(LAMARQUE VIVIAN) MARIA VERZA

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(LAMARQUE VIVIAN) MARIA VERZA
Corso di Laurea Magistrale in Lettere Moderne
VIVIAN LAMARQUE:
LE RACCOLTE IN VERSI
Relatrice:
Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli
Tesi di laurea di:
Maria Verza
Matr. 769589
Anno Accademico 2011 - 2012
1
Introduzione
In questo mio lavoro prenderò in esame la produzione in versi di Vivian
Lamarque pubblicata fra il 1981
e il 2009. Poesia esplicitamente
autobiografica, richiede la contestualizzare il personaggio nel momento
storico-letterario a lei contemporaneo e un fitto e costante riferimento al
vissuto. Utilizzando alcuni componimenti dell’autrice ho così individuato le
linee principali della sua esperienza di vita, soffermandomi soprattutto sui
momenti che più hanno influenzato la sua poesia: l’adozione e la scoperta di
avere due madri, la morte del padre Dante, il matrimonio col marito Paolo, la
nascita della figlia Miryam, il lungo percorso di analisi intrapreso col Dottor
B.M., oltre all’ossessiva dichiarazione della necessità di scrivere, fin da
bambina.
Un posto importante nell’opera della Lamarque occupa però anche la
letteratura per l’infanzia, così come il lavoro al “Corriere della Sera” e quello
di traduttrice, soprattutto di storie per bambini. Per questo nel capitolo
introduttivo ho dedicato un paragrafo ad ognuno di questi ambiti, delineando
così un quadro complessivo e il più possibile rappresentativo della poetessa.
Il corpo principale della tesi è costituito dall’analisi delle sue raccolte
poetiche, partendo da Teresino, vincitrice nel 1981 del Premio Viareggio Opera
Prima, per poi affrontare le tre opere successive: la trilogia psicanalitica
dedicata al proprio terapeuta, il Dottor B.M., nei confronti del quale l’autrice
visse un forte transfert, narrato appunto ne Il signore d’oro, ne Il signore degli
spaventati e in Poesie dando del Lei. Segue la raccolta Una quieta polvere, dal
titolo di dickinsoniana memoria, nella quale la Lamarque oltre alle sue usuali
tematiche si occupa anche di temi naturalisti e umanitari.
E’ del 2002 la riedizione di tutte le precedenti opere poetiche, realizzata
dalla casa editrice Mondadori col volume intitolato Poesie 1972-2002, nel
quale viene inserita una sezione di inediti che continuano gli argomenti più
universali trattati nel precedente lavoro poetico col poemetto L’albero e la
2
sezione Poesie dedicate. Il tema della morte, affrontato in questi nuovi
componimenti, percorre in modo più o meno evidente tutta la produzione della
Lamarque, diventando più invadente soprattutto dal 1996. E’ centrale anche nei
dialoghi col suo gatto Ignazio, protagonista e committente della raccolta del
2007, Poesie per un gatto. Analizzo infine una raccolta apparentemente
distonica rispetto alle pubblicazioni precedenti: le poesie in dialetto milanese.
In ognuno di questi capitoli, dopo un’introduzione nella quale presento la
storia editoriale della raccolta e quella biografica dell’autrice, ne espongo la
struttura interna e gli eventuali apparati testuali che la accompagnano.
Un’ampia parte è dedicata all’analisi delle tematiche e dei contenuti che
accomunano le poesie della raccolta presa in considerazione, per poi passare
all’individuazione dei caratteri del narratore e dei personaggi, figure spesso
coincidenti, essendo la poesia della Lamarque una poesia autobiografica. Dopo
aver considerato l’aspetto metrico e strutturale dei testi, concludo l’analisi
ricercando i principali modelli di scrittura oltre che i testi associabili per
affinità alla poesia dell’autrice, primi tra tutti Penna, Pascoli e Dickinson, oltre
ovviamente alla tradizione della fiaba.
Nell’ultimo capitolo affronto infine l’aspetto linguistico della poesia della
Lamarque, caratterizzata della scelta di una lingua semplice e colloquiale,
infantile e, per alcuni aspetti, fiabesca.
3
4
CAPITOLO I
LA VITA, LE OPERE
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1. L’ambito culturale
Nella seconda metà del secolo la poesia appare in una condizione di crisi,
determinata dalla spettacolarizzazione della cultura e dal trionfo dei massmedia. Gli scrittori reagiscono ora in modo restaurativo e tradizionalistico, ora
con rinnovate istanze sperimentali. Il movimento della Neoavanguardia occupa
tutti gli anni Sessanta e si estingue all’inizio dei Settanta. La sua parabola è
parallela a quella della contestazione studentesca e operaia che ebbe il suo
epicentro nel 1968 facendo così corrispondere rivolta sociale e fenomeni di
radicale rinnovamento letterario e artistico.
In Italia il panorama appare assai frastagliato. La linea ermetica è
originalmente proseguita, con molti aggiornamenti, dai poeti della così detta
“linea lombarda”, i cui caratteri consistono in una poetica delle cose connotata
da un senso civile e razionale di tipo illuministico, e tuttavia malinconicamente
lirica e “novecentesca”. Punti di riferimento di questi poeti, nati attorno al
1920, sono il più anziano Vittorio Sereni, e alcuni maestri del Novecento come
Montale e Rebora. Alla linea lombrada possono essere ascritti soprattutto
Bartolo Cattafi, Luciano Erba, Giorgio Orelli, Nelo Risi; alcuni tratti in
comune con essa hanno anche Elio Pagliarani, ai suoi esordi, e soprattutto il
più giovane Giudici, che punta sui temi quotidiani e autobiografici, fino a
fornire una specie di diario dell’alienazione negli anni del miracolo economico.
Si può parlare per questi poeti di un secondo tempo della linea lombarda, in
quanto avente il suo momento di massimo sviluppo nel decennio tra 1965 e
1975, così come il primo tempo si definisce particolare nel decennio tra il 1955
e il 1965. Al secondo tempo della linea lombarda sono riconducibili anche
Giorgio Cesarano, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni e Tiziano Rossi.
Un diverso superamento dell’Ermetismo si registra in Andrea Zanzotto, che
affida a un crescente sperimentalismo formale la propria ricerca sul linguaggio,
inteso quale deposito della storia e dell’esperienza psichica. Contro il
Neorealismo e contro l’Ermetismo si muovono i poeti della rivista bolognese
Officina, che propongono una scrittura narrativa e civilmente impegnata. Tra di
essi spiccano Pier Paolo Pasolini, Paolo Volponi e Franco Leonetti. Una forma
6
diversa di sperimentalismo, che rifiuta l’impegno e intende piuttosto registrare
l’alienazione sociale e denunciare l’inautenticità dei linguaggi (poesia
compresa), è praticata dai poeti “novissimi” (Alfredo Giuliani, Antonio Porta,
Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti), poi riuniti nel gruppo
63. Alla Neoavanguardia è in qualche modo riconducibile anche la poesia
emozionale di Amelia Rosselli. Viene anche ripresa la poesia in dialetto, lingua
vista come veicolo per una ricerca di autenticità espressiva, insieme con la
coscienza della marginalità culturale. Scrivono in dialetto Pasolini e Zanzotto;
ma i maggiori poeti dialettali sono Albino Pierro e Franco Loi.
Il periodo successivo, che si apre alla metà degli anni Settanta, è quello del
riflusso e del ritorno al privato. Venute meno le utopie e le speranze di
cambiamento, in campo letterario prevale una prospettiva di disimpegno, ora
intimistica e neoromantica, ora ludica e postmoderna.
I nuovi poeti che si affermano nel quindicennio che va dal 1970 alla fine degli
anni Ottanta vengono talvolta definiti “poeti innamorati” in quanto appaiono
insieme in un’antologia intitolata appunto La parola innamorata, che uscì nel
1978 a cura di Pontiggia e Di Mauro. Essi propongono un ritorno al
soggettivismo lirico, alla concezione orfica della poesia e alla linea della
tradizione simbolista. La centralità della bellezza affermata da questi poeti
sconta in partenza un rifiuto di misurarsi con tematiche storico-sociali forti: la
poesia è coltivata al di fuori del mondo e magari contro di esso, quale
alternativa radicale o quale residuo momento di verità e di autenticità in un
mondo inautentico. Il successo di questa tendenza negli anni Settanta e Ottanta
dipende in egual misura, oltre che dalla immediata spettacolarizzazione di
massa (fino ai festival di poesia), dalla delusione generazionale dinanzi alla
riorganizzazione del neocapitalismo dopo la contestazione degli anni Settanta,
con il conseguente ritorno consolatorio al privato, e dalla disponibilità a
ricaricare un’istituzione come la poesia di aspettative consolatorie non prive di
ingenuità. E’ d’altra parte con questa nuova generazione di poeti che si passa
dai poeti-intellettuali che dominano fino agli anni Cinquanta e Sessanta ( come
Luzi, Fortini, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti e molti altri) ai poeti-poeti che
dominano i due decenni seguenti, spesso rivendicando la superiorità della
7
propria purezza, tra cui Milo de Angelis, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi,
Cesare Viani.
Dei molti altri poeti legati alla dominante tendenza neo-orfica, Dario
Bellezza intreccia nella sua poesia grazia e scandalo, armonia e orrore,
ricollegandosi alla lezione di Penna e di Pasolini (cui lo legano anche le
tematiche omosessuali), mentre la romana Biancamaria Frabotta sullo sfondo
di una ricerca femminista colloca lo scontro fra lingua letteraria e
rivendicazione di un nuovo orizzonte espressivo. Valerio Manganelli, nella cui
poesia al centro sta il soggetto, risulta tuttavia interessato a ragionare sulle
condizioni (e i limiti) della conoscenza e dell’espressione.
Appartata si è svolta fin dagli anni Cinquanta la poesia di Alda Merini, nata a
Milano nel 1931, la cui ispirazione si è fatta nuovamente notare dopo un
ventennio di silenzio trascorso per lo più nella cura di una grave crisi psichica,
a partire dagli anni Ottanta.
Continuano d’altra parte ad essere attivi in questo
periodo molti dei poeti più anziani (persino Montale, che muore nel 1981),
mentre non pochi nuovi poeti proseguono consapevolmente la traccia della
Neoavanguardia, mentre altri tentano percorsi alternativi che rifiutano però
l’antisperimentalismo regressivo dei poeti innamorati. Tra questi Gianfranco
Ciabatti, impegnato nelle lotte della contestazione poi si dedica alla poesia
come attività secondaria, in cerca non di illuminazioni ma di verifiche teoriche
ed esistenziali.
Nuove esperienze contrapposte al neo-orfismo si affacciano con forza e
consapevolezza teorica a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta. Esse
sono rappresentate dai nati tra il 1955 e il 1965 che rifiutano ogni qualifica
generazionale e si ricollegano invece esplicitamente ai maestri dello
sperimentalismo degli anni Cinquanta e Sessanta, non senza essere talvolta
sostenuti da alcuni vecchi esponenti della Neoavanguardia. Hanno in qualche
modo introiettato il nuovo contesto culturale e sociale del Postmoderno, e
rivendicano tuttavia, in modi diversi, la necessità di vivere quel clima senza
adeguarvisi ideologicamente e anzi in modo critico. La loro poesia si fonda
dunque sulla commistione dei generi e dei linguaggi, sul riuso di modelli
metrici e stilistici del passato, sulla citazione e sul montaggio, nell’intento di
8
denunciare l’orizzonte del presente facendone esplodere i conflitti e
mettendone in mostra le interne tensioni irrisolte. I poeti riconducibili a questa
sorta di post-modernismo critico sono legati ad alcuni gruppi e riviste attivi
soprattutto a Genova e a Milano. Genovesi sono Marco Berisso, Marcello
Frixione e Paolo Gentiluomo; di Napoli ma legati alla rivista milanese
“Baldus” sono Mariano Baino, Biagio Cepollaro, Lello Voce, mentre ai
margini si colloca Gabriele Frasca. Tutti questi poeti si sono riconosciuti nei
loro intenti tra la fine degli anni Ottanta e lo scioglimento annunciato nel 1993
del gruppo ‘93, nato nel 1990 in assonanza con il movimento di trent’anni
prima, in una prospettiva di proseguimento e aggiornamento dell’esperienza
della Neoavanguardia.
1.1 Poesia al femminile
Negli anni Cinquanta, apparentemente poco propizi alla poesia, percorsi
come sono da una prepotente esigenza rappresentativa di timbro neorealista,
fanno il loro esordio alcune delle voci poetiche più autorevoli e forti del
Novecento: Alda Merini, Cristina Campo, Maria Luisa Spaziani, Rossana
Ombres, Amelia Rosselli.
La debuttante più giovane è Alda Merini, che nel 1953, poco più che
ventenne, pubblica La presenza di Orfeo. Aveva conosciuto a Milano Giorgio
Manganelli, Salvatore Quasimodo, Davide Maria Turoldo, Maria Corti: ma già
all’altezza dell’esordio poetico si stavano manifestando i primi segni della
malattia mentale, che scandirà dolorosamente la sua vita, tenendola internata
dal 1965 al 1972 nel manicomio di Milano e poi ancora negli anni Ottanta
nell’ospedale psichiatrico di Taranto. Ritorna l’immagine di Orfeo in Vuoto
d’amore, del 1991, dove amore passionale e furore mistico di nuovo si
congiungono con esiti di straordinaria potenza espressiva.
Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, traduttrice e saggista
esordisce con Passo d’addio nel 1956. E’ la sua passione per la bellezza e per
9
la perfezione la nota dominante della sua scrittura e di tutta la sua produzione
poetica, costituita da pochi componimenti di assoluta luminosità.
Al 1954 data l’esordio di Maria Luisa Spaziani, con Le acque del Sabato.
Risultano già evidenti i suoi temi più cari: la solitudine e la distanza, il
luminoso ricordo di una pienezza vitale promessa e non goduta. Comporre
poesia è per lei il modo per annullare silenzi e distanze, stando vigili, pronti a
cogliere l’occasione.
Tra la poesia e la narrativa si colloca Rossana Ombres, autrice di alcune
opere dal gusto surreale passa dai paesaggio della prima raccolta del 1956,
Orizzonte anche tu, alle figure mitiche protagoniste di Bestiario animale del
1974 nel quale raffigura un universo agli albori della creazione. Il suo
linguaggio poetico, sa essere morboso e cantabile fino alla filastrocca,
all’espressione dialettale ma anche subdolo e spiazzante non sempre di facile
comprensione.
Anche
le
poesie
di
Amelia
Rosselli
spesso
tramano
ai
danni
dell’intelligibilità, intessute come sono di lapsus, di scambi, di intrecci
plurilinguistici. I primi esperimenti degli anni Cinquanta, pubblicati solo nel
1980, sono effettuati nelle tre lingue conosciute: francese, inglese e italiano, ma
è nelle poesie di Variazioni belliche che la Rosselli esprime a pieno la sua
poesia. Il linguaggio è una partitura fortemente ritmata, intessuta di richiami
poetici
tra cui Campana, Montale, Rimbaud, i surrealisti,
combinati e
incrociati con vari effetti di assonanza e di distorsione, fino quasi alla
dissolvenza del nucleo logico.
Più di ogni altra poetessa è Rosselli ad essere letta e avidamente commentata
dalle autrici che s’affacciano negli anni Settanta e le sue poesie vengono
raccolte delle antologie: Donne in poesia del 1976 e in Poesia femminista
italiana del 1978. Proprio in questi anni, infatti, risuona forte anche nella poesia
la dolente e irata voce della donna, attraverso un tipo di poesia definita da
Mariella Gramaglia, una delle sue teorizzatrici, “poesia non letteraria, ma
culturale nel senso antropologico della parola, poesia che ti definisce e ti
esprime”.
10
Dacia Maraini partendo dalle poesie cupamente e furiosamente viscerali di
Donne mie, del 1974, e di Mangiami pure, del 1978, approda nel 1991 ai
quadretti di viaggi reali e immaginari composti con desiderio di fiaba e
leggerezza, con Viaggiando con passo di volpe. Nel 1977 esordisce Bianca
Maria Frabotta, studiosa del movimento femminista e della letteratura
femminile, ma è con le raccolte Appunti di volo del 1985 e Viandanza del 1995
che esprime appieno una combattiva vitalità che sfugge ai confini e alla insidie
della vita sedentaria, con versi percorsi da un ritmo inquieto e in fuga perenne.
Lampi di colore e di disperazione, resi in un linguaggio frantumato, percorrono
le poesie di Nadia Campana, pubblicate postume nel 1990, mentre la
quotidianità è il luogo in cui si svolgono le poesie di Dacia Maraini, che aveva
esordito negli anni Sessanta, e quelle di Vivian Lamarque, di un’ironia
apparentemente scherzosa e giocosa. Non conosce ironia la furente Jolanda
Insana, che può ricordare, per certe sue passionali intemperanze, il timbro
espressivo di Silvana Grasso: entrambe siciliane, esperte officianti di un
linguaggio allucinato. Nelle forme delle terzine è invece ordinata la voce di
Patrizia Valduga, che nelle sue poesie compone cataloghi di accoppiamenti, di
deformazioni e malattie, con forti effetti finali.
Lea Canducci mostra un
autentico e ricco mondo di sentimenti mascherati con motivi forti e parole
tecniche con un lavoro simbolico, sempre attenta al rapporto tra vita psichica
ed esperienza del mondo. Recupera un lessico tradizionale Maria De Lorenzo
le cui pagine addensano in dissapori e i contrasti del mondo, con la tacita
certezza che l’utopia sia parte della donna e che la parola ne sia strumento
imprescindibile. Va infine ricordata l’opera poetica di Anna Maria Ortese che,
pur nata nell’arco di un cinquantennio, tra il 1930 e il 1980, solo tra il 1996 e il
1998 viene pubblicata in due raccolte, Il mio paese è la notte e La luna che
trascorre, con echi leopardiani e talora di un’apparente semplicità. In realtà
questi strumenti senza tempo si prestano a raccontare l’infelicità e la solitudine,
la memoria e la sofferenza, l’attesa e la disillusione con un’energia visionaria, a
volte quasi mistica o affabulatoria.
11
2. Biografia
Sono nata a Tesero in Trentino nel 1946, e queste quattro cifre contengono anche il
mio giorno natale, 19, e il mese, 4. Non sono un mio postero e non conosco la statura
della mia poesia. Di certo comunque io, Vivian, metri 1.59, non sono alla sua altezza
(cioè della poesia), non sono nemmeno come lei leggera, 60 Kg, non so nemmeno
come lei parlare (la poesia). Lei trova con naturalezza le parole, io a voce no.1
Aprile dal bel nome
quando sono nata
io stessa con nomi curiosi
di bei significati
per dire che ero pratolina
e questo e quest’altro
e che dovevo vivere
(da una parte o dall’altra)
per dire donata
(o donanda)
insomma sono nata d’aprile
in montagna.2
Vivian Lamarque nasce il 19 aprile 1946 a Tesero, paesino con meno di 3.000
abitanti in val di Fiemme, provincia di Trento, ma cresce e vive a Milano.
Mia madre naturale era figlia di un moderatore Valdese, pastore Valdese, il nonno
Ernesto Comba ( autore di un’importante Storia dei Valdesi nel 1935), professore di
teologia, e essendo nata io illegittima, non stava bene che un pastore avesse una figlia
con una figlia illegittima. E’ come nelle telenovele:mi hanno abbandonato i ricchi e
colti e sono stata adottata dai semplici. Come nelle telenovele. Tutto il contrario. Un
feuilleton.3
Valdesina trascinata per una mano
giù fino a Milano
appena appena finito Natale
zitta guardava attorno
il nuovo presepe
la nuova mamma.4
1
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008
V.Lamarque, Aprile dal bel nome, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9
3
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
4
V.L., Valdesina, in Teresino, cit., p.10
2
12
A nove mesi la frattura/ la sostituzione il cambio di madre.5 Vivian viene data
in adozione a una giovane coppia di Milano, Maria Rosa Pellegrinelli e Dante
Provera, lei cassiera del cinema Ambasciatori in Corso Vittorio Emanuele, lui
vigile del fuoco.
Caro babbo II (ma primo)
che ti chiamavi Dante
che facevi il Campione d’Italia
di Sollevamento Pesi e il Vigile del Fuoco
che salvavi le persone
che hai fatto in tempo
a salvare anche me
prima di morire
a 34 anni.
Nel 1950 muore il padre adottivo di Vivian e la madre Rosy conclude da sola
le pratiche per l’adozione. Vivian si ritrova così ad avere tre cognomi, Comba
5
V.L., A nove mesi, ivi, p.9
13
Provera Pellegrinelli: avevo sette anni/ e a scuola mi chiedevano/ perché tanti
cognomi.6
Madre adottiva
Mi ricordo che era lunghissimo da dire: sono la figlia della cassiera dell’Ambasciatori.
E allora loro mi facevano passare, entravo. E spesso anche con compagni di scuola,
ero molto amata dalle compagne di scuola perché andavamo in corso Vittorio
6
V.L., Amavo il gesso, ivi, p.10
14
Emanuele in tutti i cinema gratis. E poi siccome la proprietaria del cinema, per
esempio del Garibaldi, non voleva che la cassiera si portasse la bambina al cinema ( i
biglietti avevano tanti colori diversi) e mi ricordo che stavo sotto la cassa nascosta a
giocare con questi biglietti, oppure entravo in sala e lì mi vedevo tre quattro volte la…
per questo mi è rimasto il desiderio quando vado al cinema di vederlo due volte di fila,
perché allora lo vedevo due o tre volte di fila.7
In via Castellino da Castelli frequenta la Scuola Elementare Rinnovata
Pizzignoni,
ogni classe aveva una porta-finestra sul giardino, avevamo orti da curare, animali da
cortile e persino due asinelli, ricordo centinaia di misteriosi bachi da seta, e le lezioni
di disegno sotto i ciliegi in fiore.8
Nel 1956 all’età di dieci anni Vivian scopre di essere stata adottata. Inizia così
a scrivere. La signora M. buona e La signora M. cattiva sono le sue prime
poesie, che parlano appunto delle sue due madri.
Ho scritto la mia prima poesia a dieci anni, quando, da documenti trovati in casa, ho
scoperto di avere due madri, che la madre con cui vivevo era la madre adottiva. Non
ho detto a nessuno di questa mia scoperta, ma forse era troppo grande per essere
taciuta: è finita, camuffata, obliqua, indiretta, nelle mie prime poesie.9
Scrivevo poesie perché non parlavo mai e perché “avevo un segreto”. Usavo qua e là
vocaboli difficili per imitare i grandi. Oggi non li imito più, per questo a volte portano
le mie poesie all’asilo.10
Bambina
Col punto erba
col punto croce
diligente si cuciva le labbra
faceva il nodo.11
Terminato il ciclo scolastico dell’obbligo, dal 1960 al 1965 Vivian frequenta il
liceo linguistico alla Civica Scuola Manzoni a Palazzo Dugnani, in via Manin,
dove impara il tedesco e il francese e nel frattempo prende lezioni private di
latino.
7
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa:
poesie in dialetto milanese, Stampa, Varese 2009, p.62
9
http://www.adolgiso.it
10
M.Marchi (a cura di), Vivian Lamarque, in Viva la poesia!, Vallecchi, Firenze 1985, p.187
11
V.L. Bambina, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.20
8
15
Tutte le mattine salivo la bella scalinata di Palazzo Dugnani, sede della Civica Scuola
Manzoni, affacciata sui Giardini Pubblici di Porta Venezia e sullo Zoo. Durante le
lezioni ridevamo delle estroverse chiacchierate delle foche, nelle interrogazioni mi
suggeriva Gianna Tanini ( che mi suggerisce tuttora come fare la dichiarazione dei
16
redditi e altre diavolerie), nell’ora di educazione fisica ci portavano a correre intorno
alla fontana e per i vialetti dei Giardini.12
Conoscendo a 19 anni la madre
Ecco il privilegio:
ha conosciuto sua madre volendo
(quale bambino?)
e fresca di parrucchiere
con una camicia azzurra e una gonna grigia
alle cinque o sei
era in ritardo
credo d’inverno
aveva la pelliccia.
[…]13
A 19 anni il primo incontro con la madre naturale. Successivamente conoscerà
anche i suoi tre fratellastri trasferitisi a Firenze: Marzio, Fabrizio e Orietta. In
un’intervista parlando del suo esordio poetico a dieci anni, dice: da allora non
ho più interrotto questa vita parallela, di carta, che accompagna, come una
stampella, l’altra14. E infatti come quando scoprì di avere due madri come
reazione scrisse, anche per tutti questi incontri Vivian compone delle poesie:
Conoscendo un fratello, dedicata a Marzio, Conoscendo l’altro fratello, a
Fabrizio (quei bambini in cortile/ potevo essere io) e per Orietta Cara sorella:
Cara sorella
oggi capisco
che ti eri spaventata
quando ero nata
avevi tredici anni
e anche tu l’infanzia
un po’ minata
ma credi non era colpa mia
se ero nata.15
Vivian ha 21 anni quando, interrompendo gli studi universitari da poco iniziati,
nel 1967 sposa Paolo Lamarque, il più pittore di tutti16, a cui dice di aver
12
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La
gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62
13
V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.7
14
http://www.adolgiso.it
15
V. L., Cara sorella, in Una quieta polvere, cit., p.29
16
V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13
17
rubato il cognome il giorno delle nozze, come ripeterà nella dedica alla raccolta
Una quieta polvere17: A Paolo, il mio cognome è suo.
Paolo
A Paolo Lamarque
Quel conoscerti tra il tavolo
e il mobile con lo specchio
tu parlavi in fretta dei quadri.
un’ora dopo
noi due andavamo già più avanti
dietro venivano gli altri
e ricordo benissimo che portavi i cappello
girando per via Lazzaretto.
Era dicembre.
In gennaio
a casa tua
mi salutava già la tua portiera.18
17
18
V.L., Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996
V.L., Paolo, ivi, p.34
18
L’anno dopo, nel 1968 nasce la figlia Miryam, per la quale scriverà le poesie
tra le più serene della sua produzione e alla quale dedicherà un’intera sezione
nella raccolta Teresino del 1981. Ho una bella bambina/ se mi date la Lidia
intera io non la do/ se mi date l’amabile… io non la do scrive, citando Saffo,
in epigrafe alla poesia Alla mia figlia gallinella:
Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca
con le sue due ali che non sanno volare
e le piume leggere e spettinate
e i due occhi attenti
a dove meglio beccare.19
E in Febbre scrive:
Miryam bella già di nuovo la febbre
le guancine rosse
stai sotto sotto
adesso vengo anch’io a nanna
che sono la tua mamma.20
Dal 1971 si trasferisce nel quartiere QT8 di Milano col marito Paolo, la figlia
Miryam, degli amici al piano di sopra, per vent’anni, fino all’inizio degli anni
‘90. Nell’intervista con Silvio Soldini Vivian mostra con gioia il giardino, le
margherite pratoline che non erano mai abbastanza, parla con la vicina delle
primule che ha sul balcone, mostra l’edera e le piante che aveva piantato
quando viveva in quella casa […] ho imparato qui a zappare, a seminare,
continua a raccontare. La passione per il giardinaggio, la cura delle piante,
l’amore per i fiori si sono sviluppati proprio nel giardino della casa in via
Moretti, ai piedi del Monte Stella, nel silenzio e nel verde del QT8, con alberi
da frutta, giardino e orto attraversati da gatti e merli21, passioni che poi
ritorneranno oltre che nella poesia anche in molte sue fiabe, come la bambina
giardiniera di La bambina bella e il bambino bullo22, che grazie alla sua
19
V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45
V.L., Febbre, in Una quieta polvere, cit., p.36
21
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La
gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62
22
V.L., La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine, Einaudi Ragazzi,
Milano 2008
20
19
passione per il giardinaggio riuscì a far diventar verde con piante e fiori una
città tutta grigia. E parlando di Milano oggi, dice: io d’estate vado in giro con
una bottiglietta d’acqua, appena vedo dei fiori aggiungo dell’acqua come un
tentativo di intervenire.23
23
Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale
Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012
20
Queste erano le case dei miei amici. Continua, mostrando a Soldini le
abitazioni intorno alla sua. Era bello parlarsi da una casa all’altra. Poi ci
scambiavamo le piantine24 con le vicine ricordate in Dediche senza poesie: A
Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro giardini tutti in fila […]25
Grazie al fratello di Paolo, Lucio Lamarque, e a Giovanni Raboni, Vivian
pubblica per la prima volta otto poesie sulla rivista Paragone nel 1972 e, nel
1978, la prima raccolta, L’amore mio è buonissimo, nei quaderni collettivi di
Guanda ideati da Raboni.
Sempre in via Manin, salivo un’altra scalinata […], quella del palazzo di fronte a
Palazzo Dugnani, dove aveva sede la Guanda, andavo e venivo per la pubblicazione
nei Quaderni della Fenice e per quella del mio primo libro, Teresino. Com’era vivo e
generoso con noi Giovanni Raboni, com’era giovane e ricco Maurizio Cucchi, Diego
Paolini e Marianto Prina preparavano bellissimi numeri dell’Illustrazione Italiana,
erano pallidi e seri, mi facevano soggezione, sulle scale incrociavo Franco Cordelli
alto e biondo, Roberto Rossi magro magro, di libri sapeva tutto, riconosceva dal
profumo la carta dell’editore.26
Gli anni vissuto nella casa del quartiere QT8, soprattutto tra il 1972 e il 1975,
sono gli anni più produttivi per la poetessa.
Qui ho scritto… forse gli anni in cui ho scritto più poesie in questa casa. Trecento
all’anno quasi. Negli anni ‘73… quando son venuta… qui son venuta nel ‘71, ecco
nel ’72-‘73 son stati gli anni… scrivevo continuamente. 27
Io senti ero tua moglie
il pianoforte nostro poi talmente lungo
che suonavamo insieme a dieci mani:
io e Tiziano un po’ male
il marito di Ornella benino
Irlando proprio bene
E tu così così.28
24
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
V.L., Dediche senza poesie, in Una quieta polvere, cit., p.132
26
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La
gentilèssa, cit., p.63
27
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
28
V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47
25
21
… poi avevo preso un pianoforte, prendevo lezioni di pianoforte, un momento di vita,
per qualche tempo speciale, poi… son stati gli anni più disturbati, dal punto di vista
mentale. Infatti poi ho iniziato l’analisi.29
Risale a quegli anni la separazione dal marito Paolo, che però continuerà a
tornare nelle sue poesie, come nella raccolta Il tuo posto vuoto in Teresino:
Il tuo posto vuoto a tavola
parla racconta chiacchiera ride forte
non sta mai fermo si alza
ritorna mangia avanza sempre un boccone
ritaglia nel formaggio forme di animali
il tuo posto vuoto a tavola
a destra di Miryam
è di fronte a me.30
Separazione
Quando spegne la luce la sera
e si racchiude nella posizione fetale
il tepore materno paterno coniugale
le viene da uno scaldaletto metallico
contenente acqua calda.31
Dopo la separazione oltre a scrivere poesie inizia ad insegnare, prima
stenografia in tedesco, poi italiano agli stranieri e letteratura nei licei privati
fino al 1997, anno in cui chiude l’istituto dove insegna. Intensifica così la
collaborazione con il “Corriere della Sera”, cominciata già nel 1992, mentre
continua il suo lavoro di traduttrice di poesie e fiabe.
Dopo di te
sposerò il mio pennino
e nessun altro
e nessun altro
il mio pennino
d’acciaio affilato
per sempre l’ho sposato.32
29
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37
31
V.L., Separazione, ivi, p.37
32
V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45
30
22
Nel 1984 comincia un percorso terapeutico di circa vent’anni con l’analista
junghiano Dottor B.M., per il quale proverà un transfert gigantesco33 e al quale
dedicherà tre raccolte poetiche: Il Signor d’oro nel 1986, Poesie dando del Lei
nel 1989 e nel 1992 Il Signore degli spaventati, più la sezione Poesie dando del
Lei (altre) nella raccolta Una quieta polvere del 1996.
Un altro indirizzo caro è via Comerio, per più di vent’anni al n.3 sono andata nello
studio del Dott.B.M., […] con lui l’analisi junghiana è stata fertilissima di risultati. E a
pochi metri dallo studio c’era il Liceo Beccaria frequentato da mia figlia Miryam, la
sua adolescenza con il Rocci in spalla.34
E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son
rimasta io con mia figlia e gatto e cane…35 Vivian scrive anche dei suoi
animali domestici: al gatto Ignazio, che la seguirà anche nell’appartamento di
via Arimondi, dedicherà la raccolta del 2007, Poesie per un gatto mentre per
l’amato cane Brigante, sepolto nel giardino di via T.Moretti scrive una poesia
con in epigrafe gli affettuosi versi: dei cani un po’ brutti/ eri il più bello di
tutti.36
Io in tutte le case più di quattro cinque anni non resisto.37 Così si trasferisce, e
anche del cambio di casa parla nelle sue poesie, nella sezione Cercasi: poesie
per un trasloco della raccolta Una quieta polvere. Vive per circa cinque anni
nella casa in via Arimondi, dalla quale si vede la caserma dei soldati della
poesia Condòmino e di Finestra, poesia dedicata proprio a questa via:
Quanto cara mi è questa finestra
che mi separa e unisce a Milano.
ma questa caserma coi soldatini
di stagno e questo castellino finto
o che sia vero? qual è il giusto tempo?
cosa quel RAI lassù, a mezzo cielo?
e da piazza Firenze […]
33
L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, Rebubblica, 30 gennaio 1993
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La
gentilèssa, cit., p.63
35
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
36
V.L., Al mio cane Brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55
37
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
34
23
Poi un nuovo trasloco in viale Certosa.
Ora abito in una casa su 8 (otto!) corsie di auto, alle stanze che danno su strada posso
cambiare aria solo di notte. Male per i miei polmoni, ma bene per la mia fame di
rumore dei vivi, in casa non mi dispiace la solitudine, ma fuori dalle finestre ho
bisogno di vedere che tutto si muove. Di vedere passanti, gente che sale sul tram o più
spesso l’aspetta, che entra in un negozio, che compra il giornale, di vedere automobili,
più spesso auto immobili, in coda. Grazie a un cavalcavia vedo auto persino a
mezz’aria come uccelli in cielo.38
Quasi tutti gli amici che ho sono amici di balcone … no, in viale Certosa no, perché se
andiamo a parlare sul balcone non ci sentiamo. Metter fuori le teste poi ognuno come
delle tartarughe, mettiamo fuori la testa, io almeno, metto fuori la testa come la
tartaruga un attimo, poi… poi basta, torno nel mio guscio.
Ma tra un po’ cambierò casa di nuovo, è bello cambiar casa, no?39
Anche il matrimonio della figlia Miryam con Giorgio, nel 1996, è ricordato con
una poesia: Per le nozze di Miryam e Giorgio (sei sei del novantasei)40, così
come la nascita della loro prima figlia:
A Micòl
Buongiorno vita, vita
nuova nata. Il latte
è pronto e un padre e quasi
tutto il resto. Brindo con i gerani e con la clivia
in fiore. Dose d’acqua
doppia a tutti oggi!41
Nasce Micòl, prima nipotina di Vivian, e poi Davide. Ai due nipoti l’autrice
dedica la maggior parte delle fiabe pubblicate dopo il 2000.
Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo
vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la
nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco
di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia,
che siano i bambini.42 Come scrive anche in epigrafe a una poesia: le poesie
possono aspettare/ non possono aspettare le persone care.43
38
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La
gentilèssa, cit., p.62
39
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
40
V.L., Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, cit. p.240
41
V.L., A Micòl, ivi, p.241
42
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit.
43
V.L., Preghiera delle mamme, in Una quieta polvere, cit. p.39
24
Attualmente Vivian Lamarque vive a Milano, collabora col Corriere della Sera
e continua a comporre poesie e fiabe.
3. Produzione poetica
Tenevo le poesie per me, le leggevo solo a pochi amici, non pensavo alla
pubblicazione. Invece mio marito Paolo Lamarque, grande appassionato di poesia, le
fece leggere a suo fratello Lucio Lamarque che lavorava alla Garzanti e che le fece
leggere a Giovanni Raboni. Raboni le fece uscire prima su “Paragone”, poi su “Nuovi
argomenti”. Scrisse che componevo poesie “come se questo non avesse a che fare con
la letteratura” ed era esattamente così. 44
Grazie all’aiuto di Raboni, nel dicembre 1972 Vivian pubblica otto poesie sul
numero 274 della rivista Paragone: Sognando la famiglia d’origine45; Quel
gesto46; Amore; Sai la parola mai?47; Sempre più mi sembri48; Il giorno 28;
Non è accaduto; Ne è da poco passata la morte49. Una breve nota introduttiva
di Giovanni Raboni accompagna l’esordio dell’autrice:
Vivian Lamarque […] ha ventisei anni. Non credo che, prima d’ora, abbia mai
pubblicato poesie. Questi suoi versi, e altri di lei che ho avuto modo di leggere, mi
sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme curata e
rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una lievità linguistica che è
anche nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura doloroso della parola
comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di coglierne il ritmo
implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure. […] di assolutamente
suo la Lamarque ha questa grazia, questa ingenuità di scrivere poesie come se si
trattasse di compiere un gesto che non ha nulla a che fare con la letteratura.50
L’anno successivo, il 1973, l’autrice pubblica altre otto poesie su “Nuovi
argomenti” n.32 di marzo-aprile, come racconta in un componimento
pubblicato qualche anno dopo:
44
http://www.adolgiso.it
Poi in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della fenice 30, Guanda, Milano 1978, p.61
46
Poi in ivi, p.60; e in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.33
47
Poi in Teresino, cit., p.25
48
Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.58; e in Teresino, cit., p.27
49
Poi in L’amore mio èbuinissimo, cit, p.60
50
G.Raboni, Otto poesie, in “Paragone”, n. 274, dicembre 1972, pp.42-43
45
25
l’amore mio una volta l’ho incontrato
che tornava dalla spesa con due sacchetti
e siccome io guidavo la macchina lui mi ha detto accosta
allora io mi sono molto emozionata
e ho scritto quella poesia che c’è su Nuovi argomenti n.32.51
La piccola sezione poetica proposta dalla Lamarque sulla rivista letteraria
prende il titolo di Era detto aquilone52, come la prima delle otto poesie lì
pubblicate, i cui altri titoli sono: Felice; Levati bambina53; Chiedere dove il
tempo; Ho ventisei anni54; Devastata da un suo guardare55; Credere di
proporre; Ecco, li presentano56.
Nel 1976 l’antologia Donne in poesia57 ripropone tre poesie dell’autrice, che
nell’introduzione complessiva all’opera sono dette brevi aforismi58. Una breve
nota biografica indica la prima pubblicazione di ognuno dei testi poetici
raccolti in quest’opera: “Sempre più mi sembri” è tratta da Paragone,
dicembre 1972, n.274; “Chiedere dove il tempo” e “Levati bambina” da
Nuovi argomenti, marzo-aprile 1973, n.32.
Più articolata è l’opera pubblicata nel 1978 con la casa editrice Guanda nel
secondo quaderno collettivo, collana ideata da Giovanni Raboni. Prima opera
organica dell’autrice, la piccola raccolta di sessantatre poesie si intitola
L’amore mio è buonissimo, realizzato sotto la supervisione redazionale di
Maurizio Cucchi. Oltre alle poesie della Lamarque, il Quaderno raccoglie
Ornitologia semplice di Piero Draghi, Il Mattino di Angelo Fiocchi, Un altro
po’ di diluvio di Luisito Pellisari, Muro della notte di Giovanni Ramella
Bagneri e La lepre nei campi di Francesco Serrao.
Anticipa di un anno la pubblicazione della prima raccolta a solo dell’autrice, la
rivista Prato pagano, che nel 1980, sul n.2 pubblica il poemetto Teresino,
poesia che chiude la raccolta omonima edita nel 1981 dalla Società di Poesia &
51
V.L., L’amore mio una volta l’ho incontrato, in Teresino, cit., p.13
Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52; e in Teresino, cit., p.26
53
Ibidem; e in Teresino, cit., p.29
54
Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52
55
Poi in Teresino, cit., p.29
56
Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.53; e in Teresino, cit., p.25
57
B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, Savelli, Roma 1976, pp.73-74
58
B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, ivi, p.23
52
26
Guanda. Con questa raccolta Vivian Lamarque vince il Premio Viareggio
Opera Prima con la seguente motivazione:
l’incanto della fiaba e le spine della realtà, riscontrandosi in una forma artistica di rara
grazia e limpidezza, concorrono ad attuare un risultato di notevole rilevanza critica e
una poesia intimamente giovane, accattivante, aperta a molteplici livelli di lettura, che
autorizza a guardare con sicura fiducia alle future prove dell’autrice.59
Nel 1984 Vivian inizia il percorso analitico col Dottor B.M. e nel 1986,
pubblica
in
anteprima
sull’antologia
Poesie
d’amore
cinque
brevi
componimenti con un titolo che si ripete: Il signore sognato; Il signore
dispettoso; Il signore accarezzabile; Il signore lontano; Il signore tesoro. Nello
stesso anno, presso la casa editrice Crocetti, esce Il signore d’oro, raccolta
composta dai “signori” già pubblicati nell’antologia e di altri settantaquattro
inediti. Nel 1989 esce Poesie dando del Lei, nuova opera edita da Garzanti e
anch’essa dedicata al percorso psicanalitico dell’autrice. Lo stesso argomento è
trattato dall’opera successiva della poetessa,
Il signore degli spaventati,
pubblicata nel 1992 dalla casa editrice toscana Pegaso, insignita in quell’anno
del Premio Montale.
Un altro premio, il Premio Pen Club, viene vinto dalla Lamarque per Una
quieta polvere, edita nel 1996 da Mondadori. Sempre la casa editrice milanese
allestisce un opera che comprensiva di tutte le raccolte precedentemente
pubblicate dall’autrice, in occasione dei trent’anni dall’esordio poetico della
Lamarque nel 1972 su Paragone, con l’aggiunta di trentatre testi inediti.
Intitolato Poesie 1972-2002, la raccolta nello stesso anno vince il Premio
speciale Camajore.
L’autrice, che alla scrittura poetica da sempre affianca la produzione di
letteratura per l’infanzia, nel 2004 si cimenta in un’opera poetica per il suo
giovane pubblico, Poesie di ghiaccio, pubblicata nella collana Pesci d’argento
da Einaudi Ragazzi, con illustrazioni di Alessandro Sanna.
Nel 2005 Vivian Lamarque vince il Premio Elsa Morante come Figura
Femminile Internazionale per l’opera poetica e l’anno successivo, nel 2006, le
viene assegnato il Premio Cardarelli-Traquinia per la sezione Poesia. Riprende
59
F.Bogliari (a cura di), Premio Viareggio 1976-1985, Diapress, Milano 1987, p.93
27
il sodalizio con la casa editrice Mondadori nel 2007, con la pubblicazione di
Poesie per un gatto, duetti fra l’autrice e il suo gatto Ignazio.
Nel 2009 escono due volumi di poesie della Lamarque: il volume di poesia in
dialetto milanese a cura di
La gentilèssa, pubblicato per la casa editrice
Stampa di Varese ne La collana curata da Maurizio Cucchi, e una seconda
raccolta per bambini Poesie della notte realizzata per Rizzoli sulle musiche di
Chopin con illustrazioni di Sophie Fatus.
Sempre per l’infanzia è la raccolta Poesie di dicembre, edita da Emme
Edizione nel 2010 e ripubblicata nel 2011 dalle triestine Edizioni EL,
modificandone il titolo in Neve neve dove sei? ma mantenendo le illustrazioni
di Alessandro Sanna.
4. Letteratura per l’infanzia
Vivian Lamarque oltre ad essere conosciuta e prolifica poetessa, è nota e
apprezzata scrittrice per bambini sempre illustrati con belle immagini di
disegnatori60 sia per i libretti che per gli albi illustrati.
Proprio nel 1981, lo stesso dell’uscita della sua prima raccolta poetica, l’autrice
esordisce anche nelle letteratura per l’infanzia, con un piccolo libro composto
da cinque fiabe intitolato La bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale,
edito dalle Edizioni EL, pubblicato nel 1992 anche a Parigi, tradotto in francese
dall’autrice stessa61.
E’ del 1984 la seconda opera per l’infanzia della Lamarque. La storia intitolata
La bambina che erano due, viene pubblicata sulla rivista Psychopatologia, n.2,
del dicembre 1984, con testo a fronte tradotto in inglese da Egidia d’Errico:
The little girl who was two.
60
Maria Battaglia, Alessandro Sanna, Nicoletta Costa, Pia Valentinis, Angelo Ruta, Giulia
Orecchia, Donata Montanari, Manuela Santini, Anna Curti e altri .
61
V.L., La petite fille de glace, Ipomé-Albin Michel, Paris 1992
28
Per le edizioni Paoline nel 1989 esce Il libro delle ninne nanne, che l’autrice in
un’intervista62 racconta di aver scritto per la figlia, che alla pubblicazione del
testo ha ormai ventun anni.
Seguono nel 1991 La bambina e la montagna63, racconto scritto per una
raccolta regionale Rusconi e nello stesso anno un piccolo libro per bambini
piccolissimi, L’orsalfabeto spiritoso, edito da Nuova Edibimbi.
Nel 1992 la casa editrice Mursia pubblica la fiaba La bambina che mangiava i
lupi, alla quale segue La bambina senza nome nel 1993, per la stessa casa
editrice. Spiega l’autrice in un’intervista:
Per anni ho scritto poesie e fiabe unicamente perché dentro avevo poesie e fiabe che
volevano essere scritte. Basta leggere i titoli delle mie prime fiabe per rendersene
62
G.Borghese, Vivian Lamarque: le fiabe dell’infanzia e l’amore di oggi in un breve respiro,
in “Corriere della Sera”, 19 marzo 1989
63
V.L, La bambina e la montagna, in Bella Italia perché le leghe? Uno scrittore per ogni
regione d’Italia, a cura di M. Costanzo, Rusconi, Milano 1991, pp. 42-7
29
conto: “La bambina senza nome”, “La bambina di ghiaccio”, “La bambina che
mangiava i lupi”…64
L’interesse per il mondo esterno che l’autrice mostra nel 1996 con la raccolta
poetica Una quieta polvere, si ritrova già nell’anno precedente anche nella
letteratura per l’infanzia, con la pubblicazione del racconto sull’antisemitismo
durante la seconda guerra mondiale, Arte della libertà : il sogno di Sara65. Del
1996 è invece la fiaba Il Bambino che lavava i vetri, per le Edizioni C’era una
volta, con la quale Vivian Lamarque ottiene il Premio Rodari.
Continua la serie delle bambine con La bambina che non voleva andare a
scuola del 1997 e Cioccolatina la bambina che mangiava sempre, del 1998,
entrambe storie con finalità educative: l’importanza e la bellezza dell’imparare
è raccontata nella prima fiaba, edita da La Coccinella, mentre invita ad avere
una corretta e sana alimentazione il libretto Bompiani. Nel 1999 escono tre
libri per bambini della Lamarque che continuano il filone educativo della
produzione favolistica dell’autrice: UNIK, storia di un bambino unico, per
Bompiani; Coloriamo i diritti dei bambini e il racconto La bambina Non-MiRicordo, pubblicato in Il tempo dei diritti, entrambi editi dalla casa editrice
Fabbri.
Ritornano sui toni delle prime favole sulle bambine La minuscola bambina B66
e La pesciolina innamorata67, usciti nel 2000, come anche La bambina Quasi
Maghina del 2001 per la casa editrice Fabbri. Nello stesso anno esce a Torino,
presso Castalia, La luna con le orecchie, mentre a Trieste la Emme Edizioni
pubblica Piccoli cittadini del mondo, fiaba che ripropone la tematica educativa
interrotta nelle ultime edizioni.
Nel 2003 escono Fiaba di neve68 e La Timida Timmi69, mentra l’anno
successivo la Fabbri pubblica La gallinella disperata, mentre Emme Edizioni
con Stella dei Pirenei ripropone una storia che ricorda le montagne e la neve,
tanto care all’autrice originaria del trentino. La stessa tematica torna con le Tre
64
http://www.adolgiso.it
V.L., Arte della libertà. Il sogno di Sara, Mazzotta, Milano 1995
66
V.L, La minuscola bambina B, Feltrinelli, Milano 2000
67
V.L., La pesciolina innamorata, Colors Edizioni, Genova 2000
68
V.L., Fiaba di neve, Castalia Casa Editrice, Torino 2003
69
V.L., La Timida Timmi, Piemme junior, Milano 2003
65
30
storie di neve che l’autrice pubblica nel 2006 con la casa editrice Fabbri, e
dello stesso anno è l’ambientalista Storie di animali per bambini senza animali,
pubblicato per Einaudi Ragazzi. Per questa casa editrice la Lamarque scrive
altre tre raccolte di brevi e divertenti racconti: Mettete subito in disordine!
Storielle al contrario nel 2007, La bambina bella e il bambino bullo e altri
bambini e bambine nel 2008 e I bambini li salveranno (Chi? Gli animali) nel
2010.
Ripropone la fantastica storia di una bambina con una qualità speciale la fiaba
de La bambina sulle punte, uscita nel 2009 per la Mondadori, mentre di un
mondo immerso nella neve tanto amata da Vivian scrive nelle poche parole
dell’albo illustrato Nel bianco, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice La
Margherita.
Dal 1999 al 2007 l’autrice intraprende per le edizioni Fabbri un lavoro di
ritrascrizione di opere musicali in cave fiabesca, cominciando con Il flauto
magico. Dell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, col quale vince nel 2000 il
Premio Andersen. Seguono al fortunato esordio, nel 2001 Petruska. Dall’opera
di Igor Stravinskij, nel 2002 Il lago dei cigni di Cajkovskij, l’anno successivo
escono Pierino e il lupo. Dalla favola musicale di Sergej Prokofiev e Lo
schiaccianoci e il Re dei topi, di E.T.A. Hoffmann. Nel 2007 la raccolta di brevi
racconti Pezzetti d’infanzia. Dalle Kinderszenen di Robert Schumann conclude
la serie di fiabe della Lamarque ispirate alle grandi opere musicali.
I racconti e le storie che l’autrice scrive, sono dolci e leggeri, ma anche ironici
e ambigui, proponendo spesso quei giochi di parole tanto cari alla poetessa. Se
già nella poesia è il mondo dell’infanzia e della fantasia ad essere protagonista,
a maggior ragione nei suoi testi di letteratura per bambini può accadere di tutto,
nonostante permanga un senso di quotidianità che attualizza ogni sua
narrazione ricollegandola al mondo degli adulti pieno di impegnato e sempre di
fretta e che spesso ha da imparare dai bambini.
Fiabe giuste per i bambini e per i bambini invecchiati che noi siamo, ancora
disponibili a godere di ciò che, non funzionale e non incombente, gli sciocchi
chiamano futile, e che dura ben oltre le meste necessità del vivere.[…] Aver
conservato nella epifania della parola la chiara naturalezza del suo nascere, è ciò che
31
fa il miracolo della poesia, la sua capacità di comunicarsi in stupore e incanto in chi le
si avvicina. Per questo le fiabe dovrebbero scriverle i poeti.70
5. Le traduzioni
La produzione di fiabe dell’autrice non si compone solo di suoi testi, ma anche
di numerose traduzioni da autori contemporanei e classici di letteratura per
l’infanzia, soprattutto francesi e tedeschi. Nel 1983 pubblica per le edizioni
Guanda Sole di notte di Jacques Prevert, riedito poi nel 1998 dalla casa editrice
TEA con introduzione di Giovanni Raboni, mentre sempre per Guanda sono gli
Scritti sull’arte di Paul Valéry, usciti nel 1984. L’ultima traduzione poetica
dell’autrice è del 1987 con il lavoro per la casa editrice SE su Baudelaire
intitolato Lo spleen di Parigi: piccoli poemi di prosa. Dopo questa
pubblicazione, l’autrice inizia una prolifica attività di traduzioni di libri per
bambini.
Proprio in francese è la prima prova di trascrizione di una fiaba La petite fille
de glace dall’italiano al francese, traduzione del suo libretto di racconti La
bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale per la pubblicazione parigina del
1992 con la casa editrice Ipomé-Albin Michel,mentre nel 1996 Vivian
Lamarque collaborando con la De Agostini pubblica la sua prima fiaba tradotta
in italiano: L’intrepido sartino, dei fratelli Grimm.
Nel 1997 con Pit, il piccolo pinguino di Marcus Pfister l’autrice inizia a
collaborare con la casa editrice di Pordenone Nord-Sud per la pubblicazione di
una serie di fiabe di autori tedeschi contemporanei. Del 1997 infatti sono anche
Miu, gattino di mare: storia di una vacanza di Wolfram Hanel e Tutti lo
chiamavano Pomodoro di Ursel Scheffler, e mentre per la Rizzoli traduce
Storia del piccolo Mouck, di L.F.Céline, nello stesso anno, il 1998, continua la
collaborazione con la casa editrice Nord-Sud tornando a lavorare sui libri di
Marcus Pfister con Nuovi amici per Pit. Nel 1999 pubblica la versione italiana
di Pit e Pat e Ciao ciao, Pit!, concludendo il ciclo di quattro racconti
dell’autore svizzero dedicati al personaggio del pinguino Pit. Sempre nel 1999,
70
G.Lagorio, Così dalle poesie nascono le fiabe, in “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1990
32
e sempre per la Nord-Sud, Vivian Lamarque traduce Il topo di campagna e il
topo di città di Bernadette Watts, mentre del 2000 sono il racconto di Coby Hol
Come è nata la luna e la storia di Aurora di Binette Schroeder. Ma nel 2000
l’autrice collabora anche con la Fabbri Editori pubblicando un classico della
letteratura per l’infanzia, Il principe felice di Oscar Wilde.
Continua il lavoro per la Nord-Sud, con la traduzione nel 2001 di due libri per
bambini dall’inglese: Il viaggio senza fine di Fulvio Testa e Per chi è il
mondo? di Tom Pow. Nello stesso anno riprende però a lavorare sugli autori
tedeschi, scrivendo la versione in italiano di La piccola indiana Foglia
Danzante: una storia di Geraldine Elschner. Nel 2002, dopo la pubblicazione
di Sei malato, Berto? di Katja Reider e di Fino ai confini del mare di Hermann
Moers, la Lamarque traduce, per la stessa casa editrice, due racconti dal
francese: Rosso Timido di Gilles Tibo e Fratellino lupo di Danièle BallSimon. Sempre nel 2002, per la casa editrice Fabbri per la quale aveva già
tradotto Wilde, traduce un classico della letteratura per l’infanzia russa:
L’uccello di fuoco. Una fiaba russa, come un altro classico pubblice nel 2004
sempre
per
la
Fabbri:
L’usignolo
dell’imperatore.
Dalla
fiaba
di
H.C.Andersen.
6. Corriere della Sera
Vivian Lamarque inizia la sua collaborazione al “Corriere della Sera” nel 1992
vivendo il cambio di direzione della testata giornalistica da Ugo Stille a Paolo
Mieli. Il 23 aprile 1997 Mieli viene nominato Direttore editoriale del Gruppo
RCS e lascia la direzione a Ferruccio de Bortoli, nello stesso anno l’autrice
intensifica la collaborazione al giornale, successivamente alla chiusura
dell’istituto privato in cui insegnava.
Oltre che sul Corriere l’autrice scrive sui suoi inserti, tra cui IoDonna e
TvSette, su quest’ultimo settimanale tiene una rubrica fissa, Gentilmente i cui
articoli pubblica nel 1998 raccogliendoli nel volume Gentilmente: (cari giudici,
33
gentili gerani), edito da Rizzoli. Sono lettere da lei indirizzate per quasi un
anno, a persone e cose, dalle pagine del settimanale "Sette",
brevi messaggi che spesso vanno a finire in versi, si rivolgono a conosciuti e
sconosciuti, umili e potenti, ma anche a fiori, a case, a paesaggi o animali. Sono
proteste e lodi, interrogazioni, invocazioni e ringraziamenti. […] brevi scritti, tutti
beneducati, tutti gentilissimi, ma pieni fino all'orlo di fuoco. Fuoco che s'indirizza
certo contro sbadataggini, cretinate, follie e ingiustizie del mondo, ma anche,
semplicemente, contro tutto quello che va storto alla stessa autrice, contromano e
contropelo alle convinzioni e ai pensieri suoi. Voce d'insieme che e' il suo messaggio
di sempre, che ritroviamo in tutta la sua opera, nei libri per bambini come nelle poesie
per adulti, e che si ostina a rivendicare per noi il diritto all'umanità, sia pure inquinata,
assediata e semisommersa.71
Proprio questo concetto ribadisce l’autrice in un intervista, a proposito del suo
lavoro per la testata giornalistica:
Scrivo molto anche per i giornali e lì, sotto sotto, senti una patetica donchisciottesca
testardaggine da aspirante strampalata “miglioratrice di almeno qualche millimetro
di mondo”.72
Durante una conferenza del marzo 2012 l’autrice, in uno scambio di battute col
direttore de Bortoli racconta:
Anche il Corriere della Sera mi ha accolto a braccia aperte, non a nove mesi… però da
una ventina d’anni circa scrivo un po’ sulle pagine degli animali, un po’ su quelle
culturali che fa rima con animali, e soprattutto sulle pagine di Milano questa rubrica:
Gentilmente.73
71
I.Bossi Fedrigotti, Vivian Lamarque, diario di un anno in forma di poesia, in “Corriere della
Sera”, 11 giugno 1998
72
http://www.adolgiso.it
73
Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale
Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012
34
CAPITOLO II
TERESINO
35
1. Genesi e Storia
Teresino uscì a Milano presso l’editore Guanda, per la Società di Poesia, nel
1981. Prima raccolta autonoma di Vivian Lamarque dopo le pubblicazioni su
riviste e sui Quaderni Guanda 74, viene riedita poi nel 2002, nell’opera omnia
uscita per i tipi della Mondadori.
Vivian da Tesero si trasferisce a Milano, ma il ricordo della città natale non
sparisce del tutto, sembra anzi ritornare proprio nel titolo della raccolta
Teresino, quasi anagramma di Tesero. Nell’edizione 2002 Rossana Dedola
segnala, però, che il titolo dell’opera richiama alla memoria anche Terezin75,
il campo di concentramento nazista riservato ai bambini.
74
Prima del 1981 Vivian Lamarque ha pubblicato poesie su Paragone (1972), Nuovi argomenti
(1973), nell’antologia Donne in poesia (1976), nel secondo quaderno collettivo di Guanda
(1978), su Quinta generazione (1980) e su Prato pagano n.2 (1980).
