Orchestre National de Belgique Andrey Boreyko direttore Akiko
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Orchestre National de Belgique Andrey Boreyko direttore Akiko
Orchestre National de Belgique Andrey Boreyko direttore Akiko Suwanai violino Venerdì 19 ottobre 2012 - h 20.45 MUSICA | Concerto plus Orchestre National de Belgique Andrey Boreyko direttore Akiko Suwanai violino Johannes Brahms (1833 -1897) Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77 Allegro ma non troppo Adagio Allegro giocoso, ma non troppo vivace - Poco più presto *** Hector Berlioz (1803 - 1869) Symphonie fantastique op. 14 Rêveries - Passions Largo - Allegro agitato e appassionato assai Un bal Valse. Allegro non troppo Scène aux champs Adagio Marche au supplice Allegretto non troppo Songe d’une nuit de sabbat Larghetto - Allegro - Dies irae - Ronde du Sabbat (un peu retenu) Dies irae et ronde du sabbat ensemble | Brahms - Concerto op. 77 Occupandoci, in questa stessa stagione concertistica, della Terza Sinfonia, abbiamo verificato come l’espressività della musica di Brahms possa occasionalmente legarsi a suggestioni di tipo extramusicale, offrendo qualche forma d’affinità con elementi del paesaggio naturale. È una possibilità cui non sembra sottrarsi nemmeno il Concerto per violino e orchestra op. 77, presentato il 1º gennaio 1879 al Gewandhaus di Lipsia, la cui serena e distesa connotazione sembra debitrice alle circostanze della nascita. Esso venne difatti concepito e realizzato durante la vacanza estiva del 1878, nella deliziosa località lacustre di Pörtschach, in Carinzia, dove Brahms amava ritirarsi durante la bella stagione, al fine d’immergersi nel lavoro compositivo evitando i fastidi che, a Vienna, gli procurava la vita cittadina. Che la distensiva ed amena località esercitasse su di lui un’influenza rasserenante è del resto confermato dall’altra grande composizione sinfonica ivi concepita, la luminosa Seconda Sinfonia, che precede il Concerto op. 77 di un anno. La solarità dell’op. 77 si manifesta soprattutto nell’ideazione tematica. Come tale essa è stata rilevata fin dalle primissime esecuzioni da molti commentatori, fra i quali è da richiamare almeno il celebre musicologo viennese Eduard Hanslick, che colse un implicito rinvio alla musique en plein air di settecentesca memoria quando definì l’esordio dei fiati dell’Adagio «musica da giardino, nel carattere di una serenata». Del resto, la calda e luminosa cifra del Concerto è delineata da Brahms fin dal tema d’esordio del primo tempo, Allegro non troppo, fondato su una scala difettiva (di cinque suoni), che la letteratura musicale associa in genere a referenti quali la semplicità ed il carattere popolaresco. Carattere, quest’ultimo, che emerge con netta evidenza nel piglio tzigano del conclusivo Allegro giocoso, ove è ravvisabile non solo nel tema principale ma anche nei numerosi episodi solistici di tipo rapsodico che lo alternano, raccordandolo alle occasionali idee secondarie. In questo caso, per Brahms, un probabile ascendente fu rappresentato dal Concerto per violino op. 26 di Max Bruch, che precede l’op. 77 d’una dozzina d’anni. Ma in generale il riferimento d’elezione di Brahms fu quello a Ludwig van Beethoven; in tal senso rivelatrice è la dedica del Concerto a Joseph Joachim: dedica il cui profondo significato storicomusicale si coglie appieno tornando con la memoria non solo alla protratta e fraterna amicizia che legò il grande solista a Brahms, non solo alla collaborazione da egli fornitagli - fatta di suggerimenti, correzioni, migliorie varie e foriera della bella cadenza del primo tempo, che intenzionalmente Brahms omise di comporre per lasciar carta bianca all’amico -, ma soprattutto se si ricorda che Joachim era stato il virtuoso capace di riscattare il Concerto per violino op. 61 di Beethoven, trascurato da numerosi violinisti alla moda, attratti da partiture più “brillanti”. Beethoven in effetti ha lasciato, nel Concerto op. 77, una traccia specifica e, cosa ancor più importante, un’impronta in senso generale. Il segno specifico è rintracciabile