ALL_F-Relazione archeologica

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ALL_F-Relazione archeologica
EX PROVINCIA DI CARBONIA IGLESIAS
LAVORI SUL “PONTE S.P. 105 PER BUGGERRU SEZ. 2. SUL RIO
MANNU DI FLUMINIMAGGIORE”
PROGETTO PRELIMINARE
ALL. F – RELAZIONE ARCHEOLOGICA
PROGETTAZIONE:
COMMESSA TEC038/2015
TEAM PROJECT:
TEC MED INGEGNERIA S.r.l.
Sede legale:
via Marche, 22
09127 CAGLIARI
tel./fax. +39 070 480309
mail: [email protected]
dott. ing. Giovanni OGGIANO
Direttore Tecnico
ORDINE INGEGNERI PROVINCIA DI CAGLIARI N. 4898
dott. ing. Stefano PONTI
Direttore Tecnico
ORDINE INGEGNERI PROVINCIA DI CAGLIARI N. 4899
ARCHEOLOGIA:
dott. ing. Maurizio SASSU
dott.ssa Emanuela SOLINAS
ORDINE INGEGNERI PROVINCIA DI CAGLIARI N. 5984
Cagliari, 22 giugno 2015
TEC038-PP-ALL_F-Relazione archeologica-V00.doc
INDICE
1.
STORIA DEL TERRITORIO ED EVIDENZE ARCHEOLOGICHE ............................................ 2
2.
CONCLUSIONI ............................................................................................................ 5
3.
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................ 5
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1.
STORIA DEL TERRITORIO ED EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
L’area in esame, interessata dallo studio delle misure di salvaguardia per i rischi idraulici e
geomorfologici, insiste tra i centri abitati di Portixeddu, Fluminimaggiore e Buggerru.
Le più antiche testimonianze insediative in questa porzione di territorio risalgono al Neolitico Antico
e provengono dalla Grotta di S’Acqua Gelada. Utilizzata per lungo tempo prevalentemente per scopi
abitativi, la grotta si trova a 250 m. s.l.m. sul costone del Monte Malfidano, a SE di Buggerru. Alla
Cultura di Monte Claro risale il contesto funerario della Grotta di Padre Nocco, situata a 425 m. s.l.m
presso la valle di Grugua, tra Buggerru e il tempio di Antas, il più importante monumento
archeologico dell’area. Fu scoperto nel 1838 da Alberto Lamarmora, che nel suo Voyage en Sardaigne
lo descrive come un “un ammasso di frammenti di colonne accatastate con i resti di cornici e
capitelli”, aggiungendo però che “esaminando questi resti con un po’ di cura, si riconosce che il
basamento dell’edificio è, per così dire, completamente intatto”. Il tempio venne eretto intorno al
500 a.C. in prossimità di alcune tombe nuragiche risalenti alla prima età del ferro. Era formato da un
sacello rettangolare di circa m. 9 x 18 compreso all’interno di un grande τέμενος quadrato di m. 68 di
lato, costruito con pietre calcaree cementate da malta di fango. Intorno al 300 a.C. fu ristrutturato
una prima volta, ma l’edificio attualmente visibile risale ad età augustea, con una seconda
risistemazione nel 213 d.C., quando fu collocata sul frontone l’iscrizione:
Imp (eratori) [Caes (ari) M.] Aurelio Antonino. Aug(usto) P(io) F(elici) temp ([l(um) d]ei [Sa]rdi Patris
Bab[i]vetustate con[lapsum] (?) [i A] restitue[ndum] cur[avit] Q (?) Co[elius o Cocceius] Proculus - In
onore dell’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, Pio Felice, il tempio del dio Sardus
Pater Babi, rovinato per l’antichità, fu restaurato a cura di Quinto (?) Celio (o Cocceio) Proculo.
Il tempio romano si presenta con una scalinata di m. 17,25 x 9,30 e un podio di m. 23,25 x 9,30
elevato m. 1,10 sul piano di campagna. É suddiviso in πρòναος, con quattro colonne sul prospetto e
due sui lati, cella e ἄδυτον, bipartito e dotato di due vaschette quadrangolari per le abluzioni rituali.
