AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA: questioni sulla
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AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA: questioni sulla
AGGIORNAMENTI IN MEDICINA VETERINARIA: questioni sulla legislazione veterinaria Diagnosi caso 1: Ruolo del veterinario come consulente nel contenzioso per risarcimento danni da vizio nella compravendita di animali Quesito n. 1 Il consulente, nell’espletamento del suo incarico, deve eseguire rilievi e accertamenti su tutti gli elementi disponibili in merito al decorso clinico della malattia, il percorso diagnostico e i risultati dell’autopsia, al fine di evincere la conferma dell’ipotesi diagnostica di malattia infettiva sospettata e confermare se la stessa sia riconducibile anche alla causa di morte. La consulenza tecnica, per corrispondere alla finalità di costituire uno strumento di valutazione tecnico-scientifica che sia ammissibile anche in giudizio deve essere redatta in forma di relazione in cui il veterinario consulente individua lo schema di suddivisione in: preambolo, parte analitica, parte sintetica e conclusione, aggiungendo l’epigrafe e le indicazioni relative all’udienza di conferimento dell’incarico, qualora rivesta il ruolo di CTU. E’ fondamentale che nel testo il consulente non esprima opinioni personali o giudizi. Quesito n. 2 Al fine di collegare i fatti alla relativa rilevanza giuridica, il consulente deve fare riferimento ai fatti stessi e alle risultanze dei propri rilievi e accertamenti tecnico-scientifici, evidenziandone con precisione la cronologia, con particolare riferimento all’accertamento del vizio e al momento della relativa scoperta, anche solo a livello di sospetto diagnostico, così da rendere evidenti gli estremi di applicabilità o non applicabilità dell’istituto della garanzia previsto dal codice civile nella compravendita di animali e supportarla. Per la quantificazione del valore dell’animale, dovrà tenere conto dei diversi elementi incidenti oltre al prezzo pagato per l’acquisto, con riferimento alle conseguenze del vizio sulla “funzionalità” del soggetto, in senso assoluto e in rapporto alla finalità per cui lo stesso era stato acquistato, tenendo in considerazione anche l’eventuale perdita di utile economico che avrebbe aggiunto al suo patrimonio se il danno (vizio) non si fosse verificato e la possibilità di richiedere al giudice la quantificazione del danno non patrimoniale in caso di animale d’affezione. Diagnosi caso 2: Responsabilità civile del medico veterinario nell’esercizio della professione Il medico veterinario aveva certificato lo stato di gravidanza della cavalla dell’Azienda Agricola (…). Tale pratica professionale si configura come routinaria e priva di speciale difficoltà. A distanza di 22 giorni aveva poi sottoposto la stessa fattrice a un ulteriore accertamento diagnostico, da cui era emerso che era “vuota”. I giudici di primo grado e di appello non hanno considerato il fatto che a una successiva verifica la fattrice fosse stata riscontrata “vuota” sufficiente a provare l'erroneità della precedente diagnosi, accogliendo la tesi che la differente condizione dell'animale poteva trovare spiegazione anche in un aborto spontaneo e non considerando il contenuto contrastante delle due certificazioni prodotte dalla veterinaria. Ciò non soddisfa la regola della ripartizione dell'onere probatorio tra cliente e professionista prestatore d'opera intellettuale, ai fini della responsabilità per difettosità o inadeguatezza della eseguita prestazione. I giudici avrebbero, infatti, dovuto porsi il problema della dimostrazione della tesi dell'aborto spontaneo da parte del medico veterinario e non basare la propria decisione sulle mere congetture proposte dallo stesso medico veterinario (il dato della comune esperienza, che semplicemente suggeriva il possibile aborto spontaneo). Di fatto, non è stata giustificata la contraddittorietà dei due certificati che la veterinaria aveva rilasciato. Così facendo hanno posto l’Azienda Agricola nella condizione di dover provare il non avvenuto aborto, con conseguente inammissibile inversione dell'onere probatorio (spetta al professionista l’onere di escludere ogni addebito di imperizia oppure di fornire la prova che l’esito indesiderato sia stato causato dal sopravvenire di una particolare, imprevedibile condizione fisica del paziente). Il medico veterinario, inoltre, avrebbe dovuto, in occasione della seconda visita, accertare con le proprie cognizioni in materia, se esistessero nell'animale segni di una interruzione della gestazione, che avrebbero inequivocabilmente confermato la correttezza della prima certificazione (dovere di diligenza ex art. 1176 c.c.). Infatti, per poter essere introdotte nel processo, le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza devono essere conoscenze acquisite dalla collettività, con tale grado di certezza da apparire indubitabili e