nell’esordio del violino, modellato sull’analogo episodio del Concerto beethoveniano, con un concitato attacco rapsodico che va gradualmente acquietandosi fino all’estatica ripetizione del tema principale. L’impronta di taglio generale è quella della vocazione elaborativa (che in Brahms e Beethoven è certo ovvia, ma non per questo meno rimarchevole), comportante una gestione mobilissima non solo dei temi, continuamente sottoposti a variazioni, intrecci ed elaborazioni, ma anche del rapporto, più che mai dialettico (compenetrato, dialogico) intercorrente fra solista ed orchestra. Oggi può sembrare incredibile, ma da parte del pubblico l’accoglienza dell’op. 77 fu a lungo piuttosto tiepida. Non è però difficile, conoscendone gli orizzonti d’attesa, comprendere quanto ne potesse riuscire disorientante la sintesi fra spettacolarità virtuosistica - che certo non vi manca - e solidità del “pensiero” musicale. Utile per farci un quadro dell’orizzonte di attese dominante ai tempi di Brahms è anche la reazione stizzita d’un celebre virtuoso come Pablo de Sarasate di fronte all’Adagio: «pensate che sia così completamente privo di gusto da restarmene sul palco come ascoltatore, col violino in mano, mentre l’oboe suona l’unica melodia di tutto il Concerto?» Certo, non è il caso di infierire su queste sfortunate parole, ma solo di rifletterci un po’, ricordando che proprio il secondo Ottocento - l’epoca di Brahms vide l’inizio della fase storica, nella quale oggi siamo completamente immersi, che radicalizzò l’opposizione fra la cosiddetta “musica leggera” e la (altrettanto cosiddetta) “musica classica”. Unendo la piacevolezza eufonica delle idee musicali alla complessità della concezione globale, in verità Brahms dimostrava quanto quella contrapposizione potesse essere sterile, ma la dissociazione era ormai in atto e, di fatto, nemmeno il suo genio poté opporvisi. | Berlioz - Symphonie Fantastique op. 14 La continuità storico-musicale incorre talvolta in fratture che testimoniano significativi mutamenti del gusto e della sensibilità. La Sinfonia fantastica di Berlioz ne costituisce un esempio in assoluto fra i più significativi e memorabili, ben evidente se si considera che, essendo stata presentata nel 1830 (al Conservatorio di Parigi, il 5 dicembre), essa precede tutte le maggiori sinfonie composte nella prima metà dell’Ottocento, avendo alle spalle solo quelle dei classici viennesi e di Schubert. La Fantastica non è solo l’assoluto capolavoro d’orchestrazione che spalanca la strada alla concezione moderna dell’orchestra; essa è, allo stesso tempo, l’opera che segna una svolta decisiva rispetto ad uno dei principî fondamentali del repertorio musicale ottocentesco: quello della musica poetica, che concepisce l’opera d’arte in stretta relazione con referenti extramusicali. Con questo suo capolavoro Berlioz affrontò temi che siamo sì soliti attribuire alla cultura francese, ma solo marginalmente al mondo musicale ed in ogni caso a decenni successivi. Concetti quali lo Spleen e il dissidio Ennui/Idéal appaiono in effetti già pienamente delineati nella concezione di Berlioz ancorché siano stati resi celebri negli anni ’50-’60 da Charles Baudelaire. Titolandola, per esteso, Episodi della vita di un artista, sinfonia fantastica in cinque parti, Berlioz aveva ideato quest’opera non solo come sinfonia a programma (dotata di dettagliatissime spiegazioni) ma anche come prima parte di un dittico sinfonico-vocale, antecedente il monodramma Lélio, ou le Retuor à la vie, che descrive il citato artista (si tratta, con chiaro intento autobiografico, di un compositore) quando, dopo le tristi e tumultuose esperienze descritte nella Sinfonia, cerca e trova consolazione nella creatività. Il programma, a detta di Berlioz, «va considerato come il testo parlato di un’opera, utile ad unire frammenti musicali di cui esso motiva il carattere e l’espressione». La causa del dramma vissuto dall’artista è l’amore: un amore che funge al contempo da movente d’elezione e d’abiezione, da antidoto antidepressivo e da veleno depressivo. Come spiega