Bivio - Cascina Macondo

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Bivio - Cascina Macondo
Cascina Macondo
Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku
Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy
[email protected] - www.cascinamacondo.com
BIVIO
di Pietro Tartamella
Cascina Macondo - Scritturalia, domenica 7 febbraio 2010
Leggere è bello,
come scrivere, viaggiare,
fare l’amore
Pietro Tartamella
Benedetta non era cambiata per niente.
Dopo due anni Andreas la rivedeva tale e quale come l’aveva vista allora, a
Mercantia, alla rassegna annuale del teatro di strada di Certaldo, in quella sua
danza inquieta, malinconica, nella piazzetta degli Alberelli, leggera, trasparente,
angelica, passionale, nostalgica, fragile.
Affacciata sulla soglia della sua casa a piano terra, tra due piccole dune di neve,
Benedetta abbracciò Andreas languidamente avvolgendolo con le sue braccia esili
e bianche che, pur se coperte dal maglione, emanavano un remoto profumo di
gelsomino. Lo aspettavano.
Non si erano mai più sentiti da quell’incontro di Certaldo nell’estate 1987.
Andreas era di passaggio, diretto a Taranto per una sua performance al Carnevale
di Martina Franca. Trovandosi sulla strada aveva pensato di farle visita; fermarsi
da lei il venerdì sera, e ripartire il giorno dopo, sicuro di poter arrivare puntuale la
domenica pomeriggio al Carnevale.
“Ti presento la mia amica Ottavia” disse Benedetta indicando la ragazza che
timidamente si era affacciata sulla porta dietro di lei.
Bassine di statura, lo sguardo dolce, Benedetta esile e trasparente come un fiocco
di neve, occhi verdechiaro, grandi, capelli castani lunghi sulle spalle. Ottavia un
po’ più in carne, pelle olivastra, occhi scuri, grandi anche lei, capelli neri e
moderni. Il naso uguale, la fronte uguale. Sembravano sorelle.
Anche Ottavia stese il suo abbraccio leggero intorno al collo di Andreas.
Un remoto profumo di mughetto lo avvolse.
Leggeri abbracci di vent’anni sul suo giubbotto di pelle quarantenne già compiuti.
Erano così angeliche e minute che a guardarle sembrava a volte che avessero solo
sedici anni. Il loro sorriso si confondeva con la coltre di neve caduta.
Lo aspettavano.
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Entrarono in casa. Un buon profumo di brodo di carne bolliva in pentola.
Andreas poggiò sul tavolo il vassoietto di pasticcini che era riuscito a comprare
appena in tempo nella pasticceria del paese, proprio mentre stava chiudendo.
Benedetta lo presentò a suo padre e a sua madre.
Il pranzo era caldo e accogliente. La tavola semplice, imbandita con cura con
tovaglioli di stoffa inseriti in un cerchio d’osso, a ciascuno il suo colore. I genitori
di Benedetta molto affettuosi.
Benedetta e Ottavia erano curiose ed eccitate per la presenza di Andreas. Con le
loro voci giovani e tremolanti lo tempestavano di domande. Andreas era
preoccupato per la sua performance.
“Fa troppo freddo - diceva - le mie macchine per il fumo forse mi daranno
qualche problema”.
Benedetta e Ottavia volevano saperne di più su quella sua performance originale
che tanto le affascinava. Andreas scolpiva figure nel fumo. Le sue macchine
liberavano nell’aria nuvole di fumo colorato, e a mano a mano che esse salivano,
con una lunga frusta, in sincronia con una musica di tamburi e flauti indiani,
scolpiva nel fumo figure di cavalli, visi, copricapo, alberi, tepee indiani, figure
che prendevano forma a poco a poco con ogni colpo di frusta che aggiungeva e
svelava un dettaglio, e leggere salivano sempre più in alto riempiendo il cielo di
magia fino a disfarsi e a scomparire lontane nel nulla…
Ma il freddo di quei giorni avrebbe potuto far fallire la sua performance.
Benedetta e Ottavia ne erano rattristate sinceramente, più di quanto non lo fosse
lui stesso.
“Ma parlatemi di voi” chiese Andreas.
“Ottavia è la mia migliore amica” disse Benedetta accarezzando amorevolmente
con il palmo della mano la guancia di Ottavia.
Osservando il gesto, osservando quelle sue lunghe dita affusolate che terminavano
con piccole unghie dipinte di rosa, e vedendole quel sorriso birbantello, quella
luce di complicità negli occhi, Andreas ebbe l’impressione che in quel momento
Benedetta dimostrasse addirittura dodici anni.
Ottavia contraccambiò la carezza a confermare quanto Benedetta diceva, e
aggiunse:
“Ci conosciamo da quando eravamo bambine, ci diciamo sempre tutto”. E
ammiccò un sorriso.
Benedetta aveva continuato a studiare danza classica. Da due anni aveva aggiunto
teatro e recitazione, e le piaceva un mucchio. Ora lavorava con un gruppo di
Pescara. Stavano preparando uno spettacolo che avrebbero voluto portare a
Certaldo alla prossima edizione di Mercantia.
Ottavia si interessava di teatro e amava visceralmente leggere ad alta voce.
Benedetta, studiando recitazione, aveva scoperto anche lei il piacere della lettura
ad alta voce e ne parlava con entusiasmo. Andreas, manco a dirlo, in quella
disciplina era un vero lupo di mare.
Andreas le stimolava a parlare, chiedendo dettagli e precisazioni sulle cose che
facevano. Si accorgeva con quanto incanto e curiosità ascoltavano le sue
domande. O la sua voce calda?
Andreas allungò la mano sul tavolo. Tra il grana padano e il pecorino, scelse il
pecorino nostrano, più piccante e salato, per gli agnolotti fatti in casa dalla madre
che fumavano nel suo piatto.
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Quando avevano finito di rispondere a una domanda, Andreas ne faceva subito
un’altra. Si beava di guardare dentro le loro voci, nei loro occhi, nelle loro labbra
che si muovevano sensuali mentre davano vita alle parole dei loro racconti.
Il profumo del caffè.
Poi un tintinnio di piatti, ché la mamma di Benedetta aveva cominciato a
sparecchiare.
“Mostra ad Andreas la sua camera” disse il padre di Benedetta alzandosi da tavola
“così se deve portare qualcosa, o vuole riposare un poco, o darsi una
rinfrescata…”
“No, papi ti prego!” rispose implorante Benedetta “Dorme in camera con noi”.
Andreas, in quel momento, aveva la tazzina accostata alle labbra. Gli occhi
entrarono un po’ smarriti in quel colore nero del caffè.
In un botto solo apprendeva che Ottavia si fermava a dormire lì, e che tutti e tre
avrebbero dormito insieme nella cameretta di Benedetta.
“Mah! chiedi prima a lui… magari ha piacere di stare da solo… o è stanco del
viaggio e vuole riposare…” tentò ancora il padre
“No!” ribatté Benedetta con cipiglio. E rivolgendosi ad Andreas con voce
complice, quasi da bisbiglio, quasi da sotterfugio, quasi da quattordicenne gli
disse: “Stai con noi nella mia cameretta”.
“Ma che modo è questo di essere ospitali!” commentò il padre “Perché vuoi farlo
dormire per terra, quando di là c’è una cameretta per gli ospiti comoda e
accogliente?”
“Perché così stiamo insieme e abbiamo più tempo per chiacchierare” rispose
Benedetta “Vero, Andreas, che non fa niente se dormi per terra?”
