Aa.Vv. AL DI LA` DELLA DESTRA E DELLA

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Aa.Vv. AL DI LA` DELLA DESTRA E DELLA
Aa.Vv.
AL DI LA' DELLA DESTRA E DELLA SINISTRA
(PER L'ITALIA DEL XXI SECOLO)
- dopo il Libro/Manifesto “Per una Nuova Oggettività” -
a cura di
Roby Guerra e Sandro Giovannini
Note di:
Graziano Cecchini, Zairo Ferrante, Antonio Saccoccio, Giovanni Sessa, Luigi Tallarico, Stefano Vaj.
SOFTWARE
Collaudo primario:
Interviste: Giovanni Sessa, Stefano Vaj, Luigi Tallarico, Graziano Cecchini.
PARTE 1: NUOVA OGGETTIVITA' e/o NEW REALISM
Collaudo: Antonio Saccoccio. Postmoderno? New Realism? O una Terza Avanguardia?
Interviste: Luigi Sgroi, Giovanni Sessa, Francesco Sacconi, Paolo Melandri, Roby Guerra,
Sandro Giovannini, Vitaldo Conte, Giuseppe Casale.
PARTE 2: URFUTURISMO e DINTORNI
Collaudo: Sandro Giovannini. Per una volta teniamoci agli impulsi primari
Interviste: Stefano Vaj, Marcello Francolini, Antonio Fiore, Alberto Ferretti, Emilio Diedo,
Pierluigi Casalino*, Graziano Cecchini, Alessio Brugnoli **, Zairo Ferrante, Sylvia Forty,
Maurizio Ganzaroli, Riccardo Roversi.
PARTE 3: TEMPI NETMODERNI (LA SINGOLARITA' DELL'AZZURRO)
Collaudi: Roby Guerra. La divina politica,
Zairo Ferrante. Saggio semi-para-poetico di un indifferente
Interviste: Luca Siniscalco, Fabio Scorza, Maria Antonietta Pinna, Giuseppe Manias,
Giovanna Guardiani, Francesca De Carolis, Daco, Seconda Carta, Mauro Biuzzi.
Retropostfazioni:
Sandro Giovannini - Roby Guerra
Schede minime autori
(*by Alessia Mocci **by Roby Guerra)
COLLAUDO PRIMARIO
I - INTERVISTA A GIOVANNI SESSA: noi diversamente europei
(Nuova Oggettività Blog- June 2011 *Il Fondo Magazine)
D - Destra e sinistra, categorie estinte… od ancora operanti?
R - A fianco delle indagini politologiche e sociologiche, che ormai inquadrano sostanzialmente le categorie
“destra-centro-sinistra” in un orizzonte storico, ancora operante ma sempre più sfilacciato, la risposta
immediata, al fine comune, è che volerle superare non significa sempre poterlo fare, anche con le migliori
intenzioni. Nel nostro caso però siamo soccorsi, non solo dal presente o dal futuro come spesso si spera o
crede ma proprio dal nostro passato che ha verificato seri tentativi – e concrete realizzazioni – in tal senso.
Ciò spiritualmente ci rende più consapevoli e sereni e non ci toglie ma ci aumenta, invece, forze, indirizzate
alla costruzione del nuovo. In qualità di intellettuali responsabilmente interessati alle vicende civili,
possiamo dire che una chiave di volta (e di svolta) fra due sistemi di valori è la dimensione partecipativa, che
non agisce solo a livello pragmatico ed operativo ma a livello spirituale ed interpersonale. Ci indica la strada
maestra ove c’è la riappropriazione dell’indipendenza, della comunità e del destino. Per le “nuove sintesi”
che prima o poi si andranno a consolidare favoriremo scelte molto essenziali e superiori a tutto nel
discriminare e sceverare, non dimentiche dei propri passati ma riassorbendoli nei propri futuri. Queste
“nuove sintesi”, a noi però interessano solo in una precisa direzione, ove l’orizzonte spirituale, la sensibilità
partecipativa, il rispetto destinale, l’autonomia del popolo, la libertà della e nella ricerca, la scelta per un
progetto vitale ed unitario di noi europei, siano chiari e primari. Tutti cianciano su tutto ma pochi si
accorgono che siamo ancora e sempre spaventosamente burattinati dai poteri forti del capitalismo
finanziarista, irresponsabile ed apatride. Siamo poi perfettamente consapevoli che ognuna delle nostre
pulsioni e visioni contro tale moloch possono essere virate a ben diversi ambiti e scenari, forse tragici e
quindi probabilmente troppo pesanti in termini umani, soprattutto per i nostri figli e nipoti, ma noi
cercheremo di tenere forza ed equilibrio assieme.
D - La casta culturale in Italia? Leggenda o Realtà
R - Le caste sono in Occidente la concrezione di una società bloccata e sostanzialmente afasica che ciancia di
tutto ma non parla dell’unico vero grande problema: l’espropriazione della libertà operata costantemente e
progressivamente da questo tipo di capitalismo. Ci si può opporre, se si hanno l’umiltà ed il coraggio di porsi
nuovi e chiari scenari epocali e credibili prospettive spirituali e geostrategiche.
II - INTERVISTA A STEFANO VAJ: dal postmoderno al postumano
(Nuova Oggettività blog, 3 2013)
D - La scienza come postumanesimo?
R - E’ quasi impossibile essere postumanisti senza vedere nella scienza contemporanea, meglio, al plurale:
nelle scienze contemporanee, una chiave essenziale di quella rottura culturale che anticipa ed è destinata ad
accompagnare la possibilità stessa di immaginare un futuro postumano. Se il postmodernismo ha condotto ad
una riflessione sulle narrative soggiacenti e sulla loro natura di prodotto culturale specifico, ha anche almeno
indirettamente contribuito ad indicarne lo spirito come oggetto di una possibile, deliberata appropriazione ed
integrazione critica all’interno di una visione del mondo che il postumanismo sceglie di fare propria.
In particolare in connessione con la caratteristica propria ad ogni scienza, che è quella di fondare alla fine,
almeno implicitamente, una tecnologia tramite cui “rapportarsi al mondo” secondo il detto marxiano secondo
cui la vera questione filosofica in ultima analisi non è comprenderlo, ma cambiarlo
D - Europa o America o Pianeta Marte?
R - Una cosa notoriamente che mi distingue dalla versione escatologica ed “ottimista” del
transumanismo, è la persuasione che certe previsioni non sono affatto destinate ad avversarsi per qualche
presunta “forza delle cose”, ma solo nella misura in cui qualcuno… le realizzerà, vorrà realizzarle. Cosa
tutt’altro che scontata nel clima culturale, economico, politico, valoriale di oggi, la cui globalizzazione è già
responsabile, ad esempio, di un declino nella capacità e nella motivazione necessarie per imbarcarsi in quel
tipo di grandi progetti che in inglese vengono definiti “societal” o addirittura “civilisational”, e che sono
destinati a fare davvero una differenza, al di là della quotazione in borsa alla fine del trimestre o delle
elezioni dell’anno prossimo.
In questo senso, viene certamente in conto anche lo stato oggettivamente tragico dei programmi spaziali,
riguardo a cui le discussioni “strategiche” non possono nascondere la realtà di budget sempre più ristretti in
valori reali, e che soltanto il residuo di orgoglio e competitività internazionale di alcuni paesi emergenti (o…
ritornanti, come la Federazione Russa) ancora parzialmente protegge. Il rinvio alle calende greche dello
sbarco umano su Marte, foss’anche uno sbarco davvero limitato alla dimensione simbolica della conquista
dell’Everest o della Fossa delle Marianne (ma certamente il significato pratico dell’impresa sarebbe ben
diverso!), qualcosa che era stata prevista come fattibile per il 1982 a mente di tecnologia già esistente negli
anni settanta, è per me un punctum dolens particolare. Diciamo che se gli europei in America, e molti anni
dopo alcuni dei loro discendenti americani sulla Luna, hanno rappresentato in passato il simbolo stesso
dell’esplorazione di nuovi mondi, oggi Marte potrebbe ben essere considerato come la meta ideale, il
simbolo appunto di chi non pensa che l’unico senso che il futuro riserva alle nostre vite sia l’amministrazione
più oculata e “sostenibile” possibile delle risorse terrestri in un Brave New World per quanto possibile
stabilizzato e normalizzato, priva di altri scopi od obbiettivi che non sia la propria autoperpetuazione sino
alla prossima catastrofe naturale.
D - Milano e Roma.. nel Duemila.?.
R - “Milano e Roma”… Capitali d’Italia? In Italia (forse in Europa) da circa mille e cinquecento anni tutte le
rivoluzioni partono da Milano. Non sto a farne l’inventario, perché ognuno può ricavarne l’elenco dal suo
sussidiario delle medie inferiori. Chissà che la cosa non sia di buon auspicio?
III - INTERVISTA A LUIGI TALLARICO: Futurismo Oggi e Domani
(Nuova Oggettività blog, 3 2013)
D - Con Benedetto e “Futurismo-Oggi” avete... salvato Marinetti e l'avanguardia italiana dal ben noto
“negazionismo” ideologico del secondo Novecento?
R - Non a me, ma a Enzo Benedetto, rientrato a Roma da uno dei campi di concentramento alleati, riservati
ai “non cooperatori” (ossia a quei prigionieri che non collaboravano con il nemico), si deve il lancio del
manifesto “Futurismo-Oggi”, divenuto periodico dei “giovani futuristi”. E' stato un periodico battagliero che
non soltanto ha contrastato il negazionismo ideologico diffuso nel dopoguerra; ma che ha approfondito le
“profezie del nuovo” portate avanti in quegli anni difficili, non sempre in sintonia con la classe dirigente.
E mentre intorno al manifesto “Futurismo-Oggi” si sono riuniti i futuristi superstiti: da Acquaviva a
Benedetto, da Bruschetti a Caviglioni, da Crali a D'Albisola, da Dal Monte a Delle Site, da Dottori a
Marasco, da Pettoruti a Sartoris, hanno spiegato la loro attività pubblicistica e di approfondimento critico
soprattutto i giovani che ritenevano il movimento marinettiano fondato su un’Idea viva che si rinnova e
perciò un modo di intendere l'arte-vita non circoscritto in un periodo storico definito.
D - Che ci dice del postfuturismo oggi, in un tempo in cui sono esplosi i “futurismi” dalle nuove scoperte
scientifiche?
R - Il postfuturismo cosiddetto ha subito una sofferta classificazione, portata avanti per comodità critica
dallo storico Crispolti e che ha portato alla decodificazione di un “secondo futurismo” e alla possibile
ipotizzazione di una serie infinita di chissà quanti altri movimenti (la rassegna di Venezia del 1986 insegni)
nati sui territori e che si esprimeranno in base alle mutevoli contingenze storiche. Per quanto riguarda
l'originale (ossia originaria) avanguardia marinettiana, dobbiamo richiamarci a Zarathustra, il quale soleva
dire che il creare nega il già fatto: “Io sono - ribadiva - quella cosa che sempre deve superare se stessa”.
D'altra parte, la pittura dei giovani futuristi, in quanto futurista, mentre annulla l'apparenza del già stato,
insita nel ripetitivo concetto visivo delle origini, scopre in effetti che “il dinamismo (non il movimento
apparente e temporale) è una legge generale di simultaneità e di compenetrazione” – ha affermato Boccioni
– che domina tutto ciò che è passato. Le nuove generazioni dei pittori/scultori/poeti, che si definiscono
futuristi, hanno guardato e guardano al dinamismo dell'arte/vita, dominata certamente dalle scoperte
scientifiche, dalla vitalità della società e dai mutamenti del cosmo, ma per esprimere/creare la nuova
dimensione del segno, collegato – appunto – alla legge della simultaneità e della compenetrazione, alle
origini del passato e al tempo storico del futuro.
D - Ci parli della “sua” storia del futurismo, espressa nei volumi più significativi...
R - La mia attività pubblicistica è nata e si è sviluppata nel periodo della furiosa caccia alle streghe
dell'ultimo dopoguerra, per cui la nostra generazione ha dovuto ricorrere all'interpretazione della prassi
politica per contestare l'affermazione di un “insigne” cattedratico (non certamente unico) che accusava il
futurismo di “rivoluzione mancata” per non avere prodotto cultura, ma di essersi messo a “tutto servizio”
della politica del regime. Da qui la necessità di una rivisitazione storica delle opere e dei comportamenti dei
protagonisti del futurismo, onde confermare quel che aveva rilevato lo storico George L. Mosse (non
certamente unico) che “proprio grazie ai suoi principi e al suo orientamento culturale, il futurismo ha potuto
dare un contributo alla politica”. Del resto, quando si riconosce la rilevanza artistica del futurismo, secondo
il rilievo (condiviso) dello storico tedesco, non si può non negare l'importanza della politica (la prassi –
appunto – per un movimento di azione), con il rischio di isolare artificialmente proprio quel momento
operativo che ha caratterizzato il movimento. E' in effetti da confermare che la tempestiva importanza data
alla sintesi di arte/vita, ha consentito a Marinetti e ai futuristi di tradurre l'ideologia in tecnica d’intervento e
di non essere emarginata dalla storia, che come si sa non aspetta i ripensamenti dei fondamentalismi cronici.
E così, dopo avere esaminato le “cento anime” creative del fondatore del futurismo, come cercare di
individuare la complessa linea/forza dell'uomo moderno, ho cercato, attraverso l'indagine sull'opera di
Sant'Elia e sulla visione del poeta civile delle “periferie urbane”, Mario Sironi, di collegare il linguaggio
della decorazione, cioè il linguaggio della polis, ai problemi spaziali e strutturali della città nuova, cui aveva
guardato Boccioni, lasciando un manifesto sull'architettura poi non divulgato. E questo per dimostrare che il
futurismo si è sempre identificato nei momenti ritenuti dualici, ma che erano la stessa ‘cosa’:
comportamento e struttura, idea e materia, dinamismo e plasticità.
D - Dal 2000, l'eredità futurista è stata raccolta dalle nuove generazioni, in particolare dai giovani,
cosiddetti figli di Internet... che ne pensa?
R - Il discorso verte sulle “profezie del nuovo” , così come anticipato dal pensiero vivente di Marinetti: che è
stato ed è per giovani del nostro tempo, produttivo di ricerche neotecnologiche in tutti i campi, anche di là
delle sperimentazioni portate avanti sulla pittura-scultura e letteratura-spettacolo. Nei futuristi è comunque
indubbia la consapevolezza che Marinetti, anche senza le conoscenze scientifiche, abbia acutamente
individuato i problemi che sono alla base delle nuove ricerche e che consentono un rapporto immediato tra
l'io creatore e la materia.. In effetti si tratta di un rapporto orizzontale se Vitaldo Conte collega le pulsioni
del soggetto all'espansione della coscienza, oggi allargata al mondo e un tempo accentrata sulla libido di
Valentine de Saint-Point, firmataria del manifesto futurista: avviene così che per Conte “l'espressività
contigua ai singoli linguaggi diventa globale con il coinvolgimento nella realtà quotidiana”. Del resto, la
fantastica reintegrazione, fatta dal poeta Roby Guerra, della carica vitale del futurismo storico, ha spostato
ironicamente i futuribili conflitti della piramide verticistica nelle improbabili valenze culturali postmoderne
di un immaginario pianeta, che doveva essere Ferrara, ma che può essere qualsiasi altro territorio, definito
“isolata città-cellula” (L. Punginelli). Tra i giovani protagonisti si segnalano Stefano Balice e la sua
progettazione grafica che puntualizza i reali problemi in termini d’immediatezza espressiva, nonché Antonio
Saccoccio, lucido teorizzatore del net-futurismo: un movimento che mentre conferma la persistenza dell'unità
dei contrari ideologici, già in uso tra i futuristi storici, riporta il pensiero estremo del suo fondatore,
confermando che si debba avere il coraggio di “uccidere” il movimento di Marinetti, per liberarci del residuo
manierismo ed eliminare l'ingombrante “presentista”, “passivo recettore del già dato, del già affermato, del
già visto e del già sentito”. Soprattutto dire “basta” all'“eterna e inutile ammirazione”, come aveva anticipato
Marinetti nel manifesto di fondazione. L'“ammirazione” e “ l'immensificazione del futurismo del XX
secolo”, - ribadisce Saccoccio - non devono portare all'uso delle ripetizioni, ma a “proiettare” la nuova
sensibilità, secondo Marinetti, “in violenti getti di creazione e di azione”. In questa prospettiva, la tesi di
Roby Guerra di far coincidere, con tono lirico più che storico, le tecnologie innovatrici con le “naturali
conseguenze di ciò che Marinetti aveva da tempo auspicato e previsto”, non vuole confermare il diffuso
conformismo culturale degli osannanti, ma ... proiettare, appunto, la nuova sensibilità in “getti di creazione e
di azione” per il tempo futuro. Uno storico, certamente “passatista”, come Paolo Fossati, ma conoscitore del
futurismo condiviso, aveva osservato intorno agli anni '70 del secolo scorso, che nei passaggi “è chiaro il
senso di far coincidere in qualche modo l'inizio di un discorso con un futurismo che non è solo quello dei
manifesti e delle opere, oggi nei più svariati musei, ma un futurismo che è tutto questo, nel momento in cui
con una coscienza abbastanza lucida si pone di fronte a un’Italia nuova, a una dimensione industriale che,
seppure agli inizi, profila problemi e necessità inediti e da affrontare ex novo, con coraggio”.
IIII - INTERVISTA A GRAZIANO CECCHINI: Futurismo e arte contemporanea
(Nuova Oggettività Blog, 2011 *Il Futurista Magazine)
D - Graziano..., l’arte contemporanea “pura”, oggi?
R - Prima si dovrebbe tentare di capire cosa vuole essere l’Arte Contemporanea oggi…. Ormai sembra che
“arte contemporanea” debba coincidere per forza con “provocazione”. Purtroppo però assistiamo solo ad una
provocazione fine a se stessa, senza contenuti e senza Vera provocazione. Esibire porno star e corpi nudi
oggi, non significa provocare. Significa copiare la provocazione di ieri. Oggi la vera provocazione sarebbe
mettere in mostra una vergine! Altro che pornostar! La gente è stanca di assistere a questi spettacoli, non la
coinvolge e non vuole più sentirsi presa in giro. Ecco i miei artisti contemporanei: Giotto, Mantegna,
Michelangelo, Raffaello e Cimabue, Van Gogh, Munch, Modigliani, Dalì, Picasso, Balla, Boccioni,
Prampolini e Depero … pensate all’emozione che a distanza di tempo provocano ancora oggi. Non esistono
confini temporali, geografici, culturali. Emozionano e basta. Hanno qualcosa da dire oggi e a tutti. Questa è
contemporaneità. L’Arte, non deve essere spiegata, deve essere l’espressione di un sentimento universale,
tradotto in linee, colori e forme. Deve essere la traduzione di un sentire comune nonostante le differenze
individuali. Comprensibile, accessibile, stimolante e anticonformista. Oggi come oggi c’è più conformismo
in una pornostar che in una natura morta.
D - Parafrasando Gramsci: quando- il futurismo graffito pittura prassi, i primi antivernissage per le tue
mostre prossimo venture?
R - Rispondo con le Parole di Antonio Gramsci: “I futuristi hanno avuto la concezione netta e chiara che
l’epoca nostra, l’epoca della grande industria, della grande città operaia, della vita intensa e tumultuosa,
doveva avere nuove forme, di arte, di filosofia, di costume, di linguaggio”. La mia prossima mostra avrà la
stessa concezione, la stessa forza. La prossima mostra non parlerà + di futurismo ma,… sarà il futurismo.
PARTE PRIMA
NUOVA OGGETTIVITA' E-O NEW REALISM
Collaudo: Antonio Saccoccio. Postmoderno? New Realism? O Terza Avanguardia?
Il dibattito sul postmoderno ha avuto l’ennesimo ritorno d’interesse nelle ultime settimane, suscitando la
solita selva di opinioni contrapposte. La contrapposizione più netta (almeno apparentemente) è stata quella
tra Gianni Vattimo, storico sostenitore del pensiero debole, e Maurizio Ferraris, recente ideatore del
“Manifesto del New Realism”. Poiché ho scritto e discusso più volte di postmodernità, agganciandomi
anche ad altre questioni che ritengo ugualmente centrali, mi prendo ora la briga di entrare direttamente in
questo dibattito. Leggendo lo scambio di battute tra Ferraris e Vattimo la prima impressione è quella che
non ci sia nulla di così nuovo di cui parlare; siamo ancora fermi a discutere sulla nota affermazione di
Nietzsche: “Non ci sono fatti, ci sono solo interpretazioni”. Da ciò che si può leggere Ferraris sembra in
difficoltà nel dare concretezza alla sua nuova proposta. Il “new realism” (già la pochezza della scelta
terminologica dovrebbe inquietarci) sembra ancora un’idea piuttosto nebulosa. Il problema nasce tutto da
un sillogismo frettoloso da lui avanzato: noi viviamo in un’epoca pervasa dallo spirito postmoderno, l’epoca
in cui viviamo è terrificante, quindi il postmodernismo è terrificante. In particolare il “populismo
mediatico” è il terribile male che Ferraris attribuisce al postmodernismo. Ha ben ragione Vattimo a
rispondergli che non c’è alcuna connessione tra postmoderno e populismo. Ferraris, magari per fomentare
l’opinione pubblica, indica in Bush e Berlusconi le figure in cui detto populismo mediatico si è incarnato al
meglio. Ora, a parte il fatto che il populismo mediatico non mi sembra l’unico dei problemi attuali, a parte
il fatto che se si citano Bush e Berlusconi si devono citare pure Obama e Grillo e molti altri che di
populismo mediatico sono espressione e interpreti accreditati, il problema sta tutto in quel legame tra
populismo mediatico e postmoderno che Ferraris dà per scontato. Siamo così sicuri che pensiero debole e
postmoderno generino automaticamente il populismo? Le cose stanno diversamente. Come ho affermato nel
manifesto “Presentismo: ultima deriva dell’uomo contemporaneo” l’accusa non andrebbe genericamente
rivolta al postmoderno, ma ad una certa interpretazione (anche qui interpretazioni) leggera del
postmoderno stesso, interpretazione che ho definito con il termine “presentismo”, o altre volte “pensiero
molle”. Secondo questa particolare visione del mondo (il presentismo appunto) non solo nel mondo non c’è
una verità, ma le interpretazioni sono inutili, perché tutto si equivale e non vale la pena neppure provare a
cercarla la verità. Mentre quindi i migliori spunti della neoermeneutica possono condurre ad un mondo in
cui il proliferare delle interpretazioni creano quella vitalissima ricchezza di punti di vista e visioni del
mondo che unicamente può permettere al singolo individuo di liberare se stesso e incontrare serenamente
l’altro, questo “pensiero molle” presentista conduce direttamente ad una penosa palude in cui tutto giace
indistinto e privo di qualsiasi spinta vitale. Si dovrà comunque ammettere che, se tutto ciò è accaduto, il
pensiero debole e il postmoderno portavano (e portano) con sé il rischio di queste derive annacquate.
L’errore però sta nell’attribuire frettolosamente tutto ciò all’intero pensiero postmoderno. La
neoermeneutica e il postmoderno non sono teorizzazioni sballate, ma contengono al loro interno due errori
fatali che occorre esaminare. Innanzitutto neoermeneutica e postmoderno non potevano realizzarsi
pienamente nel momento in cui sono stati teorizzati. Parliamo pure di Berlusconi, ma con cognizione e senza
facilonerie (sono semplici interpretazioni anche queste). Abbiamo un uomo che fa parte di un’epoca in fase
di estinzione, l’epoca televisiva; la telecrazia è un fenomeno degli anni Ottanta (ed infatti in contesti simili
bisognerebbe citare Reagan, non Bush), ed è legata ad un mondo in cui la televisione è il medium
dominante. Non è un caso che il fascino di Berlusconi sia andato riducendosi, passando dalla brillantezza
contagiosa del ’94 alla stanchezza deprimente degli ultimi anni. Non si tratta solo di un logorio fisico
dovuto al naturale invecchiamento, è un segno evidente del fatto che Berlusconi è in fase declinante perché è
declinante il paradigma telecratico cui si è da sempre appoggiato. Qualcosa di nuovo sta emergendo. E non
è il “New Realism”, ma una nuova fase dell’avanguardia artistica e socio-culturale, è la terza avanguardia.
Le proposte del secondo Novecento di cui stiamo discutendo (e qui mi riferisco in particolare alla
neoermeneutica e in parte anche al pensiero debole) non hanno fallito, ma sono state avanzate con troppa
fretta da alcune avanguardie di pensiero, che hanno fatto i conti soltanto a tavolino, senza considerare la
realtà con cui si sarebbero scontrati. L’errore è stato teorizzare tutto questo senza comprendere che non
c’erano ancora le condizioni storiche perché tutto questo potesse trasformarsi in realtà. Questo è il rischio
delle “avanguardie filosofiche” (mi sia concesso il quasi ossimoro), proposte da chi è capace di grandi salti
in avanti di pensiero, ma perde troppo spesso il contatto sensoriale con il mondo reale e quindi finisce per il
proporre qualcosa che in teoria potrebbe funzionare, ma in realtà si rivela fallimentare. Occorre il pensiero,
ma è altrettanto fondamentale mettere alla prova la nostra sensibilità. Perché nel secondo Novecento la
neoermeneutica e il pensiero debole non hanno vinto, ma hanno contribuito a generare il presentismo e il
pensiero molle? La risposta sta nel mondo in cui vivevamo: fino a dieci anni fa il populismo mediatico che
denuncia Ferraris si è potuto imporre perché i media dominanti erano televisione, stampa e radio (e non
dimentichiamo il cinema). Mai un uso tanto massiccio di media di massa si era abbattuto sulla popolazione
occidentale. La questione decisiva è che questi media, che generano e riproducono costantemente non solo il
populismo politico ma anche tutto il pensiero dominante, sono tutti media che trasmettono in modo
monodirezionale. Media, quindi, che non possono aiutare quella pluralità di punti di vista e interpretazioni
che resta il punto forte del pensiero debole. Solo oggi, nel momento in cui i media di massa cedono
gradualmente il passo (pur tra mille difficoltà, rischi e contraddizioni) ai media interattivi e partecipativi, le
migliori intuizioni del postmoderno e della neoermeneutica possono realizzarsi. Il secondo errore di cui
postmoderno e il pensiero debole si sono resi responsabili è stata la negazione della possibilità del
superamento. Questo appiattirsi sulla dimensione del recupero e del riciclo è stato in parte una grande e
positiva novità, ma alla lunga ha generato anch’essa un impaludamento. Nella condizione in cui siamo, le
migliori intuizioni del postmoderno e del pensiero debole possono essere salvate – è questo il più grande
paradosso – soltanto se una fase di avanguardia, appoggiandosi e prendendo a modello il paradigma che si
è sviluppato a partire dalla rete globale, darà la spallata decisiva al mondo dominato dal sapere tipografico
e televisivo, saperi gerarchici trasmessi senza una diffusa possibilità di confutazione e quindi negando la
dimensione fondamentale della pluralità. Il problema dell’auctoritas resta sempre fondamentale, come ben
vede Vattimo. La posizione di Ferraris sembra davvero una posizione di retroguardia, tesa al ripristino di un
sapere controllato, anche se non ci capisce bene da chi. Il postmoderno, ad indagarlo a fondo, può
considerarsi come un ultimo risultato delle avanguardie novecentesche, che per prime posero sotto assedio
il paradigma monolitico e accademico che rinchiudeva l’individuo in una serie di saperi tramandati da
secoli, ma ormai, nell’era dell’elettricità e della comunicazione continua, completamente anacronistici.
L’attacco del Futurismo alle accademie, alle biblioteche, al professoralismo, la sfida Dada all’Arte stessa,
l’assalto del Situazionismo a tutte le strutture di potere: tutto questo doveva sfociare nella neoermeneutica e
nel pensiero debole. E invece, per una serie di circostanze probabilmente non aggirabili, siamo piombati tra
presentismo e pensiero molle. Il postmoderno, a dirla tutta, ha commesso il grande errore di negare tutto
quello spirito di contestazione avanguardistico e radicale da cui era nato, e negando l’avanguardia e l’idea
di superamento si è condannata al presentismo e all’impaludamento. In ultima analisi, Ferraris non ha
davvero nessuna possibilità di combinare qualcosa di buono con il suo “New Realism”, perché sta andando
nella direzione della restaurazione, mentre occorre portare a compimento il superamento intrapreso già da
un secolo. Oltrepassare l’esperienza postmoderna può essere possibile solo se ci rendiamo conto che
l’avanguardia è una condizione indispensabile in un mondo che si trasforma tanto rapidamente. Se ci
fermeremo a riflettere su questi aspetti, ci renderemo conto che il miglior postmoderno non è altro che una
fase timida e indecisa di quell’avanguardia costante che ci tiene vigili, vivi e vitali da un secolo almeno.
INTERVISTA A LUIGI SGROI: la storia sorprendente
(Nuova Oggettività Blog 12 2012)
D - Nuova Oggettività o New Realism –nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente “Gauche” – nel futuro prossimo?
R - Se “N.O.” e “N. R.” vengono semplicemente intese e messe sul piano uniformato di un superamento
del dato storico- filosofico post-moderno, credo di sì..... poiché ritengo essere questo un processo inevitabile
anche se non necessario. Ma non basta: se N.O. mantiene viva invece la sua vocazione tradizionale per cui il
futuro prossimo (cioè quello imminente) viene continuamente "sorpreso" dalla storia e da essa riattualizzato,
potremmo augurarci che ad una nuova stagione del "Realism", peraltro opportuna, si affianchi l'eterno afflato
per il mondo spirituale . Qualcuno diceva: " O l'umanità futura sarà spirituale, o non sarà." Destra o Gauche
poi, sono solo categorie di comodo.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l’azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - L'uomo ha dialogato con la sua origine scrutando il cielo, vergine di ogni "mentalismo". Poi, ha
abbassato gli occhi e coltivato la terra, costruito muri, creato il mondo a sua immagine e somiglianza. Oggi
guarda lo schermo azzurro di un computer colto dalla segreta nostalgia di qualcosa che gli manca.