Le colonne del πρòναος, con un’altezza ricostruita di circa m. 8, hanno fusto liscio, basi attiche e
capitelli ionici. La cella, di circa m. 11 di profondità, era dotata di una fastosa decorazione fittile e
aveva un pavimento musivo policromo. L’importanza di questo luogo di culto è dovuta alla
persistenza attraverso l’età nuragica, cartaginese e romana della devozione verso una figura divina
maschile identificata in Babai-Sid-Sardus, devozione conclusasi intorno al IV secolo d.C quando il
Cristianesimo fu proclamato religione di stato da parte di Teodosio. Il tempio venne allora
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abbandonato e i riti assorbiti dalla venerazione verso S. Angelo, a cui è dedicata l’omonima località
presso Antas.
Tuttavia in questa zona, a differenza del territorio più Sud compreso tra Gonnesa, Carbonia e
Sant’Antioco, non assistiamo tra la fine del II e l’inizio del I millennio a.C., ovvero tra l’Età del Bronzo
e quella del Ferro, alla costruzione di un complesso sistema insediativo a controllo delle risorse locali,
con la diffusa occupazione dell’elemento indigeno di tradizione nuragica e la presenza di quello
allogeno di cultura fenicia. I materiali levantini sono assenti anche nella documentazione
archeologica del tempio di Antas, e l’unico nucleo abitato sembra essere il Nuraghe Conca Muscioni
che si trova a 4 chilometri ad est di Portixeddu, lungo la SP83 (39°26'56.0"N 8°27'01.0"E).
Solo in età romana l’interesse verso questa area sembra consolidarsi con l’esplorazione dei
giacimenti di galena argentifera.
La galena (dal greco γαλήνη) è un minerale, un solfuro di piombo appartenente al gruppo omonimo.
Descritta già da Plinio il Vecchio, può contenere percentuali sensibili di argento, ma è il principale
minerale utilizzato per l'estrazione di piombo.
L'estrazione avveniva in antichità sottoponendo la galena a lungo trattamento. I romani la
riscaldavano in un apposito forno con un getto di aria calda per ossidare il piombo, che veniva in
seguito separato. L’arrostimento trasformava la galena parte in litargirio e parte in solfato di piombo,
mentre con la fusione, ottenuta aumentando la temperatura, si ricavava il piombo. Il trattamento
veniva eseguito in forni costruiti con argilla e pietre.
Poiché i romani non ne conoscevano la tossicità, il piombo fu largamente utilizzato sia in età
repubblicana che imperiale. Grazie alla sua duttilità e resistenza alla corrosione era impiegato nella
costruzione di condutture (fistulae aquariae) per il rifornimento e la distribuzione dell’acqua nelle
reti urbane, condutture che potevano recare impresso il nome di imperatori, di procuratori imperiali,
di privati proprietari dei terreni percorsi dalle tubature o anche dell'officina e degli operai che
lavoravano il piombo (plumbarii). Nel campo dell’architettura navale il piombo era utilizzato per la
preparazione di lamine che venivano inchiodate all’opera viva delle navi per contrastare l’attacco
delle teredini. Con il piombo erano inoltre realizzati i ceppi e le contromarre delle ancore, gli ami, i
pesi per le lenze e le reti da pesca e numerose dotazioni di bordo come gli scandagli. Di piombo
erano numerosi oggetti di uso comune come le pignatte e gli utensili da cucina, i sigilli, i biglietti
d’ingresso ai giochi, le tavolette per scrivere, le lampade, le cassette per profumi e medicinali, le urne
cinerarie, le piastrine di riconoscimento dei soldati (bullae) e le glandes missiles, i proiettili lanciati
con la fionda che recavano a lettere in rilievo i nomi di capi militari o i numeri delle legioni. Di piombo
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erano spesso i vasetti per la conservazione di unguenti e profumi in quanto il piombo, ritenuto un
metallo freddo, veniva considerato particolarmente adatto al mantenimento, per un lungo periodo di
tempo, delle sostanze profumate. I sali di piombo erano utilizzati nella conservazione di frutta e
verdura e nella preparazione di vino, cosmetici e medicinali, mentre nella lavorazione del vetro
veniva aggiunto come colorante od opacizzante. Con il piombo fuso si suturavano le incrinature nelle
statue, nei doli, nelle anfore e nei vasi. Infatti unito allo stagno formava una lega con un ridotto
punto di fusione impiegata come materiale per le saldature, unito al rame sostituiva lo stagno nella
lega per il bronzo. Questa enorme domanda di mercato costrinse Roma a importanti scelte di politica
governativa e amministrativa. Le attività estrattive e le produzioni metallurgiche occupavano un
ruolo fondamentale nell’economia delle società antiche, influenzando pesantemente il sistema
produttivo e commerciale di un territorio e di conseguenza l’organizzazione politica e sociale delle
comunità che lo abitavano e controllavano.