La mamma di Benedetta intenta a lavare i piatti ascoltava silenziosa dal
lavandino.
“Abituato al duro tavolaccio del mio furgone, per me ogni posto va bene: dove mi
mettete… io dormo! Ma posso anche dormire in furgone se arreco disturbo”
rispose Andreas un po’ scherzoso nel tentativo di dileguare quel leggero
imbarazzo che si era messo ad aleggiare in cucina.
Aveva mentito spudoratamente.
Che Andreas dormisse “ovunque lo mettessero” era infatti una mera bugia, specie
se lo mettevano a dormire in una camera con due belle donne. Sì, perché
Benedetta e Ottavia, anche se a volte dimostravano di essere molto più giovani,
era donne fatte ormai. I loro discorsi maturi, la loro sensibilità, l’acutezza di certe
loro osservazioni lo dimostravano pienamente. E poi, le loro due età sommate
facevano quarant’anni quanto i suoi.
Al padre di Benedetta non era sfuggita la risposta ipocrita di Andreas. Aveva
capito benissimo che con quel suo “dove mi mettete io dormo” e soprattutto con
quell’avere un tantino sottolineato la parola “dormo” aveva voluto ipocritamente
rassicurarlo. Il padre sapeva bene che un uomo di quarant’anni che dorme in una
cameretta con due ragazze ventenni e affettuose, e lì ci rimane tutta la notte, ma
Benedetta disse con occhi imploranti “Ti prego, papà!”
La madre intervenne dal lavandino:“Va bene, va bene Benedetta”.
Allora il padre accarezzò la figlia e, arrendendosi, le disse soltanto: “Come vuoi
tu”.
La salutò con un bacio, e uscì di casa diretto al suo ufficio.
Poco dopo anche Andreas e le due ragazze uscirono a fare due passi.
Il sole era tiepido. Scintillava sui campi ricoperti di neve. Il paesino sorgeva su un
cocuzzolo. Dal sentiero, che portava a un ampio giardino posto in cima al
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cocuzzolo, si vedeva la grande pianura tutta bianca di neve. In lontananza il
profilo degli Appennini coperti di neve. Camminavano lentamente, attenti a non
scivolare sul ghiaccio, sorreggendosi a vicenda. Quando la strada era in piano si
mettevano a braccetto, Andreas in mezzo, e ognuno era puntello per l’altro in
quell’andare nelle vie deserte soffermandosi sui gradini della chiesetta medievale
a osservare il passerotto che si era fermato a becchettare, soffermandosi ad
abbozzare un pupazzetto di neve sul muro di cinta del giardino e a colpirlo come
un birillo con minuscole pallinette di neve. Sorridevano, poi stavano un po’ in
silenzio con gli occhi chiusi rivolti al sole tiepido, poi una nuova battuta
divertente, un nuovo racconto, poi di ciascuno una nuova pagina della propria
vita, poi un respiro, un sussurro, una domanda, un sogno.
A nessuno sembrava vero che da due anni non si vedevano, e che Ottavia
incontrava Andreas per la prima volta solo adesso.
“Non partire, Andreas!”diceva Benedetta.
“Dai, resta anche domani” aggiungeva Ottavia.
“No, non posso, anzi, domani prima di mezzogiorno devo assolutamente mettermi
in cammino, altrimenti rischio di non arrivare puntuale all’appuntamento.”
“E non puoi rinunciare?” insistevano Benedetta e Ottavia.
“Non posso, davvero, mi piacerebbe, ma ho un contratto…”
“Per una volta…” e nelle tasche profonde del giaccone di Andreas stringevano le
loro mani.
La giornata volò via in un baleno, come una briciola presa dal passero alla chiesa.
Tornati a casa, infreddoliti, si cullarono al tepore della cucina. Benedetta
chiese scusa, e andò a immergersi nella vasca da bagno in un’acqua fumante che
scrosciava. Quando uscì con l’accappatoio Ottavia le asciugava i capelli
frizionandoli con l’asciugamano, poi col phon.
Anche Ottavia decise di farsi un bagno. Ne uscì poco dopo avvolta
nell’accappatoio e Benedetta le asciugava i capelli con l’asciugamano, e poi col
phon. Una scapola nuda color d’oliva faceva capolino dal bavero.
“Andreas, forse hai piacere anche tu di farti un bagno, non fare complimenti, vai
se vuoi” disse Benedetta.
“Se non disturbo lo faccio volentieri anch’io un bel bagno caldo”.
Anche la madre confermò che non dava nessun disturbo.
Andreas si immerse nella vasca da bagno.
Sullo specchio, sulle mattonelle di maiolica, era tutto un vapore così spesso e
uniforme che ci si poteva scrivere sopra. Le nuvolette di vapore erano uscite dal
bagno e si erano posate perfino sullo specchio del corridoio vicino
all’attaccapanni.
Acqua calda e schiuma. Andreas muoveva dolcemente con le mani l’acqua calda e
la schiuma. Si immerse con la testa in quel minuscolo lago di casa dove poco
prima si erano immerse Benedetta e Ottavia, e immergendosi più volte con la testa
sentiva l’acqua calda portarsi via tutti i chilometri percorsi sin lì in autostrada, e le
narici si impregnavano di gelsomino e di mughetto.
Quando si diresse in cucina, avvolto nel suo accappatoio, portò un profumo di
pino cembro. Giocherellando e ridendo Benedetta e Ottavia gli asciugarono i
lunghi capelli. La madre chiedeva se quello era il luogo, in cucina, di asciugarsi i
capelli! E loro ridevano. La madre infine batté le mani per dire sciò! sciò! che era
piuttosto il momento di apparecchiare.
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Benedetta cantava mentre apparecchiava.
Venne la cena, venne il buon vino rosso aperto dal padre, vennero le squisite
frittelle di carciofi della madre, poi vennero la torta, i bicchierini di liquoroso
Santelmo toscano, che non era buono come il passito di Pantelleria o l’Erbaluce di
Caluso, ma era buono, era buono.
Poi venne il caffè. Poi venne la buona notte.
Benedetta chiuse la porta della sua camera a chiave. I passi di suo padre e
sua madre si allontanavano nel corridoio augurando ancora per l’ultima volta la
buona notte.
Andreas provò di nuovo un imbarazzo: la porta chiusa a chiave, i genitori che lo
sapevano, lui quarant’anni con due carinissime ragazze di vent’anni.
Erano seduti sul letto di Benedetta, in pigiama e in vestaglia, affiancati, Andreas
in mezzo, con i piedi scalzi poggiati a terra sul materasso dove lui avrebbe dovuto
dormire.
Sull’altro letto, dove avrebbe dormito Ottavia, c’erano le bambole di Benedetta.
Alle pareti alcuni quadri raffiguranti le quattro stagioni. Il quadro dell’inverno
sembrava proprio quel loro inverno del 1989. Benedetta accese lo stereo. Un dolce
lontanissimo blues entrò nella stanza quasi in punta di piedi. Nessuno aveva
sonno.
Ottavia prese il tabacco e le cartine. Arrotolò con maestria una sigaretta con una
velocissima leccata alla fine. Anche Benedetta ne arrotolò una. Il suo gesto di
leccarla alla fine fu più lento e delicato. Andreas ne accese una delle sue col filtro.
Non era bravo ad arrotolare le cartine. Porse la fiammella dell’accendino a
Benedetta e Ottavia. I loro volti si illuminarono nella penombra. Il portacenere
sulle sue ginocchia. Chiacchierarono ancora tra le note del blues che li cullava.