Del computer si può fare a meno, lo voglia o no qualsiasi ideologia, del cielo no.
D - Verso l’Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell’implosione
della civiltà?
R - Credo che i margini per una faustiana conquista dell'impossibile siano ancora ampi. Tanto grande è
questo margine tanto grande mi figuro sarà il suo tracollo. Tutto ciò che fa parte del cosiddetto "conosciuto"
(inteso come oggetto, ma anche come mezzo per conoscere l'oggetto) porta un ineliminabile destino di
distruzione. Il trasumanare non è nel tempo..... se non illusoriamente o quanto meno provvisoriamente;
l'implosione è una necessità.
D - Tra realtà e utopia, l’Italia tra 100 anni…
R - Vorrei rispondere con l'utopia, ma ne ho paura e lo faccio con prudenza. Per pensare l'utopia bisogna aver
fiducia in ciò che lasci : come azioni e come individuo; ed io ne ho. Ciò significa che non mi fa paura il
futuro, non mi fa paura il mondo, nella fede che solo l'Io superiore pone il mondo, ogni Io è il mondo, e
allora tutto il resto serve se non da scenario. Da realista non dico nulla, essendo quello scenario possibile di
ogni rappresentazione, ove tutto muta ad ogni istante secondo il capriccio degli eventi...
INTERVISTA A GIOVANNI SESSA: il caso e la gioia
(Nuova Oggettività Blog 11 2012)
D - Nuova Oggettività o New Realism –nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente “Gauche” – nel futuro prossimo?
R - Credo certamente che il recupero di un approccio al mondo segnato dalle prospettive implicite nella
Nuova Oggettività, così come esse sono state delineate nel Libro/Manifesto “Per una Nuova Oggettività.
Popolo, partecipazione, destino”, possa essere considerata la via per la fuoriuscita dalle secche, esistenziali,
politiche, culturali della postmodernità.
Ma, proprio per questo, ritengo che l’accettazione realista e tragica dell’esistere e del mondo, comporti
necessariamente il definitivo lasciarsi alle spalle le sterili dicotomie e/o le false opposizioni che connotano
ancora di sé il tramonto del postmoderno, in ambiti molto diversi tra loro: teismo/ateismo, tempo/eternità,
destra/sinistra. Fare dell’anti-principio, dell’hasard, del caso gioioso, festivo e ludico, l’origine, permette di
esperire il reale nella prospettiva, che gli è propria, quella di fenomenologia della presenza, di metamorfica
manifestazione del Principio. Lo strumento atto a ciò, è ragione cosmica, voce del Tutto, posta prima e al di
sopra delle parti e delle prospettive gnoseologiche che possono aprirsi su di essa. Per di più, dal punto di
vista della storia delle idee, mi sembra che la Nuova Oggettività, sia stata elaborata negli ambienti afferenti
alle correnti rivoluzionario-conservatrici del secolo scorso. Attorno ad essa politicamente ed in funzione antiutilitarista, oggi possono trovarsi tutti quelli che non riconoscono legittime, pur muovendo da posizioni
d’origine differenziate, le ragioni della Forma-Capitale.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l’azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Questa è la sfida che va raccolta: è nell’ambito generalmente definito estetico, nonché in quello
comunicativo, che va realizzata la “conciliazione degli opposti”. Conciliare l’utilizzo dei nuovi mezzi
espressivi, attraverso i quali si “dice” il postmoderno, e far riemerge la natura-realtà oggettiva delle cose.
Tutto ciò potrà realizzarsi a condizione che si sia in grado di corrispondere all’esigenza, da più parti
avvertita, di una nuova forma di creatività, artistica e politica, connotata in termini demiurgici, avrebbe detto
Filippo Burzio, capace, alla luce della lezione schellinghiana, di esplicitare come nel linguaggio sia latente la
chiave di comprensione di significati archetipali, di categorie positive del pensiero e della cultura.
Decisamente pertinente il riferimento al firmamento azzurro, al caelum che, come si sa, nella tradizione
ermetica non casualmente divenne il simbolo, l’idea vivente della ragione cosmica. Se a tanto si riuscirà,
ancora una volta saranno i fatti a dirlo. La cosa importante è aver dato inizio al cammino.
D - Verso l’Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell’implosione
della civiltà?
R - Non so se la situazione attuale possa essere compiutamente descritta in termini catastrofistici, come
immediatamente precedente all’implosione della civiltà. Da tempo sono convinto, in particolare attraverso
Spengler, che l’uomo europeo (ma non solo oramai), viva in una situazione di civilizzazione: pertanto, il
momento attuale penso possa essere significato pienamente da tutte le implicazioni che la comprensione del
vocabolo crisi comporta. Siamo, per dirla con Nietzsche e Cacciari, uomini postumi, ai quali non è più
neppure concessa la possibilità di essere inattuali. Il nostro porci posteriormente alla civiltà, può concedere,
in questa svolta epocale, delle possibilità impreviste. A condizione però, che si torni ad alzare lo sguardo al
cielo, a rimirare le stelle per costruire comunitariamente un destino. Ogni ex-sistere, in quanto stare fuori, è
una sfida, è un tentativo di ritorno all’origine. Per noi, uomini postumi la sfida è duplice. Siamo fuori dal
Principio non solo in termini individuali, ma destinali. La cosa non ci spaventa poiché l’unica in-gegneria
della felicità che conosciamo, l’abbiamo appresa dalla Tradizione e dai classici: felicità è agire!
D - Tra realtà e utopia, l’Italia tra 100 anni…
R - Per chi muova da una prospettiva di filosofia dell’eterno “presente”, come è il caso del Movimento della
Nuova Oggettività, non contano molto le previsioni in merito a futuri possibili. Ciò che conta è vivere “qui e
ora” secondo orientamenti che consentano, sul piano individuale e comunitario, di realizzare il tradere come
il sempre possibile. L’Utopia classica non mira a negare “utopisticamente” il dato reale del presente in nome
di un perfettismo antropologico-politico, magari da imporre, in quanto progetto razionale,
indiscriminatamente a tutti i propri simili. Assolutamente no! Vivere sulle ali dell’utopia vuol dire costruire
un percorso di vita individualmente mosso all’alto e al meglio, sul modello dell’archetipo divino: porsi,
socraticamente, al servizio di un dio, senza pretesa di conclusività e di definitiva realizzazione. Pertanto,
immagino l’Italia futura, sotto specie dell’eterna Tradizione italica, in cui, almeno la parte più cosciente del
nostro Popolo, abbia ri-acquisito la capacità di guardare con meraviglia al mondo e al proprio passato, al
punto da sentire la necessità di porsi sulla strada della sua ri-conquista.
INTERVISTA A FRANCESCO SACCONI: la gravità pensante
(Nuova Oggettività Blog 11 2011)
D - Nuova Oggettività o New Realism -nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche"- nel futuro prossimo?
R - P...ensare, dal latino pensum, "peso", da cui ponderare, dunque valutare la gravità di un corpo qualsiasi
quindi, in senso lato, "misurare". Mi piace l'idea di partire da qui la mia introduzione alla blog-intervista per
i motivi che cercherò di far emergere. Un sano atteggiamento lucido e scientifico, lo stesso con il quale i
nostri Padri ellenici partorirono l'evento più grandioso della storia del mondo, vale a dire la nascita della
filosofia, vuole che, di fronte a qualsiasi fenomeno, si parta dalla misurazione delle sue dimensioni, nonché
dei suoi effetti, per poi procedere ad una sua migliore definizione. In questo senso potremmo parlare di
Nuova Oggettività come di una comunità di scienziati. È condivisa l'opinione che la realtà storica che stiamo
vivendo sia assolutamente inaudita, compimento radicale del faustismo moderno, fino alle sue estreme
conseguenze di messa in discussione della reale capacità del nostro genere di sopravvivere alla stessa
macchinazione messa in piedi dall'era della riduzione della complessità fenomenica a formula tecnicomatematica. In questo senso, Nuova Oggettività può essere considerato come quel laboratorio delle
Geisteswissenschaften, negatoci da una politica di tagli alla cultura ma contro la quale è la stessa insorgenza
dello spirito di ricerca a volersi innanzitutto ribellare e reclamare la propria necessaria vitalità e, con questa,
il suo stesso diritto ad esistere. Non si tratta, a mio avviso, di schierarsi con o contro un qualche fantasma di
"Gauche", visto che di fronte allo scenario politico attuale non si può obiettivamente credere in un
qualsivoglia partito, a meno che non si sia ancora raggiunta l'età dei 25-30 o non ci siano forti interessi
personali in ballo e, in entrambi i casi, il sottoscritto si dichiara "fuori gioco"! Nuova Oggettività mi ha
attratto per questo, per l'altissima qualità espressa dai suoi componenti (che non è semplicemente tecnico –
nozionistica) capace di accettare e confrontarsi con realtà culturali diverse, senza chiudersi aprioristicamente
di fronte a qualsivoglia suggestione. Nel mio passato, prima di approdare all'attuale posizione di neutralità
politica da volontario del soccorso in Croce Rossa, ho provato a concretizzare esperienze politiche
significative tanto a destra quanto a sinistra, nonché al di là dell'una e dell'altra, tutte esperienze partite
sempre con le migliori intenzioni di superare gli opposti estremismi, che così tante vittime hanno mietuto nei
decenni passati, nel tentativo di creare finalmente qualcosa di solido al di là delle parole (sono un convinto
sostenitore della Legge di Sparta: "I fatti sono il fuoco, le chiacchiere la carta!" ). Quasi tutte queste realtà
sono naufragate di fronte alla tentazione dei particolarismi ma Nuova Oggettività, a mio avviso, ha qualcosa
in più rispetto a tutto il resto: il sostrato Culturale dei suoi uomini – chiave, supportato dalla maturità delle
rispettive esperienze!
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R- In questo senso, proprio perché N.O. è quel laboratorio scientifico che ho provato a descrivere, possono
conciliarsi sia l'azzurro dell'anima e del cielo sia il coltan-silicio dei megachips: nella globalità siamo inseriti,
nella globalità cercheremo di portare sale e fuoco e, se occorre, anche il napalm!!! : Chi scrive si è laureato
in Filosofia con una tesi su Martin Heidegger quindi ha dovuto superare la fase iniziale di un certo sospetto
nei confronti dell'informatizzazione del mondo ma, in fondo, N.O. non è forse una realtà concretizzatasi
grazie a questa Rivoluzione?
D - Verso l'Ingegneria imprevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione della
civiltà?
R - "La sfida estrema alle stelle prima della nostra implosione" mi ricorda una canzone di Roger Waters, in
cui proprio le parole conclusive raccontano di uno scintillio molto strano del pianeta Terra nell'Universo: "Il
nostro ultimo Urrah!" Davvero la morte e la felicità "im-prevedibile" sono così inconciliabili?. Come ho
scritto qualche mese fa, proprio rispondendo ad una email (del nostro blogger Guerra), per me non è tanto
importante il successo personale socialmente riconosciuto quanto la pace con il mio Dèmone interiore e
N.O., anche solo per la sua semplice sfida, che porta avanti con virile e creativa dignitas, è qualcosa di Bello,
dunque Giusto a prescindere dai risultati: il resto si vedrà! Eraclito scriveva: Ethos anthropo daimon ("E' lo
stesso soggiorno ad ispirarci"), oggi che le ideologie sono crollate (ma mancano a qualcuno, per caso??? )
abbiamo la grande opportunità di ripartire proprio dall'ethos, quindi c'è bisogno di sfide come quella che
stiamo portando avanti: siamo pochi? Pochi i mezzi a disposizione? Tanto meglio! Non avremo da fare altro
che rallegrarci per eventuali successi e, ad ogni buon conto, goderci l'onore di avere tentato...
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Sui prossimi cent'anni, ho il sentore e l'ardire di sottolineare, dovremo vedere cosa succederà a livello
antropologico al vero protagonista del Novecento: il genere femminile! È forse un caso che in ogni lingua
del mondo, moderna o antica che sia, la parola "Vita" e la parola "Morte" siano sempre e comunque di
genere femminile? Ecco: credo che dovremo fare i conti soprattutto con loro, con le nostre donne e non solo,
con la loro voglia di contribuire, per esempio, al decremento demografico dell'etnia europea oppure
controsterzare la tendenza, complice magari una politica sociale di reali "pari opportunità". La questione
femminile, per noi importantissima, è addirittura decisiva nel mondo islamico, per ovvi motivi... Pertanto
prima di rispondere in modo chiaro a quest'ultima domanda, aspetto di capire meglio cosa ne pensa la nostra
gentile controparte...
INTERVISTA A PAOLO MELANDRI: per un medioevo di luce elettronica
(Nuova Oggettività Blog 3 2012)
D - "Nuova Oggettività" o "New Realism" - nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche" - nel futuro prossimo?
R - Necessità di trascendere la povertà concettuale e progettuale del "Postmoderno". Proporre una mistica
intransigente dell'Arte.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Non solo possibile, ma necessario: è attingere al patrimonio esperienziale che ci è dato.
D - Verso l'Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione
della civiltà?
R - Prima che il Contemporaneo-Antico imploda, fondare un Medioevo di Luce per i prossimi 1000 anni.
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Tra 100 anni l'Italia sarà ad un guado... guarderà ancora indietro, ma sarà costretta ad andare avanti...
verso il misticismo elettronico di un nuovo Medioevo tomistico...
INTERVISTA A ROBY GUERRA: per un postmoderno hard
(Nuova Oggettività Blog 11 2011)
D - "Nuova Oggettività" o "New Realism" -nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche"- nel futuro prossimo?
R - Superare criticamente il postmoderno è comunque positivo. La rotta di Ferraris e dello stesso Eco ecc.,
tuttavia è probabilmente ancora ideologica, sembra - per ora - anche una rimozione del postmoderno per una
sorta di neoempirismo ermeneutico. I dubbi già espressi dagli stessi Vattimo e Maurizio Catellan, anche da
Saccoccio sono pertinenti, non solo witz gratuiti. Nuova Oggettività invece, e il Libro/Manifesto già lo
attestano, siamo già oltre l'entropia del Dibattito. E' un fatto. Certamente l'interfaccia dialettica resta aperta...
Comunque -anche in Italia una nuova stagione postideologica è in fase nascente, nell'ex/post sinistra e
nell'ex/post destra.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Ogni epoca rivoluzionaria esige risposte rivoluzionarie. Crisi planetaria o meno - anzi essa è effetto
certamente della web revolution, misconosciuta nelle stanze dei bottoni - e nei depositi blindati di.... Wall
Street - oggi la conoscenza è come una time machine. E' tempo di farla viaggiare...
D - Verso l'Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione
della civiltà?
R - Nessun’apocalisse all'orizzonte: male che vada il futuro rischia di essere noioso e lento. Ma la
conoscenza tecnoscientifica è sempre più un miracolo concreto che avanza: il problema sono le zavorre che
frenano il futuro e la meraviglie venute alla luce e dei prossimi decenni.
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Spero almeno che a scuola insegnino Galileo e Leonardo prima di Manzoni o Carducci... o Marinetti
anziché Benedetto Croce. E che non si discuta più tra umanisti e scienziati di parole estinte... Poi il
Crocifisso può benissimo restare sul muro o anche in ...3D nelle tecnoschool dopo Internet. E oltre al Santo
Natale che si celebri anche la nascita non dell'unità d'Italia ma di Einstein...
INTERVISTA A SANDRO GIOVANNINI: la comunità eroica contemporanea
(Nuova Oggettività Blog 11/ 2011)
D - Nuova Oggettività o New Realism -nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche"- nel futuro prossimo?
R - Al di là dei nomi che potrebbero apparire persino dei “purissimi accidenti” se non strettamente collegati
alla causa prima etimologica ed alla causa seconda od efficiente della corrispondenza con il fare effettivo, si
potrebbe intendere che l’era del soggettivismo massificato e della massificazione soggettiva, è, ciclicamente,
alla fine. Una nuova realistica oggettività significherebbe comprendere nuovamente il porsi necessario dei
grandi compiti oltre la frattura esistenziale del capitalismo, per come esso si è andato terminalmente
configurando. Recuperare l’eroismo della persona ed inserirlo nel progetto della comunità, significa
veramente andare realisticamente al di là della destra e della sinistra, qualsiasi cosa temano i nostalgici di
qualsiasi provenienza o setta. La partecipazione, elemento insieme spirituale e materiale, può centrare ogni
nostro sentimento ed ogni nostro ragionamento per farsi prassi generosa e lungimirante, così nel microcosmo
delle relazioni come nel macrocosmo delle realizzazioni. In tal modo i valori fondanti sono e saranno
acceleratori e non zavorra.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Più che crederlo possibile o necessario lo credo in atto, se, come sopra dicevamo, dirigiamo verso la
sostanza che divenga forma. D’altronde la trama della tela dell’esistente, come dicevano i presocratici, svela
ben più che un disegno intelligente... altrimenti non esisterebbero né simbolo, né mito... quanto una paideia
anagogica, sempre in azione, seppur non letteralista, o meglio da non leggere letteralisticamente. Quelli di
“una volta per tutte” – ovunque si situi, nel passato, nel presente, nel futuro - travisano il sempre presente,
che può appartenere a molti ed a nessuno. L’onestà qui è della visione, non dell’opinione. Onestà della
visione... ma certo non è facile.
D - Verso l'Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione
della civiltà?
R - Credo nell’uomo. Credo, come diceva Pound, nell’ininterrotta sua catena causale che mentre lega,
attorce, forza, prova, costringe alla liberazione ed al superamento... quia absurdum. Ma ne diamo una
versione felice, non torva, se pur la sofferenza ha luogo ed opera senza pietà alcuna. Ma la pietas saggia del
combattente vero non si nega nel furor, quanto si ricomprende nelle arti... quelle che una volta si sarebbero
definite liberali. Lo stelo d’erba e l’orizzonte infinito sono costantemente in relazione... così la nostra civiltà
è in noi, qualsiasi sia il frangente storico che si debba giocoforza attraversare.
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Tra le tre grossolane ipotesi della rovina, della divisione, della riforma lacrime e sangue, preferirei
ovviamente - se costretti - la terza... e che paghino possibilmente di più i cialtroni di ogni grado e risma... ma
spero che si possano evitare queste tre tragedie, anche perché non son sicuro che poi la pena sia giustamente
redistribuita. L’Italia è una dea meravigliosa e fragile. Spero che una élite nuovamente consapevole sappia
trarci fuori - con forza ed equilibrio - dalla situazione gravissima nella quale siamo immersi. E’ il nostro
orgoglio ed il nostro dovere.
INTERVISTA A VITALDO CONTE: tribalismi virtuali
(Nuova Oggettività blog 12 2011)
D - "Nuova Oggettività" o "New Realism" - nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche" - nel futuro prossimo?
R - Il post-post-moderno già esiste per proprio conto: non necessita di "sbandierature" intellettuali,
soprattutto di quelle storicamente "gauche". È ondeggiante tra neo-tribalismi e virtualità inglobanti, tra il
realismo crudo del vivere e l'apertura indistinta all'x come incognita desiderante. La meta-fantasia narrativa
sostituisce i meta-racconti della storia. L'essere, ormai postumo a ogni post, può trovare la propria naturale
rotta armonizzando, dentro di sé, la carica vitalistica e il dettato razionale nelle espressioni della pulsionecoscienza come una sempre "nuova oggettività".
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Le espressioni di una sempre "nuova oggettività" si protendono verso l'open space, fino all'estensione
virtuale, con le sue maschere im-possibili e le corporeità modificabili, che possono danzare con i graffiti del
cielo: sono extreme nei loro confini, non più dilatabili dai sensi. In questi spazi ultimi possono sorgere delle
domande, anch'esse extreme: dove si arrestano gli estremi confini? I diversi volti dell'invisibile/vibrazionale
possono essere considerati estremi confini, fluttuando essi stessi tra e oltre i limiti... La parola-convenzione
extreme può comunicare la pluralità di ogni lingua-follia creativamente "dispersa"...
D - Verso l'Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione
della civiltà?
R - L'ingegneria im-prevedibile della felicità può esigere talvolta l'arroganza della sfida extreme alle stelle,
intuendo che questa sfida può essere la via più breve per volare oltre l'implosione naturale della civiltà, oggi
troppo umana per essere naturalmente umana...
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Tra 100 anni i confini nazionali saranno sempre più "dispersi"... Se l'umano "sopravviverà" alle
Apocalissi X, questo pianeta (chiamato Terra) sarà sempre più "alieno" nei suoi transiti di esistenza... forse
anche per noi che guarderemo da "altre" postazioni (che non prevedono nemici) la realtà come utopia e
l'utopia come realtà.
INTERVISTA A GIUSEPPE CASALE: il grande artificio
(Nuova Oggettività Blog 12 2011)
D - Nuova Oggettività o New Realism -nuova sbandierata rotta oltre il postmoderno di certa area
storicamente "gauche" - nel futuro prossimo?
R - Non credo ci si possa ancora far sedurre dal variegato spettro delle rivendicazioni plebee dissimulate per
mezzo della categoria del "superamento". Intendo dire che dirsi post-moderni, nella maniera sin qui
sperimentata, costringe a sottomettersi ancora ai canoni di una mentalità che riesce comunque a determinare
le posizioni di chi, pur avversandola, dimostra di non saper farne a meno: assumendola come necessaria,
anche per il solo fatto di limitarsi a contraddirla, nell'incapacità di affermare positivamente qualcosa.
La compulsione a "superare", poi, per come s'è sinora manifestata, sarebbe votata all'ennesimo fallimento,
conservando la "zavorra" prospettica di quello storicismo che ignora la possibilità di elevare il "moderno" a
categoria trans-epocale. Come non accorgersi, per esempio, della battaglia condotta da Platone nei confronti
dei "moderni" di cui ebbe esperienza, sino al paradosso (in verità, soltanto apparente) di riconoscere come
moderno Omero stesso, ancorché vissuto molti anni addietro? Dunque, bisogna intendersi. Se per
"Modernità" intendiamo soltanto l'età avviatasi quattro o cinque secoli or sono, allora la tendenza
contrappositiva non mi trova d'accordo. Diversamente, se leggiamo la "Modernità" come categoria
(spirituale) della crisi, allora, aderisco convintamente alla volontà corale di attivare un percorso dirimente.
Ma a due condizioni "etimologiche" (e non solo!). La prima: che si riconosca, nella crisi stessa, il significato
di "scelta", quindi, di "opzione" determinata a intraprendere una direzione positiva, risolutiva dell'impasse,
per quanto possibile. Il che impone di guardare il "mostro" negli occhi, con il coraggio che si addice a quanti
abbiano l'ardire di chiamare la realtà con il suo nome, senza infingimenti o pudori sociali. Se crisi c'è, essa
non può durare in maniera patologicamente indefinita, pena lo scivolamento nella più incancrenita
decadenza. La seconda: che si sperimenti, già nell'intimo delle proprie corde, il senso pre-giacobino di una
rivoluzione immune dalla cupiditas rerum novarum che affligge gli spiriti bassi, sconfitti e semplicemente
rivendicativi. Una rivoluzione, insomma, attiva, non semplicemente reattiva, a partire dalla quale revolvere a
360 gradi, per ripristinare, già nell'animo, una condizione eretta. La quale impone di preservarsi dalla
tentazione miserevole di sognare "mondi nuovi", inusitati e non meglio messianicamente definiti, ove
rifugiarsi e leccarsi le ferite inferte dalla necessità del presente. In fondo, credo che questa sia la sfida di
quanti, richiamandosi a una Nuova Oggettività, ambiscono a quella metanoia, a quel "cambiamento di cuore"
che prelude alla facoltà di osservare la realtà vitale delle genti (e primariamente della nostra gente!)
coniugando "classicità" e "verismo": l'esempio possibile suggerito, come eterno memoriale, dalla lezione di
umanità trascorse, avvertendo l'esigenza di gridare: «il re è nudo!». Proclamare una Nuova Oggettività
equivale a sollevarsi per imporre l'oggettività del reale: di nuovo. A onta delle superfetazioni costumali, delle
sofisticazioni culturali, di cui oggi si serve quel grande artificio affabulatorio che è la pseudo-scienza
economica e finanziaria per asservire i popoli, inventando per essi bisogni naturalmente mai avvertiti,
creando dal nulla identità e civiltà, stabilendo verità indiscutibili… proprio perché insostanziali.
D - Davvero possibile, nella prassi, danzare tra il computer e i graffiti, tra l'azzurro del cielo e il silicio
fosforescente?
R - Non è più tempo di attardarsi in più o meno radicali "rivolte contro il mondo moderno", indulgendo a
toni vitalistici e nihilistici che, invero, nascondono il rifiuto della realtà attuale. Inflessioni che, nel momento
di dichiarare il disegno di accelerare parossisticamente il culmine della crisi usurante già in atto, finiscono
spesso per irretirsi in un cupio dissolvi non dissimile dai sensi apocalittici del millenarismo o delle congreghe
messianiche di ben più antica data. Ritengo tutt'altro che utile, ai fini della salvezza comune, ritrarsi in
astensioni incapacitanti: seppur funzionali a sottrarre l'individuo dall'oltraggio di una società narcotizzata
dalla sua stessa tecnica, esse non sortirebbero nulla di virilmente e positivamente palingenetico.
Ripeto, sulla scorta nietzscheana: in questo momento, più che mai, occorre essere uomini dell'azione che (si)
impongono rotte, non uomini della reazione, ridotti a rispondere a quanto dall'esterno subìto (: morale dello
schiavo), immiseriti dalla condizione soggettivistica di reputare il mondo coincidente con la sola circostanza
personale, pur sempre accidentale, parziale e, per ciò stesso, infondata. Occorrono uomini della sintesi, in
grado di "cavalcare la tigre", anche domando la techne, per piegarla nuovamente alla sua primeva funzione
ancillare nei confronti di una prassi azionata dallo spirito. Per fare ciò, occorre davvero avvertire
l'impellenza di una Nuova Oggettività, per inscrivere il frangente attuale di ciascuna vicenda personale nella
più ampia cornice di un'economia cosmica senza requie. Penso che l'iniziativa in itinere, presentata anche
nella vetrina di questo blog, vada esattamente in questa direzione, spendendosi in molteplici direzioni
(artistiche, filosofiche, storiche, economiche, geopolitiche etc.), così da significare, attraverso la varietà delle
branche disciplinari – sempre tecnico/strumentarie – la qualità totalizzante dell'auspicata rinascita.
D - Verso l'Ingegneria im-prevedibile della felicità o una sfida estrema alle stelle, prima dell'implosione
della civiltà?
R - C'è chi reputa preferibile accelerare il moto di caduta, al limite, senza opporvisi, per provocare, entro il
più breve termine possibile, il tonfo finale della nostra civiltà, altrimenti destinata a una lenta agonia.
Insomma, una sorta di "eutanasia", dettata dall'ansia di assistere all'alba di una nuova "età dell'oro", dopo un
"kali yuga" appositamente condotto ai suoi esiti estremi. Nonostante la rispettabilità di tali posizioni,
personalmente ritengo preferibile puntare lo sguardo al cielo, ma con i piedi ben saldamente in terra, per
conservare e tradurre in opera, diffusivamente, il massimo risultato cui la virtù umana possa ambire: per
usare una terminologia riadattata da Giulio Maria Chiodi, sintonizzare l'axis sui con l'axis mundi imperituro e
perpetuo. Obiettivo, questo, di non facile conseguimento, ma che già nel suo valore paradigmatico (per
l'esistenza personale prima, comunitaria poi), dispiega una qualità ordinante nei confronti degli uomini che
sappiano riconoscerlo come viatico fondamentale. Ritengo che la patologia micidiale che affligge il nostro
tempo consista esattamente nell'aver perso di vista la necessità di questa sintonizzazione, smarrita la quale
l'umano, come nave senza ancora, resta in balìa dei flutti sollevati da una ragione affetta da un'infondata
autoreferenzialità. Di fronte a ciò, sta la "profonda altezza" di una vocazione civilizzatrice, senz'altro capace
– come l'auriga della biga alata del Fedro – di innalzarsi al cielo al traino dei suoi due cavalli, bianco e nero,
ma, al contempo, disposta a portarsi sulla dimensione orizzontale dell'esistenza, secondo l'assetto di un
equilibrio costante, grazie al quale mai si smarrisce il senso della militia da esercitare nella quotidianità e
tuttavia senza affogare nella morta gora di un senso comune superficiale e ignavo. Dunque, in nome
dell'oggettività: sguardo alle stelle, ma senza il desiderio (soggettivistico) di manipolare a proprio arbitrio il
katechon, la forza frenante che separa dalla fine.
D - Tra realtà e utopia, l'Italia tra 100 anni...
R - Non sono incline ad avventurarmi in previsioni. Figurarsi in profezie… Soprattutto perché, propendendo
a non muovere il mio senso storico in maniera rettilineare, non riesco a ipotizzare un lasso di tempo
sufficiente a esaurire il presente ciclo di narcosi epocale. So solo immaginare un tipo d'uomo che, se sarà in
grado di recepire i richiami dell'oggettività vitale (non solo del mondo umano… troppo umano), saprà
finalmente confutare l'inveterato fraintendimento che, da troppo tempo, oppone utopia a realtà.
