il teorema di stepanec - Notizie in Controluce

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il teorema di stepanec - Notizie in Controluce
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Allegato a NOTIZIE IN... CONTROLUCE di Ottobre 2001
STORIA FANTASTICA DI UN MATEMATICO PAZZO...
IL TEOREMA DI STEPANEC
L'
...E DI CHI NON LO VOLLE STARE A SENTIRE
prima parte
idea di partenza del "Progetto Genio" è
semplice quanto l'uovo di Colombo, e si
può riassumere come segue: visto che i
moderni sistemi informatici hanno prodotto già da
tempo risultati così stupefacenti nella simulazione in alcuni settori specifici - della cosiddetta
"Intelligenza Artificiale" (si pensi al gioco degli
scacchi), perché non tentare una meta più ambiziosa? Predisporre, in vista della imminente disponibilità della nuova generazione di macchine - definita
impropriamente ad architettura multidimensionale un progetto per la sintesi del "Genio Artificiale"?
Certo, un conto è parlarne, un conto è mettere nero
su bianco. Appena si cominciò a quantificare il problema, ci si rese conto che la cosa sarebbe stata un
tantino più complessa di quel che l'uomo della strada potrebbe credere, abituato com'è a dialogare
familiarmente con il suo elaboratore domestico tuttofare, spesso più intelligente di lui. Tra l'altro, c'era
(e c'è tuttora) di mezzo il famigerato teorema di
Stepanec...
Stepanec, oggi come oggi, è noto solo nell'ambiente
degli addetti ai lavori, ma forse un giorno il suo
nome avrà la risonanza che merita. Era un matematico serbo, morto nel 1967 in un manicomio di stato
per dissidenti della ex-Jugoslavia. Ma nel suo caso la
politica non c'entrava; era pazzo sul serio. Pazzo e
brillante. L'unico teorema di cui abbia lasciato una
dimostrazione scritta per esteso, sopravanzava di
quasi un secolo l'arte computazionale dei suoi tempi.
Tre o quattro lustri or sono, quando l'IBM e la
Fujitsu si consorziarono per progettare la prima macchina ad architettura multidimensionale qualcuno, al
Watson Center di Yorktown, si ricordò di questo teorema che, sotto certi aspetti, può essere classificato
assieme a quelli di Turing e di Goedel come un teorema di "incompletezza" o "carenza d'informazione". Il problema dell'affidabilità in senso lato dei
nuovi sistemi fu dunque formulato sin dall'inizio ma,
ovviamente, prevalsero le considerazioni commerciali.
Volendo spiegare il teorema all'uomo della strada di
poc'anzi si potrebbe dire che, nel caso di macchine la
cui complessità supera certi livelli - e tutte quelle in
grado di autoprogrammarsi, come appunto nel caso
della famosa architettura multidimensionale, la
superano abbondantemente - il numero di percorsi
interni che il sistema potrebbe seguire per giungere
ad un certo risultato va all'infinito più rapidamente di
quanto non vada all'infinito la serie dei numeri naturali per cui.... Come dite ? Questa spiegazione non
va bene all'uomo della strada ? Chiedo scusa; cercherò una terminologia più adeguata.
I "cervelli elettronici" (Dio! quanto odio questa definizione!) più potenti, non si fanno spiegare da nessuno in che modo debbano risolvere un certo problema che venga loro sottoposto. E' sufficiente conoscere il problema e basta; al resto ci pensano da soli.
Se poi qualcuno vuol sapere che strada abbiano
seguito per giungere alla soluzione, e glie lo domanda, loro sono in difficoltà a rispondere. Può sembrare un paradosso che, più intelligenti sono questi cervelloni, meno siano capaci di ricostruire i loro percorsi logici ma, pensandoci bene, non succede la
stessa cosa anche con gli esseri umani? Quante volte
è capitato a ciascuno di noi che, mentre non stavamo
per nulla riflettendo su un problema di lavoro, di
famiglia, di quello che vi pare, ci sia balzata in mente
la soluzione? Magari mentre stavamo ascoltando
musica, mangiando, assistendo a uno spettacolo e
così via. E quando il fatto succede, è anche esperienza comune che non siamo affatto in grado di
ricostruire i passaggi mentali eseguiti dal nostro cervello per raggiungere quella soluzione; non è così?