Berlioz, nel primo movimento (Fantasticherie - Passioni) «il compositore immagina che un giovane musicista, agitato da quella infermità spirituale che un celebre scrittore denomina l’indeterminatezza delle passioni, vede per la prima volta una donna che riunisce tutto il fascino dell’essere ideale che la sua immaginazione ha vagheggiato, e se ne innamora perdutamente». Le diverse immagini musicali del brano definiscono «la transizione da uno stato di sognante malinconia, interrotta da vari accessi di gioia immotivata, ad uno di passione delirante, con i suoi impulsi di rabbia e gelosia, i suoi ricorrenti momenti di tenerezza, le sue lacrime e le sue consolazioni». Una particolare melodia è investita di un contenuto specifico: «per una strana bizzarria, la cara immagine [della donna amata] non appare alla mente dell’artista che legata a un’idea musicale, in cui egli avverte un certo carattere appassionato, ma nobile e riservato, come quello che attribuisce all’oggetto amato». I periodici ritorni di questa melodia, sorta di Leitmotiv ante litteram, definiscono una fissazione mentale dell’artista: «questa immagine melodica e il suo modello lo perseguitano incessantemente come una doppia idea fissa. Ecco perché la melodia iniziale del primo Allegro ricorre costantemente in ogni movimento della sinfonia». Il secondo e terzo tempo illustrano come, in diversissimi contesti, l’idea fissa insidi la mente dell’artista: né un trascinante Valzer «nel mezzo del tumulto di una festa» (si tratta dell’elegantissimo secondo tempo: Un ballo, una miniera di delicatezze orchestrali), né la «pacifica contemplazione delle bellezze della natura» (terzo tempo) riescono ad impedire che, prima o poi, il pensiero dell’artista ricada sull’amata («in città o in campagna la cara immagine gli si presenta e turba la sua anima»). Nel terzo tempo - Scena campestre caratterizzata da un «miscuglio di speranza e timore», da «pensieri di felicità turbati da neri presentimenti» - Berlioz dà vita ad uno degli immaginari più frequentati e cari alle poetiche romantiche: il parallelismo fra condizione soggettiva, interiore, e quadro di natura. All’inizio la Scena è occupata da un armonioso dialogo fra corno inglese ed oboe («due pastori suonano, facendosi eco, una melodia campestre»). In virtù dell’affinità timbrica e della differenza d’estensione, a modo proprio i due strumenti assumono valenza simbolica antropomorfa - maschile e femminile - e la loro simbiosi risveglia sentimenti fiduciosi nell’artista. Totale è pertanto la sovrapposizione, l’equivalenza, fra quadro naturale e stato d’animo («questo duetto pastorale, lo scenario naturale, il frusciare leggero degli alberi dolcemente agitati dal vento, alcuni motivi di speranza ch’egli subito concepisce, tutto concorre a restituire al suo cuore una pace inusuale e a dare ai suoi pensieri un colore più gaio»). Lungo ed ampio è il sereno indugiare fantastico dell’artista, ma i dubbi infine tornano («egli riflette sul proprio isolamento, spera che presto non sarà più solo… Ma se lei lo deludesse!…») e l’epilogo non fa che, sinistramente, confermare l’inquietudine sopravvenuta. L’eufonico dialogo scompare; ai richiami “maschili” del corno inglese non fanno più seguito le risposte “femminili” dell’oboe: «Alla fine, uno dei pastori [il “maschile” corno inglese] riprende la melodia campestre; l’altro [il “femminile” oboe] non risponde più…». Dato oggettivo, di natura, e condizione soggettiva si rispecchiano ancora, ma ammantati di neri presagi: «rumore lontano di tuono [il timpano risponde al posto dell’oboe]… solitudine… silenzio…». I movimenti più arditamente visionari della Sinfonia fantastica sono i due conclusivi, al cui ascolto si può intuire cosa intendesse Berlioz quando scriveva di percepire un’intima sintonia fra sé ed il Vesuvio. Nel quarto tempo, Marcia al supplizio, «avendo maturato la certezza che non solo colei ch’egli adora non corrisponde il suo amore, ma che è incapace di comprenderlo e addirittura ne è indegna, l’artista si avvelena con dell’oppio». Concettualizziamo gli argomenti scorrendo