Laddove, invece, come auspicato dal messaggio di Gian Franco Lami, potrà concepirsi di nuovo – dopo le
pur necessarie e sofferte catarsi che ci attendono – un'azione rifondativa che parta dalla "cittadella interiore",
chiamata a fecondare, con la forza dell'esempio, l'ambiente sociale circostante. Senza pretendere di
violentare il reale, senza agitarsi per delle "fughe in avanti", bensì nel segno di una prassi individuale
terapeutica, capace di incontrarsi e di integrarsi fruttuosamente con le attitudini altrui. Credo che il richiamo
di Sandro Giovannini all'adagio di Simmaco, collocato a bella posta sul libro/manifesto, vada proprio in
questa direzione. Esso vale ad ammonire, contro l'ansia riduzionistica e intellettualistica di conchiudere gli
sforzi plurali in un'unità dottrinale tanto inconcussa, quanto artificiale. Alla luce di ciò, si apprezza la
missione di chi, oggi desto, si impegna a ricondurre le forze rigeneratrici alla disponibilità della veglia di altri
che vogliano farsene carico, declinandole secondo le personali specificità. In quale modo? Dopo secoli di
diluizione convenzionalistica del senso sociale, di superstizione individualistica, di disarticolazione
privatistica delle utilità comuni, occorre ripartire dall'inizio: ripartire dalle comunità, all'insegna di un
federalismo non semplicemente territoriale, fiscale o che dir si voglia, ma autenticamente identitario, etico,
ideologico e popolare. La Res Romana, con il suo foedus fondativo e inclusivo, valga ancora da insuperato
modello. Solo così, l'oggettività dell'inter-esse politico (comune) potrà fornire soluzione all'anomia della
tirannide globalistica.
PARTE SECONDA
URFUTURISMO E DINTORNI
Collaudo: Sandro Giovannini. Per una volta teniamoci agli impulsi primari.
I
Scrivo volutamente a due giorni dall’esito delle elezioni italiane di febbraio 2013 e quindi non conosco
assolutamente ciò che accadrà al proposito. Ma essendo questo libro intitolato “Al di là della destra e della
sinistra” vorrei provare a muovermi per una volta non al solito livello del “dover essere” ma a quello delle
effettive pulsioni primarie. Il nostro usuale “dover essere” infatti corrisponde ad una vocazione autentica di
nobiltà d’animo e ad un’autoeducazione protrattasi per decenni e quindi non è affatto una “postura”
inautentica, ma ha la grave carenza, nel proprio convinto volontarismo etico, di non considerare appieno
quanto normalmente, dentro e fuori di noi, si muove a livello, appunto, delle pulsioni primarie. Gusti,
disgusti, percezioni più o meno sensorialmente elaborate ma sulle quali hanno operato per lungo tempo
contestualità esterne compongono dei quadri pregiudiziali che divengono autentiche disposizioni caratteriali.
Lo sappiamo da un tempo infinito e da infinite fonti. Ma tali disposizioni, per quanto noi si faccia per
considerarle o riportarle ad una gerarchia sovraordinata a più elevati livelli concettuali, rappresentabili dalla
nostra razionalità, permangono, sostanzialmente ed alquanto stabilmente, autonome. Nello specifico che ci
riguarda la ormai lunga storia delle complesse motivazioni “al di là della destra e della sinistra” che si nutre
innegabilmente da tempo di un approfondito discorso teorico nazionale e sovranazionale e si innerva in un
ormai consolidato orizzonte non solo ideale e sociale ma anche storico, da una parte coglie infiniti spunti di
superamento delle dicotomie di stampo ideologico, ma dall’altra necessariamente trascura, nel suo statuto
eminentemente razionale, il trascinamento inestinguibile dei portati animici. In più avviene persino la
possibile paradossale inversione del processo virtuoso di riconoscimento ideale nel cascame massmediale dei
mille strepiti che sempre si attestano su una linea “al di là della destra e della sinistra” rozza e populista,
facilista ed aproblematica, che ritorna storicamente declinata brutalmente, magari alla fine di un sofferto
percorso dialetticamente esistenziale, innestandosi su ogni vorticosa dinamica d’appartenenza formale e
letteralista e prescindendo da ogni vera e di lunga durata possibile sintesi. I portati animici più facilmente
interpretano con immediata sicurezza i fenomeni della pesanteur (quelli che in altra sede abbiamo giudicato
superabili solo in una pratica ove la partecipazione - ampiamente intesa - possa svolgere la funzione di
chiave di volta e di punto di svolta delle divergenti e sempre rinnovantisi spinte centrifughe) e li collocano,
se si può e se si vuole esser sinceri fino in fondo, in un contesto vivo che si rivela alfine molto meno
semplificabile anche teoricamente di quanto spesso noi si dica o si voglia. Questa riflessione che a prima
vista, nella sua apparente plausibilità, potrebbe affacciarsi come decisamente e facilmente accettabile,
provenendo proprio da un modesto ma convinto alfiere di un comunque arduo percorso di superamento delle
dicotomie e delle aporie ideologiche, è invece una potente dialettica messa in discussione non solo di tutto
questo personale e comunitario percorso, ma dello stesso scritto che in postfazione, a mio nome, si dispiega
in una logica ormai ben conosciuta e, sia pur in cerchie ancora limitate e convintamente elitarie, condivisa.
Ma chi vorrà continuare a leggere coglierà il dato di tesi ed antitesi.
II
Alcuni caustici massmediologi con sapiente disprezzo ironizzano sulla persuasa stupidità che s’impadronisce
delle opposte tifoserie politiche, in genere all’indomani dell’esito elettivo, una euforica e l’altra depressoria,
(soprattutto nei sistemi d’apparenza almeno bipolare, che giocoforza semplificano grandemente la
rappresentazione “amico/nemico”). Essi apparentano la scelta a fattori eminentemente irrazionali, dimostrati
dall’incongruità parallela delle interminabili vocazioni per casacche sportive, giudiziarie, istituzionali, ormai
platealmente destituite da plausibilità legate a logiche causali e di non-contraddizione. E quindi ad una
necessità molto profonda basante la sua indiscutibilità sulla necessità ineliminabile di un’identificazione,
immaginale e larvatamente mitica anche se spesso sostitutoria e pur facilmente demistificabile, ancor più nel
regime odierno d’individualismo di massa. Ora, se essi da una parte colgono l’essenziale sotto la
compiacente cupola asettica dell’irrazionale, dall’altro trascurano di necessità l’enorme, quasi insondabile,
portato delle dinamiche interiori, appunto animiche, sia a livello psicologico, che sociologico, ponenti e
sostenenti realmente le scelte. Spesso le derubricano troppo facilmente con categorie interpretative legate
alla sufficienza intellettuale. In più la sferzante disamina dell’ingannevole futilità delle tifoserie (ben
rappresentabili dall’insuperabile metafora renziana dei beccantesi polli), mentre ribadisce (e bene delinea)
l’irraggiungibile alterità del potere reale ormai inestricabilmente insediatosi nell’universo globalizzato, tinge
di drammaticità beffarda ed umanamente crudele questa sempre tentata e mai riuscita derisione e
demistificazione. Quindi visione lucida ma senza alcuna pietas, pur dolentemente consapevole del vero
sistema dominante, che altrimenti resterebbe nelle nebbie interpretative del panem et circenses, ben più
funzionali ed utili - da sempre ed ancor più ora che non vi sono più confini per il consumo come valore
dominate - al sistema medesimo.
Ora per non essere minimamente reticente e volgarmente generalista e per pagare in prima persona anche di
questa potenziale e dichiarata mancanza di pietas, devo, in corpore vili, provare a rimuovere quella cupola,
partendo da me stesso, anche a rischio di semplificazioni pericolose. Il fastidio insostenibile che in me si
crea quando (ad esempio) in televisione mi appare un volto che appercepisco come il non plus ultra della
correttezza del pensiero democraticista dominante, con ogni suo vezzo, furbizia, ammiccamento, discrezione
e sapienza salottiero/mondana e quindi superando, tra orchestrati ma forse anche ben autentici applausi, una
distinta medietà che supera ben in efficienza ogni volgare improvvisazione, ogni facilmente decodificabile
prossenetismo, ogni battuta o battutaccia che tenda senza troppe pretese all’immediato consenso, è qualcosa
che certamente potrei spiegare razionalmente. Questo (oltre a non interessare giustamente nessuno se non a
livello sperimentale), pur razionalizzabile se mi potessi trattenere approfonditamente su miei vissuti
psicologici e politici, rivela che in me si determina comunque e nell’immediato, ma persino nel profondo con
continuità sorprendente, una coinvolgente alterità, una sorta di “odio” potente e che scatta in modo
irrefrenabile e che per giunta mi specchia con estrema rilevabilità nella presumibile concavità della
“ragione/irragione primaria”. So quindi quanto l’immagine speculare di quel volto, se fosse possibile
raggiungere proprio quegli “agevoli altopiani” (esattamente contrari e non solo abborracciatamente o
moderatamente alternativi), sarebbe altrettanto forse odiosa ma certamente odiata. Anzi, tanto più essa
cercasse, al di là di una pur comprensibilissima reazione, a determinarsi in un vero e proprio organico rifiuto
ed in una rappresentazione del contrario perfetto di quel democraticismo imperante, di quel globalizzato
pensiero unico, diverrebbe sempre specularmente di molto più odiosamente insopportabile di quanto ogni
timido tentativo di reazione massmediale (il ragionamento di cultura alta viaggia perlopiù - seppur sempre
pericolosamente - alquanto al disopra di queste paludi, ma ne risente ineludibilmente i miasmi), usualmente
determini, ormai, nella nostra società. La battaglia letteralista, oscurante e martellante, che non sa (o non
vuole sapere) di quali forze primarie stiamo trattando, in apparenza destrutturata di ogni verità rapportabile a
fatti concreti, trascina un peso immaginale enorme ed insondato, che si combatte in primo assalto anche con
cortine fumogene e shrapnels delle granate nominaliste moderate o radicali. E tanto più si riduca poi - per
innumerabili motivi - il controllo sociale, nell’anarcoidismo orchestrato e funzionale, tanto più ogni
gestualità complessiva (non parliamo neanche più di una logica del mentale quanto di una vera e propria
fisicità primaria o motilista) si determinerà rivelatoria e discriminante. Ecco perché vi è una logica
nell’entropia e perché ne possiamo investigare - da e per sempre, con estrema attenzione - la procedura. Ma
questa consapevolezza del davanti e del dietro dello specchio non consuma affatto l’odio, anzi in parte lo
fortifica nella dimensione della sua irriducibilità e della sua incomprimibilità, oltre un certo grado e livello,
seppur il superego determini sempre (il più delle volte a posteriori) le strategie stoiche di contenimento e di
voluto superamento, secondo una rappresentazione gerarchica. Il viaggio al termine della notte, senza però
sperabilmente compiacimenti artati né furbe semplificazioni, non impossibilita la visione apollinea (forse
solo la costruzione) ma anzi ne giustifica la produttiva dialettica dionisiaca.
III
Ho costruito
Ho
costruito questa terrazza
come altre
tutte sul cielo
alcune con vista mare
altre con vista tetti
altre con vista boschi.
Sono stato spinto
da una forza
più forte
che non so a cosa attenga
O forse so
ma a chi importa
una pulsione
quando siamo distratti da mille ambasce
tutte con vista inferno
e chi più fugge
più ne metta e riposi
in suo desire…
Resta il sapore a fine ciclo
delle sfinite essenze
mille raggiungimenti
discepolati
nelle due direzioni
e mille scarti
perseguendo come molti
una via per aggiunta
un passo per levare
per prova diseguale e per affetto
ai pochi animi forti
che incontro
alle più impreviste poste
e affini
e colpevolmente forse
a quella tenerezza
ch’è segno e ruolo
di un’età che volge ormai
e che declina
Ma
dall’alto
tutto ciò che si perde
si riacquista
almeno in prospettiva
e la fisionomia sfocata
s’apre all’orizzonte esteso
alla distanza pura
ed alla chiara luce.
(S. G., da: “Poesie ultime e d’occasione”)
INTERVISTA A STEFANO VAJ: destrutturare l'umano poco umano
(Nuova Oggettività Blog 11 2011)
D - Tra Tradizione e Postumano il libero pensiero del XXI secolo?
R - Con la modernità è morto fortunatamente anche il suo pendant dialettico, assunto polemicamente in
senso positivo da una serie di autori a partire dalla Belle Epoque, di una Tradizione eterna, universale e
indistinta, che resta altrettanto prigioniera del paradigma umanista. Un postumano ricco e plurale d'altronde
può essere solo pensato, come è in effetti già il caso per il postumanismo filosofico, che a partire dal
riconoscimento e dalla riattivazione di tradizioni, filoni, identità che ci insegnano a decostruire appunto il
paradigma umanista che resta dominante nell'occidente cristiano e che tenta di globalizzarsi.
D - La cultura italiana a una dimensione? Esagerazione o grave handicap democratico? Quali le forze
culturali "reazionarie" tutt'oggi prevalenti?
R - Negli ultimi anni stiamo assistendo indubbiamente ad una "rinormalizzazione" dei messaggi culturali,
attraverso la norma sociale prima ancora che attraverso forme di esclusione legale o economica.
Disgraziatamente, l'accademia, i media, e l'ansia per la rispettabilità e la carriera in tali ambiti, svolgono in
questo un ruolo deleterio. Ma anche l'esistenza di appositi recinti dedicati alle varie aree considerate "lunatic
fringe" è funzionale al rischio di una "monotonia" crescente del dibattito.
D - Il contributo transumanista al progetto?
R - Il novero dei partecipanti al progetto è molto variato, e il principale elemento comune è appunto la
ricerca di un nuovo linguaggio che consenta almeno di confrontarsi al di là del rumore di fondo delle mille
piccole varianti che vedono ognuno dire narcisisticamente ciò che vuole senza che nulla di ciò che dice conti
nulla rispetto alla crescente sclerosi del discorso dominante. Il transumanismo in questo certamente
rappresenta un elemento essenziale in vista della ricerca di "nuove oggettività", e non è un caso che sia
rappresentato nel progetto da esponenti di rilievo.
D - Macchine senzienti alla Pitagora o Eraclito saranno possibili un giorno?
R - L'intero quinto numero di Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano
(http://www.divenire.org) è dedicato a questa domanda. La mia risposta personale è che l'intelligenza è
sempre stata artificiale e che come Gazurmah per Mafarka le nostre macchine e la loro progressiva
"intelligenza" non sono altro che la proiezione faustiana del nostro spirito nello spazio e nel tempo...
INTERVISTA A MARCELLO FRANCOLINI: 3000 postfuturismi
(Nuova Oggettività Blog, 3 2013)
D – Francolini: il ritorno del futurismo, effetto ancora centenario o davvero una renaissance?
R – Quale Centenario mi scusi? L’Italia non è riuscita ad organizzare una mostra omogenea di livello
nazionale che finalmente svelasse il Futurismo per ciò che è stato: il debordamento delle classiche categorie
dell’arte e lo sconfinamento nel quotidiano della prassi artistica con una eccezionale democratizzazione dei
procedimenti creativi. Ricordo, per ritornare al centenario, le mostre organizzate: sia Futurismo 1909-2009
Velocità+Arte+Azione a cura di Lista e Masoero a Milano, che Avanguardia-Avanguardie a Roma comprata
dai francesi del Centre Georges Pompidou, entrambe molto riduttive nei confronti del movimentismo
futurista. Organizzate nelle due città più importanti d’Italia non hanno fatto altro che ribadirne una visione
pitturocentrica, boccionicentrica e limitata al così detto “primo futurismo”. Io credo che il Futurismo è stato
il primo movimento artistico organizzato a presentarsi come progetto di rinnovamento globale delle arti
nonché della vita sociale e politica. Esso si distingue dai movimenti artistici precedenti che, anche quando
hanno coinvolto artisti di varia fede e volti all’uso di diverse tecniche hanno lavorato soltanto per il
rinnovamento di alcuni aspetti dell’arte. In più, è un movimento che occupa circa 30 anni della vita artistica
del Novecento: è l’avanguardia più duratura, ma anche quella che si è saputa rinnovare nel tempo, alla
ricerca di nuove sfide: l’aeroarte e la radia sono gli esempi più evidenti. La sua rivoluzione artistica è stata
improntata a destabilizzare i canoni ordinari della Pittura Scultura Architettura Musica mischiandoli con altre
pratiche della sfera sociale come Arti Applicate, Teatro e Poesia; fino a ricreare nuovi ambiti di intervento
artistico: Design, Cinema, Moda, Ambiente, Politica, Comunicazione, Performance e non in ultimo anche la
Cucina, la Matematica e la Radio. Di conseguenza il parametro per la lettura dell’arte futurista è“LA
RICOSTRUZIONE FUTURISTA DELL’UNIVERSO”. Non solo si è fatta un’operazione anti-cronologica e
anti-movimentista nelle due città cardini del Futurismo ma, dopo il danno è seguita la beffa apertasi il 9
ottobre 2009 al Vittoriano con la mostra “Dada e Surrealismo riscoperti”. Di tutto credo che avessimo
bisogno tranne di una riscoperta del Dada e del Surrealismo che rappresentano invece il pensiero unico su cui
si è uniformata la critica dell’arte fino ad oggi.
D – La fontana rossa di Trevi di Graziano Cecchini, detonatore del nuovo futurismo?
Un’eccellente strategia per riattivare assopiti valori squisitamente italiani: FUTURISMO. Un’azione teatrale
degna del lazzo, della sorpresa e del gioco. Indubbiamente l’improvvisazione non s’improvvisa! La Fontana
di Trevi simbolo del languore nostalgico, più che della tradizione barocca, del romanticismo neorealista alla
Fellini. La userei volentieri in una lezione-sintesi del Futurismo, in un gesto riassume alcuni caratteri
fondamentali del Futurismo: la comunicazione, che consiste nella scelta della Capitale come città ben
sorvegliata dai media e quindi massima attenzione di stampa, le riprese video e la messa in rete su youtube
per la diffusione, ovvero “insistenza della presenza” (regola base della strategia comunicativa di Marinetti),
il volantino come veicolo che abbatte qualsiasi intermediazione tra il pubblico e l’azione artistica, l’opera
diviene dialogica; la democratizzazione dell’azione artistica, cioè eseguire l’azione in una piazza, un luogo
pubblico, aperto, non in un museo o accademia o galleria cioè dove comunque vige una mentalità borghese,
ovvero un luogo chiuso; arte come gioco, cioè l’azione intesa in senso ludico, mascherarsi, lanciare una
bomba di colore in una fontana storica e ricostruirne futuristicamente la sostanza. Così si avvicina un bene
storico al cuore delle persone, lo si svela in una visione nuova, non più monumento statico fisso immutabile
ma rivive rosso-vermiglio e d’un tratto la Fontana di Trevi si dinamizza. E’ così che l’arte in tutti questi
aspetti diviene sociale, collettiva, fruibile da tutti perché viene concepita per lo spazio quotidiano e
s’inserisce nel fluire della vita, in quel vero verissimo scorrere eracliteo. Detto questo mi piacerebbe ora
affermare che ciò non basta da solo, bisogna ricostruire una storia che manca. Il Futurismo non deve essere
il presupposto per fondare una mitologia originaria, ma al contrario, è di per sé l’affermazione di un’assenza
fondativa della storia. C’è dunque una mancanza da colmare, lavoro per le scuole, per le università, per la
ricerca. La storia dell’arte del ’900 è una continua mistificazione della realtà degli avvenimenti sia in senso
critico che metodologico. L’origine della menzogna e dell’opportunismo intellettuale sta nell’equazione
Futurismo-Fascismo, che ha creato quel provincialismo di cui continua a soffrire la nostra cultura. Un
binomio da rivalutare, approfondire, scandagliare, smascherarne i veri compromessi, valutarne l’effettiva
proporzionalità. Questi i presupposti:
1. Trattare il rapporto tra Futurismo e Fascismo implica in sé che lo studente abbia sorpassato l’idea,
che vede il Futurismo concluso con la morte di Boccioni, intorno quindi al 1916 e finalmente
esaminarlo per l’intera sua durata (1909-1944).
2. Proprio distaccandoci dall’idea ancora pitturocentrica e soprattutto boccionicentrica vigente nelle
nostre Università, potremmo finalmente approfondire la nascita e diffusione dei Futurismi regionali,
che sviluppano un Futurismo particolareggiato in ogni regione d’Italia; dunque un fenomeno di
ampia diffusione regionale, assente in tutte le altre Avanguardie, sviluppatosi proprio negli anni della
dittatura fascista. Il Futurismo non è considerabile come manifestazione estetica del regime fascista,
giacché quando nel 1919 inizia a svilupparsi il Fascismo, il Futurismo già vanta 10 anni di lotte
artistiche, di affermazioni in ambito internazionale (Marinetti, infatti, è soprannominato “caffeina
d’Europa”).
3. Il Futurismo ha continuato ad agire, con spirito rivoluzionario, anche sotto la dittatura, tant’è vero
che non è mai stato considerato dal regime arte di stato.
4. Il Fascismo è un fenomeno che ha occupato la storia d’Italia per poco o più d’un ventennio, di
conseguenza scartarlo a priori significa cancellare ciò che l’Italia ha prodotto in quel periodo. Questo
comporta la divisione del Futurismo in due parti: il periodo eroico 1909-1915-20 (il periodo
studiato), il secondo futurismo 1915-20-1944 (poco approfondito con scarse notizie); la mancata
valutazione, complessivamente, del clima culturale (poche pochissime notizie sugli altri pittori,
scrittori, filosofi, attori non futuristi); la difficile comprensione dell’arte italiana del dopoguerra,
perché siamo impossibilitati a capirne l’evoluzione.
5. Personalmente appartengo alla generazione del XXI secolo, siamo liberi dagli schemi ideologici del
’900, possiamo e dobbiamo riappropriarci del nostro passato, in modo finalmente libero ed
oggettivo. Il Futurismo dà finalmente l’occasione, una volta e per sempre, di liberarsi della mentalità
di colonizzati che offusca l’ambiente accademico che genera:
Baudelaire+Impressionismo+CulturaFrancese+Germanismo+Dada+Surrealismo+Benjamin+
AmericanDream+AndyWarhol+PostModerno
D - A Tirana in Albania una sua recente esperienza come futurista “critico”, evidenziata anche dal
Corsera… un …antibilancio?
R - A Tirana ho avuto modo di mettere in pratica più che una lezione sul Futurismo, una lezione futurista,
cioè strettamente attuale, una pedagogia sinestetica. C’era una complementarità di momenti esplicativi di
opere, di lettura di manifesti, lettura di lettere tra i futuristi, momenti di perfomance, video documentari sul
futurismo e video ricreati per spiegare in forma diretta con delle immagini concetti quali simultaneità
dinamicità velocità ed infine anche videoart. In più c’era una tela “aperta” (ovvero bianca) disponibile per gli
studenti che potevano interagire durante la lezione. Infine ogni dieci minuti c’era uno spostamento a destra
per non rischiare la visione monotona della lezione. “Metteremo lo spettatore al centro dell’opera”, ho
tentato di mettere lo studente al centro della lezione; così ho usato la cinematografia contemporanea per
spiegare la compenetrazione dei piani e l’analogia delle parolibere e il web 2.0 per il concetto di una prassi
artistica interattiva prima ancora di internet. Tre linee guida: Comunicazione, Avanguardia, Nuova
Fenomenologia tipologica dell’opera d’arte. Per la comunicazione ho utilizzato le varie diversificazioni del
marketing odierno, rapportandole alle strategie comunicative del Futurismo. Ho tentato di svelare la
democraticità unica dell’Avanguardia italiana a partire proprio dall’Arte dei Manifesti e dalle Serate
Futuriste, una ricerca costante per scorrere nello spazio comune fino all’Artecrazia. Il movimentismo poi
come base dell’Avanguardia italiana: la creatività dei futuristi fu eccitata da una permanente mobilitazione
degli entusiasmi che tutti li coinvolse: lavorare per una mostra saputa all’ultimo momento o per una rivista
che presto sarebbe andata in stampa (e forse quel testo sarebbe poi stato declamato durante una serata o
trasformato da articolo in “volantino” lanciato poi da chissà quale strada o piazza di una città d’Italia o
straniera). Quindi il mio percorso di ricostruzione è passato dall’individuo al gruppo, ovvero
l’individuazione dello specifico comune che configura il gruppo medesimo: quindi sia la sua poetica, sia il
margine comune di determinazioni linguistiche riconoscibili nelle opere prodotte dagli aderenti. Se
considerassimo il percorso del singolo artista futurista, faremmo un torto; ma il torto sarebbe doppio se oltre
a considerare il lavoro del singolo artista lo considerassimo slegato dal percorso espositivo e quindi dal
contesto storico di riferimento. Alla luce di ciò le opere sono state presentate nell’ottica di un dialogo tra i
vari futuristi attraverso l’individualità dell’arte di ognuno, l’unicità di intenti del programma artistico
collettivo. Per quanto riguarda la nuova fenomenologia dell’opera d’arte contemporanea la sua comprensione
deve necessariamente passare per il Complesso Plastico e la sua genesi è nella Ricostruzione Futurista
dell’Universo: una nuova morfologia astratta che si applica a tutti i contesti del quotidiano, la città diviene la
nuova tela. Dunque un’arte in costante tensione con l’esterno vivibile. Ovviamente in un Paese che vive una
rinascita come l’Albania non poteva che trovare terreno fertile. Un’arte può essere attuale in ogni luogo,
deve essere originale a suo modo, tenendo conto del proprio contesto e della propria cultura.
D - L’arte contemporanea oggi, mistificazione, trash o nuovi input importanti -magari anche dal websemplicemente da codificare oltre certa criptica d’arte anche accademico-universitaria attardata e troppo
liquida..?
R - Devo dire che non credo possa esserci arte contemporanea senza che ci sia stato un confronto con quello
che è stato prodotto nel ‘900, e per fare questo è indispensabile confrontarsi con il Futurismo. Quindi ben
venga tutto quello che nasce sotto questo presupposto. Sia esso ultra, altro, neo post…Futurismo ha, già solo
per il richiamo dato alla parola Futurismo, una sua valenza, ma… Ovviamente non basta, e sarebbe forse un
inutile necrologio resuscitare il Futurismo. Non credo in questa resurrezione, credo piuttosto al Futurismo
come atto concreto che è sempre nuovo e diverso perché è, direi ontologicamente, già oltre, più, poi, dopo.
Potrei parlare dell’esperienza fatta nel gruppo Futurismo3000 a Salerno che dopo varie vicissitudini, tutte
documentate su youtube, da Futurismo3000 ad Arte Nuda, da RealTG a D2O, da Teatro/Finzione/Realtà a
Plastomico, è oggi diventata CorpoComune un’idea che io ho definito, futuristicamente parlando, una
metafisica dell’attuale. Noi siamo per un’arte comunitaria, che non ripropone una dimensione né di fede né
di ideologia, ma, bensì, un’arte che ponga oggi il presupposto dello smascheramento, di un’arte senza veli,
nel vero senso della parola, che parta quindi da un’assoluta trasparenza, dalla centralità dell’uomo che si
confronta, si scontra, si dona al mondo attuale e alla sua tecnologia. Non siamo per una riproposizione di
quello che hanno fatto o detto i Futuristi. Noi siamo Futuristi.
INTERVISTA A ANTONIO FIORE: Ufagrà 2009 e +
D - Dopo la mostra di Venezia del 1986 e il centenario del 2009, il Futurismo è nuovamente in auge, ma…
R - Certamente oggi il Futurismo ha maggiore visibilità e molte persone sono a conoscenza di questa
avanguardia. Però credo che tale conoscenza è rivolta maggiormente alle opere del Movimento Futurista.
Cioè al periodo storico dei Marinetti, Boccioni, Balla ecc. anche se l’interesse è a tutto campo: arte, teatro,
letteratura ecc. E’ senza dubbio un grande passo avanti. Oggi non ci sono più critici d’arte che osteggiano o
ignorano l’importanza per l’Italia di questo movimento. Ma…., sempre a mio avviso, alcune persone
riconoscono il Futurismo storico e non la continuità nell’attualità. E’ destino che serviranno altri cento anni
per tale riconoscimento!
D - Futurismo storico e neofuturismo del 2000….
R - Quando nacque il Futurismo avevamo il periodo dell’industrializzazione, l’avvento della macchina,
quindi, la VELOCITA’ (periodo storico). Poi negli anni ’30, con l’avvento dell’aereo, abbiamo avuto
l’AEROPITTURA (secondo futurismo). Infine, negli anni ’60, con la conquista dello spazio, abbiamo la
COSMOPITTURA (terzo futurismo o, come dice Di Genova: oggi siamo nel 102 d.F.). Giovanni Lista
considera la mia pittura come: cosmopittura neofuturista; il neofuturismo è una realtà e alcuni artisti si
riconoscono in esso, nel filone dell’eredità del Futurismo.
D - Le riferiamo una domanda di Graziano Cecchini: Moana Pozzi era futurista? Qual'è il suo parere sulle
azioni come "Rosso Trevi"? Posson considerarsi come eredi delle serate di Marinetti? Oppure, recuperando
una dimensione ludica, permettono di rompere il diaframma polveroso tra Arte e Vita?
R - Le serate futuriste erano delle manifestazioni molto movimentate e chiassose che venivano organizzate
per ottenere un rinnovamento totale. Non credo che le azioni in atto oggi possono considerarsi eredi delle
serate futuriste di Marinetti. Hanno l’effetto di un happening, di incuriosire l’opinione pubblica, senza
togliere nulla alla creatività e bravura di chi le mette in atto. Lo scenario del Futurismo era quello di
un’avanguardia totale che ha interessato ogni aspetto della vita sociale e culturale.
D - E la Biennale con Vittorio Sgarbi?
R- Il primo vero futurista alla Biennale dopo la scomparsa di Marinetti! Abbiamo celebrato Italia 150, con
alcune mie cosmopitture tributo...