Una cosa analoga - forse un po' diversa, ma non ce
ne preoccupiamo - succede con gli elaboratori elettronici. In un certo senso sono così potenti da essere
in grado di risolvere lo stesso problema in un'infinità di modi diversi, che dal loro punto di vista (dal
loro; ecco il problema per noi!) sono tutti equivalenti. Per questo motivo, quando sono interrogati su
come hanno fatto, citano a caso uno qualsiasi tra gli
infiniti percorsi possibili. Ora, l'uomo della strada
(ma cosa continua a fare per strada? Perché non se ne
torna a casa ?) potrebbe obiettare: "E chi se ne frega,
se un percorso vale l'altro!" Avrebbe ragione se il
tipo di "intelligenza" di una macchina fosse identico
a quello umano (cosa che non è, poiché loro si limitano a simulare la nostra intelligenza). Per di più, al
contrario dell'opinione di molti, le macchine a picointegrazione sono ben lungi dall'essere perfette, e
questo è un serio aggravante già previsto da
Stepanec. In pratica, per difficoltà tecnologiche, non
è economicamente conveniente cercare di costruire
circuiti rigorosamente identici tra loro: basta che si
somiglino abbastanza. Se poi si pensa che, in media,
ogni centomila circuiti ce ne sono uno o due che non
riescono a eseguire qualche funzione a caso, che non
sono sempre gli stessi e che la macchina se ne accorge solo al momento in cui prova a eseguire veramente quella funzione, che non è detto che a quel
punto tutti i tragitti alternativi su cui la macchina può
ancora deviare siano equivalenti al cento per cento e
che... insomma: detto in soldoni, non è quasi mai
vero che due percorsi che la macchina tenta di spacciare come analoghi lo siano veramente. Questo è il
succo del teorema; ora basta con la teoria.
Infatti, sento chiedermi: "Che c'entra tutto questo
sproloquio? A noi basta conoscere il resto della storia, ammesso che ci sia." Abbiate pazienza; una
breve introduzione era proprio necessaria. La storia
c'è: ci stavo tornando.
Le prime prove di sintesi di una personalità universalmente riconosciuta come geniale furono effettuate su uno dei cinque prototipi della serie "173XX",
lassù in orbita a 36000 chilometri, lungo l'asse centrale a gravità zero della Silicon Wheel. Provarono
con Milton (il poeta, sì).
Si trattava di realizzare anzitutto una gigantesca base
dati contenente non solo ogni vocabolo scritto di
pugno dall'autore prescelto, ma anche una descrizione esaustiva dell'ambiente culturale dei suoi tempi e
luoghi; le fonti a cui si era ispirato, una serie di pareri critici sulla sua opera (con biografia dei critici
stessi), analisi grafologiche e psicologiche e chi più
ne ha più ne metta, fino alla lista del bucato, in una
specie di "Summa" organica del sapere umano visto
dagli occhi dello stesso Milton.
A latere di tutto questo bisognava poi organizzare
per la macchina uno schema di pensiero che le consentisse di accedere ai dati secondo le correlazioni
esistenti - presumibilmente - nel cervello del poeta.
La Summa di cui sopra doveva perciò essere organizzata in un "Thesaurus", così come Milton l'avrebbe strutturato se gli fosse stato dato di indagare i suoi
stessi processi mentali con dispendio di memoria,
Scribonio Minore
facilità di accesso alle informazioni e rapidità di
organizzazione sovrumane. In questa fase la maggior
parte del lavoro restava a carico della macchina stessa la quale, con supervisione marginale da parte dell'analista, provvedeva a eseguire una serie smisurata
di scansioni incrociate di tutto il materiale a sua disposizione, rimeditando e ragionando ciascuna scansione sulla base delle leggi di ricorrenza e di ordinamento individuate nel corso delle iterazioni precedenti fino a convergere - sempre sperabilmente - su
uno schema definitivo che le avrebbe consentito di
"ragionare" non troppo diversamente dal poeta.