“Perché non leggiamo qualcosa insieme, qualche riga ciascuno di un libro?”
propose Benedetta all’improvviso.
Gli occhi di Ottavia si illuminarono all’idea. Anche quelli di Andreas.
“Scegli tu il libro” disse Benedetta .
Andreas si alzò dal letto, andò verso la libreria e, a caso, ma forse nemmeno tanto
a caso, prese in mano il Decamerone del Boccaccio. Tornando verso il letto vide il
posto vuoto dove poco prima era seduto. La coperta aveva piccole pieghe di
stropiccio. Un posto vuoto, tra Benedetta e Ottavia, che lo aspettava.
Porse il libro a Benedetta: “A te l’onore di aprire una pagina a caso”.
Benedetta sorrise. Prese il libro del Boccaccio e aprì a caso, questa volta proprio a
caso. Rimise il libro aperto nelle mani di Andreas. In quel momento l’orologio a
pendolo della cameretta batteva col suo cuculo le ore 24.00. Ottavia sorrideva e
aspettava con ansia di sentire quale racconto era venuto fuori.
Andreas le guardava. Erano proprio tenere e felici quelle due ragazze per quel
gioco semplice che stava cominciando. Andreas pensò per un attimo con tipica
mentalità maschilista che, se doveva accadere di amoreggiare con qualcuno,
avrebbe avuto un problema: chi doveva corteggiare? con chi doveva amoreggiare?
Benedetta, oppure Ottavia?
Forse, a breve, si sarebbe trovato di fronte a un bivio.
Andreas lesse il titolo a voce alta: “La Regina e il Palafreniere”, e aggiunse:
“L’avete già letto?”
“No, mai, non lo conosciamo. E tu?”
“Nemmeno io” rispose Andreas.
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Mentì. Andreas conosceva bene quel racconto. Era uno dei più bei racconti del
Decamerone e lo aveva letto più volte in altre occasioni. Aveva intuito che se
avesse risposto di sì, avrebbe soltanto tolto tensione a quel momento che stavano
vivendo. Partire “alla pari” creava un’emozione e una complicità maggiori.
Porse il libro a Ottavia: “A te Ottavia, l’onore di cominciare per prima”.
Ottavia arrossì. Un rossore di straordinaria bellezza sotto i suoi capelli bruni. Si
sentiva lusingata, ma anche imbarazzata di dover cominciare per prima. Sapeva
che Andreas era un bravo lettore, Benedetta gliene aveva parlato. Andreas capì
quel piccolo disagio e disse:
“Aspetta, ho qualcosa per voi prima di cominciare…”.
Dalla sua borsa estrasse due rose.
Le aveva comprate per farne dono una a Benedetta e una alla madre di Benedetta,
per ringraziarla della sua ospitalità. Ma le aveva dimenticate nella borsa!
Posando i pasticcini sul tavolo all’ora del pranzo, il pensiero delle rose era svanito
dalla sua mente. Ma le rose no, le rose c’erano ancora nella sua borsa.
Le ragazze rimasero felicemente sorprese. Non poterono resistere alla tentazione
di ridere quando Andreas spiegò a chi erano destinate, mettendo in risalto la sua
sbadataggine. Risero di cuore. Tutti e tre risero di cuore così tanto che i genitori
dalla loro stanza li sentirono ridere di cuore.
Benedetta e Ottavia presero in mano delicatamente la loro rosa.
In quel momento Andreas si sedette sul letto in mezzo a loro. Sentì una grande
consapevolezza nel riempire, lui e il suo pigiama, quello spazio “vuoto” tra le due
ragazze. Sentì allora svanire il rintocco della mezzanotte, sentì svanire la
preoccupazione delle sue macchine del fumo impedite dal freddo, sentì svanire i
chilometri che lo separavano da Martina Franca e dal Carnevale, sentì svanire il
sorriso a colori della sua fidanzata nella tasca dei pantaloni pigiata a mezzobusto
tra le banconote da quattro soldi del suo portafoglio. Vide gli occhi scintillanti di
Benedetta e di Ottavia, le loro rose, il rossore sulle guance, il respiro. Le sentì
farsi più vicine a lui. C’era un gran calore in quell’abbraccio dei fianchi.
Ottavia si alzò dal letto per andare a spegnere lo stereo. La musica blues
scomparve. Ma una sua eco remota restava ancora.
Ora il silenzio nella stanza era assoluto. Si potevano udire solo le stagioni che
uscivano lente e sinuose dai quadri appesi alle pareti; solo la neve si udiva che
fuori imbiancava la notte; si udivano solo quegli scricchiolii impercettibili a
occhio nudo che fanno i termosifoni quando sembrano parlottare e brontolicchiare
sotto la pressione dell’acqua calda.
Da lì a un secondo solo la voce nuda di Ottavia si sarebbe udita nel silenzio.
Andreas e Benedetta si voltarono col viso e il corpo leggermente verso destra, per
guardarla meglio… Ma Ottavia non cominciava ancora. Era troppo emozionata.
“Comincia tu per primo, ti prego, sono troppo emozionata” disse Ottavia ad
Andreas guardandolo implorante.
“Estraiamo a sorte!” intervenne Benedetta
“Sì, dai, buona idea, estraiamo a sorte, tocco io e conto in senso antiorario”
intervenne prontamente Andreas.
“Bim, bum, bam: 14!”
Andreas aveva gettato cinque dita aperte, anche Benedetta, Ottavia quattro dita. Si
guardavano le mani. Benedetta e Andreas si batterono i palmi delle loro mani e si
strinsero meravigliati di aver pensato lo stesso numero! Ma non trascurarono di
stringere anche le quattro dita di Ottavia in quel sentirsi vicini.
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Andreas cominciò a contare in senso antiorario.
Su di sé batteva il petto con le punte delle dita, alle ragazze batteva la spalla,
appoggiandovi la mano con una lieve pressione. E toccò, nemmeno a farlo
apposta, a Ottavia leggere per prima!
“Era destino!” la consolò e incoraggiò Benedetta.
Ottavia fece una piccola smorfia e mentre con le labbra arricciate commentava
“non vale, hai barato!”, con tutte le dita delle due mani affondava un solletico nei
fianchi di Andreas.
Era una strana bugia quella di Ottavia.
Andreas sapeva benissimo che nessuno aveva barato. Tutti lo sapevano che 5 + 5
+ 4 fanno quattordici. Le regole erano state stabilite prima in modo chiaro:
avrebbe cominciato a contare da lui in senso antiorario.
Era una di quelle bugie con valore di raccordo: si dice una cosa falsa, palesemente
falsa, un po’ iperbolica, per approfittare di fare qualcosa che sarebbe stato difficile
altrimenti. Una sorta di frase-scendiletto, di parola-cuscinetto su cui appoggiare
un gesto o un’azione di cui si ha qualche incertezza sulla sua fattibilità,
opportunità, o accettazione. Ottavia aveva trovato il coraggio di compiere quel
gesto intimo del solletico ai fianchi utilizzando una frase cuscinetto. Dunque
aveva qualche “incertezza”. Ma il desiderio di toccargli i fianchi era stato più forte
dell’incertezza.
Mentre pensava a quella strana bugia di Ottavia anche Andreas affondò
fulmineamente un solletico strufolando le sue dita sul pancino di Ottavia intorno
all’ombelico. Suppose che poteva farlo. Ottavia infatti non si oppose, anzi sembrò
contenta.