INTERVISTA A ALBERTO FERRETTI: dopo Balbo
(Nuova Oggettività Blog 11 2011 * Asino Rosso)
* su L'avvento del fascismo (Il Mio Libro, 2011)
D - Ferretti, un bel lavoro per un libro dal valore storico/culturale ineccepibile...
R - Grazie, ma il merito principale va naturalmente agli autori - Forti e Ghedini - che lo pubblicarono nel
1922, un paio di mesi dopo la Marcia su Roma. Io ho avuto la fortuna di reperirne una copia originale,
miracolosamente salvata dalla distruzione del periodo post-ventennio e poi l'ho trascritto e ripubblicato,
comprese le numerose immagini inedite contenute, con una dedica ed una prefazione. E pensare che il libro,
per la sua importanza storica e sociologica, fa persino parte della Biblioteca della Fondazione Gramsci per
gli Studi Storici, ma nessuno prima di me ha mai pensato di ripubblicarlo. E questo nonostante storici famosi
come l'inglese Paul Corner ne abbiano attinto a fondo per scrivere i loro lavori sull'argomento.
D - Ferretti- ma gli esperti di Ferrara- pure città quasi capitale per Balbo e la stagione anche culturale del
fascismo come mai così distratti?
R - Non direi distratti, quanto probabilmente poco inclini a trattare il fascismo in chiave prettamente storica e
non ideologica. Basta pensare che l'ultima pubblicazione sull'argomento, che risale a qualche mese fa, era
uscita prima sotto forma di rubrica periodica sul quotidiano La Nuova Ferrara (del gruppo Espresso) e
successivamente è stata presentata sotto forma di libro alle feste dell'Unità dall'autrice, costantemente
accompagnata dagli interventi del presidente provinciale dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani
d'Italia) con chiaro intento propagandistico ed evidentemente molto poco "scientifico". Appare chiaro, e lo
dico senza alcuna polemica, che non ci sia ancora la volontà, nonostante siano passati ormai 65 anni dalla
fine del regime, di superare le ideologie e lasciare agli storici "indipendenti" il compito di esprimersi senza
condizionamenti politici.
D - Ferretti- Balbo oggi, squadrista o eroe trasvolatore e persino antinazista nel 1939?
R - Beh, sicuramente entrambe le cose, e anche molto di più… Fu una figura poliedrica, anticonformista:
Laureato in scienze sociali, fece il giornalista e fondò il Corriere Padano. Fu iscritto alla massoneria e di
simpatie socialiste, dopo aver combattuto la prima guerra mondiale col grado di Tenente degli Alpini
(decorato al valore) aderì ai Fasci di Combattimento e ne divenne il Comandante Generale.
Nel '26 fu nominato Segretario di stato per l'Aviazione e dopo qualche anno Ministro dell'Aeronautica.
Questo ministero aveva sede a Ferrara, pochi lo sanno, nel Palazzo dell'Aeronautica tuttora esistente in Viale
Cavour. Quindi dal '26 al '34 si occupò prevalentemente di trasvolate e di sviluppare l'Arma Aeronautica. Fu
poi nominato Governatore della Libia nel '34 fino alla sua morte nel 1940. E' un fatto risaputo che i tedeschi
e la politica nazionalsocialista non piacessero molto a Balbo, come a Galeazzo Ciano e allo stesso Benito
Mussolini del resto. E men che meno condivise le famigerate leggi razziali contro le quali Balbo insorse
apertamente. E' notissima la sua fraterna amicizia con Renzo Ravenna (di dichiarata religione ebraica) che fu
Podestà di Ferrara dal 1926 al 1938. Del resto molti furono gli ebrei che aderirono al fascismo, a Ferrara
come in tutta Italia. In effetti, il fascismo fu un fenomeno assai complesso e per niente schematico, vi
aderirono intellettuali e manovali, nobili e proletari, cattolici e socialisti (e anche comunisti), ebrei e
nazionalisti, massoni etc. etc. E' infatti prassi degli storici suddividere il fascismo in almeno tre fasi per
potarlo meglio comprendere: quella "Rivoluzionaria" dal sansepolcrismo allo squadrismo fino alla marcia su
Roma; quella del "Regime" (secondo molti fu un regime autoritario e non propriamente una dittatura); e
della "Repubblica Sociale". Tre fasi distinte ed assai differenti tra loro. Difficile quindi schematizzarlo e
definirlo. Lasciamo il compito agli storici, poiché alla storia ormai appartiene.
D - Ferretti, destra/sinistra oggi
R - Bisognerebbe scrivere un intero trattato e riempire pagine su pagine per descrivere quello che
rappresentarono nella storia politica nazionale e non solo, mentre basterebbe un francobollo per scrivere
quello che rappresentano al giorno d'oggi. Ritengo infatti che siano categorie politiche obsolete e svuotate di
significato dopo il crollo delle ideologie. Uno schematismo ed una contrapposizione ottocentesca da
abbandonare e soprattutto da superare, se si vuole progredire. Oggi i problemi non hanno colore politico,
semmai le risposte e le soluzioni possono avere orientamenti politico-socio-culturali differenti, su questo
occorre confrontarsi, seriamente e concretamente.
D - Ferretti: su Balbo qualche aneddoto personale?
R - Beh, il suo soprannome "Pizzo di ferro" per il tipico pizzetto che portava, un retaggio del suo trascorso
da Alpino. E poi le parole con cui lo ricordò Mussolini: Un bell'alpino, un grande aviatore, un autentico
rivoluzionario. Il solo che sarebbe stato capace di uccidermi!
INTERVISTA A EMILIO DIEDO: per una cosmopoesia
(Nuova Oggettività Blog 11 12 *Eccolanotiziaquotidiana)
D - In occasione del 9° anniversario di Nassyria che significato pensi possa avere il tuo poema dedicato agli
eroi italiani periti nell’attentato?
R - Più che d’un poema si tratta d’un semplice e sintetico canto di quattro strofe tutte di sette versi, tanti versi
quanto il numero che esprime la massima valenza sia teologico-religiosa sia cabalistica. In pratica è un
componimento, scritto in occasione della morte del caporale lagunare Matteo Vanzan, mio compaesano, di
Camponogara (Venezia), ucciso in un attentato a Nassiriya esattamente il 12 novembre 2003, giusto per
completare il dato storico. Composizione spontanea, ma soprattutto molto sentita. Non potevo non essere
commosso nell’elaborarlo: a tratti piangevo a tratti pensavo al padre della giovane vittima (giocavamo a
calcio nella stessa squadra paesana). A mia insaputa venne pubblicato in un numero speciale d’un
opuscoletto di venti pagine dedicato ai Lagunari ed in particolare all’Eroe, curato da un gruppo di iscritti
all’associazione ALTA, sezione di Camponogara, la quale raccoglie i militari lagunari in congedo di quel
Comune. Ancora oggi, quando mi capita per le mani e lo rileggo mi smuove il pianto… e piango forse più di
allora.
D - 9 anni dopo, in Italia la memoria resta alta o solo retorica?
R - La memoria, o almeno quel tipo di memoria, mia, personale, vissuta, se non proprio sulla pelle,
sicuramente sulla viva e concreta esperienza, non la posso assolutamente considerare retorica. E, al di là del
fatto privato, credo che, da un punto di vista civico, non sia un’impronta retorica nemmeno per il resto degli
Italiani, che, magari attraverso il sonoro (in quanto sollecitato dalla voce dei media) fatto di cronaca, ha pur
sempre il significato d’un atto di dedizione e di affezione ai sacrosanti valori della nostra Nazione. Valori che
nella fattispecie si facevano (e si fanno tuttora) portavoce di pace. Una pace internazionale che non deve in
nessun caso essere disattesa, resa amorfa dall’indifferenza o, peggio, insultata. Come a volta m’è capitato,
purtroppo, di sentire nei commenti di certa gente. Ci si deve rendere coscientemente conto che se non si
riesce a raggiungere l’obiettivo d’una pace definitiva, duratura e finale, che coinvolga tutte le genti del
mondo, non si potrà mai essere certi, anche nel privato, di vivere una vita serena e tranquilla. Anche nella
prospettiva dei nostri figli. Ecco allora che, in questo presupposto, acquisisce senso compiuto anche quella
parola spesso definita giustappunto retorica che l’Arte (ed in particolare la Poesia in quanto Arte parlante a
chiare note letterali) sa ed intende sempre manifestare, prima di tutto agli stessi artefici (costituendone
stimolo di potenziamento interiore), e quindi agli eventuali, potenziali fruitori.
D - 9 anni dopo, l’Occidente più forte o più debole?
R - Dire l’Occidente o dire il Mondo intero mi sembra che voglia significare un’unica cosa pur sempre volta
a riassumere un univoco concetto globalmente vincolante per l’Umanità. Penso che ogni evento,
specialmente se di risonanza internazionale, come quello connesso all’argomento di discussione, sottolineato
nella prima domanda-risposta, abbia necessariamente ripercussioni internazionali. Di conseguenza (ecco il
compimento di un determinato, ben eloquente quanto benvenuto, sillogismo), sia l’Occidente sia la sua parte
geograficamente antagonista , ne trarrebbero ulteriore beneficio. È un crescendo progressivo ed umanamente
ineludibile, che porterà l’Uomo, prima o poi (speriamo il più presto possibile, anche se mi rendo conto che
sarà un percorso ancora molto lungo), ad essere padrone di se stesso, dominando i suoi bellicosi istinti,
imponendosi, in definitiva, una lungimirante aspirazione di reciproca serenità. Stiamo andando, anche a
prescindere dalle singole coscienti volontà umane, verso un irreversibile processo di convinzione, morale
oltre che sociale, nel senso che l’odio dev’essere messo al bando. Definitivamente. Non voglio parlare
d’Amore universale: mi sembrerebbe una battaglia persa in partenza. Intendo comunque riferirmi ad una
sintonia d’intenti di convivenza solidale ed egualitaria senza precedenti.
D - La poesia cosmica: per una nuova meta-fisica del nostro tempo?
R - A tal proposito dico che, non diversamente dalle variegate altre tendenze poetiche, che in sé assumono
differenziazioni di stile e di struttura, anche la poesia cosmica è un magniloquente strumento (o almeno
dovrebbe o potrebbe esserlo per quanti se ne vogliano servire) di crescita nel senso accennato nella
penultima risposta, cioè come stimolo di potenziamento interiore. Il Cosmo, da questa prospettiva, lo
ritengo qualcosa come un ‘superconcetto’ o ‘superideale’, capace, molto più d’altri concetti-ideali, ed in
subordine solo alla Divinità (per quanti ci credano, naturalmente), di stimolare quella consapevolezza spesso
indecifrabile ma talvolta molto ben interpretabile dai cultori della poesia, che coinciderebbe, a mio modo di
pensare, ad un portentoso aggregante utile a rendere chiaro, attraverso una metaforica (e non proprio una
“metafisica”) caratura di percettivi e finanche ipersensibili valori, il cammino dell’umanità verso il non
impossibile sereno orizzonte di un benessere mondiale… e, chissà (volendo concedere uno spiraglio ad altri
alieni mondi), magari veramente cosmico.
INTERVISTA A PIERLUIGI CASALINO: arabofuturismo?
D - Partiamo da “Il tempo della memoria”, il suo primo libro significativo. So che sulla storia contenuta in
quelle pagine ha rilasciato un’intervista ai microfoni di Radio 24 de Il Sole 24 Ore. Che cosa rappresenta
questo libro per lei?
R - “Il tempo della memoria” costituisce un punto di riferimento nella mia vita, sia perché recupera la
memoria di mio padre, ma al tempo stesso ripropone argomenti, quelli degli affari internazionali e non solo
storici o geopolitici, di cui mi sono occupato in gioventù. La testimonianza di mio padre, Casalino Michele,
va, quindi, oltre il dato contingente del periodo 1943-1945, come descritto nell’originale diario da cui ho
tratto il testo definitivo. Gli eventi conclusivi della seconda guerra mondiale, ma anche quelli che la
precedono e ancor più quelli che la seguono, rientrano in numerose riflessioni che ho ritenuto mio dovere
riportare su Google e non solo sul mio blog, ovviamente. Tra le ragioni alla base degli avvenimenti
successivi al grande conflitto e in particolare quelle incentrate sul confronto serrato tra Est ed Ovest, fino al
superamento dell’ordine di Yalta negli anni 1989-1991, ci sono elementi che travalicano l’aspetto ideologico
(e tenga conto che le ideologie sono sempre vesti che vanno più o meno di moda a seconda degli umori del
momento: guardi il caso della Cina che, a seguito delle riforme di Deng Xiaoping, è diventato un Paese di
capitalismo dirigista, che è tornato a pensare con le antiche categorie confuciane, come ho avuto modo di
sottolineare in altri miei articoli sulla storia della Cina di questi ultimi decenni). Da “Il tempo della memoria”
ho tratto una grande lezione: quella di giudicare i popoli e le loro istituzioni, tenendo sempre conto dei
fondamentali delle rispettive società e civiltà. Un approccio che va sempre privilegiato per capire le nazioni e
il loro divenire. Circostanza alla quale non si sottrae il mondo arabo e quello islamico non arabo, dove le
differenze etniche e culturali sono così grandi da suscitare dubbi sulla presunta unicità dell’Islam, ancor
meno di quello politico. Nelle vene dei popoli scorre sangue dalle diverse origini.
D - Veniamo allora all’Islam, al mondo arabo e alle sue problematiche: un tema di grande attualità, dunque,
al quale lei ha dedicato una forte attenzione.
R - Sì, si tratta di un argomento che mi ha cominciato ad affascinare dai banchi del liceo, quando l’interesse
per i popoli limitrofi all’Impero romano apriva spazi di indagine su diversità, analogie e impressionanti
interazioni. Mondi diversi, come dico, ma non necessariamente separati. Su Asino Rosso, su “in poche righe”
di Ennepilibri, su “Imperia New Magazine” e su altre riviste e siti on line, incluso il mio blog personale, sono
stati pubblicati numerosi articoli e considerazioni sull’Islam di ieri e di oggi, senza lasciarmi condizionare
dagli stereotipi diffusi su media occidentali, che si fermano al sensazionalismo funzionale alle segrete regie
del mercato delle informazioni, alla costante ricerca di audience. In particolare ho potuto constatare quanto le
società arabe stiano attraversando un processo di modernizzazione assai più profondo di quanto le recenti
rivoluzioni abbiano rivelato. Non dimentichiamo che certi estremismi obbediscono anche da quelle parti alle
ragioni di stato e protesta e interessi internazionali convivono anche drammaticamente. Noi vediamo il teatro
e non ciò che è dietro le quinte. In quei paesi, come anche da noi, in fondo, quella è la logica che prevale. Le
ricordo che un giorno ebbi modo di conoscere ad Antibes, grazie ad amici francesi, quando era ancora
principe ereditario di Arabia Saudita, l’attuale monarca, il quale parlando di Saddam Hussein fece questo
discorso ad una delle persone che erano con me: il pastore ha cento pecore e cinque cani per difenderle dal
lupo, si mette d’accordo con il lupo per ammazzare qualche pecora per sfamare i cani. Un paradosso che
spiega tante cose. Ovviamente i movimenti del cambiamento rispondono d una domanda di libertà e di
giustizia che parte da lontano: l’eterno dilemma delle società musulmane tra modernità e valori dell’oriente
oggi non è più attuale. Quelle società sono comunque già moderne e il dibattito in corso evidenzia anche nei
settori definiti islamisti tendenze a non mettere troppo al centro del processo di identificazione il richiamo
religioso. Il senso di appartenenza sotto certi aspetti fa quasi più riferimento alla storia nazionale che non a
motivazioni strettamente islamiche. La rivisitazione del razionalismo medievale dei grandi pensatori araboislamici, che consentirono all’Occidente latino la riscoperta dell’eredità della filosofia greca, pone al mondo
arabo le condizioni di una più compiuta rinascita dopo quella fallita nell’epoca post-coloniale. Si può al
riguardo parlare di un’autentica stagione di arabo-futurismo, per il coincidere dell’ansia di riforme con quella
del rilancio del momento creativo, unitamente allo straordinario sviluppo della scienza e della tecnologia che
si assiste in quei paesi. Uno sviluppo che ricorda il progresso della civiltà del primo arabismo tra il VII e XII
secolo, cui seguì una lunga fase di declino, le cui cause furono oggetto di studio da parte di intellettuali come
Ibn Khaldun. Il realismo dell’analisi di Ibn Khaldun fanno di lui uno dei padri della moderna critica storica.
E’ anche da tali premesse che muove la spinta alla rinascita araba. Per comprenderne la portata conviene
parlare con la gente, avvicinare donne e giovani e ci si accorgerà che certo islamismo è molto di facciata e
che il dibattito è molto più aperto di quanto non appaia. Asino Rosso ha ospitato su tale questione alcune mie
note, una delle quali costituisce la lettura di un manifesto di futurismo arabo. Il documento è la risultante
delle sensazioni che si colgono quando uno si cala in quell’universo dalle caratteristiche complesse e avviato
verso nuovi orizzonti, dove l’inventiva non interessa solo le arti o il cinema, ma investe l’intero spaccato
politico e sociale. Naturalmente permangono ancora degli ostacoli alla piena attuazione di questo processo.
Ostacoli derivanti da quel ripiegamento su se stesse che quelle società hanno vissuto durante la guerra
fredda, che rese vane le speranze nate con la fine del colonialismo. Gli anni del confronto est-ovest non
hanno per nulla agevolato il rinnovamento, anzi ne hanno rallentato il cammino, riportando indietro le
lancette dell’orologio della storia. Questo discorso ci porta lontano e forse non è questa la sede per
dilungarsi. Mi riservo di tornare sul mondo arabo e sul nuovo Islam appena possibile….Magari con un’opera
mirata e articolata e sicuramente dopo il mio nuovo viaggio in programma a breve in quell’area.
D - Lei viene citato da Roberto Guerra nel suo libro “Futurismo per la nuova umanità”. In che senso lei
trova spazio tra gli autori futuristi e di cose futuriste, considerati i suoi interessi storici e soprattutto di
ordine geopolitico?
R - Sulla mia percezione futurista il mio pensiero è già stato espresso in “Futurismo magico”, ma non ho
mancato di descrivere il mio mood futurista in alcuni altri interventi, specialmente nei miei articoli. Mi piace
ricordare in proposito “Futurismo. Non solo Dragoni e Chimere” e “Il sogno del futuro”. Quello è il mio
manifesto futurista, un manifesto anche di rilevanza sociale, se non di estetica sociale. Quando mi avvicino
alle avanguardie storiche, sento che il loro messaggio è ancora vivo e in larga misura da riproporre, come se
si trattasse di una rivoluzione culturale tutt’altro che conclusa. Non esiste separazione tra il futurismo magico
e quello d’impostazione transumanista alla Guerra, perché il futurismo non è un’ideologia ottocentesca,
chiusa in sé e incapace di vivere, ma è figlio del Novecento e da quella fonte originale, scaturita dal genio
poliedrico di Marinetti, ha saputo interpretare in ogni modo le speranze di trasformazione della società
umana. Slegandosi dagli umori delle correnti politiche, ma collocandosi in un ruolo di levatrice delle idee, il
futurismo conserva ancora intatto tutto il suo messaggio di riscatto. Tornano alla mente le parole di
Lucrezio, che pur ispirato da una sensibilità scettica, legge la storia secondo una vocazione provvidenzialista
laica, che vede nel progresso la salvezza dell’uomo. E lo spirito del futurismo è questo, tra ricerca creativa e
religione del progresso. Guerra ha intuito che il mio futurismo si fonda sul presupposto del viaggio come
condizione del sorgere e dell’esistere del progetto futurista. Il tema del viaggio dagli antichi scrittori ad oggi
è quello del sogno insopprimibile dell’umanità: il viaggio come immagine del cammino dell’uomo in sé e nel
mondo, anzi nelle diverse dimensioni dei mondi che lo circondano e in cui vive, dal reale, all’irreale, al
surreale.
INTERVISTA A GRAZIANO CECCHINI: futurismo-arte-rivoluzione
(Nuova Oggettività Blog 1 2012)
D - Graziano, recentemente hai celebrato l'anno quarto della fontana rossa, che ha rilanciato il Futurismo
alla ribalta internazionale-ed hai in corso fino a febbraio 2012 la tua prima grande mostra nella Capitale: 4
anni intensissimi... un rapido zoom.
R - Zoom… Zoom scherzo! Quattro/5 anni intensi da Roma a Torino , da Milano a Ferrara Salemi da Salemi
a Pisa, Carrara… queste le tappe principali dove la fontana rossa mi ha trasportato per convegni impegni
similistituzionali, con Sgarbi e Toscani a Salemi…
D - Graziano, esiste un nuovo Movimento Futurista?
R - Si , deve essere codificato e Roby (Guerra) l'ha appena fatto con "Futurismo per la Nuova Umanità..
(ARMANDO EDITORE, 2012). Guerra è uno dei perni principali con Stefano (Vaj), Antonio (Saccoccio),
Riccardo (Campa), etc., transumanisti connettivisti net futuristi. Tutti futuristi.
D - Graziano, il futurismo poetico di Guerra?
R - La poetica è qualcosa di molto importante; quella di Roby Guerra cybernetico mi piace e credo sia un
passo avanti per la costruzione dinamica del futurismo terzo millennio
D - Graziano, il neofuturismo scientifico di Campa e Vaj?
R - Per me sono da premio, quasi semi-nobel per la forza e la caparbietà con cui portano avanti le tesi del
connettivismo filosofico e del transumanesimo.
D - Graziano, e i giovani netfuturisti del web di Saccoccio?
R - Sono da ammirare, una preghiera ragazzi non + net, ma FUTURISMO e basta… perché noi siamo nati
nel web.
D - Graziano, recentemente un tuo grande ritorno all'arte contemporanea e alla "Pittura" pura. Decine di
nuove opere, dall'eremo toscano... in realtà un ritorno. Pochi sanno che tu dipingi da decenni!
R - Il mio primo quadro risale a quando avevo dodici anni. Da allora non viaggio mai senza un blocco dove
prendere “appunti” per i quadri futuri. E devo ammettere che la mia produzione è difficilmente catalogabile
e incasellabile in un unico stile. Per me è molto importante il percorso artistico che porta a nuove
provocazioni e nuovi stili. La pittura è anche alla base delle mie performance, se non avessi conosciuto i
colori, i pigmenti, non sarei mai riuscito a creare l’impatto visivo di certi contrasti cromatici. Fontana di
Trevi non sarebbe mai esistita e così Piazza di Spagna. Loro sono la punta dell’iceberg della mia produzione
artistica. In Toscana l’ampio spazio a disposizione mi ha dato la possibilità di affrontare tele importanti e di
confrontarmi con la scultura. Marmo, legno…. A volte non ci credono, ma per me non è affatto difficile
spaziare da un quadro ad una scultura per poi dedicarmi allo studio anatomico di una mano o all’architettura
di un palazzo. Anche se da autodidatta, ho studiato sempre e continuo a farlo. Ecco perché mi incazzo
quando, ancora oggi, spacciano per provocazioni tele imbrattate da secchiate di vernici o stupidaggini del
genere! Di fronte a opere come quelle chiedo sempre: “bene, ora fatemi vedere come ci siete arrivati, qual è
il percorso, il significato…”. Il taglio della tela fatto da Fontana non voleva essere un’opera d’arte. Voleva
essere un messaggio, un punto di non ritorno: da quel momento in poi bisognava “andare oltre”, oltre la
superficie, oltre la prima percezione delle cose. Oggi non si possono continuare a fare tagli sulle tele! Oggi
non ha più senso! Bisogna tornare indietro per andare avanti. E’ l’unico modo per dare all’arte qualcosa in
più. Sfruttare la tecnologia senza dimenticare le grandi tecniche del passato.
D - Graziano: le nuove opere sembrano un mix assai originale, tra l'antitradizione futurista, un certo
Novecento italiano, i ben noti colori al gigabyte da te spesso proclamati, un postfigurativo aperto e
dinamico con un qualcosa di neograffitistico del duemila puro. La non-forma che si trasforma in forme
quasi olografiche e vive... una Street Art meno naif, ma certamente potente ed elaborata...
R - Una Street Art che non dimentica i grandi della tradizione pittorica e scultorea del nostro Paese, e non
solo. Nei miei quadri, per quanto differenti tra loro, ricorrono spesso alcuni elementi comuni. Un panorama,
il corpo femminile, alcune curve create dalla “pulizia” delle forme. Credo nella tecnologia ma so che senza le
basi della tradizione non ci sarebbe stato nulla. A volte sfoglio il catalogo di qualche mostra e mi accorgo di
rimanere ancora stupito di fronte ad una linea o ad un incastro perfetto di luci ed ombre… più difficile è
provare una simile ammirazione per artisti contemporanei. Le loro opere sono o troppo cerebrali, o troppo
vuote di significato, tecnica e valore. Amo la velocità del gigabyte, ma sono consapevole che è proprio
questa facilità di divulgazione di “qualsiasi cosa” che sta frenando lo sviluppo della Vera Arte. Questo
periodo in Toscana a me è servito enormemente per poter scavare dentro la mia testa e tirare fuori forme e
colori che avevo dentro. E’ un concetto molto zen…. Dimenticare per poter creare. E così sono nate opere
che raccolgono totalmente le esperienze di una vita, in una sintesi convincente perché spontanea. Tecnica e
istinto puri. Ecco perché racchiudono tradizione e innovazione. Le tele dell’ultimo anno nascono da
bombolette spray, stencil, nature morte caravaggesche, figure femminili alla Klimt, collage, pittura a tempera
e olio… ogni opera è creata in modo unico, con tecniche diverse e materiali diversi.
D - Certo nuovo futurismo pittorico in quel di Salemi, certa avanguardia sgarbiana che torna alla Bellezza e
la Forma, non solo sperimentale, attraversa in certo modo la tua nuova fase pittorica?
R - Stimoli ed esperienze sono sempre nuova linfa per chi si esprime attraverso l’arte. Stimoli che si
traducono in opere solo dopo essere state metabolizzate. Ogni esperienza, ogni incontro può, un giorno,
comparire in un’opera. L’importante è non fermarsi mai nella sperimentazione di nuovi stili, materiali,
visioni. A Salemi ho osservato, accumulando nozioni e immagini che in Toscana sono esplose.
D - Graziano, nuove azioni RossoTrevi all'orizzonte?
R - Sarà una sorpresa, comunque, un’anticipazione per voi amici c'è sempre, quando sarà il momento…
INTERVISTA A ALESSIO BRUGNOLI: la parola atopico-utopica
(Nuova Oggettività Blog 3 2012)
D - Una Nuova Oggettività estetica, anti-effimera e nuovamente "valoriale" è possibile in Italia?
R - Non è possibile, ma necessaria e doverosa. Ciclicamente società e culture entrano in crisi: che sia per
motivi immanenti o per il fatto che le relazioni umane siano intrinsecamente caotiche e quindi rispondenti
alla dinamica non lineare e alla teoria della catastrofi, non sta a me dirlo. Le crisi, ineluttabili, non devono far
paura: nonostante le rovine che lasciano, sono occasioni per ripensare il vissuto storico e ridefinire il futuro.
In Italia e forse nell'intero Occidente, negli ultimi vent'anni, dinanzi al definitivo crollo della declinazione
che abbiamo dato della Modernità nel Novecento, l'intellettuale e l'artista, invece che riflettere e agire, ha
nascosto la testa sotto la sabbia. Ha rinunciato all'avanguardia, l'utopia di ricreare il mondo, per giochi
combinatori di citazioni. Suonavano ragtime, mentre la nave affondava, piuttosto che impegnarsi a virare la
rotta ed evitare lo scoglio. E' tempo di cambiare questo andazzo e tornare a cavalcare la tigre, correndo
anche il rischio di finire tra le sue fauci. Rilanciare la possibilità del Nuovo, l'Idea che nel creare si possa
andare oltre la replica, nostalgica o ironica del passato. E recuperare la tensione verso l'Oggetto, ciò che
costituisce la Natura dell'Essere al di là dell'Effimero, l'Arte deve riflettere sull'Assoluto e su ciò che ci rende
uomini, non sul contingente e sul transitorio... Tra un secolo Berlusconi, Bersani, la Tav, la crisi greca
saranno note a margine sui libri di Storia. Ma le domande sul vivere e sul morire rimarranno invariate.
E per tornare ad interrogarci su noi stessi e a proporre risposte, inquiete, incerte e fallibili, dobbiamo avere il
coraggio di proporre un Pensiero Forte che costituisca base di dialogo e anche di scontro, ma che trascenda il
soggettivismo fine a se stesso in cui siamo affogati negli ultimi anni.
D - La matrice è neoideale, tra Evola, Hillman e Rella, forse... secondo te quali input in più sarebbero
fondamentali?
R - Evola e Hillman sono venerandi maestri e quindi il loro pensiero deve essere conosciuto, meditato,
tradito e messo da parte. Ciò che conta è il loro esempio e le domande che si pongono. Perché le loro risposte
sono figlie dei loro tempi, di condizioni e sfide che sono diverse da quelle che affrontiamo oggi. Il problema
del virtuale, la contaminazione tra carne e silicio, la dialettica con le nuove tradizioni che irrompono
nell'Occidente. Sfide nuove richiedono strumenti intellettuali nuovi. Sta a noi trovare le nostre risposte.
Rella, anche se guarda al Passato, piuttosto che al Futuro, sicuramente fornisce spunti interessanti per
fondare un'estetica contemporanea. Un ottimo punto di partenza potrebbe essere il suo saggio “Arte e
Violenza”: (www.francorella.it) Gli input aggiuntivi dovrebbero provenire dal confronto con le riflessioni
della scienza sul Caos, sulle riflessioni di Maturana e Varela sui sistemi e sulla loro autopoiesi, dalle
profetiche intuizioni di Dick, dall'osservazione delle culture interstiziali che si stanno sviluppando attorno al
digitale, alla body art e alla street art che stanno contribuendo a ridefinire il nostro Zeitgeist, Spirito del
Tempo (www.quazart.it).
