la scoperta di nettuno

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la scoperta di nettuno
Epistemologia
Mario Sandri
Anno Scolastico 2004/2005
LA SCOPERTA DI NETTUNO
Urano e Nettuno sono i primi pianeti a essere stati scoperti dall’antichità e questa scoperta
rappresenta una tappa fondamentale della ricerca astronomica perché segna il passaggio da un
Sistema Solare che è ancora quello osservabile a occhio nudo, a uno in cui gli strumenti diventano
protagonisti assoluti e imprescindibili del metodo di ricerca. L’esistenza di due nuovi pianeti
allargava enormemente i limiti del Sistema Solare oltre la sfera nella quale anticamente si pensava
si trovassero i cinque pianeti conosciuti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Perdeva ogni
mistero anche il numero di sette astri mobili in cielo, ottenuto aggiungendo ai cinque pianeti il Sole
e la Luna e rimasto inalterato per la sostituzione copernicana della Terra all’astro maggiore.
In questo contesto non verrà trattata la scoperta di Urano in quanto da un certo punto di vista
meno affascinante, anche se altresì importante, rispetto la scoperta di Nettuno. Solo per la cronaca,
Urano fu ufficialmente scoperto la notte del 13 marzo 1781 dall’astronomo William Herschel. Ci
vollero ancora alcuni mesi perché la scoperta fosse accettata universalmente da tutta la comunità
scientifica.
Con il passare del tempo gli astronomi furono in grado di calcolare precisamente quale doveva
essere l’orbita di Urano sulla base delle leggi del moto e della gravità scoperte rispettivamente da
Johannes Kepler e Isaac Newton. Dopo la scoperta di Urano si era distrutto un tabù, quello
dell’intoccabilità del numero dei pianeti. Dopo la scoperta si cercò infatti tra le osservazioni degli
anni precedenti e si scoprì che il pianeta era stato osservato più volte e descritto come una debole
stella. L’idea della stabilità aristotelica del numero dei pianeti era così radicata che a nessuno era
mai venuto in mente di controllare i movimenti di questo debole oggetto sul medio periodo.
Nella prima metà dell’Ottocento la previsione della posizione dei pianeti e della Luna era giunta
a un notevole grado di precisione, soprattutto per merito della Mécanique Céléste di Laplace e del
metodo dei minimi quadrati di Karl Gauss. Le posizioni dell’ultimo pianeta del Sistema Solare,
Urano, erano state tabulate nel 1821 da Alexis Bouvard e nel 1845 da suo nipote Eugène ma, al
contrario degli altri corpi orbitanti, il pianeta sfuggiva a una previsione esatta delle orbite che
risultasse valida per più di una decina d’anni. Nello stesso 1845, l’Académie des Sciences di Parigi
affrontò il problema. Due le spiegazioni possibili: o la legge di gravitazione non agiva come sino
allora stabilito e necessitava di un qualche termine correttivo, oppure era corretta e le incongruenze
osservate erano causate dalla presenza perturbatrice di un ulteriore corpo massiccio facente parte
del sistema Solare e non ancora scoperto.
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Prendeva credito tra gli astronomi l’ipotesi che le anomalie osservate dipendessero dalle
perturbazioni esercitate su Urano da un corpo incognito, situato oltre la sua traiettoria: già nel 1821
F.W. Bessel indicò, in una lettera a H. Olbers la possibilità che esistesse un ulteriore pianeta
partendo dalle conseguenze matematiche dei calcoli sulle deviazioni dalle previsioni teoriche
dell’orbita di Urano. Un suo giovane allievo, Flemin, cominciò ad affrontare con energia e
competenza questo problema e sotto la direzione del grande astronomo lo avrebbe sicuramente
risolto se una morte prematura non lo avesse rapito nel 1840.
Per calcolare gli errori dell’orbita effettiva di Urano rispetto a quella predetta teoricamente
bisognava sottrarre gli effetti gravitazionali di Saturno e Giove. Le piccole irregolarità che
rimanevano nel moto di Urano erano tutto quello che gli astronomi avevano in mano per
determinare da quale direzione arrivasse la sorgente del disturbo, quanto distante fosse e quale
massa avesse. Poiché si pensava che fosse un pianeta bisognava cercare un oggetto in movimento.
Era però un problema molto difficile da risolvere, e addirittura alcuni matematici pensavano che
fosse una questione irrisolvibile e nessuno ci cimentò con essa. Fortunatamente però due studiosi
tentarono di risolverla, in modo indipendente uno dall’altro e senza che l’uno sapesse del lavoro
dell’altro. Erano John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Le Verrier.
