B4,4 ) Termo-ossidazione e comportamento

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B4,4 ) Termo-ossidazione e comportamento
B4,4 ) Termo-ossidazione e comportamento termico delle fibre di seta
Il calore può indurre variazioni di natura strutturale-morfologica e fisica che interessano sia le regioni cristalline delle fibre che quelle amorfe.
In opportune circostanze, l’azione combinata del calore e dell’ossigeno è
causa di reazioni chimiche (free radical thermal oxidation) che interessano i residui di amminoacidi presenti lungo la macromolecola della
fibroina. Questi processi di termo-ossidazione, che possono provocare
estesi fenomeni di deterioramento nelle fibre di seta, sono la risultante
della combinazione di reazioni di idrolisi e di ossidazione. A seconda
delle condizioni e del pH delle fibre prevale l’uno o l’altro processo [63].
Le fibre di seta si caratterizzano per una buona stabilità al calore; esse
infatti sono capaci di sopportare, anche se per tempi relativamente brevi,
trattamenti fino ai 150°C senza subire apprezzabili modificazioni chimiche e fisiche [64].
E’ importante sottolineare che comunque la permanenza alle alte temperature accelera altri processi di deterioramento causati da fattori di
natura diversa (ad esempio quelli chimici).
I fenomeni di degradazione termo-ossidativa determinano un decadimento delle caratteristiche chimico-fisiche delle fibre riconducibile a
fenomeni di scissione delle catene e/o alla formazione di reticolazioni che
modificano sostanzialmente la struttura chimica delle macromolecole –
proteiche componenti.
A.Timar-Balazsy e D. Eastop, in relazione agli effetti del calore sulla
seta scrivono:
«The most common effect of heat on silk is desiccation and free radical thermal oxidation. It has been noted in artificial ageing tests that silk yellows ten
times faster when exposed to heat compared with exposure to electromagnetic radiation, but without the same decrease on its tensile strength. The
mechanical properties of silk suffer considerable changes above 140°C»
[26].
M. Romanò e G. Freddi hanno osservato, mediante microspia elettronica in scansione, che l’esposizione al
«calore induce deformazioni di tipo plastico che nelle zone di frattura assumono una caratteristica forma di fungo» (vedasi figura 87) [64].
L’applicazione, combinata, di più tecniche (DSC, DTA, TMA, TGA,
WAXS, SAXS, ecc.) ha permesso di delucidare il comportamento e la
184
Fig. 87: Micrografia elettronica a scansione di un insieme di fibre di seta. Viene evidenziato l’effetto dell’ esposizione al calore che produce deformazioni di tipo plastico che, nelle zone di frattura assumono un aspetto fungiforme [64].
stabilità termica della seta e di correlare le modificazioni molecolari,
strutturali e morfologiche con la tipologia dei trattamenti termici [54, 65,
66, 67].
Nelle figure 88 e 89 sono riportati, rispettivamente, i termogrammi di
analisi termomeccanica (TMA) e di calorimetria differenziale a scansione (DSC) di fibre di fibroina [65, 67].
La curva TMA mostra nell’intervallo che va dalla temperatura ambiente a ~ 120°C una leggera contrazione (~ 0,7%). Il corrispondente termogramma DTA presenta un primo picco, di natura endotermica, piuttosto
slargato, posizionato tra ~ 110 – 125°C.
Queste due transizioni sono attribuite all’evaporazione di acqua assorbita dalle fibre [54, 67, 68]. A temperature più elevate, ed in particolare
intorno ai ~ 310°C, si osservano, nelle curve TMA e DSC, rispettivamente un improvviso e drastico allungamento delle fibre (figura 88) e una
endoterma, principale, il cui massimo è tra ~ 307-312°C (figura 89).
Queste ultime transizioni, a più alta temperatura, sono state ascritte ad
un processo di distruzione, indotto dalla temperatura, dell’impacchetta185
Fig. 88: Diagramma di analisi termomeccanica di fibre di fibroina (Bombyx Mori), in atmosfera
di N2 [65].
mento delle macromolecole di fibroina disposte a foglietto ripiegato con
una conformazione di tipo  ( pleated sheet structure) [54].
Il comportamento meccanico–dinamico delle fibre di fibroina, sottoposte all’applicazione di uno sforzo variabile con legge sinusoidale nel
tempo, ha permesso di acquisire informazioni utili a delucidare le variazioni strutturali causate dalla permanenza alle alte temperature, correlando il modulo elastico dinamico (E’) [la parte reale del modulo relativo
alla deformazione in concordanza di fase con lo sforzo] ed il modulo di
perdita meccanica (E’’) [la parte immaginaria del modulo relativo alla
deformazione in opposizione di fase con lo sforzo] con la temperatura.
E’ e E’’ sono legati tra di loro mediante le seguenti relazioni:
E* = E’ + i E’’
Tang() = E’’/ E’
186
Fig. 89: Termogramma DSC di fibre di fibroina (in atmosfera di N2). Il diagramma mostrato in
figura si riferisce a temperature superiori a 150°C [65].
Dove, E* è il modulo complesso e Tang () rappresenta la perdita meccanica.
La dipendenza dalla temperatura dei due moduli, E’ e E’’, nel caso delle
fibre di fibroina, ricavate per sgommatura delle bavelle secrete dal
Bombix Mori, è mostrata nella figura 90 [67]. Dall’andamento delle due
curve, E’, E’’ T, si ricava che:
i) E’ rimane praticamente costante fino a ~ 150°C, quindi subisce
una rapida e brusca diminuzione;
ii) I valori di E” restano, pressocchè, invariati fino a ~110°C, quindi si impennano presentando un massimo a ~220°C.
La stabilità termica delle fibre di fibroina, al di sotto dei 100°C, viene
imputata all’alto grado di orientamento delle macromolecole nelle regioni amorfe ed in generale ad una struttura fibrosa molto compatta [67].
J. Magoshi et Al. [69] hanno determinato, attraverso misure di TMA,
effettuate su membrane amorfe, un valore di 175°C per la temperatura di
transizione vetrosa della fibroina. Questo valore coincide con le temperature a cui corrispondono le brusche variazioni di pendenza osservate
nei diagrammi della figura 90.
187
Fig. 90: Comportamento meccanico-dinamico di fibre di fibroina (Bombyx Mori) in funzione
della temperatura. In figura viene graficata la dipendenza del “Modulo elastico dinamico E’ e del
Modulo di perdita meccanica E’’ al variare della temperatura [67].
L’applicazione, di tecniche basate sulla misura della birifrangenza e
dell’indice di rifrazione isotropico e della diffrazione dei raggi X all’alto
angolo, ha permesso di ottenere interessanti elementi conoscitivi per una
più completa comprensione dei meccanismi che sono alla base del comportamento termico della seta [67].
In particolare, dalle figure 91, 92, è stato possibile trarre le seguenti
indicazioni:
i) la birifrangenza (n), che fornisce una misura dell’orientazione
media delle macromolecole lungo l’asse di fibra della fibroina,
decresce, quasi monotonicamente, con l’aumentare della temperatura; al di sopra dei 240°C si osserva una brusca inflessione
(figura 91), a dimostrazione del fatto che a temperatura elevata il
sistema tende a disorientarsi;
ii) l’indice di rifrazione isotropo (iso) aumenta con la temperatura
(figura 92) [67].
In relazione a questo ultimo punto, M. Tsukada et Al., avendo osservato che la struttura delle regioni cristalline, come si evince analizzando gli
spettri dei raggi X all’alto angolo, non subisce modificazioni rilevanti al
variare della temperatura, concludono:
188
«therefore, we should estimate that the variations of refractives indeces
were due to some changes that occurred in the less ordered regions of the
silk fibers » [67].