Dunque toccava a Ottavia, poi avrebbe letto Benedetta, poi lui.
Ottavia prendendo in mano il libro finalmente cominciò:
Agilulfo Re dei Longobardi aveva preso in moglie Teudelinga, la quale fu
bellissima donna savia et onesta molto.
La voce di Ottavia era tremolante, calda del rossore delle sue stesse guance, e
ancora portava le vibrazioni delle risate di cuore che insieme avevano fatto poco
prima. Benedetta, vedendo la sua giovane amica così emozionata, cercò la mano
di Andreas, la strinse e l’appoggiò al suo fianco facendosi pervadere da un brivido
che svelava quanto grande fosse la sua gioia di ascoltare la sua amica, di vederla
così teneramente emozionata, così bella davvero mentre leggeva. Ottavia tenendo
lo sguardo sulla pagina continuava a leggere lenta, senza fretta, ed era come se le
parole nascessero dalle sue labbra che si aprivano e chiudevano come petali mossi
da un ventaglio leggero…
Agilulfo governava con altissima virtù e grande senno, talché le cose dei
Longobardi andavano prospere e quiete.
Ottavia si fermò. Chiuse il libro lentamente, lasciando il dito indice in mezzo
come segno. Fece un gran sospiro. Perline di sudore si erano affacciate sulla sua
fronte. Depose il libro nelle mani di Benedetta che lo raccolse come una reliquia.
Benedetta lo riaprì. Andreas e Ottavia girarono un po’ la testa e il corpo verso
sinistra, per guardarla meglio:
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Avvenne un giorno che un pallafreniere della Regina, uomo in quanto a nascita
di vilissima condizione, ma bello nella persona e grande come fosse un Re,
anche se di così vil mestiere, si innamorò senza misura della Regina.
E anche Benedetta chiuse il libro, porgendolo ad Andreas sorridendo.
E fu la volta di Andreas:
Pur se di così basso stato egli comprendeva come il suo amore fosse fuori d'ogni
convenienza, e come un savio a nessuno lo palesava, e nemmeno a lei con gli
occhi ardiva di svelarlo.
E il libro passò di nuovo nelle mani di Ottavia:
Quantunque senza alcuna speranza vivesse di poter mai a lei piacere, pur
dentro di sé si gloriava di aver una simile persona scelto: una Regina cui
dedicare i suoi pensieri. E come colui che tutto ardeva in amoroso fuoco,
studiosamente faceva ogni cosa la qual credeva che alla Regina dovesse piacere.
Quando Ottavia giunse alla fine della pagina alzò lo sguardo con gran sollievo, ed
emise un sospiro d’altri tempi con cui si liberava finalmente di tutta la tensione
che aveva accumulato nel seno. Ma era, come dire? Felice! E porse il libro
nuovamente a Benedetta che respirò ripetutamente tre volte prima di cominciare.
Andreas e Ottavia, voltandosi con il viso e con il corpo leggermente verso sinistra
per guardarla meglio, vedevano uscire dalle labbra di Benedetta le sue parole:
E accadeva che la Regina, dovendo cavalcare, più volentieri il pallafreno da
costui curato cavalcava: il che quando avveniva costui in grandissima grazia si
reputava e mai dalla staffa non le si partiva, beato ritenendosi qualora anche
solo i panni toccar le poteva.
E anche Benedetta era davvero emozionata, e sembrava più bella, più trasparente
nella sua vestaglia bianca seduta sul letto. Ottavia le poggiò le mani sulle
ginocchia, gliele strinse forte e sollevò le spalle raccogliendosi in un brivido. Poi
prese le mani di Andreas e stringendole le scosse più volte trasmettendole il suo
brivido. Era troppo tenera la voce di Benedetta che leggeva in quel silenzio. E
Ottavia era troppo sinceramente felice di vedere la sua amica così emozionata,
felice di ascoltare la sua carezzevole voce. E anche Andreas l’ascoltava incantato,
e la guardava, e adesso capiva la definizione della laringe che aveva trovato un
giorno in un libro “organo sessuale secondario…”.
Benedetta non osava alzare lo sguardo dalla pagina. A volte si sentiva il suo
respiro, a volte il deglutire delle salive. Andreas ora era convinto di trovarsi di
fronte a un bivio. La stanza era troppo piena di calore e di intimità, troppo piena di
respiro, di neve e di stagioni, di rossori e di termosifoni caldi, e di cioccolata che
avevano mangiato a cena, e di Santelmo toscano e di rhum che avevano bevuto. E
tutto sembrava portare a qualcosa di molto intimo, a una notte d’amore. A chi
avrebbe indirizzato le sue attenzioni?
Se avesse scelto Ottavia, che era attraente e seducente, avrebbe fatto un gran torto
a Benedetta. In fondo era Benedetta la sua amica con cui già aveva una affinità
ideale; e poi era suo ospite, in casa sua; sarebbe stato indelicato scegliere l’amica
che aveva conosciuto solo da poche ore. Ma anche scegliendo Benedetta sentiva
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un disagio, perché quel momento che stavano vivendo era troppo magico, troppo
bello; avrebbe fatto un torto a Ottavia escludendola da una notte d’amore.
Forse era davvero di fronte a un bivio.
Ma come noi veggiamo assai sovente, quanto più la speranza si fa meno, tanto
più l'amor si fa maggiore. E così in questo povero pallafreniere avvenìa, perché
gravissimo gli era il poter sopportare il gran disìo così nascostamente come
facea, non essendo da alcuna speranza confortato.
Benedetta propose una pausa sigaretta prima di riprendere il turno.
Non c’era nessun motivo di correre.
Presero il tabacco e le cartine. Si sedettero sul letto a gambe incrociate; non più
allineati con i piedi poggiati a terra sul materasso di Andreas, ma in cerchio,
stringendosi sul letto.
In quella nuova posizione le ginocchia si toccavano.
Andreas comprese che non era più “in mezzo” a loro, ma ciascuno era in mezzo
agli altri due. E ora gli sembrava di trovarsi di fronte a un trivio.
Se si guardavano le ginocchia, i polpacci e le caviglie, dire che stavano con le
gambe incrociate era espressione appropriata. Ma se guardava le cosce,
l’espressione giusta era “a gambe aperte”. In quelle chiare aperture delle cosce
Benedetta e Ottavia non avrebbero potuto non notare in mezzo alle sue gambe il
turgidore coperto dal pigiama. E lui non poteva fare a meno di guardare il nero
delle mutandine sotto la vestaglia trasparente di Benedetta, e il rosso sotto la
vestaglia a fiori di Ottavia. Ma sembrava naturale poter guardare, non provavano
imbarazzo, era una intimità accettata e condivisa.
Andreas guardava le loro lingue scivolare sensuali nell’ultimo tocco che faceva di
una cartina e di una manciatina di tabacco una sigaretta.
Chiese a Ottavia se gentilmente gliene faceva una.
Voleva soltanto riprovare il brivido di vederla leccare la sigaretta che lui avrebbe
fumato. Benedetta si spinse oltre proponendo ad Andreas di insegnargli a fare una
sigaretta. Gli mise in mano una cartina e lo invitò a riempirla di tabacco. Il
pacchetto col tabacco era appoggiato nell’incavo della sua vestaglia, tra le cosce.