75
Il ghetto di Terezin ( Theresienstadt) si trova a circa 60 chilometri da Praga. Edificato nel
1780 da Giuseppe II come complesso fortificato, fu così chiamato in onore della madre Maria
Teresa. Dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione, l’8 luglio 1945, i tedeschi lo utilizzarono
come ghetto speciale, dove raccogliere gli ebrei non subito destinati allo sterminio. Da qui
partirono circa 35.000 detenuti verso i vicini campi di Auschwitz e Treblinka. Passarono per
Terezin 150.000 ebrei, la popolazione media era di 30.000. Molti abitanti del ghetto di Terezin
erano bambini, circa 15.000. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi
nessuno aveva meno di quattordici anni. Oltre alle condizioni igieniche e abitative e il
problema della fame, un’altra fonte di sofferenze per i bambini era il distacco dalle loro
famiglie e dalla loro madre. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le
condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che vivessero insieme nel collettivo infantile (case per
bambini), che aiutava specialmente sotto l’aspetto psichico. Nelle case operarono educatori e
insegnanti prigionieri che riuscirono ad organizzare per i bambini una vita giornaliera e
l’insegnamento clandestino: fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per
bambini, scrivevano poesie. Molti dei disegni dei bambini rappresentavano prati pieni di fiori
e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi, ma su altri ritraevano motivi del ghetto di Terezin, la
cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere, le caserme e le baracche di Terzin, i
guardiani, i malati, l’ospedale, il trasporto, i funerali e le esecuzione. Nonostante tutto però i
piccoli di Terezin credevano in un futuro migliore. Espressero questa speranza in alcuni disegni
in cui hanno raffigurato il ritorno a casa, anche se la stragrande maggioranza dei bambini di
Terzin morì. Il 23 giugno 1944, alcuni ispettori della Croce Rossa Internazionale visitarono una
parte del ghetto. Precedentemente alla visita, i nazisti si adoperarono per dare ad alcune sue
parti un aspetto dignitoso in modo che facesse da “vetrina”. Fu girato addirittura un film di
propaganda per ordine di Himmler. Per l’occasione fu organizzata una rappresentazione
dell’operina per ragazzi e orchestra di Hans Kràsa, Brundibàr. Oggi l’opera è diventata il
simbolo della sofferenza dei bambini nel ghetto di Terezin. (www.lager.it/ghettoterezin.html)
36
Accanto ad ogni poesia viene riportato tra parentesi un numero, che indica
l’ordine cronologico di scrittura dei testi, composti tra il 1972 e il 1980. Circa
l’origine e le date di stesura, il volumetto reca in chiusura la nota:
Il numero che accompagna le poesie indica in l’ordine cronologico di composizione.
La struttura del libro ha determinato una successione diversa.
In indice, per ogni sezione viene indicato l’arco temporale di composizione
delle poesie:
Conoscendo la madre (1972-79)
L’amore mio è buonissimo (1974-75)
Il primo mio amore erano due (1972-79)
Il tuo posto vuoto (1977-79)
Ho una bella bambina (1972-79)
Poeti (1977-80)
Teresino (1980)
Vivian Lamarque ha trentacinque anni quando pubblica la sua prima raccolta
Teresino, questo perché ha maturato a lungo la sua scelta. A lunghissimo.76
L’arco temporale di stesura delle poesie pubblicate va dal 1972 al 1980, ossia
dai ventisei ai trentaquattro anni d’età dell’autrice. Nell’intervista con Silvio
Soldini, l’autrice sfoglia il registro sul quale prendeva nota delle poesie scritte
ogni anno:
Nel ’64, trentotto, vedi che poche, poche. Ecco, ’72, che è l’anno in cui mi sono
trasferita in quella casa col giardino, 245, quasi una al giorno. Qua ci son tutti i titoli.
Nel 73, ecco, già il crollo, 58. Poi sempre meno. Nel ’76 due poesie solo, fossi una
ditta ci sarebbe il crollo in verticale.77
Dal 1971 Vivian vive nel quartiere QT8 a Milano, con il marito Paolo, la figlia
Myriam e alcuni amici. E’ un periodo che l’autrice ricorda come un momento
di vita, per qualche tempo speciale, poi… gli anni più disturbati, dal punto di
vista mentale (nel 1984 inizierà un percorso di analisi). E parlando di quegli
anni ricorda: scrivevo continuamente. E aggiunge:
76
G.Mozzato, Intervista a Vivian Lamarque, in Albatross,
http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/lamarque.htm
77
S.Soldini, Quattro giorni con VIvian, in Gente di Milano, cit.
37
Adesso sento un po’ la nostalgia di poter lavorare come lavoravo una volta. Avevo
sempre lì il mio quaderno di poesie, stavo ore alle finestre, scrivevo, leggevo… ho un
po’ di nostalgia di quei tempo. Perché se tu sei… non fai nulla, sei seduto da solo in
casa, senti proprio le voci, senti la voce, senti i pensieri i versi. Se tu sei in mezzo…
sei circondato dal rumore (no dal rumore della strada quello va bene) delle persone,
delle richieste, delle… non senti più la voce. 78
Già nella raccolta L’amore mio è bellissimo parlando del periodo che stava
vivendo aveva scritto: di giorno dicono che non faccio niente/ ma lo nego.79
Questi sono gli anni vissuti con Paolo e con Myriam, la sua famiglia, come la
descrive in Io tra voi:
A letto, io tra voi come a volte
siamo scivolati nel sonno tutti e tre da una parte
e perciò vi sento respirare benissimo:
una come ancora giocando
e l’altro così familiare80.
Ma sono anche gli anni della separazione dal marito Paolo, del nuovo
abbandono che ritornano in tante poesie della raccolta.
Ridimensionare
Quest’operazione che la costringete sempre a fare
“ridimensionare”
Non è come stringere
un vestito
Non è indolore
Si taglia la pelle del cuore.81
Il 1972, in dicembre, è anche l’esordio poetico della Lamarque, che grazie a
Giovanni Raboni pubblica le Otto poesie su Paragone n.274. Da allora una
serie di pubblicazioni su riviste e antologie anticiperanno la pubblicazione di
Teresino del 1981, summa di tutto questo periodo poetico e di vita. Gli anni tra
il 1972 e il 1980 sono gli anni di presa di coscienza della propria vocazione
poetica e di uscita allo scoperto dell’autrice, che finalmente inizia a pubblicare
78
Ibidem
V.Lamarque, Ti scriverei, in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30,
Guanda, Milano 1978, p.59
80
V.L., Io tra voi, in Teresino, cit., p.46
81
V.L., Ridimensionare, ivi, p.63
79
38
entrando così nel panorama poetico del periodo. Infatti nel 1973 pubblica su
Nuovi argomenti, nell’antologia Donne in poesia nel 1976, nel secondo
quaderno collettivo di Guanda (L’amore mio è bellissimo del 1978), e infine
nel 1980 su Quinta generazione e su Prato pagano n.2.
1.1 Dalle poesie sparse alla raccolta
La raccolta Teresino ripropone testi precedentemente pubblicati nel 1972 su
Paragone e nel 1978 nei Quaderni della Fenice con L’amore mio è
buonissimo.
Vengono riprese nella raccolta del 1981 numerose poesie già pubblicate nel
1978 in L’amore mio è buonissimo per i Quaderni Guanda. Della prima sezione
del 1978, Pane e pesche, entrano nella raccolta Teresino quattro poesie: due
vengono inserite nella sezione Conoscendo la madre ( Aprile dal bel nome e
Amavo il gesso), mentre invece le ultime poesie della sezione, In mezzo a
indiani e Pinoli pinoli, nel 1981 sono nella sezione Ho una bella bambina. In
Aprile dal bel nome i vv. 9-10 Per dire donata/(o donanda) formavano un
unico verso nei Quaderni Guanda, e anche i vv. 2-3 e a scuola mi chiedevano/
perché di tanti nomi erano uniti nel 1978.
La sezione L’amore mio è buonissimo dell’edizione 1978, viene ripresa in
Teresino con lo stesso titolo e con la riproposta di dieci poesie82 delle diciotto
della sezione originaria. Ma nell’edizione 1981 le poesie vengono trascritte una
dopo l’altra, senza il titolo che invece avevano nei Quaderni Guanda. Inoltre le
due poesie L’amore mio che ha sonno e L’amore mio insonnolito non sono
riprese, ma la tematica viene rielaborata e riproposta nel 1981 in All’amore mio
si chiudono gli occhi dal sonno.
82
La sezione L’amore mio è buonissimo di Teresino, contiene le seguenti poesie già edite nel
1978 per i Quaderni Guanda: L’amore mio è buonissimo, L’amore mio quando era bambino,
L’amore mio la prima volta, L’amore mio dice che sono un po’ distratta, L’amore mio capisce
quasi tutto, L’amore mio chissà com’era, All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri,
All’amore mio, Chissà se l’amore mio ci sarà, L’amore mio è cattivo.
39
La raccolta del 1978 ha altre due sezioni: Levati bambina e Sogni. Quindici
poesie83 di queste sezioni vengono riproposte in Il primo mio amore erano due
di Teresino: dieci poesie di Levati bambina e cinque di Sogni. L’ordine con
cui vengono inserite nell’edizione del 1981 è completamente rivisto rispetto
all’edizione precedente. Resta invariato l’ordine di successione nelle due
raccolte solo per la poesia Era detto aquilone, che precede L’albero delle
ciliegie. In ordine inverso rispetto al 1978 risultano Prendimi a cuore e
Formica, nonché Senza occhiali intravedo, Lingua straniera (nel 1981 Di due
persone) e Così tante trame. Cambia il titolo di due poesie, che però restano
identiche per quanto riguarda il testo. Su non vedi che sono del 1978, in
Teresino diventa Formica, titolo che verrà mantenuto anche in Poesie 19722002, mentre invece ritornerà il titolo
Lingua straniera del 1978 anche
nell’edizione del 2002, che invece nel 1981 era stato modificato in Di due
persone.
Nel Teresino edito nel 2002 aggiunge al suo corpus due poesie di L’amore mio
è buonissimo che non erano state riprese nel 1981. Ne è da poco passata la
morte (già pubblicata su Paragone) viene inserita nel 2002 a conclusione della
sezione Il tuo posto vuoto, che invece nel 1981 si concludeva con la poesia
Fate piano, poesia che nel 2002 viene spostata al penultimo posto. Nella
sezione Poeti l’edizione 2002 inserisce anche Io senti ero tua moglie, già
pubblicata in L’amore mio è buonissimo nella sezione Sogni.
Dalle Otto poesie pubblicate su Paragone, la raccolta Teresino riprende le già
citate Quel gesto e Sempre più mi sembri oltre al componimento Sai la parola
mai?. Quest’ultima è riproposta con due variazioni: i vv.3-4 per esempio di
stare uno più avanti/ sulla sedia della versione di Paragone si uniscono a
formare il v.3 nelle edizioni successive con l’ellissi delle prime due parole del
verso, ottenendo: v.3 di stare uno più avanti sulla sedia; inoltre l’ultimo verso
83
Della sezione Levati bambina del 1978, l’edizione 1981 ripropone Levati bambina, Era detto
aquilone, L’albero delle ciliegie, Ecco li presentano, Su non vedi che sono, Prendimi a cuore,
Sempre più mi sembri (già pubblicata su Paragone nel 1972), Così tante trame, Lingua
straniera, Senza occhiali intravedo; dalla sezione Sogni invece l’edizione 1981 prende E’ ora
di dormire anima mia, Lo guardava, Quel gesto (già pubblicata su Paragone nel 1972), Eri la
mia vicina, Andavi in chiesa, Io naturalmente volavo.
40
della poesia in Teresino è posto tra parentesi, (sai la parola mai? fino in
fondo?).
Ulteriori varianti si riscontrano anche confrontando l’edizione di Teresino del
1981 con la versione pubblicata nella raccolta Poesie 1972-2002.
Il titolo del 1981 Conoscendo la madre si precisa nell’edizione 2002
diventando Conoscendo a 19 anni la madre, ma il testo poetico resta invariato.
I titoli delle tre poesie Vento I, Vento II, Vento III nell’edizione Mondadori
sono unite in un'unica poesia di tre strofe numerate coi numeri romani (I,II,III)
intitolata Vento. Si enfatizza ulteriormente il titolo dell’edizione Guanda di Il
primo mio amore con la ripetizione nell’edizione 2002 Il primo mio amore il
primo mio amore. In questo caso il gioco viene poi ripreso all’interno del testo,
sostituendo di nuovo il sintagma con la sua ripetizione : v.10 ma il primo mio
amore il primo mio amore/ erano due.
L’edizione Mondadori modifica il testo di altre poesie. In Sai la Rita viene
eliminata la parola smorfiettine che apriva il v.3. In Sole invernale si uniscono
i vv.1-2 Fa bene/ al mio male in un unico verso e nello stesso modo si opera
per i vv. 4-5 fa male/ al mio cuore. Al contrario in Tienimi nella versione del
2002 viene spezzato il v.2 del 1981 che diventa mangiami/ a Natale.
Viene decisamente ridotta la poesia Prendimi a cuore, che nel 1981 contava
dodici versi. L’autrice per Poesie 1972-2002 elimina la prima parte della
poesia lasciando solo gli ultimi cinque versi della versione Guanda: Prendimi a
cuore./ Dimmi di mangiare./ Potrei dimenticarmene/ o cadere dalla seggiola/
al primo segno di disinteresse.
Altra modifica evidente tra le due edizioni è la sostituzione della poesia Tu, che
concludeva la sezione Il primo mio amore erano due del 1981, con Caro nome
mio dell’edizione 2002.
Si aggiunge la dedica a Paolo e Miryam alla poesia Io tra voi a ulteriore
precisazione del soggetto della poesia nella raccolta del 2002 e anche la poesia
Regali di Natale si apre con una dedica, ma questa volta meno esplicita: a G.
Infine la disposizione sulla pagina. Apre la sezione Ho una bella bambina la
poesia Alla mia figlia gallinella, che nell’edizione 2002 viene lasciata come
unica poesia della pagina, cosa che non accade nel 1981. Situazione inversa per
41
le poesie Poesia illegittima e Poesia malata che solo nel 1981 vengono poste
sulla stessa pagina, mentre nell’edizione Mondadori oltre ad essere su due
pagine diverse sono anche seguite e precedute dalle altre poesie della sezione,
annullando così l’effetto di isolamento dell’impaginazione dell’edizione
Guanda.
gemelli
2. Struttura della raccolta
Nel 1981 in occasione dell’assegnazione del premio Viareggio opera prima a
Teresino di Vivian Lamarque, Vittorio Sereni così scriveva sul n.42
dell’Europeo:
[…] fondato sul recupero e un’accorta distribuzione di singoli “pezzi” sottratti alla
loro cronologia effettiva, finisce col farci partecipare a una storia personale magari
facilmente decifrabile nelle sue fasi. Ma non è una storia che si vesta o si camuffi con
dei versi: al contrario, nasce e piano piano si impone da una poesia all’altra, in una
successione che quasi non ammette una sosta su questo o quel testo da privilegiare
42
rispetto ad altri, sebbene sia poi inevitabile eleggere le proprie favorite come avviene
per tutti i “canzonieri”.84
Autobiografia in versi, feuilleton come lo definisce l’autrice,
Teresino
seleziona e organizza a posteriori le parecchie centinaia di liriche prodotte da
Vivian Lamarque, strutturando così un’attività poetica non preordinata, ma
sollecitata da eventi quotidiani in qualche modo privilegiati: un libro, quindi,
organizzato a posteriori, con quel tanto di escatologico che un atto del genere
implica sempre.85A questo proposito si ricordi l’indicazione dell’autrice stessa
in chiusura del libro, dove appunto si ricorda che la successione delle poesie
raccolte non segue l’ordine cronologico di composizione dei testi.
Muovendo dall’adozione all’età di nove mesi, Teresino narra della vita di
Vivian con la nuova famiglia, dell’infanzia, degli anni della scuola,
dell’incontro con Paolo Lamarque, cui segue il matrimonio, la nascita della
figlia Miryam, poi la separazione dal marito e la vita senza lui. L’autrice è
sempre protagonista o voce narrante. Filo conduttore di tutta la raccolta è la
vita vista e sentita da lei, Vivian dai tre cognomi ma che preferisce farsi
chiamare con quello rubato al marito, e che racconta di lei, del suo vivere e del
suo sentire in queste poesie, delle quali Raboni dice:
C’è da restare a bocca aperta davanti alla misteriosa semplicità, all’eleganza
impalpabile e tuttavia quasi feroce di queste poesie.86
2.1 Sezioni poetiche
Teresino raccoglie 117 poesie organizzate in sette sezioni che scandiscono i
principali momenti della vita dell’autrice, più o meno esplicitamente:
84
V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79
86
G.Raboni in, R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 19702002, cit., p.V
85
43
Conoscendo la madre, L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano
due, Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina, Poeti, Teresino.
Conoscendo la madre, prima breve sezione della raccolta, con sole sei poesie
sintetizza in modo chiaro ed efficace l’infanzia dell’autrice. Si inizia
dall’inizio, dalla nascita a Tesero con Aprile dal bel nome per poi ripercorrere a
passo cadenzato e sicuro i momenti determinanti dei primi anni di vita:
l’adozione, le origini valdesi. Un'unica poesia descrive le difficoltà
dell’infanzia a sette anni: le conseguenze dell’adozione, i tanti cognomi, la
difficoltà di esprimere ciò che provava, ma io parlavo poco./ […] Anche fuori
per via parlavo poco.87 Poi l’incontro con la madre naturale, a diciannove anni
(come specificherà nel titolo dell’edizione del 2002)88. La sezione si chiude
con Sarebbe stata, poesia al condizionale nella quale Vivian ripercorre la
propria infanzia.
La seconda sezione di Teresino riprende il titolo della raccolta del 1972,
L’amore mio è buonissimo. Alle dieci poesie dell’omonima sezione di quaderni
Guanda, l’autrice unisce altre diciotto brevi liriche. Le diciotto poesie sono
proposte una dopo l’altra, senza titoli, lettere maiuscole o segni di
punteggiatura.
La sezione racconta l’amore-disamore per il marito Paolo,
L’amore mio. Tutte le liriche sono però percorse da un gioco di sottile ironia
che all’apertura innamorata della prima poesia, L’amore mio è buonissimo,
contrappone l’ultimo testo, che esprime esattamente il contrario dell’inizio:
L’amore mio è cattivo.
Facendo un passo indietro nel tempo , con la terza sezione Il primo mio amore
erano due, si ripercorrono le varie vicende e delusioni d’amore di Vivian. Le
poesie sono di nuovo proposte col titolo e il testo torna ad essere più lungo
rispetto alle liriche della seconda sezione. Così sebbene le poesie siano solo
ventitré, la sezione risulta più corposa della precedente. Di nuovo in apertura
una poesia dallo stesso titolo della sezione: Il primo mio amore erano due,
amore adolescenziale di Vivian per due fratelli gemelli (e nel 2002 una nota
87
88
V. L, Amavo il gesso, ivi, p.6
V.L, Conoscendo a 19 anni la madre, ivi, p.7
44
specifica: Jurgen e Bernd Becker, a Colonia, amore adolescenziale, ma qui si
allude anche alle due madri). Seguono le due poesie del matrimonio e del
viaggio di nozze con Paolo. Un ricordo porta indietro, al momento in cui Paolo
e Vivian erano stati presentati e poi al loro innamoramento. Ma la conclusione
amara del ricordo che ormai si sta perdendo viene subito ripreso dalla lirica
successiva, Sai la parola mai?. Tutta la sezione è percorsa da un senso di
sconforto sempre più forte, interrotto solo un attimo, sul nascere, con le due
poesie Era detto aquilone (che però parla di un uomo innamorato non di
Vivian ma di un’altra donna, Maria) e L’albero delle ciliegie dove di nuovo
torna un senso di irraggiungibilità dell’amore, che si può solo guardare. Col
componimento Devastata si esplicita la sensazione che ci si trascinava dalle
poesie precedenti e che continua nelle poesie successive. Nelle ultime poesie la
sezione cambia tono, Vivian sembra più descrivere i suoi sogni d’amore,
rappresentando situazioni oniriche piuttosto che realmente vissute. Infine due
poesie, Quel gesto, che richiama l’idea dell’affetto paterno e Eri la mia vicina
dove Vivian cerca un rapporto di amicizia. La sezione nell’edizione del 1981 si
conclude con la poesia Tu dove l’interlocutore, il tu a cui ci si rivolge, torna ad
essere l’amato. Nell’edizione 2002 la scelta è molto diversa. La poesia Tu è
sostituita da Caro nome mio, dove di nuovo l’autrice ripercorre tutta la sua vita
fino ad arrivare a prima dell’adozione, nel grembo materno per infine
concludere dicendo: non sono mai nata.
Il tuo posto vuoto si apre con la durezza della parola Separazione, prima
poesia della sezione. Il testo però non parla del concreto atto di separazione dal
marito, ma delle conseguenze dell’abbandono, di quel posto vuoto che intitola
la sezione. Il tepore materno paterno coniugale/ le viene da uno scaldaletto
metallico/contenente acqua calda, recita in conclusione la prima poesia. Il
gioco dell’omonimia, per il quale il titolo della sezione riprende il titolo di una
poesia, continua anche questa volta col secondo testo, appunto Il tuo posto
vuoto, che continua la tematica introdotta col testo precedente: la separazione
vissuta nella quotidianità. Tutte le poesie della raccolta evidenziano la
solitudine di Vivian, sempre più sola, sempre più isolata. La terza poesia è un
45
sogno Come ai tempi, ma nei testi successivi torna la difficoltà del vivere di
Vivian. Al mortificarsi perché incapace di vivere e di essere amata, passa a
rappresentarsi mentre parla solo con gli animali e le piantine, per poi intitolare
una poesia Non parla. Penultima lirica è Dell’intelligenza del cuore, quella
che Vittorio Sereni disse essere caratteristica innata di Vivian Lamarque.
Dell’intelligenza del cuore
vi interessa poco
nulla.
Io vi sono marziana.
Ma dopo questo sfogo, con Fate piano Vivian torna al suo posto, di nuovo
sola, ma questa volta finalmente addormentata, sta sognando di essere amata
La sezione Ho una bella bambina
sospende il senso d’angoscia e di
frustrazione che Vivian nella sezione precedente era riuscita un poco a sfuggire
solo dormendo, in Fate piano. La breve quinta sezione è composta da otto
poesie dedicate alla figlia Miryam, come recita la lirica di apertura Alla mia
figlia gallinella. Compare l’immagine della famiglia al completo nella terza
poesia, Io tra voi, che nell’edizione del 2002 dedicherà al marito e alla figlia.
Nel resto della sezione l’autrice racconta i giochi di Miryam ai quali a volte
Vivian partecipa, altre volte si limita a osservare felice, anche se non può
trattenersi dall’osservare: mia figlia e i suoi amici/ hanno in corso l’infanzia/ e
come avvertirli? Tutto questo in un susseguirsi di giochi e momenti divertenti
(riflessi anche nei titoli come In mezzo a indiani o C’era un castello) per
concludersi però con la poesia Funghi , dove accanto ai funghi buoni spuntano
quelli velenosi.
Composta da trentanove liriche, Poeti è la sezione più lunga della raccolta e
anche la meno lineare nell’organizzazione interna. La poesia Sui vetri della
finestra apre la sezione con Vivian che legge dichiarazione di non amore.
Seguono due poesie che richiamano l’universo infantile della sezione
precedente, ma nel suo lato spaventoso come è venuto il babau e non s’è vista
46
più89 o in Lupo cattivo dove scrive Tutte se le sbranava/ ogni giorno un morso/
con impietosi denti affilatissimi.
89
V.L, Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51
47
I toni si smorzano nelle poesie successive, dove Vivian sembra di nuovo
cercare di ricreare una relazione, riconquistare affetto. Ma il tentativo diventa
sempre più insistente ed infantile, come in Tienimi oppure in Posso? Alle
poesie di richieste continue di affetto si alternano poesie oniriche, dove
l’illusione sembra realizzarsi, ma si conclude inevitabilmente male,
scontrandosi col reale:
Sera è ora di andarcene a dormire io e te
di spogliarci accarezzarci
e se uno di noi due qui non c’è
allora vada solo l’altro a letto
che ore saranno senti piove di nuovo
aveva smesso.90
Il titolo della sezione viene ripreso anche questa volta, però modificato, con la
poesia Siamo due poeti, ma due poeti infreddoliti/raffreddati/ […] leggermente
malati. E al centro della sezione si trovano anche due poesie che parlano di
poesia, Poesia illegittima e Poesia malata. Così pure nella poesia successiva si
torna a ripetere il titolo della sezione nell’epigrafe: (non è la Musa della
Poesia/ è il tuo bel Muso di Poeta/ che mi ispira). Con questa poesia ritorna il
tono un po’ più giocoso e sognante, già incontrato precedentemente nella
sezione, in Pesce che vola, stemperato dalle tre poesie Vento I,II,III. Ritorna la
negatività delle prime poesie della sezione subito dopo con Precipizio.
Continuano così ad alternarsi illusione e disillusione nella continua ricerca
della condivisione di un affetto impossibile da ottenere.
Conclude la sezione la poesia In-fanzia (età del non parlare) dove Vivian si
scopre spaventata e sintetizza la sensazione provata e combattuta per tutta la
sezione che però si conclude sul verso tentare, propositivo e rappresentativo
di tutti i tentativi e i crolli della sezione, così altalenante nell’andamento
generale.
Un poemetto conclude la raccolta Teresino. Poesia lunghissima rispetto al
metro solito della Lamarque, raccontando “le avventure” di Teresino, riassume
e ripercorre tutto il percorso narrato nelle sezioni precedenti. L’ultima sezione,
90
V.L., Sera, ivi, p.53
48
omonima della raccolta, si compone così di un’unica poesia, lunga filastrocca
di piccole strofe giustapposte. Il tono già nelle altre sezioni spesso sognante e
infantile, qui si estremizza, proponendo un racconto tutto in chiave onirica. Vi
guarda dal basso come i bambini, diceva appunto nell’ultima poesia della
sezione precedente, anche se con la sua lunghezza e le molte cose che descrive
si pone come contrario di In-fanzia (età del non parlare).
Teresino è la più recente composizione della raccolta ed ha una funzione palesemente
sintetica rispetto alle poesie precedenti; insieme rivela, forse la promessa di una svolta.
Vivian Lamarque, abbandonando il riferimento ai dati biografici minimi e
l’organizzazione diaristica, punta a un processo astrattivo svolto in quella dimensione
di favola a lei congeniale da tempo[…].91
2.2 Le Petit Pouchet
Otto epigrafi tratte dalla fiaba di Charles Perrault Le Petit Pouchet fanno da
cornice e da trait d’union tra le sezioni della raccolta. La storia di Pollicino
accompagna così l’autobiografia poetica Teresino come una esemplare storia
parallela e filtra la storia personale dell’autrice a cui dà una voce e un punto
di vista.92
I frammenti di fiaba, proposti in lingua originale in apertura di ogni sezione,
seguono lo svolgersi cronologico della vicenda del protagonista della fiaba di
Perrault.
Nella prima sezione, in cui Vivian Lamarque parla della propria adozione, i
genitori abbandonano nel cuore della foresta Pollicino e i suoi fratelli che
disperati ils se mirent à crier et à pleurer de toute leur force. Ma lui non si
dispera, perché grazie ai sassolini lasciati cadere lungo la via potrà condurre i
fratelli a casa, recita l’epigrafe a L’amore mio è buonissimo. In Il tuo posto
vuoto i bambini si sono ormai persi, e più si va avanti più ci si perde nel
profondo della foresta, riflettendo la sensazione di smarrimento delle liriche
91
92
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.81
Ibidem
49
della terza sezione. La foresta però concede une petite lueur: la figlia Miryam,
protagonista della sezione Ho una bella bambina
. Con Poeti
ritorna
l’atmosfera spaventata delle epigrafi precedenti. La citazione riporta infatti le
parole dell’Orchessa, che rivela ai poveri bambini spaventati che quella è la
casa di un Orco che mangia i bambini, non un luogo di salvezza, come
speravano. Così nella sezione anche le poesie soffrono della sofferenza
dell’autrice, si ammalano, muoiono. I bambini però riescono a fuggire proprio
grazie a Pollicino, come recita l’epigrafe alla sezione Teresino. La stessa
poesia Teresino sembra ridare speranza e voglia di vivere alla narrazione. Ma il
Teresino che chiude il poemetto è sparito, si rivela essere solo un sogno. Così
anche la citazione che chiude il libro non coincide con il lieto fine della fiaba di
Perrault. La Lamarque conclude prima il racconto:
“Ils coururent presque toute la nuit, toujours en tremblant et sans savoir où ils
allaient”, si riferisce al momento in cui Pollicino e i suoi fratelli si allontanano di corsa
dalla casa dell’Orco che ha appena tagliato la gola alle proprie figlie scambiandole per
i fratellini.
Non c’è un vero e proprio punto d’arrivo, la fuga continua, rimane sospesa. La
raccolta risulta così
racchiusa all’interno di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di
accogliere i bambini si è rivelata pericolosissima.93
2.3 Altre memorie
Altre citazioni, tratte questa volta dalla letteratura classica, vengono proposte
nelle sezioni Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina e Poeti.
Le prime due sezioni affiancano alla poesia d’apertura un breve frammento
della poesia di Saffo. Proprio il titolo della parte della raccolta dedicata alla
figlia Miryam è ripreso dai versi della poetessa greca posti accanto alla poesia
Alla mia figlia gallinella:
93
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.V
50
Ho una bella bambina
…
Se mi date la Lidia intera io non la do
se mi date l’amabile… io non la do.
La sezione Poeti, prestando fede all titolo, propone ben quattro citazioni dalla
letteratura antica: i poeti Asclepiade, Alceo, Orazio, e un frammento della
famosa fiaba di Fedro, Il lupo e l’agnello, che recita: superior stabat lupus.
Franco Zabagli, su Paragone, riguardo alle citazioni proposte dalla Lamarque
nel suo Teresino parlò di scelta –felicissima- di epigrafi davvero funzionali ai
testi, specie quelli dal Petit Pouchet […].
Va infine ricordata la citazione che apre tra parentesi
la raccolta,
(curriculum/vitae cucù), tratta da una poesia di Tomaso Kemeny (anche lui
adottato, come Vivian Lamarque, e segnato dal confronto con due padri,
mentre l’autrice più volte parla delle sue due madri).
L'opera di Kemeny, è percorsa da un bisogno improrogabile di dar spazio al sogno,
alla fiaba mitologica, ai sogni ad occhi aperti per entrare in contatto con una
dimensione, quella del sogno e dell'inconscio, la sola che permetta di combattere
proprio quel "tradimento quotidiano" di fronte al quale i mezzi dell'avanguardia
appaiono al poeta troppo limitati.94
Con toni molto diversi dal poeta rumeno, anche Vivian Lamarque in Teresino
ci propone molte immagini oniriche e dell’inconscio, come fondamentale nel
suo stile è la dimensione della fiaba. E Rossana Dedola aggiunge:
Tutte le tappe della vita […] sono contrassegnate dalla perdita originaria che richiama
ancora a sé tutta l’energia vitale e che costringe a un feroce e ossessivamente ripetitivo
gioco del cucù per capire dalla reazione che si suscita negli altri se si esiste.[…] Il
plurale “mamme” (della poesia Levati bambina ) ribadisce la presenza di una pesante
doppia realtà che si ritrova anche nell’apparente più giocosa poesia della raccolta: “Il
primo mio amore il primo mio amore erano due”. 95
94
95
http://tomasolkemeny.blogspot.it
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit.,p.VI
51
2.4 L’ abbandono
A dieci anni la scoperta di avere due madri le fa scrivere le prime due poesie:
La signora M. buona e La signora M. cattiva e proprio dall’evento traumatico
dell’adozione parte la raccolta del 1981.
Tutte le tappe della vita, l’innamoramento, il matrimonio, la maternità sono
contrassegnate dalla perdita originaria (cui si aggiunge, già tre anni dopo, la
morte improvvisa del giovane padre adottivo). Teresino è racchiusa all’interno
di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di accogliere i
bambini si è rivelata pericolosissima, la fiaba di Perrault Le Petit Pouchet.
Inoltre il titolo della raccolta ricorda il nome del paese natale dell’autrice,
ricordo indelebile, nonostante dopo quei primi nove mesi l’autrice abbia
sempre vissuto a Milano. Così il tema dell’abbandono apre la raccolta con
l’adozione. Nella prima poesia si spiega il suo terzo nome Donata per dire
donata/ (o donanda)96, nella poesia Nove mesi parla di frattura, e in Sarebbe
stata parlando in condizionale dice sarebbe stata davvero capace di essere
felice sottintendendo un se che evidentemente si riferisce alle vicissitudini della
vita, ma soprattutto all’adozione, che da valdesina
l’ha fatta diventare
milanese (valdesina trascinata per una mano/ giù fino a Milano)97.
L’abbandono viene poi rivissuto nell’innamoramento, nel matrimonio, e
soprattutto nel suo fallimento. Già nella sezione L’amore mio è buonissimo
l’autrice scrive l’amore mio non lo sa come sono triste a stare sempre così/
senza l’amore mio per poi arrivare a dire l’amore mio l’amore mio quale
amore mio?/ l’amore mio non c’è/ se no certo non mi lascerebbe qui così per
poi concludere con che bello se l’amore mio c’era invece non c’è. La seconda
sezione (che nel 2002 scrive caro nome mio mi lasci sola98) preannuncia il
dolore e il ripetersi dell’abbandono esplicitati poi in Il tuo posto vuoto, che si
apre coi versi di Saffo: io dormo sola. L’altro è assente, come “un posto
vuoto”(in questo caso il tuo posto vuoto, cioè del marito) che
96
V.L., Aprile dal bel nome, in Teresino, cit., p.9
V.L., Valdesina, ivi, p.10
98
V. L., Caro nome mio, in Poesie 1972-2002, cit., p.28
97
52
parla racconta chiacchiera ride forte
non sta mai fermo si alza
ritorna mangia avanza sempre un boccone
ritaglia nel formaggio forme di animali
ma non può non rimanere il tuo posto vuoto a tavola/ a destra di Miryam/ è di
fronte a me. E il senso di abbandono è sentito anche nell’indifferenza dell’altro
dal quale non si vorrebbe essere stati lasciati: chiedi come campa Vivian/
usando il verbo campare/ perché del suo vivere/ non ti importa nulla. In Io tra
voi Vivian mentre osservala figlia giocare con gli amici si lascia scappare
hanno in corso l’infanzia/ e come avvertirli? Insinuando così quel ricordo della
sofferenza della sua infanzia anche nella serena sezione Ho una bella bambina.
Continua la tematica dell’abbandono e della conseguente assenza in Poeti, ma
in modo più variegato. A volte viene riproposta in modo giocoso o di ripicca
infantile, come quando scrive sai la Rita quella che hai visto tu/ è venuto il
babau e non s’è vista più99 o chiudo gli occhi per vederti meglio100 o anche in
Rebus difficile (?,?,?,?), dove il gioco enigmistico parte appunto come un
gioco per risultare però qualcosa d’altro, non solo incomprensibile, ma anche
pericoloso e concludersi dicendo se almeno tu mi aiutassi a capirci qualcosa
invece di far finta di niente. Altre volte il tono ritorna quello della sezione
precedente, E se uno di noi due qui non c’è scrive in Sera o in Vento I e III che
si aprono entrambi col verso non sei venuto questa sera all’appuntamento.
La raccolta si conclude con un altro abbandono, replica e sintesi di tutti i
precedenti, quello di Teresino, dove per quattro volte Vivian ripete Teresino
Teresino sparito.
99
V. L., Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51
V. L., Nel bosco, ivi, p.54
100
53
2.5 La ricerca d’amore
Ritornando al legame tra la cornice e la vicenda autobiografica narrata nelle
liriche, Vilma de Gasperin evidenzia il fatto che la fiaba francese Le Petit
Pouchet agisce nella costruzione del testo scandendone i diversi momenti, tutti
legati alla dimensione affettiva.
Nella sezione “L’amore mio è buonissimo” l’illusione di poter cancellare la ferita del
passato costringe la persona adulta nella condizione impotente della bambina che
chiede di essere amata; da questa dimensione infantile vengono le richieste, gli appelli,
un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Nell’altro viene ricercata una
rispondenza assoluta, all’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento
e di accadimento che l’io non è in grado di assumere su di sé. Il tuo posto vuoto rivela
la difficoltà di questo tentativo segnando un’ulteriore esperienza di separazione. La
sezione Poeti coincide con l’arrivo di Pollicino nella casa dell’Orco; qui l’amore è
vissuto come totale dipendenza e sottomissione, come condizione non libera da cui
può nascere solo una “poesia illegittima”.101
Zabagli, a tale riguardo sottolinea come Vivian Lamarque, dando alle varie
sezioni titoli come Conoscendo la madre, Ho una bella bambina o Il tuo posto
vuoto evidenzi da subito la condizione essenziale e necessaria alla sua poesia:
la presenza, l’assenza, comunque la ricerca, di un oggetto d’amore.102
Dimostra quindi come la tematica dell’abbandono sia fortemente legata
all’affannosa e mai sazia ricerca di affetto della protagonista.
Nella prima sezione della raccolta per quanto riguarda la tematica adozioneabbandono, questo aspetto è visibilissimo in A nove mesi e nell’amarezza di
Sarebbe stata. Nei versi apparentemente più sereni di Aprile dal bel nome,
Vivian cerca di farsi una ragione della propria sorte investigando il significato
del proprio nome (io stessa con nomi curiosi/ di bei significati): il nome Vivian
starebbe quindi a significare che dovevo vivere/ (da una parte o dall’altra),
mentre il nome Donata viene letto come chiaro segnale di adozione. Così anche
nelle poesie la sostanza biografica ritorna nei moduli di una tipologia ricorrente
che evidenzia ulteriormente la dipendenza e la correlazione delle due
tematiche: l’urgenza di un amore fermo e assoluto non viene realizzato, causa
101
V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie
1970-2002, cit., p.VI
102
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79
54
la mancata rispondenza dell’altro, segue quindi immancabilmente l’inevitabile
trauma della separazione.
Lo schema è visibile soprattutto negli
effetti adulti , in
L’amore mio è
buonissimo, Il primo mio amore erano due e in Poeti,dove l’amore passa dalla
tenere effusioni alla dipendenza assoluta. Ti sono affidata fino alla maggiore
età/ […] dimmi di mangiare scrive in Prendimi a cuore, titolo che già esplicita
la richiesta di affettiva, in Formica mendica briciole, ovvero parole buone da
mettere via per l’inverno, sensazione che ritroviamo in Eri la mia vicina dove
si legge io alzavo gli occhi dal libro/ e poiché sorridevi/ giravo la testa e
dicevo/ guardi i pomodori che belli/ e domani il tempo chi sa, quasi la reazione
di Vivian fosse dovuta solo a un compiacere l’altro per l’attenzione
dimostratale.
Ma questa dipendenza affettiva equivale inevitabilmente all’essere preda,
concetto che si concretizza soprattutto nella sezione Poeti. Aspetto la tua
zampata scrive in Muso di volpe, poesia che fino a quest’ultimo verso
sembrerebbe solo un’amorevole descrizione, sensazione molto più forte e
spaventata in Rebus facile ( 9,10) e in Rebus difficile (?,?,?,?). Una figura
china a mettere tagliole:/ RE L’AZIONE PERICOLOSA scrive nella prima
poesia, per continuare nella successiva coi versi più confusi e allarmati:
Si vede un pollaio con dentro una gallina che ha paura
[…] una donna con un fucile
[…] non si capisce chi è in pericolo
se la gallina (le ali sbattono forte ha molta paura)
o la vecchia volpe (ha gli occhi furbi ma sta guardando il fucile),
per poi concludere con un o sconsolato se almeno tu mi aiutassi a capirci
qualcosa invece di far finta di niente.
Nelle poesie non sparisce nemmeno la consapevolezza che l’altro vive di una
vita inaccessibile ed è quindi superior e quindi lupus, come recita l’epigrafe di
Sui vetri della finestra. E’ la sezione Il tuo posto vuoto a raccogliere le poesie
della massima debilitazione, dell’amore assente o concluso. Si pensi
all’esplicito titolo della prima poesia Separazione, e al testo della lirica, dove
gli affetti traditi (il tepore materno paterno coniugale)
sono ricercati in
55
surrogati risibili, uno scaldaletto metallico/ contenente acqua calda, o come in
Fate piano, dove Vivian finalmente si addormenta, sognando di essere amata,
dolcemente cullata non dalla madre, bensì dalla televisione. Altre volte implora
attenzioni minime, sempre nel tentativo di conquistarsi quell’affetto, oggetto di
desiderio irraggiungibile, o comunque mai duraturo. Non lasciate che si isoli
così103 implora descrivendo la propria solitudine, Fate piano si è
addormentata104 bisbiglia al lettore quasi fosse madre di se stessa.
2.6 L’infanzia
L’infanzia unisce le due tematiche della ricerca d’affetto e dell’adozione:
In-fanzia (età del non parlare)
Spaventata le sta succedendo
di avanzare giorno per giorno indietro nel tempo
adulta sta toccando il traguardo/ di un letto a forma di culla
dal basso vi guarda le ombre
giganti passate muovete le labbra le bocche
lei non comprende la lingua
spaventata vi guarda che andate di là
piange vi vuole lì accanto
toccarvi mettervi in bocca
incantata vi guarda dal basso le ombre le bocche
vuole scoprire decifrare la lingua
vi chinate le date un gioco di gomma
andate di là lei non riesce a parlare
nel silenzio la sentite fare piccoli versi
tentare.
Vivian Lamarque attraverso la paziente ricostruzione di una plausibile
sensibilità infantile, filtra ogni esperienza adulta , rendendola conforme a
una sorta di manicheismo elementare fatto di bambini persi, anzi abbandonati nel
bosco e di invisibili lupi in agguato.105
103
V.L., Quasi San Francesco, in Teresino, cit., p.40
V.L., Fate piano, ivi, p.41
105
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in Paragone, n.382, dicembre 1981, p.80
104
56
I gesti degli adulti sembrano compiuti da giganti, come i gesti dell’Orco per
Pollicino e i suoi fratelli. Proprio questo senso di inadeguatezza porta la donna
adulta ad affiancarsi ai veri bambini reclamando, fuori luogo e fuori tempo,
attenzione e quindi amore.
Già Vilma De Gasperin aveva sottolineato come nella sezione L’amore mio è
buonissimo l’autrice, persona adulta, venga costretta dalla sua stessa illusione,
nella condizione impotente della bambina che chiede di essere amata,106 di
poter in questo modo cancellare la ferita del passato. Tutte le richieste di affetto
e di attenzione derivano proprio da questa dimensione infantile.
bambina ha
Vivian
un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Da qui la
sensazione di continuo fallimento affettivo e di abbandono e indifferenza delle
persone amate troppo. E’ il troppo amore (dato e desiderato) a portare la
protagonista a cercare nell’altro una rispondenza assoluta, che proprio per la
sua caratteristica di assolutezza appare già a priori impossibile da realizzarsi,
fallimentare.
All’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento e di accadimento che
l’io non è in grado di assumere su di sé.107
Così in tutta la sezione, Vivian cerca di catturare l’attenzione dell’amato con
regali, piccole attenzioni, bigliettini:
l’amore mio non ha una poltrona molto comoda
se l’amore mio era mio gliela compravo
all’amore mio malato mi piacerebbe fare una sorpresa
per esempio comprargli un libro che voleva lui
io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino
all’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri
per esempio commissioni in centro
o battere a macchina
o delle cose anche un po’ noiose
come per esempio fare le code.
106
V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie
1970-2002, cit., p.VI
107
Ibidem
57
Tutte le sue attenzioni però non vengono apprezzate come vorrebbe, così che
lei stessa è costretta a concludere l’amore mio purtroppo non vuole niente da
me. Di infantile però rimane l’insistenza, basti pensare che la constatazione del
disinteresse dell’altro è la quarta delle ventotto brevi liriche della sezione. E
così continua ad alternarsi all’illusione la disillusione, che porta ad amare
constatazioni, come di sicuro allora me lo sono sognata/ che bello se l’amore
mio c’era invece non c’è, disillusione che però non riesce a fermare il continuo
meccanismo di tentativo di conquistare il rassicurante (ma irraggiungibile)
affetto dell’altro.
La dipendenza affettiva dalla figura dell’amato investito della funzione
materna che nutre e accudisce continua nella sezione, Il primo mio amore
erano due, come Vivian esplicita chiaramente in Prendimi a cuore. Va inoltre
notato che con l’edizione 2002, che taglia i primi versi del componimento, si
acuisce l’effetto di disarmata dipendenza affettiva e vitale della protagonista
dall’amato, sensazione che nel 1981 era alleviata dal più consapevole e
realistico ( quindi anche più adulto) inizio: avere ancora quell’età/ che a
chieder certe cose/ non ti guarda nessuno in modo strano, anche se dopo le due
poesie successive, la Lamarque utilizza l’ambiguo levati bambina, riferibile a
sé stessa come alla figlia (o forse a entrambe).
La disillusione torna anche nei sogni, come in Quel gesto, dove l’affetto di un
gesto paterno de la mano sulla testa è fatto sul capo della piccola Vivian, solo
che avevo la testa molto più riccia/ -cioè io non sono riccia affatto, quindi non
era lei la destinataria dell’affetto sognato, di nuovo una delusione. In E’ ora di
dormire anima mia cerca di essere madre per se stessa, di cullarsi e consolarsi
da sola: perché non dormi? vengono i pensieri?/ Fa’ così con la mano che
vanno via. In Fate piano della sezione Il tuo posto vuoto la lirica si apre con
Vivian in posizione fetale108.
Nella sezione Poeti l’amore è vissuto come totale dipendenza e sottomissione,
condizione non libera da cui non può nascere altre se non una Poesia
illegittima frutto di un amore mentale e segreto del quale l’amato non sospetta
niente di niente. Continua però la richiesta di aiuto e di amore dalla prospettiva
108
V.L., Separazione, in Teresino, cit., p.37
58
della bambina Vivian che dice tienimi ancora un po’preziosa/mangiami a
Natale109o che dall’esterno constata
Le sue ali infantili
spiccano ogni volta felici il volo
incontro a chi spara110.
Ritorna anche l’insistente tentativo di guadagnarsi l’amore dell’altro (come già
nella sezione L’amore mio è buonissimo)dove si dimostra l’amore per l’altro
con tanti regalini, senza riuscire ad ottenere l’affetto sperato, come accade in
Regali di Natale. La richiesta si fa a volte ancora più esplicita. Si pensi alla
lirica Posso? nella quale si succedono una dopo l’altra domande senza risposta,
che non desistono però dal continuare a chiedere:
Posso saltarti al collo?
fare un sogno di te?
guardarti e toccarti?
assaggiarti un pezzettino?
farmi i codini fischiare?
giocare al lupo avere paura?
mangiarmi tutta con la tua bocca? Sì?
Insomma, sia dalla scelta delle epigrafi, che dai testi poetici si può concludere
che ci si trova davanti a una storia di “grandi” riportata al livello puerile.
Sintesi e affinamento di quanto finora descritto è l’ultima sezione, Teresino,
dove la precarietà dell’unione e il male del distacco si risolvono in puri
simboli fiabeschi,
la lusinga e il rifiuto dell’altro diminuiscono nella fisionomia evanescente di un
bambino fantastico che accetta di fare ai balocchi per dopo sparire a metà gioco.111
Proprio la prospettiva della fiaba si accosta al mondo infantile e giocoso della
raccolta Teresino, elaborazione fiabesca del dato quotidiano. Così nel poemetto
conclusivo l’autrice scrive senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino
al tuo letto/ di c’era una volta in una città lon/ tana lon tana, per poi
109
V.L., Tienimi, ivi, p.58
V.L., Le sue ali infantili, ivi, p.55
111
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, cit., p.81
110
59
concludere con c’era una volta il tempo/ passato c’era teresino/ ma poi è
volato […] avevo sognato un bambino/ a forma di teresino.
2.7 Il tema del doppio
Altro tematica incisiva nell’opera di Vivian Lamarque è il doppio.
La perdita e il ritrovamento, la serietà e il gioco, il desiderio e la realtà si
accompagnano ripetutamente nelle poesie di Teresino, tensione degli opposti
uniti e inconciliabili.
Fin dalle origini l’amore è duplice, ambivalente. Sdoppiamenti, reciprocità,
dualismi sono ricorsivi. Si pensi alla poesia Il primo mio amore erano due:
Il primo mio amore il primo mio amore
erano due.
Perché lui aveva un gemello/ e io amavo anche quello.
Il primo mio amore erano uguali/ ma uno più allegro dell’altro
e l’altro più serio a guardarmi/ vicina al fratello.
Alla finestra di sera stavo sempre con quello
ma il primo mio amore il primo mio amore erano due
lui e il suo fratello gemello.
Il testo è tutto giocato sulla sua doppiezza, non solo tematica, ma anche nella
struttura sintattica e semantica. Simili-diversi oggetti d’amore, l’uno allegro e
l’altro serio. I due rivali in amore sono l’uno l’immagine speculare dell’altro,
fratelli gemelli, che non possono non richiamare alla mente l’immagine l’uno
dell’altro. E a questo gioco di specchi va aggiunta la nota in calce all’edizione
2002 che avverte di come l’allusione all’amore adolescenziale per i due
gemelli, alluda anche alle due madri. Due madri che ritornano nella poesia
Levati bambina, gioca più in là a mamma sempre di Il primo mio amore erano
due, sezione che già nel titolo stigmatizza l’importanza del tema nella biografia
dell’autrice. Il gioco dello sdoppiamento continua con Sempre più mi sembri,
dove Vivian si contrappone con un’altra donna (reale o fittizia), di cui l’amato
è innamorato. Qui, come nelle altre poesie, il gioco della ripetizione ritorna
anche nel testo, in questo caso con e so che con me questo non ha a che vedere/
60
e so che con me questo non ha a che vedere. Confronta l’identica immagine
dell’amato guardato indossando gli occhiali o senza in Senza occhiali
intravedo. Nonostante lui resti sempre lo stesso, le due percezioni sono
completamente diverse, quasi si trattasse di due persone e due situazioni: senza
occhiali intravedo/ che quasi quasi mi vuoi bene/ […] ma con gli occhiali non
si scherza/ metto a fuoco perfettamente[…].
In Quel gesto alla bambina riccia del sogno si affianca la bambina Vivian,coi
capelli ricci, quindi non lei, eppure la poesia recita: quel gesto esatto/ m’è stato
fatto[...] e sempre di sogno sembra si tratti nella poesia Andavi in chiesa, dove
Vivian è sia sposa che invitata, quindi causa di confusione ed equivoco:
Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta.
Con la stessa persona di prima.
Io stavo in mezzo agli invitati
ma anch’io ero vestita da sposa.
Certi si confondevano e fotografavano me
ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco.
Molto più esplicitamente le due mamme vengono nominate nella prima sezione
della raccolta, parlando dell’adozione. Della confusione e del disorientamento
determinato da questo cambio di madre si legge in A nove mesi, dove Vivian
dice di vedere solo copie e di non trovare l’originale: ogni volto ogni affetto/ le
sembrano copie cerca l’originale/ in ogni cassetto affannosamente. Così in
Valdesina si parla del nuovo presepe e della nuova mamma, mentre in Sarebbe
stata oltre alle due madri, compaiono anche i padri, che sparivano uno a uno.
Il tema del doppio e il gioco degli opposti ritorna anche ne L’amore mio è
buonissimo, quando scrive una cosa per subito affermarne il contrario. Così
avviene in L’amore mio certe volte mi fa piangere così tanto/ che non so più
come fare/ […] appena penso all’amore mio mi viene subito da sorridere,
oppure in l’amore mio l’amore mio non esiste dove nel verso di apertura si
riprende anche il gioco della ripetizione di il primo mio amore il primo mio
amore/erano due. In questo caso il componimento proporre anche il tema dello
sdoppiamento nei contrari, mostrando anche la sensazione di confusione e
dolore legata a questa sensazione che dall’età di nove mesi sembra
accompagnare Vivian:
61
l’amore mio l’amore mio non esiste
cioè esiste
ma non è come lo penso io è abbastanza diverso
non che sia peggiore ma comunque è un altro
solo che io me lo dimentico
e dopo quando me ne accorgo
ogni volta è una tragedia.
Portatrice di una simile contraddizione è la stessa sezione , che si apre con
l’amore mio è buonissimo per concludersi con l’amore mio è cattivo.
In Poeti
una poesia si intitola Destra o sinistra, mentre nelle tre poesie
intitolate
Vento
si
alternano
la
presenza
e
l’assenza
dell’amato
all’appuntamento con Vivian. Proprio nell’ultima parte della sezione sembra
Vivian si stia innamorando di un altro uomo, o forse dello stesso, amore
immaginato o forse solo ricordato: lo si ritrova in tutte le poesie, da Previsioni
del tempo fino a Reperto meraviglioso. Così di nuovo, seppur in veste diverse
si ripropone il tema dello sdoppiamento, che sempre crea confusione e
disorientamento.
2.8 Chi è Teresino?
Proprio Teresino diventa massima espressione di quel gioco di rimandi, di
travestimenti, di sdoppiamenti che hanno già percorso tutta la raccolta.
La storia di Pollicino, che filtra la storia personale dell’autrice a cui dà voce e
un punto di vista, nei suoi versi interferisce a tal punto da far sì che lo stesso
Pollicino, divenga l’ubiquitario polimorfo Teresino dell’ultimo conponimento.
Teresino minuscolino […] teresino filo di voce vocina scrive l’autrice,
richiamando sì l’immagine di Pollicino, ma soprattutto la più generica idea del
mondo dei bambini, dei piccoli, quel mondo infantile che tanto influenza la sua
poetica. Il personaggio Teresino non è quindi solo replica del piccolissimo
protagonista della fiaba di Perrault, ma anche sé e un altro sé, l’altro, il vicinolontano. Di nuovo quindi torna il gioco degli opposti che genera confusione e
ambiguità. Ambiguità che questa volta Vivian Lamarque
porta agli esiti
62
estremi in questa figura che riassume, riproponendo in sintesi astratta e
fantastica tutti il percorso biografico incontrato nelle precedenti sezioni.
All’inizio del libro di Lamarque si allude a un trauma, si parla di una frattura, di un
cambio di madre e di un’esperienza di abbandono ripetuto da parte dei genitori.
L’abbandono, l’indole contemplativa e silenziosa del sé, attento alle piccole cose del
mondo catturate dalla lente d’ingrandimento dell’infanzia (mosche piume foglie), sono
requisiti di Pollicino. Diversi i richiami alla fiaba, oltre agli esergo: “nel bosco nel
cuore del cuore del bosco/ gli occhi dei lupi ti sbranavano poverino”, o “teresino che
hai perso la strada prova/ a incamminarti di lì anzi/ no prova anzi teresino”. Teresino è
il sé dell’autrice e un altro sé, l’altro vicino-lontano, perché è interno ed esterno, nel
tempo e senza tempo, passato e presente, vegetale animale e umano, malattia
convalescenza guarigione, adulto e bambino, padre e figlio, destra e sinistra, amante e
amore, medico e paziente, sogno e realtà, simulacro e cosa vera, assenza e presenza,
sparizione orma residuo: segnale. Teresino non ha età poiché ha tutte le età.112
Come nota Caddeo, proprio all’inizio del poemetto Teresino viene definito
bambino e piantina rara per poi definirlo senza età, o con tutte le età, vecchio
e bambino. Al v.6 quanti anni hai teresino tre quattro[…] e Vivian deve
accompagnarlo per mostragli a destra e/ sinistra della primavera, ma al v.9
Teresino è già vecchio, quanti anni hai teresino novantanove cento. Così
anche il teresino teresino malato del v.30 diventa subito dopo, al v.33, il
dottore di Vivian: anch’io mi sono malata/ visitami sto qui buona buona
sdraiata. Al v.138 Vivian scrive non andavi via per sempre la fine/ non era
ancora finita/durava tanto la vita, eppure alla fine Teresino sparisce, se ne va
via e quella narrata si rivela non essere nemmeno stata vita, come l’aveva
definito prima, bensì sogno, o vita sognata. Così la conclusione nega ciò che i
v.138-140 avevano precedentemente affermato: avevo fatto un bel sogno avevo
sognato un bambino/ a forma di teresino.
E sempre riguardo a Teresino e alla sua ambiguità Caddeo continua:
Grazie a lui e con lui gli opposti si invertono, le antitesi collimano, l’intero si
suddivide e moltiplica (“ti seminavo spuntavano/tanti teresini”, “eravamo bianchi
leggeri/ nevicavamo teresino”), l’uno nel molteplice il molteplice nell’uno, la morte
partecipe della vita e viceversa, le palpitazioni della paura infantile del buio si
intersecano e fanno gruppo con l’eros, il desiderio abbraccia il rimpianto. Teresino è
poeta e poesia.
112
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, Milano,
novembre 1995, p.23
63
Interessante è anche il suggerimento che da questa affermazione ne consegue.
Se Teresino è sia poeta che Pollicino, allora anche i sassolini bianchi che
Pollicino aveva lasciato sul suo cammino per rintracciare la strada di casa,
possono essere considerati le poesie stesse che di questo amore ci parlano.
Entrambi sono mezzo per superare le insidie e le sofferenze
legate a
un’esperienza di amore trovato e perduto, presente-assente, insistentemente
ricercato, ma non per questo raggiunto. A questo proposito si ricordi la
decisione dell’autrice di eliminare il lieto fine della fiaba di Perrault, facendo
così coincidere il non raggiungimento dei genitori di Pollicino con la non
realizzazione della ricerca d’affetto di Vivian. Eppure non tutto è perduto,
perché ci sono le poesie che come i sassolini di Pollicino, consentono il ritorno,
o una sorta di ritorno, perché raffigurano un percorso compiuto. Risvegliano la
memoria e la orientano. Ma queste poesie non sono solo come i bianchi
sassolini del primo ritorno di Pollicino, ma anche come le briciole del secondo
abbandono, sono deperibili. Una poesia della sezione Poeti si intitola Poesia
malata, e si è ammalata proprio per il disinteresse dimostrato dal destinatario,
che non le ha prestato l’attenzione dovuta:
appena tu l’hai letta distaccatamente
senza fermarti e senza dirle niente
si è sentita girare un po’ la testa si è appoggiata
si è svestita si è messa a letto
dice che è malata[…]
come Mimì finge di dormire
per poter con te sola restare.
E in L’amore mio è cattivo leggiamo anche che
le poesie
si sono malate
ecco
e poi sono morte
sono morte tutte e quattrocento
e quel che adesso scrivo già non c’è più
a meno che nel vento.
64
2.9 Il tema dello sguardo
Nelle sue poesie Vivian spesso si descrive nell’atto di guardare, e la maggior
parte delle volte è proprio il verbo guardare il vocabolo prescelto, che solo
raramente è sostituito da sinonimi. Interessante è anche notare che nella
maggior parte dei componimenti il “guardare” sia legato a due situazioni: il
guardare l’amato o il guardare dalla finestra.
Per quanto riguarda il secondo caso, l’intervista di Silvio Soldini conferma
questo aspetto del modo di vedere (o guardare) dell’autrice. Raccontando al
regista di quando viveva al QT8 Vivian Lamarque dice: “E io stavo delle ore a
guardare dalla finestra”, lo stesso ripete guardando fuori dalla finestra di casa
sua: “Io starei tutto il giorno qua”, per infine concludere, proprio di fronte alla
finestra di casa:
”Tu prova a pensare di star sempre in casa, sempre da sola. Se guardasse su un interno
mi intristirebbe, ma io qui, per esempio al mattino c’è sempre una ventina di persone
che aspettano l’autobus, anche trenta. Diventan come dei parenti, li vedi tutte le
mattine, sono lì che aspettano che… quello che mi manca appunto, non c’è una bella
famiglia da guardare, di fronte. C’è l’ufficio e poi vedi, tutte finestre buie, lavorano
tutti. E’ tutto spento, poi alla sera vedi la lucina azzurrina della televisione e basta.
Non vedi le… da certe case invece vedi gli interni familiari. Da qua no. Nemmeno a
andare in via Arimondi vedevi la caserma. Non vedo mai gli interni familiari.”
Aggiunge poi divertita :
“Guarda i piedi di quel signore sul tram, sul 14, vedi questi piedi qua? Sembra un
signore senza testa, solo coi piedi. Che bei piedi. Ecco, tac si è alzato. Ecco”.