Una breve lirica, un po' manierata ma non priva di un
certo gusto, nella quale alcuni critici riconobbero "la
mano del Maestro", costituì il prodotto finale dell'operazione, e un buon lancio pubblicitario per la serie
"173XX".
L'Art Institute di Chicago, in collaborazione con
l'Università di Urbana-Illinois, tentò l'estensione del
metodo alle arti figurative approfittando del fatto che
la NASA regalava all'Università stessa il suo megaschermo pittorico digitale, avendolo sostituito con
uno più moderno e olografico. Il gigantesco tabellone elettronico di ventidue piedi per sedici, composto
da un mosaico di mille e ventiquattro milioni di elementi immagine ciascuno dei quali capace di visualizzare un colore scelto tra una tavolozza di sedici
miliardi di combinazioni possibili tra rosso, verde e
blu (Giulio Verne avrebbe aggiunto che pesava settemila libbre e che era stato necessario filtrare oltre
quattro miliardi di galloni d'aria per ricavare l'argon
utilizzato per "evaporare" le cellette di colore) venne
dunque installato presso l'antico "Advanced
Computation Building", che si trova a metà di
Springfield Est. In capo a un anno di lavoro si riuscì
a farvi comparire sopra un "Vermeer" nuovo di zecca
e abbastanza credibile.
Raffigurava l'interno di un'abitazione fiamminga,
con una fanciulla che veniva addobbata da sposa da
due attempate damigelle scucchione. Piacque assai il
particolare del cagnolino che faceva ruzzolare da
uno sgabello uno specchietto convesso, in quanto
non ne era stato fatto cenno alla macchina all'atto di
commissionare il dipinto. Ciò fece sospettare che le
potenzialità del sistema fossero davvero grandi, e
venne finanziato il ben più ambizioso progetto della
simulazione di Rembrandt, in collaborazione col
Rijksmuseum di Amsterdam.
Stavolta il lavoro fu preso veramente sul serio e durò
a lungo. I primi risultati vennero in tempi brevi, ma
avrebbero ingannato solo un profano. Erano imitazioni che non entusiasmavano affatto. Discrete quanto alla qualità cromatica, un po forzate sul contrasto
luce-ombra, decisamente carenti quanto al disegno,
in sostanza fredde e artificiose. Ci vollero un paio
d'anni di sperimentazione prima che ci si rendesse
conto che bisognava allentare i vincoli geometrici.
Il sistema, per quanto "intelligente" in senso lato, era
infatti costretto a obbedire in modo pedissequo alle
leggi della prospettiva e alla tecnica dell'illuminazione "a tracciamento di raggi" a partire dalla sorgente
luminosa. Ora, come ben sanno pittori e fotografi,
non sempre il gioco spontaneo delle ombre su un
volto è quello che servirebbe meglio a evidenziare
un carattere e un'emozione. Una impercettibile scorrettezza formale si trasforma spesso in un effetto
artistico notevole, e se ne accorsero i membri del
gruppo di lavoro via via che i vincoli venivano rila-
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sciati di uno, due, fino a cinque gradi sessagesimali,
ché di più non ne servivano - e anzi sarebbero stati
deleteri - visto che chiunque avrebbe percepito una
stonatura se la licenza avesse superato questa soglia.
Le figure si raddrizzavano e assumevano positure
più naturali, i nasi e i menti si rinvigorivano e acquistavano consistenza e vigore, i panneggi e i mantelli
si gonfiavano o si ammorbidivano e si modellavano
sulle anatomie...
Cinque anni durò l'intero Progetto Rembrandt, alla
fine dei quali il Maestro sintetico produceva in
media un capolavoro a settimana (principalmente
ritratti di parlamentari e industriali), e c'era da restare veramente a bocca aperta.
Quando una profusione di ritratti di mafiosi e di norcini resero palese che ormai si era superata la soglia
dell'inflazione - e il progetto andò in chiusura - fu
una fondazione privata che propose di rimpiazzarlo
con un "La Battaglia Di Anghiari". Al principio l'iniziativa non riscosse grandi consensi, anche perché
Leonardo sembrava forse un po' troppo sofisticato e
astruso per una mentalità anglosassone. Ma c'erano
anche problemi tecnici reali.
