Artiterapie in e attraverso il gruppo
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Artiterapie in e attraverso il gruppo
Artiterapie in e attraverso il gruppo Carola Palazzi Trivelli Introduzione Le artiterapie danno il meglio di loro stesse in gruppo? Un gruppo che si riunisce per danzare, dipingere, fare teatro e contemporaneamente curarsi ha dinamiche diverse o eguali ad altri gruppi? Quale funzione ha e quanto conta il terapeuta, o conduttore, in un gruppo arteterapeutico? Certamente tutte le artiterapie si possono svolgere in gruppo: alcune di necessità come la drammaterapia o la comunicazione non verbale, altre preferibilmente come la danzaterapia, altre ancora come la musicoterapia o l’arteterapia (medium artistico la pittura, la grafica e la scultura) secondo i soggetti interessati, traendo estremo vantaggio, in determinati contesti terapeutici quali la psichiatria o le tossicodipendenze, dalle interazioni gruppali. Yalom, nel suo testo molto circostanziato: “Teoria e pratica delle psicoterapie di gruppo “ (Yalom 1975) afferma che gruppi con obiettivi simili fanno uso dei medesimi fattori terapeutici, fornendone un preciso elenco. Diane Waller (Waller “ L’uso dell’arteterapia nei gruppi 1993) ne riprende alcuni ed altri ne aggiunge ritenendoli specifici dei gruppi, che chiama interattivi, a mediazione grafico- pittorica. Le artiterapie hanno obiettivi simili, vedremo dunque quali siano e come agiscano i fattori terapeutici nei gruppi arteterapeutici sottolineando quelli più specifici al campo d’indagine, ampliando il discorso di Waller, ed in qualche modo restringendo o meglio puntualizzando quello di Yalom. Altri autori (Foulkes 1964, Bion 1961, Moreno 1946, Napolitani 1987) hanno segnato la recente storia, soprattutto in Italia, della descrizione e dell’analisi delle dinamiche dei gruppi. Cenni sull’applicabilità, alle artiterapie, delle teorie di questi autori saranno esaminate per introdurre la schematizzazione di quali complessi intrecci tra il qui ed ora ed il là ed allora avvengano in una seduta di gruppo a mediazione artistica, riprendendo una teorizzazione in tal senso di Giulio Gasca (Gasca 1992) nata dalla pratica analitica gruppale psicodrammatica. Un gruppo di arteterapia non può esistere senza un conduttore, garante del setting, ma questi ha compiti e caratteristiche più articolati rispetto ad un terapeuta di una psicoterapia verbale. Così gli stili di conduzione dell’arteterapeuta di gruppo saranno definiti in finale, anche se elementi in questo senso trovano posto in tutti i capitoli dedicati alle diverse tecniche. Le resistenze Chi si avvicina ad un gruppo di arteterapia ha spesso, anzi sempre, paura. Paura del gruppo. Paura della prestazione non verbale che gli viene proposta, in gruppo. <<Non sono capace, una volta lo ero, anzi no, non lo sono mai stato, adesso sarò capace?>> <<E gli altri lo sanno già fare?>> <<Gli altri, da quello che dipingerò, suonerò, da come mi muoverò, scopriranno qualcosa di me, che non voglio o non posso far loro sapere?>> Gli altri, chi sono questi altri, si domanda il paziente. << Stanno forse peggio di me, mi influenzeranno con il loro star male, di cui non potrò non accorgermi?>> Anche le parole sono pericolose, lo sanno tutti, ma al massimo si può star zitti, pensa il paziente. In questo caso gli viene proposto di dipingere, danzare, suonare, recitare, infine giocare (to play) con altri. <<Non sono più un bambino piccolo>> Tutti questi timori si trasformano in risorse nell’interazione gruppale arteterapeutica e diventano fattori curativi. Disistima di sé, paura della regressione, estreme difficoltà di comunicazione, sensazioni di completa solitudine, percezione del proprio mondo interno come denso di emozioni e pensieri negativi si ridimensionano nel fare insieme di persone ora non più mostri ma neanche dei. Talvolta può essere utile e raccomandabile, per aggirare alcune delle resistenze iniziali, proporre ed attuare una o più sedute individuali dell’arteterapia scelta. Controindicazioni riguardo alle artiterapie in gruppo non sembrano, infatti, esserci, se non per alcune manifestazioni di eccesso di drammatizzazione delle emozioni, come nel disturbo istrionico di personalità, e comunque un’attenzione puntuale alla composizione del gruppo ed alle tecniche di conduzione può ovviare anche a questi problemi. Nel mondo comune (Sartirana, Taverna ed al. 1987) delle possibilità infinite dell’espressione ciascuno trova il suo posto talvolta faticosamente, talvolta immediatamente. Si socializza, si imita l’altro, si apprende dall’altro, ci si sente parte di uno stesso universo, anche temporalmente coeso. Poiché se la parola si può cancellare, omettere, trattenere, il corpo invece non può mentire, soprattutto un corpo che fa, agisce, costruisce, accade ciò che sembrava impossibile: mostrarsi ed accogliere l’altro che si mostra, precondizione sostanziale per una comunicazione interattiva, soddisfacente e costruttiva, dunque non malata. Fattori Terapeutici generali L’interazione è già di per se stessa un fattore terapeutico. Vediamo dunque come si manifestano, nei gruppi di arteterapia, le dinamiche che favoriscono l’interazione. Tali dinamiche, che Yalom chiama fattori, sono strettamente interdipendenti e naturalmente non hanno tutte lo stesso valore: alcune possono essere considerate come condizioni per il cambiamento, altre veri e propri meccanismi di modificazione. Questi fattori curativi possono essere chiamati generali perché comuni a qualunque gruppo che si riunisca con lo scopo di operare un cambiamento nello stato di sofferenza psichica dei partecipanti: nei gruppi di artiterapie ciò avviene con certe originalità e particolarità che spesso ne potenziano l’effetto. In qualunque gruppo circolano delle informazioni: l’Informazione, definita come istruzione didattica circa la salute mentale o comunque come consigli, suggerimenti, rispetto a problemi esistenziali è un fattore terapeutico presente nelle artiterapie. Le risposte ottenute dal terapeuta o da altri membri del gruppo a domande come: <<perché sono qui, perché mi fa bene esprimermi disegnando, danzando?