Una poesia della sezione Il tuo posto vuoto recita:
sta dietro i vetri
un po’ più del normale
intendo i vetri di casa
se fossero vetrine
allora sì che direste che è normale.113
113
V.L., Sta dietro ai vetri, in Teresino, cit., p.40
65
Io sono il re del balcone che resta a guardare si legge nella sezione Ho una
bella bambina, ma questa volta il guardare passa all’atto concreto nel
componimento successivo, C’era un castello, dove Vivian gioca con la figlia in
giardino. La finestra, come prima il balcone, ritorna in un’altra poesia per la
figlia, La finestra delle farfalle, in cui Vivian mostra con allegro stupore le
piccole bellezze del loro giardino. Invita anche l’amato a guardare fuori dalla
finestra in I mattini ghiro mio, dicendo che la mattina è bello svegliarsi se
quando apri le finestre
subito hai lì alberi perfetti
immobili ma a guardar bene
con anche un punto dove le foglie tremano
per un uccello appena volato via
al rumore della finestra.
In poesie più sofferenti le finestre tornano quasi come una barriera di vetro, che
impedisce il contatto con il mondo esterno. Ora davvero sembra ci si possa solo
limitare a guardare. In Levati bambina Vivian scrive disperata m’attacco al
vetro/ che tra un minuto casco e nella poesia d’apertura alla sezione Poeti con
dolore legge dichiarazioni di non amore scritte dall’amato proprio sui vetri
della finestra/ […] con un pennarello rosso. Eppure è proprio quella finestra ad
alleviare un po’ la sofferenza di lei, che tra un articolo e un sostantivo scorge
formine di cielo.114
Amaramente in L’amore mio è buonissimo scrive: l’amore mio non ha finestre
sulla strada/ l’amore mio poverino gode di una brutta vista. Il non vedere bene
e il non avere finestre da cui poter guardare rivelano ciò che più chiaramente si
esprime in l’amore mio non c’è, ossia il non amore dell’Amore mio.
Il guardarsi è proprio di ogni innamorato, ma nelle poesie di Vivian Lamarque
nessuno si guarda reciprocamente115. E’ sempre solo uno dei due che guarda
l’altro, molto spesso lei, qualche volta lui.
In Il primo mio amore Vivian e il gemello di cui si era innamorata stavano alla
finestra la sera, ma l’altro più serio scrive che stava a guardarmi/ vicina al
fratello, continuando il gioco di rimandi e sdoppiamenti. Il marito Paolo è
114
115
V. L., Sui vetri della finestra, ivi, p.51
V.L., Di due persone, ivi, p.30
66
descritto guardare la moglie nella poesia che descrive il loro viaggio di nozze.
Compiaciuta Vivian si scopre a ripeter per ben due volte ti fermi la guardi che
mangia la neve/ ti fermi la guardi che mangia la neve.
L’immagine di un altro uomo innamorato ritorna con Era detto aquilone,
soprannome dato all’innamorato di Maria, che quando la vedeva pareva
innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione. L’idea del volo nella raccolta
rappresenta, insieme al guardare, l’innamoramento.
Io naturalmente volavo
Sono passata dalla tua finestra che lavoravi
con la testa piegata così
io naturalmente volavo
felice come chissà chi.
Nella sezione L’amore mio è buonissimo Vivian innamorata racconta: lo
guardavo tanto senza dire niente e in Lo guardava lei rimane impietrita per
sempre/ in quella posizione proprio per uno sguardo del marito, che la guardò
così profondamente solo un attimo, poco
prima di mostrarle un dipinto.
L’amore è irraggiungibile ne L’albero delle ciliegie, dove di nuovo lei si limita
a guardarlo e a guardarlo/ a guardarlo lei perde colore. L’impossibilità di
questo amore ormai solo sognato apre la poesia Nel bosco col verso chiudo gli
occhi per vederti meglio; Posso/ guardarti e toccarti? chiede Vivian
nell’insistente serie di domande all’amato e nel sognante Tu conclude
scrivendo io ti guardo trasognata/ mentre mi usi le gentilezze le più svariate.
Nel contesto onirico del poemetto conclusivo, il verbo guardare torna nel testo
per ben sette volte. Ti voglio guar dare vieni, lo invita Vivian all’inizio della
lirica; alla fine però non solo Teresino non guarderà Vivan, ma nemmeno lei
potrà più vederlo,dato che era solo un sogno. Con l’affermazione Teresino
teresino sparito si ripropone così il tema dell’abbandono e dell’impossibilità
del raggiungimento di una relazione reciproca.
Il verbo guardare torna anche nelle poesie che narrano dell’infanzia di Vivian e
della sua adozione. In-fanzia (età del non parlare) intitola una sua poesia, e a
questo non parlare corrisponde un continuo guardare. Il “guardare” sembra
un’azione che le appartiene fin da piccola, quando dalla culla[…]/ se ne stava
67
ore e ore zitta e sorridente/ a giocare con le sue mani a guardare/ una mosca
che volava; dell’adozione ricorda: zitta guardava attorno/ il nuovo presepe/ la
nuova mamma.
2.10 La morte
Il ricatto affettivo che la bambina Vivian cerca di compiere ai danni della
persona a cui chiede insistentemente affetto si estremizza a conclusione delle
sezioni poetiche, introducendo la possibilità della morte. A questo proposito
chiarissimo appare questo tentativo nella sezione L’amore mio è buonissimo in
cui la persona adulta è costretta nella condizione della bambina impotente
proprio nell’intento di conquistare l’amore assoluto dell’amato, cercando di
cancellare le ferite e le delusioni affettive dei passati abbandoni. Derivano
proprio da questa dimensione infantile le continue e insaziabili richieste
d’amore e di attenzioni. Nessuno però sembra rispondere alle domande di
Vivian, così ecco l’ultimo tentativo: mettere l’amato di fronte alla possibilità
della morte, come per ricordargli che scaduto il tempo della vita non sarà più
possibile per loro due stare insieme.
Chissà se l’amore mio ci sarà
quando sarò in punto di morte
mi piacerebbe tanto di sì
e che mi stesse vicino vicino
tanto è l’ultima volta
e che mi dicesse delle cose commoventi
per esempio mi spiace molto che tu muoia.
Ma di nuovo Vivian è da sola nel suo immaginare il futuro, e così la possibilità
della morte è più che altro un ulteriore arrovellarsi e girare su se stessa, senza
nulla ottenere dall’interlocutore assente:
L’amore mio se morirà prima lui non creda!
perché anch’io morirò immediatamente
e così dopo due giorni riceverà una lettera
con dentro l’ultima poesia
e anche con spiegato come sono morta.
68
In il tuo posto vuoto le riflessioni sugli effetti che la propria morte potrebbero
produrre sull’amato sono più cupi e sofferenti, il suo viso già sfuma nella tua
memoria scrive in Ne è da poco passata la morte. Con questo testo l’autrice fa
un passo ulteriore, immaginando il proprio annullamento con la morte,
del resto sarà all’incirca così là sotto
dove di lei saranno sfumate ormai
con la miopia
la vulnerabilità, e le unghie.
Non solo sparirà dalla mente dell’amato il ricordo di lei, ma anche lei
scomparirà dal mondo, e questo aspetto non le era pervenuto nel gioco di ricatti
della seconda sezione. Ci si trova quindi nella situazione inversa rispetto a
Caro nome mio, dove la conclusione era non sono mai nata, eppure il risultato
finale è lo stesso: l’annullamento di sé stessa, la sparizione ( come il Teresino
sparito che chiude la raccolta). Di nuovo l’autrice chiama in causa la morte,
questa volta in tono più scherzoso, quando nel poemetto teresino insite sul
desiderio di non essere cancellati dalla memoria di chi si ama una volta morti: i
morti vogliono essere ricordàti leggere/ il giornale mangiare i gelati.
La mancata rispondenza dell’amore cercato causa dolore e tanta sofferenza
unita alle mancate cure richieste con altrettanta insistenza porta infine alla
morte. Questo iter tragico viene presentato in L’amore mio è buonissimo,
quando nell’ultimo testo scrive:
L’amore mio è cattivo
infatti non legge mai le mie poesie
e allora si sono malate
ecco
e poi sono morte
sono morte tutte e quattrocento
e quello che adesso scrivo già non c’è più
a meno che ne vento.
L’ultimo riferimento a un orizzonte di morte è proprio la citazione di Le Petit
Pouchet con cui si chiude il libro. Il frammento proposto narra della fuga dei
fratelli dalla casa dell’Orco il quale, con l’intenzione di uccidere i bambini, ha
69
invece appena tagliato la gola alle proprie figlie, scambiandole nel buio per i
fratellini. La fiaba che finisce male, dopo tanti momenti che facevano sperare
in un lieto fine è il modo personalissimo e struggente che ha Vivian Lamarque
per parlare di sé116, come già evocando la propria morte si erano concluse le
sezioni L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano due e Il tuo posto
vuoto.
3. Narratore, personaggio e interlocutore
Narratore e personaggio - Vivian Lamarque, e Vivian - molto spesso
coincidono: dipende quindi dall’intenzione della voce narrante la possibilità o
meno di distinguere tra le due Vivian (anche qui si ripropone il gioco, o la
confusione, dello sdoppiamento).
Con l’eccezione della sezione Ho una bella bambina, dove la terza persona di
cui si parla è dichiaratamente la figlia, nella raccolta oltre alla prima persona
singolare, anche la terza persona femminile è quasi sempre Vivian, come
risulta evidente in Chiedi come campa Vivian, che utilizza il nome dell’autrice,
o meglio, esplicita il nome del personaggio Vivian, svelandone l’identità (e in
molti altri componimenti di Teresino).
Questo accade, in particolare, in Il tuo posto vuoto, sezione che raccoglie le
poesie della massima debilitazione per l’amore assente o concluso, come un
personaggio delle fiabe parla di sé in terza persona, nel tentativo forse di
distaccarsi e di elaborare le proprie angosce, o come se fossero gli altri a
bisbigliare di lei, di quanto sta male, poverina, per il nuovo lutto della
separazione dal marito, in cui cercava padre e madre.
Anche nelle sezioni precedenti e successive a Il tuo posto vuoto l’autrice ci
propone liriche in terza persona, sebbene non con una così alta frequenza. La
prima sezione si conclude con Conoscendo la madre e Sarebbe stata, entrambe
alla terza persona. Così anche in Il primo mio amore erano due troviamo Ecco
li presentano, 6 maggio 1967 viaggio di nozze e Così tante trame, tre
116
R.Bagneri, Santagosti e Vivian Lamarque, in “Uomini e libri”, n.85, 1981, p.40
70
componimenti nei quali Vivian si nasconde dietro la terza persona. In Poeti
torna a proporsi più spesso la terza persona singolare nei componimenti forse
più sofferenti, come in Sui vetri della finestra, dolorosa ouverture che richiama
il clima della sezione Il tuo posto vuoto, come anche Le sue ali infantili,
Ridimensionare, Declinazione, 19 aprile e In-fanzia (età del non parlare).
Curioso gioco viene proposto in Pesce che vola, nella cui fantasiosa
descrizione enciclopedica Vivian si identifica nell’animale.
E’ il Tu dell’amato di Il tuo posto vuoto, Ho disegnato, Posso?, Tu, Nel bosco
e di moltissime altre poesie della raccolta uno dei principali interlocutori delle
poesie dell’autrice: Comincio a conoscerti mascherina117; Per Natale ti faccio i
seguenti regali118; Poverino/ che ti hanno fatto ammalare119; Tienimi ancora
un po’ preziosa/ mangiami a Natale120; Senza occhiali intravedo che quasi
quasi mi vuoi bene121. In alcuni testi però Vivian interloquisce con un voi
imprecisato, quasi volesse coinvolgere il lettore. Fate piano si è addormentata
bisbiglia in chiusura della sezione Il tuo posto vuoto, subito dopo aver
perentoriamente accusato “gli altri” di estraneità nei suoi confronti in
Dell’intelligenza del cuore:
Dell’intelligenza del cuore
vi interessa poco
nulla.
Io vi sono marziana,
mentre già aveva chiesto Non lasciate che si isoli così, una supplica in Quasi
San Francesco. Tornano questi “altri” nell’ultimo componimento di Poeti,
quando bambina spaventata dal basso vi guarda che andate di là/ piange vi
vuole là accanto/ toccarvi mettervi in bocca/ incantata vi guarda dal
basso[…]122. L’autrice utilizza il pronome anche nella sezione Ho una bella
bambina, nella poesia che nel 2002 dedica al marito e alla figlia. La lirica Io
117
V.L., Mascherina, in Teresino, cit., p.62
V.L, Regali di Natale, ivi, p.59
119
V.L, Poverino, ivi, p.61
120
V.L, Tienimi, ivi, p.58
121
V.L, Senza occhiali intravedo, ivi, p.30
122
V.L, In-fanzia (età del non parlare), ivi, p.71
118
71
tra voi propone quindi un “voi” d’eccezione, il voi degli affetti vicini, della
famiglia unita, un voi che compone il noi.
Il pronome noi torna di rado nella raccolta, che narra appunto di una storia di
continui abbandoni e solitudine. In Sera il noi è preceduto da io e te entità
separate quindi, così come a conclusione del testo poetico, dove Vivian si
scopre a parlare con un tu assente, impossibile noi, come già aveva anticipato
in Sempre più mi sembri scrivendo per ben due volte e so che con me questo
non ha a che vedere, concetto ripetuto anche in Lingua straniera. Persino nei
componimenti che narrano del viaggio di nozze e dell’innamoramento l’autrice
sceglie di non usare il pronome noi. Siamo due poeti infreddoliti123 scrive nella
sezione Poeti e poco dopo in Io senti ero tua moglie aggiunge il pianoforte
nostro poi talmente lungo/ che suonavamo insieme a dieci mani, noi che oltre a
Vivian e il marito questa volta conta anche gli amici Tiziano, il marito di
Ornella e Irlando. E noi eccezionale appare anche il noi-voi di Io tra voi,
componimento sereno non a caso posto nel petit leur della sezione Ho una
bella bambina: tutti e tre da una parte/ […] siamo scivolati nel sonno racconta
felice Vivian.
Va infine citata la confusione di interlocutori dell’onirica Andavi in chiesa,
dove il tu si rivolge chiaramente al marito, mentre la sposa è al tempo stesso io,
Vivian, e altro, il lei che più volte torna in Il tuo posto vuoto:
Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta.
Con la stessa persona di prima.
Io stavo in mezzo agli invitati
ma anch’io ero vestita da sposa.
Certi si confondevano e fotografavano me
ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco.
Anche nel poemetto Teresino Vivian si rivolge a Teresino direttamente, con
apostrofi e discorso diretto dandogli del tu: quanti anni hai teresino […] vieni /
che ti porto a vedere; teresino che ti fa male forte la testa ; senti ascolta questa
fa/ vola che ti racconto; mi scrivevi una lettera firmata teresino. Nell’ultimo
componimento della raccolta torna però la terza persona per rivolgersi
123
V.L, Siamo due poeti, ivi, p.54
72
all’amato, teresino che gioca e gioca, io guardo teresino che gioca e gioca, o
ancora, teresino che era una stella, anticipazione della conclusione finale, ossia
della sparizione di teresino, al quale quindi non si può più parlare direttamente,
usando cioè il tu. Questa distinzione tra seconda e terza persona, svela la
distinzione tra Vivian personaggio, che vive al presente insieme a Teresino le
“avventure”del loro immaginoso gioco della vita, e invece Vivian voce
narrante, che racconta dopo aver vissuto la sparizione di Teresino, narratore
onnisciente, sa già come si concluderà quel sogno che avevo sognato.
4. Metro
La poesia di Vivian Lamarque è una poesia di cose più che di parole, e la sua
scrittura si caratterizza per una levità che meglio si presta al tocco rapido.
Brevissimi sono alcuni componimenti della raccolta Teresino: soli due versi
conta la poesia Immobile, mentre di tre versi si compongono Tienimi (posta
73
immediatamente prima della brevissima poesia di un solo distico), Le sue ali
infantili e Non parla; gli altri testi poetici sono composti da non più di dieci
versi ciascuno.
Particolare la struttura della seconda sezione, dove quasi come una litania si
susseguono ventotto strofe libere (o lasse) composte da pochi ma lunghi versi,
che volentieri superano la misura dell’endecasillabo. Si può parlare di poesia in
prosa per lasse come:
l’amore mio quando era bambino era timidissimo con le bambine
anch’io quando ero bambina ero timidissima con i bambini
forse però l’amore mio un giorno mi avrebbe chiesto come mi chiamo
e dopo avrebbe giocato con me un po’ a palla.
Qui il testo si compone di soli quattro versi, rispettivamente di 22 , 19, 21 e
ancora 19 versi. Di bene 25 sillabe si compone il primo verso del distico
Io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino
lui ha pensato a una multa invece no ero io.
Nella sezione però si inseriscono anche testi più corposi e rispettosi della
tradizione metrica, come chissà se l’amore mio ci sarà. I suoi sette versi si
compongono di un numero minore di sillabe, l’autrice utilizza novenari,
settenari, decasillabi con il verso più lungo di quattordici sillabe.
Più contenuta è la sintesi metrica delle liriche nella prima sezione e in Il primo
mio amore erano due, anche se già in quest’ultima sezione vengano proposto
tre poesie di soli quattro versi e altri tre composte da cinque versi. I
componimenti più brevi, escludendo l’eccezionalità della seconda sezione,
sono raccolti in Il tuo posto vuoto e Ho una bella bambina, due sezioni che si
contrappongono per la tematica trattata, sofferente la prima, confortante e
amorevole la seconda. In entrambi i casi però l’autrice utilizza il metro breve
per proporci con un sintetico schizzo, la densità delle sensazioni positive e
negative provate. Riguardo alla brevità e alla sintesi dei versi della Lamarque
Raboni scrisse:
74
I suoi versi mi sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme
cauta e rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una levità
linguistica che è anche, nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura
doloroso della parola comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di
coglierne il ritmo implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure…124
Poeti è la sezione metricamente, e non solo, più varia, nella quale testi di
lunghezze diversissime si susseguono creando un ritmo mosso e irregolare.
Media lunghezza hanno i primi componimenti , come Sai la Rita, di nove versi,
I mattini ghiro mio, di undici versi, o Lettera dal balcone, con i suoi quattordici
versi. Ma già Siamo due poeti si compone di quattro versi e Le sue ali infantili
propone soli tre versi che precedono il primo lungo testo poetico della raccolta:
Pesce che vola. Altrettanti brevissimi testi poetici (Tienimi e Immobile)
seguono la lunga lirica, composta di cinque strofe ( di cui due distici) e da
trentacinque versi (e introdotta dalla citazione di Alceo). La poesia risulta così
posta in una cornice di brevi poesie con le quali contrasta. Seguono altri testi
più corposi, considerando l’esiguità usuale dell’autrice. Si pensi a Rebus
difficile (?,?,?,?) o a Poesia illegittima e a Poesia malata, che superano
ampiamente i dieci versi di lunghezza. Torna la misura lunga in Previsioni del
Tempo con 59 versi divisi in dieci strofe, a cui va aggiunta l’epigrafe di tre
versi. Anche la poesia successiva Vento può essere considerata eccezione alla
brevitas della Lamarque, essendo la poesia composta di tre sezioni,
semplicemente contrassegnate dalla cifra romana, che se considerate insieme
formano un testo di 25 versi.
Vera eccezione è però l’ultimo testo poetico della raccolta, che da solo ne
costituisce l’ultima sezione. Come in una lunga filastrocca, 212 versi divisi in
86 strofe danno forma al poemetto Teresino. Continuità rispetto al metro delle
sezioni precedenti, è però garantita dalla brevità delle strofe, molto spesso
distici, e mai composte da più di otto versi (misura solo della terza strofa). Il
testo, come già in Vento, è divisibile in cinque sezioni, di lunghezza molto
varia, introdotte da una brevissima strofa in corsivo (di uno o due versi):
Camminavi avevi/ il tuo pallone sotto il braccio; Ma poi la guerra guardavi i/
124
G. Raboni, in F.Cordelli, Schedario, in
F.Cordelli, Lerici, Cosenza, 1975, p.291
Il pubblico della poesia, di A.Berardinelli,
75
voli delle bombe; Teresino squisito; Teresino teresino sparito. Anche in questo
caso il testo poetico è introdotto da un’epigrafe, che però, essendo ripresa con
lievi modifiche alla fine del testo, assurge al ruolo di refrain, proprio come
nelle filastrocche dei giochi dei bambini.
5. Fonti e modelli
L’abbandono vissuto al momento dell’adozione segna l’infanzia dell’autrice, e
con essa la sua poesia, luogo di rifugio per superare il dolore e la confusione,
conseguenza alla scoperta di avere due mamme. Ma in Teresino il ricordo
dell’infanzia non torna solo come una tra le principali tematiche, bensì permea
anche stilisticamente la raccolta, con forti richiami alla dimensione infantile. Si
potrebbero trovare collegamenti con la poetica del fanciullino di Pascoli125,
analogia che si potrebbe riscontrare anche nell’autobiografia dei due scrittori:
le poche liriche della prima sezione “Conoscendo la madre” centrano subito il dramma
della diserzione materna: evento forse meno mitizzabile di un padre ucciso mentre
tornava al suo nido, ma sufficiente a instaurare un definitivo sistema di passioni fatto
di passività verso le manovre dei grandi.126
Tralasciando il confronto tra l’infanzia di Pascoli e quello della Lamarque, è
invece interessante notare le numerose consonanze tra la poetica dell’autrice e
quella del Fanciullino. Presente potenzialmente in ogni uomo, solo il poeta è
però in grado di farlo rivivere e parlare dentro di sé, sapendo scorgere il
significato profondo delle piccole cose normalmente invece trascurate dagli
adulti. E proprio di piccole cose scrive Vivian Lamarque, come ne La finestra
delle farfalle quando chiama la figlia per ammirare la domestica natura del loro
giardino:
vieni corri a vedere
ce ne sono tre ce ne sono quattro ce ne sono cinque!
ancora una guarda!
125
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15,
novembre 1995, p.23
126
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80
76
e sotto c’è un’ape e c’è una mosca127.
Anche l’abilità analogica dell’autrice, sottolineata da Sereni, è per Pascoli una
qualità del poeta, che riesce infatti ad individuare accordi segreti tra le cose
stabilendo legami nuovi e inconsueti tra di esse:
[…] si erano innamorate reciprocamente.
Hai pronunciato le due parole come fosse niente
[…] e però la forza di quel verbo e di quell’avverbio
usati vicini
mi ha fatto pensa girare la testa
[…] mi gira la testa pensa
resto lì incapace
stordita come un bambino da una lingua straniera.128
Il fanciullino, e quindi il poeta, riesce a creare questi legami analogici e nuovi
sottraendosi alla logica ordinaria, grazie alla propria capacità di fantasticare.
Ma proprio a causa di questa sua fervida immaginazione Vivan soffre
ulteriormente quando le si chiede di ridimensionare:
Quest’operazione che la costringete sempre a fare
“ridimensionare”
non è come stringere un vestito
non è indolore
si taglia la pelle del cuore.129
A due prospettive poetiche molto distanti una dall’altra è riconducibile tale
fantasia che caratterizza l’autrice: il reale mondo dei bambini cantato da Gianni
Rodari, e il sogno, la dimensione onirica rappresentata da Andrea Zanzotto. Per
quanto riguarda le filastrocche per l’infanzia, spesso la poesia della Lamarque è
tacciata di infantilismo o eeessiva semplicità e chiarezza, le mie poesie le hai
accompagnate di corsa all’asilo130, con il suo metro irregolare che però spesso
richiama le cantilene dei bambini e la dimensione della fiaba o delle
filastrocche:
127
V.L., La finestra delle farfalle, in Teresino, cit., p.45
V.L., Di due persone, ivi, p.30
129
V.L., Ridimensionare, ivi, p.63
130
V.L., Affinità elettive, ivi, p.70
128
77
C’era un castello
e avevo un manto
e sotto il manto avevo bambini.
C’era un castello con intorno giardini
volava il manto
volava il cielo
volava il verde di tutti i giardini.
C’era al castello un re molto bello
che in piedi nell’erba rideva forte.
E il cielo volava
e il sole volava
volava anche il manto con sotto i bambini.
Così come lo stesso ritmo ripetitivo viene riproposto nrl lungo poemetto
conclusivo, Teresino:
teresino che ti fa male forte la testa chi
è stato che ti ha bastonato
dimmelo di che colore erano gli occhi
che ti hanno guardato chi è
stato che ti ha stregato?131
Proprio in questo poemetto si fanno, però, spazio alcuni giochi di parole che
ricordano le ricerche linguistiche di Zanzotto: perché si don do la va su un
piede; senti ascolta questa fa/ vola […] di c’era una volta in una città lon/ tana
lon tana un bambino.132 Inoltre in molte poesie viene proposta, senza alcuna
didascalia, la descrizione di una situazione che evidentemente non può essere
altro che un sogno, ricreando ambientazioni indeterminate e sdoppiate,
proposte per primo da Poe, Volevo sognare il postino/ con una lettera in mano/
invece ho sognato il postino/ senza una mano133, ma riprese con
note che richiamano la levità cantilenante e surreale del primo Palazzeschi
(“passavano le suore cattive vestite di/ nero le suore buone vestite di/ bianco”p.77).134
Ricorda infine la levità penniana la delicatezza della maggior parte della poesia
dell’autrice:
131
V.L., Teresino, ivi, p.73
Ibidem
133
V.L., Volevo sognare il postino, ivi, p.55
134
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.23
132
78
E’ ora di dormire anima mia
perché non dormi? vengono i pensieri?
Fa’ così con una mano che vanno via/
a’ presto fa’ presto anima mia.135
Siamo due poeti infreddoliti
Raffreddati
restiamo così sotto le coperte fino a domani
leggermente malati136
così come in Ho una bella bambina, raccontando della figlia, Vivian Lamarque
la veste con le “piume leggere” di un memorabile fanciullo penninano.137
135
V.L., E’ ora di dormire anima mia, in Teresino, cit., p.31
V.L., Siamo due poeti, ivi, p.54
137
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, cit., p.81
136
79
CAPITOLO III
TRILOGIA PER B.M.
80
1. Genesi e storia
Una trilogia sul transfert (amoroso) in analisi,138 così Giuliana Petrucci
definisce le tre raccolte che Vivian Lamarque pubblicò tra gli anni ’80 e ’90,
dopo Teresino.
I testi prendono spunto dall’esperienza di analisi junghiana iniziata dall’autrice
nel 1984 e terminata dopo circa vent’anni. Racconta in un suo articolo:
Ho solo un rimpianto: di avere cominciato l'analisi tardi, a 38 anni. Era il 1984 e già
da decenni vivere mi era diventato difficile. Alcuni «colleghi poeti» mi suggerivano la
terapia di Lacan, altri la psicologia analitica di Jung, nel dubbio le affrontai tutte e due
contemporaneamente. Ma bastò il primo colloquio: i generosi 75 minuti concessi dallo
psicanalista junghiano contro gli scarsi 20 minuti del lacaniano. Ebbe così inizio il
viaggio più lungo della mia vita. E iniziò anche un nuovo libro. […] L' analisi non mi
ha allontanata dalla scrittura né dalla vita. Anzi, ha permesso la stipulazione di un
patto d' alleanza tra le due.139
Proprio all’analista della Lamarque, il dottor B.M., sono dedicate tutte le
poesie qui pubblicate. Tra l’84 e l’86, agli inizi della terapia analitica
junghiana, scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere, racconta
nella Premessa alla raccolta edita nel 1992, a proposito dei testi poi raccolti
nella trilogia. Vivian Lamarque pone in primo piano il proprio rapporto con
l’analista, tentando di dare una forma poetica all’esperienza di traslazione
vissuta in terapia, ossia la relazione di transfert.
La prima raccolta della trilogia , Il signore d’oro, uscì nel 1986 per le edizioni
Crocetti. Sul frontespizio, sotto il titolo, è riportato il periodo di composizione
delle poesie pubblicate: 1984-1986.
Dell’anno 1989 è invece Poesie dando del Lei, edita da Garzanti. Come già per
la raccolta Teresino, l’autrice in calce al testo aggiunge una Nota, nella quale
informa il lettore riguardo all’ordine cronologico con il quale i testi furono
composti:
138
G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque,
in “Italianistica”, n.1, gennaio aprile 1998, p.89
139
V. Lamarque, Grazie alla terapia, nei miei versi ho ritrovato la gioia di vivere, in “Corriere
della Sera”, 03 settembre 2005
81
il numero che accompagna le poesie indica […] l’ordine cronologico di composizione.
La struttura del libro ha determinato una successione diversa e l’esclusione della
maggior parte dei testi. Il percorso svolto, tra i tanti possibili, lascia inedite più di
mille poesie.
L’ultimo testo della trilogia ad essere pubblicato fu Il signore degli spaventati,
che uscì, per le edizioni Pegaso, nel 1992, vincendo il Premio Montale nello
stesso anno. Come già per Poesie dando del Lei, l’autrice in quest’ultima
raccolta dà un’indicazione temporale riguardo al periodo di stesura dei
componimenti pubblicati. Questa volta le informazioni sono poste in apertura
al libro, nella Premessa, dove l’autrice dichiara di avere scritto duecento
“signori” : ottanta sono ne “Il signore d’oro” […], ottanta li ho scartati,
quaranta eccoli qui ne “Il signore degli spaventati” .
L’edizione Mondadori Poesie 1972-2002 ripropone le tre raccolte in ordine
variato rispetto alla loro cronologia di pubblicazione. Nel 2002 infatti la
trilogia mantiene Il signore d’oro
come prima opera del gruppo, mentre
inverte l’ordine delle altre due raccolte, ponendo prima Il signore degli
spaventati e concludendo la triade con Poesie dando del Lei. La scelta era già
stata anticipata dalla premessa all’edizione Pegaso 1992, dove si dichiarava che
i testi della prima e dell’ultima opera appartenevano allo stesso periodo
temporale. Modificando l’ordine nella raccolta del 2002 l’autrice ha infatti
voluto ristabilire la cronologia di composizione dei testi. Le due raccolte dei
Signori appartengono infatti al primo periodo dell’analisi, che va dal 1984 al
1986, mentre Poesie dando del Lei raccontano una fase successiva del percorso
analitico.
82
1.1 Le edizioni
La nuova edizione delle tre raccolte per la casa editrice Mondadori apporta
alcune modifiche ai testi, anche se gli interventi non sono stati tanti quanto per
Teresino, opera che apre la raccolta Poesie 1972-2002.
La scelta di invertire l’ordine sequenziale della trilogia, preferendo rispettare
l’ordine cronologico a quello di pubblicazione delle raccolte poetiche risulta
essere la modifica più evidente dell’edizione 2002, ma alcune piccole
correzioni vengono apportata anche ai testi di Il signore d’ore e di Poesie
dando del Lei. Ne Il signore degli spaventati, invece, unica modifica rispetto
all’edizione del 1992 è la soppressione dell’aggettivo nera che concludeva in
modo più cupo l’ultimo verso di La signora del bosco, diventando quindi
nell’edizione 2002: […] la notte stava per calarle addosso come una
montagna.
Per quanto riguarda la raccolta Poesie dando del Lei, la differenza è
sostanzialmente grafica: nel 2002 l’inizio delle sezioni viene inidicato con un
numero romano, e utilizzato il corsivo nel componimento introduttivo (come
già nell’edizione 1989). Per quanto riguarda i testi poetici della raccolta, le
modifiche consistono in alcune sostituzioni di vocaboli, ritenuti più adeguati al
contesto e al concetto da esprimere. Nella prima sezione, il componimento
Lontanissime vacanze al v.4 recitava vedevano i bellissimi mari nell’edizione
1989, mentre nel 2002 il verbo vedere è sostituito con guardavano, vocabolo
caratteristico della poetica dell’autrice. Un’altra piccola correzione è apportata
all’ultimo testo della raccolta, Le sue carezze. Questa volta però la scelta risulta
più significativa, in quanto pur esprimendo lo stesso concetto, nel 1989 il v.2
aggiungeva la negazione davanti ad un concetto espresso in positivo, non me le
concederà, mentre invece nella versione del 2002 si preferire inserire la
negazione direttamente nel verbo, così che il sintagma risulti più incisivo e
impossibilitante: me le negherà.
83
Infine la prima delle tre raccolte, Il signore d’oro, dove le differenze tra la
versione del 1986 e quella del 2002 sono in maggior numero, fatto
probabilmente dovuto anche alla pubblicazione molto vicina alla data di
composizione dei testi (1984-1986). Intervento più rilevante nell’edizione 2002
è la soppressione del testo La signora allagata presente invece nell’edizione
del 1989.
Il signore degli orientamenti nell’edizione 1986 recitava: Gli
orientamenti futuri avrebbero dovuto propendere in direzione di maggiori
coccole?/ Oh naturalmente./ Maggiori coccole di maggiori baci?/ Oh sì.
Sempre maggiori sempre maggiori finché la quantità a suo tempo dovuta fosse
alfine raggiunta. Nell’edizione Mondadori il testo viene ridotto, con la
soppressione dei vv.2-3, mentre al vocabolo coccole si preferisce il meno
colloquiale affettuosità. Altre differenze intercorrono tra i componimenti delle
due edizioni, ma costituite solo da alcune sostituzioni di parole. Il signore delle
finestre nell’edizione Crocetti al verso conclusivo recita: I fiocchi stavano per
scendere dal cielo tantissimo. Per la pubblicazione del 2002 l’autrice preferire
sostituire l’aggettivo superlativo con il più enfatico a mille a mille. Sempre un
aggettivo superlativo coinvolge l’intervento di modifica che sostituisce
fievolissima a fiochissima. L’aggettivo ricorre nel testo per due volte, ed in
entrambi i casi è stato sostituito: a conclusione del v.1 a fievolissima voce
gridava e nel titolo del componimento, che così risulta diverso nelle due
edizioni. Minimi accorgimenti paiono le altre modifiche per l’edizione Poesie
1972-2002: l’aggiunta dell’accento alla parola marronblu di Il signore delle
barchette, l’aggiunta dell’avverbio di luogo lì nel componimento Il signore
infondo al mare al v.1 (diversissimi pesci lì passavano) ed infine lo
scioglimento della sigla P.S. dell’edizione 1986, che viene scritta per esteso.
84
2. La struttura
Dopo la pubblicazione di Teresino l’autrice continua a raccontare di sé nella
propria poesia. Cambiano però i modi. Più esplicita e articolata la vicenda
personale narrata nel 1981, nelle tre opere successive Vivian Lamarque si
focalizza su di un'unica esperienza, l’esperienza analitica. La dimensione
privata del setting analitico si precisa ed esplicita di raccolta in raccolta. Pochi i
riferimenti al contesto terapeutico ne Il signore d’oro, dove oltre alla dedica al
Dottor B.M., quindi molto generica, solo nell’ultimo componimento lascia
traccia di uno strano primo incontro tra la Signora e il Signore che a posteriori
è facile identificare come appuntamento dall’analista:
Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno.
Che ore erano?
Le dieci e trenta.
E dove erano?
Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini.
E come avvenne?
La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…].
Anche Poesie dando del Lei è dedicata al Dottor B.M. la cui specializzazione
medica però resta ancora nel vago. Certo aumentano i riferimenti alla realtà
dello studio dell’analista, e in La sua porta sprangata compare anche il nome
di Jung, indirizzo psicoterapico dell’analista B.M. E’ con la pubblicazione del
1992 che la Lamarque dichiara apertamente che lo spunto per Il signore degli
spaventati, come anche per le due raccolte precedenti, è stato il suo percorso
analitico. A questo riguardo Giovanni Giudici scrive in prefazione alla
raccolta:
Nel chiedermi di premettere un paio di pagine al suo nuovo libro, Vivian Lamarque
tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa sapere, direttamente,
anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da riportarsi a un’esperienza di
terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una sezione inedita dei
“materiali” da lei elaborati e trascelti per dar corpo a un altro suo libro del 1986: Il
signore d’oro.140
140
G.Giudici, Un minuscolo puntino laggiù, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei
Marmi 1992, p.11
85
Dalle parole di Giudici (e dalla Premessa dell’autrice) apprendiamo quindi che
i testi dell’edizione 1992 e 1986 appartengono allo stesso periodo. Il signor
d’oro e Il signore degli spaventati, oltre al periodo cronologico, sono
associabili per l’organizzazione dei testi al loro interno e per l’elaborazione del
materiale “poetico”, per non parlare dei titoli modello uno dell’altro dove a
cambiare è solo l’attributo riferito al signore, d’oro nella prima raccolta, degli
spaventati nell’ultima. Pur trattando la stessa tematica, Poesie dando del Lei si
distanzia invece dagli altri due testi, per stile, struttura oltre che per il titolo.
In tutte le raccolte viene così posto in primo piano il rapporto col proprio
analista, e di conseguenza assumono importanza anche le esperienze vissute da
Vivian nel presente dell’analisi e nell’attualità della propria storia personale,
filtrate dagli occhi della paziente del Dottor B.M.
2.1 Il signore d’oro
La raccolta del 1986, Il signore d’oro, raccoglie ottanta poesie e si divide in
tre parti disomogenee tra loro per quantità di componimenti contenuti. Il filo
conduttore che struttura invisibilmente tutta la raccolta è una persona di cui
Vivian Lamarque tace il nome ma scrive le iniziali (con dedica) nella prima
parte del volume: al Dottor B.M.
La prima parte de Il signore d’oro, nonché la più lunga, è dedicata al signore,
già nominato nel il titolo della raccolta, la seconda, più breve, parla della
signora per infine concludere con un’ultima brevissima parte riguardante
entrambi, il signore e la signora. L’opera risulta quindi suddivisa a seconda di
quale tra i due personaggi del signore e della signora è il protagonista dei
componimenti della sezione. Sebbene la maggior parte dei testi sia dedicata al
signore, anche se la signora, essendo sempre presente, è in realtà una co-
86
protagonista: è lei infatti ad essere innamorata del signore d’oro, a idealizzarlo,
a sognarlo, ad aspettarlo.
Il signore d’oro è anche il titolo di un componimento della raccolta:
Era un signore d’oro. Un signore d’oro fino, zecchino.
Per il suo carattere duttile e malleabile, per il suo caldo dorato colore, per il luccichio
dei suoi occhi, era un signore molto ricercato […].
87
Questo il personaggio
maschile protagonista della raccolta alter ego
immaginato dell’analista Dottor B.M. Ma il signore d’oro è il Lontano, come
recita la raccolta in apertura col testo programmaticamente intitolato Il signore
mai: Era un signore bello e meraviglioso. Vicino a lui non si poteva stare
sempre sempre, bensì mai. Co-protagonista è una signora che voleva tanto
bene a un signore141 e che in tutta la raccolta fa di tutto per poter far si che il
suo amore per il signore venga ricambiato, senza però riuscirci.
Composta da cinquantotto componimenti, la prima parte vede come
protagonista il signore. Ogni testo ripropone insistentemente il nome signore,
seguito da attributi caratterizzanti che lo raccontano nei modi più svariati e
contraddittori. Il signore mai del primo testo già nel terzo diventa Il signore
qui, per poi ritornare Il signore intoccabile, Il signore lontano, Il signore
andato via. La sezione non sembra seguire un vero e proprio ordine, quanto
piuttosto una serie di fantastiche evoluzioni e peripezie dell’immaginazione
dell’autrice che gioca ogni volta a porre il signore ovunque: sulla luna, in un
nido, su un treno, in una stanzetta o in una scatolina, in un cinema, in uno
studio pieno di verdi prati e ruscelli, tra le stelle e così via. L’autrice spiega la
natura dei propri componimenti proprio in un testo della raccolta, Il signore
sognato, dove chiarisce:
Splendidissima era la vita accanto a lui sognata.
Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava.
E nella realtà?
La realtà non c’era, era abdicata.
Splendidissima regnava la vita immaginata.
Continua nella stessa direzione fantastica la seconda parte della raccolta.
Nessun titolo di sezione o spazio bianco indica l’inizio di una nuova parte, ma i
componimenti cambiano protagonista. Sono venti i componimenti ce hanno
come protagonista la signora, e che ci mostrano l’innamorata che nella prima
sezione guardava il signore amato, ovvero Vivian. La situazione non cambia, a
141
V.L., La signora della neve, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.67
88
nulla servono le mille peripezie della signora per conquistare l’amore del
signore perché nonostante lei volesse tanto dargli dei baci, non dico troppi,
anche solo 7-8 (mila)/ invece non si poteva perciò non glieli dava anche se non
può non chiedere infastidita a cosa servono i baci se non si danno? Anche in
questo caso i titoli ai testi riportano appellativi diversissimi e immaginosi per
descrivere la signora: la signora mulinello, la signora passerotto, la signora
dei fiori, la signora fievolissima, la signora della neve, la signora della
valigetta e altre signore ancora.
Finalmente nella terza e ultima parte i due personaggi si ritrovano protagonisti
dello stesso testo, unico della sezione. Ma l’unione da Vivian tanto desiderata
si realizza solo nel titolo del componimento, Il signore e la signora, descrizione
di uno strano primo incontro, un appuntamento in un luogo sotto il livello
stradale di 4 o 5 gradini./ La signora suonò alla porta e il signore aprì./ E
dopo? chiede incuriosito l’interlocutore alla voce narrante. Ma la storia rimane
in sospeso, o forse riprende da capo, in modo circolare e indeterminato, come
appare la storia del signore e della signora narrata in quest’opera.
2.1.1
Post Scriptum
Segue l’ultimo componimento e conclude la raccolta un Post Scriptum, dove né
il signore né la signora sono più protagonisti. La poesia, intitolata Il bambino
delle cantine, ripropone un testo che sembra una reminescenza del mondo dei
bambini narrati in Teresino. Come in tutta la raccolta de Il signor d’oro, anche
quest’ultimo testo ripropone la tematica amorosa, ma in modo diverso, quasi
parodia della raccolta stessa. A differenza del signore intoccabile a cui è
proibito dare baci, questo bambino dava baci a tutte le bambine. Ma il
bambino avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino. La
conseguenza dell’essere ubriaco non è il barcollare, bensì proprio l’affettuosità
verso le altre bambine. Forse anche il Dottor B.M. se bevesse troppo vino
darebbe qualche bacio all’innamorata paziente? Certo è che questa ipotesi non
89
può eliminare il non innamoramento del dottore. La breve poesie
concludendosi con nelle cantine, propone un luogo che ricorda lo studio del
Dottor B.M., che proprio nel componimento conclusivo è detto essere sotto il
livello stradale di 4 o 5 gradini, come la cantine.
2.2 Poesie dando del Lei
Settantacinque brevi testi compongono la raccolta Poesie dando del Lei. La
scena, dove appunto il paziente e il dottore si danno del lei, è esplicitamente
una scena medica, se non ancora dichiaratamente analitica.
La raccolta è divisa dall’autrice in due sezioni che prendono il titolo dal
componimento proposto in apertura di ogni parte: Il mio Dottore è sparito e Il
mio Dottore è gentile.
Il libretto racconta la storia di una relazione impossibile di una donna
innamorata con un uomo che non ricambia il suo sentimento amoroso. La
tematica è quindi la stessa de Il signore d’oro, così come anche i personaggi
dei brevi testi continuano ad essere Vivian e il suo analista, a cui rivolgendosi
dà appunto del Lei. Ma in Poesie dando del Lei non si parla più in modo vago
di un signore e di una signora, come invece nella raccolta del 1986. Ora
ognuno viene nominato col suo nome: Vivian e Dottore. In più di un’occasione
nella raccolta ritorna il nome dell’autrice, oltre che alle frequenti allocuzioni al
Dottore. Lei con sapienza mi ha curata/ sono la Sua Vivian/ quasi risanata142
scrive l’autrice al suo caro Dottore con la lettera maiuscola, nome proprio
dell’analista nel gioco interlocutorio dei componimenti.
La storia appare più strutturata rispetto alla raccolta precedente, infatti i testi
non sono divisi a seconda del personaggio che agisce nel testo, ma seguono
l’evolversi della rielaborazione dell’innamoramento che Vivian vive in
conseguenza del transfert.
142
V.L, Per il suo compleanno, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.35
90
Il mio Dottore è sparito/ tra Ponente e Levante/ io mi affaccio e lo cerco e lo
chiamo/ come un amante. Così si apre la prima sezione, mettendo da subito in
chiaro il tema della raccolta. Il Dottore è come un amante per Vivian, ma solo
nei suoi desideri, infatti non risponde alle sue parole di innamorata, e anzi, è da
subito definito assente, sparito. Nei cinquantasei componimenti di questa
prima parte si narra quindi dei tentativi, delle suppliche, degli espedienti che
Vivian cerca per far innamorare di sé il suo analista. La consapevolezza
dell’impossibilità della relazione non riesce a disilludere la paziente.
La seconda sezione della raccolta, molto più breve della precedente, si
compone di diciannove testi. Cambia l’atteggiamento dell’innamorata
protagonista, che ormai sembra intenzionata a farsi una ragione della situazione
impossibilitante in cui l’innamoramento ha avuto luogo: il setting analitico.
Questa impossibilità però non ristabilisce l’equilibrio sentimentale della
paziente, la quale ai continui slanci vitali della prima sezione fa seguire la
reazione esattamente antitetica: il tema della morte si insinua nella narrazione.
Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire scrive la Lamarque nel breve
testo che introduce la seconda parte. La sezione però non risulta drammatica,
infatti continua la consapevole ironia che caratterizza tutta la raccolta.
Comunque i testi si velano di una sottile malinconia, creata appunto da
quell’impossibilità di realizzazione di un sentimento apparentemente così
sentito, se non fosse per la consapevolezza di stare vivendo il transfert d’amore
per il proprio psicanalista.
Tutti i testi dell’opera sono proposti senza titolo, ma conclude la raccolta un
testo che fa eccezione: Le sue carezze. Questo testo porta alle estreme
conseguenze la storia dell’impossibile amore tra Vivan e il Dottor B.M: Se il
tempo terrestre/ me lo negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità. La
paziente conclude così cercando di trovare un escamotage per riuscire a
superare l’impossibilità ultima, ossia la morte e ironizzando sembra quindi aver
trovato un modo, così che la raccolta può concludersi senza più tensioni.
91
2.2.1
Goethe
Apre Poesie dando del Lei una citazione del Faust di Goethe: Margherita…
Dov’è? L’ho udito chiamare! Che prelude all’ironia dei componimenti della
raccolta, che si apre proprio con la ricerca del Dottore: Il mio Dottore è
sparito143. Così con un generico paragone tra il rapporto di Faust e Margherita
l’autrice riesce a sintetizzare molti degli aspetti che caratterizzano la relazione
tra il Dottore e la paziente.
Il frammento riportato dalla Lamarque è tratto dall’Ester Teil, la prima parte
del Faust.144
Durante il periodo del patto con Mefistofele, Faust si avvale dell’aiuto di
questo per sedurre una ragazza bella e innocente, Margherita, la cui vita verrà
distrutta proprio dall’amore per Faust. Il dramma di Margherita inizia con la
143
V.L, Il mio Dottore è sparito, ivi, p.9
Il Faust fu scritto da Gothe in tre momenti successivi.
l'Urfaust, scritto tra il 1773 e il 1775, influenzato dalle rappresentazioni del Faust di
Christopher Marlowe, appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca dello Sturm und
Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, nel 1790 con il titolo di Faust. Ein Fragment.
Nel 1808 , nella corrente letteraria del classicismo, Goethe pubblicò l’Erster Teil, o Faust.
Prima parte. Nel prologo in cielo Mefistofele (un diavolo) vuole scommettere con Dio che
riuscirà a portare alla perdizione l'integerrimo medico-teologo Faust; Dio non accetta la
scommessa (essendo Dio, non si abbassa a scendere a patti né a scommettere con alcuno) ma
gli dà il permesso di tormentare Faust, così che il dottore non sia mai indotto a riposarsi o
arrendersi. Dio sa che Faust è un uomo buono ed è fiducioso che si salverà comunque. Così
Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli
desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è
sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai
al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa
conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e Gretchen
(Greta) - la quale si innamora perdutamente di Faust, inconsapevole del fatto che lo slancio (in
tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del
piacere. La sorte di Margherita sarà tragica.
Del 1832 è infine il Faust. Zweiter Teil, o Faust. Seconda parte, nel quale si celebra l'unione
tra letteratura classicistica e mondo classico. Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia.
Hanno un figlio, Euforione (nel mito, figlio di Elena e Achille), destinato, però, a morire
giovinetto. In seguito, preso da nostalgia e rimpianti (ripensa a Margherita, Elena ed
Euforione) Faust si stabilisce in un appezzamento costiero, applicandosi costantemente per
bonificare la zona. È molto vecchio ormai, e l'Angoscia (un diavolo che personifica la
depressione) lo tenta continuamente, e per farlo cadere nello sconforto lo priva della vista. Ma
Faust non si abbatte neanche nella cecità. Immaginando un futuro roseo dove un popolo
laborioso e libero avrebbe realizzato grandi opere per la propria felicità, Faust afferma che, se
fosse vissuto tanto da vederlo, avrebbe desiderato che quell'attimo si fermasse. Mefistofele non
capisce, e crede che Faust stia davvero chiedendo a quell'attimo di fermarsi. Perciò, fa morire
Faust, convinto di aver vinto la scommessa. Mefistofele reclama la sua anima, che però sale al
cielo per il suo costante impegno a favore del bene e della società. Nel finale, un angelo spiega
il motivo per il quale Faust è stato salvato: la sua continua aspirazione all'infinito.
144
92
decisione della ragazza di darsi a Faust. Il mondo di Margherita è semplice e
idilliaco, stridente e incompatibile col mondo di Faust, il quale creerà la
distruzione di quella piccola società protettiva. Per permettere l’incontro
amoroso Faust le dà delle gocce da mettere nella bevanda della madre affinché
dorma, ma il narcotico troppo potente uccide la madre della ragazza. Anche
Valentino muore, il fratello maggiore di Margherita, ucciso da Faust perché
non
svergogni pubblicamente la sorella. A causa dell’omicidio Faust è
costretto a fuggire dalla città e Margherita si ritrova sola, proprio a causa di
quell’amore che le aveva fatto superare tutte le barriere: la differenza sociale,
religiosa, il ritegno morale per una notte d'amore senza matrimonio.
La citazione che la Lamarque riporta in Poesie dando del Lei riguarda il
momento in cui Faust scopre che Margherita è in prigione e vuole farla fuggire.
Ormai il protagonista non è più innamorato della ragazza, da qui l’analogia con
la situazione tra l’autrice e il suo analista. E proprio come il Dottor B.M. Faust
salva la ragazza dal carcere, ma non per amore, bensì per il suo dovere di
uomo, oltre che per pietà. Come Margherita anche Vivian capisce che il suo
amore non è realizzabile e che l’amato non ricambia l’amore.
Ma il finale tragico di Margherita è ripreso con ironia dalla Lamarque. In
Margherita comincia ad affiorare il senso dell'errore commesso, perciò non
vorrà seguirlo e dichiarerà la sua volontà di espiazione, che le permetterà di
salvarsi dall’inferno. Ma quando vede Mefistofele alle spalle di Faust sente
che lui, l’uomo amato, è perduto, e l’invocazione finale "Heinrich, Heinrich!",
ossia il nome dell’amato Faust, è la promessa di un amore dopo la morte.
Con altri toni rispetto alla tragedia di Goethe, la Lamarque ripercorre le tappe
vissute da Margherita, dalla prima sezione dove l’amore potrebbe realizzarsi,
alla seconda, dove la mancanza dell’amato è anche vicinanza della morte per
infine concludersi con un personalissimo “Heinrich!Heinrich!”, Le sue carezze,
chiedendo così di potersi amare nell’Eternità.
93
2.3 Il signore degli spaventati
Edito nel 1992 dalla casa editrice Pegaso il sottile libretto si compone di
quarantuno brevi testi; l’opera raccoglie brani composti tra il 1984 e il 1986 e
rimasti inediti dopo la pubblicazione della raccolta del 1986. Il signore degli
spaventati forma così con Il signore d’oro un dittico coerente e conseguente,
nei cui testi si susseguono le peripezie della signora per conquistare
l’inconquistabile signore, e insieme con Poesie dando del Lei una trilogia
sull’esperienza di analisi e di transfert.
Come ne Il signore d’oro, anche nel 1992 la Lamarque mantiene la divisione
dei testi a seconda del protagonista, in modo tale da dividere la raccolta in due
parti, la prima dedicata al signore e la seconda alla signora. Rispetto alla prima
raccolta però, nei testi pubblicati nel 1992 il desiderio della signora di stare
accanto al signore è meno favoloso e più complesso e articolato, incupito dal
clima generale della raccolta degli spaventati.
Apre la raccolta la poesia I bambini persi, che riporta il lettore nel fitto del
bosco dove le stelle erano gli occhi dei lupi e la luna le fauci dei lupi, in boschi
bui e spaventosi come quello in cui i genitori avevano abbandonato Pollicino
della raccolta Teresino. I bambini persi erano spaventati? chiede
l’interlocutore alla voce narrante, riprendendo l’attributo spaventati che già
caratterizza il signore del titolo della raccolta, e a questa domanda il narratore
risponde affermativamente. Così fin dall’inizio della raccolta si ha la conferma
che Il signore degli spaventati sia quel signore che risponde alle richieste di
aiuto dei bambini, o dei pazienti, che persi chiamavano/ per essere trovati e
spaventati chiamavano tanto./ Svegliavano gli animali addormentati nel bosco.
Lo spunto alla composizione dei testi è ormai palese, rivelato dall’autrice nella
Premessa e dalla Prefazione di Giovanni Giudici. Così ancora più esplicito
appare il componimento Il signore di fronte che apre la prima sezione:
94
Era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui.
Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una porta.
Non c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava.
Questo il primo dei ventuno testi che compongono la prima parte, in cui il
signore si ripropone per ventun volte in vesti diverse, anticipate dai sintetici
titoli: Il signore degli spaventati, il signore degli dei, il signore delle trappole,
il signore che faceva male, titoli molto più spaventati rispetto agli allegri e
luccicanti testi di Il signore d’oro, anche se in alcuni componimenti ritorna uno
scenario meno cupo, come in Il signore puntino, Il signore della lavanda, Il
signore del cuore. Ma è proprio la profondità del rispecchiamento raccontato
nel primo componimento a permettere che i sentimenti spaventati e inquieti di
Vivian trovino nello studio analitico il luogo riparato da cui affrontare il
difficile mondo. Di nuovo i testi si succedono senza un vero e proprio ordine
logico, ma piuttosto analogico. Così Il signore degli spaventati, che aveva una
stanza grande e una stanza piccola, introduce il testo successivo, Il signore
degli dei, dove l’autrice scrive più dettagliatamente di quella stanza piccola
introdotta nel testo precedente; su dati uditivi si fondano Il signore della
caravoce e Il signore delle aquile, dove alla bellezza della voce del signore del
primo testo si contrappone, nel secondo, il fragore spaventoso dei tuoni; Il
signore della lavanda racconta di due figlie del signore, e nel componimento
successivo la Lamarque scrive come avrebbe voluto essere nipote cugina
sorella figlia di quel signore145.
La sezione dedicata al signore si conclude con l’inserimento di un altro
personaggio, nuova proiezione di Vivian, una vecchina che aveva cento anni
ma non li dimostrava. Anche lei, come la signora, è innamorata del signore, ma
con più pudore nasconde il sentimento, data la sua età: la vecchina voleva
segretamente bene al signore della febbre ma, poiché aveva cento anni,
pudicamente non lo rivelava.146
145
V.L., Il signore non parente, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Fonte dei marmi 1992,
p.25
146
V.L., Il signore della febbre, ivi, p.35
95
La sezione della signora, coi suoi diciassette testi, si apre con un’immagine già
di Teresino, il bosco. Sembrava un bosco facile ripete l’autrice, ma quella
signora non riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille a mille, il
sentiero era finito su se stesso, la notte stava per calarle addosso come una
montagna nera.147 Per tutta la sezione a titoli come La signora del parasole, La
signora felice, La signora della primavera, La signora libera, si alternano titoli
più cupi e spaventosi, come già nella sezione precedente accadeva al signore.
Con La signora e l’inverno torna anche in questa sezione il personaggio della
vecchina che aveva già fatto il suo ingresso nella raccolta nella parte sui
signori.
Come nella raccolta del 1986, anche Il signore degli spaventati si conclude con
un testo in cui i due protagonisti si incontrano, Il signore e la signora stelle, ma
piccola variatio rispetto al modello de il signore d’oro, nel 1992 l’autrice pone
il componimento Il signore e la signora anche al termine della prima parte
della raccolta, che anticipa il componimento finale, concludendosi parlando di
stelle.
2.3.1
Dichiarazione setting analitico: Premessa e Prefazione
Decisa a trasformare la sua esperienza di dolore in metafora poetica, la Lamarque ha
insistito a raccontare in versi l’innamoramento per il suo terapeuta pubblicando di
recente da Pegaso Il signore degli spaventati, raccolta di poesie che completa una
trilogia psicoanalitica, dopo Il signore d’oro (Crocetti) e Poesie dando del Lei
(Garzanti)148,
si legge su La Repubblica in una recensione all’ultima pubblicazione della
trilogia.
Nonostante alcuni accenni all’esperienza di analisi junghiana vissuta
dall’autrice compaiano già ne Il signore d’oro e in Poesie dando del Lei, solo
147
148
V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37
L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993
96
con la pubblicazione de Il signore degli spaventati Vivian Lamarque dichiara
apertamente la reale fonte di ispirazione dei componimenti raccolti nei tre testi.
L’informazione al lettore è chiara e ribadita sia nella premessa che nella
prefazione.
Apre la raccolta la Premessa firmata con le iniziali dell’autrice. Parla
dell’analisi junghiana, indirizzo psicoterapico già accennato in Poesie dando
del Lei, cominciata tra il 1984 e il 1986, data che già aveva accompagnato il
titolo de Il signore d’oro come riferimento cronologico per la composizione dei
testi allora pubblicati. Nella breve introduzione la Lamarque parla anche del
suo dottore, il Dottor B.M. a cui la trilogia è dedicata, spiegando:
scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere. Invitata a diminuirne il
numero, un po’ ubbidendo un po’ disubbidendo, scrissi duecento “signori” (con
qualche “signora” qua e là).
Inoltre dichiara anche la comune origine dei testi della prima e dell’ultima
raccolta pubblicate sul tema psicoanalitico: ottanta sono ne “Il signore d’oro”
(Crocetti 1986), ottanta li ho scartati, quaranta eccoli qui ne “Il signore degli
spaventati”.
Conclude il breve testo un ulteriore chiarimento, il senso della parola
spaventati posta accanto al signore, che tutt’altre caratteristiche pareva avere
nel titolo della prima raccolta su di lui, dove era detto d’oro. A questo riguardo
parlando dei brani che compongono l’ultima opera della trilogia scrive: lo so,
sono ossessivi, impauriti, un po’ infantili e assillanti come anch’io allora ero.
E conclude: per questo li dedico a tutti gli spaventati.
Firmata da Giovanni Giudice, la Prefazione a Il signore degli spaventati si
intitola un minuscolo puntino laggiù, richiamandosi all’ottavo brano della
raccolta della Lamarque, Il signore puntino, dove proprio gli ultimi versi
recitano:
il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile,
eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sottoforma di puntino laggiù.
97
Nel componimento, parlando della brevità degli incontri tra il signore e la
signora, l’autrice si riferisce alle sedute col Dottor B.M. e così ecco che già dal
titolo Giovanni Giudici riprende il contesto analitico della raccolta. Anche
nella Prefazione fin da subito è messa in chiaro l’intenzione dell’autrice di
parlare apertamente del proprio percorso di analisi, spunto alla composizione
dei testi delle tre raccolte. Nel chiedermi di premettere un paio di paginette al
suo nuovo libro, scrive Giovanni Giudici,
Vivian Lamarque tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa
sapere, direttamente, anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da
riportarsi a un’esperienza di terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una
sezione inedita dei “materiali” da lei elaborati e trascelti per dare corpo a un altro suo
bel libro del 1986: Il signore d’oro.