Un primo tentativo di ricostruire per vie informatiche la perduta "Battaglia" era stato già espletato
all'inizio del secolo, con mezzi ovviamente primordiali e successo men che insoddisfacente. In quella
circostanza era già emerso come la documentazione
sul da Vinci fosse non solo lacunosa, ma anche disorganica e frammentaria, difficile insomma da restituire in quel "Corpus" coordinato che costituiva la
premessa irrinunciabile per ogni tentativo di sintesi
del genio. Poi, come spesso succede, prevalsero altri
tipi di considerazioni. Le presidenziali si avvicinavano; per tutta una serie di motivi (il lettore ricorderà
forse lo scandalo dell'aereo Alitalia abbattuto in fase
di atterraggio al Kennedy di New York) l'amministrazione uscente doveva recuperare il voto degli
italo-americani, per cui alla fine fu dato il via al progetto "Anghiari" con grande clamore e pochi soldi.
All'atto pratico ci vollero mesi e mesi solo per decidere quale fosse il miglior criterio per l'inserimento
dei dati. Già questo fece lievitare i costi e andare
oltre le elezioni. I codici leonardeschi, tanto per
dirne uno, presentavano difficoltà concettuali: andavano scomposti in testo e figure e queste ultime riordinate in sequenza logica, ovvero ogni pagina doveva costituire un tutt'uno da incorporare a livello pittorico, lasciando poi alla macchina l'incombenza di
organizzarselo a piacere? Da ultimo si decise per la
seconda alternativa, ma questo creò problemi con
l'analisi grafologica di una scrittura sinistrorsa, e via
di questo passo.
L'intoppo grosso, quello inaspettato, venne fuori
all'atto di andare in esecuzione. Nei casi precedenti il
sistema, dopo l'assemblaggio finale e l'eliminazione
degli errori più evidenti, era sempre entrato in produzione. Magari preliminare e ancora insoddisfacente, ma pur sempre produzione su cui poter lavorare per i raffinamenti successivi. Per "Anghiari",
invece, non si riusciva neanche a partire in modo
definitivo. Non che la macchina si rifiutasse di lavorare; il problema era più sottile, sfuggente, erratico.
Una delle frustrazioni a cui - come si seppe più tardi
- non si era sottratto, chi più chi meno, nessuno dei
membri del progetto, fu quella del famigerato cavallo a tre zampe. Si trattava del primo tentativo di
impostare una figura non geometrica, dopo una serie
di schizzi prospettici su solidi platonici e architetture che, fino a quel punto, erano andati abbastanza
bene. Fu chiesto alla macchina di raffigurare un
cavallo: un semplice cavallo di profilo, col capo a
sinistra, al passo, in bianco e nero e con ombreggiature appena accennate. Poco più che una sagoma,
dunque. Dato che un cavallo richiede molto più
impegno di un arco con colonne doriche, nessuno si
sarebbe meravigliato per il verificarsi dei primi
inconvenienti. Ma nessuno si sarebbe neppure aspettato quelli che si verificarono in realtà.
Dopo un tempo improponibilmente lungo, tanto che
in Sala Schermo ci si cominciava a chiedere se non
fosse ora di metter le mani sui monitor e iniziare il
debug per capire cosa non avesse funzionato, sul
tabellone cominciò ad accendersi qualcosa.
Comparvero anzitutto i quarti posteriori del cavallo,
con le gambe e la coda. Poi, invece di completare
l'impianto grafico, il sistema si dedicò alla rifinitura
delle parti già disegnate, in aperto contrasto con le
istruzioni che richiedevano un semplice schizzo. La
coda venne cancellata e riportata pari pari pochi
pixel più in alto. Poi cancellata di nuovo e rifatta
zampillante, a ciuffo serrato. Infine sparì di nuovo, e
ne venne fuori un'altra, abbattuta e spettinata, come
se il sistema fosse ancora incerto e stesse tentando
altre strade.
Il fatto era inquietante ma, con le nuove architetture
di macchina, non del tutto inconcepibile. Secondo il
criterio adottato per la programmazione era inteso
che il disegno avrebbe dovuto comparire tutto insieme, una volta completato. Che nel corso dell'esecuzione potessero esserci ripensamenti del sistema,
poteva in linea di principio succedere, ma non ci si
aspettava che se ne serbasse traccia nel prodotto
visualizzato. In un certo senso, era come se la macchina ritenesse di aver finito, e poi ci ripensasse...
certo, con sistemi così complessi non si poteva mai
dire...
