si irritava per un nonnulla e la consapevolezza di questa situazione la rendeva ancor più irritabile. In cuor suo, intuiva il perché di questo suo stato d'animo. Per qualche ragione a lei sconosciuta, il biondo re di Amyclae si era insinuato come un tarlo nella sua mente e faceva una fatica tremenda a scacciarlo. Cercava di distrarsi in tutti i modi, esercitandosi al combattimento con le migliori sue guerriere, tirando con l'arco, cavalcando a lungo fino a sentirsi sfinita, ma, anche quando pensava di essersene liberata, l’immagine di Camerte tornava prepotente alla sua mente. Tutto questo 73 era per lei inaccettabile. La sua serenità non poteva e non doveva essere condizionata o turbata da nessuno, a maggior ragione da un uomo. Così, Dopo qualche giorno, al perdurare di questa situazione, Camilla, sempre più inquieta, aveva deciso di confidarsi con Antonio. Sapeva che a quel punto avrebbe dovuto affrontare anche la spinosa questione della “guerra personale di Turno”, come il padre l'aveva chiamata al ritorno. Era passato mezzodì, quando la sentinella che sorvegliava la valle verso Nord-Est lanciò l'allarme: un numeroso gruppo di cavalieri armati si accingeva a salire il colle. Tutte le guerriere furono allertate, le sentinelle raddoppiate. Camilla decise, inoltre, di mandare immediatamente due esploratrici a cavallo a osservare da vicino il drappello di guerrieri. Raccomandò loro di ritirarsi immediatamente al minimo accenno di ostilità da parte degli sconosciuti. La regina rimase insieme alle sentinelle a osservare i movimenti del drappello, le cui intenzioni si mostravano chiare: quei cavalieri stavano salendo al Castrum. Camilla ordinò di avvisare i popolani fuori le mura; in caso di ostilità tutti quanti si sarebbero dovuti trasferire all'interno delle fortificazioni. Nel frattempo, il drappello scomparve alla vista delle sentinelle, inghiottito dal bosco situato ai piedi della collina. Erano ormai tutti sull'allerta, quando ecco arrivare le due esploratrici accompagnate da un terzo cavaliere. Camilla si affacciò immediatamente dal roccione e dall'alto subito riconobbe la bionda chioma di Camerte e sorrise divertita. «Tutti calmi, sono amici. - si affrettò a gridare Camilla Potete tornare alla vostre faccende con tranquillità.» Camerte aveva creato un gran trambusto ancor prima di arrivare. 74 «Aprite i cancelli!» ordinò. Qualche minuto dopo, fatto il giro della roccaforte, ecco entrare al trotto il re di Amyclae. Sceso da cavallo con un balzo, con un gran sorriso sulle labbra si rivolse a Camilla: «Non sarei mai potuto tornare a casa senza aver visitato la tua famosa grotta! » Camilla era scesa incontro al cavaliere per rimproverarlo aspramente, ma di fronte a quel sorriso aperto e sincero ogni sua intenzione bellicosa scomparve. Anzi, in cuor suo era combattuta tra l'essere contenta di vederlo e l’irritazione per il fatto di esserlo, così rispose: «In quel di Amyclae non si usa annunciarsi con gli esploratori? Avrei potuto falcidiare la tua cavalleria con le mie arciere. Con questa tua visita improvvisa e inaspettata hai generato non poca apprensione. La paura della guerra aleggia nell'aria, e ogni gruppo armato mette in allarme la nostra povera gente. Comunque, visto che ormai sei qui, che tu sia il benvenuto! Quali sono le ragioni della tua visita? » «Mia Regina, purtroppo mi conducono venti di guerra. Mio padre mi ha chiesto esplicitamente di partecipare alla guerra contro Enea. Sono contrario a essa, come sai, ma non ho potuto dire di no. E' stato lui che mi ha suggerito di tornare a casa passando all'interno degli Ausoni, per cercare di convincere anche te a entrare nell'alleanza contro Enea. Ma la ragione principale per la quale sono qui - prese tra le sue forti mani quelle di Camilla, che sorpresa del gesto non le tirò indietro - è che mi devi una cena, quella che mi hai costretto a saltare a Frusino. » Camilla sorrise divertita. 75 «Cena? Certamente! Ma, per punirti per il trambusto che hai creato, sarà un pasto frugale: pane formaggio e legumi. Questa sera si cena dal “saggio”, così conoscerai mio padre. Adesso seguimi, ti mostro la mia “famosa grotta”, come la chiami tu. Sei venuto per questo, no? » Camilla continuava a essere combattuta. Si sentiva bene, ma assolutamente rifiutava il concetto che quell'uomo potesse influire così pesantemente sul suo umore, e questi ragionamenti la contrariavano alquanto. Mentre seguivano il viottolo che portava alla grotta, Camerte interruppe il silenzio:«Cosa hai? Vedo un'ombra sul tuo viso. » Camilla rimaneva sempre stupita dalla capacità di quell'uomo di cogliere ogni espressione del suo volto; talvolta, sembrava sapesse davvero leggere nella sua mente. Nella grotta l'arredamento era cambiato: dei drappi pendevano ora dalle pareti insieme alle pelli delle fiere uccise dalla cacciatrice e avevano fatto la comparsa un tavolo e degli sgabelli. «Siediti, parlami della situazione a Nord, immagino tu abbia notizie fresche. Dove si trova Turno?», soggiunse la ragazza. Seduti una di fronte l'altro, Camerte raccontò a Camilla gli ultimi avvenimenti. La situazione stava precipitando. Enea si era alleato con Cere, una città etrusca, governata una volta da Mezenzio, che ora era diventato alleato di Turno. Messalo con i Flasci, Clauso con i Sabini, Ebalo con i Campani, tutti in quel momento stavano muovendo verso l'accampamento dei Troiani. «Non possiamo più aspettare. L'incontro a Frusino non avrà più luogo. Ormai è guerra. Turno ha già posto sotto assedio il campo troiano e dato fuoco alle loro navi. Tutta 76 la regione è coinvolta. I miei Ausoni sono in guerra, e io passerò per Amyclae a raccogliere il resto dei miei guerrieri e raggiungerò mio padre e Turno. » «Ne parleremo stasera con mio padre - rispose Camilla preoccupata - È il mio fidato consigliere, rimandiamo perciò a stasera ogni discussione. Ora seguimi, voglio mostrarti il resto del Castrum. Ormai sta diventando un piccolo villaggio: il mio sogno di dare una vita nuova e dignitosa alle mie sventurate compagne sta diventando una realtà. » I due passarono un pomeriggio sereno. Camilla illustrò a Camerte i suoi progetti per il Castrum, e il giovane sovrano, avvezzo a questo genere di problemi, contribuì con dei suggerimenti preziosi. All'imbrunire si avviarono verso il “piccolo pozzo”. 