GBspeanuts n 1 allegato - Liceo Melzo

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GBspeanuts n 1 allegato - Liceo Melzo
Cassano d'Adda, 30 Gennaio 2015
B 14039
Scendo giù per Via Berchet, al solito passo, le gambe portate innanzi in linea d’aria rispetto al mio viso sia dalla gravità
ma pure dal desiderio incontrollabile di poter rivedere, non che nessuno me lo porti via, non siamo mica in guerra, il
sorriso di Ada, la mia piccola paffutella Ada. È autunno ma è un autunno strano, mica come quello dell’anno scorso, sia
mai! Tutta quella pioggia chi se la sopportava? Ci scappò anche il morto, povero diavolo. La luce del tramonto inonda le
strade e si prende gioco dei miei occhiali, diamine, devo distogliere lo sguardo dalle mattonelle che altrimenti mi
acceca. La testa mi dice di non correre, potrei scivolare ed allora un bacio della mia cara Nicole non basterebbe ad
aggiustarmi l’osso sacro. Che diavoleria dalla complessità insormontabile questa macchina che noi chiamiamo uomo!
Sarebbe stato forse meglio se fossimo nati sassi, impossibili da scalfire se non col materiale giusto, invece che poterci
rompere e rischiare di rimanere seduti per sempre a causa di una puerile caduta. Non. Devo. Correre.
Possibile che? … Che male c’è, oramai la guerra è finita! Io devo dirglielo, devo dirglielo, sì, tutti gli uomini possono
essere salvati, possono redimersi dai propri errori, io devo dirglielo. Quando arriverà all’angolo lo fermerò.
Pochi passi e sono all’angolo di Via dello Scoglio. Devo stare attento alle biciclette che scendono giù a tutta velocità,
“Maledetti ragazzini!” urlo. Appena torno dovrò impartire ad Ada una lezione sull’educazione nei luoghi pubblici, non
ci si comporta così! Dove andrà a finire il rispetto per dei devoti lavoratori. Salve Signor Lampione! Come la trovo bene
oggi! Come dice? Non si è ancora acceso? Stia calmo, tra poco potrà diffondere tutta la luce che vorrà coi suoi vapori di
non so che gas strani, non vede il sole all’orizz..
“Buongiorno! O meglio, buon pomeriggio! La prego di scusarmi, il mio occhio non è più quello di una volta sa, e
pensare che lavoravo da apprendista nella bottega di mio padre, che faceva l’ottico…che ironia!”
“Già, che ironia! Buon pomeriggio anche a lei…la prego di scusarmi, mi rammenti il suo nome”
Questo vecchio petulante proprio adesso doveva fermarmi, ora che sto correndo dalla mia Ada per dirle quanto è
importante essere educati, questo canuto impiccione mi sbarra la strada.
“Samuele Gassen! Samuele Gassen..” Io non mi ricordavo fosse così.
O forse il Signor Gassen se lo ricordava fin troppo bene il Signor Vogt. Tremava. Come a quei tempi. Non bei vecchi
tempi, non si parla di una toppa di nascondino finita male, dove il Signor Gassen rimase intrappolato dentro ad una
radice di una vecchia quercia urlando aiuto, essendosi perso, perché lui fin da bambino cercava l’ignoto, lo
sconosciuto, e voleva che tutti penassero per trovarlo, perché lui era più furbo e sapeva nascondersi più lontano, ma
non lo faceva per superbia o che altro infimo sentimento, lo faceva perché spesso si perdeva nel correre nella foresta,
affascinato da tutte quelle forme di vita, da quell’organismo che era gli alberi, e gli insetti, ed i cervi, ed i cinghiali, e le
libellule, ed i funghi, e quei piccoli ragni che lo facevano urlare di spavento quando si trovava le loro tele stampate in
viso. Suo papà sapeva che avrebbe studiato biologia, ma si ostinava a volergli dare una solida base pratica ed
economica prima di intraprendere gli studi, e così gli faceva imparare il mestiere di ottico. Non si parlava di biologia
però. Non tremava per paura di trovarsi una tela di ragno nei capelli. Tremava per le vanghe ed i martelli. Per le
bastonate. Per i cadaveri ammucchiati come sterco fuori dalle gallerie. Tremava perché aveva visto troppi occhi azzurri
che ardean di fiamme rote. I suoi occhi azzurri, che sovrintendevano a tutto. Indagatori di ogni minimo insignificante
lavoro non svolto correttamente. Bastoni, calci di MP 40. Sputò un dente.
“Lei è il Signor Vogt vero? Ho sentito tanto parlar bene di lei! Come sta?”
“Bene Signor..Gassen? Sì, mi scusi sono un po’ di fretta, stavo correndo a casa da mia moglie e dalla mia bambina”
“Oh ma è fantastico! Senta non vorrei rubarle troppo tempo..”