D - In Italia esiste una dittatura ancora paleocomunista culturale o inerzia del tardo berlusconismo, tale
ipotesi?
R - Entrambe sono effetti, non cause della crisi. Ne parlavo proprio ieri sera con lo scrittore Marco Moretti
che mi ha raccontato un episodio inquietante. C'era un gruppo di adolescenti che davanti ad un'insegna di un
vecchio negozio nel centro di Milano discutevano se maniscalco fosse una parola giapponese o di qualche
altra lingua straniera. La cultura in Italia sta implodendo: siamo un popolo di pseudo lettori e pseudo
intellettuali che non sappiamo più dare significato alle parole e alle idee. Le interpoliamo, come se fossero
ideogrammi affogati in un mare di rumore bianco. Per citare Marco, Il lessico è drammaticamente
collassato. I mezzi espressivi sono sclerotizzati, quando non inesistenti Questo perché la crisi
dell'intellettuale che non riesce ad andare oltre il pensiero di un gentiluomo scozzese del Settecento o di un
giornalista di Treviri dell'Ottocento oppure affoga in un edonismo cinico e disinteressato, ha causato anche
una crisi educativa. Per questo dobbiamo reagire…. Il motto di qualsiasi Nuova Oggettività o Avanguardia
dovrebbe essere un qualcosa di analogo al Sapere Aude kantiano.
D - Tu hai scritto uno dei manifesti di certo postfuturismo letterario (“Scrittura nuova per nuovi tempi”...):
avanguardia prossimo ventura parallela o anche ala di N.O. o nostalgia da rettificare?
R - I manifesti sono simili alle diagnosi al termine di una visita medica: analizzano i sintomi, identificano
malattie della società e dalla cultura, propongono cure. Ma è compito del paziente, ossia di ognuno di noi,
tradurre le proposte in azioni. Se io butto giù un Manifesto sulla Scrittura, è mio dovere realizzarlo
praticamente in romanzi e racconti, dar concretezza ai principi, altrimenti rimangono soltanto chiacchiere
vuote. Avanguardia prossima ventura ? No. In una società liquida come la nostra, descrivibile tramite la
metafora della rete, l'avanguardia tradizionale, intesa come gruppo verticista, chiuso e strutturato non credo
abbia più senso: più che essere propositivo rischierebbe di rinchiudersi da solo in una riserva indiana.
Credo più nell'approccio bottom-up: gettare semi, lasciare che fioriscano liberamente, senza costrizioni, in
una sorta di spontaneismo creativo e libero. La potenza dell'Avanguardia è nell'eresia, non nel dogmatismo.
*INTERVISTE a Zairo Ferrante, Sylvia Forty, Maurizio Ganzaroli e Riccardo Roversi:
per una nuova parola s-oggettiva
(Nuova Oggettività 11 2011 *Oubliette Magazine)
*di Roby Guerra
D - Per Una Nuova Oggettività?
R - (Z. Ferrante) ... Anche la Poesia! Dei semplici versi che tracciano un percorso ben strutturato nella mia
testa. Il percorso è quello “dell’evoluzione”, concetto che si riprende anche nel titolo della silloge, l’arrivo è
l’uomo e il mezzo per percorrere la strada è la semplicità. Semplicità intesa, ovviamente, non come banalità
o superficialità, ma come ricerca profonda del proprio essere ed esistere
R - (S. Forty) …Anche il lato ironico della quotidianità e… “sforzati di ridere di te stesso”, il messaggio:
satira sociale sull’era dei single e magari un elettrodomestico.. pensante!
R - (M. Ganzaroli) tra il serio e il faceto, un contributo per “la relatività del tempo” o “relatività
temporale”, sul conteggio dei minuti e secondi che compongono il normale anno che noi conosciamo ma che
consideriamo sempre per comodità in modo tondo 365 giorni e sei ore. Ma quei minuti e quei secondi a cui
non ci si fa caso? Quali effetti o non effetti?
R - (R. Roversi) Una sorta di filologia dal futuro ma retrospettiva: alla ricerca della memoria perduta, la
parola ibernata di alcuni eccelsi letterati del tempo che fu e… magari sarà.
D - E’ possibile in Italia una nuova visione aperta e libera, culturale?
R - (Z. Ferrante) Non solo è possibile, ma credo che, visti i tempi, sia anche necessaria. Ovviamente occorre
un’educazione alla libertà e un cambio di rotta anche da parte della classe dirigente. In questo periodo stiamo
assistendo al fallimento dell’economia globale e, per quel che riguarda l’Italia, anche al fallimento del nostro
sistema partitico. Ecco che: apertura, libertà, cultura, trasversalità e pluralità diventano ingredienti
indispensabili per ripartire.
R - (S. Forty) E’ difficile, anche la cultura è stata strumentalizzata e se un tempo le denunce e le ingiustizie
spesso venivano sollevate dal mondo culturale, oggi non è più così. Basti pensare al giornalismo, un
appiattimento di notizie comunicate come “lettori” di un testo, non “interpreti” che prendono posizione.
R - (M. Ganzaroli) Non so quanto possa essere libera la cultura e l’arte in Italia, se non a livelli altissimi, ma
sicuramente ci si prova in tutti i modi ad abbattere quei muri e quei blocchi che vengono eretti davanti ad
espressioni culturali o artistiche che non sono all’interno dei canali soliti, noiosi e sicuramente obsoleti, ma
cercano di uscire e proporre nuovi pensieri, opinioni ed espressioni e che se non sono del tutto nuovi, per lo
meno tendono a creare modi alternativi di concepire l’arte, la cultura e la libera espressione.
R - (R. Roversi) Forse sì. Ma paradossalmente – almeno in letteratura è magari una tipologia di
“intellettuali” defilati, che non partecipano attivamente all’attività culturale, disinteressati alla vita sociale.
All’orizzonte una nuova letteratura, filosofia pura? Sulla modernizzata “torre d’avorio”, indifferente alle
contingenze contemporanee? Perché No… e lo auspico!
D - Futuro o Tradizione, Umanesimo o Scienza all’orizzonte?
R - (Z. Ferrante) Questi concetti non devono necessariamente essere separati. Anzi, credo che, il futuro si
costruisce sulle tradizioni e la scienza vince se è attenta all’uomo. E’ sotto gli occhi di tutti che la ricerca
spasmodica di un “nuovo” futuro che distrugga il “passato” non porta a nulla di buono, come del resto, una
scienza selvaggia che non tenga conto delle vere esigenze umane porta solo aridità.
R - (S. Forty) La scienza va avanti perché chi se ne occupa è fortemente motivato a perseguire obiettivi e
risultati. La lotta sarà comunque dura perché nonostante le ampie possibilità di studio delle nuove
generazioni, il livello culturale è fortemente in calo e questo provoca inevitabilmente un maggior ancoraggio
alle tradizioni e a temere il progresso.
R - (M. Ganzaroli) Sicuramente futuro! Il futuro si basa sul passato, ma non deve mai rimanerne
avvinghiato, altrimenti si rischia di non avanzare mai, se non in modo laterale, che diventa quindi un falso
progresso. Si deve guardare al futuro, in ogni occasione, anche nell’immediato presente, poiché il presente,
come diceva Einstein, non è altro che un sottile filo che divide ieri da domani.
R - (R. Roversi) Umanesimo e Filosofia, intese come categorie letterarie autonome, forse non esistono più
(ma in un prossimo futuro, chissà…). Comunque, la “scoperta” di Internet equivale a quella della ruota: la
civiltà (e quindi forse un Nuovo Umanesimo) non potrà più farne a meno.
PARTE TERZA
TEMPI NETMODERNI (la singolarità dell'azzurro)
1. Collaudo: La divina politica di Roby Guerra
Un giorno ricorderemo la Politica: come oggi gli Astronomi ricordano gli astrologi, oppure i Chimici
l’Alchimia...
“L’uomo è un animale politico” (Balzac): insulto insopportabile per l’ estetica dei Gatti, acuta
citazione etologica, invece, per quella di scimpanzé e maiali!
L’artista s’interessa di politica per passatempo, quando desidera comunicare la Bellezza ad esseri
diversamente inferiori.
La Politica è sempre il sintomo di una civiltà preistorica o primitiva.
La Politica è la continuazione della pace in tempi di rapida e necessaria guerra!
Il Tipo Politico odia smisuratamente qualunque traccia di Bellezza e Verità: la libertà è persino un
pericolo mortale.
Il Politico - in certo senso - più onesto e meno bugiardo è stato certamente Adolf Hitler... o Martin
Luther King!
La Democrazia, nata contro l’eternità di monarchie, imperi e dittature è diventata essa stessa un
dogma per tutti i tempi: quindi, noi non siamo più democratici!
Quando scienziati e artisti sostituiranno i politici l’avvenire dei popoli non sarà più un’ utopia: ma gli
schiavi - immortali - si coalizzeranno per distruggere la Bellezza e la Verità al potere...
Il Tipo Politico non solo è privo di fantasia, ma ciò è presupposto per il suo mestiere: i Politici sono le
puttane dell’economia avanzata avariata!
I Politìci (con l’accento!): Razza inferiore in via d’estinzione!
II. Collaudo: “MORTE PER INDIFFERENZA”
Saggio semi-para-poetico di un indifferente
di Zairo Ferrante
Così scriveva Gramsci nel 1917: “…Odio gli indifferenti. […] Non possono esistere i solamente uomini, gli
estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è
parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della
storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più
splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti
dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche
volta li fa desistere dall'impresa eroica. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera
passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che
rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza…” (*)
Ed oggi, più attuali che mai, riprendo queste parole e ti racconto di questa malattia che si attacca addosso
come peste bubbonica a deformare il volto, e il cuore, e lo spirito dell’uomo. Ti dico che quando incroci
l’indifferenza per strada te ne accorgi, la senti sulla pelle che s’increspa e nell’anima che s’incupisce.
Perché l’indifferenza può ammazzare due volte. Ammazza certamente l’uomo indifferente che s’appiattisce,
che smette di sognare, che s’arrende all’accidia e cessa, lentamente e inesorabilmente, di vivere in modo
attivo e può ammazzare anche l’uomo che parteggia, il quale tutto d’un tratto si ritrova solo a disperdere
semi in piccoli orti circondati da aride distese polverose. E nel sentirsi solo può decidere d’arrendersi, può
essere persuaso dalla voglia e dal bisogno di sedersi sul ciglio del sentiero, ai margini del campo di lavoro, e
vedere il suo lavoro sgretolarsi sotto il peso della propria e dell’altrui indifferenza. Perché, e forse ne
converrai con me, l’indifferenza è una malattia contagiosa. S’appiccica all’anima quando meno te l’aspetti.
E, come per effetto di uno sconosciuto e indicibile sortilegio, ti ritrovi a camminare tra la gente senza
riconoscerti in loro. Osservi il mondo da dietro il tuo piccolo oblò pensando finalmente di essere un uomo
arrivato, perché, in fondo, non è certo colpa tua se fuori tutto crolla e tutto muore. Anzi, è tutto normale. Fa
parte del normale corso della vita: “ tutto cambia, tutto scorre, panta rhei ”. E poi! Cosa vogliono da te! Hai
già mille problemi da risolvere. Milioni di cose a cui badare. Un figlio, una moglie, un marito, un cane, un
giardino e una casa. Tante spese eccessive, cento impegni in un giorno e poco tempo da dedicare a te stesso.
Perciò, è molto più facile coltivare il proprio orto e nascondersi dietro, anzi dentro, l’indifferenza e pian
piano morire nell’illusione di un tentato e stentato vivere. E si finisce così, per spegnersi come una candela a
corto d’ossigeno che preferisce risparmiarsi anziché illuminare, senza rendersi conto che così facendo si
viene meno al compito assegnatoci e si diventa inutili. Tutto questo e ancor di più può fare l’indifferenza.
Ed ecco perché, ragionando, non si può non odiare gli indifferenti e ancora di più coloro i quali fanno finta di
non vederla, l’indifferenza.
*Antonio Gramsci “Odio gli indifferenti” (chiarelettere, 2011 )
INTERVISTA A LUIGI SINISCALCO: Roma in 3D
(Nuova Oggettività Blog 10 /2012 *eccolanotiziaquotidiana)
D - Roma nell’età del web, tra archetipo e avvenire?
R - L’era del web si configura come lo yuga della rete che avvince, e come prospettiva affascinante e come
gabbia onnipervasiva, dell’età aracnica che imbriglia, tanto sotto forma di connessione propulsiva, quanto
nella figura della ragnatela corrosiva e mortifera. Alberghiamo in un’età assiale non ancora pienamente
svelatasi, recante in sé numerosi dilemmi da risolvere, questioni decisive da cui prenderà piede l’incalzante
ad-venire. Tale adventus, che è insieme arrivo ed invasione, in relazione a Roma non può che presentarsi nel
solco simbolico dell’eterno archetipo da essa incarnato. L’arketipos, in quanto forma originaria e primigenia,
si colloca sul limitare sussistente fra la conservazione reattiva ed il rinnovamento processuale, onde evitare la
stasi annichilente, ma ancor più il progresso sradicante e livellatore. Non è un caso, a tal proposito, che per
gli antichi romani l’espressione res novae era sinonimo di novità rivoluzionaria infettiva e distruttiva del mos
maiorum. La Tradizione verace è allora, come testimoniato dai più grandi sapienti di ogni tempo,
trasmissione di una verità nelle metamorfosi delle figure tramite cui essa si manifesta. “Si può dire che ogni
forma tradizionale particolare è un adattamento della Tradizione primordiale, da cui tutte sono derivate più
o meno direttamente, in certe circostanze speciali di tempo e di luogo; così che quel che cambia dall’una
all’altra non è affatto l’essenza stessa della dottrina, che è al di sopra di queste contingenze, ma solo gli
aspetti esteriori di cui essa si riveste ed attraverso i quali si esprime.” scrisse René Guénon. Ecco allora che
l’immagine originaria, ripresa anche in ambito psicologico dalla teoria junghiana, è inevitabilmente in noi
intrinseca. Quella di Roma, celebrata per millenni in ogni ambito pertinente all’umano - e non solo -, forse
coglibile al suo apice nei versi dell’Eneide virgiliana, necessita un apporto di vigore vitalistico, ma ancor più
di lucida ed intuitiva consapevolezza, per manifestarsi all’interno di un rinnovamento ciclico della
modernità. Se nella nostra età del ferro Roma ha ancora molto da dire – basti pensare alla vastità di
pubblicazioni e di studi concernenti il caput mundi - si pensi a quale possa essere il suo ruolo nell’età del
coltan!
D - Nerone e Caligola surrealisti qualcuno ha scritto…meglio della Casta Politik attuale?
R - Sugli imperatori citati è indubbiamente avvenuta un’opera di revisione storiografica diretta a cancellare
le incrostazioni più ideologiche e pregiudiziali, mostrando come il terribile affresco di questi politici sia
ampiamente dovuto all’ostilità delle fonti, vicine principalmente all’aristocrazia senatoria di tradizione
repubblicana e pertanto antitetiche all’impostazione autocratica ed orientaleggiante assunta da Nerone e
Caligola. A livello divulgativo si consideri il successo di “Nerone. Duemila anni di calunnia” di Massimo
Fini, biografia che s’inserisce in tale filone analitico. Surrealisti, dunque, forse in quanto espressione di un
sogno folle e irrazionale, di un dionisismo al potere che la romanità non poteva a lungo tollerare. I due
imperatori assurgono ad emblema di una Weltanschauung insieme autoritaria ed antioligarchica, inadatta a
garantire ordine e stabilità, ma ottimo grimaldello per minare lo status quo. Tale politica cinica e realista, a
mio avviso un modello, per molte componenti esecrabile, potrebbe tuttavia avere il merito strategico, nella
crisi contemporanea, di completare l’opera destruens, palesando l’ipocrisia di un’etica dell’intenzione ormai
asfittica. Il politicamente corretto dietro cui si celano le peggiori nefandezze dell’ossimorica Casta
democratica – ormai illustrate abbondantemente sotto ogni profilo: giornalistico (Stella e Rizzo, Travaglio,
Massimo Fini), politologico (Pareto, Canfora, Chomsky), teoretico (Tocqueville, Nietzsche, Evola, De
Benoist) – potrebbe richiedere per un pieno risveglio delle coscienze del gregge l’intervento riattualizzato di
stimoli simili.
D - Dalle catacombe a Ratzinger…
R - Tale amplissima questione non può che richiedere una risposta costruita mediante un balenio di
suggestioni. Roma è simbolo e archetipo; Roma è comunità di morti e viventi, luogo ombelicale e polare,
legame fondativo fra passato e futuro nell’“eterno presente” - per usare un’espressione di Gian Franco Lami
- della sua testimonianza. Roma è axis mundi, origo prima di un mito universale, storicamente
emblematizzato dai motti politici, ma dai tratti escatologici, della “seconda Roma” (Bisanzio) e della “terza
Roma” (Mosca). Mito universale e, dunque, ecumenico e cattolico, cioè totale, dal greco olos. Spiritualità
celebrata da Dante e sintetizzabile nella tensione verso “quella Roma onde Cristo è romano”. Il senso più
vivo e fecondo di tale tradizione, operante appunto dalle catacombe sino a Benedetto XVI, fra infinite
difficoltà, scontri, opposizioni e scandali, riposa nella fede e nella continuità del corpo mistico di Cristo.
Roma permane come centro dirimente di questa spiritualità. non perdersi nel confronto/scontro dialettico
con la modernità, il cristianesimo deve misurarsi con le sfide della “città imperiale”.
D - Roma pagana e cristiana, Pasolini ed il futuro?
R - “Il paganesimo è l’altro Antico Testamento della Chiesa” sentenziò Nicolàs Gòmez Dàvila, cattolicissimo
che pure si definiva “più che cristiano (…) un pagano che crede in Cristo”. La necessità dell’integrazione
della spiritualità e del pensiero precristiano nel messaggio evangelico è tema quanto mai attuale, nonché di
antichissima origine: la quasi totalità della speculazione medievale occidentale, ma anche araba, si è
indefessamente confrontata con la filosofia platonica, aristotelica, plotiniana ed anche stoica. Parimenti,
molti secoli più tardi, il letterato ed apologeta cristiano C. S. Lewis amava definirsi “un pagano convertito in
un mondo di puritani apostati”. É a mio parere tale atteggiamento costruttivo, diretto ad evitare
parallelamente la deriva della perdita del Sacro e quella del fondamentalismo moderno – che non è
spiritualità integrale tradizionale! – la chiave di volta di un’identità salda ma proiettata verso il futuro. Una
eterodossia ortodossa come quella incarnata dal citato Pasolini è allora quanto mai auspicabile per la
costruzione di un antimodernismo in cui il “ribelle” possa efficacemente “rimanere in piedi in un mondo di
rovine” in questi “anni della decisione”. Può essere che allora la lapidaria sentenza di Montanelli, per cui
“Forse uno dei guai dell’Italia è proprio questo: di avere per capitale una città sproporzionata, come nome e
passato, alla modestia di un Popolo che, quando grida “forza Roma!”, allude soltanto a una squadra di
calcio.” lascerà il posto all’atteggiamento di stupore verso il numinoso e il destinale provato da J. W. Goethe
nel suo viaggio in Italia: “ Quando si considera un’esistenza come quella di Roma, vecchia di oltre duemila
anni e più, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e
mura, e si scorgono nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del
destino.”
INTERVISTA A FABIO SCORZA: Sofia mon amour
(Nuova Oggettività Blog 12 2012)
D - Controcorrente il tuo nuovo libro (“Il Pensiero Dinamico. Elogio al dubbio”) : un si al mondo, critico,
ma positivo: "Cartesio" ... nell'era del web?
R - Non mi definirei un uomo del web. Utilizzo questi strumenti di comunicazione, solo perché costretto
dalle circostanze e dall'evolversi del sistema comunicativo e non so se possa essere paragonato a Cartesio,
ma io personalmente non mi rifaccio e non m’identifico con nessun filosofo in particolare, da ogni filosofo
che ho avuto occasione di leggere ho potuto trovare degli spunti di riflessione, dei punti in comune e dei
punti di disaccordo. Ti ringrazio per aver evidenziato il fatto che questo libro sia controcorrente, perché
effettivamente propone una visione del mondo alternativa, sia dal punto di vista fisico che metafisico. Quindi
è una critica positiva in quanto è tendente ad evidenziare, come fino ad oggi, molte cose sono state
interpretate in modo dannoso, per lo sviluppo dell'individuo e di conseguenza sociale. La positività sta nel
fatto che si cerca di cambiare questa tendenza e favorire le condizioni ideali per un nuovo sviluppo evolutivo
dell'individuo, quindi dell'umanità e del modo di organizzarci in una nuova società.
D- Lo spread... defuturizza la gente (e relativamente comprensibile tale reazione): tu - ci pare- indichi un
ritorno alla speranza del futuro, esatto?
R - Qualsiasi cosa che abbia a che fare con quella che io definisco "l'Imperatrice tirannica Economia",
defuturizza la gente. Lo spread e ciò che ruota intorno a questa economia perversa e malsana, non possono
dare alcun futuro alle persone, le quali sono legate da catene invisibili dentro gabbie invisibili, fatte schiave e
torturate da fruste virtuali che colpiscono e feriscono più di quelle reali. L'unica possibile alternativa, è la
presa d'atto del nostro fallimento sociale ed avviarci verso un nuovo modello sociale, che sia più in armonia
con la natura in generale e soprattutto con la natura ch'è radicata nell'uomo. Quindi credo di dare una
speranza in questo, proponendo proprio una nuova interpretazione, e quindi, una nuova visione del mondo e
dei suoi concetti.
D - La tua analisi: filosofica ma piacevolmente leggera; pop-filosofia?
R - Non mi dispiace affatto il termine che hai coniato per definire in qualche modo il mio stile. In effetti uno
dei miei obbiettivi era quello di far avvicinare alla filosofia, le persone che normalmente non hanno simpatia
per questo tipo di letteratura: i più! Quindi ho utilizzato uno stile narrativo per fare in modo che la lettura
potesse risultare più accessibile a tutti ed anche piacevole per quelle persone che abitualmente leggono i
romanzi. Detto questo, dal punto di vista formale si può parlare giustamente di pop-filosofia, ma ho scritto
anche in modo che questo libro potesse esser letto a più livelli e quindi si potesse anche accedere ad un
livello più profondo e metafisico, in quanto per le persone che sono più esercitate alla riflessione metafisica,
vengono forniti notevoli spunti di riflessione, quindi sostanzialmente credo di aver trattato dei temi di
notevole profondità, ma di averlo fatto nel modo più semplice possibile, di modo che anche le persone non
adatte a certe riflessioni potessero coglierne i significati essenziali.
D - Un netmessaggio x le nuove generazioni?
R - Come ti dicevo prima non sono molto tagliato per il linguaggio del web e non so di preciso cosa
significhi "netmessaggio", comunque il messaggio che intendo dare con questo libro è ...certo indirizzato
soprattutto alle nuove generazioni ed a quelle future, ma è indirizzato anche alle persone del presente,
esortandole a dare avvio a questa nuova rivoluzione culturale che possa permettere alle future generazioni di
poterla "completare".
INTERVISTA A MARIA ANTONIETTA PINNA: la parola come bricolage
(Nuova Oggettività Blog, 3 2013)
D - Poesie, narrativa, saggistica storica, teatro… un percorso/discorso eclettico, un filo d’Arianna…
costante o Wireless in libertà ” calcolato”?
R - La struttura di ciò che scrivo è basata su una libertà calcolata. Nel caso dei saggi giustifico ciò che
affermo utilizzando fonti e bibliografia accreditata. Apro un varco alla sperimentalità cercando di dare ai testi
un taglio nuovo, di vedere le cose da un punto di vista non ancora indagato. Mi piacciono i documenti inediti
specie se antichi o poco conosciuti, mi diverto a trascriverli secondo precise regole paleografiche per poi
costruire dei paragrafi basati su un’accurata schedatura del documento stesso, attraverso la rilettura e la
costruzione di un disegno coerente che abbia una sua validità storica, senza ipotesi fantascientifiche non
suffragate da prove. Di recente ho finito di scrivere un saggio demonologico, “Picacismo simbolico”, basato
sulla trascrizione di un inedito inquisitoriale, che, analizzato alla luce dei fatti, ha messo in luce aspetti
curiosi e particolari su un argomento così spesso indagato. Ho voluto costruire un libro che avesse un taglio
sperimentale ma nel contempo fosso dotato di un ricco apparato di note e una bibliografia di tutto rispetto.
Molti editori però non amano questo tipo di approccio che definiscono ”troppo accademico”, dando la
preferenza al saggio divulgativo slim completamente privo di note e di riscontri scientifici.
I racconti che ho scritto sono stati invece una fucina di sperimentazione, una sorta di preparazione, prima
dell’elaborazione di lavori più corposi. Lo stesso Fiori ciechi è in realtà un lungo racconto, preludio ai due
romanzi successivi, ancora inediti. Inutile negare che l’oltrerealtà fa parte della loro specifica natura. Non
mancano sfumature noir che si percepiscono anche nelle poesie. Si tratta però di un noir sui generis, che
aborre il deprecabile trucco horror del truculento per il truculento e utilizza invece immagini “forti” per
veicolare significati e denunciare le storture della quotidianità, attraverso l’uso del simbolo, ormai relegato in
Italia alla letteratura per l’infanzia. Per i testi teatrali uso lo stesso metodo dei racconti e dei romanzi, una
visionarietà concreta, tangibile, ragionata. Nei dialoghi utilizzo spesso una rima costruita ad hoc per creare
bisticci semantici dalle sfumature ironiche che alcuni editor percepiscono come “difetto”. Per me la scrittura
non è mettere su carta tutto ciò che ci viene in mente, oppure sporcare il vuoto della pagina bianca
d’impressioni personali che fungano da autoanalisi. La scrittura è un rapporto costante dell’uomo di
interazione con se stesso in continuo superamento dell’io lirico. Una sorta di trascendimento del sé,
affondando le mani nell’assurdo per descrivere il vero.
D - Postmoderno destrutturalista? Lyotard e Baudrillard? Lacan e Julia Kristeva?
R - Non ho modelli specifici, tranne Ionesco forse, che considero il più grande destrutturalista di lingua,
senso e teatro. Semplicemente non mi piace il preimpostato, l’idea della cristallizzazione delle regole da
seguire rigorosamente. Detesto le etichette e le sentenze definitive. Il blog collettivo che ho creatoDestrutturalismo e altro.... si basa proprio su questo principio. Dove sta scritto che il favolistico, per
esempio, deve essere usato soltanto nei racconti per bambini? Dove sta scritto che se vuoi definire dei
problemi sociali, devi usare per forza un linguaggio crudo, neo-realista, dimenticando il simbolo che invece
veicola significati ulteriori? Sfuggire a certi stereotipi, senza piaggerie o compromessi, questo è lo scopo
della parola “destrutturalismo”, tutta giocata sul dubbio e sull’autoironia, non sulle certezze. L’importante è
non prendersi troppo sul serio.
D- Il libro “teatrale” edito dalla ferrarese La Carmelina?
R - Mister Yod non può morire, edito da La Carmelina in modo totalmente free, e ci tengo a sottolinearlo, fa
parte del percorso “destrutturalista” di cui parlavo prima. Attraverso l’apparente assurdità dei dialoghi, si
mette in scena una grande ed eterna metafora, quella di un dio precotto e visibilmente fallocentrico, che
vuole morire e chiede consigli a parenti ed amici su come fare. Il dialogo con i parenti apre la scena su uno
squarcio dolorosamente ilare d’incomunicabilità familiare che poi si traduce nelle scene successive, in una
sorta di cosmica alienazione dell’essere. E c’è l’incontro con personaggi bizzarri che si insinuano nella
coscienza di Yod, distruggendo certezze acquisite, alimentando viaggi che sono poi passeggiate nel sé.
La percezione del proprio mondo interiore ha sfumature di leggerezza, con dialoghi ironici e parole chiave
che aprono delle scatole che contengono altre scatole, e così via, in successione solo apparentemente casuale,
perché in realtà, la costruzione dei non-sense, è mirata al raggiungimento di uno scopo: comunicare
sensazioni e scoprire angoli che di solito vengono tenuti nascosti. Confesso di aver avuto la tentazione di
dedicare quest’opera e anche le altre cose che ho pubblicato prima e dopo a Salvatore Niffoi. Un giorno mi
disse che con la mentalità e le idee che avevo e che ho, non avrei mai pubblicato neppure con un piccolo
editore, perché “la letteratura non può prescindere da certe regole e figure retoriche completamente assenti
nei miei scritti”. Per fortuna non è parente di Cassandra.
D - Le poesie NOIR del 2013… Un noir atipico?
R - Lo strazio, una raccolta di poesie edite da Marco Saya, con copertina di Maurizio di Bona e prefazione di
Mario Lozzi, è formata da componimenti brevi, giocati su una sorta di macabra ironia, per questo “noir”. I
personaggi sono taglienti, le loro battute spesso sarcastiche e crude. Si tratta più che di poesie di “fotografie”
che ritraggono pillole di vita in movimento e lasciano negli occhi una sorta di flash da memorizzare,
un’emozione giocata tra divertimento e crudeltà, sadismo e gioco del destino. Il nero è il colore del mistero e
la definizione di noir non va considerata alla lettera, come un’etichetta vincolante.