77 78 XVIII La cena Con due lumi accesi e legna abbondante sul fuoco, Antonio accolse i due giovani sovrani. Per niente intimidito dalla presenza di Camerte, il pastore servì, come annunciato da Camilla, una cena molto frugale; ai suoi occhi, il giovane re era poco più di un ragazzo. Gli unici lussi sfoggiati in onore del figlio di Volcente erano appunto il doppio lume e una grossa fiasca di vino sul tavolo. La cena, anche se appetitosa, era composta da povere cose: legumi, formaggio, focacce a volontà, che i due ragazzi mostrarono comunque di gradire molto. «Dopo questa cena dovrò reintegrare le scorte di cibo per l'inverno.», disse Antonio scherzando. «Domani manderò Clelia con il carro grande, anzi, dato che ci sono, ti manderò anche una coppia di maiali. Non vorrei che questo inverno debba rimanere orfana e senza consigliere a causa di questa cena.», rispose Camilla, stando al gioco. I tre sorrisero allegramente; non c'era nulla di meglio per rinsaldare il cameratismo che condividere il pasto. Finita rapidamente la cena, dopo due lunghe sorsate di vino che tutti apprezzarono, i tre si misero sulla panca intorno al fuoco e il discorso si incentrò su Enea, Turno e la guerra incombente. Camerte e Antonio si trovarono quasi d'accordo su tutto: per entrambi, il 79 conflitto si sarebbe potuto risolvere concedendo maggiori terre ai Troiani. Inoltre, era convinzione comune che l'ambizione e l'orgoglio di Turno avrebbero portato molti lutti inutilmente. I Troiani, infatti, alla lunga sarebbero stati riassorbiti dalle popolazioni limitrofe e forse uno scambio di donne avrebbe potuto risolvere il problema in maniera incruenta. A queste parole, Camilla si inalberò, rimproverando aspramente ai due di non considerare le donne come esseri umani, ma come merce di scambio. Camerte, chiedendo scusa a Camilla per averla offesa, aggiunse: «A volte, purtroppo, è necessario trovare delle soluzioni efficaci per il bene di molti sacrificando i pochi: un simile scambio sarebbe accettabile, se servisse a evitare una guerra. Del resto, ormai è troppo tardi.» Antonio si mostrò perfettamente d’accordo con Camerte, ma Camilla era fuori di sé. «Sacrificatevi voi! Metteremo Enea e i Troiani di fronte alla legge della spada!» «Stiamo discutendo per niente. Purtroppo la guerra è già in corso. - riprese Camerte - Come ti ho spiegato, domani andrò a ingrossare le fila dell'alleanza contro Enea insieme a mio padre. Tu e la tua cavalleria sarete dei nostri? » Antonio intervenne prima che Camilla potesse pronunciarsi: «Camilla, ascolta bene. Come consigliere e come padre, per il bene tuo e del tuo popolo, come regina e come figlia, ti imploro di non partecipare a questa follia. Non si può andare contro il volere degli dei ed è chiaro che Enea gode dei loro favori. Nel corso della mia vita ho visto 80 molte guerre e so bene che portano solo morte e distruzione.» «Mi dispiace essere in disaccordo con te. – disse Camilla rivolgendosi duramente al padre - Io sono la regina, e in onore del popolo che ho sempre servito e per la sua difesa, darò il mio contributo alla sconfitta di Enea. Quasi tutte le popolazioni della nostra regione sono alle armi contro i Troiani. Enea non ha scampo e torneremo presto vittoriosi. Non intendo più discuterne. » L'atmosfera si era fatta pesante e Camerte, consapevole del conflitto interiore dei suoi commensali, ringraziò dell’ospitalità e si congedò. L’indomani sarebbero partiti all’alba e aveva bisogno di riposare. Camilla lo seguì per accompagnarlo all’accampamento. Come annunciato, il giorno dopo prima dell'alba, Camerte e i suoi guerrieri lasciarono il territorio dirigendosi verso il mare. Padre e figlia non si incontrarono. Antonio rimase ai suoi campi e ai suoi armenti, mentre Camilla al castrum organizzava il suo piccolo esercito di amazzoni. Mandò messaggeri a Fabrateria e ai villaggi vicini a reclutare guerrieri. Entro due giorni sarebbero partiti verso Nord-Ovest per raggiungere re Turno e i suoi alleati sui campi di battaglia. 81 82 XIX La profezia La sera successiva, fu Antonio che si presentò da Camilla. Prima che partisse per la guerra, l’avrebbe portata con sé per un ultimo viaggio, un viaggio nel passato. Partirono dal “piccolo pozzo” la mattina dopo a cavallo, verso Sud. Si inoltrarono al trotto nel bosco tra Montenero e gli Ausoni. La compagnia era silenziosa, la tristezza attanagliava entrambi. Percorse una decina di miglia nel bosco, piegarono leggermente verso Est. A un certo punto, incominciarono a salire. La vegetazione cambiò repentinamente: il terreno diventò brullo e roccioso dando spazio solo a piccoli arbusti. Dopo poco, dietro un avvallamento, si trovarono davanti un bosco di allori. «Scendiamo da cavallo. - disse Antonio- D'ora in avanti andremo a piedi. Questa è terra sacra.» Camilla senza dire nulla obbedì e seguì il padre. Il mistero di questo viaggio incominciava a incuriosirla, ma non osava interrompere i pensieri del padre che, scuro in volto, continuava ad avanzare. Antonio si fermò indicando un giovane albero di alloro. «Spezzane un piccolo ramo e conservalo, ma non toccarlo con le mani. Usa la tunica per prenderlo.» 