“Si figuri, dica pure” Speriamo che questo ebreo faccia veloce, ho i miei affari da sbrigare.
“Ho da parlarne di una cosa, sa, per me non è facile, a questa età, come può immaginare, un uomo della sua levatura,
io, ecco..”
“Dica, non abbia timore!”
“Ecco, il fatto è questo..”
“Signor Gassen, dovrei avviarmi verso casa, faccia presto la prego”
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Cassano d'Adda, 30 Gennaio 2015
“Che lavoro faceva prima di fare il..dirigente direi?..alla sua impresa?”
“Questi non sono affari che la riguardano, Signor Gassen” Dovrò proprio farlo ad Ada quel discorso sull’educazione.
Non si è mai troppo prudenti, ora non solo i ragazzi importunano gli onesti lavoratori, ma pure questi scapestrati di
ebrei!
“Ha ragione..forse ecco io dovrei..no! Lei deve dirmelo! Io devo saperlo dalle sue labbra!”
“Che cosa vuole che le dica insomma!”
“Totenkopfverbande!”
Ora era Vogt che tremava. Il suo amico lampione non bastava a sostenerlo. La sua ipocrisia di bella vita borghese non
lo sorreggeva più.
“Oppure preferisce Unità di Teste di Morto? Adesso se lo ricorda, Signor Vogt? O forse non si chiama più così? Adesso
se lo ricorda, Mauthausen? Lo ricorda quando scherzava coi suoi compagni così allegri di mattina, ubriachi fradici alle
sei del mattino, quando il sole non illuminava neanche tutto il tetto del campo, a 10 gradi sotto zero, quando Ziereis
accoglieva con amorevole preoccupazione quegli scheletri, animali, dicendo che sarebbero usciti solamente dal
camino? Lo ricorda il Muro dei Paracadutisti?”
“Ora basta!”
“Adesso lo dico io basta!”
Oddio, cara Ada. Devo tornarmene da te. Mi tremano le gambe, cerco, io cerco di alzarmi! Che diavolo è questo
brivido? Mi sta percorrendo tutta la spina dorsale, attraversa ogni membrana, oddio non riesco a sfuggirgli, io non
posso. Ogni follicolo pilifero mi si sta irrigidendo, io non riesco più a muovermi. Perché mi si sta facendo la vista così
fioca ed annebbiata, cara Ada? Io ti voglio bene. Che c’entra questo vecchiaccio con me? Io sono stato furbo, più furbo,
ho aperto un’azienda, ora ho te, piccola mia. Zyklon B, sembra proprio lui. Kiesewetter, quel signore in quel camice che
invocava tale rispetto, bianco, con 7 bottoni e non di più, usava spesso spiegarci gli effetti che quella diabolica
bombola, il mio assistente, la chiamava, era capace di fare. Tutta la spina dorsale, le ginocchia sembrano immobili, ora
mi percorre entrambi i lati della testa, su, dalla mascella, fino alla fronte. No, non ho la febbre piccola mia. Quel
vecchiaccio mi ha fatto sedere su una panchina, verde, quelle belle panchine verdi su cui ti scarico dopo che ti ho
portata sulle spalle, amor mio.
“Lei deve sapere! Lei ha agito, ha eseguito gli ordini, ora deve sapere quello che questi ordini hanno provocato! Se lo
ricorda il mio amico Adam, che quando è scivolato giù da quella discesa, sì, il Muro dei Paracadutisti, finì sulla destra, e
voi pronti urlaste ‘Fluchtling!’. Io me lo ricordo Adam. Era uno di quei ragazzi che facevano da mediatori fra noi bambini
e le bambine dall’altra parte del parco, aveva un carisma tutto suo, Adam, e, anche a Mauthausen, all’inferno, sapeva
farci ridere. Me lo ricordo quella volta quando mi diede il suo pasto, sacrificando un così agognato pezzo di straccio,
perché mi vedeva più scheletrico del solito, giustificandosi dicendo, guardandomi con aria di superiorità coi suoi grandi
occhi marroni ‘Lo sai Samuel, che devo tenere la linea io, altrimenti mica mi guardano le ragazze del campo femminile’.
Me lo ricordo, quando cercai di trattenerlo dalla caduta ma lui con l’altro braccio prima di piombare a terra e scivolare
giù incontrollatamente, si staccò con violenza la mia mano dal suo avambraccio. Mi ricordo l’orrore dipinto sul mio
volto quando i freddi raggi del sole di Febbraio si riflettevano sulla nuca ormai pelata ed eccessivamente ossea di
Adam, disteso a terra, in una posizione innaturale, col torace che schiacciava col suo peso di qualche decina di chili
l’avambraccio destro, mentre l’omero sinistro era slogato dalla spalla e faceva da cuscino alla sua testa, da cui grondava
ancora sangue caldo, l’unica cosa calda in quel mattino di Febbraio. L’unica cosa che mi rammentò che ero ancora vivo
in quel mattino di Febbraio. Una delle miriadi di cose che mi faceva desiderare di morire, in quel mattino di Febbraio.