D'altra parte, quel fare e disfare sotto gli occhi di
tutti era quanto meno interessante, almeno come
pura e semplice curiosità. Nessuno dei sistemisti presenti, abituati come categoria professionale a
imbambolarsi anche di fronte allo scorrere di liste di
numeri, prendeva l'iniziativa di bloccare il sistema
per cercare il baco che pure doveva esserci.
Continuavano a succedere cose strane e inattese. Ad
un certo punto il cavallo fu lasciato con due code:
una meglio delineata e apparentemente definitiva,
con un'altra appena accennata, un po' più ad arco,
forse coll'intento di decidere più tardi quale si attagliasse meglio all'insieme. Il sistema passò invece
all'ombreggiatura delle gambe. Era un disegno davvero inconsueto quello che stava venendo fuori: un
po' irreale, ma era pur vero che una cert'aria leonardesca non gli mancava. Tanto più leonardesca in
quanto irreale, ma di certo non era quel che era stato
richiesto.
Un po' di tratteggio, poi sfumato quasi a campitura
completa; altro tratteggio sopra la groppa cancellato
subito... e la gamba anteriore sinistra che compariva
all'improvviso tutta intera e cominciava a ruotare
lentamente di qualche grado in avanti, facendo l'effetto di un cartone animato perché le ombre si riaggiustavano in tempo reale. Ma stavolta il tratteggio
della gamba non era più parallelo a quello del corpo;
anziché ruotarlo, il sistema lo cancellava per ricominciare da capo. Poi sparivano tutte e due le code,
ne spuntava una terza più lunga e spigliata che frustava i garretti.
Ora una gamba si fletteva quel tanto che lo zoccolo
toccasse terra solo di punta, poi da capo con le
ombre. Lo zoccolo si alzava un tantino, insomma
non si finiva più. Dopo un'ora di ripensamenti col
cavallo che non andava oltre la metà, fu deciso di
interrompere l'operazione memorizzando lo stato
interno del sistema in modo da poter eventualmente
riprendere dallo stesso punto qualora fosse risultato
opportuno.
In primo luogo fu ritenuto necessario passare in rassegna la banca dati completa, per cui ci volle il resto
di quella giornata e tutta la successiva. Furono visualizzate le strutture portanti dei diagrammi di flusso
del Thesaurus leonardesco così come lo aveva siste-
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matizzato la macchina, e ce ne volle di pazienza e
bravura per seguirne gli intrichi diabolici senza perdersi del tutto. I due superesperti del settore dedicarono poi un'altra giornata a giostrare sulla minimizzazione dei residui - è una tecnica complicatissima,
la cui spiegazione precisa non può in alcun modo
interessare l'uomo della strada - ottenuti riportando
sulla stessa scala la frazione grafica e quella letteraria del corpus. Litigarono su alcune interpretazioni,
ogni tanto trovarono un errore marginale, una correlazione mancante o di troppo, una figura digitalizzata un po' storta, una piccola sporcizia numerica, una
variabile non inizializzata, le solite cose. Niente però
che giustificasse un malfunzionamento - o quanto
meno un funzionamento anomalo - così appariscente. Le correzioni apportate avrebbero condotto a
maggiori aderenze formali, a piccole migliorie estetiche, ma di certo non potevano avere nulla a che
fare con l'estenuante farraginosità della procedura di
disegno adottata dal sistema.
Come sanno anche i bambini, quando un programma
funziona male e l'errore non si trova, l'unica alternativa è di continuare a farlo girare finché va nel pallone più completo, sperando che a quel punto emerga qualche indizio. Fu dunque rilanciato il disegno
del cavallo da dove era stato interrotto e il sistema fu
lasciato a lavorare nottetempo. Il mattino dopo la
macchina era ferma e segnalava di aver completato
regolarmente l'impresa. Sullo schermo campeggiava
orgoglioso un cavallo imponente, da mozzare il fiato
al più schizzinoso dei critici. Fasci potentissimi di
muscoli, da far sembrare l'animale quasi bolso se al
contempo non ne fosse scaturita un'impressione di
forza selvaggia. Il che, per il semplice schizzo
richiesto, era decisamente troppo e di gran lunga.