83 Presero poi uno stretto sentiero che rincominciava a scendere. L'aria all'improvviso incominciò a farsi gelida, tanto gelida da evidenziare il respiro. Trovarono in fondo al sentiero un’alta parete di roccia e si infilarono in una stretta apertura che si apriva dinanzi loro, da dove proveniva nitido il mormorio di un ruscello. Poco dopo, infatti, si trovarono di fronte a un piccolo lago. Antonio si spinse nell’acqua, che arrivava appena alle caviglie, ma era tremendamente gelida, e fece cenno a Camilla di seguirlo. Verso l'altra sponda del laghetto, il ruscello si addentrava nella roccia. Ne seguirono il tracciato risalendo la leggera corrente fino a una caverna, dalla quale sgorgava l'acqua che lo alimentava. La grotta aveva una grande apertura e dei rozzi scalini si inoltravano in essa. Ai bordi dei gradini, strani simboli coperti da muschio erano incisi nella roccia, ormai quasi cancellati dal tempo. L'alto ingresso era completamente in penombra; dal soffitto pendevano numerose stalattiti gocciolanti. Entrarono in silenzio, accompagnati soltanto dal rumore dello scorrere d'acqua. Percorsero un centinaio di piedi di un sentiero scavato nella roccia. In alto, da alcune fessure, proveniva una fievole luce, necessaria a illuminare il percorso. Svoltarono e, abbandonando il ruscello sotterraneo, si trovarono di fronte l'ingresso di un enorme antro. Antonio a quel punto si fermò. Comunicò a bassa voce alcune istruzioni a Camilla ed entrarono. Al centro c'era un altare di pietra, dietro il quale si intravedeva una massa oscura in movimento. Una voce antica e tremante, che sembrava provenisse da un oltretomba, li apostrofò: «Cosa siete venuti a fare nel tempio della sanguinaria? » «Chiedo oracolo!»gridò Camilla. «Chiedo fuoco e sangue!» Replicò la voce. 84 Antonio prese la pietra focaia e, con gesti rapidi e soffio leggero, diede fuoco all'esca. C'era al centro della grotta di fronte all'altare una pozza di un liquido denso e nero, che il pastore infiammò. Le fiamme si alzarono alte e illuminarono intorno. La caverna era talmente ampia che non se ne scorgevano i limiti. Il forte fuoco dal fumo denso e acre riusciva ad illuminare solamente l'altare che sembrava sospeso nel buio. I lampi rossastri del fuoco si riflettevano sinistramente sui volti di Antonio, Camilla e della sacerdotessa. Da un mucchio agitato di stracci neri e logori uscivano, infatti, due mani luride e nodose con unghie ricurve e nere di putridume. La vecchia allungò la mano verso Camilla. La ragazza porse, avendo cura di non toccarlo con le mani, il ramo di alloro che aveva conservato. La sacerdotessa prese di scatto il ramoscello, rimanendo con le braccia tese verso Camilla. Al bagliore rossastro del fuoco, la ragazza prese la sua spada con una mano e lentamente la passò di taglio sul palmo dell'altra. Una striscia vermiglia comparve immediatamente. Lasciò sgocciolare il sangue che sgorgava dalla ferita sulle foglie d'alloro. Rinfoderò la spada e strinse forte il pugno della mano ferita contro il lembo della sua tunica. La strega ritirò il ramo così bagnato e, staccandone le foglie una a una, iniziò a masticarle. Iniziò ad agitarsi sempre di più. A un tratto, si piegò su se stessa e iniziò a rantolare; poi, scattò in piedi e con sibilo emise la profezia. 85 «Il grande anno è alla fine. La dea madre ha compiuto il suo tempo. Sono finiti i riti di sangue, la centesima luna è arrivata, e tu sei Camilla, figlia di Camilla, figlia di Camilla. Ultima di una stirpe di regine guerriere degne figlie della dea madre. Sul ventre tu hai posto una spada. il tuo nome è già grande e nei tempi così resterà. Lotterai con la lupa, ma stai attenta: ai suoi figli nessuno attraversi la strada. » Detto questo, emanò un ultimo rantolo e come un sacco vuoto si accasciò sulla roccia. Camilla fece un passo verso di lei per aiutarla, ma Antonio la bloccò con un urlo : «No! Ferma, non toccarla! » Dal buio fondo della caverna avanzarono come spettri, provenienti da un oscuro passato, altre sagome ricurve vestite di stracci. Si disposero in semicerchio intorno alla Sacerdotessa come grandi scarafaggi, mormorando strane parole. Antonio prese rapidamente per mano Camilla e la trascinò con sé fuori della grotta. Non dissero nulla fino a che, una volta scesi a valle, Camilla, scossa dall'accaduto, interpellò suo padre. «Padre, cosa significa tutto questo? » 86 Antonio non rispose, continuando a cavalcare sulla via del ritorno. Camilla non osò più porgli domande. Arrivati a “piccolo pozzo”, Antonio ruppe il silenzio e con voce alterata lamentò: «Profetesse, tutte uguali! Oracolo! Ma che oracolo! Brave col passato, ti dicono il presente, ma il domani? Chi è la lupa? Sai quante ne hai uccise! E chi sono i suoi figli! Camilla, ti prego non partire! È da tempo che ho un brutto presentimento. » «Ta', lo sai che non posso. Tu stesso mi hai insegnato che la cosa più importante è mantenere l'onore. La parola data è sacra. Quel che è detto è detto. Ho con me il sacro fuoco di Diana che mi protegge, quindi non temere, lo accenderò prima ogni battaglia.» Rassegnato, Antonio aggiunse: «Prima di salutarti voglio parlarti riguardo un’ultima cosa. Io e tua madre ci siamo amati per tutta la vita e non mi sono mai pentito di aver rinunciato a tutto per lei. Ho pregato molto affinché gli dei concedessero anche a te una tale fortuna. Ho notato come ti guarda Camerte, conosco quel tipo di sguardo. Ha sicuramente un debole per te. Mi sembra un bravo giovane, ha una posizione degna del tuo rango. Non troverei nulla di disdicevole se vi frequentaste. Nonostante le tue precedenti brutte esperienze, prova a lasciarti andare. Segui il tuo cuore, è più grande di quello che tu credi. » «Padre, sto andando in battaglia. Pensi sia il momento adatto per parlare di amore? Non credo che nel mio cuore ci sia spazio per un uomo. Tranne per te naturalmente, mio vero e unico padre. Tu che mi hai dato tutto quello che potevi senza mai pretendere nulla. Abbracciami ora, per un’ultima volta prima che io parta.» 87 Antonio abbracciò a lungo sua figlia trattenendo le lacrime. «Vai, vinci e torna presto.» 