H. Ishikawa et al. [68] hanno proposto, per le fibre di fibroina un
modello caratterizzato da tre fasi: una cristallina, ad elevato ordine tridimensionale (fase “C”); una amorfa, altamente disordinata (fase “A”) ed
una terza fase, di transizione, avente un grado di ordine intermedio (fase
“L”) che si interpone tra la fase “A” e la fase “C”. pertanto una fibra consiste di fatto in una successione di sequenze del tipo [-C-L-A-] che si
ripetono n volte lungo l’asse di fibra.
M. Tsukada et Al. [67] hanno proposto un metodo per valutare la frazione della fase L che consiste nel separare, nei diffrattogrammi dei
Fig. 91: Birifrangenza di fibre di fibroina in funzione della temperatura [67].
189
Fig. 92: Indice di rifrazione isotropico di fibre di fibroina in funzione della temperatura [67].
raggi X all’alto angolo, l’area corrispondente alla diffrazione discreta da
parte del reticolo cristallino da quella continua connessa alle regioni
amorfe e di transizione.
Questa procedura (vedasi figura 93) è stata effettuata graficamente
applicando due metodi diversi per la separazione delle varie componenti
e cioè quello di P. Hermans e H. A.Weidinger [70] e quello di I. Sakurada
et Al. [71] i quali differiscono tra loro per la maniera di tracciare la linea
di base che separa il contributo cristallino da quello amorfo.
Come si evince dalla figura 93, il grado di cristallinità che si ricaverebbe con il metodo proposto da Sakurada et Al., risulterebbe maggiore di
quello determinato con quello di Hermans e Weidinger.
M. Tsukada et Al.,
«assuming that the intensity of the broad peak representing the amorphous
contribution is proportional to the degree of order and orientation of the
amorphous phase suggest that the area between the two base line drawn on
the X-Ray diffractograms (figura 93) is an index representing the laterally
ordered regions at the silk fibers (regioni di transizione, L, n.d.A.)» [67].
190
Fig. 93: Diffrattogramma dei raggi X all’alto angolo di fibroina. La curva tratteggiata (A) e quella piena (B) si riferiscono rispettivamente al metodo di separazione della parte cristallina ed
amorfa dello spettro proposto da Hermans e Weidinger [70] e da Sakurada et. Al. [71].
Sulla base delle assunzioni di cui sopra, e dei risultati ottenuti, M.
Tsukada et Al. suggeriscono un modello, per le fibre di fibroina (illustrato nella figura 94), in base al quale vengono evidenziate le modificazioni strutturali indotte dalla temperatura.
In particolare, come si deduce dai dettagli della figura 94, il trattamento termico provocherebbe un riarrangiamento strutturale-morfologico
con un incremento delle dimensioni dei cristalliti e un impacchettamento
più compatto delle macromolecole nelle regioni di transizione.
La bassa contrattilità osservata nelle curve di TMA è attribuita al fatto
che anche nelle regioni amorfe le macromolecole non sono libere di muoversi essendo impedite alle estremità.
«These findings suggest that B.Mori silks possess the higher degree of order and
molecular orientation in the amorphous region» [67].
191
Fig. 94: Rappresentazione schematica delle variazioni strutturali e morfologiche provocate dalla
temperatura alle fibre di fibroina. A sinistra, viene rappresentata una fibrilla elementare a temperatura ambiente, a destra dopo trattamento termico [67].
192
B4,5 ) Foto ossidazione e termo-ossidazione delle fibbre cellulosiche
B4,5,1 ) Degradazione fotochimica e fotoossidativa della cellulosa e
delle fibre cellulosiche
Le radiazioni con  compresa tra i 500 e 450 millimicrons, come evidenziato nel diagramma della figura 95, hanno energia paragonabile a
quella di alcuni legami primari presenti lungo la catena macromolecolare della cellulosa [72].
Dall’analisi dello spettro mostrato nella figura 96-c si ricava che la cellulosa nativa (non trattata) presenta valori elevati dell’assorbanza, in
riflessione, in corrispondenza di radiazioni UV con  < 400 nm. La capacità assorbente diminuisce man mano che la lunghezza d’onda delle
radiazioni si sposta verso il visibile (per  > 400 nm l’assorbanza è praticamente nulla o comunque molto bassa) [73].
L’assorbimento di radiazioni innesca una serie di reazioni fotochimiche
basate sulla formazione di radicali liberi le quali rappresentano, in presenza di ossigeno, la prima fase dei processi di foto-ossidazione della cellulosa.
In assenza di ossigeno, le molecole di cellulosa possono subire un processo di fotolisi diretta, che porta alla rottura dei legami C—C , C—O e
C—H, la cui energia di dissociazione è rispettivamente pari all’incirca a
335, 377 e 418 J/mol [26, 74, 75].
In presenza di ossigeno la foto-ossidazione della cellulosa avviene attraverso due distinti processi.
Processo-A—Ossidazione dei gruppi ossidrili laterali.
In ogni unità anidroglucosidica della cellulosa sono presenti un gruppo
ossidrilico primario (—CH2OH), sul carbonio in posizione 6, e due
secondari (—CHOH—), posizionati sugli atomi di carbonio 2 e 3 (vedasi figura 97-a).
Le reazioni di ossidazione degli ossidrili tendono ad essere di natura
progressiva, con prodotti intermedi facilmente identificabili.
La foto-ossidazione degli ossidrili primari, come illustrato attraverso
gli schemi della figura 97-b e 98-a, porta, prima a gruppi aldeidici e quindi a gruppi carbossilici. Quella relativa agli ossidrili secondari produce
inizialmente gruppi chetonici, successivamente, attraverso la rottura del
legame ed apertura dell’anello glucosidico, gruppi aldeidici ed eventual193
Fig. 95: Diagramma dove vengono correlate l’energia di dissociazione di alcuni legami interatomi con l’energia delle radiazioni del visibile e del vicino e lontano ultravioletto [72].
mente gruppi carbossilici (figura 98-b, c). In appropriate condizioni è
stata osservata la presenza di dichetoni sui C2 e C3 che, mediante una tautomeria cheto-enolica, danno luogo alla formazione di un doppio legame
tra gli atoni di carbonio 3 e 4 (figura 98 d) [76, 26].
La fotolisi di gruppi ossidrilici secondari, secondo lo schema di reazione riportato nella figura 99, potrebbe spiegare lo sviluppo di molecole di
194
Fig. 96: Spettrogramma in riflessione [ Assorbanza in funzione della lunghezza d’onda della luce
incidente (dal visibile al lontano ultra-violetto)]:
a) legno; b) lignina; c) cellulosa [73].
a)
b)
Fig. 97: a) struttura molecolare della cellulosa;
b) ossidazione di un gruppo ossidrilico primario (alcool primario) [76].
195
Fig. 98: Prodotti derivanti dall’ossidazione degli ossidrili primari e secondari presenti nelle unità
anidroglucosidiche della cellulosa: a) ossidazione del CH2OH, legato al C5, ad aldeide e quindi a
gruppo carbossilico: b) ossidazione del C2 a chetone; c) ossidazione del C2 e del C3 ad aldeide con
apertura dell’anello anidroglucosidico; d) formazione di dichetoni sul C2 e sul C3 con succesiva
formazione di un doppio legame tra C3 e C4 (reazione di tautomeria cheto-enolica) [76, 26].
idrogeno osservato durante la foto-ossidazione della cellulosa [77, 75].