Andreas con la punta delle dita prese pizzichi di tabacco che mise sulla cartina, e
provò ad arrotolarla. Si sporse più vicino a Benedetta poggiando il gomito sulla
coscia di lei per far cadere i filamenti di tabacco sulla vestaglia e non sul letto. Ne
approfittò per farle ridere mostrandosi più imbranato di quanto non fosse:
sbrodolò pizzichi di tabacco sulla vestaglia, accavallò le dita, fece capovolgere la
cartina più volte e alla fine la incollò con la lingua. Le ragazze erano divertite. La
sigaretta che Andreas ora teneva in bocca era storta, molle, accasciata. Le loro
invece erano ben fatte: piene, dure a sufficienza, belle diritte.
Andreas istintivamente mise la mano sinistra in mezzo alle gambe di Benedetta,
sotto la vestaglia.
Con la mano destra spazzolò le briciole di tabacco dalla vestaglia mentre la mano
sinistra, sotto, fungeva da supporto rigido. Benedetta allargò le gambe per rendere
più tesa la vestaglia, per aiutarlo a spazzolare meglio. La mano sinistra di Andreas
si spostava lentamente verso l’orlo della vestaglia, finché non fu fuori, e su di essa
lasciò cadere i rimasugli del tabacco che, raccolti, rovesciò nel posacenere.
Ottavia, preso in mano il Decamerone, continuò a leggere:
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E più volte tra sé e sé, non potendo da questo amore disciogliersi, deliberò di
morire. E pensando al modo, prese partito di volere questa morte in tal guisa
che apparisse a lui di morire per lo amore che alla Regina aveva portato e
portava.
Fare sesso con due donne è un sogno ricorrente nell’immaginario maschile.
Andreas, come tutti gli uomini, non era esente da quel sogno che lo
accompagnava fin da ragazzino. Forse quella notte sarebbe accaduto davvero.
Troppi segnali aveva raccolto che lo portavano a considerare possibile
quell’eventualità. Ma doveva essere prudente. Tutto si reggeva su un filo delicato
che avrebbe potuto rompersi per un nonnulla. Forse non avrebbe dovuto scegliere
tra Benedetta e Ottavia. Le vedeva così amiche, così tenere e affettuose che, forse,
gli stavano chiedendo proprio quello, di fare l’amore con entrambe.
E decise che in questo egli potesse tentare la sua fortuna: di avere in tutto o in
parte il suo desiderio soddisfatto. Scartò il voler dir parole alla Regina, e con
lettere far sentire il suo amore, in quanto reputava non avrebbe avuto risposta.
E se Benedetta e Ottavia fossero lesbiche? Se il loro fosse una specie di complotto
con l’intento soltanto di eccitarlo e poi abbandonarlo alla sua voglia mentre loro si
perdevano nei loro amplessi? Beh, non sarebbe stata cosa gravissima: a guardarle
ne avrebbe ricavato comunque un piacere.
Il pensiero che lo preoccupava di più era piuttosto quello di scoprirle femministe
accanite o, peggio ancora, due vere stronze.
Se la loro intenzione fosse stata semplicemente quella di una vendetta verso il
genere maschile? Se avessero scelto lui come capro espiatorio? Lo avrebbero
eccitato, spogliato nudo, gli avrebbero fatto intravedere scopate multiple e
orgiastiche e poi, sul più bello, lo avrebbero aggredito con una sfilza di “chi cazzo
credi di essere, ma come ti permetti, ma cosa hai pensato sporco maiale
maschilista di merda!”. Sì, di donne stronze e cattive ce ne sono tante davvero.
Donne che ti spingono a fare sciocchezze, che ti fanno perdere il lavoro, che ti
mettono alla prova, che poi ti piantano quando ormai sei un giocattolo che non
serve più.
Ad Andreas suonava sospetta quella loro insistenza nel chiedergli di restare con
loro anche il sabato, di non andare a Martina Franca, pur sapendo che aveva un
contratto… Ma era anche vero che la madre e il padre di Benedetta sapevano che
lui era con loro in quella camera. Troppo improbabile che fossero complici di una
stronzaggine del genere.
“Tocca a te” disse Benedetta porgendo il libro del Boccaccio con il titolo in
rilievo stampato in oro ad Andreas.
Andreas richiamato al suo turno, lasciò i pensieri. Benedetta e Ottavia aspettavano
quel momento. Lo guardavano incantate, pronte ad ascoltare la sua voce. Andreas,
dispiegando teneramente la sua voce emozionata non meno di quella delle due
ragazze, cominciò:
Ma voleva provare se con l'ingegno, con la Regina giacer si potesse. Né altro
ingegno, né via c'era se non trovare il modo di farsi scambiare per il Re il quale
egli sapea non sempre con lei si giaceva. E cosi poter a lei pervenire e nella sua
camera entrare.
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E porse il libro a Ottavia guardandola intensamente. Ottavia proseguì la lettura,
poche righe, perché la sua voce era eccitata e si era fatta più rauca e calda:
Affinché vedesse in che maniera e in che abito il Re andava da lei, più volte di
notte in una sala del palagio, che stava in mezzo, tra la camera del Re e quella
della Regina, si nascose.
E se fosse tutto vero? Tutto vero proprio come sembrava stesse accadendo?
In quel “se fosse tutto vero” Andreas intravide un inconveniente. Poteva infatti
succedere che Benedetta, o Ottavia, il giorno dopo accampassero qualche diritto
di “proprietà” su di lui. Questo accampare diritti di proprietà sul suo corpo e la sua
anima da parte delle donne era la cosa che più lo rattristava. Aveva sempre
pensato che il sesso fosse una cosa bella, anche se non sei innamorato. Per lui il
sesso era positivo, una cosa buona; era compagnia, solidarietà, tenerezza,
sorellanza. Era come l’acqua, utile e vitale. Aveva sempre pensato che facesse
bene alla salute, che curava la pelle, che manteneva giovani, che stimolava gli
anticorpi e il sistema immunitario, niente di scientifico beninteso, solo sue
percezioni. Al sesso dava una valenza “positiva” in assoluto. Certo anche l’acqua
in grande quantità può diventare pericolosa e uno può annegare in una vasca da
bagno. Ma l’acqua restava sempre di segno “buono”. Quando la sua connotazione
si trasformava in negativa era perché entrava in una categoria concettuale che
riguardava il “pericolo”. Con il sesso potevi beccarti una malattia, potevi mettere
incinta qualcuna, il sesso poteva diventare “pericoloso”, come l’acqua. Ma non
capiva perché il sesso, nel comune sentire, veniva considerato “sporco” e
“immorale” in alcune situazioni. Se una cosa è buona, pensava Andreas, lo è
buona sempre, non può diventare immorale secondo le circostanze: o è buona, o
non lo è. Lui aveva sempre considerato il sesso una cosa buona.
E finalmente una notte vide il Re uscire dalla sua camera inviluppato in un
gran mantello, e con una torcia accesa in mano e una bacchetta nell'altra
mano, andare verso la camera della Regina.
Senza dire alcuna cosa percosse due volte l'uscio con quella bacchetta e
incontanente gli fu aperto e gli fu tolta di mano la torcia; la qual cosa veduta il
pallafreniere pensò di così dover fare egli altresì. E trovò il modo di avere un
mantello simile a quello che al Re veduto avea, e una torcia e una bacchetta.
Andreas si avvide che Benedetta e Ottavia si tenevano per mano e lo guardavano
con occhi grandi come guardano con occhi grandi le bambine.