>> sono un collante per il gruppo ed anche un utile sostegno al problema della coscienza di malattia ed alla compliance rispetto all’eventuale uso di farmaci. Si viene informati, sul piano dei disturbi sperimentati, che ciò che è successo all’uno è già accaduto ad un altro, per esempio sentire delle voci o essere stati abbandonati dai genitori, questo non in un contesto di una scuola di danza, palesemente, bensì in luogo apposito per l’accoglimento della sofferenza psichica. Le dinamiche di gruppo relative all’informazione consentono l’accesso ad altri due fattori curativi ad essa strettamente collegati: l’infusione della speranza e l’universalità. Nei partecipanti ai gruppi, nei nuovi specialmente, si radica la convinzione che è possibile parlare, anche senza parole, di esperienze che precedentemente si ritenevano solo, e spaventosamente, uniche e proprie. L’universalità della sofferenza umana, tangibile in quadri, sculture o ruoli teatrali propri, altrui od anche collettivamente riconosciuti provoca sollievo ed infonde speranza: qualcuno, molti ci sono passati, molti <<dunque anch’io>> possono comunicarla. Le pareti in legno di un atelier di arteterapia non sono bianchi, bensì segnati da mille rivoli di colori, che si sono sovrapposti negli anni, laddove ciascun paziente ha appoggiato il suo foglio per disegnare. Quei pazienti non sono più nell’atelier, oggi, hanno una casa, un lavoro, una fidanzata, una famiglia. Qualcuno dei pazienti di oggi ricorda di averli visti dipingere. In un gruppo di danzaterapia per anziani il paziente che mostra la ritrovata piacevolezza del movimento a chi si è, al contrario, ancorato alla routine e all’attesa, come dice Bianconi in questo stesso testo, fa circolare speranza, che induce cambiamento ben al di là del momento presente. I pazienti, non solo i terapeuti, hanno quindi qualcosa da dare: la loro quantità d’autostima risale, si attiva il fattore curativo dell’altruismo. Tuttavia come può il cieco guidare il cieco (Yalom 1977 pag. 28) o come nel racconto Cattedrale (R. Carver 1984) un cieco guidare la mano di un vedente? Si può, è anzi indispensabile, che l’altro, molti altri siano presenti in un’interazione teatrale, in un canto corale, in un gioco di comunicazione non verbale. Per talune artiterapie il fattore curativo dell’altruismo (sempre nel senso di Yalom) è fonte diretta di cambiamento, e non solo in quanto favorisce l’interazione, poiché è parte integrante del metodo la collaborazione e la donazione di parti di sé, in questo caso più sane che malate Come in molti altri gruppi anche nelle artiterapie le esperienze vissute nel contesto familiare, con tutte le loro distorsioni, tendono naturalmente a ripresentarsi come schemi di comportamento ripetitivi. Yalom chiama questo fattore il riepilogo correttivo del gruppo primario familiare. I terapeuti possono così venire vissuti come onnipotenti in tutto ed in particolare in quell’arte, e gli altri componenti del gruppo come fratelli rivali. Tuttavia il contesto gruppale che utilizza come medium relazionale prevalentemente l’espressione artistica è talmente diversa dalla situazione familiare originaria che ciò facilita l’attenuarsi degli schemi ripetitivi: ben raramente può essere, infatti, accaduto che la famiglia del paziente giocasse, esplorasse o facesse musica insieme. Magari l’avesse fatto! Il gruppo arteterapeutico restituisce a chi racchiude elementi di autorità, sapere (paterni) e d’accoglienza tollerante (materni) la normale dose di potenza permettendo, nell’analisi delle differenze, di ricollocare i ricordi ed anche di fare esperienza di rivalità oggi ben meno dolorose, anzi talvolta addirittura divertenti, rispetto ad ieri. Anche se non come scopo primario nei gruppi di arteterapia vengono sviluppate tecniche di socializzazione e possono di conseguenza venire corretti i comportamenti distorti. Una seduta di gruppo ha le sue regole: obiettivo prevalente, durata, scansione in fasi, alternanza tra momenti individuali e collettivi. Il fatto che l’atmosfera sia ludica ma contemporaneamente vi sia un compito da svolgere (danzare, recitare, suonare) favorisce la socializzazione corretta. Un gruppo di arteterapia è un lavoro ma è anche una festa: vengono dunque sollecitate strategie di coping e di problem solving così come abilità sociali necessarie in situazioni affettivamente connotate. Un altro elemento rafforzativo importante per il cambiamento, strettamente intrecciato al precedente, è il comportamento imitativo. <<Se lui può usare i colori ad olio posso provare a farlo anch’io>> L’uso frequente di Io ausiliari nelle artiterapie ha proprio il significato di favorire l’imitazione, poiché si è dimostrata un fattore curativo efficace (Bandura Ross 1963). Ausiliare qui non vuol certo dire vicariare, mettersi al posto di, né tanto meno insegnare o forzare all’imitazione, piuttosto porsi come modelli di spontaneità, curiosità e ludicità adulta, infine messa in gioco del possibile e non solo del già dato. Ultimo fattore, il più importante di quelli aspecifici ovvero generali, nelle artiterapie, è l’apprendimento interpersonale, che poggia le sue basi sull’interazione, sostenuta dalle dinamiche precedentemente descritte. Il presupposto è che la