Le reazioni sopra menzionate determinano nella cellulosa fenomeni di
ingiallimento, di imbrunimento e di scolorimento insieme alla variazione
di alcune significative caratteristiche quali la polarità, la solubilità e l’assorbimento/deassorbimento di acqua [26].
Processo-B— Rottura del legame etero-glicosidico.
La reazione di degradazione fotochimica della cellulosa inizia con l’estrazione di un idrogeno e con la formazione di un radicale sull’atomo di
ossigeno legato al C1 (radicale ossi-cellulosa, figura 100-a).
Secondo alcuni Autori radiazioni aventi lunghezze d’onda pari a 260nm
penetrando nelle regioni amorfe hanno la capacità di indurre il processo
fotodegradativo a cui fa seguito una reazione a catena che conduce alla
196
Fig. 99: Fotolisi di gruppi idrossilici, presenti nelle unità anidroglucosidiche della cellulosa, che
porta allo sviluppo di idrogeno [77,75].
a)
b)
Fig. 100: Reazione di foto-ossidazione della cellulosa che porta alla scissione della catena in due
tronconi a più basso peso molecolare [26].
rottura del legame glicosidico e quindi a due distinti tratti di catena, caratterizzati, l’uno da un terminale chetonico, l’altro da un terminale radicale ossi-cellulosico (vedasi schema in figura 100-b) [26].
La scissione foto-ossidativa della cellulosa comporta una riduzione del
grado medio di polimerizzazione (DP) delle macromolecole costituenti
che determina un abbassamento della tenacità ed un aumento della rigidità. Il fatto che la degradazione avvenga principalmente nella fase amorfa permette la ricristallizzazione dei segmenti macromolecolari a minore
massa molecolare. Pertanto la cellulosa degradata presenta, rispetto a
quella integra, un grado di cristallinità maggiore.
Il processo di foto-ossidazione delle fibre vegetali dipende fortemente
dalla loro composizione chimica, in particolare dalla percentuale di lignina.
La lignina, presente nel legno (15 - 30% in peso), è un polimero reticolato le cui unità costitutive hanno una struttura di natura fenolica (vedasi
modello molecolare nella figura 101). La lignina ha la funzione di legante.
197
Fig. 101: Modello della struttura molecolare della lignina del legno “Soft“ [73].
Infatti essa agisce come una matrice strutturale rigida, amorfa, idrofobica, con spiccate caratteristiche acidiche, capace di legarsi agli altri componenti del legno e delle fibre vegetali (cellulosa, emicellulose ecc.)
mediante forti legami secondari [26, 73].
Nella macromolecola della lignina sono presenti due gruppi cromofori
(A e B in figura 101) i quali hanno la capacità di asssorbire fortemente
radiazioni UV (vedasi spettro di assorbanza in figura 96-b) e quindi,
attraverso la fomazione di radicali, favorire i processi foto-degradativi
anche nelle molecole delle altre sostanze, incluso la cellulosa, che sono
presenti nel legno e nelle fibre [26, 73].
198
a)
b)
Fig. 102: a) schema della struttura del fusto del lino [78]; b) sezione trasversale di un aggregato di fibre di lino (schematico).
199
Fig. 103: Struttura di una fibra
elementare di lino (schematico) [78].
Il processo di foto-ossidazione della lignina porta alla produzione di
fenossi-radicali che si trasformano in derivati del chinone dai quali ultimi dipende il fenomeno di ingiallimento osservato alla superficie del
legno e delle fibre vegetali [73].
Ciascuna fibra di cotone (fibra vegetale da seme), come già precedentemente riportato, è un pelo seminale monocellulare; quelle da fusto (lino,
canapa, juta e ramiè), allo stato greggio, sono costituite da più fibre elementari riunite in fasci e saldate le une alle altre da emicellulosa, pectina,
lignina, grassi e cere e altre sostanze solubili in acqua. Questi componenti secondari si trovano anche nelle fibre elementari, tra le pareti (primarie,
secondarie e terziarie) e come cementanti nelle fibrille e microfibrille
[vedasi figure 102 e 103 dove viene riportato lo schema della struttura
delle fibre di lino (fusto, aggregato di fibre e fibra elementare)] [78].
La lignina, praticamente assente nel cotone (fibra prettamente cellulosica), è presente nelle fibre cellulosiche vegetali da fusto con una percentuale che dipende fortemente dalla loro origine [lino macerato-2%
(fibra lignificata); canapa-3,3% (fibra lignificata); juta-11,8% (fibra for200
Fig. 104: Cromatogrammi, ottenuti mediante la Size Exclusion Chromatography, di campioni di
cotone degradati all’aria per tempi variabili (indicati in figura) e in corrispondenza di differenti
temperature di ageing (120, 140 e 160 C°) [81].
201
Fig. 105: Correlazione tra l’andamento del grado di polimerizzazione viscosimetrico, di campioni di cotone sottoposti a degradazione ossidativa in aria, con il tempo e con le corrispondenti
variazioni osservate nei cromatogrammi di cui alla figura 104 (vedasi testo)[81].
temente lignificata); ramiè-0,6% (fibra poco lignificata)] [79].
H. P. Stout, studiando il comportamento alla foto-ossidazione, indotta da
radiazioni UV, di fibre a basso ed alto contenuto di lignina (rispettivamente cotone e juta) ha trovato che nelle fibre di cotone, dopo una esposizione di 900 ore, la tenacità si riduce del 50%, mentre nel caso delle fibre
di juta una analoga riduzione si registra dopo 350 ore. Questi risultati inequivocabilmente dimostrano come la presenza di lignina faciliti i processi di foto-ossidazione delle fibre naturali di origine vegetale [80].
La degradazione ossidativa del cotone, in aria, in funzione della temperatura e del tempo, è stata studiata, impiegando la tecnica della “Size
Exclusion Chromatography“, da A. M. Emsley, M. Ali e R. J. Heywood
[81]. Da questi studi è emerso che la forma della curva della distribuzione del peso molecolare della cellulosa (MWD), al crescere del tempo di
ageing, a temperatura costante, subisce delle sostanziali modifiche. In
particolare il massimo, al crescere del tempo di trattamento, si sposta
sistematicamente verso regioni corrispondenti a valori più bassi delle
masse molecolari (vedasi i cromatogrammi nella figura 104).
Mediante opportune curve di calibrazione è stato possibile determinare
dai cromatogrammmi il valore del peso molecolare medio numerico e
202
quindi il grado di polimerizzazione cromatografico (DPC) in funzione del
tempo di degradazione, relativamente alle varie temperature sperimentate.
In separati esperimenti gli Autori hanno ricavato, mediante viscosimetria,
effettuata sugli stessi campioni di cotone sottoposti a degradazione, il
grado di polimerizzazione viscosimetrico (DPV). Nella figura 105 viene
messa in risalto la stretta correlazione riscontrata tra l’andamento del DPV,
in funzione del tempo di ageing, la forma dei cromatogrammi e quindi i
corrispondenti valori del DPC.
L’insieme dei dati conferma che la degradazione ossidativa della cellulosa porta ad una brusca riduzione del grado di polimerizzazione. Questo
comportamento viene spiegato assumendo che la rottura dei legami
avvenga preferenzialmente al centro delle macromolecole [81].
B4,5,2 ) Termo-ossidazione e comportamento termico delle fibre
cellulosiche
Il calore può indurre reazioni di condensazione tra gruppi ossidrilici
laterali, appartenenti a macromolecole cellulosiche adiacenti, favorendo
così la formazione di forti reticolazioni di natura intermolecolare. A
seguito di questo processo le fibre diventano più rigide e fragili. Inoltre
esse perdono parte della loro capacità di legare molecole d’acqua.