2.4 Le dediche al Dottor B.M.
Tutte le opere della trilogia hanno uno stesso dedicatario, il Dottor B.M.,
psicanalista di Vivian Lamarque, dal 1984 per circa vent’anni. La raccolta del
1989 aggiunge anche la madre, ulteriore riferimento all’esperienza di transfert
vissuta e al ruolo che rivestì l’analista per l’autrice: il mio dottore ha
rappresentato tutte le madri e tutti i padri che avevo perso per strada149,
racconta infatti in un’intervista. Al dottor B.M. recita in apertura la raccolta Il
signore d’oro, con la dedica al dottor B.M. e a mia madre inizia Poesie dando
del Lei mentre al Dott. B.M. si ribadisce in Il signore degli spaventati con
un’aggiunta, un’ironico (ancora) consapevole dell’insistenza ossessiva dei
componimenti (come infatti l’autrice dichiara nella premessa al volumetto del
1992).
Il dottor B.M. analista junghiano, non gradiva che le poesie della sua paziente Vivian
Lamarque fossero puntualmente dedicate alla sua austera persona e date alla stampe.
La “materia analitica” ripeteva inutilmente,” dovrebbe sempre rimanere privata”. Ma
il dottor B.M., seppure a malincuore, col tempo ha dovuto rassegnarsi.150
149
150
Ibidem
Ibidem
98
Dedicatario e protagonista della raccolta, insieme a Vivian, il dottor B.M. è
così la fonte d’ispirazione per le tre raccolte, che narrano dell’impossibile
amore che la paziente provò durante l’analisi per il suo psicanalista vivendo un
“classico psicoanalitico”, il transfert. La trilogia sul transfert amoroso
dell’autrice non poteva che avere come dedicatario l’oggetto del proprio
transfert.
99
3. Contenuti
3.1 Il Transfert
L’esperienza analitica e la dimensione privata del setting analitico sono narrate
nelle tre raccolte che Giuliana Petrucci ha definito trilogia sul transfert
(amoroso) in analisi151. Il problema di fondo che esse affrontano è quello del
transfert, o traslazione analitica, a riguardo del quale Rossana Dedola spiega:
come risulta dal Glossario dei termini junghiani, per transfert e controtransfert si
intende la “particolare modalità di proiezione comunemente usata per descrivere il
legame emotivo inconscio che nasce tra due persone in una relazione analitica o
terapeutica”.152
Come si capisce dalla definizione, nella relazione di transfert il rapporto con
l’analista è in primo piano come di primaria importanza risultano anche le
esperienze che vengono vissute nel presente dell’analisi e nell’attualità della
propria storia personale, che vengono dal paziente proiettate nel contesto
analitico.
Anche l’esperienza terapeutica di Vivian Lamarque, narrata nelle tre raccolte
dedicatele, è giocata sul sentimento d’affetto e d’amore provato per l’analista e
sull’inevitabile
dell’impossibilità
frustrazione
di
quella
conseguente
alla
relazione
amorosa
presa
tanto
di
coscienza
desiderata.
Dell’impossibilità di questo amore si rende conto l’autrice stessa, che infatti dal
Il signore d’oro e Il signore degli spaventati a Poesie dando del Lei cambia
tono e modi di raccontare dell’innamoramento.
In quest’ultima raccolta, l’autrice tratta l’argomento in modo più diretto e
consapevole, oltre che con molta più ironia, arrivando in fine ad ammettere a se
stessa il perché del distacco del Dottor B.M., il signore mai, a cui non si poteva
151
G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque,
in “Italianistica”, cit., p.89
152
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.225
100
stare sempre sempre153 vicini, e di cui nella prima raccolta scriveva nei sogni
baciabilissimo, intoccabile come un filo scoperto nella realtà, era quel
signore.154 Credevo non mi amasse/ perché è vietato/ forse invece non mi ama/
perché non è innamorato155 ammette lucidamente in Poesie dando del Lei, ma
prima di arrivare a questa ammissione, le altre due raccolte della trilogia
propongono un’alternanza continua tra l’illusione di poter realizzare il proprio
amore per il Dottore, e la delusione per la di lui distanza e “freddezza”
amorosa. Una signora si innamorava sempre di più e un signore si innamorava
sempre di meno./ Era tutto il contrario di un amore corrisposto, scrive in Il
signore della scaletta, dove proprio la scaletta dovrebbe essere l’escamotage
per raggiungere eventualmente l’altissimo letto del signore, permettendo così la
realizzazione di quell’amore irraggiungibile. Anche in il signore meno ammette
la distanza affettiva dell’analista amato:
Ognuno era più innamorato di lui.
Non sentiva la tua mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare, non
ti faceva mai una telefonatina, non ti scriveva da nessun luogo, non ti accarezzava
minimamente.
Almeno dava baci?
Mai. Nessuno era meno innamorato di lui.
Era il meno innamorato di tutti i signori del mondo.
Queste constatazioni della resistenza del Dottore ad amare la sua paziente non
frenano però Vivian nei suoi tentativi di conquistarlo con mille attenzioni,
regalini, bigliettini, poesie, ricordando l’ossessività fantasiosa di L’amore mio è
buonissimo della raccolta Teresino. Nel 1981 all’amore mio la Lamarque
scriveva di aver messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino156, di
volergli regale una poltrona, perché la sua non è molto comoda157, e poi anche
di potergli fare tanti piaceri/ per esempio commissioni in centro/ o battere a
macchina/ o delle altre cose anche se un po’ noiose/ come per esempio fare le
code158. Così anche nella trilogia Vivian porta al suo signore regali addirittura
153
V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, cit., p.9
V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20
155
V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54
156
V.L., Io un giorno ho messo, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.13
157
V.L., L’amore mio non ha una poltrona molto comoda, ivi, p.13
158
V.L., All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri, ivi, p.13
154
101
ne Il signore della lettera il regalo è Vivian stessa: a un signore per le vacanze
partito una signora inviò in fretta in fretta una lettera con dentro- se stessa.
Con l’esuberanza di una bambina felice la signora di lui innamorata esclama
Buonapasqua buonapasqua159 e in un altro componimento ammette che Gli
scriveva lunghi foglietti che il signore leggeva meticolosamente, prima di
accantonare.160 Anche in Poesie dando del Lei sono molti i regali che la
paziente fa al suo dottore, nel tentativo di conquistarne se non l’amore almeno
l’affetto: Millissimi uccellini/ io Le mando!161; Conoscessi il punto esatto/
dove comincia il cielo/ immediatamente mi ci recherei/ a prenderne un pezzetto
da recapitarLe –con fiocco162; Attraverso il suo finestrino abbassato/ un furtivo
sacchetto di pane fresco fresco/ ho infilato…163 Un intero testo è dedicato
all’elenco dei regali per l’amato (una simile lista compariva anche in Teresino,
nel testo dedicato a G. e intitolato emblematicamente Regali di Natale):
In dote io Le porto
foglioline di salvia
e di rosmarino
più mille poesie circa
più quello stralunato ritrattino
tutto qui?
no anche un fiore con dentro
un’ape in velo da sposa
più una goccia di miele
più una spina di rosa
tutto qui?
no anche il resto del modo
più un cielo gentile
più i colori che vuole
più il doppio della metà
di tutto il mio cuore.164
A proposito di questi continui piccoli regali e pensieri per il Dottor B.M.,
l’autrice in un’intervista racconta:
159
V.L., Il signore della Pasqua, in Il signore d’oro, cit., p.57
V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76
161
V.L., Millissimi uccellini, in Poesie dando del Lei, cit., p.15
162
V.L., Conoscessi il punto esatto, ivi, p.25
163
V.L., Sorpresa!, ivi, p.37
164
V.L., In dote Le porto, ivi, p.63
160
102
All’inizio lui, il mio analista, era la mamma e io- proprio come una bambina che vuole
disperatamente essere amata, gli portavo di tutto: fiori, rami, sassolini, pane, latte,
disegni, piantine, giocattoli dell’infanzia. E soprattutto lettere e poesie…165
La complessità dei sentimenti provati dalla Lamarque durante la terapia nei
confronti del proprio analista non si limitano così al solo innamoramento per il
Dottor B.M. Il mio Dottore ha rappresentato tutte le madri e tutti i padri che
avevo perso per strada. Una catena di separazioni, di lutti, che mi rendeva la
vita insopportabile166 dichiara l’autrice.
Spaventosissimi tuoni, ma sotto quel signore si stava quieti, bene, non c’erano paure.
Nessuna nessuna?
Nessuna. Come sotto le grandi ali delle aquile, gli aquilotti.167
Per quanto riguarda il ruolo materno assunto dall’analista durante la prima fase
della terapia, Rossana Dedola parla degli studi dello psicoanalista inglese
Donald W.Winnicott a proposito dell’importanza nell’infanzia di un oggetto
transazionale, un “oggetto non me” che permetta al bambino di imparare a
distinguere tra l’io ed il tu, oltre che affrontare positivamente l’esperienza
della solitudine conseguente al distacco dal forte legame che da neonato aveva
con la madre.
La figura del signore, ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati,
sembra avere proprio tale funzione, permette alla signora di esprimere i propri
desideri, le proprie angosce, le attese, le disillusioni in un dialogo con se stessa
oltre che con l’analista e anche di poter accettare le frustrazioni a cui si è
sottoposti dalla distanza obbligata del setting. Fra l’analista lontano e la signora
sola si apre uno spazio riempito dai foglietti di poesie che la voce innamorata,
parlando con se stessa, gli dedica. Così il tipo di rapporto che unisce il signore
alla signora è il “materno buono” che fornisce un adeguato oggetto
transizionale di Winnicott, con cui si cerca un contatto, attraverso gesti minimi,
regalini, pensierini come quelli dei bambini.
165
L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993
Ibidem
167
V.L., Il signore delle aquile, in Il signore degli spaventati, cit., p.21
166
103
Esplicita diventa la funzione materna dell’analista nella raccolta Poesie dando
del Lei, dove appunto il testo si apre con la doppia dedica all’analista e alla
madre. Testo chiave per questo tipo di transfert è Amante Neonata dove la
Lamarque scrive succhia l’uomomamma perdutamente, dove l’uomomamma è
evidentemente il Dottor B.M. Attraverso il succhiare il latte l’oggetto buono
può finalmente essere incorporato: il transfert ha reso possibile vivere e
simbolizzare l’esperienza primaria.168
Il transfert materno è stato una fase della terapia della Lamarque, la quale
racconta che successivamente e lentamente il rapporto è mutato, il dottor B.M.
è diventato un padre onnipresente pronto ad aiutare e proteggere la bambina
Vivian. Proprio bambina si definisce in un testo de il signore d’oro, Il signore
e la bambina, dove il signore raccoglie da terra una microscopica bambina per
poi cullarla, come il vento una fogliolina. Ma l’affettuosità della figura paterna
subisce un ulteriore evoluzione per infine svilupparsi in un vero e proprio
transfert d’amore, che occupa la maggior parte dei testi delle tre raccolte.
Completamente inebriato, quel fiorellino annusava quel signore.
Era un signore profumato?
Sì, era un signore come un prato169
scrive l’innamorata signora che stava diventando gelosa ma non lo diventò se
non pochissimo170 di un’altra signora, la moglie dell’analista, che è detta beata
perché la notte di Natale stava sempre sempre con quel signore. Non non
primo quel signore era l’ultimo, suo amore ammette ne Il signore ultimo171 e
lei innamoratamente, mentre lui leggeva lo guardava.172
Infine in Poesie dando del Lei il transfert si è erotizzato, pur conservando tratti
infantili. -Non si spaventi immediatamente/ se ora Le dico/ Vivian La desidera
fisicamente/-Fisicamente?/ -Sì, il sangue mi è entrato nella mente dice
sfacciatamente al suo analista, chiedendogli ancora
168
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, cit., p.238
169
V.L., Il signore profumato, in Il signore d’oro, cit., p.12
170
V.L., La signora non gelosa, ivi, p.69
171
V.L., Il signore del trono, ivi, p.61
172
V.L., Il signore naturale, ivi, p.47
104
Caro Dottore
basta distanza
varchiamo La prego
il confine della stanza.
3.2 Setting analitico junghiano
Il punto di riferimento teorico del Dottor B.M. è la psicologia analitica
junghiana,
la quale più che recuperare il passato nel presente cerca di cogliere l’orientamento
attuale della personalità, rifacendosi beninteso anche alla storia passata dell’individuo,
ma per inserirla in un prospettiva, in una direzione futura, secondo le indicazioni che
provengono dall’inconscio.173
Unico riferimento all’ indirizzo junghiano della terapia è in un componimento
di Poesie dando del Lei nel quale l’autrice descrivendo lo studio del dottor
B.M. nell’elenco degli oggetti raccolti nella stanza inserisce anche il nome di
Jung:
La sua porta sprangata
era spalancata,
il sole entrato
si guardava attorno:
piantine una
(l’altra trasferita)
finestre tre
(su una formica)
coccodrilli e draghi
(forse riprodotti)
simboli alchemici, Jung
forme di vita
il sole entrato
si guardava attorno:
piccoli dei, Mozart
mobili di navi
onde dolori amori
173
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, cit., p.225
105
quasi vita.174
Poco nominata nei testi delle raccolte, la scuola junghiana è sempre
esplicitamente nominata nelle interviste, così come nella premessa al volume
del 1992, Il signore degli spaventati dove l’autrice dichiara la fonte di
ispirazione dei suoi testi, scritti durante la terapia analitica junghiana.175
Nelle tre raccolte della Lamarque è centrale il rapporto di Vivian, la paziente,
con il proprio analista, il Dottor B.M., a cui è infatti dedicata la trilogia.
L’importanza della loro relazione è evidente sin dal titolo che fa riferimento al
dottore nella prima raccolta , Il signore d’oro, e nell’ultima, Il signore degli
spaventati (seconda se considerata nelle intenzioni dell’autrice in Poesie 19722002). In Poesie dando del Lei è palesata già nel titolo la distanza che il setting
analitico impone tra l’analista e il paziente, segnata dall’uso della forma di
cortesia. I testi della trilogia spostano la vicenda analitica da un piano
strettamente personale verso una dimensione più ampia
in cui il rapporto reale con l’analista viene a essere rivissuto in una sfera
completamente simbolica. Il transfert attiva una capacità di simbolizzazione che
trasporta il privato su un piano collettivo.176
Va infine notato che il signore (così come il dottore di Poesie dando del Lei)
pur essendo presentato in maniera molto fantasiosa, viene però definito in
modo poco caratterizzante. Nonostante il Dottor B.M. sia il protagonista delle
tre raccolte, di lui sappiamo davvero poco oltre all’appurato fatto che sia
analista junghiano e che è sposato, un signore aveva una prima moglie177 si
scopre dal secondo componimento di Il signore d’oro che è La signora beata
che ritorna nella parte finale della raccolta. Sempre nella prima raccolta
l’autrice scrive che il suo dottore portava un loden grigio, grigio il suo loden
lupo178, e che fumava la pipa, Il signore della pipa, immagine riproposta poi in
174
V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62
V.L., Premessa a Il signore degli spaventati, cit., p.7
176
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, cit., p.228
177
V.L., Il signore della scatolina, in Il signore d’oro, cit., p.10
178
V.L., Il signore loden, ivi, p.25
175
106
Il signore degli spaventati, avevo un golf d’argento e una pipa d’oro179. Certo
è che nemmeno questi pochi dati caratterizzanti possono essere considerati
attendibili, viste le continue diversissime e fantasiose descrizioni che la
Lamarque fa del suo Dottor B.M.
Questa vaghezza descrittiva, oltre ad essere una scelta dell’autrice, è un
ulteriore riferimento alla dimensione analitica della relazione tra i due
protagonisti. Rossana Dedola nota come
il fatto che del dottore si sappia così poco dipenda anche dalle scarse informazioni che
il paziente possiede riguardo al proprio analista (una delle regole del patto analitico):
proprio il saper poco permette alle proiezioni del paziente di avere uno spazio, un
luogo in cui possano compiersi ed essere analizzate.180
Al rapporto analista – paziente si fa invece più volte riferimento nelle tre
raccolte.
Ne Il signore d’oro, il testo finale racconta del primo incontro del signore e
della signora, un appuntamento bizzarro, oppure, come poi si constaterà grazie
alla premessa del 1992, un appuntamento in uno studio specialistico:
Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno.
Che ore erano?
Le dieci e trenta.
E dove erano?
Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini.
E come avvenne?
La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…].181
Il signore degli spaventati si apre con la descrizione del setting analitico, con
l’analista e la paziente seduti uno di fronte all’altro: Era un signore seduto di
fronte a una signora seduta di fronte a lui./ Alla loro destra/ sinistra c’era una
finestra, alla loro sinistra/destra c’era una porta./ […].182 In Il signore
composto i due vengono rappresentati durante il dialogo della terapia: Mentre
composto le parlava […] “Guardi” disse, a lei che lo guardava. La situazione
179
V.L., Il signore composto, in Il signore degli spaventati, cit., p.19
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, cit., p.226
181
V.L., Il signore e la signora, in Il signore d’oro, cit., p.87
182
V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15
180
107
dialogica tra paziente e dottore è invece mimata in Poesie dando del Lei dove
alla voce di Vivan e alle sue esuberanti proposte si alternano le sintetiche e
schive risposte del Dottor B.M. come
-Faccia un miracolo venga
L’aspetto sull’amaca sulla bicicletta/ partiamo?
-E le valigie?
-Le valigie non servono
non andiamo lontano
ci trasferiamo solo
su di un piano.
Come già nel componimento La Sua porta sprangata183, in cui compariva il
nome di Jung, sono molti i testi in cui l’autrice scrive proprio del luogo in cui
si svolge l’analisi, descrivendo lo studio del Dottor B.M, semplicemente
nominato in Il signore del ruscello184 (Nel mezzo dello studio di quel signore
[…]) e in Poesie dando del Lei all’inizio del componimento Oggi nel suo
studio. Mentre in questi due casi la narrazione devia poi in ambienti fantastici e
sognati, in altri testi la descrizione appare più realistica e accurata. Abitava in
una stanza un po’ sotto il livello stradale, scrive in Il signore della stufetta:
Le signore che venivano in visita si sedevano, si guardavano intorno, nel centro della
stanza c’era una stufetta.
La stufetta era color grigio chiaro, sopra c’era un pentolino minuscolo, pieno d’acqua
(forse per il tè).
In alto, un po’ a destra, c’era una finestrina dai vetri colorati (come quelli delle
chiese)[…]185.
Aprono la raccolta Il signore degli spaventati tre componimenti che
chiaramente si riferiscono al contesto analitico. Mentre il primo testo focalizza
la descrizione sui due protagonisti dell’analisi, Il signore di fronte, i due testi
successivi si collegano, descrivendo la stanza piccola dello studio:
Aveva una stanza grande e una stanza piccola.
Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino
piccolo e c’erano due poltrone.
183
V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62
V.L., Il signore del ruscello, in Il signore d’oro, cit., p.56
185
V.L., Il signore della stufetta, ivi, cit., p.54
184
108
In una sedeva lui, nell’altra sedevano gli spaventati che lui, con sapienza,
rassicurava.186
Nella stanza piccola aveva libri paurosi con antichi animali e mostri.
Coloro che li sfogliavano si spaventavano, fuggivano nella stanza dove aveva libri
rasserenanti con figure chiare chiare di nuvole e dei.187
Ulteriore indizio della dimensione terapeutica degli incontri tra Vivian e il
Dottor B.M. sono anche gli orari degli appuntamenti per l’analisi, in giorni e
orari fissi, come per ogni studio medico: Alle ore venti ognuno tornava alla sua
casa./ Non avevano una stessa casa?/ No […]188; La mia settimana è un
settenario/ con gli accenti su martedì e venerdì/ al sabato il tono cala/ risale il
lunedì.189
3.3 Distanza, assenza, impossibilità di unione: amore non corrisposto
Conseguenza del transfert è l’impossibilità di realizzazione dell’amore della
signora per il signore, di Vivian per il Dottor B.M. E’ proprio la distanza
dell’amato ad aprire la raccolta Il signore d’oro, con Il signore mai, che già
nell’attributo mostra l’irrealizzabilità della relazione, in questo caso specifico
simboleggiato dalla lontananza fisica:
Era un signore bello e meraviglioso.
Vicino a lui non si poteva stare sempre, bensì mai.
Lui, il Lontano, viveva dispettoso, con la sua famiglia,
in un altro luogo.
Ritorna così la tematica della sezione Poeti della raccolta del 1981:
l’esclusione dalla vita della persona amata.
Il tema della lontananza e dell’assenza percorre tutta l’opera di Vivian
Lamarque e sembra giustificare alla paziente la refrattarietà all’amore del suo
186
V.L., Il signore degli spaventati, in Il signore degli spaventati, cit., p.16
V.L., Il signore degli dei, ivi, cit., p.17
188
V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66
189
V.L., La mia settimana è un settenario, in Poesie dando del Lei, cit., p.40
187
109
dottore. Si potrebbe dire che la scrittura, nel momento in cui la scopre abbia la
funzione di esorcizzarla190, commenta Caddeo.
Proprio Il signore d’oro che dà il titolo alla raccolta non viene trovato perché in
un angolino di una casa lontano o perché si era un po’ allontanato come una
nave, ma un poco ancora si vedeva e la signora nel vederlo non può non
emozionarsi, come ne Il signore puntino:
Non potendo veder sempre, quando infine poteva vederlo lo guardava moltissimo, fino
all’ultimo minuto, fino all’ultimo secondo, e anche dopo si voltava indietro, si voltava
indietro.
Il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile,
eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sotto forma di minuscolo puntino laggiù.
Sempre lontanissimo è Il signore del bastimento, che abitava su un bastimento
fermo in mezzo al mare./ Gli dicevano sempre torna a casa ma lui non ci
pensava affatto, e a tal proposito emblematico è il titolo del brano Il signore
del luogo lontano. In alcuni testi l’unione impossibile tra i due protagonisti
sembra legata a un fattore esterno, come la tela di un ragno191, il fatto di essere
alberi divisi lontani in quanto cresciuti in due luoghi diversi ai confini dei
prati192, mentre si tenta di far fronte ad impedimenti apparentemente
inesistenti, come un petalo/ della margherita193, o le lontanissime vacanze194
del dottore al quale Vivian prova a ordinare: Basta villeggiatura UBBIDISCA!
RITORNI!195. Magra consolazione all’insuperabile lontananza dall’amato è
l’illusoria vicinanza delle loro anime in Poesie dando del lei: La notte scende/
siamo lontani di cuscini/ ma di anime/ siamo vicini che non è che un tentativo
di negare il dolore causato dalla distanza dell’amato, come quando scrive
adesso io dico/ il male che io sento/ quando io a Lei lontano penso[…].
190
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15,
novembre 1995, p.24
191
V.L., Assente il ragno dalla nostra tela, in Poesie dando del Lei, cit., p.24
192
V.L., Alberi divisi lontani, ivi, p.77
193
V.L., Sempre così, ivi, p.44
194
V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26
195
V.L, Basta villeggiatura, ivi, p.27
110
La lontananza del signore in alcuni componimenti tende a diventare lontananza
assoluta, come per Il signore lontano, dove il confine tra lontananza e vera e
propria assenza si fa sottilissimo:
Era un signore che c’era e allora dov’era, perché non era lì dove si sarebbe desiderato
che fosse?
Era un signore lontano, oh così lontano che nessuno mai da lassù poteva avvistarlo e
gridare terra.
Il tema dell’assenza del signore ritorna in tutte e tre le raccolte della trilogia,
nelle quali Vivian continua inutilmente ad esprimere il proprio amore per Il
signore accarezzabile che però non si lascia accarezzare, infatti le carezze si
mettevano in cammino[…]/ Sbigottite lo cercavano ma il signore all’arrivo
non c’era, come anche per Il signore della nostalgia che era andato via. In
molti componimenti il signore è andato via: Era andato via?/ Sì, le strade
avevano rubato i suoi passi, messo le sue impronte in fila con le punte girate di
là e proprio Il signore andato via si intitola uno dei testi de Il signore d’oro.
Non solo andato via, ma addirittura non arrivato è Il signore che non arriva,
inutilmente aspettato alla finestra da una signora ignara del fatto che il signore
non sarebbe mai arrivato, essendo il signore che non arriva. L’assenza
dell’amato è riproposta con una negazione in Il signore non seduto, in cui il
signore oltre a non accanto a lei essere seduto, non dai finestrini indicava il
panorama[…]/ Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna
cura, insomma quel signore non c’è. Proprio per questa assenza La signora
mezzasera è triste, quando all’uscio della mente si avvicinavano gli assenti
passi di quel signore che non c’era. Inutilmente in Poesie dando del Lei
Vivian esclama Basta senza di Lei restare!, perché già il primo testo dell’opera
ci rivela che Il mio Dottore è sparito, come il polimorfo Teresino sparito della
prima raccolta dell’autrice.
In alcuni componimenti l’autrice però propone il vero motivo della lontananza
dell’amato, ossia la sua professionale volontà di non intraprendere una
relazione con le pazienti. La Lamarque in questi testi si mostra consapevole
del’impossibilità amorosa del transfert, sia evidenziando la refrattarietà del
111
dottore alle sue avances, sia ammettendo il divieto posto dal contesto analitico.
Il distacco dell’amato analista è simbolizzato spesso dalla porta chiusa,
chiusissima in Il signore della Pasqua,e si pensi alle signore chiuse a chiave
fuori dalle porte e dalle finestre della casa del dottore, che invece che con le
innamorate pazienti passa la notte di Natale con la moglie, la signora beata.
Emblematico dell’atteggiamento del Dottor B.M. è già dal titolo il
componimento Il signore sulle difensive che recita
Si era chiuso in una fortificata casa, era un signore sulle difensive.
Lei bussava molto alle sue porte e alle sue finestre, diceva apra subito, voglio entrare.
Ma lui no apriva.
La salutava da dietro i vetri come da un treno, come da un treno che tra poco parte.
Al divieto analitico si accenna in tutte le raccolte, in modo più sfuggevole nei
due Signori, mentre invece apertamente in Poesie dando del Lei. Così a Il
signore della reticella non si possono fare tante feste quando torna da un
viaggio, semplicemente perché era vietato, come era proibito a La signora dei
baci baciare il signore; nonostante il divieto La signora mulinello turbinò alla
di lui proibita casa, proprio per questa infrazione il vento[…] sempre più
lontano la portava. Per tentare di superare il divieto, in Poesie dando del Lei
Vivian si immagina ladra:
Desiderio improvviso
di vedere il Suo viso
e poi fuggire adagino
con negli occhi felici il bottino.
Basta distanze chiede la paziente al suo caro Dottore, ma la conclusione a cui è
costretta a giungere è di nuovo l’impossibilità della relazione d’amore tra
l’analista e la paziente, oltre che il reale non interesse del dottore, già sposato
con la signora beata:
Credevo non mi amasse
perché è vietato
forse invece non mi ama
112
perché non è innamorato.196
3.4 Lo scorrere del tempo e la morte
Il Dottore non si innamora, la distanza rimane e con essa l’attesa, ormai vana,
vista l’impossibilità di un ritorno del signore. La signora però continua ad
attendere una svolta, che non arriverà mai, e l’attesa implica il passare del
tempo, l’invecchiamento e infine la morte.
Vivian è consapevole di questo, infatti la tematica dello scorrere del tempo e
conseguentemente
della
morte,
ritornano
nella
trilogia
sempre
più
insistentemente. Mentre nella prima raccolta si pone più l’accento sul passare
del tempo, alla morte si dedicano le parti conclusive delle due opere
successive. Gli ultimi sei componimenti de Il signore degli spaventati
chiudono la raccolta proprio su questa tematica, introdotta da il componimento
La signora e l’inverno, dove ritorna la vecchina segretamente innamorata del
signore d’oro, questa volta alle prese con l’inverno, metafora della fine della
vita, oltre che della vecchiaia stessa.
E’ in Poesie dando del Lei che la tematica della morte assume davvero rilievo,
alla quale è dedicata la seconda sezione che si apre con Il mio Dottore è
gentile/ ma io vorrei morire. Dei diciannove testi di cui si compone questa
seconda parte dell’opera, dieci sono dedicati al tema della morte in modo
esplicito, mentre gli altri ne trattano indirettamente o raccontando della
vecchiaia e dello scorrere del tempo, o in modo metaforico, parlando della
sera, della notte, del sonno, come mi arrendo mi addormento […] è Lei che tra
le Sue oscure braccia mi prende.
Va infine notato che nelle tre raccolte, la maggior parte dei testi su queste
tematiche riguardano la signora, è lei a morire, ad invecchiare, a non poter
coronare il suo sogno d’amore col signore.
196
V.L., Credevo non mi amasse, ivi, p.54
113
A ostacolare il rapporto quindi non è solo il divieto analitico, ma anche il
tempo che scorre senza che i due si siano avvicinati: […] E intanto la vita?/
Intanto la vita per sempre per sempre se ne andava, intanto la vita come una
bella vela quasi era sparita.197 La signora si accorge del passare del tempo,
Guardi: mi sfiorisce il corpo/ mi fiorisce la mente/ il Giardino dei Morti è
d’accordo/ attende paziente e sempre in Poesie dando del Lei ironizza sul
tempo che passa, senza che però si modifichi l’atteggiamento di distanza
dell’amato: Non mi sorrida pure/ tanto c’è tempo, vero?/ in vece Sua/ tra cento
o uno anni/ forse una gentile nuvola/ forse alla mia infantile polvere/ forse
sorriderà; Dice che l’uomo ha lunga vita/ me lo dimostri allora/ mi dimostri
che la mia vita/ non è quasi finita; Con impaziente impazienza/ io La amo./ -E
quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima, La prego, nella mia vita.
Il tempo è visto come un problema per la signora de Il signore d’oro, che in
testi come appunto La signora in fretta cerca di utilizzare a proprio vantaggio il
fatto che il tempo sia così poco, per velocizzare, o almeno avviare, l’assente
relazione col signore.
Il per sempre era ormai cortissimo diventato.
Quanti Natali erano rimasti?
Una manciata.
Allora bisognava non sprecare nemmeno un minuto?
Sì, bisognava spicciarsi, per questo lei, in fretta, lo adorava.
Ma il dottore non dà cenni di interessamento, mentre Vivian non può far altro che
adorare più velocemente l’amato signore per cercare di sfruttare i cento o uno
anni che le rimangono:
Però gli anni non erano durati veramente un anno e i mesi non erano durati veramente
un mese.
Così i quarant’anni erano arrivati in due tre minuti, non era giusto, protestò la
signora.198
L’idea della distanza e dell’assenza dell’amato si estremizza con la morte,
ostacolo ineluttabile. Questa separazione, questa ferita del silenzio dell’amato,
197
198
V.L., Il signore gentile, in Il signore d’oro, cit., p.30
V.L., La signora di quarant’anni, ivi, p.79
114
che spesso nei componimenti della trilogia suona crudele e irreparabile, come
vero e proprio lutto, viene narrato negli ultimi testi di Il signore degli
spaventati e di Poesie dando del Lei, già anticipata, stemperando i toni luttuosi
con quelli della fiaba, da La signora dei fiori della prima raccolta del 1986:
Sulle mani un po’ presto aveva i fiori della morte.
Come i fiori della morte? Quei puntini che più si è vecchi più ce n’è.
Ne aveva tanti?
Ne aveva sette come i sette nani, sulle strade del bosco delle mani.
Molto più macabri i componimenti de Il signore degli spaventati, in generale
caratterizzato da contesti più cupi, come
L’acqua che saliva saliva voleva portarla là
Lei non voleva ma l’acqua imperiosamente la chiamava.
Mulinelli a mille a mille le dicevano vieni vieni scendi nel gorgo con noi, vedrai
quaggiù che nuovi liquidi mondi.199
La signora della terra un giorno cadde in un buco che qualcuno aveva scavato
davanti a casa sua, scoprendo però di essere caduta in una tomba ( forse la sua):
[...] Oscura terra, pallide larve la circondarono prima del tempo.
Con anticipo vide il buio di laggiù, sentì l’umido odore della terra, il silenzioso rumore
degli insetti.
Spaventata, precipitosamente si rialzò.
Con un balzo, quella volta, poté uscirne.
Ma se la signora della terra riesce a sfuggire dalla morte, non è così per le altre
signore, come La signora Libera che poteva pensarlo sempre, aveva tanto
tempo libero, era un signora morta che sembra aver risolto il problema che
invece angosciava la signora di fretta: c’era silenzioso tempo per tutto, nessuno
interferiva, nessuno mentre lo pensava disturbava. Anche La signora volata
trova ironicamente il lato positivo della propria situazione:
Volata in cielo, ombrosamente nei giorni di arsura, con tepore nei giorni di gelo, lo
vegliava.
199
V.L., La signora dell’acqua, in Il signore degli spaventati, cit., p.50
115
Lui non lo sapeva, ma qualche volta sentiva nell’aria intorno a sé qualcosa, come il
volare di una specie leggera di moschina.
In un altro componimento Vivian dice al dottore di partire lui per le vacanze al
suo posto, quando lei non potrà più per le mie palpebre addormentate200 e
giocando descrive la propria immagine da morta: tracce d’inchiostro sulle sue
dita/ morte e anche/ un azzurro alone sulle guance/ forse le guance appoggiò
alle dita/ pensando l’ultimo pensiero/ della vita.201
Ma la paziente non si arrende e facendo buon viso a cattiva sorte, trova un
modo per convincersi che non sarà la morte ostacolo per il loro amore, anzi,
potrebbe esserne finalmente il coronamento. Proprio con questa idea conclude
la raccolta Poesie dando del Lei con Le Sue carezze in cui scrive Se il tempo
terrestre/ me le negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità,
conclusione già anticipata nella penultima poesia della prima raccolta, La
signora della mano, che nonostante l’età ormai avanzata scrive Finisce così
male?/ Oh no, del tutto sconosciutissimo sarà il finale. E’ ne Il signore degli
spaventati che la Lamarque racconta dei due signori entrambi morti, finalmente
insieme, Vivevano fra loro lontani come stelle lontane fra loro./ Per tutta la
lunga eternità divisi come stelle divise, solitariamente nei loro singoli cieli,
divisi , luccicavano.202 Insomma non c’è nulla da fare, l’amore per il proprio
analista è davvero impossibile da realizzare, sembra dirci con più o meno
ironia l’autrice.
3.5 Sogni e realtà
Giuliana Petrucci, nel suo saggio dedicato all’analisi del transfert nella trilogia
della Lamarque, mette a confronto Vivian con l’Alice di Lewis Carroll citando
da Alice nel paese delle meraviglie: non svegliatela perché tutti noi siamo nel
200
V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81
V.L., Tracce d’inchiostro sulle dita, ivi, p.80
202
V.L., Il signore e la signora stelle, in Il signore degli spaventati, cit., p.54
201
116
suo sogno e se la svegliate tutti noi scompariremo. Spiega che il paradosso
della teoria psicoanalitica consiste nel fatto che tutti gli oggetti del mondo
esterno, portati nel setting analitico durante il colloquio con il terapeuta, hanno
un significato solo all’interno della continuità psicologica del paziente. Il
compito dell’analista è così accostato a quello di sorvegliare il sonno di Alice,
tenendo sempre presente che per Alice-Vivian quel sogno è realtà. Nello
spazio-tempo della seduta analitica, possono passare contenuti dolorosi così
come gioiosi o ludici, ma quello che conta è che ne rimanga intatta la struttura
di contenitore che potenzia e oltrepassa la realtà effettuale. Grazie a questo
“meccanismo” della terapia Alice, e quindi la paziente Vivian, impara che il
suo sonno è un gioco. E’ con questa leggerezza che richiede all’ analista di
uscire dalla sfera della propria autorità e di confrontarsi con le leggi di un
fantastico mondo altro, dove questa volta è lei a dettare le regole.203
E’ stato proprio il confine tra fantasia e realtà che il dottor B.M. ha ricostruito nella
sua paziente. “Un confine- dice lei- che, prima dell’analisi, avevo completamente
smarrito. Dover accettare la realtà mi è servito moltissimo, e molto gradualmente
l’innamoramento per il mio analista si è trasformato in un sentimento di affetto, in
un’infinita gratitudine. Un po’ alla volta ho recuperato energie per me stessa, per il
mio lavoro, per la mia vita.”204
Questo confine tra realtà e finzione, fantasia o sogno che sia, viene apertamente
dichiarato in alcuni componimenti dell’autrice, fin dalla prima raccolta del
1986. Ne Il signore d’oro in due signori l’autrice spiega chiaramente il gioco
da lei giocato per i testi della trilogia: Bastava confondere un poco sogno e
realtà, cancellare con una bianca gomma l’inutile linea di confine.205 Stesso
metodo viene infatti ribadito già dal titolo di Il signore sognato: Splendidissima
era la vita accanto a lui sognata./ Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava./
E nella realtà?/ La realtà non c’era, era abdicata./ Splendidissima regnava la
vita immaginata. Sempre in questa prima raccolta, l’autrice racconta di una
signora che dentro dentro nel centro della testa aveva un castello in aria,
203
G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque,
in “Italianistica”, cit., p.97
204
L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993
205
V.L., Il signore intoccabile, in Il signore d’oro, cit., p.20
117
castello in aria per nulla “campato in aria”, di quelli che si sognano una volta e
poi spariscono, bensì un castello con tanto di fondamenta di cemento armato.
Le fondamenta del castello erano il cervello della signora.
La signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola?
Sì, la signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola.206
Ancora più scoperto è il gioco onirico della paziente, nei brevi dialoghi col
Dottore di Poesie dando del Lei. In questa raccolta i testi si aprono proprio con
la dichiarazione di finzione della realtà lì rappresentata e raccontata: oggi ho
inventato/ che Lei era seduto con me in giardino; oggi ho inventato/ che Lei
era con me al mercato. Così come ne La notte di Natale rassicura il Dottor
B.M., dicendogli che lo andrà a trovare, ma per finta naturalmente/ visita della
mente/ e del cuore/ al mio Dottore. Sempre rivolgendosi a lui, gli propone un
altro gioco di finzione, per poter far finta di essere vicini anche quando sono
lontani: dalle nostre finestre/ vediamo una magnolia vero?/ Che sia per
entrambi la stessa, fingo.
L’esame di realtà, ossia la presa di coscienza dell’effettiva distanza dell’amato,
della conseguente impossibilità di un rapporto amoroso, oltre che della
presenza di un’altra famiglia e quindi di una vita privata del dottore da cui si
resta esclusi, non impedisce così al desiderio di Vivian di stare col suo amato
Dottore B.M. almeno nella fantasia, dato che intoccabile come un filo scoperto
nella realtà, era quel signore.207 L’invito rivolto all’analista è quello di stare al
gioco e seguire la fantasiosa paziente nel suo onirico mondo: Caro dottore/ che
mostri e draghi/ Le hanno affaticato gli occhi/ si riposi un po’ con Vivian/ nel
mondo dei balocchi.208 Lo studio dove Vivian e il terapeuta si incontrano, per
esempio, spesso viene stravolto dalla sua fantasia, come ne Il signore della
tendina209, in cui il signore abitava in un’automobile elegante, e per il poco
spazio rimasto a causa dei vari mobili, poteva ricevere solo signore piccole
piccole (una alla volta) le baciava molto (dietro la tendina specialmente). Una
206
V.L., La signora del castello, ivi., p.78
V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20
208
V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit., p.61
209
V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23
207
118
vicinanza impossibile si immagina ne Il signore della poltrona210: […] non
stavano seduti su due poltrone, bensì su una./ Lì parlavano fitto fitto, a lungo,
capendosi alla perfezione; lo stesso ne Il signore della scaletta211: […] Nel
mezzo della stanza dove si incontravano c’era un letto grandissimo, dalle
lenzuola meravigliose./ Il letto era un po’ alto però./ Ma, per eventualmente
salire, vi era lì un’apposita scaletta; e nel mezzo dello studio di quel signore
c’era un piccolo verde prato, attraversato da un fresco ruscello./ A destra del
ruscello c’era un tavolino color mogano basso basso […] descrive in Il signore
del ruscello.212
In altri testi il carattere onirico è talmente accentuato, da essere difficilmente
riconducibili ad una situazione reale, essendo completamente assorbiti dalla
loro funzione simbolica: Un signore qualche volta andava in fondo al mare a
vedere i diversissimi pesci che lì passavano213; [...] Tra le sue lunghe ciglia di
alberelli vedeva nidi di famiglie cinguettanti e numerose, lì sui rami all’ora di
cena tutti insieme si mangiava214; Vicino al suo letto c’era un tavolino, sul
tavolino c’era un faunetto./[…]In punta di piedi di capra faceva tre giri
intorno alla stanza, poi si sedeva sul cuscino del signore […]215; Un signore
morto entrò in una fotografia./ Come mai?/ per essere visto da una signore che
non l’aveva mai visto./ Vi entrò col cappello?/ No, per fare la fotografia se lo
tolse, ma poi se lo rimise.216
I testi delle tre raccolte spostano così la vicenda da un piano strettamente
personale verso una dimensione più ampia in cui il rapporto reale con
l’analista viene a essere rivissuto in una sfera completamente simbolica.217 La
conclusione è però sempre la stessa, l’inevitabile sconfitta del tentativo di
conquistare l’amore del dottore. Così, frustrata, in Poesie dando del Lei Vivian
chiede almeno di essere sognata nei “reali sogni” dell’amato: mi arrendo mi
addormento/ senza di Lei accanto/ se non in sogno/ nei sogni è Lei che si
210
V.L., Il signore della poltrona, ivi, p.26
V.L., Il signore della scaletta, ivi, p.28
212
V.L., Il signore del ruscello, ivi, p.56
213
V.L., Il signore in fondo al mare, ivi, p.37
214
V.L., Il signore naturale, ivi, p.47
215
V.L., Il signore del faunetto, in Il signore degli spaventati, cit., p.29
216
V.L., Il signore della fotografia, ivi, p.31
217
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.228
211
119
arrende/ che tra le Sue oscure braccia mi prende; sono le sei la città dorme/ e
Lei?/ sogna?/ oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda/ non mi escluda
[…].
3.6 Doppio: contrari e complementari
Il tema del doppio, che già aveva caratterizzato molti dei componimenti di
Teresino, ritorna anche nella trilogia. Nel 1981 questa tematica era
fondamentale per la narrazione, rappresentando la sofferenza di Vivian divisa
tra due madri, due padri, due paesi, conseguenza della ferita ancora aperta
dell’adozione. Nelle tre raccolte per il Dottor B.M., il doppio si amalgama con
altri aspetti dei componimenti dell’autrice: la psicanalisi, l’onirismo e la
continua ricerca dell’amore dell’analista.
Rinaldo Caddeo, per quanto riguarda il tema dello sdoppiamento, afferma che
nelle tre opere l’autrice sia stata influenzata, consciamente o inconsciamente,
proprio dalla scuola junghiana del suo analista. A riprova di questa
affermazione porta la teoria dei contrari di Jung.
Draghi, mostri, simboli alchemici sono al centro dell’interesse delle indagini
sull’inconscio collettivo di Jung intorno ai miti e agli archetipi. Uno degli archetipi
esaminato da Jung è quello della lotta (in L’uomo e i suoi simboli) dell’io contro le
tendenze regressive. L’eroe si accorda con i poteri dell’ombra per vincere il drago
(mito biblico di Giona nella balena) e riscattarsi. Faust sfida Mefistofele, l’inconscio,
per assurgere alla vita e assimilarne pienamente i poteri […]Un’analoga polarità, vitamorte, vicino-lontano, attraversa tutto il libro.218
Il doppio che Caddeo ritrova in questa parte della produzione della Lamarque
sarebbe quindi da ricollegarsi alla “lotta” tra entità diverse, o più
semplicemente, all’accostamento di opposti. Così il signore de Il signore d’oro
è un signore che partiva ma dopo ritornava./ Comunque partiva./ Comunque
218
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’erma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15,
novembre 1995
120
ritornava219,
vecchina
220
e la signora di lui innamorata era una signora giovane e
che compiva gli anni vicino lontano da lui221 e che era felice
perché nella sua mente non c’era Nessuno, c’era Qualcuno222, ossia il suo
amato dottore. L’innamorato spesso fa male alla signora, ma lei sa che è un
male che fa bene, e così continua la terapia: E sia mi faccia pure così male/
tanto lo so che forse è a fin di bene.223 Allo stesso modo fa male un’altra
contraddittoria affermazione in Poesie dando del Lei, dovuta alla ritrosia del
signore, in cui la paziente stanca si lamenta per Questa convivenza/con la Sua
assenza e aggiunge la natura va contro natura (ritornando all’idea della lotta
nella teoria junghiana).
Molto più ricorrente nelle tre raccolte è il tentativo di Vivian di far innamorare
di sé il Dottore, o comunque di immaginarsi innamorati reciprocamente224,
come già diceva in Teresino. Di nuovo però questa reciprocità è impossibile da
raggiungere, soprattutto ora, essendo la relazione vietata dal contesto analitico.
La tematica del doppio viene rappresentata da un desiderio di unione, di
complementarietà tra il signore e la signora, sognando quell’unione che porti a
un cuore solo e un’anima sola: essendo un signore e una signora di forme
complementari, lì stavano perfettamente, come due contigui puzzles.225 Per il
signore notturno della prima raccolta l’autrice immagina una signora solare,
per poter soddisfatta dire che erano un signore e una signora proprio adatti,
portando anche una prova a questa sua affermazione: uniti producevano una
luce esatta e una fresca ombra, e inoltre di notte l’oscurità li avvolgeva e li
univa, come emisferi. Più confusa è invece la situazione proposta ne Il signore
degli spaventati, quando parlando de Il signore e la signora (già proposti
insieme nel titolo) la voce narrante sembra indecisa se seguire il proprio
immaginario, o la realtà:
219
V.L. Il signore che partiva, in Il signore d’oro, cit., p.25
V.L., La signora giovane e vecchina, ivi, p.82
221
V.L., La signora del compleanno, ivi, p.72
222
V.L., Il signore del trono, ivi, p.61
223
V.L., E sia mi faccia pure così male, in Poesie dando del Lei, cit., p.58
224
V.L., Di due persone, in Teresino, cit., p.30
225
V.L., Il signore della poltrona, in Il signore d’oro, cit., p.26
220
121
Sembravano due ma erano una cosa sola. Anzi sembravano una cosa sola ma erano
due. Anzi erano due e una cosa sola.
Allora quante poltrone ci volevano?
Due.
Quante seggiole?
Due.
Quanti tavoli?
Uno.
Quanti letti?
Uno.
Quanti soli?
Un sole e una luna.
Quante stelle?
Tutte tutte del firmamento le stelle disponibili (tranne quelle cadenti).
L’idea dello sdoppiamento ritorna anche con l’immagine dello specchio,
utilizzando questa immagine proprio per definire la dimensione analitica: non
c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava.
Nello stesso componimento anche la descrizione dello studio dell’analista è
descritta “a specchio”, accostando continuamente le due prospettive, a seconda
che si prenda come riferimento uno o l’altro lato dello specchio (il signore o la
signora): era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui./
Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una
porta.226 Stesso metodo descrittivo è adottato per un’altra descrizione dello
studio analitico:
Aveva una stanza grande e una stanza piccola.
Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino
piccolo e c’erano due poltrone.[…]227
Il signore d’oro viene invece messo a confronto con altri signori, che però
brillavano poco, erano signori pallidi, opachi, non erano d’oro vero, erano
signori falsi./ […] E dov’era il signore d’oro vero?/ Lontano. All’originale si
accostano le copie, che però non riescono a riprodurne tutte le caratteristiche
che lo rendono unico, speciale. Lo stesso gioco tra originale e copia è
riproposto ne Il signore del cinema228 col paragone tra la vita e i film, o ne Il
signore della fotografia tra persona reale e foto, dove in questo caso il surplus
226
V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15
V.L., Il signore degli spaventati, ivi, p.16
228
V.L., Il signore del cinema, in Il signore d’oro, cit., p.59
227
122
è dato dal sorriso del signore: Sorrideva? Nella fotografia no, ma nella vita sì./
Era una fotografia a colori?/ No, era in bianco e nero.229 Nella realtà Vivian e
il Dottor B.M. non vivevano nella stessa casa, così in Il signore nell’aria, la
sognante paziente risolve il problema inventandosi una seconda casa, nell’aria
appunto,anzi a destra e a sinistra nel mezzo dell’aria,230 dove poter stare
insieme.
La dimensione onirica sviluppa il tema del doppio in Il signore della lavanda:
Un signore aveva due figlie di nome Chiara.
Sarebbe proibito dare nomi uguali, comunque quel signore le aveva chiamate così.
Quando le chiamava tutte e due alzavano gli occhi, ma lui ne guardava solo una (alla
volta).
La loro casa dava su un campo quadrato di lavanda.
Le diagonali del quadrato erano due sentieri bianchi, nel centro c’era un fontana.
Chiara e Chiara arrivavano dai due sentieri, si sedevano sull’orlo della fontana,
facevano piccoli mazzolini di lavanda.
Due figlie dallo stesso nome, che rispondono insieme quando il padre le
chiama, il campo di lavanda quadrato, che quindi ha tutti i lati uguali, due
sentieri bianchi uguali, perché formati dalle diagonali del quadrato, ma una
sola fontana al centro, dove le due sorelle omonime possono sedersi,
incontrarsi, specchiarsi. Oltre al doppio ritroviamo così il sogno, lo specchio e
la dimensione analitica. Il padre delle due Chiara è il signore de il signore degli
spaventati, il Dottor B.M., che come riceve una alla volta le sue pazienti così
guarda una alla volta le figlie: lui ne guardava una (alla volta). L’aggiunta tra
parentesi sembra voglia evitare fraintendimenti, il dottore non ha preferenze, o
forse sì? Una situazione simile viene proposta ne Il signore d’oro, dove non si
parla delle due figlie, ma delle due mogli. Anche in questo caso però la
situazione di uguaglianza è subito messa in dubbio, essendo la prima moglie
prima e vera moglie, mentre la seconda, segreta, molto piccola è in più e sta in
una scatolina. Nonostante l’iniziale differenza, il doppio torna ad essere
proposto come speculare nella conclusione: il signore voleva molto bene a tutte
e due le sue mogli e tutte e due le sue mogli volevano molto bene al signore.
229
230
V.L., Il signore della fotografia, in Il signore degli spaventati, cit., p.31
V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66
123
Lieto fine immaginato, si può dire, come la stessa Vivian ammette di fare: la
notte sognava tale e quale, come fosse giorno, quindi era felice.231
4. Personaggi
I protagonisti delle tre raccolte sono due: Vivian e il Dottor B.M., come si
legge in Poesie dando del Lei, coincidenti con il signore e la signora di cui si
narra ne Il signore d’oro e Il signore degli spaventati.
Tanto il Dottor B.M., quanto il signore sono definito dall’autrice con attributi
ben poco caratterizzanti (bello e meraviglioso, accarezzabile, alato,
intoccabile,
lontano,
profumato,
studioso,
gentile,
notturno).
Questa
descrizione vaga e spesso fantastica è la conseguenza tangibile del fatto che le
situazioni sono immaginate da Vivian. Questo è anche dovuto al tipo di
rapporto analista-paziente, che non è alla pari: mentre il paziente di sé racconta
tutto, il medico rivela poco o nulla della sua vita privata, essendo questa una
delle regole del patto analitico. Questa vaghezza con cui il dottore si presenta
permette così di lasciare al paziente spazio per realizzare le proprie proiezioni
in modo da poterle poi analizzare insieme durante la terapia.232
Anche alla signora vengono attribuite caratteristiche fantasiose. In questo caso
però ogni attributo che le viene affidato è conseguenza dell’atteggiamento del
signore nei suoi confronti: è la signora della valigetta perché così può partire
con lui per le vacanze, è la signora del castello per via dei castelli in aria che
costruisce per poter immaginarsi col dottore, è la signora non gelosa quando
convince se stessa di non essere infastidita dalle attenzioni che l’analista
dimostrava ad altri. Soprattutto ne Il signore degli spaventati vengono però
riferite alla signora delle caratteristiche che più che il rapporto amoroso,
riguardano proprio la dimensione di terapia analitica. La prima signora della
raccolta è la signora nel bosco che si è persa nel bosco della sua mente,
231
V.L., La signora felice, in Il signore degli spaventati, cit., p.40
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in Studi
novecenteschi, n.41, giugno 1991, p.226
232
124
potremmo dire, che all’inizio sembrava un bosco facile, ma quella signora non
riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille, il sentiero era finito su se
stesso, la notte stava per calarle addosso come una montagna. Così è per la
signora della paura che tanto era spaventata che la voce non le usciva più, la
signora spostatrice di montagne, dove il signore analista le dice dove metterle
e lei le metteva, la signora d’acciaio che deve essere forte per resistere al
dolore. Si note che in questa raccolta anche al signore viene attribuito
maggiormente il proprio ruolo analitico, si pensi al signore delle trappole, che
preparava trappole speciali a fin di bene, o al signore che faceva male, che
però rassicurava anche i suoi pazienti, essendo il signore degli spaventati.
In alcuni componimenti de Il signore d’oro e de il signore degli spaventati,
entra in scena un altro personaggio, la vecchina, protagonista di la signora
giovane e vecchina, de il signore della febbre e de la signora e l’inverno. Ma
questa vecchina altro non è che un’altra proiezione della protagonista Vivian
essendo infatti la signora, ma giovane e vecchia allo stesso tempo, aveva cento
anni ma non li dimostrava e voleva segretamente bene al signore, non lo
svelandolo solo per pudore, vista la differenza di età. Nella situazione inversa
ci si trova ne Il signore d’oro con il signore e la bambina, dove la
microscopica bambina che il dottore raccoglie è evidentemente Vivian.
Ognuna di queste proiezioni è conseguenza del transfert analitico, come si
dimostra nel più esplicito Poesie dando del Lei . Vivian qui si definisce amante
neonata/ succhia l’uomo mamma perdutamente/ ecco il latte buono, che come i
bambini va nel mondo dei balocchi e che chiede al suo dottore se
festeggeranno insieme quando finalmente avrà raggiunto la maturità.
La signora passerotto però, nonostante i sui 90 anni, non è la signora vecchina,
bensì la mamma del signore, passerotto nel senso di mamma resa piccola e
leggera dall’età, e che cammina piano sulle strade. Sempre ne Il signore d’oro
viene presentato un altro personaggio femminile rivale di Vivian per la
conquista dell’affetto del signore: la signora beata, ossia la moglie del Dottor
B.M., che era già stata presentata nel secondo componimento della raccolta,
125
come prima moglie del signore, mentre alla paziente toccava il ruolo di
seconda. Rivali presentati in modo più generico nei vari brani sono le altre
pazienti del Dottore, sono le altre signore, quelle signore piccole piccole che il
signore poteva ricevere solo una alla volta e che lui baciava molto (dietro la
tendina), specialmente una233 conclude Vivian rivendicando la propria
relazione col signore.
4.1 Narratore e interlocutore
Oltre che protagonista, Vivian è anche voce narrante delle tre raccolte, essendo
suo il punto di vista sulla dimensione analitica proposto al lettore. Tutta la
trilogia infatti mette in atto, sia pure in modi diversi,
una situazione comunicativa, tipica del setting analitico, in cui uno degli elementi
dell’enunciazione, e precisamente l’allocutore (medico) entra nell’enunciato del
locutore (paziente) come transfert.
E’ proprio il contesto in cui si genera il messaggio, però, ad essere d’ostacolo
alla realizzazione di un dialogo tra i due all’interno dei componimenti, essendo
il destinatario proposto come un oggetto impossibilitato, per suo statuto, a
raccogliere sul piano di realtà le richieste dell’altro.234 La parole di Vivian
fanno così parte di una comunicazione senza risposta, cercando di colloquiare
d’amore reciproco con chi non può e non vuole trovarsi in questa situazione.
Nonostante la solitudine della voce narrante alla terza persona di Il signore
d’oro e Il signore degli spaventati, Vivian inserisce numerose proposizioni
interrogative nei brani delle due raccolte: E la pioggia?/ La pioggia fuori
pioggerellava./ E dopo?/ Dopo non si sa, erano al prima235; E cosa diceva?
Diceva vieni vieni, vieni tra le mi braccia236; Almeno dava baci? Mai. Nessuno
233
V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23
G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque,
in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.89
235
V.L., Il signore e la pioggia, in Il signore d’oro, cit., p.21
236
V.L., Il signore amato, ivi, p.29
234
126
era meno innamorato di lui237; E lì cosa faceva?/ Stava.238; Nessuna nessuna?/
Nessuna239; ecc. Viene così allo scoperto l’incessante bisogno di conferme, ma
soprattutto bisogno di dialogo di Vivian, a cui si cerca in questo modo di
sopperire, non essendo possibile uno scambio amoroso col signore.
Non si sa chi ponga le domande, ma dato il loro carattere di pseudo interrogative, la
loro funzione sembra non tanto quella di ottenere risposta, quanto di mantenere vivo il
dialogo, il legame che la comunicazione stabilisce con un tu, privilegiando dunque la
funzione fatica del discorso.240
Si viene così a creare una situazione comunicativa simile a quella dei bambini
quando, giocando da soli, si mettono a parlare a voce alta con l’amico
immaginario.
Attraverso tale espediente è possibile che la dimensione interiore si apra a un dialogo
con un tu che appartiene anch’esso all’interiorità e che acquista così capacità di parola.
E’ questo uno dei risultati del transfert, che rende possibile un dialogo interiore in
presenza di un forte legame affettivo.241
Ne il signore d’oro entra nel gioco dialogico tra il narratore l’interlocutore
anche il lettore. Il signore che non arrivava:
Alla finestra di una casa una signora aspettava sempre un signore che non arrivava.
E allora perché lo aspettava?
Perché la signora non lo sapeva che il signore non arrivava.
Questo lo sappiamo noi, non lei.
Il pronome noi unisce il sapere delle due voci che ammiccando al pubblico
rivelano l’onniscienza del narratore,
introducono così nel testo un’altra
prospettiva, oltre a quella solita della voce narrante e del suo interrogatore. Un
caso simile, ma più sfumato, si può leggere nella conclusione de Il signore
della pioggia che alla domanda E dopo? risponde lasciando in sospeso la
curiosità dell’interlocutore, dopo non si sa, erano al prima, L’accostamento
237
V.L., Il signore meno, ivi, p.40
V.L., Il signore nel cuore, in Il signore degli spaventati, cit., p.18
239
V.L., Il signore delle aquile, ivi, p.21
240
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.229
241
Ibidem
238
127
dell’imperfetto al prima crea però confusione, un disordine temporale che
sembra un lapsus: ciò che la voce narrante racconta è già accaduto, e ciò che il
narratore ci racconta è a posteriori, lei sa già cosa è accaduto dopo.
Anche in Poesie dando del Lei , dove il Lei fa trasparire la consapevolezza che
l’io ha del proprio confine e ruolo nella relazione, ci viene proposto il dialogo.
Questa volta però la voce narrante non parla più in terza persona, ma dice io,
mentre si rivolge al tu del Dottore a cui dà appunto del Lei, com’è convenzione
nel contesto analitico per mantenere la distanza. Qui i dialoghi risultano più
reali, ci sono due interlocutori distinti, e questo è rimarcato anche graficamente
dalla lineetta che introduce la voce ora dell’uno ora dell’altro: -Oggi è la volta/
che Le voglio bene più di tutte./ -Altre volte me l’ha detto./ -Sì, ma questa è la
vera volta/ il vero oro dell’affetto; -Con impaziente pazienza io La amo./ -E
quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima nella mia vita. Nella maggior
parte dei testi della raccolta è però la sola voce di Vivian ad essere in scena e le
poche domande che pone non creano il gioco dialogico con l’interlocutore
invisibile che invece avveniva nelle altre due opere della trilogia. In questo
caso le domande, si limitano a rimanere senza risposta, quando non sono
domande retoriche, alimentando la frustrazione dovuta alla situazione di
transfert in cui si trova la protagonista:
Sono le sei la città dorme
e Lei?
sogna?oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda
non mi escluda
Le voglio troppo bene
così non va?
semplice: toglierò subito il troppo.