Andreas ora metteva più calore nella lettura; creava la notte con le parole e
vedevano il pallafreniere aggirarsi nel palazzo del Re come se fosse in carne e
ossa in quella stanza.
Prima d'ogni cosa si lavò bene in un bagno caldo affinché non fosse l'odore del
letame a tradirlo, ché la Regina avrebbe potuto scorgere l'inganno. Con tutte
queste cose, nella gran sala si nascose.
E venne il turno di Ottavia che riprese il libro in mano, e che ora si sentiva più
sicura e disinvolta, ma la voce era sempre calda e sembrava salirle dal ventre:
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E sentendo che già da per tutto si dormìa, e tempo parendogli o di dover al suo
desiderio dare effetto…
Ottavia ebbe il coraggio di alzare lo sguardo mentre diceva “…al suo desiderio
dare effetto”. Vide dinanzi a sé Benedetta e Andreas che la guardavano e
l’ascoltavano incantati. I loro sguardi si compenetrarono languidamente. Fu qui
che Andreas scavalcò ogni bivio, lasciandosi alle spalle pensieri e dubbi, senza
sapere in quale strada nuova si sarebbe incamminato. Assecondando le parole che
nascevano in lui, che sentiva più forti di ogni dubbio e di ogni pensiero, le lasciò
fluire liberamente sino alle labbra: “Continua a leggere Ottavia, non ti fermare,
continua a leggere, guardiamo se riesci a leggere senza farti distrarre”. E mentre
Ottavia continuava a leggere “e sentendo che già da per tutto si dormìa” Andreas
con le labbra accostate, ma senza toccarla, le soffiava un venticello caldo sulle
dita che tenevano il libro, e sui polsi. Ottavia quando sentì quella leggerissima
carezza d’aria e di fiato fece una pausa che non era contemplata dalla
punteggiatura. Andreas la invitò ancora: “continua, continua a leggere, non ti
fermare, il gioco è che si continua a leggere, a turno, senza farsi distrarre…”. E
Ottavia continuò a leggere:
e tempo parendogli o di dover al suo desiderio dare effetto o di andare in contro
alla bramata morte, fatto con la pietra e l'acciarino che seco portato avea un
poco di fuoco, la sua torcia accese, e chiuso e avviluppato nel mantello se ne
andò all'uscio della camera, e due volte il percosse con la bacchetta.
Andreas aveva continuato ad accarezzarle il polso, e pian piano i soffi del suo
fiato erano saliti lungo il braccio. Ottavia preferì passare.
Prese il libro Benedetta, con un sorriso compiaciuto, quasi di sfida. Lesse molto
lentamente:
La porta da una cameriera
preso et occultato…
tutta sonnocchiosa fu aperta
et il lume
Andreas aveva intrufolato le sue dita leggere tra i capelli di Benedetta e le
massaggiava la testa. Aveva aggiunto a quel gesto poche parole, sussurrate, per
ribadire le regole del gioco che andava lentamente crescendo: “la regola è di
continuare a leggere, di non farsi distrarre, guardiamo chi resiste. Chi si ferma di
leggere ha perso” e lasciò con la mano aperta un segno definitivo nell’aria, come a
sottolineare che quelle erano le regole e, basta, non c’era più niente da aggiungere,
il gioco cominciava.
laonde egli, - continuò Benedetta - senza alcuna cosa dire, trapassò la cortina, e
posato il mantello, se n'entrò nel letto nel quale la Regina dormiva.
Ora era il turno di Andreas.
Benedetta e Ottavia si diedero uno sguardo complice e divertito. Andreas prese in
mano il libro che Benedetta gli porgeva, guardò i loro occhi, i loro sorrisi, guardò
le loro gambe aperte. Sentiva salire dal letto odore di rosa, di gelsomina e di
mughetta.
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Egli desiderosamente fra le braccia la strinse, mostrandosi scontroso (perché
sapeva essere costume del Re che quando era turbato nessuna cosa voleva
udire).
Benedetta e Ottavia si erano alleate, volevano proprio metterlo alla prova. Fu
Benedetta a intrufolarsi per prima con la mano sollevando, all’altezza della vita, la
giacchetta del pigiama, per accarezzarlo sul petto. Il suo gomito sentì il gonfiore
del pene eretto.
Ma Andreas continuava a leggere: Senza dire alcuna cosa dunque, e senza che a
lui fosse detto nulla, più volte carnalmente la Regina conobbe. Ottavia voleva
distrarlo e farlo cadere in errore facendogli il solletico ai fianchi. Ma Andreas
resistette, e riusciva a guardarle fissamente negli occhi tenendole come
avvinghiate al suo sguardo E benché triste egli sentisse l'andarsene temeva che il
troppo permanere potesse volgere il diletto avuto in tristizia, e allora si levò, e
ripreso il suo mantello et il lume, senza alcuna cosa dire se ne andò, e più in
fretta possibile se ne ritornò nel suo letto.
Alle due ragazze non sfuggì il fatto che Andreas aveva barato.
Aveva infatti letto più righe del solito! Ci aveva preso gusto a quelle carezze.
“Non vale” sussurrò divertita Benedetta “passa il libro a Ottavia”.
E così il libro passò nelle mani di Ottavia. Cominciava una nuova tenzone:
Andreas e Benedetta contro di lei, per farla cedere.
Si era appena coricato quando il Re, levatosi, alla camera andò della Regina….
Andreas con l’indice e il medio cominciò a simulare la camminata di un omino
che partiva dal ginocchio e saliva lungo l’interno della coscia di Ottavia la quale
si meravinghiò molto forte; ed essendo il Re nel letto entrato e lietamente
salutatala…
Anche Ottavia si era accorta di aver fatto un errore nella lettura, una piccola
papera, proprio mentre Andreas le attraversava con le dita del suo ominino la
regione sotto l’ombelico, più verso il pube che verso l’ombelico. Benedetta sorrise
compiaciuta a quell’errore e con tenerezza baciò la sua amica sul collo. Aveva
letto “meravinghiò”, invece di “meravigliò”. Ma Ottavia riuscì a superare
quell’inciampo e continuò ancora: ella prendendo ardire dal suo buonumore
disse: “Signore mio, questa che novità è stanotte. Voi vi siete partito or ora da
me. E più del solito di me avete preso piacere; e ora da capo, tosto ritornate?
Riguardatevi da ciò che fate, mio Signore".
Ottavia era riuscita ad arrivare alla fine della pagina e, senza accorgersene, aveva
barato anche lei leggendo più righe di quanto non avesse fatto fino ad allora. Con
la testa che le girava un po’ porse il libro a Benedetta dicendole: “tocca a te,
amica mia!”. E lanciò uno sguardo di alleanza ad Andreas.
Benedetta cominciò a leggere. Anche lei aveva acquistato più sicurezza e
disinvoltura, e più volte riuscì ad alzare lo sguardo senza paura di perdere il
segno:
Il Re, udendo queste parole, subitamente comprese. Capì che la Regina era
stata ingannata da qualcuno che similmente a lui vestito e simile alla sua
persona, furtivamente nel suo letto si era giaciuto.
Alzando lo sguardo Benedetta vedeva la mano di Andreas appoggiarsi
delicatamente sul seno di Ottavia sfiorando la sottoveste a fiorellini. Tra una
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parola e l’altra i silenzi di Benedetta si facevano più lunghi, e ancora più lunghi si
fecero quando sentì l’altra mano di Andreas poggiarsi sul suo capezzolo pur se
ancora c’era la vestaglia per confine. La sua lettura sembrò vacillare: E
subitamente
da saggio pensò,
quando carpì che la Regina non s'era
accorta di nulla e nessun altro sapeva l’accadito.