sintomatologia del paziente affondi le sue radici nelle relazioni interpersonali disturbate e che il gruppo di trattamento si evolva in una rappresentazione in miniatura dell’universo sociale di ciascuno, o microcosmo sociale. L’autosservazione ed i rimandi degli altri membri del gruppo innescano come dei cicli d’apprendimento sulla percezione emotiva che il paziente ha di sé e del proprio rapporto con gli altri. Gradatamente può venire raggiunta una esperienza emotiva più corretta mutando il paziente i suoi comportamenti e le sue espressioni. Ciò dovrebbe avere un effetto bidirezionale, consentendo l’esportazione dei comportamenti corretti fuori dal gruppo e riportandoli poi nuovamente all’interno del gruppo. Questa impostazione teorica è astorica e fa riferimento al concetto che siano possibili cambiamenti sostanziali pur ponendo attenzione esclusivamente all’hic et nunc (qui ed ora). Il fattore terapeutico dell’apprendimento interpersonale agisce senz’altro nelle artiterapie ma non in modo così incisivo come nelle terapie verbali, dove lo spazio dedicato ai rimandi che suscitano modificazioni nella consapevolezza di sé sono numerosi. Il focus è altrove, come si vedrà esaminando i fattori terapeutici specifici, e sta nell’intreccio fra qui ed ora e là ed allora. Ciò ha la sua ragion d’essere nelle tipologia di pazienti maggiormente interessata dalle artiterapie: psicotici, bambini, handicap, adolescenti con gravi disturbi della personalità. L’interazione di gruppo basata su un fare, su un esprimere non verbale veicola informazioni sull’agire psichico, utili a tutti i componenti del gruppo, ma il passato fa capolino continuamente nei gruppi, come racconto di sé, come ascolto degli errori e delle conquiste altrui, e come immagini condensate di gesti che vengono da lontano. Si apprende e dunque si può avere l’opportunità di modificare i comportamenti e le convinzioni errate, che sono state ben poco vincenti, anzi negative, soprattutto sul piano simbolico ed emotivo, meno sul piano della coscienza. L’aumento delle interazioni semplici ed immediate consolida gli apprendimenti interpersonali non verbali corretti tuttavia necessita, per gli aspetti di autoconsapevolezza, di approfondimenti terapeutici, o individuali, o in gruppi altrimenti strutturati. Fattori terapeutici specifici Altri fattori sono specifici delle artiterapie e sono verificabili sia nelle conduzioni individuali sia in quelle di gruppo; il gruppo può modificarli o potenziarli. Anche qui vediamo quali sono e come si manifestano e quando sono di sostegno all’interazione. Il fatto che questi fattori siano detti specifici, non significa che non possano essere attivi anche in altre forme di terapia o di riabilitazione che nulla hanno da spartire con le arti, né che si manifestino contemporaneamente e con la stessa incisività. Definirli mi è parso già un passo avanti: la verifica puntuale della loro minore o maggiore efficacia è il lavoro che attende le artiterapie nel futuro. Per collegarsi con quanto appena affermato nel paragrafo precedente il primo fattore da prendere in esame è la valorizzazione della comunicazione non verbale. Le competenze preverbali, paraverbali, metalinguistiche da parte dei pazienti sono spesso usate inconsapevolmente, talvolta a sproposito, o addirittura perdute e in ogni modo temute nell’altro come in se stessi. Man mano che si frequenta un gruppo arteterapeutico s’impara o si re- impara a riconoscere e a distinguere le metacomunicazioni e a dare valore a gesti, toni di voce, movimenti nello spazio, dunque comunicazioni senza parole proprie ed altrui. Il saper leggere un sorriso è equivalente al decodificare l’uso del rosso in un disegno, l’attendere il proprio momento in una sequenza musicale per esprimere una data emozione in sintonia con altri presuppone e sviluppa competenze relazionali non da poco in quanto coscienza del proprio corpo emotivo in mezzo agli altri. L’aumento della fiducia e dell’attenzione alla comunicazione senza parole sono effetti già riscontrabili a breve termine in un gruppo di arteterapia. I pazienti vengono naturalmente sollecitati in questo senso già dal contratto iniziale, che precede il gruppo, contratto che li vincola ad avere un oggetto e uno scopo condiviso di tipo espressivo artistico sottolineando così aspetti del vivere meno razionali e linguistici, analogici e non digitali. Ciò ci porta direttamente all’altro fattore a questo strettamente collegato: la creazione artistica. Infatti, al termine di una seduta c’è sempre qualcosa che prima non c’era, qualcosa di creato collettivamente insieme, in quello spazio e in quel tempo: nel caso delle arti grafiche l’oggetto è tangibile, quadro o scultura, nel caso della danzaterapia è il ricordo, impresso nel corpo, dei gesti coreograficamente realizzati. Sotto quest’aspetto non sembrerebbe esservi differenza tra una seduta individuale ed una di gruppo, tuttavia nella prima il medium artistico media, appunto, ed accompagna la relazione ponendo meno attenzione, inevitabilmente, alla produzione interattiva, nella seconda il gruppo è indispensabile affinché quella creazione avvenga. Ciò non vuol dire fare, inventare, tutti la stessa cosa, bensì che lo spunto, il coraggio creativo dell’uno s’irradia, per così dire, nell’altro, favorendo in ciascuno ed in tutti qualcosa che è arte, nel senso di rottura di schemi ripetitivi, modi altri di rileggere la realtà e quant’altro si possa intendere per arte. A proposito di ciò rimando ai capitoli sull’antropologia dell’arte e sul modello artistico. Può essere significativo, e qualcuno lo fa, riprendere tramite un video la creazione artistica ottenuta, quando si tratta di tecniche artiterapeutiche