128
5. La forma dei testi
L’esperienza del transfert consente alla paziente Vivian di intraprendere con se
stessa un dialogo, vissuto interiore, ma spesso nella narrazione esplicitato.
Questa modalità permette di ridimensionare il problema della perdita, della
separazione e della lontananza perché vissuti in rapporto con un tu, l’analista,
all’interno di una vicenda di innamoramento. Mentre in Teresino la poesia
della Lamarque era chiusa in se stessa, ora nasce dal rapporto con l’altro,
nasce dall’innamoramento per il signore d’oro, innamoramento vissuto con
slancio infantile in cui tuttavia non viene mai meno un certo distanziamento
ironico che con Poesie dando del Lei si fa più esplicito, giocando in modo più
diretto nel dialogo col dottore pur mediato dall’uso del formale Lei.
Quest’ultima raccolta, oltre a modificare i propri toni, propone anche una
modalità metrica che più facilmente è assimilabile alla poesia. I testi, che
continuano la caratteristica brevità dello scrivere di Vivian Lamarque, si
compongono di versi con un numero contenuto di sillabe, proponendo anche
delle rime, creando con le figure di suono uno schema ritmico che struttura,
seppur minimamente, il testo: Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire;
Sa,/ il mio cane è vecchino/ finisce a fatica/ il giro del giardino; Appena
appena cominciata/ si è già disperata/ la mia giornata; Guardi, guardate:/ le
lumachine del mio giardino/ oggi si sono sposate!; caro Dottore/ dentro il Suo
cuore/ c’è una bacchetta/ mi porti lontano/ La prego Dottore/ anche solo
un’oretta/ poi ritorniamo.
Lunghissimi invece sono i “versi” de Il signore d’oro e Il signore degli
spaventati, tanto che i testi delle due raccolte risultare brevi componimenti in
prosa, piuttosto che poesia a schema libero. In questi due testi infatti alcuni
versi arrivano a occupare più righe della pagina su cui sono stampate,
ricordando la modalità compositiva de L’amore mio è buonissimo, ma portata
ad esiti molto più estremi. Si prenda come esempio questo verso: Le bussava ai
vetri, le faceva inchini di neve, le offriva ghiaccioli di zucchero, le suggeriva
nelle orecchie i nomi che la vecchina dimenticava, le usava attenzioni di ogni
129
genere242; o quest’altro: Se l’avesse saputo come si sarebbe indispettito, ma per
fortuna lo ignorava, guidava tranquillo senza lontanamente immaginare quello
che l’aspettava
all’arrivo, all’atto dell’apertura dei bagagli.243 Molti
componimenti sebbene formati da due soli versi risultano così molto più lunghi
di quanto potrebbe essere un brano di poesia in metrica.
Nelle due raccolte sui signori, però, l’autrice inserisce due brevi poesie, che
ricordano i modi del poetare di Teresino. Ne Il signore d’oro il brano è
proposto come post scriptum, intitolato Il bambino delle cantine. Nonostante
due dei tre versi siano piuttosto lunghi, la punteggiatura e le rime suggeriscono
uno schema ritmico di due decasillabi per il primo verso, un settenario per il
secondo verso e, separando dal terzo verso la sillaba della negazione no, che la
virgola separa dal resto della frase, il verso si compone di un endecasillabo e
un decasillabo, quest’ultimo diviso dalla virgola in due pentametri: Avendo
bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino./ Allora barcollava?/ No, ma
dava baci a tutte le bambine, dietro i barili, nelle cantine.
Apre il signore degli spaventati la lirica I bambini persi:
Nella notte nei boschi
i bambini persi chiamavano
per essere trovati.
Non c’erano le stelle?
Le stelle erano gli occhi dei lupi.
Non c’era la luna?
La luna era le fauci dei lupi.
I bambini persi erano spaventati?
Sì, chiamavano tanto.
Svegliavano gli animali addormentati.
Il testo, più corposo rispetto a quello proposto nella prima raccolta della
trilogia, si compone di dieci versi con l’ultimo verso della lirica, il più lungo
della poesia, di dodici sillabe, mentre un esametro è il v.6, il più breve. Le
rime perfette sono solo due: lupi e lupi ai vv. 4 e 6, spaventati e addormentati
ai vv.8 e 10 che però riprende il trovati che chiude il terzo verso. Ai v.4-6
242
243
V.L., La signora e l’inverno, in Il signore degli spaventati, cit., p.48
V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70
130
ricorre anche l’anafora: non c’erano le stelle?/ […] Non c’era la luna? che si
accosta alle figure di suono che ritornano anche nei componimenti delle due
raccolte, nonostante siano più associabili alla prosa che alla struttura poetica.
6. Fonti e modelli di scrittura
La trilogia è dedicata al Dottor B.M., l’analista junghiano di Vivian Lamarque, e pone
al centro l’esperienza analitica. Anche Il piccolo Berto (1929-31) di Umberto Saba ha
come dedicatario lo psicoanalista con cui il poeta si era sottoposto a un trattamento,
Edoardo Weiss. L’analisi ha permesso a Saba il recupero di un contenuto inconscio
rimosso, l’approdo al seno “di colei che Berto ancora/ mi chiama”; eliminando la
rimozione che impediva a tale contenuto di divenire conscio, ha rivelato il grande
dolore per la perdita di una figura materna molto amata, la balia, e insieme la perdita
di sé come bambino. Nel componimento Berto, la comparsa del bambino timido e
goffo è accompagnata da un ricordo preciso: il piccolo Berto “calze portava di color
celeste”. Più che recuperare ricordi dell’infanzia rimossi, la trilogia di Vivian
Lamarque affronta invece il problema del transfert.244
Le tre raccolte poetiche dedicate dalla Lamarque al Dottor B.M. raccontano
dell’amore per il proprio analista, ma così facendo ripropongono al lettore la
dimensione analitica nella quale tale relazione si sviluppa permettendo di
essere anche queste tre opere definite romanzo psicologico, denominazione che
lo stesso Saba aveva legittimato per il proprio Canzoniere. Con la sua trilogia
la Lamarque si inserisce nella dimensione psicoanalitica che con Saba e Svevo
aveva fatto per la prima volta il suo ingresso nella letteratura italiana. Va però
considerato il fatto che per Saba la poesia non ha scopo terapeutico, bensì
piuttosto consolatorio, in quanto strumento indiretto, incapace di realizzare a
pieno quella dimensione narrativa necessaria per ricostruire nella sua interezza
la vita e così facendo anche la dimensione psichica.
Attraverso il transfert la Lamarque ripercorre la propria esperienza, vedendo
nell’analista la madre, il padre e l’amato:
Amante neonata
succhia l’uomomamma perdutamente
ecco il latte buono viene -guardi244
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
Novecenteschi”, n.41, giugno 1991
131
scorre come dalla montagna il fiume
naturalmente.245
Manca però nell’autrice la volontà di raccontare in modo ordinato e
cronologico il suo percorso, volontà che invece struttura tutto il Canzoniere di
Saba dando risalto all’aspetto narrativo dei testi che nel loro possono essere
considerati come una vera e propria storia, romanzo psicologico appunto. Le
poesie della Lamarque invece si susseguono nelle sue raccolte spesso con
collegamenti analogici, e a volte senza apparente connessione tra un brano e
l’altro. Attenzione è invece posta dall’autrice nell’ordinare le tre opere,
collocando nell’opera omnia Poesie 1972-2002 prima i due signori, Il signore
d’oro e Il signore degli spaventati, contenenti poesie dal 1984 al 1986, mentre
inserisce Poesie dando del Lei come terza opera, essendo in quest’ultima
vissuto più consapevolmente il transfert.
Nei piccoli componimenti, soprattutto in Il signore d’oro e in Il signore degli
spaventati, sono presenti i modi della poesia di Rodari: protagonisti della
narrazione sono un generico signore e una generica signora descritti in
situazioni surreali e fantasiose, come ne Il signore in fondo al mare:
Un signore qualche volta andava in fondo al mare a vedere i diversissimi pesci che lì
passavano.
I pesci si accorgevano?
Sì, i pesci guardavano il signore e anche dopo che era uscito dal mare
anche dopo tanti anni, se lo ricordavano.246
Tale ambientazione richiama anche i modi della poesia di Sandro Penna,
soprattutto quando nei testi della Lamarque, in una situazione apparentemente
serena, affiora improvviso un dolore profondo che vanifica il tentativo di
celarlo:
Un signore non accanto a lei era seduto.
Non dai finestrini indicava il panorama, guarda come è verde nessun colle.
Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna cura.
E allora?
Allora il dolore scendeva sopra il viaggio.247
245
246
V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23
V.L., Il signore in fondo al mare, in Il signore d’oro, cit., p.37
132
Luccicante di sole la strada lo portava.
Da lontano a Milano lo portava.
Tutte le forze di velocità giravano giravano le ruote affinché il signore lontano
diventasse un signore qui.248
La Lamarque è la conferma, come ha scritto Pasolini a proposito di Penna, che la
grazia nasce dal male ( e che lo stile della grazia è, in certi casi isolati, la
condensazione sublimata del male stesso con risultati struggenti di un gioco delle parti
che rovescia in stile una patologia, in malinconia sospesa una lacerazione vitale).249
Rossana Dedola aggiunge a questo aspetto un’altra somiglianza tra i due poeti
notando che, come Penna, anche la poetessa riesce a fare in modo che
una sensazione sottile di diversità impedisca al sentimento più semplice di cadere nel
luogo comune250:
Caro Dottore
dentro il suo cuore
c’è una barchetta
mi porti lontano
La prego Dottore
anche solo un’oretta
poi ritorniamo251.
Fantasiose e bizzarre appaiono anche le ambientazioni e le caratteristiche
attribuite ai personaggi della trilogia dall’autrice:
Storie bonsai, orologi di carta, bolle di sapone, che racchiudono l’esterno nell’interno,
il naturale nell’artificiale, suggeriscono ad angusti spazi domestici illusioni
ologrammatiche. Una Lilliput diversa da quella di Swift, metamorfica volubile
comicamente carrolliana, non senza passaggi e spunti beckettiani. Ai signori e alle
signore di Lilliput di Lamarque capita di tutto.252
Alcune delle modalità linguistiche adottate dalla Lamarque, sono invece
riconducibili agli usi propri della lingua inglese. Si noti per esempio la
247
V.L., il signore non seduto, ivi, p.49
V.L., Il signore qui, ivi, p.11
249
G.D’Elia, De Monticelli, Lamarque, Sica: tre signore itineranti sui sentieri della poesia, in
“Il Manifesto”, 5 febbraio 1993
250
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
Novecenteschi”, cit., p.231
251
V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit, p.18
252
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.24
248
133
creazione di unità inusuali nella acaratterizzazione dei personaggi protagonisti,
ottenute associando al sostantivo un altro elemento chelo definisce e
caratterizza: il signore mai (neverman) o il signore non (no man). In altri
componimenti invece la narrazione è portata avanti dal continuo alternarsi di
negazione e affermazione, che crea un effetto di sdoppiamento della realtà:
Non non primo, quel signore era l’ultimo, suo/ amore.253; Perché nella sua
mente non c’era nessuno, c’era qualcuno.254 In tale modalità Marosia Castaldi
individua una somiglianza con alcune espressioni della poetessa americana
Gertrude Stein:
“Ida non aveva abitato ovunque, ma aveva abitato in molte case e in moltissimi
alberghi”, dove non c’è una negazione diretta, in quanto la negazione di “ovunque” è
“in nessun posto” (everywhere e nowhere), ma in quanto il procedere linguistico si dà
non direttamente affermando:”Ida aveva abitato in molte case e in moltissimi
alberghi”, ma parzialmente negando: “non aveva abitato… ma aveva abitato”. I due
procedimenti sono analoghi e sono linguisticamente funzionali alla figura dello
sdoppiamento.255
253
V.L., Il signore ultimo, in Il signore d’oro, cit., p.64
V.L., Il signore del trono, ivi, p.61
255
M.Castaldi, Un posto vuoto, in “Lapis”, cit., p.74
254
134
CAPITOLO IV
UNA QUIETA POLVERE
135
1. Genesi e storia
Nel 1996 Vivian Lamarque vinse il premio Pen Club con la raccolta Una
quieta polvere edita presso Mondadori per la collana Il Nuovo Specchio. Già
nel 1987 l’autrice aveva publicato il poemetto Questa quieta polvere
(composto nel 1983) sulla rivista letteraria Paragone256, che venne poi tradotto
in francese nel 1997 da Raymond Farina257.
Richiamandosi apertamente a This quiet Dust was Gentleman and Ladies, che
Emily Dickinson scrisse nel 1864, con la citazione del titolo, la Lamarque ne
riprende anche il tema, la morte, tema che attraversa tutta l’opera del 1996.
Ritorna, seppure in misura minore, anche la tematica autobiografica già
incontrata in Teresino, con l’intenzione di rappresentare un lungo lasso di
tempo, anzi tutto il tempo della vita, fino all’eternità. Oltre alla biografia e
all’aldilà, temi consueti all’autrice, la raccolta propone nuovi argomenti, come
i testi per i nuovi milanesi di colore, trattando tematiche più collegate
all’attualità storico-politica del periodo. Osserva inoltre Rossana Dedola:
Liberata dall’ossessione di ritrovare il materno perduto, la poesia della
Lamarque si trasforma in un prendersi a cuore gli esseri più deboli,
rispettandoli e riconoscendogli una dignità258, come si può notare anche nei
testi dedicati a temi naturalisti e animalisti.
Nel 1996 la terapia col Dottor B.M. non è ancora terminata, ma in questa
raccolta si esaurisce la tematica amorosa per l’analista, con il superamento
della fase proiettiva dovuta al transfert e un ringraziamento al caro dottore a cui
viene dedicata una sezione della raccolta, Poesie dando del Lei (altre). In un
intervista del 1996 a questo proposito l’autrice dichiara:
”Fu un transfert fortissimo, un innamoramento non realizzabile… Ora so camminare
da sola, non ne ho bisogno, però a quel dialogo tanto profondo e bello non voglio
256
“Paragone”, n.6, dicembre 1987, pp.56-74
“Les Cahiers de Poésie-Rencontres”n. 43 , Lyon 1997
258
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002,
Mondadori, Milano 2002, p.XI
257
136
rinunciare: ho accettato di passare da otto sedute al mese a quattro, poi a due, forse si
arriverà a una, all’interruzione mai.”259
Per quanto riguarda invece l’attività lavorativa in quegli anni, nel 1992 Vivian
Lamarque iniziò a collaborare col Corriere della Sera, collaborazione che
all’altezza della data di pubblicazione di Una quieta polvere continua e dal
1997, in seguito anche alla chiusura dell’istituto in cui insegnava, il lavoro
presso la testata giornalistica acquisterà sempre più peso nell’attività
dell’autrice.
Una quieta polvere è una raccolta eterogenea: le poesie e componimenti
appartengono a periodi molto distanti tra loro, spaziando dai primi anni ’70 al
1995, con l’eccezione del brano Dediche senza poesie composto proprio
nell’anno della pubblicazione, 1996.
La prima sezione della raccolta, che riassume la vita dell’autrice, è la sezione
che raccoglie il maggior numero di testi scritti negli anni ’70 e, ad eccezione di
Febbre composto nel 1978, gli altri dodici testi sono del 1972 e del 1973. I
componimenti degli anni ’90 si concentrano nella prima parte della sezione,
formando un gruppo di cinque testi, per poi ritornare sparsi per tutta la sezione;
sono solo quattro le poesie degli anni ’80. Per quanto riguarda le altre parti,
l’epoca compositiva si restringe, raccogliendo testi che vanno dal 1980 al 1995.
Due sezioni contengono solo brani scritti negli anni ’90: Cercasi: poesie per un
trasloco che raccogliendo testi legati a un evento ben preciso, il trasferimento,
hanno solo due date di composizione, il 1992 e il 1995, e Fine millennio, che
invece spazia nei primi cinque anni.
Come per le precedenti opere poetiche, nel 2002 la Mondadori ripropone la
raccolta nel volume Poesie 1972-2002, senza però riportare nell’indice le date
di composizioni dei testi, che invece erano indicate nella prima edizione.
259
S. Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996
137
1.1 Le edizioni
La raccolta Poesie 1972-2002, riproponendo Una quieta polvere, apporta
alcune modifiche alla versione del 1996, modifiche che sono per la maggior
parte piccoli aggiustamenti.
Il lungo verso che apriva il primo testo della raccolta del 1996, Era la casa,
nella riedizione viene diviso in due parti, facendo così coincidere i due periodi
di cui si componeva con due versi distinti. In Dell’alluvione si preferisce unire
in un’unica strofa le due parti di cui si componeva la poesia nella prima
edizione, dove i primi due versi erano separati dal resto del testo. In Canto
l’autrice inserisce un rigo musicale nel corpo del testo, posto dopo i primi
quattro versi nella prima edizione, posizione anticipata subito dopo il secondo
verso nell’edizione del 2002.
Sostituiscono a un punto fermo il punto esclamativo l’ultimo verso di Calzina e
il primo di Inverno, nella poesia Le quattro stagioni. Lettere minuscole
nell’edizione 1996 in Poesie 1972-2002 vengono modificate in maiuscole: la
signora forchetta/ e suo marito il coltello260 si personalizzano chiamandosi la
signora Forchetta/ e suo marito il Coltello261; coerentemente col gioco di
Poesie dando del Lei, l’edizione 2002 scrive non La inseguirò, correggendo la
prima versione, non la inseguirò, nel quinto componimento della sezione
dedicata al Dottor B.M. Accorgimento grafico è anche il corsivo adottato
nell’ultima edizione, “quasi più è tornata nel cassetto”, che nel 1996 non era
utilizzato per distinguere il “quasi” di Cucchiaini.
Molto più rilevanti sono invece le modifiche apportate ai titoli dei
componimenti. La sezione Cercasi: poesie per un trasloco, che nel 1996
proponeva sette poesie senza titolo, li inserisce nel 2002, mentre lascia invariati
i testi poetici: Cercasi casa, Cambio casa, Fuochista, Trasloco, Trovata,
Finestra, Condòmino. Lo stesso accorgimento si ritrova anche nel testo Ma
nell’aldilà che chiude Poesie dando del Lei (altre) che nel 1996 era privo di
titolo, mentre I poeti che ho amato nel 2002 si precisa in I poeti (viventi) che
260
261
V.Lamarque, Cucchiaini, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.24
V.L., Cucchiaini, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.141
138
ho amato, e Quel conoscerti, come si intitolava la poesia nel 1987 quando uscì
in L’amore mio è buonissimo sui quaderni collettivi Guanda262, in Una quieta
polvere prende il nome del marito Paolo.
Nel 1981 la Lamarque aveva inserito nella sua raccolta d’esordio il brano
dedicato al primo incontro, con la madre naturale, poi nel 2002 modificato in
Conoscendo a 19 anni la madre. La poesia ritorna nella prima sezione di Una
quieta polvere, col titolo dell’81 Conoscendo la madre, ma è soppressa
nell’edizione 2002, probabilmente proprio perché essendo il testo già presente
nella prima opera, Teresino, anch’essa raccolta in Poesie 1972-2002, la
riproposizione sarebbe risultata una evidente ripetizione.
Numerosi sono gli interventi sulle dediche. Viene modificata in C’era il muro,
dove mentre nel 1996 si scriveva con discrezione alla famiglia V./ scala A, II
p., nel 2002 l’autrice preferisce usare i nomi propri dei vicini: a Franco,
Mimmo, Lucia, Anna come in Dediche senza poesie al generico al bosco con
dentro mio fratello che suona si è aggiunto il nome del fratello della poetessa,
al bosco con dentro mio fratello Fabrizio che suona; in Asinello, la prima
versione era agli occhi degli animali, mentre Poesie 1972-2002 preferisce
introdurre la poesia dedicandola agli animali, nuovi santi .
Con l’edizione 2002 l’autrice scioglie alcune sigle delle iniziali dei nomi di
cui, per riservatezza, si componevano le dediche del 1996: le tre poesie che
narrano dell’incontro coi fratelli riportano il loro nome per esteso, a Marzio, a
Fabrizio, a Orietta263, mentre Gioxe e Patricia si scoprono essere quella G. e
quella P. dedicatarie di Canto.
Numerose sono le dediche aggiunte nell’ultima edizione col metodo delle
iniziali già adottato nella trilogia per il Dottor B.M.: Le monachine a T.,
Glocklein a M., a L.B .la poesia Piove, mentre per R. è detta La notte dei
gattini, e per C.O. il breve componimento Lo diventeremo. Tre dediche
vengono aggiunte nel 2002 alla sezione Cercasi: poesie per un trasloco: al
262
V.L., L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978
V.L., Conoscendo un fratello, ivi, p.142; V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.143; V.L.,
Cara sorella, ivi, p.143
263
139
Signor S. è dedicata la poesia Condomino, mentre ad una via, la via Arnaboldi,
la lirica Finestra, e Trovata ai vicini di casa Franco, Marisa e Marco.
Perde invece la dedica che aveva nel 1996 la sezione Pennino, dove nella
prima edizione si leggeva: alle mie gomme, alle mie matite.
Una delle poesie della raccolta del ’96 era già stata pubblicata nel 1993 da
Stefano Crespi, in una sua breve recensione a Il signore degli spaventati, su Il
sole 24 ore. Parlando dello stile della Lamarque ed evidenziandone i caratteri
fiabeschi coi quali l’autrice esprime dolore e solitudine, il giornalista propone
un testo inedito, intitolato Fiaba:
Fuori dalla sua porta
c’erano sei gradini/ lì una sera trovò
qualcuno che dormiva
si chinò a guardare
era una bambina
oh ma non dormiva
oh ma non era viva!
Il componimento proposto in anteprima da Crespi viene inserito nella sezione
Poesie dando del Lei (altre) di Una quieta polvere con un’unica modifica al
primo verso, la maiuscola caratterizzante il Dottor B.M.: fuori dalla Sua porta.
Il poemetto del 1983, Questa quieta polvere, uscì invece la prima volta su
Paragone, nel 1987. La lirica entrò poi a far parte nel 1996 di Una quieta
polvere e nella riedizione della raccolta nel 2002.
Le differenze tra le ultime due versioni non sono molte. Nel 1996 la
quartultima strofa della parte III recita al primo verso: il tempo era diviso in
giorni, tempo che nel 2002 è sostituito da anno, mentre le strofe 9 e 10, di tre
versi ciascuna, in Poesie 1972-2002 si accorpano a formare un’unica strofa.
Inoltre la dedica che apre la sezione, composta dall’unico poemetto, nel 1996 è
Al cimitero di Tesero, sotto la neve, mentre solo Al cimitero di Tesero
nell’ultima pubblicazione della raccolta.
Più consistente il numero di modifiche apportate alla prima pubblicazione di
Questa quieta polvere, tutte già consolidate nel 1996, eccetto il passaggio
riferito ai tre fratelli dell’autrice, nella quintultima strofa della parte VIII: la
140
prima versione, del 1987, è imprecisa, Cari tre fratelli uno qui e uno lì, essendo
i fratelli tre ma solo due i luoghi in cui sono detti, così la svista è corretta per la
pubblicazione di Una quieta polvere in Cari tre fratelli uno qui e uno lì e uno
lì; ma i tre fratelli sono due fratelli e una sorella, così nella versione definitiva
del 2002 la Lamarque scrive con più precisione: Cari tre fratelli una qui e uno
lì e uno lì.
Innovazione macroscopica tra la prima e le successive due pubblicazioni è la
sostituzione di Valle di Rame […] color del rame con Valle di Neve […] color
della neve che ricorre nel testo per ben quattro volte: nella parte IV alla strofa
19; nella parte VII alla strofa 8; nella parte VIII all’ultima strofa; nella parte IX
alla penultima strofa.264 In Una quieta polvere, sono due le sostituzioni di
lettere maiuscole ad alcune minuscole del 1987, entrambe nella parte VI: la
prima è v.1 della terza strofa da Questa quieta polvere diventa Questa Quieta
Polvere; la seconda al v.2 della strofa 10, dove al dèi subentra Dèi.
Nella parte VII, al v.1 della quattordicesima strofa su Paragone si trova una
lunga parola composta, amoremiomarito, che per chiarezza dall’edizione 1996
si è preferito scrivere come l’amore-mio-marito, come è accaduto nella parte
VIII per l’accorpamento in un’unica strofa (la quartultima) delle tre più brevi di
cui si componeva la prima pubblicazione del poemetto( un verso, un verso, due
versi).
Sempre nella parte VIII si trova l’unica modifica che, apportata nel 2002,
accomuna le versioni del 1987 e del 1996: la nona strofa del poemetto in
Poesie 1972-2002 è divisa in due strofe da tre versi ciascuna nelle due
pubblicazioni precedenti. Sorge il dubbio che l’unione delle due parti sia un
refuso dell’edizione Mondadori 2002, fatto che occorre già con l’accorpamento
di due strofe, la sesta e la quinta, della parte VI. In questo caso è appurato
l’errore di stampa essendo la prima strofa autografa, arrivava da un corridoio
lungo/ lui era il più bello di tutti , mentre la seconda una citazione dell’Alice
nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, tagliategli la testa! ordinò la
regina, che per il gioco compositivo del poemetto vanno sicuramente
considerate distinte, essendo il poemetto composto o da strofe scritte
264
La numerazione delle strofe fa riferimento alla versione di Questa quieta polvere pubblicata
in Poesie 1972-2002, cit., pp.161-175
141
dall’autrice o da strofe che ripropongono testi di altri autori, le une in
stampatello minuscolo, le altre in corsivo (la soluzione grafica è invertita nella
versione del 1987). A questo riguardo, l’ultima strofa della parte VI è scritta
erroneamente in corsivo, sia nell’edizione 1996 che in quella successiva. La
versione graficamente corretta è invece conservata nel testo su Paragone, non
essendoci alcuna nota che espliciti la provenienza del frammento citato (cosa
che invece accade per gli altri stralci). A riprova dell’errore si legga il testo,
che porta i modi caratteristici della Lamarque: l’amore mio quando lo toccavo/
ero felice.
2. Struttura
A differenza delle raccolte precedenti, costruita intorno a un unico tema la
trilogia e su un preciso progetto autobiografico Teresino, Una quieta polvere
risulta invece più articolata nella sua struttura, per la varietà di temi trattati
come per il tipo di testi raccolti. Il principio unificatore di quest’opera finisce
per essere non tanto un tema o una situazione, quanto l’autrice stessa, che si
affaccia senza più schemi in primo piano.265 Si può così dire che l’innovazione
introdotta con la raccolta è quella di aver abbandonato la struttura tipica delle
opere precedentemente pubblicate, focalizzate sulla propria esperienza
personale, permettendosi questa volta di alzare lo sguardo all’esterno, oltre la
propria esistenza, per interessarsi anche al mondo nel quale viviamo.
2.1 Sezioni poetiche
La raccolta Una quieta polvere riprende la struttura già proposta nell’esordio
poetico dell’autrice, con l’organizzazione interna per sezioni poetiche,
dividendo i testi per tematica trattata. I novantotto componimenti dell’opera
sono ordinati in sette sezioni, eterogenee per numero di brani contenuti: le
265
U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996
142
prime due parti e la quarta raccolgono una ventina di testi, mentre le ultime tre
circa dieci pezzi ognuna. E’ a sé la terza sezione dell’opera, accogliendo un
solo lungo poemetto, Questa quieta polvere, con un forte richiamo al titolo del
volume.
Apre la raccolta la sezione Madri padri figli, riprendendo in ordine variato e al
plurale un verso del componimento che chiude la sezione, Sogno d’oro (II):
Non mi ero separata/ padre madre figlia […]. Composta da ventotto liriche è
questa la parte che più si avvicina al modello tematico della prima raccolta
della Lamarque, narrando infatti della storia personale dell’autrice. Dalle
origini valdesi raccontate in C’era la casa, con cui si apre la sezione, si passa
poi all’esperienza dell’adozione, vissuta come un abbandono, e proprio
Abbandono si intitola uno dei componimenti che affrontano questa tematica.
Per la prima volta viene proposta la doppia figura paterna, nella poesia al Caro
babbo I (in ordine di n.)/ che ti chiamavi E. ed al Caro babbo II (ma primo)/
che ti chiamavi Dante. Si parla della solitaria infanzia vissuta a Milano e delle
vacanze in colonia, per poi passare alle tre poesie dedicate ai tre fratellastri:
Conoscendo un fratello, Conoscendo l’altro fratello e Cara sorella. Segue la
narrazione della vita con la propria famiglia, con Paolo e con la piccola e poi
cresciuta Miryam, ai quali dedica due liriche intitolate col loro nome.
Incorniciano la sezione due componimenti omonimi: Sogno d’oro (I) e Sogno
d’oro (II), sogni di una vita familiare serena, non segnata dall’abbandono
materno e dalla separazione dal marito.
Se la raccolta si apre narrando il passato dell’autrice, del presente parla la
seconda sezione poetica intitolata Pennino, ossia la sua vecchia stilografica
Pelikan che l’autrice in un’intervista racconta di usare dalla prima media.266 E’
dedicata alla scrittura questa seconda parte della raccolta, scrittura che è
medicina per i dolori che la vita ha inflitto all’autrice. Si canta la solitudine
quotidiana, dopo di te/ sposerò solo il mio pennino267 o sono io il mio
266
267
S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996
V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45
143
capofamiglia/ che si alza nel buio/ a rassicurare la figlia268, ma colorandola
coi toni della fiaba che sono propri alla Lamarque fin dalla prima raccolta.
L’assenza della persona amata percorre tutta la sezione, ma la voce narrante
sembra più decisa a non subire più le conseguenze dell’abbandono, scegliendo
come arma proprio il pennino che dà il titolo alla sezione. Inserisce così al
centro di Pennino la lirica I poeti che ho amato, nel 2002 diventata I poeti
(viventi) che ho amato, e concludendo con Garzantina: Sono una poetina
media/ normale/ da due righe e mezzo sulla garzantina universale.
Molto eterogenea, la sezione raccoglie oltre alle brevi poesie, una lirica divisa
in quattro piccole parti trattando de Le quattro stagioni, un rigo musicale
inserito in Canto, e un brano dialettale, Pèss fritt, che una nota dell’edizione
1996 presenta come versi tratti dalla raccolta inedita Milan bruta bèla, 1978.
Il gioco di rimandi tra inizio e fine della prima sezione viene qui ripreso con
Pennino (I) che apre la sezione e Pennino (II) che la chiude.
Con la terza sezione il tema della morte si introduce prepotentemente nella
raccolta. Prendendo in prestito il titolo da una lirica della Dickinson, Questa
quieta polvere è il nome che l’autrice dà alla sezione e all’unico testo qui
accolto. Il poemetto di 418 versi divisi in nove parti dalla sola indicazione dei
numeri romani, alterna strofe autografe e strofe tratte da altri autori, poi
elencati in una nota alla fine del testo. Molte delle 53 citazioni che
compongono la lirica sono tratte da fiabe, tra gli autori figurano infatti i fratelli
Grimm, Andersen, Afanasjev delle Antiche fiabe russe, H.Hoffman di Pierino
porcospino, oltre che le anonime Fiabe piemontesi. Sul confine tra fiaba e
romanzo gli stralci presi da l’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll,
mentre le altre citazioni sono di poeti, prima fra tutti Emily Dickinson269.
Ritorna nella lunga lirica anche una figura della lontana famiglia della
Lamarque, con i due passi tratti da Storia dei Valdesi, scritto da Emilio Comba,
bisnonno dell’autrice, dal quale infatti ha ereditato il cognome.
268
269
V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47
Gli altri versi sono tratti da L.Candiani, Poesie Giapponesi, e Due canzoni di M. Cvetaeva.
144
Ventuno sono i testi della quarta sezione, dedicata per l’ultima volta all’amato
Dottor B.M. e che oltre a riprendere la tematica delle precedenti tre raccolte,
ricalca il titolo di quella del 1989: Poesie dando del lei (altre). I primi quindici
testi continuano il tono e le modalità compositive dell’opera omonima, così
come lo schema tematico percorso si conclude parlando di quando i due
saranno nell’aldilà. I brevi componimenti di questa prima parte si distinguono
però dalla trilogia per la consapevolezza che l’autrice mostra nei confronti
della situazione di transfert vissuta, tanto da permettersi di usare il tempo
passato scrivendo Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e
dalle notti/ della Vita. Tre liriche più consistenti precedono una lunga ballata
divisa in due parti, Al Café Haus e Ai giardini, intitolata Ballata degli occhiali
neri, occhiali che già dai primi versi si scoprono essere dell’analista: dietro gli
occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi. Chiude la sezione Ma nell’aldilà dove
sognante la paziente ripropone il sogno di unione col proprio irraggiungibile
dottore almeno dopo la morte, dove nessuno nessuno ci separerà.
Cercasi: poesie per un trasloco è la breve quinta sezione composta da sette
poesie. Tematicamente precisissima, fin dal titolo annuncia l’occasione di
composizione dei brani. Cercasi casa/ cercasi casa con sole270, cercasi casa
assolata271, cercasi casa con luce forte272, recitano le prime quattro poesie
della raccolta, è con il quinto componimento, che nel 2002 prende il titolo
Trovata, che si passa alla descrizione della nuova casa, in via Arimondi, alla
cui finestra e al cui condòmino l’autrice dedica le ultime due liriche della
sezione.
Nuove tematiche sono affrontate nella sesta parte, Fine millennio. Qui l’autrice
racconta del legame che unisce gli esseri umani alla natura, come in Asinello e
in Requiem per margherite, ma soprattutto del mondo esterno, nelle altre
raccolte lasciato in disparte. Proprio il legame che Vivian ha con il mondo è
narrato in Bella copia, opera d’apertura:
270
V.L., Cercasi, in Poesie 1972-2002, cit., p.191
V.L., Fuochista, ivi, p.192
272
V.L., Trasloco, ivi, p.192
271
145
poter domani
il Foglio di Bella
della vita cominciare
[…] e dopo la nostra poter passare
alla Bella del mondo […]
la bella copia del mondo –o Felicitànon si può fare.
Segue una poesia sulla guerra del Golfo, scritta per il Corriere della sera,
Girotondo, e poi alcuni brani per i nuovi milanesi di colore, gli immigrati che
ai semafori lavano i vetri, i Vù cumprà, e proprio a loro in Testamento Vivian
lascia le cose di valore, mentre alla frenetica vita contemporanea la Lamarque
contrappone la piacevolezza del permettersi di rallentare, di perdere tempo
facendo le Code. La sezione si conclude con la poesia Ruanda, in cui figura
una reminescenza del campo di concentramento Terezìn già incontrato nel
titolo della prima raccolta, nel 1981.
Con le tredici poesie che compongono la sezione, l’autrice ci offre quindi un
piccolo scorcio della vita cittadina contemporanea di Milano e del mondo.
Chiude la raccolta la sezione Come fiori i cui undici testi sono dedicati alla
morte e alle persone defunte. Per l’amica Daniela De Vita, morta a 36 anni273,
l’autrice scrive due liriche, una poesia è invece intitolata A Pasolini, per il suo
anniversario da assassinato. Gli altri componimenti trattano di un prossimo
futuro, dove tutti saremo come la terra e gli insetti/ come i fiori274 con
l’eccezione di Dediche senza poesie, dove una serie di persone care vengono
elencate una dopo l’altra dall’autrice, dedica conclusiva del libro, o forse affetti
a cui Vivian ripenserà una volta diventata appunto Come fiori. Recita a questo
riguardo il post scriptum finale:
Siamo poeti.
Vogliateci bene da vivi di più
Da morti di meno
Che tanto non lo sapremo.
273
274
V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124
V.L., Lo diventeremo, ivi, p.127
146
2.2 Dediche
Ogni sezione di Una quieta polvere si apre con una dedica, caratteristica che si
ritrova anche in molti dei componimenti della raccolta, che infatti si chiude con
un testo composto di sole dediche, Dediche senza poesie. Così anche l’intera
raccolta, introducendo la modalità che distingue Una quieta polvere, ha dei
dedicatari: il marito Paolo a cui l’autrice deve il proprio cognome, a Paolo, il
mio cognome è suo, e la figlia Miryam insieme col fidanzato Giorgio, che si
sposarono nel giugno dell’anno in cui fu pubblicata la raccolta.
All’amata madre adottiva è dedicata la sezione che parla della vita familiare di
Vivian, Madri padri figli, con la frase alla madre/ che mi ha salvata.
Pennino, che nell’edizione 1996 recitava alla mie gomme, alle mie matite, è
l’unica sezione che in Poesie 1972-2002 perde la dedica introduttiva. Si
consideri però che già il titolo Pennino è una dichiarazione d’intenti, tanto più
che la sezione si apre e si chiude sui versi di Pennino (I) e Pennino (II) dove
Vivian dichiara fedeltà al suo pennino, ossia al suo scrivere.
Anche la dedica a Questa quieta polvere subisce dei cambiamenti da
un’edizione all’altra. Con l’aggiunta di sotto la neve nella prima edizione della
raccolta, rimane però invariato il dedicatario, che anticipa il tema che percorre
insistentemente tutto il poemetto. Al cimitero di Tesero, si legge sotto al titolo
della sezione, con il paese natale di Vivian Lamarque di nuovo citato in una
sua raccolta.
Quarta parte della trilogia sul transfert, oltre che replica della seconda
pubblicazione sul tema, a nessun se non al Dottor B.M. avrebbe potuto essere
dedicata Poesie dando del Lei (altre).
Alla poetessa Alida Airaghi è dedicato il gruppo di poesie sul trasloco. Già la
Lamarque aveva parlato dell’amica nella precedente sezione in Caro Dottore
Le scrivo, raccontando del suo viaggio sul lago di Zurigo, alla casa di Jung:
[…] quel monte che la casa/ di Jung guarda/ e che io guardo con Rossana/ e
Alida. La scrittrice si era infatti trasferita lì subito dopo il matrimonio con Siro
147
Angeli, nel 1978, e in Svizzera visse fino al 1992, quando, dopo la morte del
marito, si trasferì di nuovo in Italia.
La sezione Fine millennio che racconta degli immigrati nelle nostre città, delle
vittime delle guerre, degli animali maltrattati e della natura non rispettata
dall’uomo, proprio a loro è dedicata, con un onnicomprensivo ai poveri che ci
circondano.
Come fiori, è infine dedicata a Vittoria Botteri, come a Vittoria recita il brano
Dediche senza poesie, ponendo l’amica al secondo posto, subito dopo il nome
dell’amato Paolo, nel lungo elenco di nomi di cui il testo si compone.
148
2.3 Citazioni
Accompagnano le dediche ad ogni sezione altrettante citazioni, introduzione
alla tematica trattata dai componimenti raccolti nelle sette parti in cui è divisa
l’opera. Ritorna il modello strutturale proposto in Teresino, ma con una
variatio che rispecchia l’eterogeneità delle parti, e dei testi, di cui si compone
Una quieta polvere. Nel 1981 tutte le epigrafi introduttive alle sezioni erano
tratte dalla fiaba di Charles Perrault, svolgendo la funzione di trai d’union e di
sintesi tematica alle varie fasi autobiografiche narrate in Teresino. Nel 1996
continua la funzione di ripresa tematica che i vari frammenti svolgevano nei
confronti dei testi a cui erano premessi, viene però abbandonatta l’idea di
continuità e omogeneità, che infatti non appartiene all’impostazione di questa
raccolta.
Era Le Petit Pouchet la fiaba scelta per accompagnare le poesie dell’autrice nel
1981, in Una quieta polvere sono Hansel e Gretel ad aprire la raccolta,
introducendo la sezione che più si avvicina a Teresino per i temi affrontati: la
famiglia, l’abbandono vissuto con l’adozione, il matrimonio con Paolo, la figlia
Miryam, e altri piccoli frammenti della propria vita privata che l’autrice ci
aveva già fatto conoscere nel suo libro d’esordio. Tema portante della prima
raccolta poetica era stata la problematica percezione di avere due mamme, ora,
in Madri padri figli la prospettiva si amplia, la Lamarque ci presenta i suoi
fratellastri, la casa valdese in cui sarebbe potuta crescere, e ai due padri dedica
Babbi, dove si rivolge ad ognuno di loro. E’ il padre ad abbandonare nel bosco
i due fratellini nella fiaba dei fratelli Grimm che l’autrice sceglie per introdurre
la sezione. Credevano che il babbo fosse vicino, ma il Caro babbo II (ma
primo), il padre adottivo, morì quando Vivian aveva quattro anni, per questo è
lontano, assente è invece il padre naturale, che dal testo del componimento
sembra sorpreso proprio dalla scoperta di avere una figlia, che quando ti ho
detto/scusi mi hanno detto/ che lei è mio padre/ hai fatto un passo indietro.
Nella favola i fratellini credono che il padre sia nel bosco a tagliare la legna,
poco distante da loro, per via dei colpi d’accetta che sentivano, ma non era
149
l’accetta, era un ramo che egli aveva legato a un albero secco e che il vento
sbatteva di qua e di là. La raccolta si apre così con un abbandono, compiuto
proprio dalle persone di cui maggiormente un bambino si fida, i genitori, che si
svestono del ruolo che dovrebbero invece rivestire.
E’ un’altra fiaba a dare il via alla sezione Pennino. Il frammento questa volta è
di Il compleanno dell’infanta di Oscar Wilde, uno dei quattro racconti che
compongono La casa dei melograni (A house of pomegranates). La storia narra
della figlia del re di Spagna, l’Infanta, a cui era proibito giocare con i ragazzi
della sua età solo nel giorno del suo compleanno, il resto dell'anno la
principessa stava sola nella sua immensa reggia. Proprio a una di queste feste
partecipò allo spettacolo allestito per la bambina anche un nano, che divertì la
principessina a tal punto che lei gli lanciò un fiore, come omaggio.
Fraintendendo il gesto, il piccolo saltimbanco si innamorò e quando finalmente
riuscì a rivederla, gli capitò di specchiarsi. Non si riconobbe subito, così brutto
e deforme, ma quando si rese conto dell’impossibilità del proprio amore a
causa proprio del suo aspetto, confermato dal disinteresse mostratogli dalla
principessa, per il dolore morì. L’infanta davanti a una tale tragedia, dopo il
disappunto iniziale sul fatto che il nano non potesse più farla divertire come le
aveva ordinato, pronunciò le parole riproposte dalla Lamarque: In futuro, che
quelli che verranno a giocare con me non abbiano cuore.
Leggendo i brani proposti dall’autrice nella sezione si capisce che il punto di
vista da lei assunto è duplice: utilizza le parole della principessa, ma prende per
sé anche il cuore del nano. Rimanendo nella metafora, se le persone con cui
giocherà non le offriranno né la possibilità di fidarsi di loro né affetto, lei non
soffrirà per l’eventuale loro abbandono, come invece spesso le è accaduto,
ribadisce nei brani autobiografici.
Questa quieta polvere, propone in calce al testo proprio la fonte di ispirazione
del titolo della sezione, del poemetto e della raccolta stessa: This quiet
Dust/was Ladies and Gentleman. La lirica di Emily Dickinson è una
contemplazione della morte e del suo divenire, narrata come conseguenza
150
naturale della vita, la polvere infatti era uomini e donne. L’autrice ripropone
questi primi versi, introducendo in modo chiaro la tematica del componimento,
intuibile anche dalla dedica al cimitero di Tesero.
E’ Dante l’autore che la Lamarque sceglie per introdurre la sezione dedicata
all’amato dottore. Poi caramente mi prese per mano, recita il v.28 del XXXI
canto dell’Inferno, quando Virgilio prepara il poeta all’incontro coi giganti nel
nono cerchio. Il prendere per mano Dante in un momento difficile da
affrontare, nel quale potrebbe trovarsi in difficoltà, rende più affettuoso
l’appoggio che la guida garantisce al discepolo. Nella citazione è Virgilio a
prendere per mano il poeta, così nell’analogia creata con la citazione del verso
come introduzione a
Poesie dando del Lei (altre), è il Dottor B.M. che
prendendo per mano Vivian le ha permesso di affrontare ciò che da sola le
sarebbe stato impossibile.
Ritorna l’immaginario fiabesco nella citazione che introduce Cercasi: poesie
per un trasloco. Il brano è tratto da Peter Pan nei giardini di Kensington di
J.M.Barrie, opera che precede la pubblicazione del romanzo Peter Pan and
Wendy, da cui deriva l’immagine più famosa del protagonista. Il bizzarro
bambino che si rifiuta di crescere e si ostina a vivere in una perenne infanzia in
un mondo che non si occupa molto di ciò che è reale agli occhi degli adulti, è
presentato appena nato, a soli sette giorni, quando scavalca la finestra della sua
cameretta guidato da un irresistibile impulso e vola appunto verso i Giardini di
Kensington. E’ il fatto di aver deciso di uscire dalla casa e di entrare nei
giardini ad aver permesso a Peter di incontrare tutte le strane e fantastiche
creature che popolano questi giardini. La citazione proposta dalla Lamarque
parla di fate, sono loro che costruiscono la casa per gli smarriti, una casa che si
vede solo quando vi si esce, anche se la sera capita che qualche bambino riesca
a scorgerne la luce delle finestre. Peter aiuta le fate, accompagnando lì i
bambini che si perdono nei giardini, così la casetta continua a sparire e
riapparire, portando conforto agli smarriti.
151
Sono venuta qui con mio marito, mia figlia, degli amici al piano di sopra, per
vent’anni. E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son
rimasta io con mia figlia e gatto e cane…275
spiega l’autrice nel giardino di quella che era casa sua nel quartiere QT8. E’
questa la casa dalla quale si trasferisce nelle poesie di Una quieta polvere, casa
nella quale ha vissuto la separazione dal marito e il proprio smarrimento: son
stati gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale. Infatti poi ho iniziato
l’analisi.276 L’analisi, il trasferimento, la nuova raccolta poetica dove si
affrontano nuove tematiche, oltre a quella tanto dolorosa dell’abbandono,
Vivian Lamarque dimostra così di essere riuscita a farsi trovare da Peter, per
trasferirsi nella fatata casetta degli smarriti, come recita in conclusione la
citazione: dite all’uomo che vi siete persi e lui vi ritroverà.
La sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, è introdotta
dalla contraddittoria sentenza che il giudice pronuncia nel cap. XIX di Le
avventure di Pinocchio di Collodi dopo aver calorosamente ascoltato la
disavventura di Pinocchio, che era stato gabbato dal Gatto e dalla Volpe, che
l’avevano convinto a seppellire il suo denaro dicendo che così sarebbe
cresciuto un albero pieno di soldi, mentre invece i soldi così facendo glieli
avevano semplicemente rubati. Ma invece che punire i due imbroglioni, il
giudice esclama: Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete:
pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione. Il burattino passerà quattro
mesi in prigione a scontare questa ingiusta condanna. Altrettante ingiustizie
vengono narrate dall’autrice n questa sezione dedicata a chi ingiustamente è
punito con la sofferenza e la povertà, perché immigrato, perché animale,
pianta, o per la colpa di vivere in un paese in guerra.
Le persone non muoiono, restano incantate recita la citazione che l’autrice ha
scelto per la sezione che chiude la raccolta, Come fiori. Se quindi questo titolo
di primo acchito poco può dire del contenuto dei componimenti che raccoglie,
molto più esplicita è l’affermazione che lo scrittore de Il grande Sertao,
Guimaraes Rosa, disse al termine del discorso che lo insediava all’accademia
brasiliana delle lettere, pochi giorni prima della sua morte, nel novembre del
275
276
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008
Ibidem
152
1967. Riproponendo questa frase, l’autrice si unisce all’idea d’incanto che
caratterizza anche il suo modo di vedere, nonostante spesso nei suoi testi la
morte, così insistentemente evocata, faccia paura.
3. Contenuti
A differenza delle precedenti raccolte, Una quieta polvere raccoglie varie
tematiche già sommariamente divise nelle diverse sezioni. Mentre nella prima
raccolta si parla della famiglia, nella seconda Vivian pone in primo piano se
stessa e il suo scrivere. Dopo il poemetto Questa quieta polvere, riprende e
conclude
il
discorso
psicanalitico,
per
poi
passare
all’attualità
dell’immigrazione e del diritti di tutti gli esseri viventi. L’ultima sezione è
interamente dedicata alla morte, già trattata con insistenza nella terza parte
della raccolta, e riproposta sempre in ogni sua sezione. Sebbene in alcune parti
la tematica principale sia un’altra, il tema della morte percorre tutta l’opera
dell’autrice, tema proposto fin dall’inizio, con la scelta del titolo, Una quieta
polvere, così simile alla lirica luttuosa che la Dickinson iniziava proprio con le
stesse parole: This quiet dust.
3.1 L’adozione: l’abbandono, la solitudine e la conseguente continua ricerca
d’affetto
La prima sezione, Madri padri figli, riproponendo l’autobiografia familiare
dell’autrice porta di nuovo in campo l’esperienza dell’adozione e la
conseguente sensazione di abbandono e solitudine che accompagna la vita di
Vivian. Gran parte delle poesie della sezione sono dedicate alla rievocazione
dell’infanzia, si pensi che delle ventotto poesie di cui si compone questa prima
parte, sono undici quelle che trattano tale tematica. Rispetto alla raccolta
Teresino, in Una quieta polvere la sensazione di abbandono e solitudine è
153
racconta in modo più diretto e definito, come già nei titoli espliciti Abbandono
o Adozione ninna-oh.
La narrazione della sezione segue l’evoluzione di questa condizione partendo
coi primi testi dove la piccola Vivian sembra voler convincere sua madre a non
portarla a Milano dalla nuova mamma: Mangiavo dormivo/ facevo la bravabambina/ per conquistarti “mammina”. Il vezzeggiativo posto tra virgolette
anticipa, ironizzando su un affettuosità non vissuta, la decisione della madre di
rinnegare il proprio ruolo, come già nella citazione iniziale il papà di Hansel e
Gretel. Infatti la conclusione è amara: corteggiamento vano[…] mi hai lasciata
a Milano. La sofferenza della figlia è tale da paragonare la madre alla morte,
scrivendo proprio nel componimento successivo: la Morte è una Madre che
abbandona277 e che non è in grado di donare alla propria bambina l’affetto che
le si meriterebbe, non comportandosi da madre, perché le madri, quelle vere278,
pettinano le loro bambine, e li coprono di baci, i loro figli sanno si essere
amati. La stessa sensazione è cantata nei versi Non lo vuole la sua mamma/ chi
gli canta la ninna nanna? […] cercheremo un’altra mamma/ che gli canti la
ninna-nanna.279 dove Vivian si canta da sola una ninna-nanna, come per
consolarsi, per accettare la situazione, per indorare la pillola, ma la situazione è
sempre la stessa e così anche la canzone non può che cantare di quello,
concludendosi nella confusione affettiva, dove persino la voce narrante non sa
più verso chi indirizzare l’affetto del bambino: anzi quella sì e questa no/ anzi
forse ma però/ questo bimbo a chi lo do? Reminescenza dell’abbandono
materno è anche in Pennino, quando raccontando di alcuni gattini che aveva
trovato una notte , la Lamaque li descrive con un’eloquente analogia:
abbandonati come bambini.280
All’abbandono e all’adozione già ampiamente trattate nella raccolta del 1981,
con le poesie di Una quieta polvere si aggiungo particolari e dettagli biografici.
Già numerosi testi erano stati scritti per le due madri, ma è questa la prima
volta che l’autrice ci propone una poesia dedicata ai due padri. La descrizione
277
V.L., Ade, in Una quieta polvere, cit., p.16
V.L., Prato, ivi, p.17
279
V.L., Adozione ninna-oh, ivi, p.19
280
V.L., La notte dei gattini, ivi, p.53
278
154
sottolinea la dualità della figura, come in un elenco prima vengono numerati,
Caro Babbo I (in ordine di n.)/ […] Caro babbo II (ma primo), e solo
successivamente chiamati per nome, Dante l’amato padre adottivo, mentre
lontanissimo è sentito il padre naturale, chiamato solo con una lettera E. A
questi riguardo si noti che invece il nome della madre naturale non è mai
comparso, nemmeno con le sole iniziali, in nessun componimento, né di
Teresino né di Una quieta polvere.
Tre componimenti sono dedicati ai tre fratellastri di Vivian, quei figli che la
madre naturale ha tenuto, come dice in Ade: la Morte è una madre che
abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. Nei componimenti
dedicati agli incontri coi fratelli, però, il tono non è di rancore, anche loro sono
vittime della madre, come scrive alla sorella Orietta: oggi capisco/ che ti eri
spaventata/ quando ero nata/ avevi tredici anni/ e anche tu l’infanzia/ un po’
minata281. Il rimpianto di una famiglia irrealizzata è nei versi per il fratello
Fabrizio, dove raccontando di quando si erano conosciuti da adulti, dice che chi
li guardava notava la somiglianza tra loro, aggiungendo quei bambini in
cortile/ potevo essere io282. Tracce del loro incontro a Firenze si ritrovano
anche nella sezione Cerco casa: poesie per un trasloco, quando guardando
dalla finestra all’autrice sfugge una sofferta analogia a causa del nome della
piazza su cui si affaccia il suo appartamento, piazza Firenze a cui aggiunge
(mia matrigna)283.
Proprio in questa sezione si consuma la conseguenza di un altro abbandono, di
un altro affetto perso, quello del marito Paolo, della cui separazione si racconta
nell’ ultimo componimenti di Madri padri figli, oltre che in Pennino. Dopo di
te/ sposerò solo il mio pennino/ e nessun altro284 scrive dopo l’impossibilità del
sogno che chiude la prima sezione: Non mi ero separata/ padre madre figlia/ la
famiglia continuava unita[…]285. Ritornano in alcune strofe di Questa quieta
polvere, i toni di L’amore mio è buonissimo, con Vivian che cerca in tutti i
modi di riconquistarne l’affetto ed esorcizzarne l’assenza. Sembra però
281
V.L., Cara sorella, ivi, p.29
V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.28
283
V.L., Quanto cara mi è questa finestra, ivi, p.102
284
V.L., Pennino (I), ivi, p.45
285
V.L., Sogno d’oro (II), p.41
282
155
incolmabile il vuoto lasciato dall’amato, quando l’autrice scrive con questa
luce forte/ si vede a prima vista che l’amore mio non c’è/ L’amore mio mi
manca/ l’amore mio mi manca così tanto o quando inutilmente insiste adesso
basta non esserci/ adesso voglio che l’amore mio ci sia/ voglio che l’amore
mio sia lì/ anzi qui/ che io possa allungando una mano/ toccarlo. E’ inutile
domandarsi se l’amore mio a me manca/ perché anch’io non mancare
all’amore mio?, ma Vivian non può farne a meno, alla ricerca disperata di
quell’amore che sua madre non le aveva saputo dare quando era piccola. La
conclusione a cui si arriva nel poemetto, in casa si vede subito/ che l’amore
mio non c’è, ricorda le poesie di Il tuo posto vuoto286, dove l’autrice cantava di
questa separazione. Separazione della quale non c’è traccia nella prima sezione
di Una quieta polvere, se si esclude il componimento conclusivo. Gli ultimi
brani, dedicati alla nuova famiglia dell’autrice, sono infatti più sereni, allegri i
brani per la figlia descritta mentre canta, salta, gioca col papà, come priva di
presagi negativi si svolge la narrazione dell’incontro e dell’innamoramento di
Vivian e Paolo nel testo intitolato proprio col nome del marito, Paolo.
Anticipa il sentimento familiare di questi brani la parte centrale della prima
sezione, nella quale si canta della madre adottiva, a cui è dedicato il
componimento Mamma e a cui Vivian è grata per l’affetto ricevuto, che si
concretizza in Latte nella biancheria lavata stirata/ bottiglie di latte materno/
che non hai mai avuto/ e più di tutti hai. L’altra madre invece resta distante, è
detta madre e non-madre/ mia e le si rinfaccia continuamente la sua decisione:
Ti tengo […] ma tu non hai tenuto me.287
La solitudine vissuta nell’infanzia è raccontata sempre nella prima sezione
quando stanca del troppo silenzio appoggiava l’orecchio al muro, per sentire
parlare di là i vicini288, e nei pranzi consumati da sola, parlando con la signora
Forchetta/ e suo marito il Coltello289, o a casa di qualche amico, come racconta
in Riso in bianco, al cui sollievo della cena in compagnia seguiva l’angoscia
del tornare a casa, nella propria solitudine: la sua porta da aprire/ ha dietro i
286
V.L., Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981
V.L., Crochet, in Una quieta polvere, cit., p.31
288
V.L., C’era il muro, ivi, p.21
289
V.L., Cucchiani, ivi, p.24
287
156
ladri/ e che paura fa, respirare. Analoga la situazione narrata in Pennino, ma
per la solitudine conseguente alla separazione dal marito, come scrive in
Spaesante ritorno:
[…] se il vento
o un ladro
fanno di là un rumore
sono io il capofamiglia
che si alza nel buio
a rassicurare la figlia.
3.2 Il sentimento materno e le attenzioni per i più deboli
I componimenti della raccolta del 1981 lasciano ora il posto a una poesia più
varia, nei quali l’autrice non si interessa solo della propria vicenda personale,
ma anche delle storie e delle necessità degli altri. Tale sentimento è innanzi
tutto mostrato con il nuovo modo di intendere la maternità, non più àncora di
salvezza per se stessi, come appariva dalle poesie della sezione Ho una bella
bambina, bensì vissuta come un affetto che si lega alla responsabilità del ruolo
di madre: le poesie possono aspettare/ non possono aspettare le persone care.
Proprio per spiegare questo cambiamento di prospettiva, felice esito del
percorso analitico, l’autrice inserisce nella sezione Madri Padri Figli la
Preghiera delle mamme che hanno involontariamente mancato nei confronti
dei propri figli. Come un mea culpa ritorna più volte nel componimento la
richiesta di perdono alla figlia per gli anni della nostra assenza/ […] per
quando ci chiamavi e non c’eravamo/ o c’eravamo ma eravamo perse a noi
stesse/ o c’eravamo ma non vedevamo. Rivestendo il ruolo di madre, e non più
quello di figlia abbandonata, in modo adulto la mamma Vivian riconosce di
aver sbagliato, spiegando però che questo non è stato un abbandono voluto, ma
involontario, come già recita il titolo, perché stavamo male/ perché stavo male
stavo male/ figlia dolce mia. Grazie a questa consapevolezza ora, oltre che la
figlia, può accudire l’anziana e amata madre adottiva, si prende cura di lei
come la madre faceva con lei bambina, i ruoli si sono invertiti a causa dell’età,
come scrive giocando con le cifre degli anni: hai solo otto anni/ l’”anta” lo
157
buttiamo via/ che bella bambina/ madre mia290. Il ruolo di capofamiglia lo
assume dichiaratamente quando, dopo la separazione, è lei che nonostante la
paura per i rumori che si sentono la notte si alza nel buio/ a rassicurare la
figlia.291
E’ nella sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, che
l’autrice esprime pienamente questo suo nuovo modo di scrive, trasformatosi in
un prendersi cura, un prendersi a cuore gli esseri più deboli, rispettandoli e
riconoscendogli una dignità.292
Agli animali nuovi santi dedica la poesia
Asinello per il quale si invoca un paradiso subito per le fatiche sopportate in
vita, de i nostri cani adorati/ affamati assetati parla invece in Vù cumprà, come
nella sezione Pennino dedica una poesia all’amato cane Brigante293, e in un
altro testo racconta della notte in cui lei e un amico, o l’amato, trovarono dei
gattini abbandonati e li aiutarono: la notte dei gattini/ ti ho voluto del bene in
più.294 Alla natura si dedica invece curando il proprio orto, guardo i legumi in
fila, raddrizzo/ un pomodoro storto295, mentre ai fiori è invece rivolto Requiem
per margherite, dove l’autrice canta dell’ingiusta sete dei fiori dei vagoni
ristorante, senz’acqua nel vaso/ per non bagnare/ la tovaglia elegante.