Testa un po' ruotata in direzione dell'osservatore
(mentre avrebbe dovuto essere di profilo) verso il
quale guardava con animosità e protervia l'unico
occhio visibile. Bocca sfessurata, denti inferiori
appena intravisti e velati di schiuma, criniera lunga e
cadente ben chiaroscurata sulla groppa, appena delineata via via che scendeva sui fianchi. Se il cavallo
per lo Sforza Ludovico detto il Moro fosse arrivato a
fusione in quella posa, non vi sarebbe stato barba di
francese ad aver l'animo di dilettarvisi d'archibugio
ancorché il duca avesse perso lo stato e la roba,
(rielaborato dal Vasari, per l'uomo della strada che, a
questo punto, comincia a seccare un po') ma...
Ma la gamba anteriore destra, quella parzialmente
nascosta all'osservatore e che, secondo logica,
avrebbe dovuto essere alzata, mancava del tutto.
C'erano invece, disegnate verso i bordi dello schermo, tutta una dovizia di gambe anteriori destre di
cavallo, quali alzate e quali no, in orientazioni, scale
e gradi di finitura diversi, tra cui una anatomizzata di
fronte e di profilo, che si sovrapponeva in parte alla
testa.
Neanche a dirlo, fu rianalizzato tutto il sistema. Di
nuovo si trovarono pochi bachi residui, ma sempre
cose piccole, marginali. Si commissionò alla macchina l'esecuzione di un nuovo cavallo.
Stavolta la gestazione non durò più di un quarto
d'ora. Poiché in Sala Schermo si erano attardati alcuni dei filologi e critici d'arte che avevano fornito
consulenza al gruppo di sistemisti incaricati delle
incombenze informatiche, un piccolo applauso salutò la comparsa del cavallo completo, rifinito conformemente alle richieste, dal disegno generale senza
ombra di dubbio leonardesco. Gli umanisti non
riuscivano a rendersi ragione del mancato entusiasmo - anzi, dell'evidente frustrazione - dei tecnici di
sistema i quali, viceversa, erano ben consapevoli che
le microscopiche correzioni apportate non giustificavano affatto il mutamento sostanziale nell'operatività della macchina.
Furono purtroppo gli informatici a prendersi un'in-
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desiderata rivincita allorché, commissionato un
completamento del cavallo col mettervi in groppa
anche un cavaliere in figura di San Giorgio, lo schermo venne istantaneamente cancellato e, senza quasi
che si percepisse soluzione di continuità, vi si distese la figura di un orrido drago, tutto piastre, unghie e
rotelle, ovvio complemento della figurazione richiesta. Un piccolo capolavoro nel suo genere, di sicuro
effetto ma dal volto rassemblante - al di là di ogni
possibile equivoco - le fattezze di "Mr. President"
contorte in un sogghigno bestiale. E per qualche
giorno l'ordigno malefico si accanì contro le massime istituzioni, rifiutandosi di produrre soggetti rinascimentali, ma dedicandosi a viste esplose della Casa
Bianca, scomposizioni della medesima in sezioni
auree, fortilizi e bastioni da affiancarle e così via.
La cosa cominciò a migliorare - si fa per dire - quando il sistema tornò spontaneamente a raffigurazioni
più tradizionali. Stavolta, sempre rifiutando il cavallo, produsse una Madonna con Bambino e San
Giovannino in colore pieno, con particolare cura alla
prospettiva aerea che via via velava verso l'orizzonte colline, borghi e torri. In molti restarono a bocca
aperta e almeno una ventina tra riviste elettroniche e
cartacee la misero in copertina. Ma per gli addetti al
progetto seguitava a non essere affatto un buon
segno.
Finalmente il sistema decise di tornare a cavallo e
cavaliere. Per ben tre volte consecutive eseguì il soggetto nelle positure e nei gradi di finitura - sempre
più dettagliati - richiesti, impiegandoci pure un
tempo accettabile. Sconcertante!