incontestabili. Diagnosi caso 3: Cartella clinica:si o no In tema di responsabilità professionale veterinaria, la disponibilità di una relazione/cartella clinica è rilevante. Tale documento deve essere veritiero e il più possibile completo in ogni sua parte e ogni annotazione e/o omissione può assumere importanza per un eventuale giudizio. Sulla base del più recente orientamento della Cassazione, però, il fatto che la cartella non sia sufficientemente dettagliata non consente di per sé di presumere che anche il comportamento del medico sia stato manchevole (negligente). Al cliente che si ritenga danneggiato si richiede la produzione di elementi che confermino il nesso causale tra l’evento dannoso e la condotta del professionista. In mancanza di fatti e/o prove documentali in tal senso, non si può dedurre dalla sola lacunosità della relazione clinica disponibile un’inadempienza del professionista né tantomeno stabilire che proprio a tale presunta inadempienza sia conseguita la produzione del danno lamentato. Pertanto, nel caso descritto, la sola disponibilità di una cartella clinica, per quanto non dettagliata, non può essere considerata sufficiente di per sé sola a consentire al proprietario della cagna partoriente di ottenere la condanna della equipe veterinaria per responsabilità professionale a seguito della morte dei tre cuccioli. Diagnosi caso 4: Danno cagionato da animale in un ambulatorio veterinario In base all’art. 2052 c.c. per danno causato da un animale sono chiamati a rispondere, in alternativa tra loro, il proprietario o l’utilizzatore dell’animale stesso, qualora il danno in oggetto si sia verificato mentre quest’ultimo lo aveva nella propria sfera di uso. Per l’applicazione del disposto al caso in esame, è necessario, dunque, valutare se la posizione del medico veterinario curante, nel tempo in cui abbia nella propria disponibilità l’animale per l’esecuzione della propria prestazione professionale, sia riconducibile a quella di “utilizzatore” del cane morsicatore. In merito, rileva l’osservazione che la posizione dell’affidatario per motivi di cura è tuttora controversa. La giurisprudenza, infatti, si divide sul suo riconoscimento quale “persona facente uso dell’animale” nel senso previsto dall’art. 2052 c.c. Non è univoca, cioè, l’interpretazione del compenso professionale quale utile ricavato dall’animale, assimilabile a quelli di cui gode il proprietario. Peraltro, la giurisprudenza più recente si ritiene che sia riduttivo non considerare l’ampio potere di governo e gestione che, di fatto, esercita chi assume la custodia di un animale, anche quando ciò avvenga per motivi di cura. Ne deriva il passaggio di responsabilità, da cui il professionista potrà liberarsi dimostrando il caso fortuito, la forza maggiore o di non aver potuto impedire il danno. In particolare, dunque, potrà evitare l’obbligo risarcitorio solo provando di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. Nel caso in esame, non risulta, ad esempio, che sia stata applicata la museruola al cane. Non si evince se sia stata eseguita una preventiva anamnesi, anche comportamentale, del cane paziente. Né si può affermare che un medico veterinario non possa prevedere che un cane manifesti reazioni improvvise alle manualità di visita clinica o che un proprietario non sia in grado di contenere il proprio animale in modo corretto e sicuro. Peraltro, rileva anche il presupposto che la responsabilità per il danno cagionato da un animale grava sul proprietario o su colui che se ne serve in forma alternativa, ma soltanto nei confronti dei terzi. Il medico veterinario, quindi, dovrà sopportare le conseguenze del danno. Diagnosi caso 5: I requisiti per la configurabilità del reato di abbandono di animale Con riferimento al caso in cui un animale sia lasciato in una struttura veterinaria, la questione può essere affrontata in modo analogo a quanto avviene per le strutture di mantenimento in custodia di animali. Seppure con finalità diverse, connesse all’erogazione di prestazioni cliniche, anche in questo caso l’animale è custodito in un luogo protetto e riceve le cure necessarie. In assenza del proprietario o in caso non percepisca il debito compenso, il medico veterinario non può comunque sopprimerlo o abbandonarlo senza commettere reato a sua volta. Inoltre, in base al codice deontologico veterinario, il medico veterinario ha il dovere di assistenza, nei casi di urgenza, prestando le prime cure agli animali, e di tutela del benessere animale. Qualora sia indispensabile un intervento tempestivo per salvaguardare la vita dell’animale, non potrà dunque negare la propria prestazione. Per questi motivi, a carico del proprietario dell’animale non si può ascrivere la consapevolezza di abbandonarlo in una situazione di impossibilità a provvedere a se stesso né di privarlo di “cure e custodia lasciandolo esposto a pericoli per la propria incolumità”. Manca l’elemento soggettivo del reato (la volontà), per cui la fattispecie dell’abbandono non si configura. Permane, invece, la responsabilità civile in caso di mancato pagamento della parcella, per inadempienza alle condizioni contrattuali. Il veterinario è quindi legittimato a procedere giudizialmente in tal senso. Diagnosi caso 6: Le azioni in caso di mancata identificazione del cane in anagrafe regionale Il medico veterinario accreditato per l’accesso all’Anagrafe regionale degli animali d’affezione assume un ruolo che comporta lo svolgimento di un pubblico servizio. Nell'esercizio dell'attività professionale, svolgendo, in particolare, questo compito "al servizio della collettività" contribuisce alla corretta e uniforme applicazione delle relative disposizioni di legge e, pertanto, il suo apporto diviene essenziale per il perseguimento degli obiettivi prefissati dalle disposizioni di riferimento. Tra questi, si annoverano l’informazione dei proprietari di animali in merito agli obblighi di legge relativi all’iscrizione degli animali stessi nell’Anagrafe degli animali d’affezione e la segnalazione al Servizio veterinario ufficiale competente per territorio dei casi in cui non esista o non sia leggibile un identificativo. Pertanto, il medico veterinario accreditato, a fronte del rifiuto da parte di un proprietario di cane di consentire l’applicazione del microchip pur avendo ricevuto le debite informazioni sul fatto che trattasi di obbligo di legge, è tenuto a segnalare la circostanza all’autorità competente. Resta fermo il vincolo deontologico e professionale di garantire assistenza anche ai soggetti non registrati in anagrafe; così come l’adempimento, allo stato attuale, deve essere considerato prevalente, disgiunto dagli obblighi che caratterizzano il rapporto fiduciario veterinario-cliente e parte dell’impegno richiesto per promuovere la cultura del possesso responsabile degli animali d’affezione. Diagnosi caso 7: Perdita di animale d’affezione e risarcimento del danno In considerazione del presupposto per cui la coscienza sociale e l'ordinamento vigente (come si evince dalla legge 11 luglio 2004, n. 189 sul maltrattamento di animali e dalla citata legge n. 201/2010) non considerano l'animale d’affezione come una qualsiasi res o bene giuridico, è necessario riferirsi anche al valore del legame affettivo-relazionale che si instaura con il proprietario. Ciò rileva, anche in sede di giudizio, in caso si richieda un risarcimento per il danneggiamento e/o l’uccisione dell’animale, che può quindi comprendere sia il risarcimento materiale che quello morale. Tuttavia, il giudice non può prescindere dal fatto che le somme da riconoscere debbano tenere conto del valore del bene e, eventualmente, della differenza da quello iniziale derivante dopo il fatto illecito (Cass. n. 21012/2010). Nel caso in esame, la quantificazione del risarcimento materiale dovrà dunque essere bilanciata tra il valore economico del gatto e le spese veterinarie sostenute, con base di riferimento individuata in un costo medio delle stesse. Anche se riconosciuto responsabile, il danneggiante non potrà essere gravato di un onere molto maggiore di quello corrispondente al valore venale del gatto. In merito, invece, al ristoro del danno non patrimoniale, esso potrà essere giustificato dall’esigenza di tutelare le esigenze relazionali-affettive derivanti dal rapporto con il proprio animale d’affezione, garantite dall’ordinamento giuridico e terrà conto della sofferenza patita a causa dell’ansia per le sorti dell’animale e anche delle comprovate conseguenze psicologiche derivanti dall’interruzione del rapporto con esso. Diagnosi caso 8: Scambi commerciali di cuccioli Il riscontro di condizioni approssimative nel trasporto di animali, detenuti con modalità contrastanti con il Reg. n. 1/2005/CE sulla protezione degli animali nel trasporto, può essere collegato alla violazione delle relative disposizioni per il benessere degli animali e punito con sanzione amministrativa. Qualora, però, sia rilevabile un’obiettiva condizione di sofferenza degli animali, conseguente alle complessive caratteristiche della loro detenzione, possono essere ravvisati gli estremi del reato di detenzione in condizioni incompatibili di cui all’art.727 c.p. La verifica dello stato di salute e di benessere degli animali deve essere effettuata da un medico veterinario. Tale reato ha natura contravvenzionale, per cui può essere punito anche a titolo di colpa. Come già rilevato dalla giurisprudenza di merito, il trasporto di cani a bordo di un mezzo mobile quale un furgone, costringe gli animali in una situazione ambientale forzata e, quindi, innaturale. Perciò, al fine di evitare che tale stato si riveli del tutto incompatibile con le esigenze dei cani, deve essere garantito (e risultare evidente) che i disagi siano ridotti al minimo. Il controllo documentale deve riguardare la corrispondenza tra il codice numerico del microchip dei singoli animali con quello