che non producono oggetti, sottolineando così a persone sfiduciate, bloccate, inaridite l’evidenza delle possibilità creative insite in ciascuno e messe in risalto, potenziate dal gruppo. Lo sviluppo della creatività artistica dentro al gruppo produce nei componenti una maggiore apertura verso nuovi apprendimenti, nuovi rapporti, nuove sfide affettive e cognitive. Tecniche di conduzione analogica quali titolare una seduta di arti grafiche, disegnare a puzzle su uno stesso grande foglio, scegliere o costruire collettivamente il pezzo teatrale da rappresentare o quello musicale da ascoltare e da riprodurre sostengono questo fattore. Non vi potrebbe essere creatività senza l’attivazione di un altro aspetto altamente terapeutico, quello della sperimentazione ludica, potenzialità che persone, adulti o bambini, imbrigliate nella loro sofferenza solitamente hanno perduto o messo da parte. Danzare e dipingere permettono di giocare con il corpo, con gli oggetti, e con le proprie idee in un atteggiamento esplorativo svincolato da una validazione di merito. Non vi è uno scopo produttivo nella sperimentazione artistica, se non quello precedentemente detto dello sviluppo della creatività, e non vi è creatività giusta o sbagliata, anche se vi sono altri che guardano. I gruppi arteterapeutici sono un collettivo non giudicante: la sensazione di sollievo del singolo rispetto alle proprie capacità è notevole ed ha un effetto riverbero anche fuori dal microcosmo della seduta. Adulti ma anche bambini che l’avevano perduto incredibilmente, ritrovano quel gusto del gioco dove la collaborazione ed il piacere di inventare sono fondamentali per la riuscita del prodotto finale. Come dice Waller (op.cit. pg.55) “il gruppo ha a disposizione un elemento di gioco ed uno più serio”. Per molte persone è più semplice e meno minaccioso passare attraverso l’uno, il piacere del gioco, per arrivare all’altro o meglio agli altri. Questi altri sono: l’espressione attraverso la simbolizzazione, l’espressione attraverso la catarsi e l’espressione che conduce all’introspezione. Ho riflettuto a lungo se l’espressione di per se stessa debba considerarsi un fattore terapeutico. Ritengo di no. L’espressione è il compito fondamentale di un gruppo di arteterapia, cui il conduttore deve riportare continuamente il gruppo, ovvero come compito del singolo e modo di interagire prevalente tra i componenti, come si vedrà più puntualmente nella sezione dedicata agli stili di conduzione. Dunque l’espressione, definibile come “un segno che manifesta qualcosa rendendo percepibile o intelligibile ciò che prima non lo era o lo era sotto un profilo diverso” (cfr. Enciclopedia Einaudi pag. 855) è veicolo essenziale per l’esplicitarsi dei fattori terapeutici nei gruppi, ma non può dirsi terapeutica di per sé in quanto va indirizzata, formalizzata, nel senso di darle una forma, eventualmente contenuta, spesso incoraggiata. Espressione fu anche l’aggirarsi per le strade della città di un paziente in fase maniacale, nudo, completamente dipinto di bianco. Questa persona non aveva mai fatto arteterapia, frequentava una scuola d’arte e sosteneva di star preparandosi per la Biennale di Venezia. Infatti, l’espressione va rapportata alla rappresentazione, che comporta un alto grado di intenzionalità, e seguendo Cassirer (1923/1929), quando parla dell’espressione artistica, si può affermare che questa sia non solo un’intuizione ma estrinsecazione ed oggettivazione dell’intuizione stessa in un dato materiale, in una data imprescindibile tecnica (sempre Enciclopedia Einaudi pg.858). Ritorniamo così ai fattori terapeutici definendo quella che può essere la rappresentazione attraverso i simboli, intuizioni che prendono forma. I quadri, i gesti, i toni di voce e le armonie, nelle sedute, sono carichi di contenuti simbolici. L’uso delle metafore è costante, e per un maggior approfondimento si rimanda al capitolo sul modello analitico immaginale. Quello che qui si può affermare è che il fattore terapeutico che agisce nelle artiterapie è quello della facilitazione dell’accesso alla simbolizzazione laddove per simbolizzazione intendo riferirmi (come già in Palazzi, Lo psicodramma junghiano per bambini: il mondo del fantastico e dell’immaginale, 1992) sia all’idea freudiana e winnicottiana (1965) di un segno che rimanda a qualcosa d’altro, sostanzialmente inconscio, sia al concetto junghiano (1952) di simbolo come un’idea intuitiva che non può essere formulata altrimenti o meglio, ed anche naturalmente alla definizione di funzione simbolica in Piaget (1945). Nelle artiterapie si lavora molto per favorire la simbolizzazione, talvolta per ridurla, come nel caso della schizofrenia quando ce n’è in eccesso. Il reimparare a giostrarsi correttamente tra i simboli che naturalmente emergono durante un’operazione artistica è favorito dall’interazione gruppale ed a sua volta la arricchisce. Wadeson (1987), citato da Waller, dice che il messaggio portato dalle immagini viene trasmesso agli altri partecipanti, i quali ne sono toccati, anche se non riescono a descrivere le loro impressioni verbalmente. Forse non così spesso come si potrebbe essere portati a pensare, si verificano fenomeni catartici ( Yalom, Moreno) in seduta, che hanno effetto terapeutico. Catarsi significa liberarsi di un segreto, riviverlo e condividerlo con le sue connotazioni profondamente emozionali. Sentirsi, dopo, nuovi e più leggeri. C’è una catarsi specificatamente arteterapeutica, ed è quella dei gesti, delle immagini, dei ritmi tenuti nascosti a lungo, che si liberano all’improvviso, finalmente. Una catarsi parziale, se vogliamo, che nulla ha a che vedere con lo svelarsi del “trauma originario”. In