Il calore può generare radicali liberi i quali, come nel caso della fotoossidazione, in presenza di ossigeno innescano reazioni di termo-ossidazione che conducono all’ossidazione di gruppi ossidrilici e alla scissione
delle macromolecole cellulosiche.
La termo-degradazione determina nelle fibre vegetali un decremento
nei valori della tenacità a cui si acompagna un marcato fenomeno di
ingiallimento e di infragilimento.
Le fibre cellulosiche, sottoposte all’azione delle radiazioni elettromagnetiche e in presenza di umidità e di tracce di particolari catalizzatori,
acquisiscono una maggiore sensibilità all’azione degradativa del calore e
dell’ossigeno.
«Heat causes severe degradation of cellulose fibres; photoxidized or
bleached fibres are especially vulnerable to heat, as they contain ‘weakened‘
bonds and free radicals. Hemicellulose and lignine also undergo severe
chemical changes when subjected to heat» [26].
T. P. Nevell, D. Price et Al., hanno dimostrato che la degradazione ter203
Fig. 106: Comportamento termico di fibre di cotone sottoposte ad un regime di riscaldamento
lineare nel tempo (condizioni non isoterme di degradazione) in aria: a) diagrammi di analisi termogravimetrica effettuati a due diverse velocità di riscaldamento (curva 1- 2, 0 C°/min ; curva
2- 6, 0 C°/min); b) curve di analisi della derivata termogravimetrica corrispondente ai diagrammi in figura 106-a [82].
mica della cellulosa da legno, in aria, avviene in tre stadi: 1) deidro-ossilazione; 2) carbonizzazione; 3) degradazione ossidativa.
L’osservazione che la resa finale in carbone dipenda dalla velocità di
riscaldamento ha condotto gli Autori a concludere che gli ultimi due stadi
siano congiunti tra loro [82, 83, 84].
La degradazione termica delle fibre di cotone, sottoposte ad un regime
di riscaldamento di tipo lineare nel tempo (condizioni non isoterme), è
stata analizzata da S. Bourbigot et Al., utilizzando le tecniche della termogravimetria (TGA), dell’analisi della derivata termogravimetrica
(DTGA) e dell’analisi termica differenziale (DTA).
I diagrammi di TGA e DTGA di fibre di cotone, corrispondenti a due
regimi di riscaldamento in aria [2 e 6 C°/min], sono mostrati rispettiva204
Fig. 107: Comportamento termico delle fibre di cotone in assenza di ossigeno studiato attraverso tecniche varie: Analisi termica diferenziale a scansione (DSC); analisi termogravimetrica
(TGA) e analisi della derivata termogravimetrica (DTGA).
In figura sono riportati i relativi termogrammi (velocità di riscaldamento- 20C°/min; velocità di
flusso dell’azoto- 60ml/min) [85].
mente nelle figure 106-a e 106-b [82]. L’andamento delle curve di TGA
e DTGA (figura 106) porta alla conclusione che la degradazione delle
fibre avviene in due distinte fasi. Nel corso della prima (tra circa 200-350
C°), secondo l’interpretazione data da Bourbigot et Al., il materiale subisce un processo di deidro-ossilazione e di parziale carbonizzazione pur
mantenendo inalterata la sua struttura morfologica. A più elevate temperature si innesca il secondo stadio termo-ossidativo che è un processo di
decomposizione controllato dalla diffusione dell’ossigeno all’interno del
materiale [82].
La termodegradazione del cotone, in assenza di ossigeno, è stata investigata da numerosi ricercatori combinando la tecnica della analisi termica differenziale a scansione (DSC) con quella della TGA e della DTGA.
Un esempio dei corrispondenti termogrammi è mostrato nella figura 107
[85].
La curva DSC del cotone presenta una prima endoterma, piuttosto slargata, con un massimo a 100 C°; questa transizione è determinata dalla per205
Fig. 108: Degradazione termica del cotone in assenza di ossigeno: termogrammi di analisi termogravimetrica (TG in figura) e della derivata prima della termogravimetria (DTG in figura).
( curve relative al cotone purificato).
( curve relative al cotone ossidato) [86].
dita di acqua absorbita dalle fibre. La termo-decomposizione viene evidenziata, al DSC, dall’endoterma tra 330-375 C°. Il processo di reticolazione dei prodotti della carbonizzazione spiegherebbe la inflessione di
natura esotermica della curva intorno ai 380 C° (vedasi figura 107) [85].
M. J. Fernandez et Al., analizzando i termogrammi TGA e DTGA,
hanno concluso che la decomposizione termica del cotone purificato si
realizza in due distinti stadi nell’intervallo di temperatura che va da 150
a 600 C°. In particolare, come evidenziato in figura 108, nel primo stadio
(150-400 C°) si verifica la maggior parte del processo di decomposizione, mentre durante la seconda fase (T > 400 C°), la perdita in peso, dovuta a degradazione di cellulosa residua e di varie impurezze, riguarda solo
il 20% della totalità della perdita di materiale [86].
206
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214
LA PROTEZIONE E LA CONSERVAZIONE DEI
TESSILI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO
L’importanza dei tessuti antichi, quale testimonianza di lontane culture
che hanno influenzato l’evoluzione della nostra civiltà, è oramai un fatto
acquisito.
La conferma del crescente interesse per i manufatti tessili di rilevanza
storica, culturale ed artistica, si desume dalla sempre maggiore attenzione
che viene riservata alla loro cura e dall’implementazione di strumenti e
metodologie innovative di diagnostica, documentazione e catalogazione.
Le difficoltà concernenti la protezione dei tessili dipendono dal loro
comportamento nei confronti dei fattori di degrado (chimico, fisico, termico, biologico, ecc.), che risulta essere fortemente influenzato dall’origine, costituzione, composizione chimica, struttura e morfologia delle
fibre componenti.
Quanto sopra trova conferma nei dati della tabella 1, dove viene paragonata la reazione di fibre di lana, seta e cotone, all’azione degradativa di
agenti diversi [1].
La salvaguardia di una collezione di tessuti necessita di una continua
sorveglianza affinché la probabilità che si verifichino ulteriori fenomeni
di degrado sia ridotta al minimo. Questo richiede la messa in atto di un
insieme di accorgimenti e di sofisticate metodiche di analisi per:
i) comprendere, al loro primo apparire, la natura dei sintomi di
eventuali fenomeni di invecchiamento;
ii) determinare con sempre maggiore certezza i fattori che sono
causa di deterioramento e, nel caso di reazioni di degradazione
concorrenti, conoscere la variazione della loro velocità in funzione della temperatura (vedasi diagramma in figura 1) al fine di
distinguere, relativamente alle condizioni di esibizione o di deposito, quella che predomina [2];
393
Tabella 1
Reazione di fibre di lana, seta e cotone all’azione
di fattori diversi di degradazione
FATTORE DI DEGRADO
TERMICO
-Resistenza al calore
-Termo-ossi-decomposizione
-Combustibilità
CHIMICO
-Resistenza alcali diluiti
-Resistenza alcali concentrati
-Resistenza acidi diluiti
-Resistenza acidi concentrati
-Resistenza agenti ossidanti
FISICO
-Resistenza alla luce UV
BIOLOGICO
-Resistenza ai micro-organismi
-Resistenza a tarme e scarafaggi
-Resistenza al “silverfish”
LANA
SETA
COTONE
alta
alta
bassa
bassa
alta
bassa
media
alta
alta
bassa
bassa
alta
media
bassa
bassa
bassa
media
bassa
bassa
alta
alta
bassa (caldi)
bassa
media
bassa
bassa
media
bassa
bassa
alta
media
alta/bassa
alta
bassa
alta
bassa
iii) definire ed aggiornare le condizioni ambientali per la custodia
e/o l’esibizione degli oggetti.