riportato sui relativi passaporti e anche con quello presente sul certificato sanitario che accompagna la partita. La data della vaccinazione antirabbica non deve precedere quella di applicazione del microchip. Inoltre, qualora sia provato che alcuni cuccioli hanno un’età inferiore alle dodici settimane, siano privi di idonee certificazioni sanitarie e di passaporti individuali, a carico dei responsabili può essere ascritta una condotta sanzionata penalmente, nello specifico corrispondente al reato di traffico illecito di animali da compagnia. Analoga considerazione vale per l’ipotesi di falsificazione della documentazione accompagnatoria degli animali che, nel caso in cui l’azione coinvolga sia esponenti dell’autorità competente sia il responsabile del trasporto, configura non solo il reato di falso materiale, ma anche quello di concorso nel reato. Per quanto riguarda il tentativo di ascrivere le responsabilità delle irregolarità all’Autorità sanitaria del Paese di origine degli animali, si ricorda che l’applicazione della giurisprudenza riconosce comunque l’esclusione della buona fede del trasportatore, laddove emerga, ictu oculi, il contrasto tra le circostanze oggettive e il contenuto documentale. Si veda, nel caso, il rilievo della giovanissima età dei cuccioli, evidenziabile a un semplice esame visivo e, pertanto, di per sé idoneo a far dubitare circa l’autenticità dei documenti accompagnatori degli animali. Diagnosi caso 9: Un cane e due proprietari! Quando si trova un cane apparentemente privo di proprietario, la normativa vigente prevede che se ne faccia segnalazione al Servizio Veterinario ASL competente per territorio, affinchè provveda al recupero e alla ricerca dell’eventuale proprietario. Tale dovere spetta sia al comune cittadino sia al veterinario, che non sia in grado di rinvenire sul cane elementi di riconoscimento utili a identificarlo. La scelta del veterinario accreditato di procedere direttamente all’inserimento di un microchip e di attribuire la proprietà del cane al cittadino che lo ha ritrovato, omettendo quindi ogni comunicazione (e così precludendo ogni possibilità di verifica) al Servizio Veterinario ufficiale, lo ha posto nella condizione di configurare un abuso d’ufficio. Tale posizione si è confermata quando la verifica ASL ha rivelato la presenza di un altro microchip (evidentemente sfuggito). Dal canto suo, il cittadino che ha chiesto di assumere la proprietà del cane si è esposto a compiere un’appropriazione indebita di un oggetto smarrito di proprietà altrui. Non esiste, infatti, una norma di legge che, in assenza di elementi apparenti di identificazione, autorizzi a concludere autonomamente che il cane non appartenga già a un proprietario. Secondo il più recente orientamento della Cassazione penale, tale ultimo assunto deve considerarsi “mitigato”, poiché induce a valutare se l’impossibilità di identificare il cane abbia reso il cittadino che lo ha trovato effettivamente inconsapevole del fatto che appartenesse ad altri. In questo caso, egli non sarebbe imputabile di appropriazione indebita. In ogni caso, è importante sottolineare che vale comunque quanto previsto dall’art. 925 c.c. e cioè che l’eventuale proprietario ha sempre venti giorni di tempo per reclamare il proprio cane, qualora venga a conoscenza del fatto che sia detenuto presso altri. Ciò rende, quindi, necessario verificare che il cittadino abbia comunicato all’autorità competente il ritrovamento del cane (la comunicazione al Sindaco di cui all’art. 927 c.c. si può ritenere adempiuta per il tramite della ASL). Nel caso in esame, si dovrà, dunque, verificare in sede di giudizio se il cittadino si è attenuto a quanto previsto dalla normativa vigente. Diagnosi caso 10: Il veterinario pubblico ufficiale – le funzioni di polizia giudiziaria Per la configurabilità del reato di cui all'art. 5, lett. b) L. 283/1962, modalità irregolari di conservazione delle sostanze alimentari sono già di per sé sufficienti ad integrare l'ipotesi di reato e non è necessario ricorrere a un accertamento relativo alla commestibilità intrinseca del prodotto alimentare esposto per la vendita, in quanto diverso è il bene che la suddetta norma intende tutelare. Lo stato di cattiva conservazione può essere rilevabile da una semplice ispezione (Sez. III n. 35234, 21 settembre 2007). Ciò vale anche per i formaggi del caso in esame. Un diretto accertamento da parte della polizia giudiziaria risulta, pertanto, del tutto sufficiente a giustificare l'affermazione di penale responsabilità, evidenziando una situazione di fatto certamente rilevante. Un’ispezione del medico veterinario ufficiale, in tale situazione, in considerazione della relativa competenza ispettiva e della previsione della L. 283/1962, da cui deriva il conferimento della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, configura in capo allo stesso funzioni di polizia giudiziaria, con i relativi doveri procedurali.