88 XX Guerra! Nel frattempo erano giunti da Fabrateria e da altri villaggi numerosi guerrieri, onorati di cavalcare accanto a Camilla e alle sue amazzoni. Quindi il piccolo esercito iniziò la marcia verso Laurento. ENEIDE Libro VII ----L'ultima a la rassegna vien Camilla ch'era di volsca gente una donzella, non di conocchia o di ricami esperta, ma d'armi e di cavalli, e benché virgo, di cavalieri e di caterve armate gran condottiera, e ne le guerre avvezza. Era fiera in battaglia, e lieve al corso tanto che, quasi un vento sopra l'erba correndo, non avrebbe anco de' fiori tocco, né l'ariste il sommo a pena; non avrebbe per l'onde e per gli flutti del gonfio mar, non che le piante immerse, ma né pur tinte. Per veder costei uscian de' tetti, empiean le strade e i campi le genti tutte; e i giovini e le donne stavan con meraviglia e con diletto mirando e vagheggiando quale andava, 89 e qual sembrava; come regiamente d'ostro ornato avea 'l tergo, e 'l capo d’oro; e con che disprezzata leggiadria portava un pastoral nodoso mirto con picciol ferro in punta; e con che grazia se ne già d'arco e di faretra armata. Il campo dei Troiani, posto vicino al mare, era ormai sotto assedio. I Volsci si accamparono ai margini del campo d’armi degli assedianti. Presto giunsero da loro Camerte e suo padre, che salutarono Camilla come regina e la invitarono a raggiungere Turno nella sua tenda, dove si trovavano tutti i capi più importanti. «C'è giunta notizia che Enea non è nell'accampamento Troiano!- Turno parlava con voce ferma e dura - E’ un'occasione unica. Domani assalteremo il campo nemico con tutte le forze a disposizione. Camilla, contiamo molto sulla freschezza della tua cavalleria, le tue truppe guideranno l'assalto. Concentreremo tutti gli sforzi sulla porta principale. Messalo, tu occupati di raddoppiare i fuochi e le sentinelle. Il nemico non deve avere alcuna via di fuga verso terra. Che gli dei ci siano propizi! » La sera consumarono tutti un frugale pasto. Camilla era molto agitata. Nonostante fosse concentrata sulla battaglia imminente, sentiva il forte bisogno di parlare con Camerte. Si stava quindi accingendo a cercarlo quando lo vide arrivare, scuro in volto e visibilmente stanco. I due iniziarono a camminare tra fuochi e guerrieri sdraiati a riposare. Ogni tanto si udiva un lamento di qualche ferito. 90 «Ti vedo molto stanco. – disse Camilla, rompendo il silenzio - Cosa pensi? Domani sarà davvero il giorno della vittoria?» «Vittoria? - rispose il giovane - Che illusione! Qui è tutto un'illusione. Enea è imbattibile, le sue armi sono terribili e suoi Troiani sono guerrieri valenti. Del resto, si battono per la loro sopravvivenza e ogni giorno diventa sempre più dura. Il sangue scorre a fiumi. Il pianto delle mogli e delle madri in lutto è ormai incessante. Questa non era una guerra da combattere, questa è la guerra dell'inutile orgoglio di Turno, che ci porterà tutti alla rovina! » Camilla replicò: «Parli come mio padre. Non lasciarti abbattere, le difficoltà vanno affrontate con coraggio e determinazione. Ora non pensiamo alla battaglia di domani. Cerchiamo di stare tranquilli almeno stasera e di distrarci pensando a qualche cosa di bello.» «Per me è fin troppo facile. – le rispose Camerte cercando di sorridere - Basta guardarti.» Camilla iniziò a protestare, ma il giovane non le permise di continuare. «Ho conosciuto altre donne molto belle, Camilla, ma nessuna è come te. Tu sei fresca e trasparente come l'acqua sorgiva. Io riesco a vedere in fondo ai tuoi occhi, e vi vedo coraggio e grandezza d'animo, sacrificio e tanto dolore. Sì, Camilla, vedo e sento tanto dolore e vorrei aiutarti a cancellarlo per sempre dal tuo animo. » «Basta, non andare oltre! - lo interruppe Camilla - Tu stai tentando di aprire una porta che credevo di aver chiusa per sempre. Potremmo non arrivare alla sera di domani. Che senso ha parlare di questo? » Il giovane provò ad accarezzare il viso di Camilla che di scatto afferrò il suo braccio dicendo: 91 «Ho detto basta! Se tu fossi stato un altro avresti già il mio coltello piantato nella gola! Adesso scusami, ma vado a dormire.» La giovane volsca si allontanò rapidamente dirigendosi verso le sue tende. Camerte rimase immobile e pensieroso a guardarla allontanarsi in silenzio e si avviò verso la tenda a riposare, maledicendo tra se questa inutile guerra. Quella fu una notte tragica. Due audaci giovani troiani, Eurialo e Niso, avendo notato nel campo nemico un movimento che indicava probabilmente l’imminente assalto, decisero di effettuare una sortita allo scopo di avvisare Enea. Attraversarono quindi il campo nemico seminando morte tra i nemici addormentati incontrati sul percorso. Volcente li scoprì e fuggirono nel vicino bosco. Niso, il più veloce, riuscì a mettersi in salvo, ma quando si accorse di non essere seguito dall'amico, tornò indietro e scorgendo il suo compagno d’avventura già circondato dai nemici, scagliò, con il suo arco due dardi, uccidendo altrettanti nemici. Volcente, infuriato, si slanciò contro Eurialo per vendicare la morte dei suoi cavalieri. Niso, a tale vista, uscì allo scoperto addossandosi la colpa, ma ormai la spada di Volcente aveva trafitto Eurialo. Allora, pazzo di dolore, con la forza della disperazione, Niso si scagliò contro l'anziano guerriero e lo uccise. Trafitto poi dalle armi nemiche, cadde morto sul corpo senza vita dell'amico. Camerte, già provato dalle tante morti, sapeva che prima o poi la notizia della morte del padre sarebbe arrivata. Morire in battaglia è quasi sempre il destino di un guerriero. Era convinto ormai che lo stolto accanimento di Turno avrebbe provocato la fine di molti. 