Pertanto, relativamente agli spazi espositivi e all’ambiente circostante,
si dovrà procedere al monitoraggio sistematico:
a) della temperatura;
b) del grado di umidità relativa;
c) dell’intensità della luce visibile e ultravioletta;
d) della concentrazione, e sua variazione nel tempo, di eventuali
inquinanti chimici;
e) dell’attività di agenti bio-deteriogeni.
La longevità del manufatto dipenderà dal rigoroso rispetto di un insieme di regole, la cui bontà è strettamente connessa all’applicazione di tecnologie sempre più sofisticate e costose. Alcune di queste, relativamente
ai singoli fattori degradativi, sono qui di seguito descritte.
394
Fig. 1: Variazione del logaritmo naturale della costante di velocità (K), in funzione del reciproco della temperatura (1/T), relativamente al caso di un materiale dove due reazioni di degradazione (A, B) sono concorrenti [K, T e l’energia di attivazione E sono legati tra loro mediante la
seguente equazione di Arrhenius: lnK = lnA - E/RT] (vedasi testo).
Dall’andamento delle curve si deduce che a valori elevati della T la reazione predominante è la
“A”; mentre alle basse temperature è la “B” a prevalere [2].
395
CALORE ED UMIDITA’
Le fibre naturali, come già ampiamente descritto, nell’assorbire umidità
dall’ambiente subiscono un processo di rigonfiamento e allungamento.
Viceversa nel perdere acqua si contraggono e si accorciano. L’entità di
questi fenomeni è legata alla natura e alla struttura delle fibre e ai processi
di lavorazione a cui sono state sottoposte.
Il grado di umidità relativa (RH) dipende fortemente dalla temperatura
(T); RH diminuisce al crescere di T, mentre aumenta quando T si abbassa.
Al variare dell’umidità ambientale i tessili assorbono e rilasciano acqua
per raggiungere uno stato di equilibrio. Fluttuazioni nei valori di RH, specialmente se avvengono in rapida successione, e per un periodo relativamente lungo, possono essere causa di vari tipi di deterioramento,
«for example the lifting of painted areas of a banner from the unpainted
ground» [3].
Elevati gradi di umidità relativa (>65%) favoriscono lo scolorimento
indotto dalla luce, la crescita di funghi e l’attacco di insetti, mentre in corrispondenza di bassi valori di RH le fibre diventano più fragili [3].
«Severe and rapid changes in temperature and humidity cause adverse
swelling and shrinking of the fibers. This physical action results in structural damage whereby the fibers lose their natural properties of resilience, elasticity and tensile strength» [4].
Da quanto sopra si ricava che per assicurare una lunga vita ai manufatti
tessili è necessario, relativamente all’ambiente in cui essi sono collocati:
1) controllare i livelli e la stabilità della T e della RH;
2) mantenere i livelli della RH stabili, tra il 40% e il 70%;
3) istaurare un regime di riscaldamento capace di tenere la temperatura ambientale tra 10-20°C;
4) favorire una buona circolazione dell’aria e questo sia nei locali
espositivi che all’interno di armadi o box [3].
LUCE
Come già documentato nei capitoli precedenti i tessili sono, tra gli
oggetti delle collezioni musive, i più sensibili all’azione degradativa della
luce.
396
«Fading of colours, alterations to hues and the consequential loss of detail
can be easy-to-detect signs of light-damage ….. It is always worth looking
to note colour contrasts between an area that has been exposed to light and
an area that has been protected. It is more difficult to spot the effect of light
has on the fibres and threads that make up the textile fabric, although loss of
colour is a good indication of damage to these» [3].
Prima della scoperta dei coloranti sintetici, per la tintura dei tessili venivano usati coloranti naturali. Molte procedure prevedevano l’impiego di
mordenti (principalmente sali di alluminio, ferro e stagno) [5, 6, 7].
E’ ben noto che le tinture naturali sono sensibili alla luce e che la loro
solidità (lightfastness) è fortemente influenzata dalla presenza di questi
sali metallici, che venivano usati per fissare le molecole dei coloranti alle
fibre tessili.
Il processo di scolorimento dei coloranti naturali, indotto dall’azione
della luce e in presenza di ossigeno atmosferico, interferisce con i meccanismi di degradazione delle fibre. La presenza di sostanze mordenti
rende la foto-ossidazione ancora più complessa [8, 9, 10, 11, 12-a].
La comprensione dei meccanismi chimici e chimico-fisici che regolano
l’insieme dei fenomeni di cui sopra rappresenta un elemento necessario
per prolungare il tempo di vita dei tessuti antichi, in particolare quelli di
grande rilevanza artistica e culturale.
In molte circostanze, al fine di predire la lightfastness, l’identificazione
del mordente, usato nel processo di tintura di un tessuto, è più importane
di quella del colorante.
«To make the wisest display decisions, museum personnel should ideally
know both dye and mordant present in the artifact» [12-b].
Esempi di manufatti tessili con evidenti sintomi di scolorimento, provocati dall’esposizione alla luce, sono mostrati nelle riproduzioni fotografiche della figura 2.
I danni causati dalle reazioni foto-chimiche sono irreversibili e cumulativi; pertanto essi riguardano l’intero ciclo di vita del manufatto.
Il grado di deterioramento dipende:
i) dal tempo di esposizione;
ii) dall’intensità e dal tipo dell’illuminazione;
iii) dal contenuto di radiazioni UV.
iv) dalla RH e dalla T.
397
b)
a)
c)
Fig. 2: Tessuti antichi con chiare evidenze di scolorimento delle tinte causato dall’azione della luce:
a) stoffa stampata (francese), tipo indienne, del tardo secolo XVIII [8];
b) scialle di seta con ricamo policromo in filo anch’esso di seta (Italia XI secolo), il sole ha prodotto scolorimento sia del tessuto che del ricamo (il fenomeno è percepibile confrontando il recto
con il verso) [10];
c) tessuto ripiegato su se stesso; è evidente il grave fenomeno di “fading”causato dall’esposizione alla luce sulle parti del tessuto esposte e non protette [12-a].
398
La prevenzione dei danni causati dalla luce
«is crucial for the care of textiles because, once damage has happened, it
cannot be reversed. Conservators cannot bring back faded colours or return
textiles to their original strength» [3].
Per limitare al minimo il deterioramento fotochimico dei manufatti tessili è necessario applicare le seguenti misure:
a) mantenere la luminosità della luce negli ambienti di esposizione
inferiore a 50lux (il Lux, unità di illuminazione, è uguale all’illuminazione di una superficie di 1m2 sulla quale incide un flusso
luminoso di 1 lumen);
b) attivare un sistema di filtri affinché la componente UV della luce
sia inferiore a 30mW/lm e mai maggiore di 75mW/lm;
c) monitorare la luce che incide sui manufatti con un lux-meter o un
ultraviolet-monitor;
d) mantenere i tessili, quando non in esposizione, sempre in condizioni di oscurità;
e) utilizzare persiane e tendaggi nel caso che l’esposizione sfrutti la
luce naturale (intensa, variabile e ricca di raggi UV) [3, 12-a].
La componente UV può essere fortemente ridotta usando speciali filtri.
«A number of products are available to cover fluorescent tubes. UV filtering
films can be applied to windows. Window glass can also be replaced or double-glazed with UV filtering acrylic sheets such as Plexigas UF-3» [3].