3.3 Il mondo
La volontà di andare incontro alle necessità del prossimo, amplia lo sguardo
della Lamarque che in Una quieta polvere si rivolge al mondo che la circonda.
Partendo da un’analogia con la sofferenza delle piante cantate in Requiem per
margherite si introduce una dolorosa tematica della storia del ‘900,
l’Olocausto:
non beati gli assetati
fiori della carrozza ristorante
290
V.L., Mamma, ivi, p.32
V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47
292
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI
293
V.L., Al mio cane brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55
294
V.L., La notte dei gattini, cit., p.53
295
V.L., Orto, cit., p.54
291
158
senz’acqua nel vaso
per non bagnare
la tovaglia elegante […] tutte in fin di vita
dal finestrino la pioggia
tese verso il vetro la chiamavano
la chiamavano Regen! Regen!
credete a chi le ha sentite
sembravano bambine le margherite
sembravano bambini […].
Il riferimento finale ai bambini, così come la scelta della lingua tedesca per
chiamare la pioggia, riprendono l’analogia con cui si era aperta la poesia: non
beati gli assetati/ sui treni: fiori, Ebrei/ agnelli, bambini. Ritorna così in questa
raccolta il campo di concentramento dei bambini di Terezin, a cui si faceva già
riferimento in Teresino, ma solo nel titolo della raccolta. Ora, dopo
l’introduzione tematica proposta da Requiem per margherite, confermando
l’analogia con le margherite bambine, si nomina di nuovo Terezin nel
componimento successivo, Ruanda, in cui l’epigrafe recita: Com’è orribile
Terezin!/ Quando torneremo a casa? mentre conclude la poesia: Dall’acqua
(dai forni)/ come dai finestrini/ salutano il millennio/ braccia e braccia/ di
bambini. Con l’analogia con le stragi causate dal nazismo, Vivian Lamarque
nel 1994 compone una poesia che narra del genocidio in Ruanda296,
indicazione geografica già specificata nel titolo del testo, prendendo in questo
modo posizione anche rispetto a quello che riguarda l’attualità del mondo, con
le ingiustizie e il male a cui si è costretti ad assistere. Ai soldati uccisi dalle
296
Il problema di distinzione raziale tra le tribù ruandesi Hutu Tutsi e Twa, che sarà poi causa
del genocidio del 1994, fu una conseguenza del rigido sistema coloniale di separazione razziale
e sfruttamento instaurato dal potere coloniale belga, sostituitosi alla potenza tedesca nel 1916.
Il governo coloniale concesse ai Tutsi la supremazia sulla tribù maggioritaria degli Hutu (85%
della popolazione), alimentando così tra i due gruppi contrasti e risentimenti che si
trascinarono fino al 1959, quando il Belgio cedette il controllo del Ruanda alla maggioranza
Hutu. Con l'indipendenza ebbe così inizio un lungo periodo di segregazione e massacri antiTutsi appoggiati dalle nuove istituzioni. Centinaia di migliaia di Tutsi e Hutu furono costretti
all'esilio. Nel 1988 alcuni rifugiati diedero vita ad un movimento di ribellione con base in
Uganda, il Fronte Patriottico Rwandese (FPR), rivendicando la loro patria. Nel 1990 l'RPF
sferrò un'offensiva contro il regime Hutu fermata grazie all'aiuto militare franco-belga, a cui
seguirono guerre e massacri. Quando nel 1993 le Nazioni Unite negoziarono un accordo che
spartiva il potere tra le tribù, per preservare il proprio potere, gli estremisti Hutu fecero in
modo di impedire che l'accordo venisse messo in atto. Il genocidio del Ruanda avvenne tra il
6 aprile alla metà di luglio del 1994. Per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente
(a colpi di armi da fuoco e machete) tra 800.000 e 1.000.000 persone. Il genocidio,
ufficialmente, viene considerato concluso con la missione umanitaria voluta e intrapresa dai
francesi, sotto autorizzazione ONU (l'Opération Turquoise).
159
guerre è invece dedicata Soldati che si pone il problema del numero di morti
causati dagli eventi bellici, scegliendo come epigrafe un frammento tratto da
Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi. Richiamandosi al girotondo
che nel poemetto Teresino rievocava la morte di un padre in guerra, Vivian
Lamarque scrisse una poesia anche in occasione della Guerra del Golfo297,
questa volta su committenza del giornale Repubblica, che, come recita la nota
al testo, lo pubblicò il 3 novembre 1990: Girotondo casca il mondo/ casca la
terra/ si alza la Guerra […].298
Agli immigrati, nuovi milanesi di colore, è invece dedicata la poesia
Testamento, a cui Vivian scrive di voler lasciare le cose di valore. Introduce
così i lavori umili a cui sono costretti per guadagnare qualche soldo: che per
due lire ci fanno i vetri luccicanti/ oh nostri innocentissimi emigranti/ per due
lire venuti da lontano/ con i vostri negozietti nella mano. Anche in Vu cumprà
l’autrice si rivolge a loro, affidandogli Milano, dato che è agosto e i milanesi
dalle case eleganti partono per le vacanze. Da questo invito fiducioso e per
nulla condizionato dalla diffidenza di molti nei confronti degli immigrati, la
poesia prende spunto per parlare della dignità umana, col diritto di essere
ognuno chiamato con il proprio nome: ma voi come vi chiamate?/ Vi abbiamo
tolto anche i nomi/ nelle nostre città/ vigilate voi, voi Persone/ che vi chiamano
Vù Cumprà, si noti anche la scelta di usare la lettera maiuscola nella parola
persona, ribadendo ulteriormente la loro dignità di persone con la p maiuscola.
Della difficile realtà in cui si trovano questi uomini e queste donne si parla
invece in Nuovi Dèi dove l’autrice si rivolge gentilmente ai lavavetri ai
semafori: non ho vetri oggi mi spiace/ per le vostre candide mani nere. Arrivati
in cerca di fortuna si sono ritrovati solo con
297
Il 2 agosto del 1990 il presidente iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del
Kuwait. L’attacco fu una dimostrazione di forza contro gli Stati Uniti ed i loro alleati, come
conseguenza della ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington
durante e dopo la Guerra Iran-Iraq (1980–1988). C’era però anche un secondo intento:
rivendicare all’Iraq l'appartenenza del Kuwait, nonostante l'Iraq ne avesse già riconosciuta
l'indipendenza quando il Kuwait era stato ammesso alla Lega araba nel 1963. Il 17 gennaio
1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio
iracheno in seguito alle sanzioni dell’ONU e all’inascoltato ultimatum, che imponeva il ritiro
delle truppe irachene. La guerra si concluse il 28 febbraio 1991 in seguito all’attacco
americano, l'operazione Desert Storm.
298
V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108
160
soprannomi ridicoli, teste
girate dall’altra parte a sperare
che venga verde che venga verde
in fretta per mille lire in più
negli antri delle nostre buie tasche
nuovi ostiari per nuovi Dèi
dai nomi Centomila Milione Miliardo.
Il brano si conclude con un’invettiva contro i nuovi Dèi, i soldi, che rovinano la
vita delle persone, e sono sempre più irraggiungibili per questi nuovi poveri.
Con la parola mondo si apre la sezione che del mondo parla, con Bella copia
nella quale l’autrice mostra il piacere dei nuovi inizi, ma anche dell’andare
avanti imparando dai propri errori, concludendo: se restan quegli sbagli nel
copiare/ la Bella Copia del mondo- o Felicità-/ non si può fare. In epigrafe il
componimento propone tre versi di Siro Angeli, che assurgono a principio per
rapportarsi nel migliore dei modi nei confronti del mondo e delle sue risorse:
ama il possesso che fa tuoi
ma non toglie agli altri
cielo e terra.
3.4 Il superamento del transfert
La raccolta Una quieta polvere continua il discorso analitico che la Lamarque
aveva esposto nella trilogia Il signore d’oro, Il signore degli spaventati e
Poesie dando del Lei. Riprendendo il titolo di quest’ultimo libro, la sezione
Poesie dando del Lei (altre) conclude il percorso interiore che l’autrice ha
intrapreso accompagnata dal caro Dottore, nell’esperienza di transfert prima
materno, poi paterno e infine amoroso.
La comunicazione, la comunione raggiunte attraverso il rapporto di traslazione aprono
una nuova dimensione che prima era preclusa e rendono finalmente possibile la
trasformazione: la signora è consolata da una forza più vasta che finalmente la
contiene.299
299
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.IX
161
Proprio la rielaborazione del transfert vissuto permette a Vivian di ammettere:
Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della
Vita. Ancora più espliciti sono i due testi che parlano della bambina che si era
sostituita all’adulta Vivian, ma che ormai se n’è andata. Guardi Dottore, scrive
la paziente finalmente consapevole di ciò che le sta accadendo, una bambina
mi ha spaccato/ la mente./ Guarda verso di Lei/ La chiama perentoriamente.
Un simile concetto, espresso con tono più forti, si legge in un componimento di
poco successivo:
Fuori dalla Sua porta
c’erano sei gradini
lì una sera trovò
qualcuno che dormiva
si chinò a guardare
era una bambina
oh ma non dormiva
oh ma non era viva.
L’apparente morte della bambina rappresenta così il superamento di quella
Vivian-bambina che era stata abbandonata e insisteva nel cercare un affetto
assoluto inottenibile. Anche in In bicicletta si esprime lo stesso concetto, in
modo molto più chiaro ed esplicito, nei versi conclusivi della poesia: l’infanzia
se ne è andata in bicicletta,/ da un giardino.
La guarigione è avvenuta proprio grazie alla fiduciosa relazione instaurata con
l’analista, che caramente la prese per mano, come recita la citazione di Dante
che apre la sezione. Sottolinea l’importanza di questo passaggio anche Rossana
Dedola nel suo saggio introduttivo a Poesie 1972-2002:
“Caramente” prendendola per mano, l’analista le ha permesso di attraversare il caos
primordiale per riportarla alla luce e le ha indicato una via che può essere compiuta da
sola.300
Ha inizio la fase di distacco dal Dottor B.M., che lascia che la paziente dica: Va
bene vada pure lontano/ non la inseguirò[…] mi lasci pure giù/ dal suo treno/
sono la valigia per sempre non Sua/ resto qui, mentre prima, per una situazione
300
Ibidem
162
simile, aveva avuto un atteggiamento esattamente opposto in La signora della
valigetta che invece, nascosta in una valigetta, partì con lui, per le sue
vacanze.301 Ora Vivian non si dice più innamorata dell’analista, che per la
prima volta chiama apertamente Analista in Un Analista di lino vestito, e
invece che chiedere Caro Dottore/ basta distanza/ varchiamo La prego/ il
confine della stanza302, la paziente più razionalmente scrive Caro Dottore/ un
amore vorrei/ uguale uguale/ a Lei dimostrandosi conscia dell’impossibilità
del superamento della distanza che li divide e non auspicando più un
impossibile infrazione alla regola analitica, quanto piuttosto uno speranzoso
desiderio di trovare un innamorato che sia simile al suo Dottore, ma non più il
Dottor B.M. in persona.
3.5 La scrittura
Prima della psicanalisi, fedele medicina di Vivian è sempre stata la scrittura,
modo per lei naturalissimo di esprimersi, come spesso dice:
mi interrogo sul perché mi è tanto facile scrivere per ore e ore, pagine e pagine di
poesie, fiabe, lettere. E perché, invece, non riesco a proferire verbo.303
Scrive al Caro Dottore304 la paziente in visita a Zurigo alla casa di Jung, le
brillano gli occhi come a un cercatore d’oro quando riesce a trovare la giusta
matita/ per fare in Suo onore un ghirigoro305, e gli fa notare che se ha scritto
qualche poesia di meno meglio, così ha potuto portargli anche piccoli regali,
pensieri, qualche poesia in meno/ ma un po’ di vita almeno.
301
V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.70
V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.51
303
S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996
304
V.L., Caro Dottore Le scrivo, in Una quieta polvere, cit., p.88
305
V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83
302
163
All’amato Pennino dedica l’omonima sezione, dove si descrive come poeta, o
meglio poetina306 e dove dichiara la propria dedizione allo scrivere:
Dopo di te
sposerò il mio pennino
e nessun altro
e nessun altro
il mio pennino
d’acciaio affilato
per sempre l’ho sposato.307
Il fatto stesso di poter comporre poesie permette a Vivian di dire, nonostante
tutto, sono quasi felice/ ti posso cantare e amorevolmente descrive la sua
stilografica, che sembra quasi d’oro per via del sole che batte su questo
pennino/ lo fa luccicare.308 Con una metafora che sempre di penne e pennini
parla, spiega che il tempo passa veloce, ma forse corre ancora di più quando si
sta scrivendo sembra sott’intendere a Estate, quando racconta mentre facevo la
punta alla matita/ l’estate è diventata autunno/ è già finita309. A chi come lei
ama la scrittura dedica I poeti (viventi) che ho amato, dai quali ha ricevuto bei
regali, tra cui libri meravigliosi e matite d’oro.
L’immagine dello scrittore che si appresta a scrivere viene utilizzata anche in
modo metaforico nel testo Bella copia, che apre la sezione Fine millennio. Già
il titolo richiama alla memoria la scrittura, la copiatura dei temi a scuola,
cercando di non fare gli errori fatti nella brutta copia, e proprio su questo
contrasto insiste la prima parte della metafora che introduce il racconto del
mondo con l’entusiasmo dello scrittore che si appresta a scrivere qualcosa di
nuovo.
Poter domani
il Foglio di Bella
della vita cominciare
correggere la brutta cancellare
togliere gli errori (modi tempi
sbagliati, nomi)
ritoccare.
306
V.L., Garzantina, ivi, p.61
V.L., Pennino (I), ivi, p.45
308
V.L., Pennino (II), ivi, p.62
309
V.L., Le quattro stagioni, ivi, p.59
307
164
Che bello il bianco foglio nella mano
luccica il pennino, cominciamo.
3.6 Il sogno
Seppur in misura minore rispetto alle precedenti raccolte pubblicate, anche in
Una quieta polvere ritorna la dimensione onirica della poesia della Lamarque.
Sogni di una vita che non ha potuto vivere a causa delle due fratture che
l’hanno segnata sono raccontati in Madri padri figli. Il pensiero di come
sarebbe stata la sua infanzia se non ci fosse stata l’adozione si intravede
nell’incontro col fratello Fabrizio, in quel potevo essere io che accompagna
l’immagine dei bambini che giocano in cortile che ritorna per due volte,
all’inizio e alla fine della lirica. Il sogno di una vita con la propria famiglia
naturale è nel secondo brano della sezione, Sogno d’oro (I):
Era una neonata/ un padre era contento che era nata/ una madre era contenta che era
nata/ la tenevano come niente fosse con loro.
Ma la voce narrante è consapevole di star raccontando una situazione
impossibile per Vivian, esattamente l’opposto di ciò che realmente è accaduto,
infatti il testo si chiude con l’ammissione di aver fatto un sogno bellissimo, un
bel sogno d’oro, ma impossibile, infatti ammette che è incredibile pensare al
fatto che i genitori la tengano proprio con loro. Chiude la raccolta il sogno di
un’altra famiglia, quella da lei costruita con Paolo e Miryam, ma anche questa
ormai spezzata dalla separazione col marito. Un altro sogno d’affetto spezzato,
ma non in Sogno d’oro (II), dove Vivian, questa volta usando la prima persona,
scrive non mi ero separata/ padre madre figlia/ la famiglia continuava unita/
oh il percorso bello della vita.
I desideri d’amore continuano nella seconda sezione, dove il testo mostra una
inedita disillusione. Sa di fare richieste fantastiche, lo ammette subito al primo
verso di Passero che però non la distoglie dal permettersi almeno di
immaginare amori di sole piume[…] sulle guance baci. Il racconto dell’amore
165
di Adelina e del suo sposino che l’aspettava/ in un giardino, fanno battere il
cuore dopo tanto a Vivian, che in Canto vive quel sogno di amore corrisposto
nel quale non è lei ad attendere invano l’amore suo buonissimo, bensì è l’amato
ad aspettarla. L’immaginazione galoppa invece in Glocken, dove il gioco non
ha alcun freno, sembra una previsione di un futuro prossimo, per il quale
fervono i preparativi, sarà un grande giorno il girono della settimana che ti
potrò vedere […] GIORNO SPECIALE. Sempre d’amore sono i sogni di
Poesie dando del Lei (altre), dove, con i toni delle precedenti raccolte, Vivian
propone fughe d’amore all’analista, o immagina la bellezza di una vita passata
insieme. Faremo anche noi/ un viaggio insieme un giorno/ valigie leggere/ per
il nostro viaggio in aria/ nessuna prenotazione necessaria; (Ma qualche volta
si vorrebbe/ dietro il fantasma l’uomo reale/ l’imperfetto amato/ l’altra metà
del cielo/ desiderato). Rispetto alla trilogia, il tono delle fantasie della paziente
è però cambiato, Vivian non è più certa di riuscire ad ottenere dal Dottore, che
convive con i sogni strampalati/ dei Suoi malati310, quell’amore tanto
desiderato, evidentemente anche questo un po’ strampalato. Si può interpretare
acquisizione dell’allontanamento definitivo dal dottore l’immagine dei primi
versi del sesto brano della sezione: Il fiume Po da Lei amato/ ho sognato./
Scorreva/ ma all’indietro[…].
Decisamente onirico è il tono del penultimo brano, Ballata degli occhiali neri,
che si divide in due parti: Al Cafè Haus e Ai giardini. La narrazione è confusa e
riunisce elementi biografici, come quello di una bambina che gioca a mamme,
la città adottiva Milano nell’immagine di Corso Sempione, gli occhiali neri
dell’amato analista, con altri elementi di meno immediata decifrazione, come
la Norvegia, il grande guanto per terra, la strana ragazza e lo strano ragazzo.
Mentre nella prima parte del componimento Vivian cerca l’analista, dietro gli
occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo/ e la voce
gentile[…] dov’era il suo bel cuore/ il suo cuore gentile, nella seconda parte
avviene finalmente l’incontro, d’improvviso i Suoi occhi/ gli occhi suoi
ritrovati/ e la voce gentile/ ma solo per l’istante/ prima di sparire. Quando
Vivian ritrova il Dottore, non ha più gli occhiali neri, forse perché non ne ha
310
V.L., Caro Dottore che cammina e cammina, ivi, p.89
166
più bisogno, lei non potrà più appoggiarsi a lui nelle difficoltà, e questa
sensazione crea un’iniziale spaesamento, che appunto si ripercuote su tutta la
ballata, che emblematicamente conclude: cercavo gli occhi amati/ e la voce
gentile/ forse sarà così morire. Il sogno ritorna anche in un altro brano che
parla di morte A D. morta a 36 anni dove Vivian esprime il desiderio che
l’amica fosse ancora in vita, scrivendo Sogno che sei viva/ che ti consolo della
morte di un altro, e allo stesso modo si consola per la perdita dell’amato in
Questa quieta polvere dicendo che ci sono le visioni/ con le visioni si può
vedere tutto anche il proprio amore sparito:
si può vedere la visione del profilo delle montagne
con lo sfondo del profilo dell’amore mio
oppure la visione di un fiume impetuoso
con dentro l’amore mio che guada
oppure la visione del lago di Brais
tutto circondato dall’amore mio.
3.7 La morte
Tema molto presente in Una quieta polvere è il tema della morte, già introdotto
col titolo della raccolta, che si richiama alla polvere di Emily Dickinson, quella
che l’autrice scrive was Gentlemen and Ladies/ and Lads and Girls-/ was
laughter and ability and Sighing/ and Frocks and Curls.311 La tematica
mortuaria che introduce così l’opera della Lamarque, riprende il riferimento
alla Dickinson nel poemetto centrale, Questa quieta polvere, traduzione
letterale della poesia ispiratrice. Nel poemetto, composto da strofe originali
intervallate da cinquantatre citazioni, vengono proposti altri versi della poesia
dickinsoniana, oltre che di fiabe e poesie nella maggior parte dei casi connessi
alla tematica trattata. L’alternanza tra i versi autografi con i versi citati, instaura
311
E.Dickinson, This quiet Dust was Gentlemen and Ladies, n.813, in E.Dickinson, Poesie,
Mondadori, Milano 1995 pp.452-455
167
un gioco contrastivo che spesso l’autrice utilizza per porre ulteriormente in
rilievo la tematica. Al ricordo del primo incontro con l’amato si contrappone
l’immagine della Morte Giardiniera di Marina Cvetaeva:dove si ritira l’Amore/
avanza la Morte Giardiniera, ai quali versi l’autrice ribatte: io non voglio la
Morte Giardiniera/ io voglio un giardino con dentro l’amore mio a zappare.
Ma poco dopo è la stessa Vivian a riportare in scena la tematica: i morti se li
tocchi sono freddi/ invece i vivi sono tutta un’altra cosa, e racconta dell’ amore
mio quando era vivo e lei era felice quando lo toccava. Di nuovo però incalza il
passare del tempo, e con esso l’avvicinarsi della fine. Cita i versi della
Dickinson aggiungendo io non voglio essere quieta/ io non voglio essere
polvere e poco dopo ribadisce un’altra volta il suo desiderio di vita: io non
sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946. Questo continuo scambio di battute
tra volontà di vivere e richiamo della morte attraversa tutto il testo, giocando
molto sulla contraddittorietà di molte immagini accostate. A questo proposito
Rossana Dedola nota il contrasto generato dalla citazione della fiaba di
Andersen che disegna il soldato mentre torna a casa dopo la guerra, mentre il
testo insiste sulla lontananza, e il fatto che successivamente il ritorno a casa
coincide con la morte, descritta attraverso la citazione di Afanasjev, “tornato
a casa comperò la bara vi si stese dentro e subito morì”, cui si aggiunge la
voce di Livia Candiani: “Oh i sagrati- disse il vento- è quasi sempre da lì che
rapisco i miei prediletti.312 Più si procede nella lettura del poemetto e più l’idea
della morte si fa insistente:
quando muoriamo noi
non è come quando muoiono gli altri
si vede l’ultimo oggetto della nostra vita
poi si viene messi sotto terra/ e nient’altro, nemmeno un movimento impercettibile
Il mattino dopo che si è morti
non ci si può svegliare
la vita è finita
è cominciata la morte.
Ritornano le citazione dalla Dickinson come: la morte è stata nella casa di
fronte; il mondo sa di polvere/ quando ci fermiamo a morire; poiché non
312
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.X
168
potevo fermarmi per la Morte/ lei gentilmente si fermò per me. Più si fa
insistente l’idea di una fine, più ritorna nel brano l’immagine dell’amato
lontano, il ricordo di quando era vicino, e la visione di quando finalmente
tornerà. Si insinua l’idea che il brano racconti della lontananza dell’amato,
lontananza così dolorosa e impossibile da colmare che è vissuta come la morte
dell’amato, che l’autrice vorrebbe ancora accanto a sé in vita. Proprio con
l’immagine sognata dell’amato si conclude il testo, ma anche nel sogno si
insinua l’immagine che domina tutto il brano: questa notte io ho sognato/ che
l’amore mio era tornato/ io facevo carezze alla sua mano/ ma la sua mano non
faceva carezze a me:/ l’amore mio aveva una mano di marmo […] l’amore mio
si fermerà per sempre/ e anche di più, un per sempre che ha i tratti
dell’Eternità.
Anche un altro amore impossibile, quello per il Dottor B.M., si conclude nello
stesso modo, con Vivian che immagina che almeno nell’aldilà potranno stare
insieme, essendo nella vita ormai appurata l’impossibilità di un tale amore.
Chiude la sezione Poesie dando del Lei (altre) la poesie Ma nell’al di là, dove
appunto questa idea viene portata avanti, vedendo la morte non più come
motivo di assenza, bensì mezzo di unione: ma nell’aldilà/ nessuno nessuno ci
separerà. In un altro brano si legge Caro Dottore/ quando La chiamerò
nell’aldilà/ ci sia mi raccomando/ (e ci sia l’Eternità), mentre in Così breve la
vita si immagina reincarnata in una fogliolina inseparabile dal suo albero, in
cui si è trasformato l’analista. Non ricorre la parola morte in questi testi, che
esprimono la gioia della tanto sperata realizzazione del proprio amore, ma il
vocabolo ritorna nella più inquietante ballata degli occhiali neri dove non
trovando più il dottore Vivian prova una sensazione che paragona al morire:
stavo per morire/ dov’era il Suo bel cuore/ […] forse così è la morte/ io mi
sentivo male/ male forte forte […] cercavo gli occhi amati/ e la voce gentile/
forse sarà così morire. Il Trasloco è invece vissuto come modo per sconfiggere
la morte, o almeno spaventarla per riavere indietro per almeno un po’ di vita
ancora un poco/ prima dell’ultimo trasloco, anche se poi il senso del titolo si
ritorce contro l’autrice, che infatti scrive: anzi traslocheremo ancora/ da terra
a fiore: io per me scelgo una margherita/ come casanuova/ in una novavita.
169
In Fuori dalla sua porta dove si esclama oh ma non dormiva/ oh ma non era
viva, così come in Cercasi casa: poesie per un trasloco, nella poesia
Condòmino, si crea un gioco mimetico tra sonno e morte nella descrizione
della morte della bambina nel primo testo, mentre nel secondo nel racconto
dell’ultima notte passata da un vicino dell’autrice:
Cammino piano, qua sotto
al terzo piano dorme un condomino
morto. […] Ha dormito con noialtri condomini
essendo notte sembrava a noi uguale
ha dormito otto ore ma poi ancora
e ancora e ancora […] ora che noi ci muoviamo
non è più a noi uguale. E’ un condomino morto.
Sono raccolte in Una quieta polvere più di una poesia dedicata a persone
defunte: la poesia per l’amato babbo Dante, Caro Babbo II […] che hai fatto in
tempo/ a salvare anche me/ prima di morire a 34 anni, o per l’amica Daniela,
anche lei morta giovane, A D. morta a 36 anni, per la morte della madre
naturale, come ci rivela il titolo morta per un Ictus, la cui morte, ulteriore
separazione, è motivo per rinfacciarle di nuovo l’abbandono subìto a nove
mesi, di nuovo/ senza dirmi niente/ sei andata via/ madre e non-madre/ mia. La
morte della madre è riproposta nel cupo componimento che apre la raccolta,
Era la casa, dove gli ultimi versi parlano della madre morta che rimase […]
per terra tre o due notti a parlare col gatto, che conosceva la lingua dei morti e
sempre lei è paragonata alla morte in Ade, dove scrive la Morte è una madre
che abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. In occasione
dell’anniversario della morte di Pasolini, l’autrice propone la poesia A Pasolini
mentre invece ci tiene a sottolineare che è per i poeti ancora in vita la poesia I
poeti (viventi) che ho amato. Anche nella chiusa alla raccolta, l’autrice
ribadisce un concetto simile, quando scrive siamo poeti./ Vogliateci bene da
vivi di più/ da morti di meno/ che tanto non lo sapremo.313
Il tema della morte è ampliamente trattato anche in Fine millennio, contenendo
la sezione numerose poesie d’argomento bellico, come Soldati, Ruanda,
Pueblo, Girotondo dove scrive i vivi diventano morti./ Come gioca la Guerra/
313
V.L., P.S., in Una quieta polvere, cit., p.133
170
oh guarda un bambino/ sotto la terra. In Nuvola Vivian immagina di vedere
una grande nuvola formata da milioni e milioni di persone, sono i Già-Morti o
che siano i Non-Ancora/ Nati? Ma subito dopo inizia l’elenco delle cause di
decesso delle anime che vede in volo, persone ma anche animali e piante.
Scrive anche un poetico Testamento, nel quale dice di voler lasciare le cose di
valore/ ai nuovi milanesi di colore, mentre in Di colore il riferimento non è più
alla pelle delle persone immigrate, bensì al colore del fiore che crescerà sulla
terra che ci ricoprirà quando tra un po’ di anni saremo polvere, riproponendo
l’immagine della Dickinson.
La raccolta si conclude con una sezione interamente dedicata alla morte, che si
apre con l’immagine della morte che ci aspetta paziente/ in un angolino/
conosce il giorno e l’ora/ che noi non conosciamo ancora314; alla concretezza
della morte si riferiscono con ironia i versi di Lo diventeremo dicendo poverini
di coloro vogliono essere magri e belli da vivi, poiché lo diventeremo/
magrissimi e bellissimi/ come la terra e gli insetti/ come i fiori. Invece è vissuta
serenamente l’idea di una prossima morte in Vicini, dove rendendosi conto che
i suoi vicini “di terra” saranno proprio gli amati Fiori e l’Erba scrive: li
accarezzo preparo/ la nostra futura amicizia/ saremo così vicini! Ma anche in
questa sezione la meditazione sulla morte dà un’altra impronta all’esistenza,
un’altra lucidità allo sguardo, come ad esempio in A vacanza conclusa, dove
l’inaspettato interrogativo finale, sarà così sarà così/ lasciare la vita?, rovescia
una situazione apparentemente lontana da qualsiasi assillo metafisico come
quella dei bagnanti sulla spiaggia315.
Scrive in un articolo Franco Loi, tirando le somme sull’idea della morte
raccontata attraverso la poesia:
Ha ragione Vivian Lamarque nel sentenziare con una certa ingenuità:” I morti se li
tocchi sono freddi”. Non di cose morte parla il poeta, ché anche quelle che sembrano
morte sono ravvivate dagli ulteriori significati e dal riproporsi delle faglie nascoste.
[…] Per questo la poesia scorre insieme alla vita e ne possiede l’identica utilità.316
314
V.L., Ci aspetta, ivi, p.123
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI
316
F.Loi, Versi cresciuti tra le ortiche, in “Il Sole 24 Ore”, 19 maggio 1996
315
171
4. Narratore e interlocutori
La voce narrante nella raccolta Una quieta polvere è quasi sempre coincidente
con la voce di Vivian, protagonista e narratore della propria vicenda personale.
Fa eccezione la prima sezione, Madri padri figli, nella quale l’autrice riprende
il modo narrativo già adottato in Teresino parlando di se stessa in terza
persona, soprattutto nei componimenti che raccontano della sua infanzia.
Quando, ad esempio, in Bambina scrive: Col punto erba/ col punto croce/
diligente si cuciva le labbra/ faceva il nodo, conoscendo la biografia
dell’autrice, ci è permesso dire che la bambina di cui la Lamarque narra la
sofferenza in questa poesia è proprio Vivian. La scelta della terza persona, da
parte della voce narrante, permette a chi racconta di prendere le distanze dalla
storia, e quindi anche dal dolore provato in quei momenti. La stessa modalità
172
narrativa è infatti adottata in altri testi che raccontano dell’abbandono e della
solitudine vissuta in quegli anni, come in C’era un muro, quando racconta
dell’insopportabile
silenzio
della
propria
casa,
o
in
Cucchiaini,
rappresentazione dei solitari pasti passati a parlare con le posate e in Riso in
bianco. Lo stesso meccanismo è scelto per raccontare della casa natia,
introdotto con un generico titolo Era una casa la cui eco fiabesca è subito
eliminata dalla descrizione cupa e sofferta e dall’immagine della madre morta,
così come in Sogno (I) si racconta dell’illusione di non essere mai stata
abbandonata dalla propria famiglia naturale.
Spesso Vivian intitola le sue poesie con il nome (o il soprannome) della
persona a cui si rivolge poi direttamente all’interno del testo, quasi
riproposizione di una parte di un dialogo dove non venga però trascritta la
risposta dell’interlocutore. Nella poesia Paolo già al primo verso Vivian dice al
marito: quel conoscerti, in Mamma parla affetuosamente all’anziana madre
adottiva: Hai solo otto anni […] che bella madre mia, in Al mio cane Brigante
si rivolge proprio al suo cane, ricordando di una nevicata: la tua ciotola era
piena di neve, all’amica morta scrive in Cara Daniela e in A D. morta a 36
anni: Sogno che sei viva317, o come facevi tu/ ti ho vista con la penna/ in
mano[…] Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti318, e anche in A
Pasolini scrive: per il tuo anniversario/ di assassinato.
Il narratore adotta la seconda persona per rivolgersi al suo interlocutore anche
quando non è espressamente dedicato a lui il titolo del brano, come in Pennino
(I) dove Vivian parla a un tu che evidentemente è il marito Paolo, poiché
scrive: Dopo di te/ sposerò il mio pennino/ e nessun altro, così come a un tu
non precisato, ma ipoteticamente sempre il marito, è rivolto il ti ho voluto del
bene in più de La notte dei gattini, o quello di Pèss Fritt nel quale l’autrice
immagina proprio la risposta dell’amato durante la telefonata che sta
aspettando di ricevere: Lè tutt el dì che sun chì a spettà la tua telefunada.
In modo simile il narratore procede nella sezione Poesie dando del Lei (altre)
nelle quali l’utilizzo della terza persona è richiesto dal contesto, ma il dialogo
tra i due è diretto, vera e propria mimesi con un interlocutore “assente”, non
317
318
V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124
V.L., Cara Daniela, ivi., p.125
173
essendo riportate le sue battute, ma anche per simboleggiare la mancata
risposta dell’analista alle richieste dell’innamorata paziente.
Nelle ultime due sezioni della raccolta, Fine millennio e Come fiori, Vivian
adotta anche la seconda persona plurale. Questa scelta poetica è da riferire alle
tematiche trattate nelle due parti: la situazione sociale e storica contemporanea
nella prima, la morte nella seconda, entrambi argomenti che si aprono a un
interesse collettivo. Mentre prima la dimensione narrata era spesso la vita
privata di Vivian e la sua rete di affetti, ora il discorso, facendosi più generale
coinvolge anche il lettore, che diventa interlocutore e insieme destinatario dei
componimenti poetici. In Bella copia si parla della nostra bella copia, in
relazione alla Bella del mondo, invece in Di colore sottolineando il destino che
accomuna tutti gli uomini, indipendentemente da posizione sociale o colore,
scrive: tra un po’ di anni/ saremo polvere di terra, così come quando in Lo
diventeremo, che alla seconda persona dà rilevanza già nel titolo, la voce
narrante dice poverini che vogliamo/diventare magri belli/ lo diventeremo. Più
che esplicita è la scelta del narratore di unirsi serza riserve al proprio
interlocutore, proponendo già nel titolo il pronome Noi che da subito mette a
fuoco la prima persona plurale che percorre tutto il brano, come anche in
Queste conchiglie, dove si legge: saremo noi.
Si amplifica ulteriormente l’effetto di risonanza delle parole del narratore in Vù
cumprà, in cui il dialogo non è “limitato” al gruppo noi, ma si compie un vero
e proprio scambio tra due comunità, quella dei milanesi “doc” con i quali si
immedesima Vivian, e quella dei nuovi milanesi di colore a quali ci si rivolge
col la seconda persona plurale, per affidargli, con grande fiducia, l’amata città:
Agosto ce ne andiamo/ vi lasciamo Milano/ vigilate voi.
La scelta compositiva che caratterizza il poemetto della terza sezione è la
varietà, essendo Questa quieta polvere diviso tra testo autografo e citazioni da
altri poeti. Tale scelta, proponendo frammenti tratti da testi i più disparati, fa sì
che alla voce di Vivan che nella maggior parte dei casi parla in prima persona
lamentando la perdita del proprio amore, si alternino invece strofe nelle quali il
narratore è un altro, molto spesso non identificato, come succede fin dai primi
versi della lirica con la citazione dai fratelli Grimm e subito dopo dalle Fiabi
174
Piemontesi: Che fa il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte
ancora/ E poi non verrà più/ Disse al figurinaio: fammi una statua di cera/ che
si muova come un uomo vero. In questo caso, come molte altre volte nella
raccolta, l’autrice propone brani che continuino la modalità narrativa da lei
utilizzata, ossia il discorso in prima persona. Il narratore così non modifica di
troppo il suo modo di rivolgersi al proprio interlocutore, ma allo stesso tempo
si crea un effetto di spaesamento nel lettore che caratterizza tutto il testo
poetico.
Per quanto riguarda i testi citati che non propongono una modalità narrativa in
prima persona, questi vengono inseriti nel contesto in modo metaforico o
esemplare, parlando sempre dei due protagonisti della poesia della Lamarque:
Vivian e il suo amore sparito. In un certo reame in un certo stato/ vivevano un
tempo un re e una regina narra una delle fiabe russe raccolte da Afanasjev,
mentre Andersen scrive: un due un due un soldato avanza marciando per la
strada mestra […] era stato in guerra e ora tornava a casa, testo che introduce
un lungo discorso sull’amore mio, quasi l’amato fosse quel soldato che marcia
finalmente verso casa, costretto ad abbandonare la sua vita a causa della guerra.
Nelle ultime parti del poemetto si insinua in Vivian il dubbio che l’assenza
dell’amato sia dovuta alla sua morte, ultimo tentativo di giustificare la sua
assenza come dovuta a cause altre, non al non amore di lui: tornò a casa
comperò la bara vi si stese dentro e subito morì, scrive citando Afanasjev,
mentre da Andersen propone: il piccolo Claus prese la vecchia morta e se la
mise nel proprio letto ancora caldo per vedere se risuscitava ma l’amore non
torna in vita, o meglio nella vita dell’innamorata. Il testo si conclude
coinvolgendo anche l’affetto familiare, con due citazioni dalla Storia dei
Valdesi del bisnonno della Lamarque, Ernesto Comba, che narra della
sofferenza dei bambini durante le persecuzioni a cui si accosta una frase dal
film Giochi Proibiti che dice: Voglio tornare da mamma e papà riproponendo
la prima persona del narratore fino alla conclusione del testo, che circolarmente
riprende la citazione che aveva introdotto la narrazione poetica:
Che fa il mio bimbo?
Che fa il mio capriolo?
175
Verrà tre volte ancora
E poi non verrà più.
4.1 I personaggi
La raccolta Una quieta polvere si differenza dalla raccolte precedenti per la
scelta di non strutturarsi intorno a un unico tema. L’edizione 1996 raccoglie
testi molto variegati con una varietà tematica che dà lugo a una lunga serie di
personaggi, alcuni presenti in una sola poesia, altri in una o più sezioni.
Dello stretto nucleo familare già incontrato nel 1981 e composto da Vivian, il
marito Paolo, la figlia Miryam, il genitori adottivi e la lontana ma sempre
nominata madre naturale, in Madri padri figli l’autrice racconta ampiamente
nella sezione, parlando della figlia in Miryam, in Febbre, in Calzina, in Esame
e in Quando il papà, del quale si racconta in Paolo con grande affetto.
Affettuosi e riconoscenti sono i componimenti che raccontano della madre
adottiva, la mamma ormai ottantenne che in Latte viene descritta come madre
premurosa e generosa, mentre con sofferenza si parla dell’altra madre, ormai
morta per un Ictus, la cui assenza è ricordata in Crochet, Ade, Era la casa. Le
poesie del 1996 aggiungono personaggi alla vita familiare dell’autrice, che ci
presenta i suoi tre fratelli, o fratellastri, Marzio, Fabrizio e Orietta, oltre al
padre naturale E./ che facevi il preside. Accanto alla famiglia vera e propria
nelle dediche alle varie liriche si incontrano lo zio Umberto e i vicini Franco,
Mimmo, Lucia, Anna i cui nomi si intrecciano al ricordo di generici bambini
con cui Vivian racconta di aver passato l’infanzia, come la bambina del
Polesine detta dell’alluvione319 o i bambini conosciuti nell’estate di Guarda i
bambini delle colonie. Anche l’amato, e al lettore ormai familiare, Dottor B.M.
torna di nuovo nei versi dalla Lamarque in Poesie dando del Lei (altre) sia
nella dedica, sia nei brani raccolti, che ci forniscono qualche altra informazione
319
V.L., Dell’alluvione, ivi., p.22
176
sullo schivo personaggio dell’analista come il fatto che portasse degli occhiali
neri.
Tutta la raccolta si popola di dediche a persone le più svariate, a seconda che si
racconti di loro o di un episodio vissuto insieme che fa tornare alla memoria
quelle persone. Quando Vivian ascolta la canzone Adelina si ricorda di Gioxe e
Patricia, oltre che di M. ed L., ne La notte dei gattini si ricorda di R., in
Glockein il lettore ritrova M. e in Piove L.B., e il caro cane Brigante è ricordato
nell’omonima poesia. L’amica Alida Ariaghi è ricordata nella dedica della
sezione Cercasi: poesie per un trasloco, ma anche in Caro Dottore le scrivo, in
occasione del viaggio di Vivian a Zurigo, poesia nella quale compare anche
l’amica Rossana a cui l’autrice dedica Publo, a lei e ad Antonio. Ai vicini
Franco, Marisa e Marco è dedicata Trovata, dove si parla di loro come una
vera famiglia/ con un bambino che assomiglia e del vicino Signor S. si
racconta in Condòmino. In Come fiori con due brevi poesie l’autrice ci propone
un ritratto dell’amica Daniela, con la penna/ in mano, con i calzettoni/ al
ginocchio, ultima di noi tutte/ a passare al nylon (non volevi eri speciale)[…]
Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti […] una è uguale uguale a te.
Proprio in quest’ultima sezione col brano Dediche senza poesie l’autrice ci
propone una summa di tutte le persone di cui ci ha raccontato nella raccolta,
con anche dei nuovi personaggi, propositi qui per la prima volta: A Paolo, a
Vittoria, a Ada Tommasi che ci leggeva poesie nell’ora di storia, […] a mia
madre che mentre legge cuce, alla madre di Giorgio, il fidanzato della figlia
Miryam, a suo padre lontano, a Giorgio e progetti, a Miryam quando era
bambina con Fra, Monica, Ba, con Paolo Novarese, con Paola e Cristina,
Elisabetta amica e cugina, a Gabriele, agli zii e alle zie, ai cari Pellegrinelli,
Provera, cognomi delle famiglie della madre e del padre adottivi, e Nodari, a
Egle bambina, a Babi mio inizio, a Fausto e Fabrizio, al bosco con dentro mio
fratello Fabrizio che suona, a Marzio, a Orietta, Matilde e Susetta, a Doris e
Alice, agli Spini, ai Valdesi bambini. Alle mie compagne di scuola Tinini e
Farina, a Renato sul palco, a Valentina, a Patricia e Gioxe speciali, dedicatari
della poesia Canto, come Chiandra e Deep diversi e uguali, a Franco e
Ornella, a Crudelucci, Elena, Mirella, a Aura di Ravi e Giacomino, a Mario, a
177
Carla, A Roberto R. nel fumo […] A Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro
giardini tutti in fila, amiche e vicine di casa del quartiere QT8, […] a F. e ù. A
Irlando, Olga, Lavinia e formichine, alle Melusine e auguri di bene alle
Ragazze Irene. Ai Montagnani grande famiglia menestrella, alle signore Basi e
Sbattella, a Wlady, alla scuola, alle mie allieve […] a Francesco, a Giulia,
Cinzia e Serena, […] a Maurizio, che ha vinto la mia pigrizia,[…]. Infine
viene introdotto il nome di chi collabora con lei per la pubblicazione della
raccolta poetica alla Mondadori: ai nomi che mi sono dimenticata, che correrò
a telefonare a Tettamanti, ma lui mi dirà neanche parlarne, escluso, il Libro
ormai è Chiuso, il Libro è Chiuso.
Vanno infine ricordati i personaggi senza nome di cui l’autrice scrive nella
sezione Fine millennio, dedicata appunto ai poveri che ci circondano, dagli
immigrati di Testamento agli animali maltrattati di cui Asinello è emblema, dai
vù cumprà alle persone che lavano i vetri ai semafori in Nuovi Dèi, dai fiori e
la natura maltrattata dall’uomo in Requiem per margherite alle vittime delle
guerre nel mondo di Girotondo, Pueblo, Soldati e Ruanda.
5. La forma dei testi
Una quieta polvere appare come un contenitore ampio e aperto, capace di accogliere
lirica cronaca e fiaba, poemetti di tono elegiaco e testi d’occasione ( sulla guerra del
Golfo, su Pasolini, sugli extracomunitari a Milano), epigrammi, parodie, frammenti
autobiografici. Il principio unificatore finisce per essere non tanto un tema o una
situazione, quanto l’autrice stessa, che si affaccia senza più schermi in primo piano.320
La varietà tematica caratterizzante questa raccolta poetica, si riflette così anche
sulle strutture metriche che l’autrice sceglie per i testi qui pubblicati. Il metro
prediletto dalla Lamarque continuia ad essere breve, come lo dimostrano i
componimenti di soli quattro o cinque versi come Bambina, Ictus, Crochet,
Febbre, Esame, Sogno d’oro (II), Piove, Orto, Garzantina, Pennino (II),
Fuochista, Pueblo, Soldati, Di colore, Noi, A vacanza conclusa e altri, oltre la
brevissima poesia Ade, composta da soli tre versi. L’opera raccoglie però
320
U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996
178
componimenti poetici anche più consistenti, con almeno una decina di versi e
un andamento ritmico scandito da rime e dalle figure di suono sempre
frequentissime nella produzione poetica della Lamarque. In Vù cumprà, per
esempio così come in Conoscendo l’altro fratello o in Ma nell’al di là, il verso
si mantiene breve per tutta la poesia, agevolando nel lettore la percezione della
musicalità del brano e l’individuazione immediata di rime facili e frequenti,
spesso baciate:
Agosto ce ne andiamo
vi lasciamo Milano
vigilate voi, noi assenti
sulle nostre case eleganti
sui bei ladri distinti
sui governanti
non ce ne andiamo, vi lasciamo
i nostri cani adorati
affamati assetati […].
Più varia la struttura di molti dei componimenti di media lunghezza a verso
libero, spesso con poche rime, ma ritmicamente giocati sulla sonorità delle
parole di cui si compone il testo, tra questi Paolo, Glocklein, I poeti (viventi)
che ho amato, Autoritratto, In bicicletta, Caro Dottore le scrivo, Nuovi Dèi e
moltissime altre. Si prenda come esempio Testamento, testo di quindici versi di
misura diversissima, dalle sei sillabe del v.1 alle quindici del terzultimo:
A certi che so io
lascio tutto e agli altri niente.
E le poesie belle agli amici
e ai nemici le brutte.
E le cose di valore?
Le cose di valore
ai nuovi milanesi ci colore
che per due lire ci fanno i vetri luccicanti
(oh nostri innocentissimi emigranti
per due lire venuti da lontano
con i vostri negozietti in una mano).
E lascio i miei fiori al mio giardino
e alla terra gentile che mi starà vicino
ci faremo senza voce compagnia
e buongiorno morte e così sia.
179
La maggior parte dei componimenti continua le modalità compositive che già
avevano caratterizzato i testi raccolti in Teresino: versi liberi, di poche o
moltissime sillabe insieme nella stessa poesia, componimenti brevi con rime
non coincidenti con la frase poetica e spesso individuabili solo con una lettura
ad alta voce: Asinello è composto da sette versi, Abbandono da sei, Parto
raccoglie otto versi mentre Dell’alluvione undici e così molti altri. Alcuni di
questi sono anche divisi in piccole strofe, come Riso bianco, Conoscendo un
fratello, Bella copia, Ci aspetta oppure in Babbi e in Le quattro stagioni, dove
ad ogni strofa viene dato il titolo, investendola del ruolo di piccolissima
sezione poetica. La stessa struttura ritorna anche in Adozione ninna-oh o in
Requiem per margherite, in questi casi però la divisione strofica è utilizzata per
dividere il brano poetico in parti che si ripetono, come in filastrocche, con il
corpo del testo e un breve refrain che ritorna più volte nel testo: ( e ho paura
non si aprono/ più sui moderni treni/ i finestrini) si ripete in Requiem per
margherite. La ripetizione è una delle caratteristiche più evidenti di Questa
quieta polvere, lungo poemetto composto da nove sezioni al loro interno divise
in strofe di diversa lunghezza, come e adesso dov’è l’amore mio? o tagliategli
la testa! ordinò la regina formate da un unico verso mentre di sei versi è la
strofa
fa la ninna fa la nanna
tesoruccio della mamma
della mamma e del papà
che stasera tornerà
tornerà per lo stradello
del vicino campicello.
o i cinque versi di
questo tunnel è lungo come quello
di gran lunga più lungo di tutti
in una serie di lunghi tunnel
lungo come quello che la gente in treno dice
questo è quello lungo.
Già nel 1981 l’autrice aveva proposto un poemetto, Teresino, che in Una
quieta polvere si amplia ulteriormente svolgendosi su 418 versi. Metro nuovo
180
per la Lamarque è invece la ballata, come si definisce il testo Ballata degli
occhiali neri diviso in due sezioni, con versi brevi e la ripetizione di: Dietro gli
occhiali neri/ io le cercavo gli occhi e forse così è la morte/ io mi sentivo male/
male forte forte.
Ritorna la stessa struttura di Poesie dando del Lei nella prima parte sezione
omonima, con la successione di brevissimi testi di tre o quattro versi, senza
alcun titolo. Anche l’idea della prosa poetica delle prime due raccolte della
trilogia e di L’amore mio è buonissimo si ritrova in Una quieta polvere, nel
primo testo, Era la casa, dove quattro lunghissimi versi, con numerosi a capo,
occupano dodici righe nell’edizione 2002 e quindici nel 1996. Il solo terzo
“verso” recita:
Ti accarezzava ti strangolava, ti accarezzavano gli archi le volte le lunghe finestre
dell’architetto Decker con dentro i monti il giardino l’albero delle noci, ti strangolava
la cucina avariata, avvelenata ti strangolavano gil argenti i trucidi testamenti un dio
che rinnegava escludeva sacrificava, era la casa più orrenda con piattini avariati per
bambini abbandonati e la più gentile con pratoline nuvole fuoco di camino.
6. Fonti e modelli di scrittura
Il titolo della raccolta Una quieta polvere rende omaggio all’amata Emily
Dickinson tramite una piccola variazione alla poesia This Quiet Dust,
riproposto invece in traduzione letterale nel poemetto. Il lungo componimento
della Lamarque cita altri sei versi tratti da altrettanti testi della poetessa
americana: I am alive – I guess-; There’s been a Death, in the Opposite House;
The World – feels Dusty; Because I could not stop for Death-; Between the
form of Life and Life. Il tema di questi componimenti è la morte, protagonista
di Una quieta polvere e tra i temi principali della raccolta:
Poiché non potevo fermarmi per la Morte
lei gentilmente si fermò per me
quando muoriamo noi
non è come quando muoiono gli altri
181
si vede l’ultimo oggetto della nostra vita
e nient’altro
Questa Quieta polvere
fu Signori e Signore
io non sono morta io sono nata,
il 19 aprile 1946.321
Come in Teresino ritornano in questa raccolta i modi di Pascoli e della poetica
del fanciullino che col suo stupore permette al poeta di comporre poesie:
Da sotto il tavolo spiare
le monchine
che nel camino fanno
puntini di esclamazione
e di domanda322
Oggi gli Dèi
mi hanno mandato un regalino:
una castagna lucida
di quelle matte
ride nel mio giardino.
Inoltre ritorna la levità dell’autrice che riprende i modi di Sandro Penna, autore
anch’esso molto amato e letto che sul piano formale ricerca costantemente
grazia, leggerezza e candore, nonostante la sofferenza provata:
Col punto erba
col punto croce
diligente si cuciva le labbra
faceva il nodo.323
Piove l’amore mio si bagna
mette rametti e foglie
nel mezzo del giardino
cespugli e arbusti spiano
l’insolito vicino.324
321
V.L., Una quieta polvere, in Questa quieta polvere, cit., p.73
V.L., Le monachine, ivi, p.48
323
V.L, Bambina, ivi, p.20
324
V.L., Piove, ivi, p.52
322
182
Anche la brevità dei componimenti accomuna i due poeti, brevità che
caratterizza la quasi totalità della produzione della Lamarque.
Costante è il riferimento alla propria esperienza personale nella poesia
dell’autrice, così come Giovanni Giudici punta su temi quotidiani e
autobiografici. E ricorda i modi del poeta anche l’ironia, utilizzata per superare
l’amarezza di alcuni momenti della vita:
Di nuovo
senza dirmi niente
sei andata via
madre e non-madre
mia.325
Le mie gite apro la finestra
e raggiungo l’orto
guardo i legumi in fila, raddrizzo
un pomodoro storto.326
La poesia di Giudici, oltre che a soffermarsi sul reale evento, tendendo al
mondo psichico del soggetto introduce situazioni oniriche, così come in modo
molto più ampio procede Zanzotto. A una simile dimensione allucinata si più
collegare l’immaginario onirico e confuso del poemetto Questa quieta polvere:
Le acque di una stessa rapida vanno fra mille ostacoli
Poi si riuniscono, anche se non subito
dimmi: ma tu e l’amore tuo siete di una stessa rapida?
sì se no non saremmo una volta confluiti
e quando sarebbe non subito?
fra mille e ottomila generazioni finché questo ciottolo
diventi masso
certe volte io credo di assomigliare a qualcuno
certe volte io credo di non assomigliare a nessuno
io assomiglio a me stessa
innamorata dell’amore mio.327
325
V.L., Ictus, ivi, p.30
V.L., Orto, ivi, p.54
327
V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66
326
183
Nella maggior parte della raccolta però domina lo stile piano tipico dell’autrice,
nella quale si inseriscono anche rimandi alla dimensione più popolare, come le
preghiere e le ninne nanne, come in Preghiera delle mamme/ che hanno
involontariamente mancato/ nei confronti dei propri figli328, o in Adozione
ninna-oh. Proprio riguardo alla ripresa dei toni fiabeschi si può notare che
se a qualcosa somigliano, queste poesie somigliano un po’ alle fiabe e ai racconti
autobiografici incantati e crudeli che Elsa Morante (altro scrittore alle cui origini c’è
una contorta vicenda familiare) pubblicava, poco più che adolescente, sul “Corriere
dei piccoli”.329
Rossana Dedola, invece, per quanto riguarda l’inserzione di numerosi pezzi
sulla difesa dei diritti degli animali, dei quali l’autrice cerca di prendersi cura,
propone una similitudine con l’Anna Maria Ortese di Popoli Muti e di Bambini
della creazione:
Un paradiso subito
per questoa Asinello
con mosche a mille
intorno agli occhi miti
e il mondo intero
da trasportare
per poter mangiare.330
328
V.L., Preghiera delle mamme, ivi, p.39
D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996
330
V.L., Asinello, in Una quieta polvere, cit., p.114
329
184
CAPITOLO V
POESIE 1972 – 2002
GLI INEDITI
185
1. Genesi e storia
Nel 2002, in occasione dei trent’anni di carriera poetica dell’autrice, la casa
editrice Mondadori pubblicò Poesie 1972-2002, opera che la quarta di
copertina definisce raccolta completa delle sue poesie. Le date riportate nel
titolo del libro indicano infatti l’anno della prima pubblicazione su Paragone,
ma nel libro sono riproposte esclusivamente le poesie contenute nelle varie
raccolte poetiche. L’anno 1972, quindi, non indica tanto la volontà di
raccogliere tutte le poesie pubblicate dall’autrice fin dal suo esordio con
Giovanni Raboni, bensì la data cronologicamente più lontana nella quale
furono composte alcune delle liriche inserite nella raccolta Teresino e in Una
quieta polvere.
Raccolta di raccolte poetiche, al quale venne assegnato il Premio Speciale
Camajore nello stesso 2002, il volume continua l’abitudine della Lamarque di
non costruire il libro poetico rispettando l’ordine cronologico delle poesie, ma
piuttosto dando la precedenza all’intento comunicativo. Anche questa edizione
riporta infatti in indice dei numeri tra parentesi che seguono i titoli delle poesie
per indicare l’ordine cronologico di composizione. A livello macroscopico,
l’autrice in quest’opera riepilogativa del suo lavoro, modifica la successione
originale della trilogia psicanalitica, ponendo Il signor d’oro e il signore degli
spaventati uno dopo l’altro e prima di Poesie dando del Lei, cronologicamente
anteriore a l’edizione Pegaso.
Le raccolte proposte in Poesie 1972-2002 sono quindi poste in quest’ordine:
Teresino, Il signore d’oro, Il signore degli spaventati, Poesie dando del Lei e
Una quieta polvere. Novità dell’edizione 2002 è l’inserimento di un gruppo di
testi inediti, inseriti nell’ultima parte del volume, intitolata appunto Inediti,
nella quale sono raccolti il poemetto L’albero e le Poesie dedicate.
186
Pubblicata nell’ottobre 2002, l’opera riscosse da subito un grandissimo
successo, esaurendo in poche settimane le settemila copie della prima tiratura.
Si legge sul Corriere della Sera a tal proposito:
Un giorno, al termine di un incontro con gli alunni di una scuola superiore Vivian
Lamarque si sentì chiedere da un ragazzo: «Ma che poesie sono le sue? Si capisce
tutto». Nell' evidente delusione di quello studente davanti a un' autrice che scardinava
tutte le sue idee sulla poesia, almeno su come era abituato a intenderla, c'è
probabilmente anche la chiave del successo delle raccolta (Poesie 1972-2002,
Mondadori) che Vivian Lamarque ha pubblicato a ottobre e che prima di Natale ha
esaurito le settemila copie della tiratura (ora ne sono state ristampate altre cinquemila).
Un traguardo importante in un Paese di non lettori di poesia. «Forse ciò che ha colpito
di più è proprio quel "capire tutto", la spontaneità, la facilità apparente dei versi, la
mia predilezione per la rima baciata che suona come una gentilezza per le orecchie»,
cerca di spiegare Lamarque. Intorno a questo, più o meno, ruotava anche la
motivazione del premio Viareggio, vinto nel 1981. A catturare, però, è probabilmente
anche la dolorosa materia autobiografica di cui trattano molte delle poesie […].331
Sei anni intercorrono tra l'ultima raccolta, pubblicata nel 1996, e l’opera omnia
Mondadori del 2002, anni in cui l’autrice continuò le pubblicazioni per
l’infanzia, numerose in questo periodo, ma oltre a ciò, alle contingenze
familiari è collegabile la relativamente lunga pausa editoriale. Anche tra la
prima pubblicazione e Il signore d’oro erano trascorsi cinque anni, ma in
seguito alla terapia analitica l’attività poetica dell’autrice era diventata molto
più fervida, con le successive tre raccolte pubblicate a distanza di pochi anni.
Se dopo Teresino era stato un motivo doloroso a rallentare il lavoro
dell’autrice, in questo caso una delle cause della pausa poetica editoriale può
essere addotta alle novità familiare avenute in quegli anni. Nel giugno del 1996
la figlia Miryam si sposò con Giorgio, sei sei del novantasei332, come recita
una delle poesie inedite scritta per l’occasione, e nel 2000 nacque la nipotina
Micòl, anch’essa ricordata in alcuni degli inediti.
Racconta l’autrice nell’intervista con Silvio Soldini:
Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo
vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la
331
C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”,
6 febbraio 2003
332
V.Lamarque, Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano
2002, p.240
187
nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco
di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia,
che siano i bambini. E’ una scelta che sono contenta di fare […].
Spiega poi sfogliando il quaderno su cui era solita registrare in ordine
cronologico divise per anno, con tanto di data, i titolo di tutte le poesie
composte:
Guarda quando ti dicevo prima che dal 2000 la mia vita è cambiata. 1999 sono ancora
registrate. Poi non ho più registrato nulla. Le ho scritte ma non le ho più registrate.
Guarda che tutti vuoti.333
2. La struttura
Con piccole modifiche ai testi poetici già precedentemente pubblicati, Poesie
1972-2002 riunisce in un unico volume le raccolte poetiche dal 1981 al 1996,
con l’aggiunta di alcuni testi inediti.