Va presa per quella che è, una semplice indicazione sul fatto che rimane sempre qualcosa d’inespresso e alla
fine, un dubbio sottile, insinuante che permea di sé ogni pagina e la colora di senso. Ovviamente non c’è
alcun intento didascalico. Mi piace pormi nell’atteggiamento di chi impara piuttosto che assumere le pose di
chi insegna senza sapere bene cosa. Lo strazio, che ho scritto tempo fa, anche se vien pubblicato soltanto
adesso, dopo anni dalla sua nascita, rappresenta il primo gradino di un percorso che ha fatto germogliare altre
poesie, altre raccolte, altri segni.
INTERVISTA A GIUSEPPE MANIAS: Gramsci 2045
(Nuova Oggettività Blog, 3 2013)
D - Gramsci su Facebook... un’anomalia creativa per un social network forse troppo specchio proprio della
reificazione di cui parlavano i Maestri dell'utopia socialista?
R - Ma sono da sempre convinto che Gramsci appunto per sua formazione fosse un interprete eterodosso del
marxismo e proprio per la sua attenzione nei confronti della cultura popolare è oggi uno dei pensatori più
credibili e attuali del secolo scorso. Gramsci attraverso i social network ci sembra importante e vista la
caratura del pensatore anche una sfida nel cercare di non banalizzarlo e allo steso tempo di farlo conoscere
anche in quegli aspetti meno conosciuti
D - Gramsci amava più il Partito o la storia e i popoli nel suo divenire?
R - Quando si analizza il pensiero gramsciano noi dobbiamo considerarlo come un unicum con tante
peculiarità ma difficilmente separabili. Penso che esemplificativo di ciò è una sua frase in replica a Tasca sul
suo concetto di partito tratta dall'Ordine Nuovo: “...abbiamo semplicemente il torto di credere che la
rivoluzione comunista possono attuarla solo le masse; non può attuarla né un segretario di partito né un
presidente della repubblica a colpi di decreto”.
D - Nonostante la caduta del Muro di Berlino, se paradossalmente anche a Destra, certo Gramsci- come
Pasolini- è stato ben sdoganato, ancora recentemente lo stesso Veneziani (in ottiche non ideologiche,
certamente non banale) ha sorprendetemene contestato certo ritorno del Maestro...
R - Il così detto "sdoganamento", termine nel caso di Gramsci a me sgraditissimo, ha in Italia radici lontane e
si deve a quell'ala della Nouvelle Droite, Tarchi uno per tutti, che trattò di Gramsci a destra dopo l'uscita di
Vu de droite De Benoist del 1978 in cui parlava di Gramsci nell'importante testo con cui ricevette il premio
Grand Prix de l'Essai dall'Académie Française. Penso che come tutti i grandi classici del pensiero sia un
punto di riferimento per tutti.
D - Gramsci e il duemila: solo per la Poesia o invece anche nel cibermondo una idea forte per un futuro più
umano e creativo
R - Gramsci ci dà in passato un esempio di modernità quando parla ad esempio dell'importanza nelle scuole
di portare l'insegnamento della logica formale e sempre attento ad ogni scampolo di modernità e attualità
analizzandolo sempre il modo storicistico e critico. Appunto il metodo di analisi gramsciano ti fa sempre
fare un passo avanti.
INTERVISTA A GIOVANNA GUARDIANI: benvenuto ecoprogresso...
(Nuova Oggettività 12 2012 * Asino Rosso)
D - Gentile autrice se dovesse scrivere una breve autobiografia letteraria cosa direbbe?R - Ho sempre amato leggere e scrivere. Nel corso degli anni ho scritto vari racconti e ogni volta li mandavo
all'editore vicino casa, uno di quelli a pagamento, e, ogni volta, lui diceva che erano bellissimi e bla bla...
non mi convinceva il discorso "acquisto copie", "contributo" e così lasciavo perdere. Poi, però è arrivato il
Web, anzi io sono entrata nel web, perché questo già c'era, e si sono aperte tanti portoni e finestre.
D - Cosa significa per lei scrivere nell'era del web?
R - Scrivere nell'era del web per me ha lo stesso significato di quanto scrivevo con la penna sui fogli. Non è
lo scrivere in quanto azione creativa, movimento del pensiero e dello spirito a essere diverso nel territorio
web, ad essere diversa oggi penso sia solo la maggiore opportunità che viene offerta al prodotto finale , nel
senso di pubblicità, di riconoscimenti.
D - Cosa vuole dirci del suo esordio letterario "Un dono per me e per te" (Montag, 2012)?
R - Si tratta di un romanzo, una storia che si muove sul filo di ricordi legati al mondo contadino,
consumistico, alla scuola, alle diverse culture e durante il percorso cerco di trascinare con me il lettore verso
la "bellezza" intesa come pace, serenità, appagamento, come vera ricchezza dell'esistenza e alla fine lascio il
mio amico lettore dentro al titolo ed io con lui.
D - A questo punto sarebbe interessante sapere come finisce il suo romanzo, ci vuole anticipare?R - Sì, con piacere. Spesso legati ai pensieri sono i ricordi. Dopo aver visto, ascoltato e sperimentato di tutto
ho raggiunto una grande libertà decisionale, nel senso che sono pienamente consapevole che è mia
responsabilità dirigermi verso ciò che mi arreca serenità, benessere. Ho capito anche che il loro fiorire
dipende sempre da dove poso il mio sguardo. E così un giorno mi è venuto in mente di ripercorrere gli
avvenimenti della mia esistenza dall'infanzia a oggi, puntando, però, lo sguardo in modo diverso. Se
puntassi il riflettore sui ricordi belli, affascinanti della mia vita? Questo mi dissi un giorno e subito aprii il
computer e iniziai a scrivere, lasciandomi guidare dai ricordi. E' stato un percorso bellissimo. Penso che
siamo ciò che siamo in base a ciò che pensiamo e a livello emotivo credo che ci sentiamo come ci sentiamo
in base a dove posiamo lo sguardo mentale. Ognuno di noi ha nella memoria esperienze vissute, emozioni
provate stupefacenti e allora invito ognuno a posare lo sguardo più spesso di quanto faccia, sulle cose
interessanti, belle, della propria esistenza. Quante belle storie di vita vissuta verrebbero fuori! Da ogni storia
emergerebbe che vivere è stupendo, è la cosa più bella che ci possa essere capitata. Mi auguro che nel
leggere questo libro tu viva momenti di leggerezza, ma soprattutto che vengano stuzzicati ricordi belli,
sereni, affascinanti della tua vita. Dove poggiare lo sguardo? Non c'è un solo posto su cui posarlo e
percepire la bellezza, l'armonia, la serenità, la gioia. Ce ne sono tanti, tantissimi, io cerco di posarlo sulla
natura, sull'arte, sulla lettura, e ultimamente sui ricordi. L'importante è sentire se dove lo stiamo posando ci
arreca benessere.
INTERVISTA A FRANCESCA DE CAROLIS: web e stampa 3.0
(Nuova Oggettività blog 12 2012 *Asino Rosso)
D - Il web, la Rete potenziano la cultura o la azzerano?
R - Ritengo che non si possa parlare di azzeramento della cultura ma di crescita della cultura stessa
attraverso i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione. Ormai tutti siamo abituati a navigare nel web tra
i meandri dei siti più disparati, a leggere i quotidiani online, e-book, a fare ricerche basandoci sulle
informazioni contenute su internet. La rete potenzia la cultura e la rende accessibile a tutti. Non c’è casa che
non abbia un computer, non c’è persona, ormai, che non abbia il web come riferimento per le sue ricerche su
qualsiasi argomento, molti quotidiani hanno la loro versione online. La Rete rende tutto più facile ed
estremamente veloce, e sembra che oggi il bene più prezioso per una persona sia proprio il tempo, meno se
ne spende per un’attività, più se ne possono fare! L’interattività oggi è fondamentale, e la intendo anche
come possibilità per l’utente di ricevere informazioni dall’apparecchio che si utilizza, è esteriorizzazione del
pensiero, è essere in posti diversi contemporaneamente, è conoscere più cose in minor tempo.
D - Lei è tra i curatori di un quotidiano web area Roma...
R - Sono la responsabile della sezione cultura, eventi e spettacolo di un quotidiano online, nato nel 2010
Eccolanotiziaquotidiana - e quindi relativamente giovane - ma già ben radicato ed in forte espansione,
grazie al lavoro di tutto lo staff redazionale, anche verso la Capitale. Il direttore è un giovane giornalista, ma
già con una forte esperienza sul campo, il dott. Daniele Flavi, mentre il direttore editoriale è Giancarlo Flavi,
un giornalista della ‘vecchia guardia’ e che non solo ci insegna molto quotidianamente, ma che ha avuto la
capacità di passare dalla classica stampata (lavorava per “IL TEMPO”) al web, con grande professionalità e
maestria. Proprio il web ha aiutato la nostra realtà, perché in modo veloce e tempestivo possiamo “essere
sulla notizia”, aggiornare il nostro sito, che ormai è diventato una sorta di agenzia di stampa per i territori che
copriamo. Il sito è strutturato in modo semplice ed intuibile e la sua forza ritengo sia non solo la facilità nella
consultazione ma anche la divisione in zone, per permettere agli utenti di poter leggere le notizie che li
riguardano. Il nostro punto forte sono i numeri: tra i 10 ed i 15 mila visitatori giornalieri, 14mila articoli
inseriti, 150 mila visitatori al mese, oltre 1400 fan sulla pagina facebook, 1 tesina di laurea presso la
prestigiosa Università Luiss di Roma, ma soprattutto da poco abbiamo superato la soglia dei 2 milioni di
visitatori in meno di due anni, evento festeggiato in un noto locale di Roma, il GILDA, con tutti i nostri
partner e sostenitori. Inoltre abbiamo anche una WEB TV, in espansione, che dal prossimo anno si unirà
graficamente al nostro portale per permetterci di fornire davvero un’informazione a 360 gradi sul territorio.
D- La stampa solo on line, favorevole?
R - Forse ci si aspetta da me che io sia favorevole alla stampa solo online, vista la mia collaborazione con un
quotidiano che è, per l’appunto, solo online. In realtà, invece, ritengo che la stampa debba essere anche
cartacea, un po’ per tradizione un po’ per amore del classicismo e del profumo della carta dei quotidiani!
La stampa online, come già detto, permette una fruizione veloce ed un aggiornamento tempestivo e quasi
istantaneo delle notizie, ma il quotidiano cartaceo è comunque necessario e utile, a mio avviso. Non si può
pensare alla stampa ed al mondo dell’informazione senza tenere ben presenti “La Repubblica”, “Il corriere
della sera”, e nel nostro territorio “Il Messaggero” o “Il Tempo”. Il progresso della cultura non comporta la
cancellazione del cartaceo, ma il suo sviluppo, per permettere comunque ai lettori di scegliere se andare in
giro con il loro quotidiano sotto il braccio o sedersi alla propria scrivania e consultare le notizie online.
D - Dopo il web sparisce il giornalista classico, ogni persona è davvero notizia come prevede De Kerckhove,
allievo del grande McLuhan?
R - La figura del giornalista classico lascia il posto ad un giornalista capace di essere interattivo, di
comunicare in modi diversi, tecnologici e veloci, ma il succo ed il fulcro della professione deve rimanere lo
stesso : dare le notizie, ovviamente in modo deontologicamente corretto. Non accetto i giornalisti che
“fabbricano” la notizia. I lettori, in generale, credo, cercano di riconoscere la propria esperienza in una forma
materiale, cercando notizie su eventi che hanno vissuto e allo stesso tempo, nella “notiziabilità” degli eventi,
cioè nella loro attitudine a diventare interessanti per alcuni e quindi a fare notizia. Mc Luhan diceva: le vere
notizie sono quelle cattive, quasi perché servono a portare una sorta equilibrio negli effetti. Ogni persona
potenzialmente è notizia laddove si intende per tale l’informazione su una persona o su un avvenimento
recente che possa condizionare, influenzare, anche nella sola curiosità intellettuale, qualcun altro. Certo che
poi il risvolto che hanno a livello globale le notizie è ben diverso a seconda della loro portata, del loro raggio
di azione, di coinvolgimento. Ma nelle piccole realtà fanno notizia le persone, nulla di male.
INTERVISTA A DACO: net r-evolution
(Nuova Oggettività Blog 12 2012 * Asino Rosso)
D - Daco: le tue ultime azioni postcostruttiviste?
R - Il mio lavoro si svolge ormai praticamente nella sua interezza nei mondi virtuali, in questo momento
sono impegnato in un progetto gestito dalla LEA-LINDEN la multinazionale gestrice di Second Life la quale
ha scelto una rosa di artisti internazionali mettendo loro a disposizione, per ognuno una land (un sito
tridimensionale). Ogni artista è libero di esprimere il proprio progetto in grafica digitale tridimensionale
interattiva, lo spazio ricevuto è veramente enorme rapportato nella realtà è come una intera città come
Milano in cui puoi costruire liberamente in largo e in alto, un lavoro colossale! La durata del progetto è di sei
mesi. Descrivo il mio progetto: "Un percorso artistico, un inno all'utopia, intesa come luce come stella
polare atta nel tracciare la rotta per l'umanità. Partendo da temi esistenziali sul vivere il nostro tempo e le
riflessioni che nascono nel passaggio culturale in cui l' umanità tutta è chiamata oggi. L'arte serve
semplicemente a rendere il "sapere" , la conoscenza dell'uomo... umana. Divulgando il più possibile la
cultura moderna globale intesa come una multi realtà, un insieme di realtà tutte diverse di individui, di
universi che intrecciandosi tra loro creano appunto il dinamismo della cultura globale universale. Sempre
esistita in verità solo nascosta dalla nebbia dell'evoluzione culturale umana."
D - Daco: la net-art è già fiorita o ancora embrionale?
R- La trovo attualissima per chi la vuole vedere e soprattutto accettare, è un mezzo potentissimo, arriva in
ogni luogo, molto economico e aperto alle masse è l'arte del nostro tempo indubbiamente. Web-art, net-art
ecc., le vedo molto simili alla street art. C'è un certo interesse accademico, anche l'accademia di Brera ha
aperto una land iniziando collaborazioni con artisti virtuali.
D - Daco: Una tecnosinistra è possibile in Italia?
R - Tecnologia ed ecologia oggi sono la stessa cosa ed indubbiamente sono una strada della sinistra nel senso
più' stretto, economico e ideologico… è il proseguo del pensiero marxista rapportato nei giorni nostri...un
mondo del futuro non riesco ad immaginarlo se non tecnologico, ecologista, quindi più informatico possibile,
in una società di uguali globali con il superamento di superstizioni religiose (la religione è una filosofia
imposta)...quindi il futuro è: Computer, Marx, Buddha.
D - Daco una ecosinistra è possibile in Italia?
R - Risposto sopra.
D - Daco: I Pirati tedeschi ecc.- dal web la futura politica rivoluzionaria?
R - Diffido parecchio di questi nuovi movimenti molto, molto populisti anche se attratto. Diffido perché tutto
il mio lavoro è incarnato nel combattere il populismo che molto male ha fatto all'Italia ora e in passato
(Mussolini-Lega-Berlusconi). Attratto perché sono molto provocatori e la provocazione va bene specie nei
giorni nostri per il bisogno di rottura verso schemi vecchi che incatenano il bisogno del nuovo. Quindi
provocazione sì, ma fine a se stessa! Per la costruzione guardo più verso movimenti più realisti e in Italia c'è
bisogno di molto realismo ora...e di provocazione naturalmente! Nella Real politik mi sento un perfetto
social-democratico, un riformista, per creare il Socialismo c'è bisogno di un popolo socialista consapevole...
altrimenti si scivola nel fascismo. Il web è la comunicazione del presente e del futuro, politica e Arte sono
soprattutto comunicazione, quindi il futuro dell'Arte.
INTERVISTA A SECONDA CARTA: Ichnussa duemila
(Nuova Oggettività blog 12 2012)
D - L'evento recente Moda-Cultura-Tradizione e Innovazione nell'Ogliastra - Una riscoperta della
memoria perduta?
R - Sì, credo che in tutti noi vi sia la ricerca del tempo passato, di ciò che eravamo o che siamo stati, di
quello che ci piaceva o che ci faceva sorridere, di far riaffiorare nella memoria le cose che ci raccontavano le
nonne e che ci paiono oggi lontanissime, incredibili ed a volte bizzarre. Un feed-back proustiano positivo e
terapeutico relativo alla memoria perduta: c’è in noi, penso, l’amarezza per aver perso pezzi consistenti di
conoscenza che purtroppo sono mancati al puzzle della nostra cultura, con l’arrivo della modernità
-omologazione, imposta a tutti i costi. Ma questo non ci ha sconfitti, anzi, ci ha aiutato e ci aiuta ad essere
più determinati nell’impegnarci e nel perseverare a riconquistare spazi non solo fisici, dedicati alla cultura
non omologata.
D - Un progetto collettivo a puntate…
R- Sì, noi siamo la nuova Ichnussa, senza presunzione, perché abbiamo posto con la cultura e il
cambiamento, i punti cardine per una società diversa dove l’io egoistico dedito al proprio orticello, lasci lo
spazio al noi inclusivo. Un’equipe solida che non si lascia incantare dagli stereotipi culturali noti, c’è ben
altro in noi e nelle nostre proposte.
D - Mi parli di Italia e Sardegna, una relazione pericolosa…
R - Ritengo che tra l’Italia e la Sardegna, la mia Terra, non vi sia mai stato un rapporto paritario e idilliaco: lo
stato italiano ha agito verso l’Isola e i Sardi prepotentemente, come un sovrano colonizzatore verso i suoi
sudditi. Questo stato, sotto gli occhi di tutti, ha ceduto una grossa fetta del territorio sardo compromettendolo
inesorabilmente alle servitù militari, ha permesso l’inquinamento ambientale con gli impianti chimici dal
nord al sud dell’Isola, ha concesso la devastazione ambientale in coste paradisiache ed uniche, ha impoverito
sempre più la classe operaia, vedi Sulcis ed Ogliastra tanto per citare due aree in cui l’emergenza sociale non
è un’invenzione, non ha mai reso i 13 miliardi di entrate fiscali che deve alla Regione, ha cancellato lingua e
cultura sarde dalle istituzioni scolastiche ed ancora di più, nega il futuro ai giovani che continuano ad
emigrare. Io sogno la Sardegna sovrana e indipendente, ci sono tutte le potenzialità perché questo avvenga e
spero che ciò si possa realizzare a breve termine. Ho fiducia nel cambiamento già in atto anche se i
governanti fingono di non accorgersene. E i politici sardi e non sardi cosa fanno? Ora che si è in campagna
elettorale i rappresentanti di dx, di sx, di centro, fanno passerella nell’Isola, senza programmi o proposte
serie e credibili per il reale sviluppo del territorio. Ma per analizzare gli eventi storici, politici, economici,
culturali, antropologici ed altro ancora della mia Terra, avremmo bisogno di giorni e giorni, di spazi e spazi
infiniti. Magari in un futuro non troppo lontano ci incontreremo in Sardegna per ragionarne…
D - La poetessa Seconda Carta, perché l’ultima (come si firma su Facebook...)?
R - Rispondo con un pizzico d’ironia: perché a scuola ero sempre la secchiona, la prima della classe e non mi
erano consentiti cedimenti o stanchezza, flop negli studi, dovevo studiare e studiare. Ma per me lo studio è
sempre stato piacevole, mi coinvolgeva e m’interessa tuttora perché è conoscenza, apertura di pensiero: un
individuo preparato è certamente meno influenzabile, condizionabile, è capace d’effettuare scelte libere e
indipendenti. E, quando dopo vari ripensamenti, ho deciso di pubblicare i miei testi poetici letterari come
“l’ultima”, devo dire che mi sono divertita; il Vangelo insegna che “gli ultimi saranno i primi”… chissà. Ho
pubblicato tre sillogi poetiche, tre libri: due in italiano e uno monolingue in sardo. Le mie produzioni parlano
di Terra, la mia, di libertà, di diritti, dell’universo femminile, di lavoro ed emigrazione. Mi piace moltissimo
scrivere in Sardo. Intanto ho ultimato il quarto lavoro in questi giorni, con la collaborazione di Antonio
Ghironi, un audiolibro con 33 componimenti recitati da noi e musicati. A marzo invece sarà pronto il quinto,
stavolta un saggio storico dedicato al lavoro femminile in Ogliastra. Per la cultura non omologata, che non
gode di media compiacenti è un bell’inizio. Sono un’autrice indipendente che non pubblica a pagamento.
INTERVISTA A MAURO BIUZZI: alla ricerca della Moana perduta
(Nuova Oggettività Blog 2 2013 *Eccolanotiziaquotidiana)
D - La memoria rosa-choc… di Moana, tra arte e politica
R - Sono piuttosto restio, anche per pudore, ad inquadrare la memoria delle mie attività con Moana in ambito
estetico. Forse per il rischio di cadere in un’idea di Arte Totale, che non mi è propria. Ho sentito un
eminentissimo critico d’arte dire in tv che Moana era la maggiore performer italiana. Per quanto mi riguarda
i due termini, arte e politica, mi sembrano come Colonne d’Ercole che io non ho mai inteso attraversare.
L’uomo senza qualità è il mio genere e Moana mi è stata sorella. E’ certo però che la terziarizzazione della
cultura, avvenuta dagli anni ottanta del ‘900 ad oggi (a partire dalle prime file alle mostre di Van Gogh e dei
bronzi di Riace), spesso mi pare in tutto simile a quella che ha costretto il sesso nel supermercato della
pornografia di massa. Non ho mai trovato molta differenza tra un grande artista neo-bohèmienne, un creativo
pubblicitario, un archistar, una pornostar alla moda, una mega-rock-star lesbica, un famoso stilista
omosessuale e un supermanager della finanza in doppio petto. Tutti hanno in comune l’aver capito come
trasformare la merda in oro, come sterminare la realtà con una simulazione di genere. Sicuramente le opere
dell’ex-agente di Wall Street di nome Jeff Koons sono la migliore espressione metafisica dell’origine tossica
e virtuale del denaro che le finanzia. Questo è il vero piano in cui avviene lo scambio simbolico tra
l’iperartista americano e la pornostar Ilona Staller: quello della disidratazione di Dio nel deserto del desiderio
di merci. Il falsopiano dei valori nichilisti del Pensiero Unico e dell’Impero mondialista. Lo show-biz è
pieno di “derivati culturali“ ad altissimo rischio logico-formale. Invece io e Moana Pozzi, con il nostro
povero Partito dell’Amore abbiamo provato a ribaltare l’autoreferenzialità del Sistema dell’Immagine,
trattando il sistema elettorale e il suffragio universale per quello che sono: il più importante spettacolo massmediatico della nostra epoca. Questa è arte o politica? Non saprei, ma sicuramente il rosa va bene sul nero.
E se per rosa intende “Moana Pozzi” e per nero intende “Mauro Biuzzi” (l’anti-colore dell’architettura, del
punk, delle parole, della morte, del negativo), forse allora abbiamo anche lo choc avanguardista. Di certo da
questo nostro sodalizio è nata l’antipolitica italiana come la conosciamo oggi, per quanto questo possa
valere.
D - Moana meglio delle femministe?
R - Sì, certamente, se si riferisce al movimento borghese di sinistra che si è affermato negli anni settanta.
Restando nei termini estetici, se il femminismo stesse a Moana come Salieri sta a Mozart, tutta l’opera del
primo non varrà mai come la sola aria Là ci darem la mano del secondo. Perché ciò che dura è ciò che è stato
spezzato: il frammento, la parte, il simbolo, il cuore. Moana non fu mai sessista, mai si raccontò la favola che
un sesso è migliore o peggiore di un altro. Al contrario, preferì mangiarsi l’altro sesso. Il mondo è fatto per
chi ha i denti, e il femminismo è una forma di anoressia morale che Moana non ebbe. Visse più di ogni altra
sua coetanea le amputazioni feroci che l’emancipazione femminile ha comportato per una donna italiana di
origini contadine (origine di quasi tutti noi italiani), ma non ebbe mai un atteggiamento vittimale. Sapeva che
la vittima e il carnefice sono la stessa persona. Anche in questo senso si distinse dalla retorica plebea della
“trasgressione”, che invece dominava nell’ambiente del porno politicizzato, nel quale la conobbi nel 1991.
Quella retorica tardo-hippies e diritto-umanista era una sottocultura che serviva alla lobby del porno come
facciata di stucchi dietro cui far passare qualche legge favorevole al suo business. Ma, con l’appoggio pieno
di Moana, cambiammo rotta per trasformare il PdA nel primo esperimento italiano di antipolitica. Usciti
dall’estetica del “vogliamoci bene”, nelle amministrative romane del 1993 presentammo la prima lista di
cittadini italiani senza “precedenti” politici, compreso io che ero capolista. A prescindere dal risultato alle
urne, la “politica della seduzione” di Moana mi apparve subito quella più attuale ed efficace per la nostra
sfida al linguaggio economicistico e condominiale dei Partiti italiani.
D - Moana erede principale di magari la futurista Valentine de Saint Point
R - In comune ci sono certamente l’Eros come fiamma, l’idea di virilità nel femminile, il rapporto necessario
tra donna e crudeltà. Le lacrime di Eros, direi. Senza però nulla dei cascami del decadentismo simbolista, su
cui si è fondata l’immagine della “diva” del cinema hollywoodiano. L’icona che io ho dipinto per Moana ha
radici realiste e rinascimentali. L’Italia è una giovane Repubblica fondata sulla resistenza Risorgimentale alle
occupazioni militari, e agli stupri simbolici e materiali che sempre ne conseguono. A mio modesto avviso, la
mia Moana con la fascia tricolore davanti all’Altare della Patria a Roma è uno dei simboli più significativi
della volontà di emancipazione di una Repubblica nata nel clima di occupazione morale e materiale
conseguente agli esiti della Seconda Guerra Mondiale e cresciuta nel successivo “sviluppo senza progresso”,
la cui entità è data proprio dal livello insopportabile raggiunto oggi dal nostro debito pubblico sotto la
pressione speculativa internazionale. In quell’immagine, che ho realizzato con lei nel novembre 1993,
Moana cessa di essere la pallida imitazione di una diva del cinema americano (la Marilyn che piace tanto ai
critici sessantottini che ancora sostengono la Rivoluzione Sessuale e il Trash all’italoamericana), per
diventare la vera icona del cammino che la nostra Repubblica sta facendo attraverso i tanti disastri civili del
dopoguerra. Certo, di una Repubblica nata orfana, e che continua ad essere considerata figlia di madre
ignota. Proprio come Moana, la nostra Biancaneve che ora dorme con il milite ignoto, con l’italiano futuro.
D - L’artista eretico e dionisiaco Mauro Biuzzi…
R - Non ricordo chi fosse quella simpatica canaglia fascista che portava la mano sulla pistola quando sentiva
parlare di cultura. Forse Alfred Jarry? Il mio Partito dell’Amore è certamente un partito cristiano-dionisiaco,
nel senso che proprio con il parlare silenzioso del corpo di Moana ha dato l’esempio di un leader politico
che pratica il diritto/dovere di tacere su ciò di cui non si può parlare. Nel realizzare questa rappresentazione
politica mi sono opposto radicalmente all’idea tutta mass-mediatica che il politico (che io ancora aspiro ad
essere) sia un opinionista televisivo, un inarrestabile nastro trasportatore di Doxa, un continuo parolibero che
vomita contratti programmatici. In tal senso la mia cultura realista, in contrasto con il cosiddetto diritto alla
libertà d’espressione, si oppone anche all’obbligo per tutti ad avere un’opinione su tutto. Dittatura della
Doxa che si esprime ai suoi massimi livelli nel social network, veri campi di concentramento dell’autismo
cronachistico di massa (oltre che mezzo d’intercettazione e di controllo): crimine perfetto d’istigazione
dell’umanità alla perenne masturbazione espressiva travestita da “libertà di espressione” (proprio come tra
gli adolescenti nativi digitali l’esperienza della masturbazione via cam sta sostituendo quella del primo
rapporto sessuale). Insomma, con il mio attivismo antipolitico nel PdA ho dato alla borghesia “protestante”
italiana la spiacevole notizia che il sesso è nato molto prima del diritto. E che il sesso non si può “liberare”
facendone libero commercio, con risultati quasi peggiori di quelli dei preti che l’hanno voluto “vietare”.
In conclusione, a quanto mi chiede posso rispondere che di certo ho provato a rappresentare una congiura
sacra, una discontinuità, un varco, un’esecuzione pubblica, l’avvento fulmineo del Regno Millenario. E
anche che Moana ha svolto fino in fondo la parte della Regina, che si è coraggiosamente prestata a questa
rappresentazione. E che la sua morte prematura, avvenuta pochi mesi dopo la sua ennesima sconfitta
elettorale, ha rappresentato la morte del Re, la rinascita della Repubblica e il raggiungimento del nostro
obiettivo. Ritengo, infatti, che la sua vita di pornostar sia stata molto meno politica di quanto non lo sia stata
la sua morte. Sul fatto poi che la sua vita (o quella della Repubblica) si sia risolta più o meno perfettamente
in questo mio ritratto ovale, non sta a me giudicarlo.
RETROPOSTFAZIONI
I - Dietro le quinte.
(Prima intorno e dentro le iniziative editoriali della Nuova Oggettività)
di Sandro Giovannini
Molti anni fa, più o meno in contemporanea con il declino dell’ipotesi macrocomunitaria della “Nuova
Destra”, ci rendemmo conto di desiderare ancora fortemente una nuova possibilità di lavoro intellettuale,
orientata da una visione organica pur nella presenza ineludibile di diverse vocazioni e sensibilità di origine.