la descrizione: allucinazioni («la dose del narcotico, troppo esigua per dargli la morte, lo sprofonda in un sonno accompagnato dalle più atroci visioni»); sdoppiamento dell’io («egli sogna di aver ucciso la sua amata, di essere condannato e condotto al supplizio, di assistere alla sua stessa esecuzione»); contaminazione di codici espressivi («il corteo avanza al suono di una marcia ora ombrosa e selvaggia, ora brillante e solenne…»); sconnessione della forma («…nella quale un rumore sordo di gravi passi è seguito senza transizione da scoppi di fragore eclatante. Conclusa la marcia, le prime quattro battute dell’idea fissa ricompaiono come un ultimo pensiero d’amore interrotto dal colpo fatale»). Il finale (Sogno di una notte di sabba) spinge ancor più sull’effetto-allucinazione, fino a deformazioni e contaminazioni estreme: «egli vede se stesso al sabba, nel mezzo di un’orda spaventosa di ombre, di stregoni, di mostri d’ogni specie, riuniti per i suoi funerali. Strani rumori, gemiti, scoppi di risa, grida lontane alle quali altre grida sembrano rispondere»: ancora commistione di serio e comico, spinta ad estremi sar- castici nella deformazione onirica dell’idea fissa («La melodia amata compare ancora, ma essa ha perduto il suo carattere di nobiltà e di timidezza; ormai non è altro che un’aria di danza ignobile, triviale e grottesca: è lei che giunge al sabba…»), fino alla condensazione degli opposti espressivi (all’arrivo dell’amata, che «si unisce all’orgia diabolica», esplode un «ruggito di gioia»). «Campane a morto» annunciano la cerimonia funebre; segue la citazione dell’antichissimo tema del Dies Irae, anch’esso grottescamente stravolto, trivializzato in danza macabro-clownesca nella progressiva diminuzione dei valori delle note e nel concomitante affidamento a timbri striduli e sgradevoli («parodia burlesca del Dies Irae, ronda del Sabba»). Infine, ad estremo suggello, la combinazione di «ronda del Sabba e Dies Irae insieme». Droga, allucinazione, sdoppiamento dell’io, contaminazione di stili e codici… temi e modi modernissimi, rispetto ai quali non giova chiamare in causa i paradisi artificiali di Baudelaire perché quelli dipinti da Berlioz sono inferni. Un referente letterario è cronologicamente più vicino; si tratta di un altro grande scrittore francese, ma d’un solo anno più anziano di Berlioz: Victor Hugo, il richiamo al quale è possibile fosse consapevole anche per il Nostro, dal momento che la parodia del Dies Irae sembra richiamarne la XIV ballata, La Ronde du Sabbat (del 1825). In ogni caso, le date sono eloquenti: Hugo espresse la sua rivoluzionaria poetica del brutto - del mostruoso, del grottesco, del raccapricciante - nella prefazione al Cromwell (1827) definendo tale categoria estetica quale oggetto non solo degno dell’arte moderna ma addirittura più consono alla sua profonda vocazione. Ma se Hugo spiegava la necessità della svolta estetica proposta sulla base di un’istanza realistica, oggettiva, è evidente che Berlioz, a soli tre anni di distanza, coi due tempi finali della Fantastica interpretò il grottesco come una modalità diretta non alla riproduzione del mondo reale, ma della sua allucinata proiezione soggettiva. Ne risultò un saggio di sconvolgente potenza visionaria, iscritto, negli annali della storia della musica e della cultura occidentale, all’origine d’una linea che, attraverso epocali capisaldi come - per non citare che i più rappresentativi - Totentanz di Liszt e la Notte sul monte calvo di Musorgskij, si spinge fino a Richard Strauss, a Gustav Mahler ed all’espressionismo novecentesco. Testi di Gianni Ruffin Akiko Suwanai, la più giovane violinista di sempre a vincere il Concorso Internazionale aikovskij, si è aggiudicata, inoltre, numerosi premi come il Concorso Internazionale Paganini, l’International Japan Competition e la Queen Elisabeth International Competition in Belgio. Akiko Suwanai, ospite abituale delle orchestre London Symphony Orchestra, Philharmonia Orchestra, Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, Orchestre de Paris, Orchestre National du