A meno che... - cominciò a teorizzare qualche esperto in intelligenza artificiale che in vita sua non aveva
mai visto un monitor - a meno che il progetto fosse
così complesso da richiedere quasi necessariamente
un funzionamento iniziale un po' erratico. Il sistema
se la doveva "prendere comoda" per cominciare a
orientarsi in quel guazzabuglio con cui era alle
prese; doveva elaborare selvaggiamente per un po'
prima di individuare da solo le strade per le quali
indirizzarsi. L'analogia sollevata era quella del
"sogno". In qualche modo non ancora chiarito, ma
che si presentava come ottimo argomento di tesi di
laurea per studenti brillanti - e di raggiungimento di
cattedra per accademici meno brillanti - il sistema
aveva "sognato" per un po' e finalmente si era "svegliato". L'esecuzione puntuale delle ultime commissioni denotava il raggiungimento di una configurazione stabile, dalla quale si poteva ormai partire per
lo sviluppo corretto del progetto. Gli informatici che
lavoravano sull'"Anghiari" commentavano queste
ipotesi con dei "Boh!", dei "Mah!", degli "Uhm!".
D'altra parte, alternative techiche non sembravano
essercene. Ogni successiva revisione confermava la
correttezza dell'impostazione di base, per cui la speranzella che il problema risiedesse negli intrichi dell'architettura multidimensionale e fosse quindi destinato a risolversi da solo era tutto sommato benvenuta.
Nuova desolazione e disperazione quando, per un'altra settimana, vennero fuori solo sciarade e rebus - di
bel disegno questi ultimi, ma nessuno se ne curava.
Le cose trascesero ogni limite allorché il Leonardo
sintetico che serpeggiava per i circuiti riuscì - non si
seppe mai come, ed è ancora informazione classificata per cui rischio molto a divulgarla - a infrangere i codici di sicurezza del Pentagono e impadronirsi dei progetti di un nuovissimo ordigno bellico spaziale la cui esistenza era stata - ed è tuttora - sempre
negata, e i cui schemi dettagliati visualizzò sullo
schermo aggiungendovi di proprio spingarde, colubrine, mortai e antenne falcate. La qualità grafica era
sempre superba, ma dopo aver giurato solennemente
di mantenere il segreto su quanto accaduto, il gruppo di lavoro convenne che non si poteva seguitare a
quel modo. Bisognava ad ogni costo individuare il
baco che impediva l'ottenimento sistematico dei soggetti voluti.
CONTINUA NEL PROSSIMO NUMERO...
La didattica nell'anno scolastico 2000/2001
La professoressa Maria Antonietta Guerrieri, Consigliere Delegato per la Didattica, ci spiega
come l’ATA organizza ogni anno nelle scuole corsi e lezioni ai ragazzi di tutte le età.
C
ome è consuetudine già da parecchi anni, noi
soci didatti tiriamo le somme del lavoro
svolto durante l'anno scolastico da poco conclusosi.
Anche quest'anno il lavoro fatto nelle scuole ci ha
dato molte soddisfazioni ed è stato apprezzato da
tutti coloro che ne hanno usufruito. Anche quest'anno, inoltre, le richieste hanno superato le nostre possibilità e, pur impegnandoci al massimo, non siamo
riusciti ad accontentare tutti.
Il numero totale di scuole raggiunte dal nostro
intervento è stato di 24 tra elementari, medie inferiori e medie superiori.
Siamo molto contenti perché al nostro piccolo
gruppo si sono aggiunti tre nuovi e volenterosi soci
didatti, che inizialmente hanno affiancato i più
esperti ed in seguito sono diventati operativi a tutti
gli effetti. Ci auguriamo che ne vengano altri, c'è
lavoro per tutti!
Dobbiamo registrare anche una novità che è risultata molto positiva e che, per questo motivo, abbiamo deciso di offrire quest'anno a tutte le scuole che
richiederanno il nostro intervento. Accanto alle
lezioni agli alunni in alcune scuole sono stati fatti dei
piccoli corsi di aggiornamento per gli insegnanti che
sono stati molto apprezzati.