Aveva fatto due erorri “carpì” invece di “capì” e “l’accadito” invece di
“l’accaduto”. Qui Benedetta si fermò. Tremolante passò il libro ad Andreas con
l’acquolina in bocca. Compiacendosi di aver resistito e di avercela fatta, si
guardarono, lei e Ottavia. Uno sguardo complice, come se avessero in mente delle
raffinatezze per farlo cedere.
Andreas prese il libro in mano e guardandole continuò:
E trovò savio non rivelarle il vero. Il che molti sciocchi non avrebbero fatto, ma
avrebbero detto "non fui io colui che si giacque stanotte. Chi fu colui che venne
nel tuo letto in vece mia? Come andò? Che accadde?"
Andreas non si aspettava che Benedetta e Ottavia sarebbero andate all’attacco così
repentinamente e così alleate. Quando sentì la mano di Benedetta entrare nel suo
pigiama fra le cosce accarezzare la sua cazza indurita sentì un brivido lungo la
schiena. La vista gli si appannò; vide le parole accavallarsi sulla pagina, comincio
a confondere i congiuntivi, i trapassati prossimi, e quelli remoti. E forte fu il
desiderio di chiudere gli occhi, di rovesciarsi all’indietro e di sentire solo carezze
e baci. Ma non poteva mollare così presto. Raccolse le forze e, pur nel piacere
immenso, riuscì ad andare avanti:
E questo accrebbe creato morlti dispiaceli, et egli avlebbe contorto contristlato
la donna, ettele avrebbe dato motivo di desiderarle un'altra voltra quello che già
sentito avea.
In realtà avrebbe dovuto leggere: “E questo avrebbe creato molti dispiaceri, et
egli avrebbe a torto contristato la donna, e le avrebbe dato motivo di desiderare
un'altra volta quello che già sentito avea”.
Da una parte, anche se con tutti gli strafalcioni, avrebbe voluto continuare a
leggere sino alla fine del libro per non perdere la mano di Benedetta sul pene che
lo masturbava dolcemente.
Scelse di passare il libro, a Ottavia.
Ottavia raccolse la sfida e lesse con una lentezza infinita, desiderando guardare i
suoi amici il più a lungo possibile
Perciocché,
tacendo,
nessuna vergogna
a lui medesimo poteva
tornare. Parlando invece sarebbe stata un'onta.
Andreas entrò con la mano nella sue mutandine. Ottavia si mosse, sollevando e
abbassando leggermente le natiche, cercando con la vagina le sue dita. Era così
bagnata e liquorosa che il dito medio di Andreas scivolò dentro senza nemmeno
volerlo. Ottavia continuando a leggere, si abbandonò con la schiena sul letto.
Risposele dunque il re,
più nella mente turbato
che non nel viso e nelle
parole: "Donna non vi sembro io
un uomo
da poter tornare
da voi
un'altra volta e appresso a questa ancora ritornare?"
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Andreas le sfilò le mutandine e cominciò a baciarle il sesso, mentre Benedetta col
suo sesso sedeva a cavalcioni sulla sua schiena. Andreas vide l’albera spoglia del
quadro dell’autunno appeso alla parete e gli sembrò ancora più spoglia.
Ottavia teneva le braccia alzate e continuava a leggere, finché non passò il libro a
Benedetta, che proseguì.
E la donna rispose. "Signore
mio sì.
Ma tuttavia vi prego di badare alla
vostra
salute”. Allora il re disse: "Avete ragione certo, e mi piace seguire il
vostro consiglio, e ora senza darvi più impaccio me ne voglio tornare.”
Ottavia baciava il piccolo seno a punta di Benedetta e Andreas appoggiò il suo
petto sulle natiche di Ottavia.
Et avendo già l'animo pieno
d'ira e di cattive intenzioni per quello che gli
avevano fatto, riprese il suo mantello, e se ne uscì dalla camera,
e pensò di
voler chetamente trovare chi aveva osato tanto. Immaginò essere stato un uomo
della casa e che ancora nel palagio dovesse trovarsi.
La voce di Andreas subiva continue variazioni di tono e di ritmo, a seconda se le
labbra di Benedetta le aveva sull’orecchio, o se le mani di Ottavia gli
accarezzavano i fianchi. E la voce s’inclinava quando inclinava il collo per il
brivido di un bacio, e la lettura si faceva rapida e incalzante quando le dita di
Ottavia premevano sui suoi fianchi procurandogli un solletico misto a un piacere
indescrivibile. Ora procedeva lentamente, quasi sillabando, ora leggeva correndo
come una musica a seconda che la mano di Benedetta scivolava lenta sul suo
pene, o la bocca di Ottavia lo ingoiava con tutto il suo rossore.
Ma il gioco era gioco, doveva resistere.
Si rovesciò anche lui all’indietro, sul letto, come aveva fatto Ottavia, tenendo le
braccia tese che reggevano il libro. Continuava a leggere, continuava a leggere,
mentre sentiva Benedetta, o forse Ottavia, che prendendo il pene eretto e turgido
lo guidavano su e giù sul clitoride masturbandosi e poi se lo mettevano dentro e
lui sentiva la vagina, calda, acquosa, palpitante e dolcemente lo cavalcavano.
Preso adunque un pic - co - lis - siiiiii - mo - lu - me, andò verso il grande
appartamento so-pra-le-stal-le-dei-ca-val-li, do-ve qua-si-tut-tii-suoi-ser-vi-indi-ver-si-let-ti-dor-mi-va-no.
E stimando che al temerario, che aveva fatto ciò che la donna gli aveva
raccontato, non fosse ancora il polso e il bat-ti-men-to-del-cuo-re-cal-ma-to per
lo durato affanno,
tacitamente a tutti i servi dormienti cominciò ad andare t o c c a n d o il petto
per sapere se gli bat-tes-se. Sapeva che colui che era stato con la Regina non
dormiva ancora.
Per la qual cosa, vedendo venire il re e immaginandosi ciò che egli andava
cercando, il pallafreniere forte cominciò a temere, tanto che sopra il
battitoveloce per la fatica avuta, la paura ne aggiunse uno maggiore. E pensò
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fermamente che se il Re di ciò si fosse accorto, senza indugio gli avrebbe dato la
morte.
Andreas guardava Benedetta e Ottavia abbracciate, seno contro seno, i loro baci
sul collo. Alzando lo sguardo dal libro andava a sussurrare il racconto nelle loro
orecchie mentre con una mano accarezzava le loro schiene e le cosce.
E pensando quali fossero le cose migliori a doversi fare, pur vedendo il Re
senza alcuna arma, deliberò di far finta di dormire, e di attendere che il Re
facesse quello che andava facendo.
Mentre Ottavia leggeva Andreas le andò sotto e la penetrò dolcemente. Ottavia
immobile continuava a leggere, era Andreas a muoversi in su e in giù lentamente.
E Benedetta guardava.
E ora era Benedetta a leggere con il libro in mano a cavalcioni sopra Andreas che
la penetrava da sotto. E Ottavia guardava.
Avendone adunque il Re molti passati in esame, né alcuno trovandone il quale
giudicasse essere stato lui, pervenne infine a uno a cui trovò battere forte il
cuore e fra se disse: "È questo!"