92 S’era inesorabilmente fatta l'alba. La battaglia non può attendere. Come un macabro rito, su ordine di Turno, Eurialo e Niso furono decapitati, le loro teste poste sopra due aste e mostrate ai troiani. Il silenzio irreale che precede la battaglia fu lacerato dal pianto e dalle urla strazianti della madre di Eurialo. Nella sua tenda, Camilla, con gesti lenti e rituali, prese la sua bisaccia di pelle dalla quale estrasse il vaso sacro e l'ampolla. Versò nel vaso il fuoco degli dei e lo accese. «Grande dea Diana, mia protettrice, a te onore e gloria. Guida la mia mano. Che sia ferma nel dare morte al nemico. Proteggi la tua umile serva dal ferro avversario. Che finalmente arrida a noi la vittoria!» Uscita dalla tenda, cinse l'armatura e, calzato l’elmo, controllò la tensione del suo arco. Poi verificò le frecce una a una. Infine, con voce alta e squillante si rivolse alle sue truppe: «Miei guerrieri! Oggi è il giorno dell'onore e del sangue. A noi il compito di guidare l'assalto! Che ognuno di voi scelga un compagno: controllate insieme le armi, arco e frecce, e che l'armatura non sia troppo stretta né troppo lenta. In battaglia guardatevi le spalle l'un l'altro. Ognuno di voi dipende dal proprio compagno, se salverete la sua vita è come se salvaste la vostra. In questo modo, forse sopravvivrete. Combatteremo questa battaglia per difendere le nostre famiglie e le nostre terre. Qualcuno di noi, questa sera, non tornerà al campo. Ma sappiate che le vostre gesta saranno ricordate per sempre. Ora preparatevi! Che gli dei guidino le nostre braccia! » Schierate tutte le truppe sul campo di battaglia, dopo un sguardo di intesa tra i capi, Turno diede ordine di dare fiato alle trombe e la battaglia ebbe inizio. Caronte 93 quel giorno ebbe un gran lavoro. L'impatto iniziale dei guerrieri Volsci guidati da Camilla permise a Turno di bruciare una torre dell'accampamento troiano, ma non vi fu vittoria per alcuno. Nonostante i rinforzi giunti in aiuto di Turno e nonostante l'assenza di Enea, i Troiani rimasero sicuri nel loro accampamento. La sera, gli stanchi guerrieri volsci commentarono entusiasti le gesta della loro regina. Camilla, esausta, sedeva intorno al fuoco. Arrivò Camerte e le si sedette accanto. I due giovani in silenzio fissavano le fiamme. «Allora? Questa vittoria? - chiese Camerte, con tono tristemente sarcastico - Che cosa ne dici dei Troiani? » Camilla restò ancora per qualche attimo in silenzio, poi rispose sommessamente. «Mi dispiace. Ho saputo di tuo padre» «Era un guerriero! Sapeva che la morte poteva raggiungerlo in ogni momento. Ognuno di noi sa che forse domani una freccia, un fendente possono in un attimo toglierci la vita. Che cosa buffa in fondo: questa mattina vedendo i due schieramenti pronti alla battaglia mi è sembrato di vedere due mandrie che si avviano ignare al macello. E' stato come se vedessi già tutti morti. Camilla, io non ho mai avuto paura. Non mi manca il coraggio di affrontare la spada, ma il pensiero di morire, ora che ti ho incontrato, mi sgomenta; tanto più per una causa senza senso. Lasciamo che la vita scorra su queste terre. Troiani, Volsci, Ausoni abbiamo tutti un cuore di uomo che batte nel petto. Respiriamo tutti la stessa aria, c'è posto per tutti su queste terre. Vieni via con me, abbandoniamo in fretta questa follia prima che ci trascini nell'abisso. Camilla, io ti amo e per questo voglio vivere. Vivere con te, insegnare ai miei figli la vita e non la morte. Voglio costruire e non 94 distruggere. Voglio sudare maneggiando l'aratro e non la spada. Voglio invecchiare con te e godere insieme di ogni respiro che la vita vorrà darci, fino a che stanchi e canuti, spento il lume, ci avvieremo insieme tra le braccia di Plutone. Chiedo forse troppo? » «Non chiedi troppo - rispose Camilla - Ma ci sono delle cose più importanti dei nostri desideri. Il nostro dovere di sovrani, il nostro onore. Abbiamo dato una parola e dobbiamo mantenerla. Se tutti seguissero irresponsabilmente ogni loro desidero, senza sottometterlo a regole dettate da un ordine superiore, il mondo si distruggerebbe. Mi sono convinta anche io che la guerra che stiamo combattendo è sbagliata e che noi insieme a Turno siamo destinati inesorabilmente alla sconfitta. Il fato arride a Enea e la guerra non sarà mai vinta. Ma ora non possiamo più tirarci indietro. – e sottovoce aggiunse - Non so cosa sia, ma anche io per te sento quello che dici. Non ho mai provato tutto questo prima d'ora. » Mentre parlava, Camerte le si avvicinò e la baciò teneramente. La giovane rimase inebetita e senza fiato; non sapeva, non poteva immaginare la dolcezza del bacio di un uomo innamorato. Turbata nel profondo da quell'evento per lei inatteso, sentiva il cuore in gola e non riusciva a recuperare il controllo di se stessa. Camerte comprendendo la situazione, con voce calma e serena, le disse: «Mia amata, sei stanca. La giornata appena trascorsa è stata lunga e domani sarà ancora peggiore. Andiamo a riposare. Prima o poi Enea sarà di ritorno e sarà tutto più difficile. E' ormai assodato che la guerra è dovuta esclusivamente a una questione personale tra Turno ed Enea. Mi chiedo allora, perché non risolvono la questione 95 da uomini. Un duello all'ultimo sangue porrebbe fine a questo macello. Così potremo tutti tornare a casa.» Camilla ritornò alla sua tenda e nel buio pian piano riprese il controllo di se stessa. Ripensò teneramente a quel bacio e a Camerte, alle parole di suo padre e alla battaglia, a Enea e a sua madre, e, lentamente, persa in quel turbinio di pensieri, Camilla scivolò tra le braccia di Morfeo. 96 XXI Giove tonante! Frattanto nell’Olimpo Giove, assai contrariato dalle frequenti intromissioni di Giunone e di Venere nel conflitto tra Troiani e Latini, convocò tutti gli dei al suo cospetto. Una volta riuniti, il Padre degli Dei iniziò a parlare: -Mia adorata Giunone, quante volte ti ho detto di non interferire nel destino di Enea? Un destino di gloria attende la sua discendenza e…Giunone colse al volo questa esitazione e iniziò subito a parlare: -Ma, mio adoratissimo marito, la colpa non è mia, è sempre Venere, quella sottospecie di meretrice, che aiuta nella maniera più sfacciata il suo adorato Enea, e io non lo sopporto. Non ho mai sopportato i cocchi di mamma, e poi mi hanno recato offesa e devono pagare!-Ma quale offesa!