Questo lo sentivamo mentre seguivamo una passione reale, con la Heliopolis Edizioni dal 1985 impegnati a
riscoprire sul versante editoriale e paraeditoriale le miniere inesauste della classicità. Questo desiderio di un
macroreferente si era espresso compiutamente al II° Cison di Valmarino, convegno importante della “Nuova
Destra”, in una relazione ove il paradigma da noi svolto, tra alquanta distanza e sufficienza, fu quello della
possibile compresenza in ognuno degli aderenti, di varie dimensioni. Ad esempio, nel mio caso (ma la cosa
poteva riguardare molti altri), ero implicato in una comunità territoriale (il Centro Studi Heliopolis di
Pesaro), una comunità, per così dire, funzionale, (il Vertex-Poesia) ed appunto l’ipotesi macrocomunitaria
(che si sperava potesse strutturarsi nella “Nuova Destra”). I più allora non capirono proprio l’articolazione
possibile ed eventuale anche come un codice interiore (e paidetico) di gerarchie e di potenzialità, presi come
sono spesso gli uomini dalle loro passioni unilaterali e di volta in volta coinvolgenti se non del tutto
stranianti... (ma forse sarebbe anche oggi la stessa cosa...) Anche noi eravamo già implicati profondamente,
lungo lo spegnersi dell’esperienza ultradecennale del Vertex-Poesia, nell’avventura, giudicata peraltro folle
anche da molti amici, dei rotoli e delle tavolette dell’Heliopolis, che è poi ancora vitale dopo tanti anni, ma ci
rapportavamo a necessità e strategie possibili più ampie ed organiche. Al di là di quanto poi abbiamo
realizzato realmente nelle varie sfere ove un essere umano può agire, quella strettamente personale, quella
familiare, quella lavorativa, quella amicale, la prima volta che ci impegnammo a fondo in un’operazione che
doveva rappresentare al meglio questa consapevolezza, fu quando lanciammo l’idea di una specie di
garzantina della cultura alternativa, ovvero la “Guida alla cultura contemporanea non conformista. I
Maestri, i continuatori, i ricercatori”. L’importanza dell’iniziativa non consisteva tanto nell’idea, pur
rilevante, di un trecento schede circa, dal Novecento ad oggi e dai grandissimi a scalare, strutturate in una
Biografia, Bibliografia, Giudizio Critico, quanto nell’aver chiamato quasi un centinaio di amici e
collaboratori, lungo qualche anno di lavoro, prima sostanzialmente dell’avvento di internet, a mettere in
comune un’impresa, ognuno scegliendo un certo numero di autori amati (oltre ovviamente a se medesimo) e
quindi con una libertà ed un coinvolgimento veramente implicante. Si arrivò quasi alla fine scoprendo fra
l’altro quanto di nascosto e quasi inattingibile ci fosse da riconoscere ed evidenziare - giocoforza date le
condizionalità - in molti peripli umani anche tra i più frequentati (figuriamoci poi tra quelli meno noti!) e
quindi sulla necessità di un lavoro di tal genere che ancora potesse far agio residualmente su ricordi di
familiari ed amici, sempre più a perdersi... Poi si dovette, disgraziatamente, rinunciare, per vari motivi tra i
quali il più negativo fu che ci vennero meno totalmente le forze. Infatti nel 1997 avevamo iniziato l’impresa
di Letteratura-Tradizione, di cui chi scrive fu ideatore, coordinatore ed addetto alla composizione totale per
43 numeri fino al 2009. Un impegno realmente assorbente. Entro la rivista che, per la prima volta
nell’universo editoriale, era diretta alternativamente ogni due numeri da un diverso direttore letterario, non
senza forti riserve interne ed esterne, ancora viveva inesausto lo spirito della precedente iniziativa ed anzi
questa aveva modo d’inverarsi in un vero e proprio metodo, spingendo quasi, alla fine, verso una totale
apertura che si esplicò in intere sezioni della rivista gestite direttamente da amici e corrispondenti… Oltre
allo Speciale, parte monografica retta dall’avvicendamento direttoriale, quasi tutte le altre parti furono infatti
via via affidate ad amici del tutto responsabilmente liberi. All’atto della chiusura di Letteratura-Tradizione
avevamo compiuto questa forte esperienza, che altrimenti non avrebbe potuto essere facilmente compresa
(per primi da noi) e soprattutto praticata, al di là delle parole che sempre si ripetono, il più delle volte
stancamente e vanamente, di comunitarismo, interpersonalità, al di là di questo e di quello, etc... Nella storia
dei suoi 43 numeri, che abbiamo descritto più dettagliatamente sul sito dell’Heliopolis
(www.heliopolisedizioni.com), vi sono dei momenti in cui, al di là della vicenda degli Speciali
monografici e quindi della più o meno alta resa di direttori capaci ed entusiasti di fornire materiale di
primissima o prima mano e non la pur onesta e sempre valida e necessaria operazione di revisione di
sostanza letteraria e metapolitica già data, si sono realizzate nobili azioni che hanno coinvolto ancora più
amici: quale quella delle oltre 70 schede biobibliografiche presentate nei vari numeri, non come operazione
d’appendice o di servizio, ma come una dimensione autonoma, (infatti in buona parte derivante direttamente
dall’esperienza della fallita “Guida...”) ed altre operazioni tra cui quella della nostra memoria storica, ovvero
quella dedicata ai resoconti dei principali convegni organizzati nella nostra area culturale a partire dal
dopoguerra fino agli anni ’90, rilevante documentazione del tutto primaria attinta da varie fonti, sempre col
medesimo sistema comunitario, e che resterà comunque nella storia (o microstoria) documentale. Il metodo
qui si rivela in tutta la sua forza ed ampiezza divenendo merito. Finita l’esperienza di LetteraturaTradizione, abbiamo riorientato ancora la volontà comunitaria verso l’esperienza della Nuova Oggettività ed
in essa abbiamo potuto riprendere, in tempi ancora più difficili e progressivamente degradati, la passione per
ciò che tende a superare, per quanto possibile, i limiti dell’usualità creativa filosofica, letteraria e
metapolitica, penalizzata ormai da un compiacimento verso la finitudine, il debolismo, la privatezza quando
non l’egoismo o l’egolatria, non giustificabili comunque con il clinamen che tutti coinvolge ed a cui molti si
arrendono con lamentazioni scontate o con scuse risibili. Abbiamo perseguito dal 2009, anche con il favore
di alcuni grandi uomini studiosi come Gian Franco Lami, poi mancato all’affetto della sua famiglia e nostro,
lungo molteplici laboriosi incontri che abbiamo nominato volutamente pre-manifesto, fatti in tutta Italia e
non solo con proclami o gesti ad effetto di tipo apofatico o ex cathedra, un lungo percorso di avvicinamento
ad un testo, il libro/manifesto che è stato edito infine nell’ottobre 2011 dall’Heliopolis. I numeri parlano da
soli: 260 pagine corpo 10, quasi cento interventi scritti articolati in 3 parti e sette sezioni, più di 150 adesioni
formali, più un’appendice fornita di schede biobibliografiche ed infine, allegati in terza di copertina, un in
folio artistico-filosofico mio ed un CD di musica classico/contemporanea del M.° Mario Mariani. Molti si
sono appagati nel criticare immediatamente l’inusuale risultato complessivo, obiettando la diversità
irriducibile degli interventi, che sarebbero stati solo sistemati alla bella e meglio e posteriormente, in un
quadro formale di tutta apparenza. Invece devo ammettere che mi è apparso - paradossalmente - il substrato
di fondo molto più coeso, ed alcune volte persino non ricco di reale diversità (a parte le previste e spesso
troppo sbandierate appartenenze), di quanto spesso insistiti compiacimenti autoreferenziali vorrebbero farci
credere. Oggi infatti impera troppo il narcisismo anarcoide, che non ha nulla ovviamente a che vedere con le
forti maschere di finzione suprema alla Autarca od alla Anarca, ma che ne è una compiaciuta e tutto sommato
volgare caricatura, e questo spinge spesso a voler (far) vedere differenze anche dove, grattando la patina
superficiale del distinguo individuale, sostanzialmente si tratta del medesimo (od assimilabile) atteggiamento
verso la realtà ed il mondo. Ovviamente tale mio giudizio, forse discutibile e che potrebbe apparire persino
eccessivo o provocatorio, è giustificato dalla lettura necessitata e ripetuta (per dovere di servizio) di tutti gli
interventi nei pur diversi e molto articolati contesti logici del libro/manifesto, ma attiene probabilmente e più
profondamente anche ad un mio fastidio innegabile verso ciò che non ricerca, nel proprio medesimo interno
e più intimo statuto, una dimensione già potenzialmente superindividuale ed anzi proclama come cosa buona
e santa la differenza, magari costruita ad arte. Niente a che vedere, ripeto, con il pensiero inattenuato ed una
ricerca ai confini dell’impossibile della verità sempre drammaticamente ed individualmente ricercabile (sia
pur giustamente comunicabile), statuto che è però crismato, nei casi veramente magistrali, da una grande
generosità d’animo, che rifugge perlopiù dalle polemiche legate ai fattori dell’umano troppo umano. Ma
spesso è persino ridicolo constatare - quando almeno si avverte comunque un minimo di autoconsapevolezza
critica - come pensieri che potrebbero avere dei percorsi efficacemente comuni si disperdano invece
compiaciuti nella ricerca del superficiale e puro effetto individualista. Oppongo in questo una vulgata che
rappresenta il nostro campo come a volte genialoide ma determinato sempre ed insuperabilmente da paranoie
frequentate ormai generazionalmente e da ineliminabili sindromi del primo della classe, che esistono
purtroppo e sono devastanti ma a cui, proprio per questo, non si deve - a mio avviso - fornire alcuno statuto
serio di legittimità e che se hanno poi (raramente) salvaguardato qualcuno tra i più meritevoli e/o accorti non
hanno certo mai favorito il lavoro d’assieme. Oppongo, perché tanto li si critica, quanto li si considera
comunque - sostanzialmente - inevitabili, mentre invece tali sindromi sono del tutto rivelatoriamente
dequalificanti. Lo dico senza alcuna iattanza, ma in una chiarissima assunzione di responsabilità. Nel nostro
specifico, comunque, la dimostrazione della adesione/non adesione non “in via ideologica” è data dalle
presenze che possiamo verificare nei due libri, (il libro/manifesto ed il libro/idea). Tali presenze non
seguono necessariamente un profilo ideologico ma una più o meno chiara linea sintonico/caratteriale. E
questo è - invece - realmente stupefacente. Dove ti aspetteresti di trovare adesione per parole d’ordine
assolutamente assimilabili e persino usate con la stessa postura, avrai una delusione, mentre ti sorprenderai a
scoprire consonanze con chi forse non avresti mai previsto, ufficialmente lontano o lontanissimo, in
conformità ad una più sottile e profonda sintonia emotiva. Questo - devo ammetterlo - mi ha sempre, forse
scioccamente, disturbato, anche se spesso mi ha proporzionalmente sbalordito, fino ormai a forzarmi ad una
ragione/non ragione che spesso però - come si dice - il cuore sottrae alla comprensione.
Certo il
libro/manifesto partiva consapevolmente (ma intendeva farlo nobilmente e non “nevroticamente” o
pregiudizialmente), da una ricognizione sincera d’identità plurali, come icasticamente le ha definite
Giovanni Sessa, che è riuscito anche a radiografare in una “Postfazione” (perché giustamente fatta a
posteriori) esemplare i “nostri attuali” problemi, come quelli dell’appercezione dell’esperienza classica della
ragione, del tragico, della proposta politica post-democratica, del re-inizio e dell’utopia sempre transitabile,
e che devono essere verificati senza sconti. Il lungo lavoro del libro/manifesto ha poi dovuto subire le
debolezze intrinseche del fai-da-te assoluto, anche perché l’Heliopolis ha un’altra ben diversa vocazione
come editrice. Le circa 700 copie tra prenotazioni e vendite delle due tirature, anche procurate con alcune
susseguenti presentazioni che però non hanno determinato un vero slancio forse per l’eccessivo peso interno
delle problematiche affrontate che richiederebbero ben altri tempi e ben altri modi, sono e rimangono del
tutto marginali al mercato editoriale usuale, pur essendo l’impresa culturale indubitabilmente di prima linea.
In realtà consideravamo fin dall’inizio tutte queste ipotesi di sviluppo come probabili e quindi siamo stati più
contenti di quanto potessimo reputarci delusi. Importante è stata la realizzazione anche del nostro blog
“nuovaoggettivita.blogspot.com”, per merito dell’intelligente volontarismo di Roby Guerra, che ha saputo in
crescendo convincere i più - primo chi scrive - ad una piena associazione di idee con una forte ricognizione
non solo di quello che si svolge accanto/dentro il movimento di pensiero della Nuova Oggettività, ma anche
in tutti gli ambiti intellettuali assimilabili e comunque interessanti, in assoluta libertà. In tale orizzonte
s’inquadra il presente libro curato da Roberto Guerra: “Al di là della destra e della sinistra. Per l’Italia del
XXI secolo - dopo il libro/manifesto ‘Per una nuova Oggettività’”. In queste iniziative editoriali, i
collaboratori e la curatela, primo fra tutti Luigi Sgroi, sono quelli che hanno dato generosamente il segno di
una forte presenza capace di portare idee e modi convintamente dialettici nel lavoro comunitario. Abbiamo
anche intrapreso un’azione di promozione editoriale ad un libro di Giovanni Sessa, che consideriamo di
grande importanza culturale, “La meraviglia del nulla. La filosofia di Andrea Emo” di prossima uscita
presso Bietti. Consideriamo tale testo un caposaldo dell’attuale ricerca filosofica, in primo luogo perché è il
primo testo organico su tutti gli aspetti complessivi dell’orizzonte filosofico di Emo e poi anche per la sua
capacità d’inquadrare l’avventura del pensiero emiano contestualmente al procedere della speculazione
europea lungo tutto il trascorso secolo. Questo intervento consisterà in un mio breve testo – diciamo, di
servizio, al testo primario di Sessa - dal titolo: “Nel presente eterno, la felicità delle cose. Note di Sandro
Giovannini al testo di Giovanni Sessa su Emo”, che dialoga idealmente con VII punti da me scelti del libro
principale e che dopo l’uscita di quest’ultimo (e quindi presumibilmente entro il 2013) andrà su una pregiata
tavoletta Heliopolis, con copertina in pergamena naturale ed in 100 copie numerate. Infine da circa un anno
abbiamo lanciato una nuova opzione editoriale con un vero e proprio libro-idea, ormai pronto e che ha in sé
quasi una ragione che prescinde e supera la logica del classico libro a tema o di gruppo... Il titolo è: “ Per
quale motivo Israele può avere 400 testate atomiche e l’Iran nessuna?”. “L’impero interiore” è il sottotitolo.
Il merito consiste nel fatto che nessuno ha potuto rispondere alla domanda del titolo ma che ognuno dei
“richiesti”, invece, ha ribattuto ad una domanda che lui stesso ha considerato, in piena libertà di tema e di
stile, dirimente e/o drammatica... Infatti si è suggerita in vari scritti d’avvicinamento una soluzione di tal
genere per non ingenerare colpevolmente (da parte nostra) l’idea che si potesse rispondere con un testo
qualsiasi, cioè con un testo non rivolto ad una domanda veramente importante... Ci siamo riusciti? Forse
solo in parte per una certa qual durezza di comprendonio, che deve giustamente scontare ogni testo
veramente (e non solo labialmente) inattuale, quindi non determinata sicuramente da mancanza
d’intelligenza teorica, che anzi a volte abbonda e straborda, quanto da una resistenza (più forte del previsto)
di tipo letteralista... (in senso noichiano ed hillmaniano). Possiamo tranquillamente riflettere, una volta
incassato il colpo dell’indubitabile provocazione, sul fatto che al di là dell’apparente neutralità della
domanda, si può ben capire ove le eventuali risposte, non spaventate a priori dal desiderio
comprensibilissimo di scansare comunque il quesito posto con il titolo, (il tabù non esiste a caso) ci
avrebbero portato. Ci avrebbero condotto ad innescare un’interminabile diatriba, che, prescindendo da
questioni di valore e di verità, non avrebbe che potuto ripetere idee ormai sostanzialmente ben strutturate e
prevedibili. Invece il silenzio terminale sulla domanda così posta seccamente (e formalmente neutrale), non
può che rimandare all’impossibilità d’instaurare un vero dialogo ed una proiettiva dialettica, fermi restando i
vari e crescenti tabù circolanti sulla questione. E’ chiaro che una non risposta (su questo tema) ed una
risposta su altro che non sia questo, può far storcere il collo a coloro che non si pongono se non sul piano
dell’assoluta autoreferenzialità, i cosiddetti sostanzialisti di facciata, senza per questo poter annullare la
potente significazione. Ma non avremmo potuto neanche, peraltro, cassare, per rispetto e verità, nessuna
risposta che, in via indiretta o metaforica, fosse stata in grado di riguardare, magari tangenzialmente, tale
questione, senza per questo noi aver nascostamente invitato a rispondere indirettamente. Questo perché la
Nuova Oggettività darà comunque un segnale forte con il distendersi effettuale degli scritti tramite le risposte
considerate autonomamente da ciascuno dei partecipanti primarie e/o decisive ed inoltre valuta tale
opportunità proprio un’onesta occasione di partecipare ad una complessiva presa di coscienza. Quale è stato
l’esito (ormai alla fine del percorso iniziale di raccolta) di questo secondo appello? Per i numeri: oltre una
trentina di risposte, alcune comunque più del previsto, essendo tale testo da noi stessi avvertito come
maggiormente incisivo del precedente come proposta, ma indubbiamente meno registrante ed inclusivo del
primo. Oltre che obbiettivamente più implicante. Per la composizione dei partecipanti: una buona presenza
di accademici, altri battitori liberi dell’idea e scrittori ed artisti vari. Molti del tutto lontani dal campo ideale
che alcuni potrebbero presumere. Il libro-idea nasce da una fonte precisa ma ha avuto una discussa e
condivisa registrazione in campo comunitario, essendo anche facilmente prevedibili lati forti e deboli.
Inoltre non possiamo non censire che la logica interna del precedente libro si conferma - come dicevamo con ulteriore chiarezza. Al di là della stessa diversità di vocazioni e sensibilità ideali, qui addirittura prevista
e ricercata fin dove possibile con più chiarezza che nel libro/manifesto, è ancora prevalentemente una
disposizione caratteriale ed una postura spirituale, invece che un filtro ideologico, a determinare il risultato
della convinta adesione. Dalle più diverse ragioni si manifestano scelte scrittorie che ci fanno credere che
ormai sia teoricamente possibile un superamento di certi steccati, quando non sovrasti viltà, corrività o poca
elasticità spirituale. Oltre le fortissime resistenze, interiori ed esteriori. Certamente il libro è stato da noi
soprannominato libro-idea non a caso, anche per il buon lavoro complessivo fatto dalla curatela. Infatti
predomina forse l’azione editoriale e l’idea culturale di fondo che l’anima, più che l’interpretazione di un
testo inteso solo analiticamente. Troppo ampio il preventivato spettro del possibile e dello scibile, ma in
modo sottile si recupera alfine una diversa e forse superiore unità: quella di una creazione dotata di uno
scopo unico e servita da uno stile riconoscibile.
Un’ultima notazione che può apparire del tutto personale, ma speriamo valga in un ambito che
volenterosamente si può aprire: questo breve scritto, del tutto funzionale, oltre a non vagheggiare alcun tono
trionfalistico, cosa che sarebbe patetica nell’attuale temperie, non si addentra nella casistica della possibile
aneddotica, altrimenti potenzialmente più rivelatoria e certamente più simpaticamente immediata. Perché,
nel nostro procedere complessivo, ha la lucidità di verificare, senza appannamenti e confusioni, il clinamen,
ma può e vuole ben serenamente riconoscere le meravigliose e generose capacità amicali e le indubbie
genialità dispiegate nel processo, che hanno proprio arricchito insuperabilmente la nostra vita, permettendo,
molto più che in parte, ai nostri sogni più segreti e complessi di dispiegarsi audacemente nella ventura del
mondo reale.
II - La nobile ma sterile casta culturale bipartisan... di Roby Guerra
A sinistra (cosiddetta) la casta è alla luce del Sole: da oltre mezzo secolo domina la cultura italiana, crisi o
non crisi, vulgata spesso paragramsciana (con buona e cattiva pace del grande filosofo metapolitico ante
litteram italiano!) ma anche il recente New Realism dei guru mica banali Eco, Ferraris ecc. pare riflettere
ancora il peccato originale del DNA comunista... e ideologico. Postmoderno e Internet revolution ancora
esorcizzati, quasi più perspicaci Papa Ratzinger e – in senso massmediologico... lo stesso ex premier
Berlusconi. Va da sé: anche dalle parti, invece, degli amanti del crepuscolo o dell'aurora, specularmente
qualsiasi radar non ideologico capta la medesima rimozione della Internet revolution e del postmoderno.
Certamente e tutt'oggi, a volte una bellissima anche letteratura forse meno ideologica, ma gira e rigira
sempre Spengler e il tramonto dell'Occidente in primo piano... E non come necessario e complementare
bordo dialettico e-o danzante per superare criticamente solidamente certo nichilismo minimalista, certo
stesso postmodermo liquido. Anche i migliori lanciano, quasi un tic, intermittenze evolutive, poi subito la
mano non accompagna la palla volante, Zarathustra diventa una statua di sale, anziché in Libertà e
danzante gli anni duemila: persino Veneziani e Solinas, pur eretici brillantissimi, rigira e gira,
costantemente si autospecchiano... in certo solipsismo ben visibile, in troni socialmente accreditati, fanno gli
imperatori senza esercito? In realtà anche a Destra cosiddetta, la Regina è nuda… perché combattere
captando il novum venuto alla luce? per certi spiriti/nobili ma poco corpo/liberi, più eccitante la coazione
del canto apocalittico (interiore... altro che Impero!), eterno pensiero senza azione futurista nazionale...
Tornando a Sinistra cosiddetta... specularmente afasica… oltre alla news New Realism, comunque segno
relativamente propulsivo, altre sinapsi tipologia Cacciari soffiano lievi: dal web semmai e da nuove giovani
avanguardie tecnoanarchiche o futuristiche atipiche input in progress... Va da sé: dal libro manifesto del
2011, per il nostro movimento virtuale un up-date inedito: sia una risposta riflesso non condizionati...
sintropica quasi al new realism, ma, eresia indigeribile ovunque, l'assioma quasi di un hardware davvero
irriducibile alle peraltro inerzie del Novecento ideologico, pur inerzie malware se non virus certamente
radioattive... L'anno zero, in Italy, di una mappa non spezzettabile, atomo in-divisibile persino anti-
ideologico: il territorio viene dopo e più dinamiche a venire soggettuali e non vincolanti. Metapolitica,
metacultura e soprattutto metasofia, oserei affermare. In pillole: ecco la logica del senso di questo libro
chip, scandalosamente pop-filosofico, il titolo è tutto un file di sistema o registro – strutturale alla
macchina-libro...- 3 scansioni mirate, la parola come dialogica danzante nel vettore nucleare pocanzi
anticipato come un trailer; la forma rigenerante dell'intervista o bioparola, vivente, in una specie di
nanobolero, primordicamente epidermico, in feedback facile con il libro/manifesto, nell'interfaccia
microepocale con il New Realism speculare, poi già espanso nel complementare e già “militare”
urfuturibile, fino all'oltredestra oltresinistra conclamati di innesti ex novo, linee di fuga e toccata
spregiudicata, antivirus decisivo per non confabulare oltre l'ideologico, ma sperimentarlo live... laddove,
come disse Ionesco, le parole sono fatti, anche la macchina libro desiderante!
Appunto: VS. la nobile sterile casta detrorsa/sinistrorsa, neuroni specchio avariati... Da rott-amare!
Compresi Laio, Giocasta e Edipo... Noi negli anni dieci/duemila siamo figli di Icaro e Venere, semmai, nati
nella nuova Odissea, monoliti e Hal 9000 infanti...
SCHEDE MINIME AUTORI
MAURO BIUZZI (Orvieto, 1954) scrittore, critico e artista contemporaneo, attivista antipolitico
(PDA, Partito dell'Amore, fondato nel 1991 con Moana Pozzi). Nel 1999 fonda l'Associazione
Moana Pozzi (della quale è Presidente) e l'Archivio Moana Pozzi. Nel 1980 fonda e partecipa (con
Beppe Salvia, Claudio Damiani, Arnaldo Colasanti, Marco Lodoli, Giuseppe Salvatori, Gino
Scartaghiande e altri) alla rivista Braci, la principale fonte di cultura indipendente romana di quegli
anni. (Nel n. 3 pubblica “Il Regno millenario”, il suo primo saggio di attivismo dissidente). Nel
1980 inaugura la prima galleria di Mario Diacono a Roma con una mostra antologica. Dal 1981
apre a Roma la sede dell'Arca.Propaganda, nelle cui edizioni omonime pubblica fino al 1990 i
resoconti della costruzione e posa di “oggetti a reazione politica” in luoghi simbolici di città italiane
ed estere (Parigi, Nizza, Bruxelles, il Cairo, Pechino). Nel 2005 costituisce il Premio Moana Pozzi,
alle cui otto edizioni partecipano donne italiane che hanno in Moana, pur da differenti punti di vista,
un importante riferimento per la loro vita. Dal 2008 è consulente di Sky Cinema per la fiction in due
puntate Moana. Nella miniserie Biuzzi è interpretato dall’attore Giampiero Judica. Info:
www.maurobiuzzi.it
ALESSIO BRUGNOLI (Roma, 1973) scrittore, blogger, animatore culturale. Ingegnere
telecomunicazioni e Laurea specializzazione Università La Sapienza (Roma). Ha curato con
Armando di Carlo, “La Voce Futurista” blog, cura con F. Lipari il magazine web “Quaz Art”, oltre
al blog omonimo e a “Il Canto Oscuro”. Ha partecipato (è tra i curatori) di “Futurismo 100 live”,
centenario del futurismo 2009 (Ferrara). Ha curato “Mostra Danza de Broglie” (2009, Milano, New
Ars Italica gallery), “Il Viandante e la Sua Ombra” (2011, Roma, Clac). Prossimo allo Steam Punk
e al Connettivismo. Ha collaborato con Marco Fioramanti e Night Italia magazine, con il magazine
web Equilibri Arte (Milano). Ha vinto nel 2011 il Premio Kipple fantascienza. Pubblicazioni: “Il
Canto Oscuro” (Kipple, 2012). Info: www.quazart.it
SECONDA CARTA (Ogliastra, 1972), poetessa e animatrice culturale. Ha ideato e curato gli eventi:
“Su Movimentu Poeticu Natzionali”, “Su Beranu Nou”, “Ichnos Mundu”, Moda-CulturaTradizione e Innovazione, “Su Primu Festival de Sa Sarda Poesia”. Nel 2012 tra i poeti selezionati
per la rassegna poetica web, a cura di Biblioteca Gramsciana (Ales, Oristano). Interviste e articoli
su Eccolanotiziaquotidiana (Roma). Ha pubblicato i libri “Sono canto di libertà”, “La dignità è
l'audacia delle donne”; (con l'attore e regista Antonio Ghironi), l'audio-libro (CD) “Profumo di
Ichnussa e ballate di Donne”.
Info: L'Ultima Poetessa Seconda Carta Facebook
GIUSEPPE CASALE (Roma, 1980), scrittore, filosofo e curatore libri. Dottorato di ricerca in
Storia delle dottrine politiche e Filosofia politica, collabora con le rispettive cattedre (Univ.
Sapienza, Roma). Tutor didattico per gli insegnamenti di Sociologia dei fenomeni politici e Storia
del pensiero politico contemporaneo (Univ. Guglielmo Marconi, Professore invitato di Storia e
teoria dei partiti, dei movimenti politici e dei gruppi di pressione presso l'Univ. S. Tommaso
d'Acquino-Angelicum (Roma). Membro della Scuola Romana di Filosofia politica e allievo di G.
Lami, ha curato le pubblicazioni di quest'ultimo, “Tra utopia e utopismo. Sommario di un percorso
ideologico” (Il Cerchio, 2008, Rimini) e con lo stesso Lami, “Qui ed ora. Per una filosofia
dell'eterno presente”, opera postuma (Il Cerchio, Rimini, 2011), presentato anche su RaiDue nel
2012.
Info: www.ibs.it/code/9788884742698/casale-giuseppe/qui-ora-per.html
PIERLUIGI CASALINO (Laigueglia-Savona, 1949), scrittore e critico d'arte, studioso di storia e
dell'Islam. Ha scritto su “L’Europa”, su “Il Letimbro” “in poche righe” e sul “Blog di Ennepilibri”,
“Asino Rosso”, “Riviera 24”. “Imperia News Magazine” (la rubrica “Conoscere l’Islam”).
Intervistato da Il Sole 24Ore, Oubliette Magazine... Ha pubblicato “Il Tempo e la Memoria”, che
descrive le vicende del padre Casalino Michele, sottufficiale dei Carabinieri, durante la Seconda
Guerra Mondiale. Si è occupato del Futurismo durante le celebrazioni del centenario della
pubblicazione del Manifesto di Marinetti, oltre che del messaggio del pittore inglese William Blake.
Ha pubblicato anche gli eBook, “L'Uomo Futurista e Il Sogno del Futuro”, “Verso la Primavera
Islamica” (Futurist Editions, 2011 e 2012). Info: http://casalinopierluigi.bloog.it
GRAZIANO CECCHINI (Roma, 1953) Futurista, performer, netpittore/fotografo, videoartista, già
assessore al nulla e alla giustizia al Comune di Salemi con Vittorio Sgarbi e Oliviero Toscani.