Particolare attenzione deve essere riservata ai tessili prodotti intorno
alla fine del secolo diciannovesimo. Infatti all’epoca fu fatto largo uso di
coloranti all’anilina, da poco scoperti, i quali si caratterizzano per una
scarsa solidità alla luce «especially purples, blues and greens» [13].
L’influenza della temperatura, dell’umidità e degli agenti inquinanti,
presenti nell’ambiente, sul processo di foto-degradazione di materiali di
varia natura, incluso i biopolimeri, è schematicamente messa in evidenza
nella figura 3.
«This suggests that the increase in ambient temperatures pursuant to global
warming could play an important role in enhancing the rates of photodegradation in materials exposed to sunlight with higher levels of UV radiation.
Global warming is also expected to alter …… humidity … leading to longer
periods of time where the material is in contact with moisture» [13].
399
Fig. 3: Gli effetti di fattori climatici ed ambientali sul processo di foto-degradazione di materiali di natura diversa, incluso i biopolimeri (schematico) [13].
Fig. 4: Variazione dell’allungamento a rottura di campioni di policarbonato (Lexan) in funzione
del tempo di esposizione alla luce solare (in mesi).
Viene messo in evidenza l’influenza della temperatura sulla velocità di deterioramento (curva in
alto, bassa temperatura, 25°C; curva in basso alta temperatura ambientale) [13].
400
Fig. 5: Diagramma schematico dove sono indicati gli stadi della degradazione foto-chimica. A
destra in figura sono riportate le possibili procedure di mitigazione [14].
L’effetto della temperatura sulla velocità di degradazione foto-chimica dei
materiali organici è documentato nella figura 4. Dai grafici in essa riportati
si ricava che il decadimento dell’allungamento a rottura subisce una drammatica accelerazione quando i campioni sono esposti all’azione della luce
ad alta temperatura [13].
Gli stadi fondamentali relativi ad un generico processo di degradazione
fotochimica sono illustrati attraverso il diagramma schematico della figura
5. In particolare, nella parte a destra della figura sono riassunte le principali strategie utilizzate per mitigare i fenomeni di foto-deterioramento [14].
INSETTI, BATTERI E FUNGHI
In molti musei e gallerie la prevenzione degli attacchi degradativi da
parte di insetti è fondata sul concetto di Integrated Pest Control, attualmente alla base dell’Integrated Pest Management Programs (IPM).
«These programs emphasize management rather than eradication. They take a
broad ecological approach to pest problems, focusing on all members of a pest
complex in an effort to identify the optimum combination of control tactics
401
that will reduce pest population below economic thresholds and maintain
these levels with the least possible impact on the rest of the environment. This
….. relies heavily on cultural and biological tactics that are supplemented with
carefully timed applications of highly selective chemical weapons» [3].
Le fasi di un IPM sono sostanzialmente le seguenti:
1) rivelare la presenza di insetti nocivi identificandone la specie;
2) quantificare la densità di popolazione;
3) determinare i livelli economici dei possibili danni;
4) specificare le misure da applicare e il tipo di strumento e di risorse necessarie per implementare l’operazione di controllo;
5) applicare tutte le possibili metodiche necessarie alla soppressione degli insetti;
6) valutare l’efficacia della tattica seguita ed eventualmente modificarla per renderla più efficace [3].
Al fine di ridurre la probabilità che una collezione di tessuti possa essere oggetto di attacco da parte di insetti è essenziale:
 mantenere l’ambiente secco e fresco;
 tenere gli spazi espositivi e di deposito puliti, ordinati e liberi da
rifiuti;
 controllare la presenza o meno di insetti in nuove acquisizioni;
 tenere porte e finestre chiuse;
 adottare un programma di Integrated Pest Management [3].
L’accurato controllo dell’ambiente rappresenta l’unica ed efficace protezione nei confronti dell’attacco di funghi e muffe.
In particolare, al fine di ridurre al minimo il rischio di biodeterioramento di natura fungino, si consiglia di:
 mantenere i valori della RH inferiori al 65% e la temperatura al
disotto dei 18°C;
 consentire il ricambio dell’aria;
 evitare la diffusione della contaminazione [3].
TECNICHE CHIMICHE DI CONSOLIDAMENTO
402
a)
b)
c)
d)
e)
Fig. 6: Principali reazioni che si verificano nel corso della degradazione delle fibre naturali.
a) rottura statistica della catena; b) reticolazione; c) modificazione dei gruppi laterali; d) eliminazione dei gruppi laterali; e) ciclizzazione [15].
E DI PROTEZIONE DEI TESSILI
Le tecniche di attenuazione dei fenomeni di degradazione, nel caso dei
manufatti tessili, hanno l’obbiettivo di ridurre la probabilità che si verifichino le varie reazioni, tipiche dell’invecchiamento dei materiali polimerici, che portano alla rottura delle catene macromolecolari secondo gli
schemi della figura 6 ed i meccanismi della figura 7 [15], peraltro già
descritti in dettaglio nei capitoli precedenti.
Negli ultimi decenni, nel caso di tessili fragili, a causa di avanzati decadimenti molecolari e strutturali, sono state sperimentate nuove metodiche
di consolidamento (trattamento che tende a ristabilire un grado sufficiente di coesione in materiali che hanno subito una compromissione della
microstruttura [16]) e di protezione (tecnica che prevede l’utilizzo di
sostanze, caratterizzate da specifiche caratteristiche fisiche ed ottiche,
che vengono applicate alla superficie dei manufatti, in forma di film sottili, trasparenti e semipermeabili, con lo scopo di proteggere l’oggetto da
ulteriori danni [16]).
403
a)
b)
c)
d)
Fig. 7: I possibili meccanismi chimici che portano alla rottura statistica della catena di una
macromolecola: a) termòlisi; b) ossidazione;
c) idròlisi; d) radiòlisi [15].
Tali metodiche prevedono l’impiego di tecnologie basate sull’applicazione di particolari monomeri aventi spiccate proprietà di formare in situ
film polimerici capaci di esplicare le funzioni di consolidamento e di protezione [17].
V. Massa, F. Pertegato, M. Tornatore, in relazione alla conservazione di
un raro frammento medievale di un tessuto serico-aureo, rinvenuto nel
1988 a S. Fruttuoso di Camogli, che mostrava una facilità a disgregarsi e
a disintegrarsi per la perdita di resistenza meccanica, hanno fatto ricorso
ad un processo di consolidamento e di protezione che prevedeva l’utilizzo di prodotti paraxililenici.
«La tecnica consiste nella realizzazione di un rivestimento assai sottile,ottenuto mediante polimerizzazione topica da vapori monomerici di paraxililene, che segue fedelmente la conformazione superficiale dell’oggetto.
La pellicola così ottenuta è estremamente sottile e resistente, di alta inerzia
chimica, completamente trasparente ed incolore, con elevate proprietà barriera e di resistenza ad agenti biologici; ……. L’effetto consolidante che si
404
Fig. 8: Consolidamento e protezione dei tessili attraverso l’utilizzo di film polimerici. Schema di
coating basato sul processo di polimerizzazione in situ (cioè direttamente sul manufatto tessile)
del p-xililene monomero, a poli(p-xililene), a partire dal dimero (vedasi testo) [18, 19].
Fig. 9: Frammento di un tessuto serico-aureo (XIII-XIV secolo d.C.) rinvenuto a S. Fruttuoso di
Camogli (Liguria, Italia). Il reperto è un tessuto misto costituito da filamenti di seta e da sottili
fili d’oro. Il consolidamento protettivo è stato effettuato utilizzando la metodologia descritta in
figura 8 [18, 19].