- La interruppe immediatamente la bellissima Venere. -Sei tu che ce l’hai con me e con mio figlio, senza alcuna ragione, o meglio la vera ragione la conoscono tutti…No?Pronunciò quest'ultima frase scandendo bene le parole e guardando uno per uno tutti i presenti che osservavano la scena divertiti. -Zitta!- Riprese Giunone, -Non mi interrompere! Come osi!? Ti credi bella? Ma non è solo la bellezza il corredo che deve avere una dea. Per soddisfare un marito non basta solo la bellezza. Vero, maritino mio?- 97 Giove, un tantino distratto dalle grazie di Venere, guardava altrove. -Giove!- Alzò la voce Giunone - Guarda me quando ti parlo, invece di distrarti.-BASTA! Mille volte BASTAAA!- Tuonò Giove, e quando tuona Giove trema L’Olimpo e tutta la terra compresa. Il silenzio fu immediato. -Bene, così va meglio. Lasciate che il fato compia il suo corso, non intervenga più nessuno! Ce l’ho anche con te, mia cara Diana… Sono stato chiaro? E' un ordine! Non sono disposto a tollerare nessun' altro intervento… Mia dolce mogliettina, vedrai che converrà anche a te, la nuova stirpe che nascerà dai latini e troiani sarà potente e a te molto devota. Tu Venere, hai aiutato fin troppo Enea. Dati i precedenti, non costringermi ad intervenire personalmente, e sai a cosa mi riferisco9. Adesso basta! Sono stanco delle vostre beghe, toglietevi di torno.Più tardi, Diana, sempre circondata dalle sue devote ninfe e dai suoi fedeli cani: -Mia diletta Opi, purtroppo prevedo grossi guai per la nostra Camilla. Non abbiamo possibilità di agire, Giove è stato 9 Un tempo Zeus/Giove, il padre degli dèi, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite/Venere stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, stabilì di punire la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale. Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio. Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori. La dea per convincerlo a corrispondere il suo amore assunse le vesti di una principessa frigia. Quando lei stava per procreare Enea, rivelò ad Anchise la propria identità e gli preannunziò che il nuovo arrivato avrebbe avuto fama eterna. L'amore di Afrodite per Anchise è narrato nell'Inno omerico ad Afrodite. Secondo la leggenda, Anchise, ubriaco, osò vantarsi del suo amore con la dea durante una festa: Zeus, per punirlo, lo colpì con un fulmine e lo rese zoppo. 98 chiaro: nessun intervento soprannaturale! Sempre per colpa di quelle due: quella svergognata di Venere, e quella petulante di Giunone. Camilla purtroppo ha scelto l’alleato sbagliato. Vai e sorveglia in battaglia la nostra diletta, se dovesse accaderle qualche cosa di spiacevole che sia almeno vendicata all’istante.Rispose docile la ninfa, accennando un inchino: -Cosi sarà fatto mia Signora…- 99 100 XXII L'ira di Enea Il giorno seguente, mentre infuriava la battaglia, Enea arrivò dal mare con i nuovi alleati etruschi. Turno vanamente tentò di impedirne lo sbarco. Nell'infuriare della battaglia, il re dei Rutuli uccise Pallante, fedele alleato e amico del principe troiano, e ne calpestò il cadavere spogliandolo del suo cinto d'oro. La morte di Pallante fece sorgere nell'animo di Enea un’insaziabile sete di vendetta. Con la spada sguainata, corse furente per il campo di battaglia in cerca di Turno, uccidendo tutti i nemici che gli si paravano davanti. Tra corpi aggrovigliati e cozzare di spade, tra urla di guerra e lamenti dei feriti, coperto dal sangue dei nemici, brandendo le splendide e possenti armi forgiate da Vulcano, Enea si aggirava rabbioso per il campo di battaglia, gridando: «Turno! Turno, che tu sia maledetto! Dove sei? Fatti trovare! Finiamo questo scempio una volta per tutte!» Mentre vagava tra le prime linee in cerca del Re dei Rutuli, ecco che Enea incrociò il biondo re di Amyclae. Riconoscendo in lui un condottiero di alto rango, lo affrontò. Camerte, conscio della sua inferiorità, cercò con astuzia di evitare lo scontro, ma l’ira di Enea fu implacabile. L'eroe troiano lo inseguì fino a raggiungerlo. Il giovane, resosi conto di non avere più scampo a meno di una disonorevole fuga, si girò e decise di affrontarlo. 101 Ben piazzato sulle gambe, spada ferma nella mano destra, scudo nella sinistra, Camerte attese senza paura l’impatto. Il Principe troiano, arrivato di slancio, piazzò un primo terribile fendente, il giovane riuscì a schivarlo deviando il colpo con lo scudo, ma Enea, recuperando subito l’equilibrio, tirò un altro fendente di ritorno. Camerte parò ancora una volta il colpo, ma lo scudo, dopo questo tremendo impatto, cedette di schianto. Immediatamente il figlio di Volcente a sua volta si allungò con la sua corta spada in un affondo, ma il troiano deviò prontamente il colpo con il proprio scudo. Il collo scoperto di Camerte era ormai alla portata della spada di Enea che, in un lampo, l’affondò fino all’elsa nel petto del ragazzo che crollò all’istante. Non molto distante, ignara dell’accaduto, Camilla combatteva con vigore e coraggio contro la cavalleria etrusca. Giunone, nel frattempo, autorizzata da Giove, prese le sembianze di Enea e, facendosi inseguire verso la spiaggia, allontanò Turno dal campo di battaglia, sottraendolo, almeno per quel giorno, all'ira incontenibile del principe troiano. Arrivò così un'altra notte di riposo e lutto nei rispettivi accampamenti. Camilla, come era ormai suo uso, sedeva presso il fuoco del suo accampamento e attendeva impaziente l'arrivo del giovane Camerte. La ragazza, ignara dell'accaduto, aveva riflettuto a lungo ed era pronta a confessare il proprio amore al giovane Re. Aspettò così ancora un poco, poi, irrequieta, decise di andarlo a cercare. La voglia di vederlo era troppo forte. Si avviò a passo spedito verso la zona dove si accampavano gli Ausoni di Amyclae. Ma, nonostante la luna illuminasse perfettamente il campo, non riuscì a scorgere i capelli 102 biondi del suo amato e, stranamente, l'accampamento era deserto. Nel suo animo l'angoscia incominciò a prendere il sopravvento. Sempre più agitata Camilla si diresse tra le dune, verso