Performances: “2007, Fontana Rossa di Trevi”; “2008, Palline Piazza di Spagna; “2008, Blitz Fiera
del Libro Torino”; “2008, Free Tibet, Roma”; “TramVia Firenze” Giubbe Rosse; Mostre: “La Vita
non ha colori” (Mostra fotografica sui Karen e il Tibet); “Salemi/Trapani/Palermo”, “Omaggio a De
Chirico” (AA.VV. Roma-New York-Miami-Los Angeles), “Ma-Donna...” (Roma, 2012). Video: ha
partecipato a “The Scientist” 2008 e 2009 (Video Festival Internazionale Ferrara, a cura di Ferrara
Video&Arte). Grandi eventi: “Futurismo 100 Live Ferrara Centenario del Futurismo Ferrara”,
Ferrara 2009. Biografie: “Rosso Trevi on the Moon” (Webgrafia 2009, a cura di Roberto Guerra,
Futurist Editions). Su Graziano Cecchini hanno scritto tra gli altri il New York Times, La
Repubblica, Il Giornale, Corriere della Sera, L'Altro, Fondo Magazine, Il Tempo La Storia,
Estense.com.
Info: http://ilfuturistamagazine.blogspot.com
VITALDO CONTE (Roma, 1949, Catania) critico e curatore d’arte, scrittore e artista-performer,
docente Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti, Catania e Roma. Ha partecipato a centinaia di
eventi e convegni in Italia e all’estero. Ha pubblicato: “Nuovi Segnali” (Antologia sulle poetiche
verbo-visuali italiane negli anni ‘70-’80), Maggioli Ed., Rimini 1984; “Dispersione”, Ed.
Pendragon, Bologna 2000; “Storie di Danger Art”, Gepas, Avola 2008; “Pulsional Gender Art”
(Avanguardia 21, 2011), “Pulsional Trans Art” (Gepas, 2012, AA.VV.) “ Pulsional Ritual Art” con
Giovanni Sessa (Gepas, 2013, AA.VV.), etc.. Mostre: “Malìe plastiche”, Museo Civico, Foggia;
Castello Carlo V, Lecce; 2002 – “XIV Quadriennale / Anteprima”, Palazzo Reale, Napoli 2003-04 –
“Julius Evola”, Castello Aragonese, Reggio Calabria 2005-06 – “Mistiche bianche”, Castello
Aragonese, Reggio Calabria 2006 – “DonnaArte,” Centro Fieristico, Trepuzzi 2007 – “Body
Writer”, Le Ciminiere, Catania 2009 – “Rosa Lussuria / Ultime riviste futuriste)” e “Eros Parola
d’Arte- (Julius Evola / Carte-desiderio)”, Biblioteca Prov.le “N. Bernardini”, Lecce 2010.
Info:www.vitaldix.com
DACO (Belluno, 1971) artista contemporaneo e digitale, su SL, poeta d'avanguardia, vissuto tra la
Germania a Heidelberg, e l'Italia, Belluno. (Second Life) Metaverse (SL Art Exposed, 2013).
Mostre: 2009 Esposizione d'arte e presentazione nel libro "Zoldo nell'arte" dello scrittore
Michelangelo Corazza; 1991 Esposizione d'arte alla Comunità Montana di Longarone; 1989
Esposizione d'arte al centro culturale “Al Piodench”, (Collettiva); AA.VV. “Polvere di Stelle”
(RistoArte Margutta, Roma, 2012); a cura di F. Barbi e T. Vannini. Pubblicazioni: Daco, Poesie
'80/'90 (eBook, Futurist Editions on line, 2012).
Info: http://dacostantin.wordpress.com/
FRANCESCA DE CAROLIS (Palestrina-RM, 1978), giornalista, responsabile sezione cultura,
eventi e spettacolo per il quotidiano online www.eccolanotiziaquotidiana.it, co-responsabile per la
sezione sportiva; laureata in giurisprudenza nel 2004, abilitata all’esercizio della professione
forense dal 2007, ex senior and business consultant nel settore automobilistico, impiegata nel
settore del pubblico impiego dal 2010. Si interessa di comunicazione e web marketing dal 2012
collaborando con associazioni attive sul territorio di Roma e Provincia. Presidente dell’associazione
di promozione sociale “CAVEinTOUR”, che si occupa della valorizzazione e promozione del
territorio dei Monti Prenestini. Info: www.eccolanotiziaquotidiana.it
EMILIO DIEDO (Camponogara-Venezia 1956, Ferrara), poeta, saggista, autore di romanzi,
racconti, fiabe e testi teatrali e critico letterario, promotore della poesia cosmica. Collabora con
giornali, case editrici e riviste culturali (Literary, Padova). Ha partecipato alla "Biennale d’arte
contemporanea Città di Roma-Jubilaeum 2000", vincitore per la letteratura (poesia visiva, poesia,
racconto, romanzo, editi ed inediti). È socio fondatore del Gruppo Scrittori Ferraresi. È ideatore e
segretario del Concorso letterario nazionale "San Maurelio". Ha diverse pubblicazioni al suo attivo:
per il teatro “Madama Etron” (Este Edition, 2006); per la poesia: “Mea culpa” (1995, primo premio
assoluto Noi e gli altri, 1996); “Risorgeremo” (1996, autoproduzione); “Tra mille e più” (1996,
autoproduzione); “Fotoni” (1997); “Le ebbrezze di Chronos” (Este Edition,1999 premio selezione
“Janus Pannonius 2000”); “Sbarchi d’arche” (Este Edition, 2001); “La Fiamma sulla Croce” (Este
Editon, 2002); per la narrativa: “Lettera dal paradiso” (1997, due edizioni, primo premio “Valle
Senio, 2004). Info: www.literary.it
ZAIRO FERRANTE (Acquara-Salerno, 1983, Ferrara), medico, poeta e scrittore. All’età di 19 anni
si trasferisce a Ferrara dove consegue la laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Ateneo cittadino.
Nel 2009 ha fondato il “DinAnimismo” ovvero (Movimento Poetico/Artistico Rivoluzionario Delle
Anime) già ufficialmente riconosciuto come avanguardia da una parte della critica letteraria. Alcune
sue poesie sono state tradotte in Inglese, Spagnolo e Francese. Ha pubblicato (prosa e Poesia)
“D’amore, di sogni e di altre follie” (Este-Edition 2009) segnalato per le vendite da diversi
quotidiani e riviste; (e-book) “Dinanimismo (Movimento Poetico Rivoluzionario delle Anime)
ovvero connettivismo poetico” (2009) ed ha curato l’e-book-raccolta “La poesia come voce
dell’anima ovvero l’Anima in personal” (2010) entrambi consultabili gratuitamente on-line
(“Futurist Editions” ). “I bisbigli di un’anima muta” è il suo ultimo libro, per CSA Editrice (2011).
Segnalato da Il Giornale (Mensile Style, Voglia di Libertà), Fondo Magazine ecc. Info:
http://zairoferrante.xoom.it
ALBERTO FERRETTI (Ferrara, 1961). E’ figlio di Carlo, il noto politico ferrarese che fu tra i
fondatori a Ferrara dell’MSI e successivamente di An. Imprenditore informatico, scrittore storico
alternativo, musicista (suona Acid Jazz e Funky con la Band Acid AreA), politico e politologo. Ha
collaborato per diversi anni con il Centro Culturale Lepanto di Roma, Anti ’89, TFP e diverse altre
associazioni storico-politico-culturali, italiane ed estere. Membro dell'associazione storico
medievale Antica Ferraria. Ha pubblicato (a cura di) “L’Avvento del Fascismo. Cronache
Ferraresi...” di Forti-Ghedini, libro raro e prezioso, che, per l’interesse storico e sociologico
riconosciutogli, fa parte della Biblioteca della Fondazione Istituto gramsci per gli studi storici; “La
Guerra Italo- Turca,1911-1912, dal diario dell’Ufficiale dei Regi Carabinieri Angelo Masotto”
(Voucanprint, 2012). Info: www.albertoferretti.it
ANTONIO FIORE (Segni-Roma,1938), artista contemporaneo, neofuturista. Ha collaborato con
Sante Monachesi - Movimento Agrà - “Futurismo-Oggi” (Produzione artistica): anni 70...
“Quadri – messaggio”,...le “Battaglie cosmiche” (quadri + acciaio). (Mostre) Dal 1980: 60 mostre
personali, TV, Radio ecc., Museo Nazionale degli Strumenti Musicali – Roma (2008) ; (2009)
Centenario del Futurismo ( Galleria Vittoria – Roma. Pubblicazioni) : “Storia dell’Arte Italiana del
900 – Generazione Anni Trenta” (vol. 5°), “Sironi gli anni del consenso e del primato tra futurismo
e metafisica” e “Boccioni dal Meridione all’Europa” a c. di L. Tallarico, (Belriguardo di Ferrara);
Catalogo “Futurismo e Sua Eredità” a c. di Leo Strozzieri per Museo Barbella, Chieti; (1999) ,
Catalogo “Antonio Fiore: Dal Neofuturismo Agrà alla Cosmopittura” (Gangemi Perugia, mostra,
2012, a c. di M. e F. Duranti, A. Baffoni. (Monografie) : “Antonio Fiore un futurista d’oggi”,
(Edizioni Bora), testi di R. Bossaglia e G. Di Genova. Hanno scritto sulla sua opera, oltre gli artisti
futuristi E. Benedetto, S. Monachesi, O. Peruzzi, molti critici, tra gli altri , C. F. Carli, R. Civello,
M. Duranti, G. Lista, Vittorio Sgarbi (tra gli artisti partecipati alla Biennale di Venezia, 2012, a
cura di quest'ultimo).
Info: www.antoniofiore.it
SYLVIA FORTY (1957, Ferrara). Poetessa, scrittrice gossip e animatrice culturale, a suo tempo
allieva di Roberto Pazzi, nipote del celebre commediografo in vernacolo ferrarese, Arturo Forti. Ha
collaborato con alcune riviste ferraresi e curato con altri le rassegne “Tiffany Art Club”
(Multimediale) e “Succhi d’Essenze” (Letteraria), sempre nella città estense. Ha partecipato (clip
“Moon Girl”) a “Futurismo 100 live”. Collabora con il giornale blog futurista Asino Rosso. Ha
pubblicato la raccolta poetica “Biancaneve a New York” (Este Edition, 20002); alcuni testi in
“AA.VV. La Prima Donna sulla Luna”, (La Carmelina, 2006); “Schegge di Utopia” in AA.VV. (La
Carmelina, 2007), in “Dinanimismi” (Asino Rosso compleanno one-eBook Futurist Editions, 2010);
in AA.VV. “Per una Nuova Oggettività –Libro/Manifesto” (Heliopolis, 2011).
Info: http://guide.supereva.it/ferrara/interventi/2011/01/intervista-alla-poetessa-sylvia-forty
MARCELLO FRANCOLINI (Firenze, 1984, Salerno), critico d'arte, curatore e attore (mimo)
teatrale (Compagnia Teatro/Finzione/Realtà, studi a Napoli con M. Monetta); laurea in Storia e
Critica dell’Arte presso l’Università Degli Studi di Salerno. Ha curato, con altri la rassegna
“Futurismo 3000” e poi “CorpoComune” a Salerno (2012) e in Albania, Tirana, un seminario sul
futurismo (2013), segnalato sul Corriere della Sera.
Info: Futurismo 3000 youtube canale ombramf
MAURIZIO GANZAROLI (Ferrara, 1969), scrittore noir e neofuturista, pittore e artista
multimediale. Collabora con il regista di cortometraggi Alberto Rizzi, il fotografo di moda Gianluca
Evangelisti e il poeta blogger Roby Guerra. Ha realizzato diverse videopoesie, anche corti per artisti
vari. Cura la webzine “Sands from Mars” . Ha partecipato a “Mostra Danza de Broglie” (2010,
Milano, Galleria News Ars Italica, Alivo' (Roma, 2013). Ha partecipato alla mostra collettiva
“Futurismo Renaissance” (Ferrara, 2007). Ha pubblicato (fantascienza), (2005). Nel 2007 con il
racconto di fantascienza “L’ultimo uomo” è incluso in AA.VV. Schegge d’utopia, 37 scrittori
Ferraresi (La Carmelina, 2007), volume segnalato da Il Sole 24Ore e Futureshock (Bari, a c. di A.
Scacco). Ha edito gli eBook “Premio Pulizer" e Ombre di Metallo" (Futurist Editions on line). E'
ricercatore culturale per i laboratori dei transumanisti italiani. Info: http://blog.libero.it/Aradia
SANDRO GIOVANNINI (Pesaro, 1947) Ha fondato il Centro Studi Heliopolis; storica la consegna
a Borges, ospite dell’Heliopolis di Pesaro, nel 1977, del Premio Labirinto d’Argento. Nel 1979 dà
vita al Movimento Poesia Tradizionale-Vertex, fino al 1991. Da metà degli anni ‘90, fino al 2009
ha curato la rivista “Letteratura-Tradizione”. Ha pubblicato: Terra di cieli, poesia 1960-1970,
inedito; Tratti dall’ombra, poesia 1970-75, La Grafica, autoedizione; Guardie, poesia 1976, I
quaderni di Heliopolis, 1980; La sabbia e le piramidi, poesia 1975-77, I quaderni di Heliopolis,
1980; Kalisuite, poesia 1977-79, I quaderni di Heliopolis, 1983; Atemporale, varia, 1985, Edizioni
Casa della Poesia, 1985; Carme si-no, poesia, 1985, rivista “Parsifal”, anno III, n° 19, GennaioFebbraio 1986; Il piano inclinato, poesia, 1981-1995, Heliopolis Edizioni, collana Tabulae, 1995;
L’armonioso fine. Critica letteraria e metapolitica, SEB, Milano, 2005; Poesie complete (19602006), Heliopolis Edizioni, 2007. Ha curato (e partecipato) a “AA:VV. Per una Nuova Oggettività Libro/Manifesto, Heliopolis Edizioni, 2011.
Info: www.sandrogiovannini.com
GIOVANNA GUARDIANI (Sanremo 1959, Pescara),scrittrice e insegnante. Pubblicazioni: “Un
dono per me e per te” (2012, Montag), ben segnalato dalla critica (Spigoli&Culture magazine etc.),
suo esordio letterario. “Per vivere bene”, dice Giovanna, “occorre, oggi più che mai, stare molto
attenti a ciò che sfiora i nostri sensi e il nostro cervello”. E' con questa filosofia che ha scritto la sua
opera prima. Se ciò che si tocca, si ascolta, si osserva, si pensa, permette di entrare in contatto con
la " Bellezza" e di allietare il proprio interno, allora, ogni essere umano scoprirà e potrà dire che
vivere è meraviglioso e tale scoperta è un dono per tutti. Info: Giovanna Guardiani Facebook.
ROBY GUERRA (Ferrara, 1960), scrittore, videopoeta e blogger, ha pubblicato: (Raccolte
poetiche) “Opere Futuriste Complete, 1983-2000”, Nomade Psichico, 2000); (Saggi futuribili) “Il
Futuro del Villaggio. Ferrara città d'arte del 2000”, Liberty House, 1991; “Marinetti e il Duemila”
“L'Immaginario Futurista” (*entrambi, Schifanoia, 2000); “Futurismo per la nuova umanità. Dopo
Marinetti...” (Armando, 2012; Saggi di critica letteraria); “La città lunare”, Este Edition, 2006;
“Dizionario della letteratura ferrarese contemporanea”, Este Edition, eBook, 2012; (Fantascienza)
“Moana Lisa cyberpunk”, (EDS, 2010); oltre a “AA.VV. Divenire 3 futurismo” (Sestante, 2009) e
“AA.VV. Divenire 4” (Sestante, 2011), entrambi a cura di R. Campa; “AA.VV. Per una Nuova
Oggettività – libro/manifesto (Heliopolis, 2011), a cura di S. Giovannini e altri. Membro di FTM
Azione Futurista (di Graziano Cecchini), Netfuturismo, Movimento Nuova Oggettività e AIT
(Associazione Italiana Transumanisti), cura il giornale blog Asino Rosso e l'editing on line Futurist
editions. Info: http://futurguerra.blogspot.com
GIUSEPPE MANIAS (Oristano, 1969, Ales). Col fratello Luigi gestisce la Biblioteca Gramsciana.
Nel 2007 ha curato per i Quaderni Tresso nel n. 60 la bibliografia all' unico discorso parlamentare di
Antonio Gramsci e nel n. 63 della stessa rivista ha pubblicato, con un’introduzione di Aldo
Borghesi, due suoi saggi dal titolo “Antonio Gramsci e il movimento anarchico nel periodo de
L’ordine Nuovo” e “Camillo Berneri tra Antonio Gramsci e Carlo Rosselli”. E spesso impegnato in
convegni e in attività divulgative nelle scuole sul pensatore alerese. Recentemente ha ospitato a
Ales, Biblioteca Gramsciana, lo storico Emilio Gentile, l'illustratore Marco Lorenzetti, oltre a
diverse iniziative culturali, spesso dedicate a Gramsci, letterarie e d'arte contemporanea. Info:
Biblioteca Gramsciana Facebook
PAOLO MELANDRI (Faenza, 1974), scrittore e musicologo, docente liceale a Faenza, laurea in
Filologia (studi con Italo Mariotti), saggi su Ennio editi su varie e prestigiose riviste; oltre a
numerosi articoli dedicati ai rapporti intertestuali tra autori recenti e antichi, con una predilezione
per Petrarca, Pascoli e D’Annunzio; collabora con alcune delle più importanti riviste italiane di
filologia e di letteratura. Diversi inediti, inoltre, poesie e saggi nel blog magazine Nuova
Oggettività, del cui movimento è aderente. Ha pubblicato (Poesia): “Canti della Stagione Alta”,
(Nightingale’s, a cura di A. Cappi e con illustrazioni di C. Reggiani), 2000; “Novellette” (Casanova
Editore, 2006); “ Il fiore di Calliope” (Campanotto Editore, 2007); “Nell’anima” (Quattordici
poesie di Paolo Melandri, musicate da Histrix e illustrate da Cesare Reggiani, Mobydick, collana
“L’immaginario”, 2010). È membro del “Comitato Scientifico per l’Edizione Nazionale delle opere
di Giovanni Pascoli”. (Saggistica): “La Cetra scordata” (La Carmelina, 2013), su Mozart;
“AA.VV. Per una Nuova Oggettività – Libro/Manifesto”, (Heliopolis 2011).
Info: www.paolomelandri.com
MARIA ANTONIETTA PINNA (Sassari,1972, Roma), laureata in materie letterarie, specializzata
in criminologia clinica e psicopatologia forense con lode. Esperta di libri antichi e moderni. Ha
pubblicato “Dalle galee al bagno al carcere”, 2010, Armando Siciliano Editore. “Io vedo!” (racconto
tratto dal libro L’occhio clinico) è stato pubblicato dalla rivista siciliana Notabilis, nonché da vari
blog letterari e siti web; “Il morto, ovvero tutta colpa del polistirolo”, Antologia Quinto colore
racconta l’Italia; “Fiori ciechi”, (narrativa) prefazione di Sonia Argiolas, settembre 2012, Annulli,
“Mister Yod non può morire”, (teatro), prefazione di Alfonso Postiglione, La Carmelina edizioni,
novembre 2012. “Lo Strazio”, poesie noir, Marco Saya Edizioni, gennaio 2013. Cura il sito/blog
colllettivo Destrusturralismo e altro, collabora con il blog e web-magazine Sul Romanzo in qualità
di pubblicista e con il blog di Bartolomeo di Monaco. Curatrice della collana di filosofia esoterica
per Alberto Niro editore. Info:http://controcomunebuonsenso.blogspot.it/
RICCARDO ROVERSI (Ferrara, 1956), laurea in Lettere e Direttore editoriale della casa editrice
“Este Edition”, è giornalista pubblicista, direttore responsabile di alcuni periodici e critico letterario
e teatrale per varie testate (anche on-line). Suoi testi, editi e inediti, sono apparsi in numerose
pubblicazioni (antologie, periodici, riviste), sia italiane che straniere. Già collaboratore di
“Futurismo-Oggi”, segnalato dall'editoria nazionale (intervista e capitoli in Futurismo per la Nuova
Umanità, R. Guerra, Armando editore, Roma, 2012). Pubblicazioni: l’atto unico “Periplo di
millennio” (Este Edition, 2001), più volte rappresentato a cura della regista parigina Alexandra
Dadier; la raccolta di prose e dialoghi dal titolo “Souvenirs” (Este Edition, 2005); il florilegio di
fotografie rielaborate al computer di “Album” (Este Edition, 2007); e la silloge di racconti e
illustrazioni “I gatti turchini” (Este Edition, 2010). “50 Letterati dal 1400 a oggi” (Este Edition,
2012), sulla letteratura ferrarese. “AA.VV. Per una Nuova Oggettività – Libro/Manifesto”,
(Heliopolis, 2011). Info: www.riccardoroversi.com
ANTONIO SACCOCCIO (Roma, 1974), ricercatore ciberculturale compositore, scrittore,
net.artista, (Università Tor Vergata, Roma). Ha pubblicato: AA.VV. Manifesti Netfuturisti
(Avanguardia 21); (riviste) numerosi articoli e saggi sul Futurismo, ha partecipato a conferenze,
convegni e rassegne nazionali e internazionali (Università degli Studi di Genova, Rutgers
University, Università Roma Tre, Universidad Complutense de Madrid, Università di Foggia, Carl
von Ossietzky Universität Oldenburg, NeMLA, Usa ecc.) anche in altri centri di cultura (Musei
Capitolini di Roma, Conservatorio “A. Casella” di L’Aquila, Eur Palazzo dei Congressi, Klaviere
Backaus di Brema). Ha curato “Eredità e attualità del futurismo” (Roma, 2013). Fondatore del
Net.Futurismo, tra i curatori della casa editrice Avanguardia 21, è autore di composizioni letterarie
liriche e parolibere, oltre che di diversi manifesti programmatici, pubblicati in volumi
internazionali. Ha realizzato numerosi brani elettrorumoristici, opere concettuali e installazioni
multimediali esposte in diversi eventi nazionali. Info: http://liberidallaforma.blogspot.com
FRANCESCO SACCONI (Perugia,1975). Ha conseguito la Maturità Classica a Perugia nel giugno
1994 e la laurea presso l’Ateneo di Perugia nel giugno 1999 con votazione massima, per la tesi
intitolata “Il recupero del nulla nell’ontologia del ‘primo’ Heidegger”. Ha frequentato corsi
d’abilitazione e master ed è docente a tempo indeterminato per la scuola secondaria di primo grado
dal 2008. I suoi interessi vertono sul rapporto tra mondo della scuola e mondo del lavoro,
sull’orientamento degli allievi agli studi e loro avviamento professionale, sulle tecniche di
marketing e di comunicazione, sull’educazione all'interculturalità e alla cooperazione internazionale
e sulla didattica e pedagogia. Pubblicazioni: “AA.VV. Per una Nuova Oggettività –
Libro/Manifesto”, Heliopolis 2011.
Info: http://nuovaoggettivita.blogspot.com
FABIO SCORZA (San Lucido-Cosenza, 1984, Lucca), scrittore e filosofo, viandante postmoderno.
Ha vissuto in diverse regioni d'Italia e successivamente: in Francia, a Marsiglia; in Spagna fra
Ayamonte e Malaga; in Germania fra Berlino e Monaco. Ha viaggiato in diversi paesi quali:
Portogallo, Austria, Svizzera, Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania e Senegal. Ha pubblicato il
romanzo filosofico, “Pensiero dinamico, elogio al dubbio (La Caravella, 2012), con notevole
riscontri critici. Info: Fabio Scorza, blog.
GIOVANNI SESSA (Milano, 1957, Alatri-FR), scrittore e filosofo, docente di filosofia e storia nei
licei, già assistente presso la cattedra di Filosofia politica della Fac. di Sc. Politiche dell’Università
“Sapienza” di Roma e già docente a contratto di Storia delle idee presso l’Università di Cassino.
Suoi scritti sono apparsi nei saggi “Il maestro della Tradizione. Dialoghi su Julius Evola”,
Controcorrente, Napoli 2008; “Studi Evoliani 2008” - “Studi Evoliani 2009” - Studi Evoliani 2010I, (Arktos, Carmagnola); “Il pensiero di Eric Voegelin a 50 anni dalla pubblicazione di ‘Ordine e
Storia’”, Franco Angeli, Roma 2011; “AA.VV. Per una Nuova Oggettività - Libro/manifesto”,
Heliopolis, 2011. (Con V. Conte...) “Pulsional Trans Art”, Gepas, Avola 2012; “Pulsional Ritual
Art”, Gepas, Avola 2012. Ha pubblicato la monografia “Oltre la persuasione. Saggio su Carlo
Michelstaedter”, Settimo Sigillo, Roma 2008. Sue sono le prefazioni dei seguenti volumi: Guy
Hermet, L’inverno della democrazia o il Nuovo regime, Settimo Sigillo, Roma 2010; A. de Benoist,
Come si può essere pagani?, Settimo Sigillo, Roma 2011; G. Gorlani, Il Filo Aureo, La Finestra
editrice, Lavis 2012; A. de Benoist, “Visto da destra”, Settimo Sigillo, Roma 2013 (in uscita). In
uscita, ancora, presso Bietti: La Meraviglia del Nulla. La filosofia di A. Emo, primo lavoro organico
sul filosofo veneto. E’, inoltre, segretario della Scuola Romana di Filosofia politica e portavoce del
movimento di pensiero “Nuova Oggettività”. Info:
http://nuovaoggettivita.blogspot.it/2011/07/giovanni-sessa-nota-bio-bibliografica.html
LUIGI SGROI (Milano 1961), laurea in lettere e filosofia - sez. comunicazione Univ. Bologna,
collabora e lavora in ambito artistico. Si interessa alle vie del corpo, spaziando dal teatro
d'avanguardia, al mimo classico, al buddhismo zen e, infine, alle varie forma di yoga. Oggi
presiede una associazione internazionale di yoga, studio e ricerca, con sede in Italia. Ha curato a
Milano la presentazione di “AA.VV. Per una Nuova Oggettività - Libro/Manifesto”, Heliopolis
2011, (è tra gli autori dello stesso Libro/Manifesto). Info: http://nuovaoggettivita.blogspot.com
LUCA SINISCALCO (Milano, 1991) studente di Filosofia presso l’Università degli Studi di
Milano, è redattore di Luukmagazine, per cui si occupa di arte nazionale ed internazionale, e
collabora con la rivista Antarès - tra i labirinti della Modernità, (Bietti, Milano, Andrea Scarabelli e
altri…). I suoi principali interessi si articolano attorno a nuclei tematici di Storia delle idee,
Estetica, Filosofia politica, Antimodernismo, Cultura classica e tra neonietzschianesimo e pop
filosofia. Interviste su Eccolanotiziaquotidiana (Roma).
LUIGI TALLARICO (Crotone,1926, Roma), ove esercita la professione di avvocato. Critico e
giornalista, da lungo tempo redige le pagine d’arte di un quotidiano politico romano. Oltre a
numerosi saggi, in riviste e giornali, su letterati, pittori e architetti del nostro tempo, ha
pubblicizzato monografie sui protagonisti del pensiero e della cultura contemporanea, nonché i
volumi: “Verifica del futurismo” (Volpe, Roma, 1970); “Le cento anime di F.T. Marinetti” (Cartia,
Roma-Siracusa, 1977); “Per una ideologia del futurismo” (Volpe, Roma, 1978); “Avanguardia e
Tradizione” (Volpe, Roma, 1981), “Boccioni” (Parallelo 38, Reggio Calabria, 1985); “Gli anni del
consenso e del primato tra futurismo e metafisica” (1993 e 1997); “Boccioni-dal Meridione
all’Europa”, (entrambi Belriguardo di Romolo Magnani, Ferrara); “Futurismo nel suo centenario:
la continuità” (Congedo editore, 2009); “AA.VV. ‘I Futuristi’ a cura di Francesco Grisi (Newton
Compton, 1990) - e diversi altri.
Segretario nazionale del Sindacato Liberi Scrittori (in precedenza lo stesso Grisi), Luigi Tallarico è
stato tra i promotori di Futurismo Oggi (Roma), periodico a cura di Enzo Benedetto (lo stesso
Antonio Fiore Ufagrà, Vitaldo Conte e i ferraresi Roberto Guerra e Riccardo Roversi, tra i
collaboratori) e oggi cura il Centro Futurismo Oggi (Roma). Ha realizzato 23 convegni studi nella
Sala del Senato della Repubblica a Roma, sulla cultura italiana del ’900. Medaglia d’argento del
Ministero dei Beni Culturali e Premio Speciale 2001 della Presidenza del Consiglio dei Ministri per
la critica d’arte e per i benemeriti della cultura.
STEFANO VAJ (Milano, 1960) dirigente dell’Associazione Italiana Transumanisti, noto
professionista milanese e già docente all’Università di Padova. Ha pubblicato “Biopolitica”, SEB,
2005, Milano. “Dove va la biopolitica?”, Settimo Sigillo, 2008, Roma. AA. VV. Divenire I-V; Ha
collaborato e-o collabora con La Gazzetta Ticinese, Nouvelle Ecole, La Padania, LetteraturaTradizione, Rinascita, Transumanar, Dissenso, Il Candido. Traduttore (ad esempio di Il sistema per
uccidere i popoli di Guillaume Faye, curatore (ad esempio di Definizioni di Giorgio Locchi). Già
responsabile italiano del Sécretariat Etudes et Recherches del Groupement de Recherche et Etudes
pour la Civilisation Européenne (GRECE) e segretario del circolo milanese Quarto Tempo, ha
animato con Faye il Collectif de Réflexion sur le Monde Contemporain, ed è oggi consigliere
nazionale dell’Associazione Italiana Transumanisti e membro dell’associazione culturale Terra
Insubre. Info: www.divenire.org