Capitole de Toulouse, City of Birmingham, Academy of St Martin in the Fields NHK di Tokio, NDR sinfonieorchester, Toronto Symphony Orchestra, Deutsche Kammerphilharmonie Bremen, diretta da Valery Gergiev, Vladimir Askenazy, Andrew Davis, Neeme Järvi e Seiji Ozawa, Tugan Sokhiev, Lorin Maazel, Paavo Järvi, si è recentemente esibita nella prima mondiale di Seven di Peter Eötvös al Festival di Lucerna con la Lucerne Festival Academy Orchestra diretta da Pierre Boulez. L’estesa discografia di Akiko Suwanai prodotta per la Universal Music include CD incisi con l’Academy of St Martin in the Fields diretta da Neville Marriner, la Philharmonia Orchestra con Charles Dutoit, la Budapest Festival Orchestra con Iván Fischer, la Chamber Orchestra of Europe e un album in recital delle Sonate di Beethoven con Nicholas Angelich. Akiko Suwanai suona con un violino Stradivari ‘Dolphin’, uno dei più famosi violini al mondo che fu già di proprietà del celebre violinista Jascha Heifetz. Il violino le è stato gentilmente prestato dalla Nippon Music Foundation. Andrey Boreyko è nato a S.Pietroburgo, ed è dal settembre 2012 direttore principale dell’orchestra National de Belgique, ruolo che ha già ricoperto presso l’Orchestra Sinfonica di Düssseldorf, l’Orchestra Sinfonica della Radio di Stoccarda (SWR) (complessi con i quali ha svolto un’intensa attività discografica), l’Orquesta Sinfonica di Euskadi di S.Sebastian, l’Orchestra Sinfonica di Berna, la Jenaer Philharmonie, la Hamburger Symphoniker, la Winnipeg Symphony Orchestra, la Vancouver Symphony. Andrey Boreyko ha diretto quasi tutte le maggiori orchestre del mondo, fra cui i Berliner Philharmoniker, i Münchner Philharmoniker, la Staatskapelle di Dresda, la Gewandhausorchester zu Leipzig, l’Orchestra Nazionale Russa, la Royal Concertgebouw Orkest, le orchestre sinfoniche della RAI, del Maggio Musicale, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Filarmonica della Scala, i Wiener Symphoniker, la Tonhalle Orchester, la London Symphony Orchestra, la BBC Symphonie Orchestra, l’Orchestre Philharmonique de Radio France e le orchestre americane di Chicago, New York, Boston, Cleveland e Filadelfia. PROSSIMO APPUNTAMENTO STAGIONE MUSICA E DANZA Mercoledì 31 ottobre - h 20.45 Musica | Concerto plus Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Rias Kammerchor Juraj Val uha direttore Julia Kleiter soprano James Rutherford baritono Hans-Christoph Rademann maestro del coro Brahms Ein deutsches Requiem op.45, per soli, coro e orchestra Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine Via Trento, 4 - 33100 Udine - I Tel. 0432 248411 - Fax 0432 248452 [email protected] - www.teatroudine.it Biglietteria Tel. 0432 248418 [email protected] Sono ospiti abituali dell’orchestra musicisti di primo piano nel panorama mondiale come Hélène Grimaud, Vadim Repin, Sergey Khachatryan, Boris Berezovsky, Pinchas Zukerman e Frank Peter Zimmerman, Roberto Alagna, Jonas Kaufmann, Rolando Villazon, Anna Netrebko e Juan Diego Flórez affiancati da giovani promesse come Lorenzo Gatto e Plamena Mangova ed i partecipanti al Queen Elisabeth Competition di Brusselles del quale l’orchestra è partner da molti anni. L’Orchestre National de Belgique ha un’intensa attività discografica e si esibisce nelle principali sale da concerto del mondo. © studio novajra - ph. Fabrice Kada (Orchestre National de Belgique), Marcel Grubenmann (Andrey Boreyko), Kiyotaka Saito (Akiko Suwanai) L’Orchestra Nazionale del Belgio fin dalla sua fondazione, 75 anni fa, ha avuto grandi direttori principali come André Cluytens, Michael Gielen, Mikko Franck, Walter Weller che hanno fornito una personale interpretazione dei classici sinfonici e al tempo stesso si sono dedicati al repertorio contemporaneo definendo così in maniera significativa le peculiarità e la versatilità dell’orchestra. Fino ad oggi musiche di Beethoven, Brahms, Bruckner o Mahler sono apparse di fianco a composizioni di Kancheli o Pintscher oltre che ad opere di compositori belgi come Luc Van Hove, Jean-Paul Dessy, Luc Brewaeys, Dirk Brossé, e Pierre Bartholomée.