la spiaggia, dove si erigevano i roghi funerari. Vide tra il fumo denso e rossastro dei numerosi e tristi falò tutti i guerrieri Ausoni raccolti attorno a una catasta pronta per essere incendiata. Con il cuore in gola si avvicinò. Ciò che temeva era davanti ai suoi occhi: Camerte giaceva steso sulla pira, sul petto la sua spada, l'elmo e quel che restava del suo scudo. Il più anziano dei guerrieri si accingeva a dare fuoco al legno già intriso d'olio profumato, quando Camilla gli gridò di fermarsi. Il guerriero si arrestò volgendo il suo sguardo verso la regina. Camilla non aggiunse altro e, a testa alta, con il cuore in tumulto, si avvicinò lentamente alle spoglie del suo amato e ne baciò con delicatezza le fredde labbra. Presa poi con decisione dalle mani dell'anziano guerriero la fiaccola, senza indugio, appiccò il fuoco alla pira mormorando: «Va, amore mio, va, biondo guerriero dagli occhi come il cielo, raggiungi tuo padre, cavalcherai al suo fianco per sempre.» Camilla, regina dei Volsci, non versò una lacrima. Rimase in piedi, immobile e in silenzio, con lo sguardo fisso sulle fiamme che sembravano lambire il cielo. Rimase lì, fino allo spegnersi dell'ultima brace, sotto lo sguardo indifferente di una splendida e quanto mai lontana luna. Esauritesi le fiamme, mestamente ritornò sui suoi passi e si diresse verso l'accampamento volsco. Tante cose le tornavano alla mente. I suoi pensieri si accavallavano tumultuosamente, ma l'unica cosa certa era la sensazione di un vuoto incolmabile dentro di lei. Un senso di nausea 103 l'accompagnava a ogni passo. Ripensava al sorriso di Camerte, al suo sguardo dolce, al suo buonumore. Solo ora incominciava a capire nel loro significato più profondo le parole di Antonio. Solo adesso sentiva quanto fosse forte il sentimento che la legava al giovane re. Sì, solo ora si rendeva conto di quanto amasse Camerte, figlio di Volcente, re di Amyclae. Spossata e distrutta dagli eventi, quella notte Camilla cadde in un sonno profondo, agitato da incubi terribili. Si destò più volte madida di sudore e in preda all'angoscia. Come avrebbe voluto che suo padre fosse lì a consolarla e ad abbracciarla, ma il silenzio della notte era popolato soltanto dal lugubre lamento dei feriti. Camilla più volte sognò di cadere in un abisso oscuro e senza fondo: ogni volta che riusciva ad aggrapparsi a qualcosa, questo le si sfaldava nelle mani, diventando cenere, abbandonandola al nulla. Il giorno dopo, all’alba, Camilla fu convocata da Turno. Il re dei Rutuli era fatalmente ossessionato da Enea. Molti dei suoi alleati e collaboratori più stretti erano ormai morti. In gran numero tra i latini e i loro alleati si chiedevano perché i due avversari non si affrontassero in duello per decidere le sorti di una logorante e incerta guerra che era costata troppe innocenti giovani vite. Turno era venuto a sapere che Enea e i suoi alleati, volendo approfittare del momento favorevole, avevano l’intenzione di marciare su Laurento. Camilla allora prese la parola e si rivolse a Turno e al suo stato maggiore suggerendo un‘interessante strategia: «Re Turno, forse questa mossa di Enea ci darà la possibilità di porre fine a questa terribile guerra. Anticipiamo i troiani, raccogliamo il nostro esercito e muoviamo verso Laurento. Credendola una ritirata, Enea 104 ci inseguirà per porre in atto il suo piano. Tu, con le tue truppe migliori, ti terrai nascosto nel bosco nei pressi della città, invece io insieme ai miei cavalieri torneremo indietro facendo un ampio giro e, poco prima che i nostri avversari attraversino il bosco, attaccherò la cavalleria etrusca che sarà costretta a lasciare sguarnito il fianco dei troiani. Se sarai rapido e abile ad approfittarne attaccando con impeto, sfruttando l'effetto sorpresa, tu avrai la tua vendetta e la vittoria sarà nostra. » L’astuto piano di Camilla fu accettato con entusiasmo da Turno e dagli altri capi e iniziarono quindi i preparativi. Camilla ancora una volta si raccolse in preghiera nella sua tenda, prese i doni della dea Diana, li pose in terra dinnanzi a se e pronunciò questa parole: «O grande dea Diana, a te sia onore e gloria. Ho tradito il mio voto, mi sono innamorata di un uomo, ma non ne sono pentita. La forza dell’amore una volta scatenata è davvero inarrestabile. Per questa mia debolezza sono stata duramente punita. Il fato si è accanito contro di me togliendomi per sempre l’uomo che amavo. È stato come se avesse preso la mia stessa vita. Mia amata dea, ti sono infinitamente grata per i tuoi doni e per tutto quello che hai fatto per me, ma questa volta il sacro fuoco resterà spento. Affido la mia vita al destino e alla clemenza di tutti gli dei. Ora la vita per me sembra non avere più senso, io non so più se voglio vivere o morire. Che sia allora il fato a decidere!» Detto questo, usci fuori dalla tenda con passo deciso, saltò sul suo bianco destriero e gridò : «Mie guerriere, miei fedeli volsci a me! Pronti alla battaglia.» E si avviarono immediatamente al trotto verso Laurento. 105 XXIII Epilogo Dieci giorni dopo, arrivò al galoppo al “piccolo pozzo” un manipolo di amazzoni guidate dalla fedele Elinai. Come Antonio sentì il loro arrivo, si affrettò a lasciare il gregge e si avvicinò di corsa a casa. Arrivarono quasi contemporaneamente. Antonio cercò subito con lo sguardo se tra le cavallerizze ci fosse la sua Camilla, ma la ricerca fu vana. Quindi, appena le guerriere scesero da cavallo, il pastore cercò lo sguardo di Elinai. La ragazza mestamente abbassò subito gli occhi e Antonio capì. Seduti sullo spiazzo davanti casa, la giovane Elinai raccontò ad Antonio l'accaduto. La guerra era finita, Enea in duello aveva sconfitto e ucciso Turno. Era finalmente pace tra latini e troiani: Lavinia, la figlia di Re Latino, infatti, si sarebbe sposata al più presto con Enea. Camilla, invece, non avrebbe più fatto ritorno. «Eravamo ai margini del bosco presso Laurento. Guidati dalla