La sua nuca passata da parte a parte dal proiettile del FG 42, che aveva scavato nel ghiaccio poco dietro, le venature
azzurre del ghiaccio, l’armonia tanto intrinseca della natura, disturbata da quel pezzo di piombo. Il buco si riempì
presto del suo sangue scuro. Corsi da lui, lo abbracciai, gli dissi che non doveva fare tanto affinché le belle signore del
campo femminile lo vedessero, gli dissi che si sarebbe potuto riprendere la zuppa, che a me non andava più. Gli dissi
tutto questo con la sua nuca leggera appoggiata alla mia bocca, mentre voi mi prendevate a bastonate. Adesso lo
ricorda Adam, Signor Vogt? Ricorda i crani spaccati in basso alla Scala della Morte? Ricorda quando sostituivate le
pietre di coloro che si erano presi una pietra di una decina di chili con una di trenta o quaranta? Le ricorda le urla di
coloro che spingevate vivi nelle minuscole fessure dei forni? Dante non avrebbe scritto l’inferno se avesse sentito urla
del genere. Io me le ricordo, me le ricordo bene, Signor Vogt. Era come se fossi lì. Era come se sentissi ogni corda
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vocale strapparsi con uno strappo netto e deciso, dentro la bocca, una volta raggiunta dal fuoco, perché essi gridavano
avvolti dalle fiamme. Sa, ho sempre pensato che l’ultima parola di uomo dovesse essere quella che racchiude la sua
esistenza. Ma lì, lì non si era più uomini, Signor Vogt, quello era un urlo disperato di una bestia al macello, lì, gli uomini
erano privati della loro umanità, non potevano neanche più parlare in punto di morte. La parola, il dono più fantastico
che Yahoveh ci fece, è stato sciupato, ma non dal Lucifero dei Cristiani, né da nessuna fantomatica divinità distruttrice
indiana, ma dall’uomo stesso. Adesso capisce?”
Gli mostro il tatuaggio. “Ma io la perdono, Signor Vogt, ma lei riuscirà a perdonare sé stesso?”
Mi mostra il tatuaggio. Leggo B 14039
La sera seguente, la piccola Ada cercò di entrare in bagno. Trovò la porta chiusa a chiave, ma alla piccola scappava la
pipì, così chiamò la mamma. Nicole salì le scale, facendo ticchettare le scarpe su ogni gradino di legno, sperava che suo
marito non se ne fosse accorto che saliva le scale coi tacchi, altrimenti si sarebbe arrabbiato ed avrebbe fatto una delle
sue solite scenate sul perché lui lavorava e portava i soldi a casa se poi lei doveva sciupare il mobilio e la casa che lui
aveva così faticosamente comprato, che non era mica facile tirare su dei soldi onestamente in quei tempi. Attraverso i
pioli della scala vedeva Ada accucciata alla porta del bagno, i suoi capelli forse troppo chiari che prendevano lo stesso
andamento delle venature di legno ed il suo occhio coperto dal piolo veniva sostituito da un nodo scuro sul legno
chiaro che le ricordava vagamente un occhio di Munch. Bussò alla porta. Nessuno rispose, così baldanzosamente
minacciò di buttarla giù. Ancora nessuna risposta. “Guuuuustaf!”. La signora Vogt si stava spazientendo. Un’ansia la
colse d’improvviso, come se tutte le sue certezze d’un tratto fosse state frantumate in mille pezzi, come una vetrina in
una Notte di Novembre. Che anche uno Zyklon B stesse facendo effetto su di lei? Smaniò sulla maniglia, i suoi
movimenti su e giù diventarono sempre più convulsivi, i suoi occhi sempre più rossi e il suo sguardo sempre più fisso.
Alla fine il suo peso ebbe la meglio e i cardini si piegarono sul peso della porta di frassino, bianca, dipinta or ora la
settimana precedente da suo marito. Lei cadde sulla porta che fece un battito sordo sulle mattonelle del bagno, come
a sancire un decreto ineluttabile. Ada urla, la Signora Vogt rimane impietrita a terra, poi come un automa riporta la
piccola in camera sua.
-+Il giorno seguente le analisi dell’acqua nella vasca da bagno oltre ai 3 litri di sangue persi, rivelarono alcune tracce di
cloruro di sodio. Chiesero alla Signora Vogt se per caso era solito usare dei sali da bagno, ma lei negò e disse che anzi
non li avevano neppure in casa. Quindi, una Totenkopfverbande aveva pianto.
S.H.
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