un processo di gruppo accade che quel segno così deciso, quel colore così intenso, quel tono di voce così incisivo o delicato rimbalzino dall’uno all’altro, permettendo l’espressione, come da definizione, di segreti antichi, di emozioni a lungo trattenute. E’ una catarsi non verbale da cui può scaturire la catarsi verbale, ovvero l’esplicitazione di conflitti emotivi o spesso semplicemente il racconto di questi. Ad una simile narrazione, accompagnata talvolta da un sospiro di sollievo, può far seguito un tentativo di introspezione, sollecitato dagli altri componenti del gruppo o dallo stesso conduttore, o il vero e proprio insight, intuizione improvvisa e conoscitiva di sé. Il fattore terapeutico dell’introspezione agisce a due livelli nelle artiterapie. L’uno come possibilità di accesso e comprensione di lati della propria personalità più strettamente connessi ai comportamenti non verbali, alle possibilità creativo/espressive e ludiche. Lo scoprirsi rigidi, bloccati in un certo movimento di danza, riconduce indietro nel tempo al ricordo ed al collegamento ad uguali rigidità ad esempio a scuola, con la madre, con l’amante. La conoscenza di sé in questi ambiti dell’esistenza è costante nei gruppi. L’altro livello riguarda l’interrogarsi, e il trovare delle risposte, sulle ragioni dei propri comportamenti, pensieri, sentimenti ritenuti inaccettabili da se stessi o dagli altri, e l’effettuare sistematicamente dei collegamenti con periodi passati della propria vita o con elementi, quali i sogni o le fantasie, appartenenti alla vita psichica ma non sempre presenti alla coscienza. Questo livello dell’introspezione, da alcuni ritenuto più profondo, alludendo alle profondità dell’inconscio, ma da non ritenersi necessariamente sinonimo di più incisivo, può verificarsi in sintonia ad un certo tipo di conduzione, ad alcuni modelli di riferimento, ed a certi tipi di componenti dei gruppi. Con pazienti sofferenti di handicap cognitivi, o con pazienti bambini questo tipo di introspezione è raro che si attivi ad esempio. Il modello fenomenologico, il modello riabilitativo ed anche quello immaginale non puntano sull’introspezione I gruppi di formazione per operatori, o quelli in cui i partecipanti non hanno problemi cognitivi ma soprattutto affettivi sì. Senza addentrarsi nella spinosa questione se l’analisi del transfert sia un fattore incisivo e verificabile di cambiamento, e rimandando comunque al capitolo sull’argomento, occorre rilevare che, nelle artiterapie, si riscontra una facilitazione nel riconoscimento dei meccanismi proiettivi e di transfert/controtransfert. Proiezioni ed attribuzioni di comportamenti ed affetti transferali circolano nelle artiterapie come in qualunque gruppo, la specificità qui sta nella concretezza di tali manifestazioni<<Hai fatto proprio il gesto che faceva mia madre, non lo sopporto>>. <<Lei, dottoressa, sì che suona bene, io non sarò mai capace>>. <<Hai scelto di dipingere su uno sfondo nero proprio perché oggi è la prima volta che vengo io, vero?>>. E da qui il copiare, l’imitare, il riprodurre, l’attribuire significati occulti, od anche l’offrire omaggi, sempre non verbali, aspettando di esser finalmente ricambiati. Il tentare di essere il più bravo o l’unico che non sa far niente e quindi se ne sta da parte aspettando di essere chiamato a partecipare è così evidente che strappa il sorriso non solo ai conduttori, ma spesso anche agli altri pazienti che l’hanno già sperimentato. Un riesame della seduta con tutte le sue interazioni, rese concrete dall’utilizzo del mediatore artistico, permette di riconoscere più facilmente che nelle terapie verbali l’intreccio di proiezioni e l’evolversi delle dinamiche transferali, che Taverna definisce come transfert sull’oggetto e transfert sovrapposto. Evidentemente se il modello applicato e la situazione lo consentono l’interpretazione del transfert sarà agevolata e potrà essere offerta al paziente sia in forma verbale che in forma di comunicazione metaforica. Ho lasciato per ultimo il fattore curativo della coesione e sincronia, in quanto agisce come rinforzo per tutti gli altri, generali e specifici, e viene avvertito come estremamente rassicurante da tutti i tipi di pazienti. Raramente c’è frammentazione in una seduta di arteterapia di gruppo. Il gruppo è un luogo sicuro, si è tutti lì per la stessa ragione, dipingere o danzare e ciò avviene con tempi simili, sincronizzati: la produzione musicale, la scena teatrale hanno unità di tempo e di luogo; il gruppo arteterapeutico è certamente qualcosa di più della somma dei suoi componenti e delle loro solitudini. Qui ed ora e là ed allora: uno schema d’interazione Affrontiamo adesso il problema se le artiterapie agiscano, terapeuticamente, in base ad un processo che coinvolge contenuti relativi al qui ed ora (hic et nunc) oppure, come accade certamente per i gruppi psicoanalitici (Foulkes 1964, 1975) in base a contenuti indissolubilmente legati al là ed allora. Un’impostazione terapeutica astorica concentra l’attenzione su ciò che sta accadendo nel gruppo al presente, proprio in quel momento. Concentrare l’attenzione sul qui ed ora è efficace (Yalom pg.151) in quanto il comportamento interpersonale di ciascun paziente all’interno del gruppo è una rappresentazione precisa del suo comportamento interpersonale al di fuori del gruppo. Tuttavia, come già esposto, per le patologie prevalentemente interessate dalle artiterapie, purtroppo le modificazioni che avvengono dentro i gruppi, in termini di apprendimenti di comportamenti emotivi corretti, stentano ad essere esportate fuori dal gruppo e viceversa. Può accadere ad esempio che un paziente costantemente invada, con i suoi