La raccolta si apre con Teresino, esordio poetico della poetessa del 1981 edito
da Guanda, segue la trilogia per l’amato Dottor B.M. con Il signore d’oro,
pubblicato nel 1986 da Crocetti, Il signore degli spaventati edito da Pegaso nel
1992, e Poesie dando del Lei, Garzanti 1989. Chiude la serie di opere già
conosciute la raccolta più recente della Lamarque, Una quieta polvere, già
Mondadori nella prima edizione del 1996. Viene infine proposta la parte
intitolata Inediti, insieme di testi mai pubblicati prima, organizzata al suo
interno in due sezioni: L’albero e Poesie dedicate.
Un unico componimento è proposto nella prima delle due parti inedite, un
lungo poemetto che intitolandosi L’albero dà il nome anche alla sezione. Nei
345 versi di cui si compone la lirica, Vivian prende le distanze dal mondo
contemporaneo, per recuperare quell’unione con la natura che la società della
globalizzazione sembra invece aver ormai perso. Scegliendo di entrare in
333
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008
188
comunione con l’albero, sente in modo più acuto le sofferenze del mondo e con
esse ritornano l’idea della morte e dello scorrere del tempo. Si inseriscono
nella narrazione le immagini dei defunti cari, primi tra tutti l’amica Daniela e il
padre adottivo Dante, entrambi morti giovani, lei a trentasei anni, lui a
trentaquattro. Ma il tempo scorre molto più veloce per gli uomini, così tra le
braccia dell’albero che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di esseri
viventi334 Vivian può contrapporre alla luttuosa realtà la vitalità della nuova
vita che nasce con le nuove generazioni, tra cui c’è la nipotina: morti antenati
guardate i nuovi nati […] guarda Micòl.335
La sezione Poesie dedicate raccoglie trentadue poesie di misura contenuta e,
come già preannuncia il titolo, tutte dedicate a qualcuno. Alla luna e Al nuovo
millennio sono rivolti i primi tre componimenti, l’ultimo dei quali fa eco alla
sezione Fine millennio di Una quieta polvere, seguono sei liriche scritte per
amici e poeti, molti dei quali ormai morti. In occasione della partecipazione al
Festival di Poesia di Mosca nel 1999 l’autrice scrive A Evghenij Solonovitch,
per il traduttore ucraino, mentre al Festival di Ostia Antica propone il brano A
Dario Bellezza, in memoria del poeta, agli amati Emily Dickinson e Sandro
Penna dedica altri due componimenti e poi uno alla poetessa Amelia Rosselli,
morta suicida lo stesso giorno dell’ammirata Sylvia Plath. Nelle sette poesie
successive ritorna l’immagine della natura già introdotta dal poemetto della
prima sezione e dalle poesie alla luna, con componimento scritti per gli alberi,
alle Care Lumachine e agli animali in generale, a cui l’autrice fa succedere altri
sette brani dedicati questa volta alla propria famiglia: per la madre e il padre
adottivi scrive Alla mia mamma dritta come un fuso e Al mio babbo Dante
morto a 34 anni, a Miryam col marito Giorgio dona la poesia Per le nozze di
Miryam e Giorgio, alla figlia dedica anche altri due brani, Alla mia bambina e
A Miryam che suona il clarinetto, infine due liriche concludono il gruppo
familiare celebrando la nascita della nipotina Micòl: A Micòl e A Micòl
rosellina. Seguono tre testi di nuovo dedicati a poeti e amanti della poesia, tra
cui all’amica e poetessa Livia Candiani il primo e A Giorgio Caproni l’ultimo i
334
335
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XII
V.L., L’albero, ivi., p.222
189
cui versi, se sul treno ti siedi/ al contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/
la vita che viene, vedi/ meglio la vita che va, preludono alle cinque
composizioni conclusive, dove la Lamarque affronta la tematica della morte,
come è solita concludere le sezioni e le sue raccolte poetiche: Post scriptum:
Le con lei sotterrate
poesie non finite
speriamo che in aprile diventino
delle margherite.
Proponendo l’autrice una numerazione cronologica e non la data esatta di
composizione dei testi pubblicati in Poesie 1972-2002, è comunque possibile
farsi un’idea sull’altezza cronologica di scrittura, basandosi sull’informazione
più precisa fornita nella cronologia di Una quieta polvere edita nel 1996. In
tale raccolta la poesia di più recente composizione è Dediche senza poesie
composta nei primi mesi del 1996, essendo stata pubblicata nel libro uscito nel
marzo dello stesso anno. Nella cronologia numerica proposta nel 2002,
190
Dediche senza poesie porta il n.1373, mentre nell’opera omnia, quasi tutti i
testi hanno cifre superiori al 1400 o al 1500. I due testi più datati risultano così
essere A C.V. che aiuta i poeti, n.1395, e A Dario Bellezza, n.1355, che,
composto in occasione dell’edizione 1996 del Festival dei Poeti di Ostia
Antica, commemora la recente morte dell’amico poeta, morto il 31 marzo del
1996. Seguendo lo stesso criterio, tra i testi con la numerazione più alta
risultano il poemetto L’albero, n.1551 e alcune poesie dedicate ai familiari, tra
cui quelle per Micòl: A Micòl 1553, A Micòl rosellina, n.1599. La prima di
queste
poesie
recita
Buongiorno
vita,
vita/
nuova
nata
facendo
ragionevolmente supporre che il testo sia stato scritto in occasione della nascita
della nipotina, quindi nel 2000. E’ di conseguenza probabile che anche il
poemetto L’albero risalga a questo periodo compositivo.
2.1 Dedica
E’ abitudine di Vivan Lamarque dedicare i suoi libri a persone care, e
soprattutto con Una quieta polvere tale tradizione era stata amplificata,
indicando un destinatario per ogni sezione poetica dell’opera e per molte delle
poesie proposte. Nel 2002 l’autrice trasforma la dedica in titolo di sezione,
Poesie dedicate, dove la maggior parte dei brani sono introdotti dalla
preposizione a seguita dal nome del destinatario. Si distinguono in quanto
varianti i titoli Care lumachine, Caro papa e Cara terra, oltre che i due
componimenti Per Amelia Rosselli e Per le nozze di Miryam e Giorgio che
propongono comunque i nomi delle persone che hanno ispirato la scrittura
poetica. La poesia “Give the one in red cravat/ a memorial crumb” propone
invece come sottotitolo il nome Emily Dickinson, autrice dei versi citati e
dedicataria della lirica. Vera propria eccezione è solamente la poesia che
chiude la raccolta, intitolata Post Scriptum, modalità questa anch’essa già
proposta dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, che in questo caso introduce
non una poesia dedicata, bensì un’apostrofe al lettore, o semplicemente un
desiderio che l’autrice svela.
191
La sezione L’albero ha un dedicatario particolare, riproponendo il v.5 di Dei
Sepolcri di Foscolo preceduto dalla preposizione: alla “bella d’erbe famiglia e
d’animali”. Di morte parla il verso foscoliano inserito nel suo contesto
originale: Ove più il Sole/ per me alla terra non fecondi questa/ bella d'erbe
famiglia e d'animali, ricollegandosi così a una delle tematiche principali
cantate nel poemetto. Ma se letto da solo, come l’autrice ce lo propone, il verso
non è che una dedica alle erbe e agli animali, ossia alla natura, altro tema
fondamentale in L’albero, come già il titolo suggerisce. Con il verso tratto
dall’opera cimiteriale foscoliana, la Lamarque riesce così a proporre al lettore
oltre che una dedica, anche una sintetica e abbastanza esplicita introduzione al
proprio poemetto.
A mia madre/ per il suo novantesimo compleanno, recita invece la dedica
all’intera opera Poesie 1972-2002. Mentre per la dedica a mia Madre della
raccolta Poesie dando del Lei poteva nascere il dubbio su quale tra le due
madri, naturale o adottiva, fosse il reale destinatario, in questo caso il problema
non sussite, essendo la prima madre ormai defunta, come racconta la poesia
Ictus di Una quieta polvere. La dedicataria di tutta la produzione poetica di
Vivan Lamarque è quindi l’amata e ormai anziana mamma Rosy, di cui la
figlia aveva già cantato gli ottant’anni nel 1996, hai solo otto anni/ l’”anta” lo
buttiamo via336, e che ora in L’albero, Vivian nomina pochi versi dopo l’amato
padre Dante, morto invece a soli trentaquattro anni: si chiamava Dante come
Dante che bel nome/ padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy sai.
336
V.L., Mamma, in Una quieta polvere, cit., p.32
192
2.2 L’introduzione
La raccolta Poesie 1972-2002 è introdotta dal saggio Dalla poesia innamorata
all’elegia dell’albero di Rossana Dedola, ricercatrice alla Scuola Normale di
Pisa, training analyst e docente presso l’International School of Analytical
Psychology di Zurigo337. La studiosa, propone una rapida ma accurata
presentazione e analisi delle singole opere di cui si compone il volume, che in
una recensione è detto prefato con oculatezza338.
La presentazione delle raccolte segue l’ordine con cui sono proposte
nell’edizione, dedicando così la prima parte alla descrizione tematica e
strutturale di Teresino, con la riproposizione dell’interpretazione psicologica
delle varie sezioni autobiografiche presentata da Vilma de Gasperin in un
convegno del 2001339. Alla trilogia per il Dottor B.M. la Dedola aveva già
dedicato uno studio nel 1991340, limitatamente alle due opere allora pubblicate:
Il signore d’oro e Poesie dando del Lei. Nell’introduzione all’edizione 2002, la
ricercatrice riprende alcune idee già proposte nel precedente saggio, come il
paragone del ciclo psicanalitico della Lamarque con Il piccolo Berto di
Umberto Saba, dedicato però all’analisi freudiana grazie alla quale rielabora il
ricordo rimosso dell’amata balia. Dopo aver concluso il discorso sul transfert
proposto dalla trilogia con la testimonianza del suo superamento nella sezione
Poesie dando del Lei (altre) del 1996, il discorso verte sulla raccolta Una
quieta polvere, dedicando gran parte del testo critico alla trattazione della lirica
Questa quieta polvere e alle citazioni di cui si compone, mostrando quanto il
tema della morte sia rilevante per il testo e quale sia l’influenza esercitata dalla
Dickinson.
Sottolinea
inoltre
l’innovazione
tematica
della
raccolta,
paragonando il desiderio della Lamarque di prendersi cura dei più deboli in
modo rispettoso e riconoscendone la dignità al sentimento espresso da Anna
337
http://www.rossanadedola.com
F.Portinari, La vita è una favola se la racconti in versi, in “L’unità”, 11 gennaio 2003
339
V.De Gasperin, intervento al convegno Poetry in Italy in the 60s and 70s, Londra, 12
ottobre 2001
340
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
novecenteschi”, n.41, giugno 1991
338
193
Maria Ortese in In sonno e in veglia. Una chiara e relativamente lunga
trattazione critica è infine dedicata al poemetto inedito, L’albero, proponendo
questa volta un’analogia con il comportamento di Cosimo di Rondò, Il barone
rampante di Italo Calvino.
Segue al saggio della Dedola una breve Nota biografica, che sintetizza in pochi
punti la biografia di Vivian Lamarque, senza però tralasciare curiosità come le
prime due poesie composte dall’autrice, La signora M. buona e La signora M.
cattiva, entrambe scritte a dieci anni in seguito alla scoperta di essere stata
adottata.
3. I contenuti
3.1 La famiglia e gli affetti
Come nelle precedenti raccolte poetiche, anche negli Inediti la Lamarque
propone una serie di poesie dedicate agli affetti più cari.
Il nome della nipotina Micòl ritorna più volte nel poemetto L’Albero, come
immagine di vita nuova e gioiosa, che si contrappone alla realtà di morte delle
generazioni precedenti:
nascevano neonati color
di certi mattini leggermente
rosati come la nuova nuova Micòl
[…] Micòl guarda Micòl
[…] rosellina di quelle di bosco colombella Micol
[…] rosa come di bosco rosellina rosa ride la bambina
nuova Micòl.
Nella seconda sezione delle poesie inedite pubblicate nel 2002, l’autrice
ripropone un testo dove al nome della nipotina è di nuovo accostata l’immagine
della piccola e delicata rosa, A Micòl rosellina, la quale con la bellezza e la
gioa della nuova vita che emana mi profumava tutta l’aria/ intorno[…]. Alla
neonata nipote è dedicata un’altra poesia, A Micòl, nella quale la nonna
194
poetessa celebra l’ingresso del mondo di una nuova e speciale vita con
accoglienti e gioiosi versi: Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte/ è pronto
e un padre e quasi/ tutto il resto. Si introduce così anche l’immagine della
famiglia che si preprara ada accogliere con gioia e soprattutto amore la
bambina, attesa anche dal padre, non come in Caro Babbo (I), […] che ti
chiamavi E. […] che quando ti ho detto/ scusi mi hanno detto/ che lei è mio
padre/ hai fatto un salto indietro.341 E’ Giorgio il papà di Micòl, che in
L’albero viene inserito tra i nomi de i gentili che Vivian aveva incontrato nella
sua vita, accanto ai nomi del caro analista B.M. e del marito Paolo, e ricordato
nella poesia che l’autrice compone in occasione del matrimonio con Miryam:
Per le nozze di Miryam e Giorgio. L’amata figlia, Miryam figlia diventata
madre342, è ancora chiamata bambina nella poesia che ne canta la bellezza,
paragonandola a un bianco cigno343, mentre invece nel secondo testo a lei
dedicato è descritta mentre suona il clarinetto, con Micòl che guarda la madre,
unendo in un unico verso le tre generazioni, Vivian, Miryam e Micòl, una
accanto all’altra: tieni tonde per l’eternità le guance/ della figlia, e della figlia
della figlia che soffia come la mamma, inserendo infine nel felice quadretto
familiare anche Giorgio, nei modi della nipotina che ride come il papà. Ai
propri genitori adottivi la Lamarque dedica gli altri due componimenti sulla
famiglia di Poesie dedicate. Alla mia mamma dritta come un fuso è intitolata la
lirica per la mamma il cui nome Rosy, con un gioco di parole, trasforma in
quello di una rosa con la lettera maiuscola, come una Rosa dal lungo / lungo
stelo. L’anziana madre, che nella dedica a Poesie 1972-2002 è detta
novantenne, è descritta mentre affronta la vita con coraggio, nonostante le
spine della vita l’abbiano ferita. Una delle ferite che Vivian condivide con lei è
raccontata nel brano successivo a questo per la madre, Al mio babbo Dante
morto a 34 anni, ricordato anche in L’albero di nuovo accostato all’immagine
e al nome della moglie:
341
V.L., Babbi, in Una quieta polvere, cit., p.18
V.L, L’Albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.223
343
V.L, Alla mia bambina, ivi., p.240
342
195
erano belli molto specie uno giovane e biondo
come il sole il più bello di tutti i morti tutti
e si chiamava Dante come Dante che bel nome
padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy […].
Un altro nome caro, ma di un’amica, si legge nel poemetto, figura già nota al
lettore, essendo stata introdotta con le due poesie344 intitolate a suo nome nella
sezione Come fiori di Una quieta polvere, Daniela De Vita: una giovane/
giovane la riconosceva: De Vita! Daniela! Oh quanto/ bianca ma anche in vita
i suoi bei riccioli neri luccivano […]345. Ad altri amici poeti ormai defunti sono
dedicate alcune poesie della seconda sezione. In A Sandro Penna l’autrice
ricorda anche il nome di Elio Pecora, biografo del poeta scomparso, mentre in
A Dario Bellezza ricordando l’edizione precedente del festival poetico a cui
aveva partecipato anche il poeta, nomina anche Giuliani, Pagliari , Claudio
Damiani, gli organizzatori Simone Carella e Franco Cordelli e poi Zeichen. In
Per Amelia Rosselli i primi versi recitano: Amelia, da vive/ non eravamo
amiche, tantomeno/ nemiche e la poetessa è ricordata insieme alla traduttrice
Emmanuela Tandello e alla poetessa Sara Zanghi, oltre che con altre amiche di
cui la Lamarque propone i nomi in elenco: Mimma, Daniela, Maria Clelia; una
poesia è dedicata anche a un altro poeta, Giorgio Caproni.
Amici vivi e ricordati in momenti vissuti insieme sono Evghenij Solonovitch, a
cui è dedicata Cartina muta, brano composto a Mosca, nel 1999 in occasione
del Festival di Poesia, il professor Costantino M., che in Al prof. Costantino M.
lo si scopre primario dell’ospedale S.Gerardo, e poi C.V. che aiuta i poeti, che
anticipatamente ha cambiato/ di piano di marciapiede di stanza/ lo meritara
ma intanto/ a me manca conclude Vivian esprimentogli così il suo affetto. A
due donne sono dedicati infine due poesie che di poesia parlano: A Daniela
Caminada (che ci legge tanto) è un brevissimo prontuario di poesia,
è quasi facile fare una poesia
basta prendere un pezzetto
di carta e matita, è come
per la terra fare un filo d’erba
344
V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124; V.L., Cara Daniela, ivi,
p.125
345
V.L. L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218
196
una margherita,
mentre all’amica e poetessa Livia Candiani Vivian chiede: infanzia età
felice?346 riproponendo una delle tematiche care alla poesia di entrambe.
3.2 La natura
Nel 1996 la Lamarque aveva dedicato ai poveri che ci circondano la sezione
Fine Millennio, inserendo tra i suoi componimenti alcuni brani dedicati agli
animali e alla natura sofferente a causa della disattenzione dell’uomo, tale
tematica è riproposta di nuovo negli Inediti del 2002.
Quando i Gesuiti parlano/ gli animali piangono./ Ma per non disturbare/
piange senza lacrime/ il regno animale347 denuncia la Lamarque aggiungendo
alla poesia la nota: ai gesuiti dopo una loro ennesima dura dichiarazione
contro il regno animale. Anche al Papa si rivolge Vivian, cercando di chiedere
aiuto per gli anima-li santi/ dall’uomo martirizzati, concludendo con un’amara
constatazione conseguente al silenzio che le sembra la Chiesa abbia rispetto a
queste tematiche: e San Francesco è morto/ cum tucte le sue creature348. Le
urla provenienti da un macello dove si sta uccidendo un maialino vestito di
rosa, che ha gli occhi […] pieni di pianto/ come un bambino, sono raccontate
in Alla bambina Carla (che scalava due colline per non sentirli gridare).
Tristemente Vivian è di nuovo costretta a constatare l’indifferenta della
maggior parte delle persone alla sofferenza degli animali: tremano i sassi/ a
sentire gridare/ non trema l’uomo/ non sa tremare. Anche l’asinello del
poemetto ragliava […] disperato perché finita era/ la paglia del mondo, e
sempre in L’albero si racconta di un’altra violenza degli uomini contro
l’indifesa natura: gli uomini salivano ingabbiavano/ erano i diavoli dei rami
falchi di colombe artigli inoltre/ pettirossi in agonia nelle trappole ho visto
alla tv, in un agghiacciante servizio televisivo, come spiega nella nota, gli
346
V.L., A Livia Candiani, ivi., p.242
V.L., Ai Gesuiti, ivi., p.237
348
V.L., Caro Papa, ivi., p.238
347
197
uccellini catturati con questa tecnica vengono poi venduti ai ristoranti per
polenta e osèi. Se l’uomo non si occupa della natura, allora lei stessa
provvederà a se stessa, sembra di leggere tra le righe del poemetto, quando in
modo materno e affettuoso della prima sezione degli Inediti si prende cura del
pettirosso ucciso dalle trappole degli uomini: l’albero/ lo avvolse in una foglia
sua se lo portò lassù cullandolo e cantandogli una ninna-nanna in due spezzato
lo ricomponeva/ sotto la luna lo cuciva lo cantava/ ninna-nanna […]. Proprio
ai piedi del grande albero, che all’inizio del componimento accoglie tra i suoi
rami anche Vivian,
la vita terrestre si manifesta nelle sue forme più minute, si muovono animali piccoli e
umili: le rane simbolo del femminile creatore, i rospi delle fiabe con la loro
straordinaria forza di trasformazione, le ctonie, scattanti lucertole, capaci allo stesso
tempo di aderire alla terra per farsi scaldare dal sole,349
che l’autrice rappresenta nell’unione familiare: una famiglia di lucertola
scalava/ il tronco madre padre due figli/ una quaternità350. L’unione con la
natura che Vivian celebra salita sull’albero, dà il via al poemetto con la
descrizione di un immaginato matrimonio tra lei e la natura, tramite appunto
l’unione con l’albero: ma se ti sposava, cerimonia/ sopra un ramo e sopra i
rami/ cielo e dentro il cielo luna […]. Anche in Poesie dedicate l’autrice
racconta del suo amore e della sua attenzione per gli animali e la natura, in
“Give the one in red cravat/ a memorial crumb” dando briciole non solo ai
pettirossi, come cantava Emily Dickinson, ma a tutti gli uccellini che si posano
sul tetto a triangolo di Rocco e Magda, mentre in Care lumachine ricorda della
volta in cui con l’amico Alberto Casiraghy avevano comprato per lire
quarantamila le povere lumachine impacchettate destinate a qualche ristorante
o cucina, che invece loro avevano di corsa/ in un bosco liberate. Stessa sorte
delle lumache sembra toccherà alla gallina spaventata cantata in A una
gallinella, il cui sottotitolo recita: insalata di pollo, rivelandosi però solo un
gioco di parole perché se la prima operazione è prendere con delicatezza una
gallinella/ viva naturalmente l’ultima è offrirle l’insalata, preparata quindi per
349
350
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218
198
(e non con) il pollo: la vuoi una fogliolina di insalata? In A un albero
meraviglioso invece Vivan descrive l’abitudine che molti hanno di buttare
rifiuti dai finestrini, inquinando i prati e gli alberi lungo le strade e le ferrovie:
dal treno qualcuno/ ti ha tirato un sacchetto/ di plastica viola/ che te lo tieni lì stupito/
sulla mano del ramo/ come per dire/ cos’è questo fiore strano/ speriamo che il vento se
lo porti lontano.
In alcune poesie, però, la Lamarque scrive della natura in tutt’altro modo,
evocandone la bellezza, cantata in Luna I e in Luna II, ma soprattutto la
grandezza e la saggezza, dovuta alla sua vita, molto più lunga di quella degli
uomini, come nel caso dell’albero cantato in L’albero, che Rossana Dedola
chiama albero della vita, che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di
esseri viventi e che per questo non vive con l’euforia degli umani per aver
assistito all’inizio del nuovo millennio, come si legge in Al nuovo millennio:
[…] millennio
cominciato. L’ho detto
a un Filo d’Erba sapiente
grande saggio del prato.
Strano, non sapeva niente
né si è meravigliato.
Ha detto ah sì? fine millennio?
grazie, lo dirò al mio prato.
3.3 La morte e lo scorrere del tempo
La sezione Poesie dedicate si conclude come molte delle raccolte della
Lamarque, proponendo alcuni testi che trattano della morte. In questo caso, le
quattro poesie che affrontano tale tematica concludono un percorso già segnato
da numerosi componimenti dedicati a persone defunte, riflettendo quindi
spesso sull’argomento. Il primo riferimento è in una poesia dedicata a un amico
vivo, A Evghenij Solonovitch, quando, per associazione di idee, raccontando di
quando a scuola il professore interrogava chiedendo di individuare le città o i
fiumi sulla cartina muta, Vivian si ricorda della compagna Daniela, purtoppo
morta a trentasei anni:
199
Non ti preoccupare
mi diceva la mia compagna di banco Daniela
che di cognome si chiamava De Vita, ma che è stata
la prima di tutte a lasciarla, muta,
la vita.
L’immagine della morte è ricollegata all’idea del silenzio anche nella prima
delle poesie che chiudono la sezione, Ai nostri nomi, nella quale il mondo dei
morti è descritto proprio come silenzioso/ mondo addormentato/ dove nessuno
chiama/ né è chiamato, come l’autrice scrive in L’albero: l’eternità li
snominava non li chiamava/ credo nessuno là va bene vi chiamo io. L’idea che
con la morte si possa dimenticare il proprio nome e quindi anche la propria
passata vita assilla Vivian, che chiede:
ma non ci sentono le orecchie? Non vedono
gli occhi là nell’aldilà?[…] siamo qui tra foglie
e ramo ricordi i nomi foglie? ramo?
ricordi il nome tuo? L’aldiqua? Ma la polvere già perdeva
la sua forma solo il vento l’aveva
smossa un po’,
conclusione amara che sembra confermare la paura di perdere ogni ricordo,
persino il proprio nome. A questo riguardo con chiarezza scrive nella prima
parte di Ai nostri nomi: verso la sera della vita/ nomi e cognomi li
dimentichiamo/ per esercitaci a quel silenzioso/ mondo, e in A Dario Bellezza,
l’autrice si commuove per un Nome e per il Tempo e per/ la Morte, per il
tempo che per mano ti conduce alla morte. Si introduce così l’idea dello
scorrere ineluttabile del tempo, che nei componimenti della Lamarque spesso
accompagna il tema della morte. In A Giorgio Caproni Vivan escogita un
piccolo escamotage, per fingere che nulla sia successo, che il tempo non sia
passato, che la morte non sia sempre più vicina: Se sul treno ti siedi/ al
contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/ la vita che viene, vedi/ meglio
la vita che va. Angosciata dalla morte, Vivan in L’albero insistentemente
chiede
quanti passi posso fare sentiamo duemila? mille?
cinquecento? ancora meno?
200
eh no! quante/ stellate? albe quante? quanti mattini con aprire
gli occhi? quanti cieli in tutto? totale ore?
Queste
e altre domande pone all’albero, che sopravvivendo per secoli, a
generazioni e generazioni di uomini, imprime una nuova qualità alle domande
di Vivian, che non si perdono, non finiscono nel nulla, inascoltate, ma
riecheggiano tra i rami carichi di vita, di nidi pieni di uova che si aprono alla
vita futura351. L’albero della vita è però anche l’albero della morte, un pioppo,
come spiega l’epigrafe che introduce l’unione immaginata con la pianta: se eri
un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, foglie/ su foglie avremmo messo:/
basta non parliamone più. Il pioppo è una pianta simbolicamente collegata
all’idea della morte, e che fin dai primi versi del poemetto appare legato agli
Inferi, al dolore, al sacrificio e alle lacrime352: dietro/ la luna ombre di morti
in storta fila/ morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza vicino/ sono qui!
Sottolinea la Dedola come il pioppo sia un albero funerario che nelle sue
stesse foglie, bianche da un lato, scure dall’altro, mostra la propria vicinanza
al mondo dei morti. Nel poemetto continuamente quindi il mondo della vita e il
mondo della morte si incontrano come quando Vivian mostra alle ormai
passate generazioni la nuova vita, impersonata dalla nipotina,
nascevano neonati color
di certi mattini leggermente
rosati come la nuova nuova Micòl
morti antenati guardate i nuovi nati
siete anche loro no? Stesse forme
colori stessi nomi Micòl guarda Micòl,
o quando descrivendo la vita dei piccoli animali intorno alla grande piante
descrive una famiglia di lucertole, intente a salire lungo il tronco de L’albero,
come a indicare che la vita coincide col percorso, che poi giunge alla fine, alla
morte, o meglio, all’Eternità: c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso
da qui a là. Ma l’albero non risponde alla domanda di Vivan, non spiega come
sarà dopo la vita, come sarà quell’ultimo esame che sono stati capaci tutti di
superare, come si legge nella sezione Poesie dedicate: (magari essere
351
352
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XIII
Ibidem
201
rimandati sfuggire!)/ capaci tutti proprio tutti, di morire.353 Vivian prova così
a porgere la domanda ai morti del poemetto,
morti ma come vi hanno messi?
divisi per millennio? per secolo?
per causa di decesso? per precocità?
o siete tutti in disordine come
stracci là? o siete polvere quieta
come di mobili? siete grigi? o d’argento?
siete una polvere bella, sì?
chiede insistentemente Vivian, citando la polvere di Emily Dickinson, This
quiet Dust, come nel 1996. E ancora scrive sabbia fina fina! polvere! morti!/ lo
chiamava implorava/ la loro polverità ma nessuno racconta nulla di
quell’aldilà che a tutti spetta. Così Vivian propone la sua idea di aldilà, di
quella futura seconda vita con la terra/ addosso come un’innamorato
esagerato/ appiccicoso che non ti lascia più, diventeremo fiori e erba,
rinasceremo natura e la terra sarà nostra futura/ copertina gentile354. Spiega in
Alle pratoline:
fioriremo fioriremo
nella gentile terra fioriremo tutti
tutte ogni mattina, io spero
alle sette, di fiorire
pratolina,
così anche nella poesie A Dario Bellezza conclude immaginando che forse il
poeta è ancora lì con loro, solo in altra forma: guardate quel pino che poco si è
mosso eppure non c’è un filo di vento che sia Dario? In L’albero Vivan spiega
ulterioremente il passaggio sequenziale della trasformazione da morto a vivo
che si compie nella natura:
guarda da una morta
è spuntata una margherita allora era
lei quella margherita? era diventata bella così?
l’erba erano i morti? erano diventati fili belli così?,
353
354
V.L., All’ultimo esame, in Poesie 1972-2002, cit., p.243
V.L., Cara terra, ivi., p.243
202
destino finale che la poetessa si augura anche per le sue poesie in Post
Scriptum: Le di lei sotterrate/ poesie non finite/ speriamo che in aprile
diventino/ delle margherite. Proprio di questa immagine di vita dopo la morte,
spiega Vivan Lamarque nell’intervista a Silvio Soldini:
Li sento nella natura. Quando sono andata sulla tomba di Emily Dickinson, c’erano…
sono stata lì anche varie ora ad aspettare che arrivassero o degli insetti di cui lei
parlava sempre, o cercavo i fiori di cui lei parlava. Lo sento molto nella natura, perché
c’è questo riciclo, questo riciclo continuo, questo… negli alberi.355
4. Narratore e destinatari
Un commento a Poesie 1972-2002 pubblicato su “L’Unità” nota:
Se poi dovessi indicare il segno di riconoscimento di questa anomala autobiograficità
non potrei sottrarmi al ripetere quello più consueto e in qualche modo speculare […] ,
la tonalità e la struttura fiabesca, che trova lei, seppure non sempre dichiaratamente, al
centro come protagonista.
La parte conclusiva del volume, Inediti, non fa eccezione a questa scelta
narrativa: è sempre Vivian protagonista e voce narrante, più o meno scoperta,
della sua poesia.
Tutto il poemetto L’albero è costruito sull’enunciazione ipotetica proposta nei
cinque versi di cui si compone l’epigrafe, che, introducendo il testo con Se eri
un pioppo e concludendosi con la preterizione, basta non parliamone più, dà
invece il via a un lungo e immaginato racconto della sognata unione con lui.
Protagonisti della vicenda sono il secolare albero e Vivian, stanca della
sofferenza della terra, e dell’indifferenza del cielo alle sue richieste di aiuto:
Da questa “altezza nuova”, l’autrice si rivolge verso il basso, più che per scoprire
qualcosa per coprire una mancanza, l’assenza del cielo, e sostituire a quelli ciechi del
cielo altri occhi che vedano il dolore della terra, “se il cielo non ci guarda
facciamocelo da noi il cielo”, […] E anche i morti mandino un loro sguardo ai nuovi
355
S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, cit.
203
nati (“Micòl guarda Micòl”): la bellezza, la beltà del mondo ha bisogna della
corrispondenza per tendere al futuro.356
Questa continua ricerca di un riscontro, di qualcuno che ascolti e venga
incontro agli altri si risolve infine nella figura dell’albero, unico ad essersi
dimostrata accogliente nei confronti di Vivian e degli altri, fin dall’inizio, come
quando l’albero abbraccia nel sonno la voce poetante e il canto notturno da
cui emergono gli interrogativi di fondo […] sulla morte.357 E’ la stessa Vivan a
raccontare in terza persona tutta la vicenda immaginata, rivolgendosi all’albero
con la seconda persona singolare: ma se ti sposava […].
Non utilizzando la punteggiatura, l’autrice non distingue tra discorso diretto e
indiretto, così nel testo si susseguono dialoghi riportati cambiando
continuamente il soggetto parlante: morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza
vicino, diceva l’albero, essendo l’aggettivo al maschile ed essendo sempre lui
poco dopo a dire a Vivian di dormire: l’albero/ le diceva ssss dai dormi. Molti
dei discorsi diretti riportati sono però pronunciati dalla stessa Vivian, in quanto
protagonista del poemetto, come quando si rivolge ai morti, morti ma come vi
hanno messi?, o alla terra, prendilo allora tu terra con carezze, o all’alba per
chiedere di far tornare il padre morto, chiamalo tu alba spicciati di’ Dante.
Anche quando all’albero non si rivolge direttamente, lui è sempre presente,
principale interlocutore della protagonista, del quale la voce narrate propone le
reazioni, gli atteggiamenti, ma mai nel poemetto si legge un discorso diretto nel
quale l’albero si rivolga a Vivian. Rideva/ l’albero con lei delle sue parole ssss
le diceva/ impara dalla mute foglie, e l’unione immaginata col matrimonio
iniziale e la scelta di salire sull’albero si realizza nella storia raccontata dal
narratore nell’ultimo verso, dove finalmente il discorso riportato utilizza la
prima persona plurale: dormiamo un po’.
Direttamente Vivian si rivolge ai destinatari di molti dei testi di Poesie
dedicate. Come in L’albero, anche in questi componimenti il discorso è rivolto
a una seconda persona, ma a differenza del poemetto, la voce narrante parla
356
357
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII
Ibidem
204
quasi sempre dicendo io, enfatizzando la realtà del rapporto vissuto con la
persona a cui ci si rivolge nei componimenti. In A Livia Candiani Vivian parla
in prima persona all’amica, così come in A Sandro Penna, rivolgendosi
all’amico poeta, scrive:
In cerca per affetto con te di affinità
le trovavo sì ma rovesciate:
tu le finestre sempre chiuse
buie, io sempre spalancate
tu innamorato di fanciulli sull’erba
io dell’erba, tu di colorate medicine
io di colorate caramelle e delle tue rime
belle […] caro Pennino.
L’autrice enfatizza il proprio rivolgersi al destinatario, pronunciandone spesso
il nome all’inizio del componimento: Cari poeti romani358 dice la voce
narrante e protagonista Vivian mentre racconta dell’ultimo incontro con Dario
Bellezza, come Caro albero avvia il discorso con la pianta in A un albero
meraviglioso, e Care lumachine il ricordo della loro liberazione. Con i nomi di
due poetesse si aprono i componimenti a loro dedicati: Amelia si legge come
prima parola del primo verso di Per Amelia Rosselli e Emily in “Give the one
in red cravat/ a memorial crumb” rivolgendosi poi direttamente a loro nei
brani poetici. Eccezione potrebbe apparire il Lei utilizzato in A C.V. che aiuta i
poeti, ma leggendo meglio il testo si scopre una consonanza con le modalità
narrative di Poesie dando del Lei, dove utilizzando la forma di cortesia alla
terza persona, Vivan si rivolgeva direttamente all’interlocutore, il Dottor B.M.
La sezione Poesie dedicate oltre al discorso diretto, propone un’altra modalità
narrativa nella quale però non cambia la voce narrante, che rimane appunto
Vivian. Anche nella parte dedicata agli affetti familiari l’autrice utilizza la
modalità dialogica, come in Al mio babbo Dante morto a 34 anni dove si
rivolge direttamente a lui dicendo sembravi lontano dalla morte miglia/ e
miglia, o in Per le nozze di Miryam e Giorgio dove si inserisce anche un
frammento di dialogo tra la madre e la figlia, “E se piove mamma?” Se piove
figlia se fili dal cielo/ scenderanno se nuvole grigie/ vi avvolgeranno fa niente,
358
V.L., A Dario Bellezza, in Poesie 1972-2002, cit., pp.234-235
205
dove tra l’altro visibilissima è la coincidenza tra voce narrante e Vivian,
utilizzando l’autrice le virgolette solo per riportare le parole di Miryam.
A questo modo narrativo si accosta però uno più impersonale, nel quale la
persona cantata non coincide con l’interlocutore, a cui di conseguenza Vivian
non si rivolge direttamente: la mia bambina ha un lungo collo/ come i bianchi
cigni […] e la chiamo ki/ki come bianco cigno, scrive in Alla mia bambina,
così anche parlando della madre in Alla mia mamma dritta come un fuso non si
instaura con lei un dialogo, la voce narrante si limita ad fare una descrizione
del dedicatario, utilizzando quindi la terza persona, le spine della vita l’hanno
ferita, ma lei cammina/ dritta elegante intemerata e lo stesso modo narrativo è
adottato in A Micòl rosellina, accostando di nuovo alla prima persona di Vivian
la terza della persona amata di cui racconta.
La prima persona plurale che apre la sezione, Oh essere anche noi la luna di
qualcuno!359, ritorna nella parte conclusiva dela sezione, coi componimenti
sulla morte. Tale tematica, non coinvolgendo più unicamente la realtà
biografica dell’autrice, bensì tutta l’umanità, permette alla voce narrante di
comprendere nel suo discorso in prima persona anche gli altri, compreso il
lettore. Già il titolo Ai nostri nomi introduce tale dimensione narrativa, che
continua in Alle partoline nei versi fioriremo fioriremo/ nella gentile terra
fioriremo tutti, mentre in Cara terra la scelta del noi si unisce al discorso
diretto della voce narrante con un tu: Cara terra, nostra futura/ copertina[…]
ci dirai per sempre/ buonanotte.
Ritorna invece il narratore in terza persona di L’albero nell’ultimo brano di
Poesie dedicate, Post Scriptum, nel quale la voce narrante si separa dal
personaggio Vivian per parlare di lei e delle sue poesie:
Le con lei sotterrate
poesie non finite
speriamo che in aprile diventino
delle margherite.
359
V.L., Alla luna I, in Poesie 1972-2002, cit., p.231
206
5. La forma dei testi
Le Poesie dedicate proposte nell’edizione 2002 riprendono la varietà che aveva
caratterizzato Una quieta polvere, proponendo metri di diverse estensioni. Tra i
testi più brevi della sezione sono da annoverare i due brani dedicati alla luna
che aprono la sezione, così come i conclusivi dedicati alla morte e i tre che
precedono questo gruppo: A Livia Candiani, A Daniela Caminada e A Giorgio
Caproni, tutti composti da cinque brevi versi. Nel corpo della sezione, invece,
si contrappongono testi brevi a componimenti più consistenti, a volte
organizzati anche in strofe. Dopo l’introduzione coi due brani alla luna,
l’autrice propone tre poesie di media lunghezza, Al nuovo millennio, Al prof.
Costantino M., A C.V. che aiuta i poeti, ai quali invece segue A Evghenij
Solonovitch/ (cartina muta) coi suoi venti versi, la maggior parte dei quali
superano di molto l’estenzione dell’endecasillabo, con l’eccezione dell’utimo,
nel quale risuona il breve ma significativo sintagma la vita. Ritorna con la
poesia dedicata alla Dickinson la misura media, che è subito sostituita dai testi
più lunghi della sezione: A Sandro Penna, A Dario Bellezza e Per Amelia
Rosselli. Il componimento dedicato a Penna è diviso in due strofe, la seconda
delle quali propone versi molto lunghi riprendendo il modello de L’amore mio
è buonissimo o de Il signore d’oro e Il signore degli spaventati. Allo stesso
modo un poesia definibile più come prosa poetica che come vero e proprio
verso è il modello perseguito in tutto il testo dedicato a Bellezza, composto da
cinque strofe. La misura metrica si ridimensione in Per Amelia Rosselli dove
però si accentua la differenza tra i vari versi, che vanno dalle quattro sillabe del
v.14 alle quindici del v.10, varietas mantenuta anche nel contrasto tra le due
strofe, la prima di quattordici versi, mentre l’altra composta da un unico
distico.
Gli altri brani della raccolta sono caratterizzati da una lunghezza media, ma
molto variegata: testi con versi molto brevi compongono A un albero
meraviglioso e Alla bambina Carla, di modo che i testi risultino assimilabili
alle tre poesie più lunghe della sezione, insieme coi dodici versi di A Miryam.
Ritorna invece il metro breve caro alla Lamarque negli altri componimenti, il
più sintetico dei quali è di soli tre versi: Al mio babbo Dante morto a 34 anni.
207
Diametralmente opposta è la situazione che si presenta nella prima sezione
degli Inediti, formata da un’unica lunga poesia, un poemetto di 345 versi
organizzati in novanta strofe, per la lunghezza delle quali anticipa la varietà
metrica della seconda sezione. Si passa da strofe di un unico verso, come v.
141 e v.251, a strofe molto più ampie, come la settantasettesima, formata da
nove versi, o la trentacinquesima di undici versi, mentre più regolare è invece
la prima parte del poemetto, le cui strofe misurano tre o quattro versi.
A proposito della scelta di comporre poesie molto più estese rispetto alla
prediletta misura breve, la Dedola nell’introduzione a Poesie 1972-2002 nota
che
già a conclusione di Teresino la Lamarque aveva fatto ricorso alla misura lunga del
poemetto che ritorna anche nella lunga poesia dedicata a Dario Bellezza e ne L’albero,
mostrando come, in alcuni momenti significativi della sua ricerca poetica,
la poetessa avverta l’esigenza di una forma più vasta cui affidare sentimenti e
stati d’animo.360
6. Fonti e modelli di scrittura
Nei primi anni Sessanta Cosimo di Rondò, il protagonista del Barone rampante di Italo
Calvino, era salito su un albero per prendere distanza dalla pesantezza di ciò che è
troppo terreno. In pieno boom economico, ma anche negli anni più difficili della
guerra fredda, Calvino fa abbandonare al proprio protagonista una vita uguale a quella
di tutti gli altri e, costringendolo a seguire una contorta via sugli alberi, lo porta a
scegliere, rispetto all’adesione a un’ideologia, la fedeltà a se stesso. All’inizio del
nuovo millennio, in cui la globalizzazione, segnando il primato assoluto dell’economia
e con un pericolosissima rimozione della morte, sta mettendo in atto la spietata
distruzione del pianeta, con il poemetto L’albero, l’io poetico di Vivian Lamarque
sente il bisogno non solo di salire, ma addirittura di celebrare un matrimonio con
l’albero. Non è dunque il distacco dalla terra ad essere posto al centro, ma al contrario
l’unione.361
Legandosi in questo modo con la natura, Vivian può permettersi di soffermarsi
a descrivere i piccoli animaletti che ne costituiscono la popolazione,
360
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. X
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.XIXII
361
208
richiamando alla memoria i bestiari proposti nei componimenti dell’amata
Dickinson:
sotto l’albero via-vai di rane
principi rospi la forma
della luna […]
una famiglia di lucertole scalava
il tronco […].
Si fondono inoltre in questo poemetto due delle tematiche più care alla
poetessa americana, e anche alla Lamarque: la morte e la natura. La natura,
impersonata dall’alberi, si pone come alternativa affettuosa e rassicurante alla
sordità e indifferenza del vuoto cielo:
forse non era del tutto
cieco il cielo ci guardava
allora spalancali su bene quegli occhi
smisurati ma non vedi che macello là? Niente
non vedeva niente di sete morivano a milioni […] guarda quel bambino
sdraiato hai nome cielo per fare?362.
Nel poemetto il mondo della vita e il mondo della morte si incontrano
nell’indifferenza del cielo, che è la stessa sordità e lo stesso vuoto del Seme del
piangere di Giorgio Caproni anche se ne L’albero
sotto questo cielo assente la vita pullula chiedendo alla poesia di continuare a guardare
verso il basso per riconoscervi bellezza e iniquità.363
In tutta questa indifferenza l’albero riveste un ruolo fondamentale, è lui ad
occuparsi della sofferenza delle altre creature, come ad esempio del pettirosso
(altro animale di dickinsoniana memoria) ferito a morte dalle trappole degli
uomini, che il paterno albero culla così tra i suoi rami, mentre i versi della
poesia ne accompagnano l’agonia ripetendo
ti prego muori muori ti prego così
di lama non ne senti più ti prego muori il tuo sangue splende
362
363
V.L., L’albero, ivi, p.223
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi., p.XIII
209
come sole muori muori364
Proprio questa nenia richiama i toni di un’altra poetessa contemporanea,
Patrizia Valduga, che nel suo Requiem recita:
Dio, ti scongiuro, prendigli la mente
non torturare un cuore torturato,
oh, fa’ presto, fa’ che non senta niente.365
Si ricordi infine che nella sezione Poesie dedicate per molti poeti sono scritti
brevi componimenti, e tra questi figurano l’amato Penna, delle tue rime/ belle
in are etto ita, e come ci piaceva,/ caro Pennino, la parola/ vita.366, modello
poetico di tutta la produzione della Lamarque, oltre che Caproni, a cui si
richiama nel poemetto L’albero:
Se sul treno ti siedi
al contrario, con la testa
girata di là, vedi meno
la vita che viene,vedi
meglio la vita che va.367
364
V.L., L’albero, ivi, p.219
R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi, p.XIV
366
V.L., A Sandro Penna, ivi, p.234
367
V.L., A Giorgio Caproni, ivi, p.242
365
210
CAPITOLO VI
POESIE PER UN GATTO
211
1. Genesi e storia
Nel novembre 2007 uscì presso la casa editrice Mondadori una nuova raccolta
di poesie di Vivian Lamarque intitolata Poesie per un gatto, dialogo domestico
e quotidiano tra la scrittrice e Ignazio, il suo enorme gatto grigio368 con le sue
molte domande di non sempre facile risposta.
Il motivo compositivo di questa raccolta è scherzosamente raccontato
dall’autrice stessa, spiegando che in seguito al trasferimento dal giardino della
casa nel quartiere QT8 al balcone dell’appartamento di via Arimondi, il gatto
fu costretto a cambiare le sue abitudini e a non vedere più la gattina di cui si
era innamorato, Zarina. Così,
forse per questi crediti nei miei confronti e anche un po’ per vanità a un certo punto
pretese che scrivessi un libro di poesie tutto su di lui, ho ubbidito369,
scrive in occasione della morte dell’amato gatto, in un articolo del giugno 2010
intitolato E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”. Proprio con la
Committenza della raccolta poetica da parte del gatto Ignazio si apre il libro per
lui scritto:
-Fammi giocare.
-Dopo, ho da fare.
-Cosa fai sempre con quel legnetto in mano?
-Scrivo.
-Cosa?
-Poesie
-Su di me?
-No.
-Perché no?
-Va bene, va bene, te ne scriverò.
-Belle mi raccomando e tante, non un po’.
Tale gioco percorre tutta la raccolta, ripetendosi qua e là negli scambi di battute
tra la padrona e i il suo gatto, che controlla che il lavoro proceda per il meglio,
sottolineando che deve essere un lavoro fatto come si deve, -Pensaci bene
368
S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996
V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22
giugno 2010
369
212
voglio un’operetta/ non troppo minore io, e soprattutto senza errori, fa notare
esigente fino alla conclusione dell’opera, come si legge in Ultima:
-Ecco fine del libro contento
adesso?
posso tornarmene
alle altre poesie?
-Sì ma mi raccomando le bozze
non voglio refusi nel mio libro, io.
La stessa Vivian gli si rivolge ricordandogli del lavoro che sta portando a
termine per lui, per consolarlo della morte di Zarina: Basta con quei pensieri
neri/ Ignazio, su, pensa alla vita/ ai suoi colori pensa/ che finirai in un libro
Mondadori., mentre invece lo prende in giro quando scrive
–Aiuto Ignazio le rime mi inseguono
come pulci!
-Pulci? per carità!
via da me via!
via dalla mia poesia!
e gli consiglia di non darsi troppe arie per il fatto che sta scrivendo poesie su di
lui, ma il sarcastico gatto sa sempre come ribattere:
-Non ti credere anche per Brigante
ho scritto poesie.
-Sentiamo.
-“Dei cani un po’ brutti
era il più bello di tutti”.
-Hah, tutto qua?
Proprio a questo proposito l’autrice nota:
Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani,
perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama che
per chi ci è totalmente dedito e fedele. In amor vince chi fugge.370
370
Ibidem
213
2. La struttura
La raccolta Poesie per un gatto propone una struttura tripartita, nella quale
l’autrice racconta della sua vita con Ignazio, ma soprattutto della vita
dell’amico felino. Le tre sezioni si richiamano tra loro riproponendo, in vesti
totalmente diverse, l’immagine del giardino: presente nella prima sezione,
Infanzia con giardino, assente nella seconda, Giovinezza senza giardino, altro
nella terza, Il giardino dell’aldilà.
Aprono e chiudono la raccolta i componimenti Committenza e Ultima, nei quali
Ignazio appunto commissiona il lavoro poetico su di lui ed esprime il proprio
parere a opera conclusa.
2.1 Sezioni
La prima sezione, composta da quarantadue testi, si intitola Infanzia con
giardino, e racconta dei primi anni di vita di Ignazio: guardi tutto,/
meravigliato, sei/ da non molto nato si legge nella prima poesia. Poco dopo il
gatto scopre di essere nel giardino della casa della famiglia Lamarque in Italia
QT8 Milano371, i cui vicini Irlando e Olga hanno una gattina della quale si
innamora a prima vista:
-Chi è quella gattina?
-E’ Zarina, Ignazio, la tua nuova vicina.
Abita qui sopra con l’Irlando.
-Presentamela cosa aspetti?
Va bene va bene ci stavo pensando.372
In questa prima parte l’autrice ci descrive così la vita del suo gatto, impegnato
a inseguire lucertole, pettirossi, e ombre, a uscire ed entrare in casa passando
dalla finestra o dalla scaletta rossa373, a prendere il sole sul balcone o in
giardino, ma gran parte della giornata è impegnata per stare con l’amata Zarina.
371
V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007,
p.17
372
V.L., Chi è quella gattina?, ivi, p.22
373
V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56
214
Proprio per questo la notizia del trasloco, che chiude questa prima parte, suona
così drammatica alle orecchie del giovane Ignazio:
-[…] traslocheremo Ignazio perderemo
il giardino avremo solo un appartamento.
-Traslocheremo? appartamento?
taci almeno finché non sarà il momento.374
Sessantacinque poesie sono ambientate nell’appartamento di via Arimondi,
dove si svolge la seconda sezione della raccolta, per questo intitolata
Giovinezza senza giardino. Dopo i primi tre brevi dialoghi, nei quali Ignazio
cerca di capire per quale motivo ha dovuto abbandonare il suo giardino e la sua
Zarina per vivere di cemento375 inizia la narrazione della quotidianità di Vivian
e del suo gatto. Lui continua a chiedere di uscire per andare da Zarina,
sperando che salendo al piano superiore avrebbe trovato Irlando che se
miagolavi/ ti apriva ma qui al piano di sopra/ stanno quatti quatti e non
aprono mai/ e poi mai la porta ai gatti.376 Così lei cerca di consolarlo
facendogli vedere il balcone, la finestra e preparandogli un quasi –giardino con
erba/ un rampicante e una foglia d’insalta, ma Ignazio non apprezza, anzi la
incenerisce con un’occhiata preferendo piuttosto la consolazione dei
croccantini La vita d’appartamento, calorifero ciotola/ ciotola divano/ divano
davanzale377, avvia però un dialogo più fitto tra la padrona e il sarcastico gatto,
che chiede notizie di Miryam e Giorgio, parla dell’età di Vivian e delle sue
preoccupazioni, e fa anche domande più impegnative, lamentandosi dei
maltrattamenti degli animali, discorrendo sulla separazione della padrona dal
marito, oltre che continuare a domandare di Zarina e di poter tornare da lei e
lamentarsi di questa sua continua inattività: provo una noia esistenziale.378
Una brutta notizia apre la terza e ultima parte della raccolta, la morte di Zarina.
Questo evento, sconvolgente per l’innamorato, modifica drasticamente il
374
V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55
V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giadino, ivi, p. 63
376
V.L., Lo so che credi di trovare, ivi, p.65
377
V.L., Che muso lungo Ignazio, ivi, p.80
378
Ibidem
375
215
comportamento di Ignazio e la natura delle sue domande: voglio Zarina viva/
sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello l’aldilà.379 Il tema preannunciato
nel titolo della sezione, Il giardino dell’aldilà, si ripropone così negli ormai
frequentissimi dialoghi di Vivian e il suo gatto di cui si compongono i
trentasette brani che concludono la raccolta.
Bene riassume l’andamento della raccolta la quarta di copertina dell’edizione
Mondadori:
Attenzione lettore, a passo felpato di gatto le svagate prima e seconda parte (figurine
d’interni, bisticci, dispetti, musi , ciotole, le temute scatolette del discount) con brio ti
condurranno alla terza più grave dove risuona il motivo da anni più frequentato dalla
poetessa.
2.2 Committenza e Ultima
Introducono e chiudono Poesie per una gatto due dialoghi. Il primo, intitolato
ironicamente Committenza, spiega in modo giocoso il perché della decisione
della poetessa di scrivere una raccolta di poesie non solo dedicata al proprio
gatto, ma di cui proprio Ignazio è il protagonista. La committenza si scopre
così non essere altro che una richiesta del compagno a quattri zampe
dell’autrice:
[…]
-Cosa fai sempre con quel legnetto in mano?
-Scrivo.
-Cosa?/
-Poesie.
-Su di me?
-No.
-E perché no?
-Va bene, va bene, te ne scriverò.
-Belle mi raccomando e tante, non un po’.
Nella poesia che chiude la raccolta, Ultima, continua il gioco iniziato con il
primo componimento. Ignazio infatti, da buon committente, verifica che il
379
V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta morta?, ivi, p.131
216
lavoro da lui richiesto a Vivian Lamarque sia stato realizzato bene, come
d’accordo, e soprattutto senza errori:
-Ecco fine del libro contento
adesso? Posso tornarmene
alle altre poesie?
-Sì ma mi raccomando le bozze
non voglio refusi nel mio libro, io.
2.3 Citazioni e dediche
Nel 1993 la poetessa polacca Wislawa Szymborska pubblicò la raccolta Koniec
i poczontec, tradotta in italiano nel 1997 col titolo La fine e l’inizio, dal quale è
tratto il frammento proposto dalla Lamarque all’inizio del suo libro: Morirequesto a una gatto non si fa. La poetessa polacca scrisse la poesia Il gatto in un
appartamento vuoto, di cui Poesie per un gatto cita i primi versi, in ricordo del
suo compagno. A lui è dedicata questa lirica, una delle più celebri della
poetessa, dove il dolore per l’assenza della persona amata è espressa attraverso
lo sconcerto del gatto di casa per l’interruzioine della routine quotidiana alla
quale si era abituato e affezionato. Spiega la Lamarque che anche Poesie per
un gatto proponendo la morte di Zarina e le dissertazioni del gatto e di Vivian
sulla morte e sull’aldilà intende far riferimento anche alle perdite dei propri
cari e alle conseguenti domande sul “dopo”:
gli addii delle persone, gli addii alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia,
nella raccolta sembra sia il gatto a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi (anche
i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento
vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno
della sua vita).380
Segue i versi della Szymborska una seconda citazione, tratta sempre da un
componimento sui gatti, ma di T.S.Eliot: The naming of cats is a difficult
matter. Il verso, tratto dall’omonima poesia, che in traduzione si intitola Il
nome dei gatti, appartiene alla raccolta Old Possum’s Book of Practical Cats,
380
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
217
opera che propone una serie di testi poetici sulla psicologia felina e
sull’organizzazione sociale del loro mondo (proprio da questo libro verrà poi
tratto il musical Cats di A.L.Webber).
218
Eliot spiega che qualunque nome si darà al proprio gatto, quello non sarà mail
il vero nome, perché of the thought, of the thought, of the thought of his name:/
His ineffable effable/ Effanineffable/ Deep and inscrutable singular Name.381 Il
vero nome è per lo scrittore al tempo stesso dicibile e indicibile, misterioso e
limpidamente evidente, enigmatico e semplicissimo da capire, per lui il nome
prende la sua forma nella forma del gatto, come se fosse il gatto stesso a
scegliere il suo nome.
Di nomi di gatti parla Eliot nella sua lirica, del gatto Ignazio parla l’autrice in
Poesie per un gatto, e ben novantun nomi di gatti vengono elencati subito dopo
i versi di Il nome dei gatti tra le dediche al libro. Con un gioco analogico la
Lamarque introduce così il lungo e vario elenco di nomi degli amati felini da
lei conosciuti: ai gatti dei miei amici e ai miei amici, oltre che ai gatti di
nessuno e alle loro gattare. Al gruppo di nomi vengono aggiunti altri due
animali domestici a cui il testi è dedicato nonostante non siano della specie
cantata: a Pablito (anche se coniglio) e soprattutto a Brigante, anche se era un
cane.
La dedicataria principale della raccolta poetica è però la figlia di Vivan,
padrona, insieme con la madre, del gatto protagonista dell’opera, al quale
proprio lei diede il nome, a Miryam, che ti chiamò Ignazio, nome che lui stesso
in un componimento ammette di apprezzare:
-E io come mi chaimo?
-Ignazio ti chiami ti piace?
-Non c’è male abbastanza originale.382
L’autrice inserisce anche dei ringraziamenti al testo, scritti giocando con le
parole, e con l’altezza di chi ha collaborato con lei per la realizzazione del
libro: Ignazio, ispiratore, protagonista e compagno di vita e Alberto Gelsumini,
consulente della Mondadori. Si legge infatti a inizio volume:
Un grazie all’impaziente pazienza del cortissimo Ignazio
e all’intelligente impazienza del lunghissimo Alberto Gelsumini.
381
382
T.S. Eliot, Old Possum’s Book of Practical Cats, Faber and Faber, London 1939
V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, cit., p.17
219
3. I contenuti
3.1 La morte e l’aldilà
Gioiose le prime due sezioni, nella terza si affaccia il tema che più mi sta a cuore in
questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi) gli addii delle persone, gli addii
alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia, nella raccolta sembra sia il gatto
a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi 383
spiega l’autrice a proposito di Poesie per un gatto.
Proprio con la notizia della morte della sua fidanzatina si apre la terza sezione
della raccolta:
-Ignazio notizia brutta
su Zarina la bella
che grattavi sempre alla sua porta.
E’ morta Olga mi ha detto.
-Mooorta?384
Viene così introdotto da subito il tema preannunciato dal titolo di questa parte
della storia domestica di Vivian e il suo gatto: Il giardino dell’aldilà. Chiede
insistentemente Ignazio: Ripeto la domanda/ ci sarà o non ci sarà/ questo
aldilà?/ -Forse Ignazio non lo so385; ma le domande continuano perché vuole
assolutamente sapere che fine ha fatto Zarina. Così Vivian cerca di spiegargli
la sua idea di aldilà, già espressa sinteticamente nel titolo della sezione:
è come una specie
di giardino si diventa tutti erba fiori.
-Fiori? un fiore io? mai!
-E perché? essere un fiore/ è un onore no lo sai?/ Un onore un fiore? Non voglio
questo onore mi hai sentito?
voglio per sempre essere Ignazio
io, qui vivo in questa vita.386
Tale spiegazione ritorna più volte nell’opera, ma il gatto non se ne capicita:
383
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
V.L., Ignazio notizia brutta, in Poesie per un gatto, cit., p.130
385
V.L., Ripeto la domanda, ivi, pp.152-153
386
Ibidem
384
220
-E allora dove va?
-Sta.
-Sta?
-Sta.
-E dove?
-In un bel giardino fiorito.
-Come quello che avevamo?
-Sì.
-Tra l’erba?
-Sotto.
-Sotto?