Ma poiché non voleva che fosse conosciuto - Benedetta lo baciava sulle labbra ciò che alla Regina era accaduto, niuna cosa gli fece - Ottavia gli mise la lingua
nell’orecchio - se non tagliargli alquanto dall'una delle parti i capelli, li quali
essi a quel tempo portavano lunghissimi, - gli occhi grandi delle bambole sul
letto lo guardavano - con un paio di forbicine le quali portate avea, - il pendolo
sul muro - acciocché a quel segnale la mattina seguente il riconoscesse.
E questo fatto, si dipartì, e tornossi - l’eco della musica blues - alla camera sua.
Il pallafreniere che tutto ciò su di lui avea sentìto, - le mani sul pene - malizioso
com'era, chiaramente - le dita sottili che l’avvolgevano - capì perché a quel
modo era stato segnato; - un pupazzetto di neve - laonde egli, senza alcun tempo
aspettare, - una pallina di neve sul pupazzetto di neve - si levò, e trovato un paio
di forbicette - la piazzetta degli Alberelli di Certaldo - che per avventura si
trovavano nella stalla per lo servigio dei cavalli, - il gelsomino - pianamente
andando a quanti in quella casa giacevano a letto, - il mughetto - a tutti in sìmil
maniera sopra l'orecchio tagliò i capelli. - il pino cembro - E ciò fatto, senza
essere stato sentito, - scalpitio di cavalli - se ne tornò a dormire - odore di fieno.
Il Re levatosi la mattina - il sole tiepido - comandò che avanti a lui quell’accento abruzzese - tutti i suoi servi fossero condotti; e così fu fatto. I servi
tutti, senza alcun copricapo - nude albere spoglie - davanti standogli, egli
cominciò a guardare - seni e veneri - per riconoscere colui che aveva rasato…
Ottavia leggeva con voce calma, piena, distesa sul letto: e veggendo la maggior
parte di loro coi capelli ad un medesimo modo tagliati - Andreas e Benedetta
avevano le orecchie appoggiate sul suo petto per sentirne le vibrazioni prodotte
dalla voce - si meravigliò e disse fra sé: "Costui il quale io vo cercando,
quantunque di bassa condizione sia, pur assai ben mostra d’essere d'alto
senno".
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Prese in mano Benedetta per l’ultima volta il libro. Anche la sua lettura era
tranquilla e pacata e le orecchie di Andreas e Ottavia poggiate sul ventre e sul
seno ascoltavano il suo respiro e le costole vibrare. Poi, capendo che senza
rumore non poteva avere quel ch’egli andava cercando, disposto a non volere,
per una piccola vendetta perseguire gran vergogna, con una sola parola, con
l'intento d’ammonirlo e dimostrargli che avveduto se ne era, a tutti rivolto disse:
"Chi lo fece non lo faccia mai più et andatevi con Dio”.
E quando di nuovo toccò ad Andreas, restò solo la sua voce avvolgente a cullarle.
Egli sentiva la mano di Benedetta che mollemente avvolgeva il suo glande e la
guancia che aveva appoggiato al suo fianco. La mano di Ottavia insinuata
nell’inguine, e la guancia sul petto di Andreas si sollevava a ogni suo respiro.
Un altro li avrebbe fatti torturare, martoriare, esaminare e domandare, e ciò
facendo avrebbe scoperto quello che ciascuno invece doveva tener segreto. E
anche se il colpevole scoperto avesse, e una intera vendetta ne avesse preso,
molto cresciuta sarebbe la sua vergogna, e contaminata l'onestà della donna
sua.
I servi che quella parola udirono, si meravigliarono, e lungamente fra sé
esaminarono cosa il Re avesse voluto dire. Ma niuno vi fu che l'intendesse, se
non colui solo cui toccava. Il quale, da saggio, mai, vivente il re, il vero
scoperse, né più la sua vita in siffatto modo mise in mano alla fortuna.
“Che bella storia” disse Benedetta con un filo di voce, gli occhi chiusi in un
leggero sbadiglio.
“Che bella storia” ripeté Ottavia con nostalgia.
Andreas chiuse il libro.
Appoggiò teneramente le mani sul capo delle ragazze, e chiuse gli occhi.
Alla finestra con opaco chiarore l’alba spuntava.
Fu l’odore del caffè a svegliarli. In cucina la madre di Benedetta aveva
apparecchiato la tavola per la colazione.
“Dormito bene?” chiese la madre.
La domanda era rivolta a tutti, ma in modo particolare sembrava chiedesse solo a
Benedetta.
“Sì mamma, benissimo” rispose Benedetta stringendo la mano della madre che le
aveva accarezzato i capelli.
Erano le dieci, avevano dormito solo poche ore, ma avevano dormito bene.
Andreas raccolse le sue poche cose. Era ora di partire.
Benedetta e Ottavia lo accompagnarono con l’ombrello sino al furgone. Aveva
ripreso a nevicare.
Si abbracciarono senza dire parole. Si guardarono negli occhi, senza dire parole.
Il furgone scomparve nella discesa oltre la curva.
Era prossimo all’autostrada quando Andreas sentì il bisogno di fermarsi in
una piazzuola in quella campagna deserta.
Aveva la mente affollata di ricordi e una sorta di tristezza lo aveva pervaso. Il
pensiero della sua fidanzata. Quella sua fidanzata che, anche a distanza di tempo,
quando sarebbe rientrato a Bologna… bastava che lui mettesse il primo piede in
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soffitta, senza nemmeno essere ancora entrato del tutto, che lei gli avrebbe letto
nello sguardo quello che era successo.
Si immaginava già l’assalto delle sue domande: perché? per come? chi? dove?
perché? perché? Fra tutte le domande, erano quei “perché” ripetuti più volte a
rattristarlo. Come avrebbe potuto spiegare il “perché”? Sono cose che non si
possono spiegare.
Sarebbe rimasto zitto, senza dare risposte, e lei per molto tempo non gli avrebbe
più parlato.
La tristezza diventava esistenziale, a volte depressione, quando pensava a tutte le
donne che chiedono il perché di cose che non si possono spiegare. E sono tante le
donne e tante sono le cose che non si possono spiegare. Alcune, forse, col tempo.
Andreas solo l’anno dopo capì alcune cose di quella notte, quando seppe che
Benedetta, l’anno dopo, era morta di cancro.
Allora capì quella voce dolce di Benedetta che rispondeva alla madre “sì mamma,
benissimo” e la frase del padre che le diceva “come vuoi tu”.
Nella cabina del furgone, guardando la campagna deserta, Andreas rimetteva a
posto i pensieri, i ricordi, le sensazioni.
Prese il suo quaderno a quadretti. Lo aprì. Scrisse un appunto sul foglio inumidito:
fiocchi di neve
si scioglie sul parabrezza
un gran silenzio
Mise da parte il pensiero della fidanzata. Tornò ai ricordi della notte che voleva lo
accompagnassero per tutto il viaggio. Mise in moto. Partì. Partì sereno.
A sud la temperatura era più calda di qualche grado. Non ebbe problemi
con le sue macchine del fumo. Nel cuore del Carnevale, fra le trombettine dei
bambini e i coriandoli, scolpì le sue nuvole di fumo che salivano alte nel cielo tra
le case bianche di Martina Franca. Scolpì cavalli grandi, coyote, bufali… E due
fiori di primavera.
Cascina Macondo
Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku
Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy
[email protected] - www.cascinamacondo.com
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