segni grafici, lo spazio già disegnato altrui, o che non trovi mai lo strumento adatto a sé e si impadronisca di frequente dello strumento musicale del conduttore o di un altro membro del gruppo per lui significativo. Ciò può venire osservato verbalmente, nelle artiterapie, tuttavia molto più incisivo è il rispondere con una comunicazione analogica a tale comportamento interpersonale, ovvero utilizzando un medium non verbale, segno grafico, suono o ruolo, che da una parte inneschi il ricordo di qualcosa di simile accaduto nella storia personale del paziente e dall’altra confermi tutto il gruppo nel continuare a perseguire il suo compito principale, ovvero la comunicazione attraverso quell’arte. Nell’esempio il non poter mai trovare il proprio posto e dunque costantemente appropriarsi dei mezzi di un altro per esprimersi, per essere al mondo, è storia di oggi ma anche storia di ieri, e difficilmente si modificherà senza che i due elementi non compaiano appaiati: non è sufficiente dunque sottolineare il fenomeno verbalmente, e neanche comunicarlo metaforicamente. E’ fondamentale favorire l’interazione tra il racconto, sotto forma di immagini, gesti o suoni, del non aver posto di ieri, del rubare il posto di oggi, della contemporanea evocazione della risposta dell’altro espropriato, oggi ed ieri, sempre in forma non verbale appropriata per ottenere un qualche tipo di coscienza del problema. Del resto i fenomeni, o stati emotivi gruppali, che Bion (1961) descrive, i famosi presupposti di base, si verificano puntualmente nei gruppi di arteterapia. I gruppi attraversano momenti in cui i partecipanti si sentono uniti su di un piano di parità ( tutti recitano, o disegnano), in cui il senso di dipendenza è forte ( attesa che il leader dica quel che si deve disegnare o suonare) e infine in cui prevale il presupposto di lotta/fuga (meglio non danzare o recitare, anzi parliamo). Tuttavia proprio il metodo stesso delle artiterapie, che sta nell’interazione tra le immagini visualizzate e rappresentate, nel richiamo costante al lavorare su di sé attraverso l’espressione artistica scelta, consente di ricondurre il gruppo, o meglio il gruppo si riconduce da sé, al suo compito principale: la comunicazione profonda, che non può essere senza interazione tra qui ed ora e là ed allora. Vediamo di definire chiaramente il là ed allora e come emerge nei gruppi. Tutto ciò che è stato esperito in termini di vita psichica personale (affetti, pensieri, sogni, fantasie) ed anche le relazioni passate fanno parte del là ed allora, sia che questi elementi, talvolta frammenti, siano già stati ricordati, facilmente richiamabili alla memoria, o del tutto inconsci. Foulkes (1975) parla di gruppo come matrice della vita mentale. La psicologia, ed anche la psicopatologia, per lui, sono sostanzialmente il frutto di una rete inconscia di rapporti. Nel gruppo dunque le antiche reti di proiezioni, di identificazioni assestate e talvolta dolorosamente mancate, vengono inevitabilmente a rivivere, ma possono essere riguardate in quanto il gruppo terapeutico è esperienza del tutto diversa da quella precedente. Napolitani (1987) amplia ed approfondisce questo concetto asserendo che ogni relazione umana è luogo di drammatizzazione delle gruppalità interne o matrici identificatorie degli individui e postula le fasi che un gruppo può attraversare, o meglio registri dell’esperienza: reale (Universo P o protomentale), immaginario (Universo S o transpersonale dell’assoggettamento), e simbolico (Universo R o interpersonale progettuale). Senza pretendere di poter riassumere in due righe un pensiero così complesso, nel senso di Morin (1982), dirò che nel registro dell’universo P trovano posto le configurazioni gruppali degli assunti di base e della fusionalità, l’universo S è il luogo del passato, del transfert, e l’Universo R quello delle relazioni oggettuali mature, dunque della capacità di lavoro, del futuro, della curiosità e dell’attitudine riflessiva e del fare come trasformazione di senso. Un gruppo arteterapeutico usa tutti e tre questi registri. O meglio attraversa i primi due sotto la spinta costante del conduttore che li guida verso un fare che vuol essere trasformazione di senso, in cui prevalgano curiosità e riflessività, e l’assunto del lavoro, non quello del potere o della fusionalità (cfr. Napolitani 1987 pg.110 e seg.). Il gruppo, come accade nei laboratori di libera espressione senza setting, e nelle fasi preparatorie, dette di riscaldamento o di fondazione, delle artiterapie vere e proprie, strutturate, sperimenta l’eccitazione creativa, il desiderio di esserci ed il qui ed ora e il là ed allora si presentano mischiati, difficilmente distinguibili. Il gruppo può in seguito spingersi, in una stessa seduta, ad usare il registro transpersonale, dove il passato, il mondo interno, il là ed allora emergono nei disegni, nei personaggi giocati, nei gesti e nei suoni. Le espressioni, cariche di significati, attendono di essere interpretate, ritradotte in un codice linguistico che ci si aspetta appartenga esclusivamente al conduttore. Talvolta accade che le immagini che si formano nella mente stentino ad essere espresse in quanto i pazienti richiedono la prescrizione tecnica da parte del terapeuta, o comunque da chi è giudicato esperto, sulla corretta forma da dare a quell’idea. Siamo nella configurazione gruppale che si muove all’insegna del potere, dell’affidare sempre all’altro il segreto, in questo caso dell’espressione. Il gruppo non sta ancora lavorando come tale. Naturalmente può essere necessario per alcuni partecipanti, o per tutto il gruppo transitare per questa fase, in una stessa seduta o per più incontri. Arrivare