Infatti, soprattutto nelle scuole elementari e medie
inferiori, per particolari argomenti proposti, come
per esempio la costruzione di uno strumento astronomico o l'osservazione del cielo di notte, non solo
la presenza ma anche la fattiva collaborazione dell'insegnante della classe, che conosce gli allievi, è
decisamente necessaria.
Un'altra novità molto simpatica e che è stata acolta con grande entusiasmo dagli alunni della classe
quarta del plesso "Centro Urbano" di Lanuvio è stato
il "Gioco del Sistema Solare"; un vero e proprio
gioco con regole e vincitori che un nostro socio ha
elaborato e che gli alunni, a conclusione del ciclo di
lezioni, hanno giocato nel parco antistante la biblio-
teca comunale di Lanuvio. Come ogni buon gioco,
sotto l'apparenza ludica, permette di apprendere
come i pianeti ed i satelliti si muovano attorno al
Sole, in quali condizioni si possano osservare i pianeti e le costellazioni, insomma un piccolo "planetario" vivente.
Dobbiamo registrare ancora una novità legata al
fatto che da Gennaio è in funzione l'Osservatorio
Pubblico "Franco Fuligni" al Vivaro. Tutte le scuole
che hanno partecipato alle nostre lezioni hanno
avuto la possibilità di concludere con serate osservative usando il telescopio in dotazione all'osservatorio: accompagnati da insegnanti e genitori, anche
essi coinvolti, hanno avuto l'opportunità di osservare prima nel piazzale antistante, ad occhio nudo, le
costellazioni visibili, e poi dentro la cupola, al telescopio, alcuni oggetti celesti particolarmente interessanti: quest'inverno Marte è stato senza dubbio
l'oggetto più gettonato.
A tutte le scuole dei Castelli Romani è stato inviato un plico con le nostre proposte per l'anno scolastico 2001/2002; come si noterà ci saranno alcune
novità, infatti sono stati elaborati pacchetti differenti per tipo di scuola e per ampiezza di interventi in
tutti, comunque, è prevista la serata conclusiva
all'osservatorio del Vivaro.
A conclusione di questa breve relazione sull'attività didattica, voglio porre l'attenzione su una iniziativa molto stimolante che affiancherà il ciclo di conferenze "Tutti gli Universi Possibili" in programmazione a Febbraio a Frascati e che sarà tenuto dal
nostro Italo Mazzitelli (vedere anche ultima pagina
di Polaris): tra gli alunni, particolarmente interessati, dell'ultimo anno delle scuole medie superiori, che
parteciperanno al ciclo di conferenze, verrrà costituito un gruppo che, seguito da alcuni soci operativi
dell'Osservatorio, si dedicherà a calcolare sperimentalmente l'espansione dell'Universo. Non c'e bisogno
di sottolineare il grande valore di questa iniziativa;
inoltre il lavoro effettuato potrà essere portato agli
esami di diploma come percorso pluridisciplinare da
ognuno degli allievi partecipanti.
Concludo augurando a tutti insegnanti e studenti
un sereno e produttivo anno scolastico in attesa di
essere contattati quanto prima per offrire la nostra
esperienza e le nostre conoscenze astronomiche.
Prof. Maria Antonietta Guerrieri
"Misurare" l'espansione dell'universo?
Aderendo al progetto "Tutti gli Universi Possibili",
tre gruppi selezionati di studenti, di tre Istituti diversi, avranno modo di svolgere un’esperienza all’interno dell’Osservatorio “Franco Fuligni”, nel tentativo
di misurare l'espansione dell'Universo e quindi la
costante di Hubble. I ragazzi opereranno sotto la
guida di esperti professionisti e astrofili
dell'Associazione Tuscolana di Astronomia. Al termine dell’esperimento gli stessi realizzeranno una
Mostra-Percorso ad elevato contenuto multimediale
dove potranno esporre i loro risultati, e che illustri
tutte le varie tappe. I risultati delle ricerca saranno
poi pubblicati su riviste scientifiche ed amatoriali
nazionali ed internazionali. L’esperienza oltre ad
avere rigorosità scientifica ed interesse didattico,
potrà essere utilizzato anche dagli stessi studenti
come eccellente tesina d'esame di maturità.
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