405
a)
b)
c)
d)
Fig. 10: Micrografie elettroniche in scansione di campioni tessili ritrovati tra le rovine di abitazioni dell’antica Pompei. I reperti sono parzialmente carbonizzati, pertanto per poterli manipolare e analizzare e per evitare fenomeni di ulteriore degradazione sono stati consolidati attraverso
un processo protettivo a base di sospensioni di polimeri vinilici:
a) frammento di un tessuto in lana (a destra particolare delle singole fibre);
b) frammento di un tessuto in cotone (a destra particolare con le singole fibre);
c) frammento di un tessuto in canapa (a destra particolare delle singole fibre);
d) frammento di un tessuto in lino (a destra dettaglio con le singole fibre) [20, 21].
406
ottiene consente di condurre con sicurezza le operazioni legate allo studio
del manufatto e alla sua esposizione museale» [18].
Le fasi della tecnica di coating, descritta nella figura 8, sono:
1) sublimazione del dimero del paraxililene, un solido stabile a RT,
nel vuoto a ca. 200°C;
2) pirolisi del dimero, in fase vapore, a ca. 680°C, e sua trasformazione in p-xililene monomero;
3) immissione del monomero nella camera di reazione, mantenuta a
RT, dove si deposita sulla superficie del campione, condensa e
quindi polimerizza formando un sottile strato protettivo [18, 19].
Come si evince dalla fotografia della figura 9, il reperto, dopo il trattamento di coating, risulta rivestito da una pellicola sottile di spessore omogeneo; il suo aspetto è di fatto inalterato e il polimero su di esso depositato ne consolida la struttura esercitando anche un’azione protettiva [18].
Tecniche di consolidamento protettivo, che utilizzano metodologie di
deposizione di polimeri preformati (ad esempio resine viniliche) sono state
applicate da E. Martuscelli et Al., nel caso di reperti tessili, parzialmente
carbonizzati, e pertanto estremamente fragili, ritrovati tra le rovine di alcune abitazioni dell’antica Pompei [20, 21]. Le micrografie elettroniche in
scansione di alcuni di questi manufatti sono riportate nella figura 10.
Recentemente, E. Pedemonte, E. Martuscelli et Al. hanno sviluppato un
metodo di consolidamento dei tessuti cellulosici basato sull’innesto
fotoindotto, sulle macromolecole della cellulosa, di monomeri acrilici in
fase vapore. In particolare la metodica prevede di attivare i gruppi carbossilici e carbonilici, creatisi a seguito di fenomeni degradativi, mediante irraggiamento con radiazioni UV. Al fine di evitare processi di fotoossidazione si sono utilizzati tempi di esposizione relativamente brevi
[22]. Sui monomeri innestati si propaga la polimerizzazione che porta
alla formazione, secondo lo schema della figura 11, di un copolimero ad
innesto [ CELLULOSA ][ POLIACRILATO ].
Lo schema della camera di innesto è descritto nella figura 12 [23].
Pedemonte, Martuscelli et Al. hanno determinato i valori del modulo elastico (E) di filati ricavati da campioni di tessuti cellulosici tal quali, dagli
stessi degradati artificialmente mediante ossidazione controllata con metaperiodato di sodio e quindi su filati da campioni che, dopo degradazione,
venivano sottoposti a reazioni di innesto con etilacrilato. Assumendo uguale a 100% il valore del modulo elastico dei filati prelevati dal tessuto cel407
lulosico non degradato, gli Autori hanno riscontrato che:
«Dopo il trattamento con metaperiodato la valutazione del modulo elastico
dà i seguenti valori di E: 114%, 120%, 110%, 123%, 117%; valore medio:
116,8%. Questi valori indicano che ….. il materiale a seguito dell’invecchiamento si è irrigidito.
Su cinque provini è stato condotto l’innesto dell’etilacrilato …… ed è stato
valutato il modulo elastico, ottenendo i seguenti valori: 98%,101%, 105%,
96%, 103%, valore medio: 100,6%. Questi valori indicano che a seguito dell’innesto il materiale invecchiato ha recuperato la sua flessibilità» [22].
La metodica è stata anche applicata al caso di un campione di un tessuto
in cotone del XIX secolo invecchiato naturalmente. I risultati ottenuti
Fig. 11: Schema di reazioni di innesto su fibre. Queste reazioni portano alla modificazione chimica delle macromolecole, fibrose e, in alcuni casi, al consolidamento e/o protezione dei relativi manufatti tessili.
408
Fig. 12: Camera per effettuare su campioni di tessuto reazioni di innesto di monomeri allo stato
di vapore, fotoindotte da radiazioniUV.
(A): reattore di polimerizzazione in quarzo con alloggiamento del campione;
(B): contenitore del monomero;
(C) pannello di controllo;
(D) lampada ad UV;
(E) sistema per refrigerare e realizzare il vuoto;
(F) sistema di ventilazione [23].
Tabella 2
Monomeri idonei ad essere innestati su macromolecolole cellulosiche
(vedasi testo).
Stirene
Esteri acido metacrilico
Acido acrilico
Acrilonitrile
Acrilammide
Na-solfonato di
vinile
Esteri acido acrilico
Metacrilati fluorurati
Vinilpiridina
Dimetilamminoetilmetacrilato
mostrano che, utilizzando come monomero il metilmetacrilato, le rese di
graffaggio valutate su cinque provini di dimensioni 1x2cm hanno dato i
seguenti risultati: 21, 26, 17 e 19%; media 21,4%. Questi valori indicano
che il metodo funziona anche su tessuti degradati naturalmente [22].
409
Tabella 3
Proprietà ed applicazioni di fibre cellulosiche modificate chimicamente
attraverso l’inserzione, lungo le macromolecole, di monomeri reattivi,
che porta alla formazione di copolimeri ad innesto
Finezza
Tenacità
Allungamento a rottura
Modulo elastico
Assorbimento di umidità
Rilascio di macchie e sporco
Stabilità dimensionale
Resistenza microbica
Degradabilità
Permanenza allo stiro
Resistenza alla piega
Repellenza all’acqua
Repellenza all’olio
Termoplasticità
Ritardo alla propagazione della fiamma
Resistenza all’abrasione
La modificazione chimica della cellulosa, mediante reazioni di copolimerizzazione con appropriati monomeri (vedasi tabella 2), può determinare il consolidamento di tessuti cellulosici nei confronti di vari fattori di degradazione. In particolare, dalla letteratura si ricava che attraverso l’innesto di monomeri reattivi è stato possibile migliorare una
serie di significative caratteristiche, alcune delle quali sono elencate
nella tabella 3.
La tecnica basata sull’innesto di polimeri vinilici è stata applicata anche
per modificare le proprietà di fibre tessili di natura proteica (lana e seta).
Alcuni esempi sono già stati illustrati nei capitoli precedenti.
Nel caso della seta la metodica, tra l’altro, si è dimostrata efficace per
migliorare:
- Il recupero da ripiegamento;
- la stabilità termica;
- la resistenza ai lavaggi e all’uso [24].
«Methacrylamide (MAA) and 2-hydroxyethylmethacrylate (HEMA) are currently applied for silk grafting, used either alone or in combination in the same grafting system. Compared to other vinyl monomers (styrene, methylmethacrylate),
they have a softer impact on both silk fibers and processing plant» [24].