ad una vera relazione interpersonale che sia progettuale per sé e per la relazione è la fatica delle artiterapie. La fase della condivisione, come la chiama in questo stesso testo Pitruzzella per la drammaterapia, o dell’invenzione della storia con conseguente riflessione nell’arteterapia grafica e pittorica, sono esempi del muoversi del gruppo in un diverso registro dell’esperienza. Qui il leader è garante del progetto, non è né padre, né madre né maestro, la comunicazione è un dialogo tra tutti i partecipanti, le domande di ciascuno circolano in forma di immagini e trovano, se le trovano, risposte in termini di accesso all’esperienza altrui, passata e presente, che può modificare la propria. Penso sia evidente come, applicando il metodo di lettura gruppoanalitico di Napolitani alle artiterapie, ciò che è accaduto prima e ciò che sta accadendo nel momento presente di una seduta strutturata siano il motore del costante intreccio portatore di cambiamento, tra il già stato e il non ancora attraverso il gruppo (Napolitani 1996). A maggior chiarezza sull’argomento ricordo che Giulio Gasca (1992) ha elaborato uno schema, semplice e complesso al tempo stesso, sull’intersecarsi costante, in ogni gruppo, tra gli elementi appartenenti alla storia della propria vita, quelli appartenenti al mondo interno, ed i ruoli assunti e poi rappresentati nello psicodramma analitico. Tale schema, a triangolo, in cui il focus sta nel centro, nel’interazione tra i ruoli, può essere agevolmente applicato alle artiterapie. La teorizzazione di Gasca nasce dalla lunga pratica psicodrammatica (junghiana) di gruppo (Gasseau, Gasca 1991) e pone molta attenzione al fatto che ogni vertice del triangolo rappresenta non una configurazione fissa ma una costellazione di ruoli, che si esprimono in sfumature molto complesse nei diversi componenti il gruppo che entrano così in risonanza reciproca (Gasca, Bozzarelli 1996). Qualcosa di simile accade nei gruppi di arteterapia, dove il concetto di ruolo è sostituito dal concetto di immagine. La parola immagine richiama percezioni di ordine essenzialmente visivo tuttavia qui io la utilizzo come equivalente, e contenente, di espressioni umane, apparentemente diverse tra loro, quali gesto, suono, tono di voce, movimento nello spazio, rappresentazione grafica o scultorea, Mi richiamo all’idea junghiana di immagine o espressione della situazione psichica globale (o parziale) che non può essere manifestata altrimenti o meglio. (Per un approfondimento vedi in questo stesso testo il capitolo sul modello analitico immaginale). Immagine viene dal latino imago, a sua volta riconducibile alla radice indoeuropea yem che significa doppio frutto: ogni rappresentazione arteterapeutica è un doppio frutto di cui una parte resta propria, appartenente a colui che si esprime e l’altra, ma ne è indistinguibile giacché il frutto è uno solo seppur doppio, appartiene alla relazione. L’immagine, infatti, è espressa di fronte e grazie alla presenza degli altri, senza i quali quell’immagine non sarebbe scaturita, non avrebbe mostrato il lato relazionale del frutto. Nello schema di descrizione del funzionamento di un gruppo arteterapeutico (tabella 1) nel vertice superiore troviamo così le immagini espresse da ciascun componente il gruppo che possono scaturire dal mondo interno di ciascuno o essere state precedentemente o contemporaneamente sollecitate dalle costellazioni inconsce evocate dal gruppo. Queste espressioni di gesti, suoni, segni grafici possono essere anche rappresentazioni di relazioni attuali, vissute in quel momento, naturalmente influenzate dalla storia passata, oppure frutto di ricordi di relazioni passate rese esprimibili grazie alla dinamica del gruppo nel presente. Nel vertice in basso a sinistra troviamo le immagine contenute nel mondo interno anche qui in termini di suoni, rappresentazioni visive, gesti quali le potremmo riconoscere in fantasie, deliri, sogni, se potessimo ascoltarle o vederle. Il materiale qui contenuto è frequentemente diciamo così riversato nelle immagini espresse in seduta (vertice superiore), più di quanto accada rispetto alle scene di uno psicodramma o nelle interazioni gruppoanalitiche. Nel vertice inferiore destro del triangolo della dinamica gruppale arteterapeutica trovano posto le relazioni esperite, come ricordi, in termini sempre d’immagini, di sé, dell’altro e di quanto percettivamente ha avuto o ha a che fare con la relazione. Questo contenitore è destinato a ricevere i frutti delle interazioni tra le immagini che avvengono in seduta, così come le modificazioni relazionali che ne discendono. Ogni lato del triangolo gode di un reciproco influenzamento che può permettere una rilettura della propria storia alla luce dei significati interiori resi percepibili ed anche un’interpretazione diversa dei fenomeni del proprio mondo interno grazie alle nuove ed antiche, ritrovate, relazioni esperite. Il verificarsi di questi influenzamenti dinamici che inducono cambiamento, nello schema rappresentati dalle frecce, è direttamente proporzionale alla qualità ed alla quantità delle interazioni tra le immagini, che se lasciate a sé sono solo espressione, non modificazione conoscitiva. Infatti è la rappresentazione e l’esplicitazione dell’interazione tra le immagini espresse che può permettere il raggiungimento degli obiettivi delle artiterapie: meglio articolare e comprendere il proprio mondo interiore, ritrovare i significati delle relazioni passate e modificare le relazioni attuali. Stili di conduzione Numerosi sono i compiti del conduttore di arteterapia di gruppo, superiori, come quantità almeno, a quelli di un terapeuta che si cimenta con una tecnica prevalentemente