Adams iniziò a lavorare al problema dopo essersi laureato a Cambridge nel 1843 e dopo aver
letto una memoria sul problema scritta dal direttore dell’Osservatorio reale di Greenwich Gorge
Biddel Airy. Come punto di partenza egli assunse l’idea che questo ipotetico pianeta dovesse distare
38,4 unità astronomiche, due volte la distanza di Urano; questo valore era molto vicino a quello
calcolato dalla legge di Titius-Bode (una sequenza matematica che sembrava combaciare e
addirittura predire le distanza dei pianeti dal Sole rilevatasi efficace in occasione della scoperta
degli asteroidi). La soluzione che trovò Adams fu sottoposta ad Airy, ma quest’ultimo la ignorò
perché pensava che il problema fosse matematicamente irrisolvibile. Nonostante ulteriori modifiche
fornite dal matematico, la teoria non venne presa in considerazione.
In Francia Le Verrier, sotto la guida di François Arago direttore dell’osservatorio di Parigi,
incominciò a lavorare sullo stesso problema nel giugno 1845 e presentò i risultati del suo studio
all’Académie des Sciences di Parigi l’anno successivo. Rendendosi conto che i suoi colleghi
francesi non avevano alcuna intenzione di cercare questo ipotetico pianeta, Le Verrier spedì i suoi
dati ad Airy all’Osservatorio di Greewich. Airy stavolta si accorse che il lavoro di Adams era degno
di essere portato avanti, ma non disse mai allo stesso Adams che anch’egli stava occupandosene e
non gli parlò neanche del lavoro di Le Verrier, che era posteriore a quello dell’inglese di otto mesi.
In Inghilterra la ricerca iniziò nel luglio del 1846 all’Osservatorio di Cambridge, ma J. Challis,
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l’astronomo incaricato, decise di ignorare la posizione fornita per il pianeta e condusse invece una
ricerca a largo raggio, senza riuscire a trovare niente.
Il 31 agosto del 1846 Le Verrier presentò un secondo lavoro, più dettagliato, sulla posizione del
pianeta, sulla sua massa e sui suoi elementi orbitali. Fu lodato per l’abilità matematica, ma nessuno
si offrì di confermare le sue previsioni attraverso un’osservazione. Alla fine, frustrato, egli si rivolse
a Johann Gottfried Galle, assistente all’Osservatorio di Berlino. Galle ricevette la lettera di Le
Verrier il 23 settembre 1846; quella notte insieme a un suo studente laureato, Heinrich d’Arrest,
puntò il telescopio verso la posizione indicata. Dopo neppure un’ora i due riuscirono a identificare
l’ottavo pianeta in una posizione non molto distante da quella che i calcoli gli assegnavano. Un vero
trionfo per la teoria matematica, Nettuno era stato scoperto!
Grande fu lo scandalo in Inghilterra, che era stata in possesso delle informazioni necessarie, ma
aveva fallito. Le Verrier fu accreditato della scoperta visto che i tedeschi avevano trovato Nettuno
tramite i suoi dati. Quando gli inglesi cercarono di rivendicare la paternità della scoperta,
l’Académie des Sciences di Parigi insorse e ci fu un aspro scambio di battute. Alla fine la polemica
si placò e quando fu chiaro il contributo di Adams, questi ricevette il giusto riconoscimento. Oggi
Adams viene universalmente ritenuto accanto a Le Verrier il vero scopritore di Nettuno. Sta di fatto
che le orbite calcolate in entrambi i casi erano piuttosto differenti da quanto risultò all’osservazione.
Nettuno, come poi fu chiamato su proposta del Bureau des Longitudes parigino, distava dal Sole
non 38,4 unità astronomiche ma sole 30. Oltre ad aver presa per buona, senza un reale motivo
fisico, la regola di Titius-Bode, i due astronomi avevano ipotizzato una perturbazione costante da
parte del nuovo pianeta su Urano, mentre questa agisce praticamente solo quando i due pianeti si
trovano in congiunzione. Ma queste ombre sulla scoperta di Nettuno non diminuirono la sua
importanza: pur con l’intervento di una buona dose di fortuna, essa può essere considerata il
massimo trionfo della meccanica celeste del secolo scorso. Non solo tale dottrina aveva predetto
l’esistenza di un altro corpo maggiore del Sistema Solare, ma era riuscita a dimostrare
inequivocabilmente che le numerose anomalie osservate nei moti celesti non mettevano in crisi la
legge di gravitazione universale che, appunto con la meccanica celeste, divenne il vero pilastro del
cosmo.
La storia della scoperta di Nettuno è molto appassionante, ed è esemplare per comprendere sia
l’importanza del metodo scientifico sia quella del fattore umano nello sviluppo degli avvenimenti. È
da notare come in questa particolare occasione istituzioni diverse in Paesi differenti abbiano alla
fine contribuito al risultato finale. Al successo del matematico francese Le Verrier e di quello
inglese Adams si è sempre assegnato un notevole rilievo: è stata infatti la prima dimostrazione in
astronomia del valore del connubio teoria-osservazione.
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