regina abbiamo attaccato come un sol uomo la cavalleria etrusca. Tua figlia sembrava la dea Diana in persona, nessun avversario riusciva a tenerle testa, la sua furia sgominava chiunque le si parasse dinanzi. Mai come in quel giorno, il suo coraggio e la sua temerarietà la spingevano sempre più dentro lo schieramento nemico. Noi non riuscivamo a starle dietro per proteggerla sui fianchi. Conscia del pericolo, l'ho richiamata più volte 106 urlando ma, ormai, presa dall'esaltazione della battaglia, Camilla non sentiva più niente, aveva deciso che la splendida armatura di Cloreo, sacerdote di Cibele dovesse essere sua. Incurante dei mie richiami, Camilla ha continuato a inoltrarsi da sola sempre di più tra le fila nemiche, perdendo nell'impeto persino l'armatura. Ecco che allora un arciere etrusco di nome Arrunte, approfittando della favorevole situazione, ha preso di mira la nostra Regina. Io ho visto tutto, ma ero troppo distante e non potevo fare niente per aiutarla. La freccia scagliata dall'etrusco ha colpito in pieno petto tua figlia. Un attimo dopo anche Arrunte cadeva trafitto da una freccia, ma era ormai troppo tardi. Dopo terribili sforzi, io con le altre siamo riusciti a raggiungere la nostra Camilla, ma era ormai in fin di vita. Adagiata tra le mie braccia, mi ha ordinato di prendere il comando al suo posto e di avvisare Turno, ma purtroppo la cavalleria etrusca, imbaldanzita dalla morte della nostra regina, aveva preso il sopravvento. La battaglia era ormai persa. Antonio, amico mio, le ultime parole di Camilla sono state per te: “Dite a mio padre che aveva ragione, l'amore è una forza inarrestabile.”» Seguì un lungo, triste silenzio. Antonio ed Elinai commossi si abbracciarono. Poi, la ragazza proseguì: «La regina Camilla, tua figlia ha lasciato a me il comando del castrum, sarei molto onorata se tu, Antonio, continuassi a essere il mio consigliere, come lo fosti per lei.» Antonio si senti all'improvviso come se avesse mille anni sulle spalle, e con un filo di voce rispose: «Certo, è mio dovere. Camilla avrebbe voluto che così fosse. Ora però, vi prego, lasciatemi solo.» 107 Una volta partite le ragazze, lentamente, in silenzio, quasi trascinandosi, Antonio si recò in cima alla collina, nel tempio del suo animo: la roccia a strapiombo sulla valle. Si sedette come suo solito, lasciando i piedi a penzoloni nel vuoto e lasciò libero sfogo ai suoi tristi pensieri. Anche se da comune mortale non posso contrastare il volere degli dei, maledico mille volte questo fato crudele. Camilla: il mio fiore, appena sbocciato è stato falciato via, come i fiori più belli e rari è durato solo un giorno. Io, Antonio “il latino”, maledico la guerra, le spade, le battaglie e la bramosia di potere che sempre le scatena. Quante vite spezzate ho incontrato. Resta di loro soltanto il ricordo che forse svanirà con me. Anime travolte dalla spada, dall’odio, dall’ignoranza, dalla fame o soltanto dal tempo, spazzate via come foglie dal vento di un inesorabile destino. Tutti quelli che amavo non ci sono più, sono rimasto solo. Perché io? Perché io sono ancora qui e non gli altri ? Quando vado là in cima, tra il cielo e la terra, a cercare ragione interrogando gli dei, so che cerco risposte nascoste da sempre in fondo al mio cuore. Sono qui in alto, come piccolo lume, perché nella valle, 108 o su in montagna, o laggiù, in riva al mare, c’è ancora Camilla che cerca, una frase, un’idea, un esempio, che l'aiuti a trovare il sentiero che l’attende da sempre. 109 XXIV Galleria dei personaggi Antonio: saggio pastore Latino, alleva Camilla come un padre Arisia: moglie e sostegno di Antonio Metabo: violento re dei volsci, padre di Camilla, forte ma di un’ottusa superbia Camilla: regina dei Volsci, orgogliosa vergine guerriera, protetta di Diana Diana: dea delle selve, dona a Camilla il fuoco sacro come protezione Turno: semidio capo dei Rutuli. Coraggioso e leale, il suo orgoglio e la sua caparbietà saranno forieri di morte tra le file italiche Camerte: giovane re di Amyclae alleato di Turno 110 Indice generale I Prologo..........................................................................3 II Antonio il latino.............................................................5 III Metabo........................................................................9 IV L'infanzia di Camilla..................................................17 V Il cinghiale..................................................................21 VI La rivelazione............................................................25 VII Il Ritorno di Metabo.................................................29 VIII Camilla la Regina amazzone.................................33 IX Il Sacro fuoco ..........................................................39 X Castrum: L’accampamento.......................................41 XI La morte di Arisia......................................................43 XII Elinai e Lucero.........................................................47 XIII L'incursione dei Bruzi.............................................53 XIV Turno, re dei Rutuli.................................................59 XV L'incontro.................................................................64 XVI La bufera...............................................................69 XVII Il Re di Amyclae....................................................73 XVIII La cena...............................................................79 XIX La profezia..............................................................83 XX Guerra!....................................................................89 XXI Giove tonante!........................................................97 XXII L'ira di Enea........................................................101 XXIII Epilogo...............................................................106 XXIV Galleria dei personaggi......................................110 111