Le province di Sardinia e Hispania rappresentavano i giacimenti più produttivi del Mediterraneo
occidentale per l’estrazione del piombo argentifero, e per questo motivo il governo di Roma vi investì
uomini e perizia tecnica esercitando su entrambe un forte controllo militare.
Una volta ottenuto, il piombo grezzo, chiamato plumbum, veniva messo in commercio in lingotti
(massae plumbeae) di varia forma e peso contraddistinti da un cartiglio con il nome del produttore,
dell’imperatore o del magistrato. Il trasporto dei lingotti avveniva spesso via mare, e talvolta questi
manufatti arrivano sino a noi perché rimangono celati nelle stive delle onerarie naufragate. Il più
importante relitto sino ad ora conosciuto è quello di Mal di Ventre (Cabras - OR), che ha restituito più
di mille lingotti di piombo ciascuno del peso di 100 libre (circa 33 chilogrammi). Alcuni di questi
portano i cartigli della «Società di Marco e Caio Pontilieni figli di Marco» e di «Lucio Carulo Hispalio
figlio di Lucio della tribù Menenia», entrambi mercanti e proprietari di miniere in Spagna, oltre a
Planio Russino, Gneo Atellio e Caio Utio.
Ancora dal mare, ma in comune di Arbus, provengono alcuni lingotti recuperati nel 1987 e recanti
con lettere a rilievo il marchio:
IMP CAES HADR AVG
Imp(eratoris) Caes(aris) Hadr(iani) Aug(usti)
marchio identico a quello impresso in un altro lingotto rinvenuto a Carcinadas (Fluminimaggiore) e
andato perduto durante l’esposizione della Fiera di Levate alla fine degli anni ’40 del secolo scorso.
Tutte le massae plumbeae di Adriano scoperte in Sardegna appartengono ad una unica tipologia,
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documentata anche nei lingotti di età imperiale ritrovati in Britannia, Gallia, Mesia Superiore, Africa,
Spagna e Corsica. Esse costituiscono un’importante testimonianza della coltivazione delle miniere
sarde in questa area, probabilmente collegate alla fondazione del centro di Metalla.
La statio di Metalla è attestata un'unica volta nell'Itinerarium Antonini nella via a Tibula Sulcis, tra
Neapolis a Nord, distante trenta miglia (circa 45 km), e Sulci a Sud, posta ugualmente a trenta miglia.
La localizzazione puntuale di Metalla risulta problematica, ma secondo diversi studiosi è ipotizzabile
tra Grugua - Buggerru e Fluminimaggiore. I documenti di cultura materiale rinvenuti a Grugua
attestano uno stanziamento nel sito per l'età romana tra il I secolo a.C. ed il V secolo d.C. Nel II secolo
d.C. è documentato il distaccamento nell’area di Metalla della Cohors I Sardorum con il compito di
mantenere l’ordine tra gli schiavi e i condannati ad metalla, ovvero coloro che venivano destinati ai
lavori forzati nelle miniere.
Presso le dune sabbiose a ridosso della spiaggia di Portixeddu furono rinvenuti diciassette scheletri
umani. Uno di questi presentava degli anelli di ferro alle caviglie
che furono interpretati come riferibili a cristiani o a schiavi damnati ad metalla. Sempre nella zona
sono stati rinvenuti canali e tubazioni in piombo di sezioni diverse attribuibili a resti di reti idriche di
approvvigionamento e di scarico legati ad insediamenti permanenti.
2.
CONCLUSIONI
Il ponte oggetto del lavoro è in sostituzione di quello esistente, si tratta sostanzialmente solo di un
allargamento di una zona nella quale in passato sono stati eseguiti lavori di dragaggio e pulizia
dell’alveo nonché realizzazione degli argini. La zona risulta quindi fortemente antropizzata di recente
e da un esame visivo non risultano evidenze di natura archeologica.
3.
BIBLIOGRAFIA
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