Lo schema del possibile meccanismo per l’iniziazione, propagazione e
410
terminazione della reazione di aggraffaggio di monomeri vinilici alle
fibre di seta, usando come iniziatore il persolfato di ammonio (APS),
secondo quanto riportato nel riferimento [24], è qui di seguito riportato:
(1)
S2O82-  2SO4*-
(2)
RH + SO4*-  R* + HSO4-R* + M  R-M*
(3)
R-M*n-1 + M  R-M*n
(4)
R-M*n + R-M*n  Copolimero ad innesto
(5)
SO4*- + M  -O3S-O-M*
dove, RH, R* e M rappresentano, rispettivamente, la macromolecola
della fibroina, il macroradicale primario della seta ed il monomero.
La reazione in (1) descrive la formazione del radicale primario; quelle
in (2), (3), e (4) mostrano i vari stadi della copolimerizzazione, mentre
nella (5) viene illustrata la reazione di iniziazione della omopolimerizzazione del monomero [24].
In anni recenti le industrie chimiche e del settore del tessile hanno
messo a punto particolari formulazioni capaci di conferire proprietà batteriostatiche e funghicide a fibre e tessuti [25].
L’efficacia di una formulazione sviluppata dalla VIBA, nel caso di fibre
poliammidiche, viene messa in evidenza in figura 13 dove vengono riportate le fotografie di campioni dello stesso tessuto trattato e non. Dal confronto emerge con chiarezza che nel caso del tessuto non trattato si sono
formate colonie di natura fungina che provocano odori sgradevoli, perdita di colore, la formazione di macchie ecc. [25].
A. M. El-Naggar et Al., hanno realizzato una metodologia per la protezione antimicrobica di tessuti in cotone. La procedura prevede l’applicazione di una formulazione, basata essenzialmente su ossido di zinco
411
(ZnO), «under high- energy radiation and thermal curing» [26].
«The antimicrobial property of the fabrics was evaluated, in terms of
mechanical properties, by a soil burial test. Moreover the effect of antimicrobial finishing on the dyeing properties in terms of color strength was
investigated» [26].
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato l’impiego di formulazioni contenenti nanoparticelle per la protezione dei tessuti. In particolare è stato
dimostrato come
Fig. 13: Formulazioni batteriostatiche per il settore tessile. Fotografie di due campioni dello stesso tessuto in fibre poliammidiche:
a) in basso a sinistra, campione non trattato, con chiare evidenze di attacco fungino;
b) in alto a destra, campione trattato con batteriostatico Viba; il tessuto appare integro, a dimostrazione dell’efficacia della formulazione adottata che lo ha protetto da fenomeni di biodeteriorazione [25].
412
«le ridotte dimensioni particellari e l’utilizzo di additivi permettono l’assorbimento nelle fibre tessili e l’adesione permanente al tessuto. I vantaggi
industriali sono molteplici: ad esempio l’uso combinato di particella di
CeO2, TiO2 inglobate in SiO2 permette di sviluppare tessuti con caratteristiche di schermo anti UV, l’utilizzo di particelle metalliche porta allo sviluppo di tessuti antistatici mentre l’utilizzo di nanoparticelle di argento supportate su TiO2 conferisce proprietà antibatteriche» [27].
METODI DI ANALISI STRUMENTALE PER LA DIAGNOSTICA E LA QUANTIFICAZIONE DEL GRADO DI DEGRADAZIONE DEI TESSILI
Negli ultimi anni si è assistito allo sviluppo di apparecchiature portatili, di piccole dimensioni, leggere, precise ed affidabili mediante le quali
è possibile effettuare, in situ, analisi chimiche, fisiche e strutturali (non
distruttive). L’utilizzo di queste strumentazioni permette di identificare i
fattori che causano il deterioramento dei manufatti tessili di interesse storico, culturale ed artistico, quantificare la natura e l’entità del danno e
quindi monitorare nel tempo il loro stato di conservazione, evitando i
rischi connessi al trasporto e alla movimentazione degli oggetti d’arte.
Alcune tra le più significative tecniche di indagine, basate su strumentazioni portatili, attualmente disponibili sul mercato internazionale, sono
qui di seguito elencate:
1) la fluorescenza X (XRF= X-ray fluorescence), che consente l’analisi elementare di molti elementi e quindi coloranti, mordenti,
pigmenti, ecc.;
2)
3)
4)
5)
la spettroscopia -Raman, che permette l’identificazione di pigmenti mordenti ecc. direttamente sulla superficie di oggetti artistici;
la spettroscopia all’infrarosso in trasformata di Fourier in riflettanza, idonea al riconoscimento di sostanze organiche, incluso
polimeri, ed inorganiche;
la spettroscopia in fluorescenza ultravioletta-visibile, particolarmente efficace nel riconoscere la natura chimica dei coloranti
impiegati in antichi manufatti tessili (vedasi il caso concernente
l’identificazione dell’indaco, in un arazzo conservato nei Musei
Vaticani, figura 14) [28];
la spettroscopia UV-VIS, basata su fibre ottiche (spettrocolorimetria) e la colorimetria;
413
b)
a)
Fig. 14: Attraverso l’impiego di una strumentazione portatile per la spettroscopia UV-VIS in
fluorescenza è stata rilevata la presenza di indaco tra i coloranti impiegati nella tintura di un arazzo rinascimentale dei Musei Vaticani: a) fotografia dell’arazzo; b) spettro di fluorescenza UVvisibile dell’indaco [28].
6)
la spettroscopia in risonanza magnetica nucleare allo stato solido
[29];
7) la glossmetria [28, 30].
Una sempre più spiccata ed intensa collaborazione tra il mondo della
ricerca chimica e fisica, quello ingegneristico-industriale (in particolare i
costruttori di apparecchiature scientifiche) e quello dei curatori e della conservazione dei beni culturali, ha portato, alla messa a punto di nuove metodologie di analisi strumentale, di natura distruttiva e non, idonee alla caratterizzazione dei processi di alterazione dei tessuti e allo sviluppo di nuovi
materiali e processi per il restauro conservativo.
L’applicazione della pirolisi multifunzionale allo studio dei meccanismi
di foto-deterioramento della seta [31], l’utilizzo delle tecniche laser nel
restauro dei tessili [32], l’impiego della spettroscopia nel vicino infrarosso (NIR) quale tecnica analitica nel settore del tessile [33] e l’uso della
Fourier Image-Analysis to crossed-point detection [34], rappresentano
una chiara esemplificazione di quanto sopra scritto.
La protezione, cura e conservazione dei manufatti tessili, oramai universalmente considerati parte integrante del patrimonio culturale di popo414
Fig. 15: I possibili fattori di degrado dei tessili:
a) fattori interni;
b) fattori esterni.
415
li e nazioni, ha lo scopo di preservare e trasmettere alle generazioni future (attraverso la fruizione visiva degli oggetti, l’analisi approfondita della
loro funzione e la comprensione di tutto ciò che in essi viene rappresentato) le informazioni concernenti la vita sociale e pubblica, le mode, gli
usi, i costumi, la cultura, l’arte, il commercio, la scienza e le tecnologie
relative all’epoca e alle regioni geografiche di origine. Questo obbiettivo,
vista la particolare natura dei tessili, la composita struttura dei materiali
costitutivi, le complicate tecnologie di lavorazione, la varietà e spesso
concomitanza dei fattori di degrado [interni ed esterni (vedasi figura 15)]
e la complessità dei fenomeni di deterioramento, potrà realizzarsi solo
attraverso il contributo attivo di più attori i quali, sulla base di una visione coordinata, integrata, interdisciplinare e globale, concorreranno attraverso mirate ed appropriate azioni di restauro, protezione e consolidamento a prolungare la vita degli oggetti.
Tutto questo in un’ottica che parte dal principio in base al quale:
«per Conservare il Passato per il Futuro, Prevenire è meglio che Curare».
416
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