verbale, seppur in gruppo. Il conduttore è il garante del setting, laddove con questa parola s’intende lo spazio, il tempo totale, la scansione interna in fasi, il raggiungimento dell’obiettivo, i materiali necessari rispetto alla seduta e naturalmente il sentire interno o setting interiore del conduttore stesso. Già prima che la seduta cominci il conduttore, ed i suoi collaboratori, hanno parecchio da fare per approntare la stanza, controllando o procurando i materiali necessari, si tratti della musica di sottofondo, degli strumenti per produrla, dei fogli di carta e dei colori per permettere l’espressione più spontanea e corretta, o ancora degli oggetti che facilitino la rappresentazione drammatica o i giochi di comunicazione non verbale. Il preparare la stanza per la seduta di arteterapia è un fare che predispone anche interiormente alla realizzazione degli altri elementi del setting, quello interiore e quello relativo al raggiungimento dello scopo principale della seduta: sviluppare comunicazione, tramite l’espressione artistica, che induca cambiamento. Lungo il corso della seduta è sempre il conduttore, tenendo conto dello spazio e del tempo totale disponibili, che tiene i fili dei tempi necessari a ciascuno per l’espressione, facendoli confluire nella tessitura arteterapeutica finale. Ciò che sto descrivendo è lo schema classico della seduta strutturata, che si dà un tempo, uno spazio, un numero di partecipanti e uno scopo definiti in precedenza e non ammette interferenze esterne per tutta la sua durata. In questo testo i capitoli dedicati alle tecniche ed alle applicazioni descrivono i diversi setting, dando spazio alle particolarità di ogni specifica arteterapia, distinguendo, in qualche caso, la seduta strutturata dal laboratorio di libera espressione, ed a questi rimando per i dettagli. Diversi sono gli stili di conduzione, che possono essere fatti risalire ai differenti modelli teorici di riferimento ed anche alle tipologie di pazienti che ci trova davanti. Il terapeuta è responsabile della composizione del gruppo ed è in base a questa che sceglierà uno stile o l’altro, mettendo tutto il gruppo nella condizione di rendere operativi i fattori curativi precedentemente descritti. E’ infatti tutto il gruppo l’agente del cambiamento, mai solo il terapeuta, Gli stili di conduzione più diffusi nelle artiterapie sono: l’osservatore, l’animatore, l’esperto tecnico, il modello interattivo, l’educatore. Spesso i conduttori sono più d’uno nelle artiterapie di gruppo, proprio per la complessità delle tecniche in gioco, e due, raramente di più, stili di conduzione possono affiancarsi o meglio alternarsi. Diversamente lo stesso leader può assommare in sé più caratteristiche, decidendo di alternare le modalità di conduzione secondo le fasi della seduta. L’osservatore non disegna né danza, né recita, né suona, mantiene un atteggiamento distante dal fare degli altri membri del gruppo, e conserva il suo dire, che può essere anche, ma non solo, un interpretare solitamente per la fase finale della seduta. Naturalmente è garante anch’egli della cultura terapeutica del gruppo e può intervenire per mantenerla, anche in modo analogico/metaforico. L’animatore, spesso attivo nei laboratori di teatro o di pittura libera, ma non solo, compie degli interventi tesi a suscitare espressione ed azione, trascinando, per così dire, il gruppo verso il suo compito arteterapeutico. Questo stile è importante nelle fasi di riscaldamento e contiene la possibilità di proporre uno stimolo, naturalmente di tipo artistico, unificante per tutto il gruppo. L’esperto tecnico è colui che sa più degli altri su quella specifica arte, e come tale fornisce suggerimenti, propone stimoli od esercizi tesi a migliorare la forma dell’espressione. L’utilizzo prevalente di questo stile di conduzione mette a confronto il terapeuta con fenomeni di transfert e controtransfert rilevanti che necessitano di costante analisi. Il modello interattivo disegna o suona come gli altri componenti del gruppo, e da una parte si pone appunto come modello di possibilità espressive uguali in tutti, e dall’altra interagisce attraverso i contenuti del suo mondo interno, del suo controtransfert, che ovviamente deve essere costantemente analizzato e reso cosciente, tramite ad esempio una discussione approfondita con i collaboratori al termine della seduta. L’educatore, qui nel senso di riabilitatore e non di ruolo professionale, fa appello alle abilità di ciascuno, anche quelle nascoste, ricercando soluzioni organizzative che le sviluppino e le mettano in evidenza, anche modificando le regole del setting o l’ordine costituito: può coincidere con l’esperto tecnico, ma non necessariamente. Come si vede dopo questo breve excursus i leader arteterapeutici per essere veramente terapeuti devono mettere in gioco costantemente la propria creatività, qualunque stile adottino, per consentire al gruppo nel suo insieme, ed ai singoli componenti di sviluppare la propria, di creatività, in quanto l’arte è una specializzazione non conoscitiva del conoscere stesso (E. Garroni 1978 Enciclopedia Einaudi pg.89 vol.4 alla voce creatività) e come la malattia mentale, pur nelle sua ambiguità, sempre conoscenza. schema 1 IMMAGINI ESPRESSE NEL GRUPPO DA CIASCUNO Significati assunti dal passato nel presente Costellazioni inconsce evocate dal gruppo IMMAGINI E LORO INTERAZIONI RAPPRESENTATE ED ESPLICITATE Proiezioni R Relazioni attuali strutturate dalla storia passata IMMAGINI DEL MONDO INTERNO E LORO INTERAZIONE Storia di vita come significati interiori Mondo circostante interpretato alla luce del mondo interno RELAZIONI ESPERITE : IMMAGINI DELLA STORIA DELLA PROPRIA VITA