-Sì.387
L’idea di passare l’Eternità sotto terra però gli piace ancora meno dell’idea di
diventare un fiore così di nuovo ribatte: Oh no io vorrei tra i freschi fili/ d’erba
con Zarina stare non sotto/ io sotto l’erba non ci voglio andare.388 Quando
finalmente si convince della possibilità dell’esistenza del giardino dell’aldilà,
un’altra domanda fa crollare il sollievo trovato: -E se anche il fiore muore?389
ma questa volta Vivian, già prima tentennante390, non risponde, e così
inesorabile Ignazio incalza: Diventerò anch’io un giorno un fiore?/ -Ma sì un
fiore o un’erba o un insettino./ -Un insettino io Ignazio? mai!/ -E dai ce ne
sono di belli coccinelle/ libellule maggiolini…/ -Maggiolini? un maggiolino
io?/ un insettino io, io?391; -E Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una
margherita./ -Zarina mia una margherita?/ Non voglio la morte della vita.392; E poi sarà uguale alla nostra/ l’erba dell’aldilà?393 Non si arriva a una vera e
propria soluzione, infatti al termine di queste domande Vivian conclude con un
generico: -Lo vedremo Ignazio/ lo vedremo quando saremo là,394 un po’ come
si fa coi bambini quando fanno tante domande, e soprattutto quando gli
argomenti sono argomenti come questo, -E Zarina là mi aspetterà ci sarà?/ Non escludo la possibilità.395
387
V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156
V.L., Oh no io vorrei tra i freschi fili, ivi, p.157
389
V.L., E quando si può sapere?, ivi, p.158
390
E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011
391
V.L., Diventerò anch’io un giorno un fiore?, in Poesie per un gatto, cit., p.159
392
V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160
393
V.L., E poi sarà uguale alla nostra, ivi, p.161
394
Ibidem
395
V.L., In punto di morte mi darai, ivi, p.162
388
221
Il dialogo sulla morte introduce un equivoco legato a un’analogia già proposta
dall’autrice in testi come Condòmino396, Fuori dalla sua porta397 o Questa
quieta polvere398: la morte e il sonno possono apparire la stessa cosa. L’idea di
un errore dei padroni di Zarina è data a Ignazio dalle parole di Vivian, che
cercando di addolcire la notizia usa un’immagine presa invece alla lettera dal
gatto:
-Comunque non ci credo
che sia morta stava benone
sentiamo, morta come?
-Era malata l’hanno addormentata.
-Addormentata? che sollievo!,
aggiungendo quindi:
Scemi vedendola
dormire vi siete confusi
col morire vedendola
dormire vi siete confusi
col morire.399
Questi cinque versi conclusivi ritornano nella sezione per cinque volte
all’inizio, alla fine, e nel corpo del testo, incredulo refrain per esorcizzare la
morte dell’amata, provando a convincere gli altri, non potendo lui convincersi
di aver perso un affetto tanto importante. La padrona prova così a consolarlo,
continuando a rimanere nella metafora:
-Aspetta di rivederla là
nell’aldilà dicono
che ci risveglieremo tutti
insieme chissà.
-Ci risveglieremo, come quando
al mattino ci svegliamo ci muoviamo?400
396
V.L., Condomino, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.193
V.L., Fuori dalla sua porta, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.83
398
V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66
399
V.L., Comunque non ci credo, in Poesie per un gatto, cit., p.133
400
V.L., Aspetta di rivederla là, ivi, p.135
397
222
Inizia così la ricerca di Zarina in tutti i posti in cui era solita andare a dormire,
come sul balcone, in giardino o sul pianoforte del suo padrone Irlando: Cercate
cercate in ogni dove/ sei lì? sei lì?/ O perché più non suona/ il suo bel sì?401 La
gattina non si trova, ma la raccolta si conclude senza che Ignazio sia riuscito a
convincersi della morte di lei:
L’equivoco è chiarito Zarina
dorme, si è tanto addormentata
ora basterà aspettare il giorno
che si risveglierà oh se si risveglierà
non fatemi mai più così tanto spaventare […].402
401
402
V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144
V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166
223
All’incredulità di Ignazio e alla sua incapacità di accettare una simile perdita, si
offre un’altra spiegazione, o meglio un metodo per superare con meno dolore il
problema: sognare. Immaginarsi la situazione desiderata al posto di quella reale
e dolorosa è una soluzione che l’autrice già ha adottato nelle precedenti
raccolte. Proponendo anche in questo contesto l’escamotage del sogno, la
Lamarque mostra come le domande e le sofferenze del suo gatto siano anche le
proprie, siamo tutti noi403 che davanti alla realtà della morte di una persona
amata viviamo il disorientamento del protagonista di Poesia per un gatto.
Dimmi che è stato un sogno Zarina
non è morta vero?
-Non era un sogno Ignazio
Zarina è morta davvero.404
Oh no
nel sonno me ne ero
dimenticato non voglio
questo oggi voglio ieri
ieri, senza Zarina non voglio
la vita non voglio niente voglio
un ieri immediatamente.405
Il desiderio di tornare indietro nel tempo per stare ancora insieme alla gattina è
assimilabile al discorso che Ignazio fa alla padrona, dicendole che nei suoi
pensieri l’amata era sempre viva: -Ma ti dicevo portami da lei/ aspettavo e
mentre ero/ in sua aspettativa Zarina/ per sempre era viva,/ non moriva.406
Non accetta invece la proprosta della padrona di consolarsi col ricordo dei
momenti vissuti insieme: -Ma ciò che esiste/ non esiste per sempre?/ non è
così/ -Sì nel cuore sì.407;
-Ne resta il ricordo, la memoria.
-Memoria? Non ne voglio
di memoria! voglio Zarina viva
sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello
403
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
V.L., Dimmi che è stato un sogno, in Poesie per un gatto, cit., p.155
405
V.L., Oh no, ivi, p.137
406
V.L., Te lo dicevo portami, ivi, p.132
407
V.L., Ma ciò che esiste, ivi, p.162
404
224
l’aldilà.408
La morte dell’amata fa metter in discussione anche la stessa vita di Ignazio,
della qual cosa prima non si interessava invece molto: -La giornata è finita
tornerà tra un anno/ ma non sarà più la stessa capisci?/ il tempo tutto
inghiotte./ -O.k. buonanotte.409 Ora, rendendosi conto che prima o poi anche lui
morirà chiede a Vivian:
-O vorresti dire che anche il gatto/ prima di me è morto?
-Sì.
-Anche quello prima prima?
-Sì.
-Tutti?
-Tutti.
-Non ci sono più?
-No.
-Ma allora anch’io un giorno morirò?
Morirò dunque?
-Hmm.410
Nonstante tale argomento sia protagonista assoluto nella terza sezione, in
qualche breve dialogo tra il gatto e la sua padrona si trova già qualche
riferimento a tale idea anche nelle prime due parti della raccolta, in modo però
molto più spensierato:
Oh Ignazio non volendolo
ho cucinato un maggiolino lesso
tra le foglie d’insalata volava
così bene dove volerà adesso?411
-Che brutta fine povera
mosca. Era la prima
della stagione non ha fatto
nemmeno in tempo a volare
da lì a qui si fa così?
-Sì.412
408
V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, ivi, p.131
V.L., La giornata è finita, ivi, p.92
410
V.L., O vorresti dire che anche il gatto, ivi, p.150
411
V.L., Oh Ignazio non volendolo, ivi, p.76
412
V.L., Che brutta fine povera , ivi, p.85
409
225
La stessa immagine del trasloco della prima sezione, propone una situazione
nella quale il gatto deve rinunciare a tutto quello che aveva nella vecchia casa,
o vita, per iniziarne una nuova: -Trasloco? appartamento?/ taci almeno finché
non sarà il momento.413;
Traslocheremo Ignazio
non avrai più la scaletta rossa
che scendeva in giardino
né la lucertola che la saliva
ignara di te che al varco l’aspettavi
dal giardino non potrai andare e venire più.
-Più?
-Più, dall’alto degli alberi
non guarderai più giù
non sconfinerai più
nei giardini degli altri
di gatti non ne incontrerai più.
-Più?414;
-Traslocheremo Ignazio
il primo tempo è finito
sta per cominciare il secondo.[…]415
3.2 La relazione uomo-animale domestico
Poesie per un gatto prende spunto dalla convivenza tra Vivian a Ignazio,
raccontando la relazione affettiva che si instaura tra il padrone e l’animale
domestico. Bene si spiega tale realtà, descritta nella raccolta, in un articolo del
Corriere: :
diario di una convivenza mai banale, tra affettuosità e sottili dispetti. Il primo passo di
una relazione con l’esemplare di un’altra specie, l’instaurarsi di riti e abitudini
comuni, e di una reciproca attesa. Un sodalizio che potrà andare lontano, creare nuovi
equilibri affettivi, affrontare critiche e ironie, superare ostacoli pratici, sconfinare in
una simbiosi morbosa, provocare litigi con terzi incomodi, condizionare scelte
quotidiane, complicarle irreversibilmente, e in ogni caso senza rimpianti per la perduta
libertà.416
413
V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55
V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56
415
V.L., Traslocheremo, ivi, p.57
416
E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011
414
226
Il legame proposto dall’autrice in questa raccoltà è a tal punto relazionale da
trasformarsi in vero e proprio dialogo: -Aprimi salgo da Zarina./ -Tornerai per
cena?/ -Non è detto ma tu preparami/ la ciotola piena.417 Lo scambio di battute
tra i due, man mano che si sviluppa nel corso della narrazione, diventa sempre
più personalizzato e continuo. Si disegna così il quadro della convivenza di
Vivian e Ignazio, dove da momenti affettivi si passa a situazioni di
esasperazioni o fastidi, che soprattutto il gatto esplicita con sarcasmo: -E’
tornato il caldo Ignazio./ -Già./ -Il sole fa finta che l’estate non sia finita fa
finta che…/ -Ho capito il concetto, sospendi la lezione/ lasciami dormire in
pace in questo bel fuori/ stagione.418 La mia bambina Miryam…/ -Bambina?
ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha
età.419 Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone/ come vuoi che
stia in questa prigione?420 Ma starà davvero cantando/ quel merlo sul palo
della luce?/ mi pare così accorato non starà/ invece lanciando un appello
mesto/ un suo disperato “chi l’ha visto?”./ -Ma certo sì sì (diamole ragione a
questa qui).421 -Cos’è questo odore infernale?/ -E’ smalto per le unghie
Ignazio./ Quando vedo tutto nero coloro di rosa/ le unghie come una vita…/ Rimbambita.422
Anche Vivian spesso prende caramente in giro l’amato gattone, impedendogli
di catturare le lucertole, stuzzicandolo con degli scherzetti o criticandolo
bonariamente per i suoi atteggiamenti “da gatto”: -Fuggite lucertole/ gatto in
arrivo!/ -Che vergogna è una spia/ la padrona mia.423 -Guarda sotto l’albero
quante albicocche marce/ raccoglile, mi sporcano le zampe/ la sai che non mi
va./ -Ai suoi ordini Sua Gattità.424 -Ma perché non sei un cane?/ Perché non mi
fai feste come Brigante?/ -E questo ron-ron cos’è, secondo te?425
417
V.L., Aprimi salgo da Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.44
V.L., E’ tornato il caldo Ignazio, ivi, p.49
419
V.L., La mia bambina Miryam, ivi, p.52
420
V.L., Miryama mi ha chiesto come stai, ivi, p.68
421
V.L., Ma starà davvero cantando, ivi, p.86
422
V.L., Cos’è questo odore infernale?, ivi, p.98
423
V.L., Fuggite lucertole gatto in arrivo, ivi, p.38
424
V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, ivi, p. 39
425
V.L., Ma perché non sei un cane?, ivi, p.40
418
227
Il legame tra i due però è sempre più forte e conoscendosi sempre di più si
affezionano l’uno all’altro: Sei quasi commovente/ quando mi segui per niente/
quando ti sposti di stanza/ solo perché io mi sposto di stanza/ devi allora da
capo cercare/ nuovo luogo e modo di fare ciambella/ una nuova posizione/ è
questo il tuo discreto modo/ di dare dedizione.426 Quando leggo di notte/ la
luce ti secca/ mi guardi infastidito/ ma Ignazio non ti crederai/ per caso di
essermi marito?427 -Morirò dunque?/ -Hmm./ -Prenderai un altro gatto poi?/ No./ -Menti lo sai./ Ma guai a te guai!428 In un breve soliloquio il gatto
confessa il dispiacere di essere lasciato dalla padrona solo in casa, proponendo
al lettore il proprio punto di vista di animale domestico che conosce bene il
proprio padrone e ne è davvero affezionato:
Ecco rispuntare la solita valigia
e quelle eterne scarpe ci risiamo
parte corre corre si agita per ore
mi sposta tutta l’aria intorno
mi gratta distrattamente in testa
dice ciao bello vado
e se ne va chiude la porta
conto fino a tre dimentica sempre qualcosa
riapre rientra mi ridice ciao bello vado
e se ne va ecco mi ha
lasciato ma chi l’ha detto
che un gatto è indipendente
nessuno sente quello che un gatto solo
dentro sente peggio della fame e della sete
anzi no non peggio meglio anzi no uguale insomma
mi sento poco bene quasi male nessuno sente
quello che un gatto solo dentro sente.429
Le loro abitudini si uniscono, accrescendo il valore di questa relazione di
convivenza quotidiana, come racconta l’autrice:
a suo modo Ignazio mi voleva bene e io a lui. Al mattino, per svegliarmi, se non
bastava dire miao, mi toccava leggermente con una zampa le palpebre chiuse, aveva
426
V.L., Sei quasi commovente, ivi, p.48
V.L., Quando leggo di notte, ivi, p.82
428
V.L., Morirò dunque?, ivi, p.151
429
V.L., Ecco rispuntare la solita valigia, ivi, pp.42-43
427
228
capito che era quella la parte che segnava la differenza tra uno sveglio e un
addormentato;430
relazione e unione bene rappresentata nel componimento che ritrae i due sul
balcone, entrami a godere del sole:
Ama il balcone il mio gatto
il balcone ama anche me
estivo triangolo
noi tre.431
4. Narratore e personaggi
Come già nelle precedenti raccolte, è la storia dell’autrice ad essere portata in
versi, e quindi è sempre Vivian la voce narrante. Novità di questo lavoro
poetico è l’ampio utilizzo del dialogo, che in Poesie dando del Lei era già stato
sperimentato dalla Lamarque. Nel 2007 però, portando in scena direttamente
l’interlocutore, viene accostato al punto di vista del narratore solito, anche
quello di un secondo narratore, che ci propone una visione inedita della
scrittrice, vista dagli occhi dell’interlocutore-narratore, il suo gatto.
La vicenda raccontata in Poesie per un gatto ha infatti come protagonisti
Vivian e Ignazio, che, prendendo la parola in prima persona, raccontano uno
dell’altro o si stuzzicano a vicenda, intavolando discorsi su argomenti i più
disparati. La storia ci porta nella quotidianità casalinga (con o senza giardino)
della loro vita, permettendoci di conoscere da un altro punto di vista la Vivian
già incontrata nelle precedenti opere. E’ però Ignazio, committente e
destinatario del lavoro poetico dell’autrice, il personaggio che meglio
impariamo a conoscere da questi testi. La narrazione inizia con lui
piccolissimo, guardi tutto,/ meravigliato, sei/ da non molto nato432, che scopre
il “mondo” del giardino della casa al QT8, e si innamora di Zarina, la gattina
dei vicini Olga e Irlando. Dalla seconda sezione, Giovinezza senza giardino,
430
V.L., E il mio gatto filosofo disse:” Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22
giugno 2010
431
V.L., Ama il balcone il mio gatto, ivi, p.25
432
V.L., Guardi tutto, ivi, p.15
229
conseguentemente al trasferimento nell’appartamento in via Arimondi e anche
per il fatto che il gatto ormai è cresciuto, acquista più rilievo la voce di questo
personaggio nei dialoghi con Vivian, permettendoci di conoscerlo nel suo
sarcasmo non chè nella grande capacità di sinteticità e incisività. Si umanizza
l’immagine di Ignazio, quando dice: -Dammi un croccantino./ -Lo sai che ti fa
male./ -Fa niente ho un’ansia da placare.433, oppure quando critica Vivian per
i suoi atteggiamenti, Nottetempo ho innaffiato/ un assetato balcone altrui
furtivamente./ Mi osservi serio/ disapprovi palesemente.434, o le risponde
affermativamente quasi compatendola tanto per darle un contentino e non farla
parlare troppo: -Non si mangia oggi?/ -Sì ma ti ho nascosto il boccone/ in un
angolino/ (poveraccia cerca di consolarmi/ per la storia del giardino).435 Dalle
parole di Vivian scopriamo invece la “gattità” di Ignazio, che si lamenta se la
padrona gli dà da magiare scatolette del discount o se lo accarezza troppo
distrattamente: -Quando il breakfast/ non ti garba guardi altrove/ sprezzante,
le scatolette/ del Discount le riconosci all’istante.436; -Perché mi gratti la testa/
così distrattamente?/ -Ho da fare./ (Sua Gattità offesa ece dalla stanza come
rimostranza).437 Degli stessi atteggiamenti del suo gatto racconta Vivian
Lamarque anche in un articolo in cui parla proprio di lui:
Ho avuto vari gatti, l’ultimo si chiamava Ignazio. Ho avuto anche vari cani, l’ultimo si
chiamava Brigante. I gatti che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al cane
e i cani che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al gatto. Cioè i gatti un po’
affettuosi e i cani un po’ quieti, acciambellati. Ignazio però era un gatto-gatto, mai un
sorriso, fusa misurate, unghie sempre pronte, quando gli chiedevo ma perché non sei
anche un po’ cane? Si offendeva molto. […] Ma a suo modo Ignazio mi voleva bene, e
io a lui.438
Compaiono nella narrazione altri personaggi, che però non intervengono
attivamente nei dialoghi proposti, e che vengono quindi citati in quanto
conoscenze comuni tra i due. Di questa cerchia di amicizie e affetti fanno parte
433
V.L., Dammi un croccantino, ivi, p.114
V.L., Nottetempo ho innaffiato, ivi, p.71
435
V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83
436
V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94
437
V.L., Perché mi gratti la testa?, ivi, p.117
438
V.L., E il mio gatto filosofo disse: “Dedicami una poesia”, “Corriere della Sera”, 22 giugno
2010
434
230
due animali, la gattina Zarina e il cane Bigante, oltre che la famiglia
dell’autrice: Miryam, Giorgio, mamma Rosy, a cui si aggiungono i due vicini
di casa Olga e Irlando, padroni di Zarina e amici di Vivian.
5. Metro
Diloghi in versi439 si legge sul “Corriere della Sera” a proposito dei testi di
Poesie per un gatto in un articolo che della raccolta della Lamarque mostra
l’aspetto relazionale tra lei e il suo gatto. Si tratta spesso di scambi di battute
tra Vivian e Ignazio, ma a questa modalità è anche accostata quella del
monologo, dove, più volte l’autrice e una volta il gatto, mostrano il proprio
punto divista senza che l’altro personaggio entri in campo, riprendendo così
una struturra più simile alla precedente produzione poetica della Lamarque.
Unendo quindi i monologhi ai dialoghi citati dalla giornalista, la definizione
dialoghi in versi calza bene ai testi di questa raccolta, che conservano la
predilezione dell’autrice per il verso breve o brevissimo ed enfatizzano la sua
tendenza a parlare in prima persona al destinatario della poesia. In questo caso
il destinatario infatti è quasi sempre in scena con Vivian con la quale scambia
poche ma sintetiche battute. Testi in generale di piccole misure, dai brevissimi
distici di La pioggia piove/ Ignazio non si muove440, ai brani più lunghi, ma pur
sempre contenuti, come il monologo del gatto, di diciassette versi o i ventun
versi del testo sulla morte di Zarina:
-Dimmi che è stato un sogno Zarina
non è morta vero?
-Non era un sogno Ignazio
Zarina è morta per davvero.
-Sopra il piano di Irlando
non cammina più?
-No.
-Nemmeno sul suo letto?
-No.
-E allora dove va?
439
440
E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011
V.L., La pioggia piove, in Poesie per un gatto, cit., p.129
231
-Sta.
-Sta?
-Sta.
-E dove? –In un bel giardino fiorito.
-Come quello che avevamo?
-Sì.
-Tra l’erba?
-Sotto.
-Sotto?
-Sì.441
In questo caso, come in molti altri brani della raccolta, alla relativa lunghezza
del testo si oppone la brevità dei versi, alcuni formati da soli monosillabi,
spesso ripetuti, creando quindi, più che uno schema di rime, una serie di
ripetizioni che conseguono al botta e risposta.
Il verso libero e spesso assimilabile alla prosa è però ritmicamente organizzato
dalle rime. L’autrice propone anche in quest’opera numerose rime baciate, che
balzano all’occhio grazie agli enjambement che, interrompendo la frase
sintattica, privilegiano la dimensione musicale del verso, proponendo rime
come margherita-vita442, dormire-morire443, angolino-giardino444, insalataocchiata445, sorpresa-distesa446, farfalla-gialla447.
Va infine notata l’assenza di titolo dei componimenti, ad eccezione della prima
e dell’ultima poesia: Committenza e Ultima. Tale scelta permette al discorso
poetico di risultare continuato, collegando i brani uno all’altro, senza una vera
e propria netta divisione, aspetto che si accentua nell’ultima sezione della
raccolta, dove il discorso tra i due protagonisti si fa più serrato e la tematica,
ben definita, è proposta in quasi ogni loro discorso “trascritto” dall’autrice.
441
V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156
V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160
443
V.L, L’equivoco è chiarito Zarina, cit., p.166
444
V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83
445
V.L., Guarda Ignazio, ivi, p.78
446
V.L., Aprimi la porta, ivi, p.37
447
V.L., La guardi con gli occhi spalancati, cit., p.26
442
232
6. Fonti e modelli di scrittura
Scrive la Lamarque nell’articolo scritto in memoria della morte del suo gatto
Ignazio:
Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani,
perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama.448
Proprio da una poesia per un gatto è tratta la citazione che apre Poesie per un
gatto: Morire- questo a un gatto non si fa, primo verso di Il gatto in un
appartamento vuoto di Wislawa Szymborska. Proprio riguarda alla scelta di
questo componimento come esergo della raccolta la Lamarque spiega:
i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento
vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno
della sua vita.449
La scelta del proprio animale domestico come dedicatario, diventa così per
entrambe le poetesse il pretesto per affrontare con apparente distacco la
luttuosa perdita di persone care. Lamenta la morte dell’amata Zarina il suo
innamorato, Ignazio, mentre invece il gatto della Szymborska, alter ego della
scrittrice stessa, piange la scomparsa del padrone, ossia il compagno della
poetessa:
Qui c'era qualcuno, c'era,
e poi d'un tratto è scomparso,
e si ostina a non esserci.
In ogni armadio si è guardato.
Sui ripiani è corso.
Sotto il tappeto si è controllato.
Si è perfino infranto il divieto
di sparpagliare le carte.
Cos'altro si può fare.
Aspettare e dormire.
448
V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22
giugno 2010
449
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
233
Che provi solo a tornare,
che si faccia vedere.
Imparerà allora che con un gatto così non si fa.450
Si lamenta invece con la padrona Vivian il gatto Ignazio per la scomparsa della
gattina di cui era innamorato e della cui morte non si vuole fare una ragione,
cercandola insistentemente: Cercato sul balcone?/ sul balcone l’avete
cercata?451; Cercate sul pianoforte dell’Irlando452; Cercate negli angoli bui453;
Cercate cercate in ogni dove
sei lì? sei lì?
O perché più non suona
Il suo bel sì?454
L’equivoco è chiarito Zarina
dorme, si è addormentata
ora basterà aspettare il giorno
che si sveglierà oh se si risveglierà
non fatemi mai più così tanto spaventare
vedendola dormire vi siete confusi
col morire vedendola dormire
vi siete confusi
col morire.455
Al suo gatto, affezionato compagno di vita, Elsa Morante dedica invece la
poesia conclusiva di Menzogna e sortilegio, personaggio interno anche al
romanzo. Elisa, la protagonista, al termine del suo percorso trova il misterioso
Alvaro.
E’ il suo gatto (Alvaro è l’altro nome di Giuseppe, il gatto vissuto con Elsa dal 1966
all’agosto 1982), suo unico “compagno” nel tempo della vita e in quello della
scrittura, cui dedica un canto d’amore.456
450
W. Szymborska, Il gatto in un appartamento vuoto, in La fine e l'inizio , Scheiwiller
editrice, Milano 1997
451
V.L., Carcato sul balcone?, in Poesie per un gatto, cit., p.140
452
V.L., Cercate sul pianoforte dell’Irlando, ivi, p.142
453
V.L., Cercate negli angoli bui, ivi, p.143
454
V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144
455
V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166
456
G.Nuvoli, L’ultimo romanzo possibile, una Commedia rovesciata, in E.Morante, Menzogna
e sortilegio
234
Recita infatti la lirica della Morante:
Non mi rispondi? Le confidenze invidiate
Imprigioni tu, come spada di Damasco le storie d’oro
in velluto zebrato. Segreti di fiere
non si dicono a donne. […]
Si ripiega la memoria ombrosa
d’ogni domanda io voglio riposarmi.
L’allegria d’averti amico
basta al cuore. E di mie fole e stragi
coi tuoi baci, coi tuoi dolci lamenti,
tu mi consoli,
o gatto mio!457
457
E. Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 1994, p.706
235
Con altri toni, ma simili argomenti scrive la Lamarque del suo gatto,
committente della raccolta e compagno di vita quotidiano, arrivando persino a
domandargli: ma Ignazio non ti crederai/ per caso di essermi marito?458
458
V.L., Quando leggo di notte, in Poesie per un gatto, cit., p.82
236
CAPITOLO VII
LA GENTILESSA
237
1. Genesi e storia
Nel 2009 Vivian Lamarque pubblicò, per la casa editrice Stampa, un volumetto
di poesie in dialetto milanese intitolato La gentilèssa, con la “e” aperta e le “s”
della pronuncia milanese, al posto delle “z”.459 Una piacevolissima sorpresa,
scrive Maurizio Cucchi nella prefazione alla raccolta, dove spiega che questi
testi non sono componimenti recenti, bensì poesie scritte tra 1973 e il 1975,
quasi agli esordi della poesia di Vivian Lamarque, aggiungendo: ricordo che
proprio allora me ne aveva parlato, cogliendomi appunto di sorpresa.460
Spiega a questo riguardo l’autrice:
Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione ( in senso letterale, i miei
genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto
negli Anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili,
mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il
1975, anni in cui ho scritto il maggior numero di poesie, anni di forte disagio psichico
(ma non voglio gareggiare con Alda Merini, vincerebbe lei!), si è mossa e, senza
averle minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono
infilate tra le altre centinaia, in questa raccolta ho cercato di scegliere tra le meno
acerbe. Negli anni successivi non si sono più fatte vive, non ne ho scritte più.461
L’opera raccoglie poesie inedite, con l’unica eccezione di Pèss fritt462,
pubblicata nel 1996 nella raccolta Una quieta polvere. In quell’occasione, in
nota l’autrice aveva specificato che il testo faceva parte della raccolta Milan
brutta bèlla, del 1978, inedita, ma della quale nel 1995 erano stati pubblicati
quattro componimenti sul n.10 della rivista Poesia, uno dei quali era proprio
Pèss fritt.
La gentiléssa, racconta la poetessa, parlava della Milano che avrei voluto, di
quel che mancava, la gentilezza,463 appunto. Da qui il cambio di titolo rispetto
all’idea editoriale annunciata nel 1996, come si evince anche da un’intervento
in una conferenza del 2012 proprio sulla città di Milano, nella quale la
Lamarque aveva aggiunto:
459
M.Cucchi, Prefazione, in V.Lamarque, La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.8
M.C., Prefazione, ivi., p.7
461
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, ivi, p.61
462
V.Lamarque., Pèss fritt, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.56
463
I.Bozzi, “La gentilèssa” di Vivan e quella della poesia, in “Corriere della Sera”, 25 maggio
2009
460
238
Milano, dice il titolo di questa serata, Milano Amica-Nemica. Io l’ho chiamata in una
mia poesia Milan Brutta Bèlla. Però anche la poesia è una poesia di 30 anni fa, è un
po’ invecchiata, non è più bella, l’ho cancellata. Adesso mi è rimasto questo titolo
orfano, senza nessuna poesia attaccata sotto. Milan brutta bèlla è la nostra città.464
Continua poi spiegando il valore che ha per lei la parola scelta come titolo della
raccolta in dialetto milanese composta da quelle poesie degli anni ’70 che le si
sono infilate nel pennino, senza ben sapere come:
Gentilmente è un avverbio, già l’aggettivo mi piace molto, gentile,… è un avverbio,
ho anche un libro intitolato La gentilèssa. Però voglio avvertire voi, e soprattutto me,
che non me lo dimentichi che deve essere… la gentilezza dei Milanesi deve essere
armata un po’. Cioè gentilmente armata, ma armata. Ci vuole per sostenere tutta
questa ondata di brutto soprattutto che ci avvolge. […] Dicevo, la gentilezza è quella
cosa per cui quando la sera torniamo a casa e abbiamo incontrato una persona gentile,
un impiegato gentile, lo raccontiamo.465
2. Struttura
La Gentilèssa raccoglie sedici poesie in lingua milanese, con la traduzione in
italiano proposta nel testo a fronte. La piccola opera è divisa in tre sezioni:
Gajna malada, Milàn brutta bèlla, Papà ti te diset di no. Il titolo delle prime
due parti riprende quello di un brano in esse raccolto, mentre il terzo sintetizza
il racconto della prima poesia della sezione.
2.1 La struttura
La prima sezione della raccolta, Gajna malada, con le sue otto poesie è la parte
più ampia dell’opera in milanese della Lamarque. L’omonima poesia recita me
interèssa pù nient e alura/ alura me mètti in d’un cantun/ come n’a gajna
464
Intervento di V.L. al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale
Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012
465
Ibidem
239
malada[…] col crapin sotta l’ala l’è minga giust/ ma che bèl caldin ch’el fa.466
La sezione infatti racconta della sofferenza di Vivian per l’assenza dell’amato.
E’ felice di riceve da lui una lettera che però non apre in La lettèra. Intuendone
il contenuto doloroso preferisce leggere il proprio nome sulla busta, pensando
che il mittente è proprio lui e che l’ha scritta per lei. La situazione si ripete in
Pèss fritt, con l’attesa di una sua telefonata, che però non arriva, e di nuovo la
soluzione è immaginarsi tutto e parlare con l’innamorato assente, che anche in
Stanott u sugnà è da Vivian raccontato come sognato o analogo a quelle storie
che si leggono nei romazi, ma dove mai il protagonista è bello come il suo
amur. A questi quattro componimenti nei quali la protagonista riesce a reagire
al dolore causato dall’assenza dell’amore desiderato, ma come Teresino
sparito, se ne contrappongono altri quattri, dove invece la sofferenza per
l’ennesimo abbandono si fa più forte. Cerca di reagire esasperata svendendo le
proprie lettere e chiedendo in camibio un po’ di affetto in Lètter lètter, mentre
il dolore non si può più sopportare né nascondere nella poesia che dà il titolo
alla sezione e in Stasera ‘l coeur dove scrive che il cuore grida e soffre così
tanto che chi lo sente, non capendo, chiede da dove provenga un tale rumore.
Chiude la sezione Come n’gatt, dove Vivian racconta di sé con l’analogia con
la storia di un gatto abbandonato salvato dal suo nuovo padrone, che però ora
non lo sopporta più, perché ‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott/ ‘l ghe va semper
dré.467
Riprende il titolo ipotizzato per la raccolta nella nota a Péss fritt468 nel 1996, la
seconda sezione della raccolta, Milàn brutta bèlla, che tra le sue quattro poesie
conta questa su Milano e il brano che presta il nome alla raccolta, La
gentiléssa.
466
V.L., Gajna malada , in La gentilèssa, cit., p.22; Trad.: “Non m’interessa più niente e
allora/allora mi metto in un angolino/ come una gallina malata […] col crapino sotto l’ala non
è giusto/ ma che bel caldino che fa.”
467
V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre
dietro.”
468
V.L., Pèss fritt, in Una quieta polvere, cit., p.56
240
L’autrice racconta della sua città adottiva, la città di ossimori469, narrata anche
nella poesia Visin a san Lurenz con la signora che da giovane vicino alla chiesa
di San Lorenzo vendeva le violette, e in L’Ospedaa, con l’immagine dei
piccioni che si muovono in gruppo sotto il Duomo, nonché per la realistica
ipotesi che l’ospedale in questione sia una delle strutture milanesi. Canta però
in Milàn brutta bèlla:
ne poedi pù vu via
[…] Milàn brutta bèlla
lassem andà
‘l me amur ‘l m’ama no
‘l me amur ‘l m’ama no.470
Il tema della prima sezione viene così riproposto anche nella seconda parte
della raccolta, sfumando però sullo sfondo cittadino, enfatizzato dalla lingua
milanese delle poesie.
In nota l’autrice rivela di avere altre poesie appartenenti a questa sezione
poetica, che però sono ancora nella fase di riscrittura,
tra le altre un lungo componimento intitolato Mangiagalli (la più popolare Maternità di
Milano), dove descrivo realisticamente la nascita di mia figlia Miryam.471
Chiude la raccolta la sezione Papà ti te diset di no, anch’essa composta da
quattro poesie, dei quali due componimenti sono dedicati ai due padri (adottivo
e naturale) e uno all’affezionato Brigante, cane bastardino che per analogia si
collega, come gli altri brani, all’abbandono e all’adozione di Vivan in questa
terza parte raccontati. Composta circa nello stesso periodo di alcune delle
poesie di Teresino, La gentilèssa pone in primo piano l’immagine paterna,
lasciando in secondo piano l’ingombrate tematica delle due madri che invece
occupava molto della prima raccolta dell’autrice. A questo proposito va però
considerato il fatto che la raccolta in dialetto milanese uscì ventotto anni dopo
469
A.Beretta, Milano? E’ la città degli ossimori, in “Corriere della Sera”, 28 marzo 2012
V.L., Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, cit., p.40; Trad.: “Non ne posso più vado via/ […]
Milano brutta bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.”
471
V.L., Note a La gentilèssa, cit., p.67
470
241
Teresino e più di trent’anni dopo la composizione dei testi raccolti ne La
gentilèssa. La proposta di un’inedita immagine paterna può quindi essere
collegata anche a una scelta editoriale, proponendo un argomento biografico
meno trattato dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, escludendo dalla
pubblicazione le eventuali poesie dialettali sul più noto tema delle due madri.
Torna infine, nell’ultima poesia della sezione, Ier sera me sunt indurmentada,
l’idea della morte, che sempre conclude le raccolte della Lamarque, tema
questo già introdotto nell’opera dialettale col penultimo brano dedicato al
padre Dante, morto quando Vivan aveva quattro anni.
2.2Apparati testuali
Introduce ai testi poetici di La gentilèssa , la Prefazione firmata da Maurizio
Cucchi che, spiegando il perché dell’insolita scelta linguistica dell’autrice,
ricorda la loro precedente collaborazione per le prime pubblicazioni della
Lamarque negli anni ‘70 presso la casa editrice Guanda. Proprio a quegli anni
risalgono queste poesie in dialetto, spiega Cucchi:
l’uso del dialetto milanese, a ben vedere, non è cosa strana per questa poetessa. E’
come un ulteriore tentativo naturale di portarsi a una condizione primaria di
innocenza, e attraverso una lingua che per lei non è materna ma sicuramente legata al
primissimo sentire, alla parola sbocciata nella testa nell’infanzia. […] In questo,
naturalmente, è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva472
nota introducendo il mondo dell’infanzia e la prospettiva della bambina in
cerca d’affetto e di conferme spesso proposta nella propria poesia dall’autrice.
Conclude infine con un riferimento a un altro genere che riecheggia in alcuni
dei brani della raccolta, la fiaba, ma sappiamo che anche di questo genere
Vivian Lamarque è da tempo maestra.473
472
473
M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.7
M.C., Prefazione, ivi, p.9
242
Alla tradizionale dedica dei proprio libri a persone care, questa volta l’autrice
sostituisce una brevissima giustificazione rivolta ai familiari. Scusandosi per il
proprio atteggiamento di allora nei loro confronti, spiega che gli anni in cui
scrisse le poesie in dialetto de La gentilèssa per lei furono anni difficile e
dolorosi, a quali infatti seguì il ventennale percorso analitico junghiano:
Ho scritto queste poesie in anni oscuri.
Chiedo scusa a tutti i familiari che allora feci soffrire.
Subito dopo una Nota firmata dall’autrice spiega il lavoro linguistico svolto
con Giorgio Prestinoni per la revisione e la trascrizione dei testi dialettali.
Come supporti linguistici dichiara di aver utilizzato il dizionario Cletto Arrighi
e, su suggerimento dell’editore, il vocabolari milanese-italiano di Francesco
Cherubini del 1814 per la grafia di alcuni vocaboli. Aggiunge poi che per
alcuni termini si è preferito non ricorrere alla grafia corretta, ritenuta, oggi, di
difficile lettura mentre in qualche caso, avverte, mi sono concessa qualche
parola che esiste solo per me. Conclude la nota con un invito ai lettori a farle
avere eventuali appunti e correzioni al dialetto milanese proposto in La
gentilèssa.
Alle poesie dell’autrice, l’edizione Stampa
fa seguire la trascrizione
dell’Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque. La scrittrice e
giornalista, richiamandosi alla tradizione poetica milanese, chiede alla poetessa
di provare a spiegare in che modo ritenga di essersi inserita in tale produzione
dialettale, alla cui domanda la Lamarque risponde:
come mio solito, illegittimamente: vedi mia biografia e vedi “Poesia illegittima”. Non
sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione.
Seguono scambi di battute sull’attuale stato della poesia nel dialetto del
capoluogo lombardo e quindi sulla città stessa, occasione per la poetessa di
raccontare dei quartieri da lei più amati: via Castellino da Castelli, dove prima
lei poi la nipotina Micòl frequentarono la Scuola Elementare Rinnovata
Pizzigoni, via Manin, dove a Palazzo Dugnani c’era il liceo linguistico in cui
243
l’autrice si diplomò, che proprio di fronte aveva la sede della Guanda, prima
casa editrice con la quale lavorò e di cui ricorda con affetto i collaboratori e
scrittori negli anni ’70 con lei al lavoro in quella via, primi fra tutti Giovanni
Raboni e Maurizio Cucchi. Infine tra i luoghi più amati inserisce via Comeria,
dove al n.8 c’era lo studio del Dottor B.M. e poco più avanti il liceo Beccaria a
cui era iscritta la figlia Miryam. Si conclude l’intervista con i desideri della
Lamarque, che alla domanda su cosa vorrebbe della Milano di un tempo e cosa
non vorrebbe di quella di oggi, ricordando la nebbiosa città amata da Stendhal
con le sue innamorate, risponde:
ecco, se posso scherzare un po’, anch’io vorrei nebbie, navigli scoperti e innamorati!
Poi vorrei portinaie sedute sulle seggile fuori dai portoni che se qualche estraneo
osava entrare lo fulminavano con un’occhiataccia e un “dove ‘l va lu?”. Poi vorrei
cortili pieni di bambini che giocano […] vorrei eliminare i graffiti […] e vorrei
ricoperte da rampicanti tutte le case brutte della periferia […]. Vorrei soprattutto che
la neve di un tempo tornasse a posarsi su tutto e si tutti.
E se dovessi vivere altrove, quale sarebbe l’alternativa? chiede la Tolusso a
cui la poetessa risponde: Essendo nata sulle Dolomiti, vorrei vivere in una città
di mare, subito puntualizzando,
una città grande però, una rumorosa città-città. […] Se riscoperchiassero i Navigli
potrei anche restarmene qui, andarci in barchetta con la mia mamma di quasi cento
anni, con Miryam Giorgio Davide e Micòl,, e che avessimo un bell’innamorato per
uno “ e ciascuno di lor fosse contento/ sì com’io credo che saremmo noi…”.
Segue l’intervista, un breve apparato di note nelle quali si danno maggiori
informazioni su cinque delle poesie della raccolta. Di Pèss fritt vengono
indicate le due precedenti pubblicazioni, nel 1996 e nel 2002, con l’inserimento
di Una quieta polvere nell’Oscar Mondadori Poesie 1972-2002. Riguardo alla
poesia Lètter lètter l’autrice spiega l’eco leopardiana che tale titolo le ha
ispirato, almanacchi almanacchi, mentre alcune notizie biografiche sui due
padri sono date per Famm fa un gir in bicicletta. L’elaborazione di altre poesie
da inserire nella seconda sezione della raccolta è brevemente annunciata nella
nota a Milàn brutta bèlla, mentre per Gajna Malata l’autrice ricorda:
244
questa poesia stava per essere premiata a un concorso, ma poi fu bocciata… perché,
asina, avevo scritto “galina” invece di “gajna”.
Chiudono la raccolta i Ringraziamenti dell’autrice alla pazienza del poeta
Giorgio Prestinoni che l’ha aiutata nella revisione del suo dialetto, come
anticipa nella nota a inizio volume, e anche alla pazienza del
suo cane Lupo che alle letture di poesia ascolta immobile e, quando lo ritiene
opportuno, applaude con la coda.
Copertina la gentilessa
245
3. Contenuti
La gentilèssa pur essendo stata pubblicata nel 2009, raccoglie poesie
dichiaratamente datate 1973-1975. Alla stessa altezza cronologica risalgono i
testi di Teresino, prima opera poetica pubblicata dalla Lamarque, che riunisce
testi scritti tra il 1972 e il 1980. E’ quindi evidente la sovrapposizione
cronologica delle due raccolte, entrambe composte da brani realizzati negli
anni vissuti al QT8, i primi anni della piccola figlia Miryam e gli anni della
separazione dal marito Paolo. Essendo la poesia di Vivian Lamarque una
poesia autobiografica, a simile periodo compositivo non può che corrispondere
simile materia poetica. Leggendo i testi dialettali della raccolta del 2009, si
ritrovano infatti molti dei temi affrontati in Teresino, allora trattati più
ampiamente, mentre ora a volte anche solo accennati, ma pur sempre
rintracciabili dall’occhio di un lettore che conosca la poesia dell’autrice. Scrive
Maurizio Cucchi nell’introduzione al volume di poesie dialettali:
è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva, e chi conosce la
poesia di Vivian non potrà che riconoscerne il tratto, anche se con altri suoni rispetto
ai suoi più noti; e riconoscerla, anche, con un sorriso di convinta adesione
partecipe.474
Apriva la raccolta del 1981 la sezione Conoscendo la madre, dove ampio
spazio era dedicato al primo traumatico evento della vita di Vivian: l’adozione.
Lo stesso argomento è affrontato in Brigante, testo tutto giocato sull’analogia
tra il cane e ‘n quaivun, qualcuno che sembra essere proprio la sua padrona:
Brigante a vardàl ben
‘l ghe somèia a ‘n quaivun.
Tant per cumincià subit con i afinità
l’è anca lù ‘n bastardin
capità al mund inscì
dumà perché l’è bèl fa l’amur in d’un prà.475
474
M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.8
V.L., Brigante, in La gentilèssa, ivi, p.50; Trad.: “Brigante a guardarlo ben/ assomiglia a
qualcuno./ Tanto per cominciare subito con le affinità/ è anche lui un bastardino/ venuto al
mondo così/ solo perché è bello far l’amore in un prato.”
475
246
Sempre di un parto parla Vivian nella poesia che direttamente allude alle sue
origini trentine e all’adozione, Famm fa un gir in bicicletta, dedicata al padre
naturale E.M., che in nota racconta di aver visto una sola volta a 26 anni: famm
vedè […] ‘l prà te preghi/ indové t’he amà la mama/ che poeu sun rivada mi/ e
te set sparì.476 Così l’abbandono vissuto da Vivian, con la precedente
sparizione del padre naturale, è accaduto anche a Brigante, già presentato come
un bastardino, che una volta nato gh’è pù la mama/ gh’è pù ‘l papà.477
Conclude però la poesia la sintesi e la saggia concretezza tutta dialettale: fa
nient/ adèss l’è grand/ ‘l gh’à ‘l so de fa.478
Un altro abbandono è vissuto da Vivian a quattro anni, quando morì il suo
secondo padre (in ordine di numero, ma primo), quello che, seppur per poco
tempo, però con lei rimase e rivestì il suo ruolo genitoriale. In Tiravet ‘l pes è
rappresentato mentre pratica sport osservato dalla piccola figlia, introducendo
poi il tema della morte, altro argomento da sempre frequentato dall’autrice, in
Teresino ma soprattutto nelle raccolte successive, tra tutte Una quieta polvere e
Poesie per un gatto. Il gioco analogico della poesia per il cane Brigante è qui
riproposto, ma con l’immagine del peso lanciato, che per colpa di un soffio di
vento non è lui ad essere spinto lontano, bensì il padre ad essere portato via, in
alto, come quel peso che il papà poco prima lanciava:
te tiravet ‘l pes in d’un prà
[…] quand ‘l pes ‘l rivava giò in tèrra
mi curevi cuntenta a ciapàl
poeu tutt a ‘n tratt
l’a boffà ‘l vent/ e ‘l pes…
… ‘l pes ‘l t’a purtà via
‘l t’a purtà in alt
in alt luntan
mi lì a spetà
cont ‘l nas par aria
mi lì a ‘spetà
‘speti ancamò
476
V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere […] il prato ti prego/
dove hai amato la mamma/ che poi sono arrivata io/ e sei sparito tu.”
477
V.L, Brigante, ivi; Trad.: “Non c’è più la mamma/ non c’è più il papà.”
478
Ibidem; Trad.: “Fa niente/ adesso è grande/ ha il suo da fare.”
247
sun semper là.479
Penultimo componimento della raccolta, la storia del papà Dante introduce il
testo che chiude la raccolta, Ier sera me sunt indurmentada. Proponendo il
racconto di un mancato risveglio la mattina, l’autrice gioca sulla somiglianza
tra dormire e morire. Ier sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun
svegliada pù480: considerando che chi dorme si può svegliare, ma chi è morto
no, proprio della sua immaginata fine parla Vivian, come già negli ultimi
componimenti di L’amore mio è buonissimo, di Il tuo posto vuoto e di Il primo
mio amore erano due. Come nelle tre sezioni poetiche di Teresino, anche qui
viene chiamata in causa un’altra persona, la quale non avendo voluto ascoltare
da subito quel che Vivian aveva da dirle, ormai non potra più sapere cosa
fosse:
Vulevi tant cuntat ‘na roba
l’era inscì mai bèlla
inscì bèlla
e adess chissà ‘sse l’è.481
L’interlocutore assente, l’altro a cui Vivian cercava in Teresino di far capire
quanto pesante fosse la sua mancanza, arrivando ad immaginarsi la reazione in
caso della propria morte, è l’amore mio buonissimo, o, in La gentilèssa, l’amur
a cui l’innamorata dice: nessun amur l’è pussè bèl de ti.482 Cambia la lingua
adottata dalla poesia ma non cambia la storia d’amore non corrisposto e
insistentemente cercato dall’innamorata che Come ‘n gatt, una volta che ha
finalmente trovato qualcuno che gli ha mostrato un po’ d’affetto, non fa altro
che stargli vicinissimo,
‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott
479
V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Tiravi il peso in un prato/ […] quando il peso
toccava terra/ correvo felice a prenderlo/ poi tutt’a un tratto/ soffiò il vento/ e il peso…/ … il
peso ti portò via/ ti portò via/ ti portò alto/ in alto lontano/ io lì ad aspettare/ con il naso per
aria/ io lì ad aspettare/ aspetto ancora/ sono sempre là.”
480
V.L., Ier sera me sunt indurmentada, ivi, p.56; Trad.: “Ieri sera mi sono addormentata/ e
stamattina non mi sono svegliata più.”
481
Ibidem; Trad.: “Volevo tanto raccontarti una cosa/ era così bella/ così bella/ e adesso chissà
cos’è.”
482
V.L., ‘Sto liber, ivi, p.30; Trad: “Nessuno amore è più bello di te.”
248
‘l ghe va semper dré
e miau de chì e miau de lì
‘l taca la matina
e’l smett nanca de nott
lù ne po propi pù e ‘l se dumanda
ma perché propri a mi stu gatt?483
La ricerca di affetto e l’amore non corrisposto si sintetizzano qui, ma sono
presenti in tutti i brani della prima sezione della raccolta. L’immagine dei gatti
ritorna in un altro componimento, Stasera ‘l coeur, nel quale non si racconta
più dell’esasperazione del padrone che ha sempre l’affezionato e riconoscente
gatto in mezzo ai piedi, bensì del dolore di quel gatto, o meglio di Vivan per
l’assenza dell’amato. In questo caso, la metafora viene introdotta nella seconda
parte del brano, per giustificare le grida di dolore del proprio cuore, che son
così forti che la gente si chiede ma ‘sse l’è tutt quest vusà?484 Così
l’innamorata ferita si inventa la scusa dei gatti nei quali però riflette tutte le
ragioni del suo male d’amore: ‘l sarà ‘n quai gatt inamurà/ che la soa gatta
chissà indue l’è/ […] a fa l’amur cont un alter gatt?485
Stanca di scrivere letterine e bigliettini all’amore mio buonissimo, la dialettale
Vivian reagisce in Lettere lettere, buttando via tutto, o meglio svendendole,
vendi i me lètter gratis/ chi voer cumprai?486 Torna però alla fine la solita
ricerca d’attenzioni e d’affetto, che fa apparire la vendita come la conseguenza
di un litigio, nel quale le sia stato rinfacciato di essere com ‘n gatt, troppo
insistente e invadente: gh’è dumà de dervì i bust/ de tirà foeura i foeuj e lègg/
(ma se po anca saltà ‘n tòcch)/ insoma ‘na roba svelta/ se lègg se strascia fine/
basta pocch a cuntentàm.487 In Gajna malada la sofferenza è invece vissuta in
un modo più riservato e personale, e il motivo di tanto dolore è sempre
ricollegabile alla sofferenza d’amore, questa volta per una cosa scrittale da lui,
483
V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre
dietro/ e miao di qui e miao di lì/ lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché proprio a
me questo gatto?”
484
V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Ma cos’è tutto questo gridare?”
485
Ibidem; Trad.: “Sarà qualche gatto innamorato/ che la sua gatta chissà dov’è/ […] a far
l’amore con un altro gatto?”
486
V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Vendo le mie lettere gratis/ chi vuole comprare?”
487
Ibidem; Trad.: “C’è solo da aprire le buste/ tirar fuori i fogli leggere/ (ma si può anche
saltarne un pezzo)/ insomma una cosa facile/ si legge si straccia fine/ basta poco a farmi
contenta.”
249
forse proprio La lèttera che apre la sezione e che Vivan preferisce non leggere,
ma tenere sigillata gustando la bellezza del proprio nome come destinatario. A
quanto pare però alla fine la busta è stata aperta e la lettera letta:
Da quel dì
che te m’è scritt insc
m’è capità ‘n quaicoss
me interèssa pù nient
l’è minga giust se fa no inscì
ma me interèressa pù nient.488
Piange Vivian l’amore non corrisposto nella seconda sezione della raccolta,
nella poesia Milàn brutta bèlla, dove, rivolgendosi alla città, le chiede di
lasciarla andar via, di non trattenerla, perché ‘l me amur ‘l m’ama no/ ‘l me
amur ‘l m’ama no/ Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna.489
E’ sempre una lettera a introdurre questa volta il tema del sogno e
dell’immaginazione in La gentilèssa, argomento che tra le altre poesie della
raccolta del 1981 aveva guidato i giochi dell’onirico poemetto Teresino. In La
lèttera, è proprio la fantasia l’escamotage per superare il doloroso contenuto
del testo ricevuto da Vivian, che così decide semplicemente di non aprire la
lettera e invece godere del proprio nome scritto sulla busta dalla mano
dell’amato apposta per lei. Si permette così di immaginare quello che vuole,
magari di aver ricevuto una lettera d’amore, o con almeno qualche parola
affettuosa:
quel che gh’è denter scritt mi l’ su giamò
l’induvini e alura, alura l’è mei dervìla no
savè nient, lassà stà
e poeu l’è inscì bèlla ‘sta busta
duprada da ti solament per mi
[…] che bèlla ‘sta busta bianca
488
V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “Dal giorno/ che m’hai scritto così/ mi è successo
qualcosa/ non m’interessa più niente/ non è giusto non si fa così/ ma non m’interessa più
niente.”
489
V.L., Milàn brutta bèlla, ivi, p.40; Trad.: “Il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi
ama/ Milano ho il magone come una donna.”
250
scritta da ti propri propri a mi.490
La stessa situazione e una simile soluzione si ritrova in Pèss fritt, dove
inutilemente Vivian aspetta da tutto il giorno la telefonata dell’amato, che però
non chiama, e così me mèti a fa mi fort fort drin drin/ pussé fort driiin come
‘na disperada/ e poeu disi pronto pronto e varda/ te set propi ti che te me diset
come la va?491 Esplicitamente di sogno si parla in Stanott u sugnà, dove è
sempre lei a sognare, questa volta in un sogno notturno, che l’innamorato le
insegni a scrivere e leggere, abilità per lei importantissime e amate, in quanto
scrittrice:
Stanott u sugnà
che te me ‘mparavet a lègg e a scriv
e mi bona bona te dumandavi
[…] mi scultavi inamurada e, oh che bèl sugnà che l’era
che bèl sugnà.492
Di un altro tipo è invece il sogno di Famm fa un gir in bicicletta, dove Vivan si
immagina col padre naturale a sei anni, intavolando un ipotetico dialogo nel
quale lei prega lui di portala a fare un giro in bici ma nessuna delle premesse è
a favore della realizzazione del desiderio della figlia.
Con questa poesia, l’autrice ripropone il tema del guardare, anch’esso già
affrontato in Teresino, in cui spesso Vivan si descriveva semplicemente intenta
a guardare l’amato, o la figlia che giocava o la natura. In Stanott u sugnà tale
l’argomento viene proposto nella dimensione amorosa:
Fasevi finta de savè nient
per restà lì inscì a vardat
490
V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad: “Quel che c’è dentro scritto lo so già/ l’indovino e allora,
allora è meglio non aprirla/ non sapere niente, lasciare stare/ e poi è così bella questa busta/
adoperata da te solo per me/ […] che bella questa busta bianca/ scritta da te proprio proprio a
me.”
491
V.L., Pèss fritt, ivi, p.20; Trad.: “Mi metto a fare io forte forte drindrin/ più forte driiin
driiin come una disperata/ e poi dico pronto pronto e guarda/ sei proprio tu che mi dici come
va?”
492
V.L., Stanott u sugnà, ivi, pp.24,26; Trad.: “Stanotte ho sognato/ che m’insegnavi a leggere
e scrivere/ e io buona buona ti domandavo/ […] io ascoltavo innamorata e, oh che bel sognare
che era/ che bel sognare.”
251
[…] E mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta
e vardavi incantada i to bei man espressiv
che disegnaven ne l’aria […].493
Guarda con affetto e ammirazione il papà la bambina Vivian, di cui si racconta
in Te tiravet ‘l pes: e mi stavi lì silenziusa a vardàt/ te seret tutt cuncentrà/ […]
quand ‘l pes ‘rivava giò in tèrra/ mi curevi cuntenta a ciapàl.494 All’altro papà
invece Vivan chiede di mostrarle i suoi luoghi natii, quelli nei quali avrebbe
vissuto se non fosse stata adottata: famm vedè finalment/ ‘l paes de muntagna
indove sun nassuda.495 Persino all’ospedale se ‘l mal fa minga tropp mal496
Vivian è contenta, perché c’è un continuo movimento che lei può ammirare in
tutta tranquillità:
che bèl vardà ‘l via-vai de la gent che passa
i ‘nfermier, i dutur dei banc
e vardàss i man
giustàss ‘l lenzoeu
parlutà cui visìn de lètt…[…] e a durmentàss l’è già matina
spalanchen i finester497,
proponendo così un’altra immagine cara alla poesia di Teresino, la finestra.
E’ proposto in L’ospedaa un altro spunto tematico già della raccolta del 1981 e
in generale caro all’autrice: l’infanzia. In questo componimento tale
dimensione entra in gioco per l’affetto e le attenzioni che si ricevono da
bambini, ma che da adulti sono riservate solo a certe situazioni particolari,
come quando si sta male, per esempio. Vivian ama tutte le attenzioni
dell’ospedale per i pazienti ma soprattutto le visite dei familiari:
493
Ibidem; Trad.: “Facevo finta di non saper niente/ per restare lì a guardarti/[…] E io
ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e guardavo incantata le tue belle mani
espressive/ che disegnavano nell’aria […].”
494
V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “E io stavo in silenzio a guardarti/ eri tutto
concentrato/ […] quando il peso toccava terra/ correvo felice a prenderlo.”
495
V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere finalmente/ il paese di
montagna dove sono nata.”
496
V.L., L’ospedaa, ivi, p.38; Trad.: “Se il male non fa troppo male.”
497
Ibidem; Trad.: “Che bello guardare il via-vai della gente che passa/ gli infermieri/ i dottori
belli bianchi/ e guardarsi le mani/ aggiustarsi il lenzuolo/ parlottare coi vicini di letto… […] e
se ti addormenti è già mattina/ spalancano le finestre.”
252
‘l cumudin bianc in part
cun sura ‘l zuccher i biscott
la bottiglia d’acqua mineral […] Cinq’ur, rìven i visit
la mama ‘l marì i amis
me disen di bei robb gentil
i nuvità de la cà
‘l temp che ‘l fa de foeura
che bei facc surident
me suriden financa i parent di alter lètt.498
Lo stesso piacere per le attenzioni ricevute che ricorda un po’ la sensazione di
amore provata da piccoli è descritta nella poesie cha dà il titolo alla raccolta:
come me pias a mi la gentilèssa
come me pias diventi matta
duu parulitt al moment giust
‘n attenzion minimissima de nient
‘l foo parè no ma diventi matta
me ride nel coeur i oeucc
e financa i occiaj
come l’è bèlla la gentilèssa
come l’è gentil
la me fa tant ben ma tant
denter de mi
che diventi matta.499
La gentilezza e la protezione materna è invece ricercata in Gajna malada,
quando il regredire allo stato infantile sembra l’unica possibile pensiero che
riesca a calmare la sofferenza: […] col crapin sotta l’ala che bèl scur/ che bèl
caldin ch’el fa/ par de vèss un poresin denter la mama.500
Nelle due poesie dedicate ai due padri, Vivian si ritrae invece proprio bambina,
di circa quattro anni in Te tiravet ‘l pes, mentre si immagina a sei anni nel
dialogo insistente col padre E.M. nella realtà incontrato solo una volta, ormai
adulta con vent’anni in più che nella finzione poetica:
498
Ibidem; Trad.: “Il comodino bianco in parte/ con su lo zucchero i biscotti/ la bottiglia
dell’acqua minerale […] Le cinque! arrivano le viste la mamma il marito gli amici/ mi dicono
delle belle cose gentili/ le novità della casa/ il tempo che fa fuori/ che belle facce sorridenti/ mi
sorridono persino i parenti degli altri letti.”
499
V.L, La gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace
divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente/ non lo
faccioi vedere ma divento matta/ mi ridono il cuore gli occhi/ e persino gli occhiali/ come è
bella la gentilezza/ come è gentile/ mi fa così tanto bene/ dentro di me/ che divento matta.”
500
V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “[…] col crapino sotto l’ala che bel buio/ che bel
caldino che fa/ sembra di essere un pulcino dentro la sua mamma.”
253
famm fa un gir in bicicletta
dài papà.
Sto ferma ferma
moevi no i gamb
mèti no i pè in di roeud
parli no
famm fa un gir in bicicletta
gh’oo ses an
pesi minga tant, papà.501
I due papà richiamano l’immagine delle due mamme che aveva occupato molti
dei componimenti di Teresino introducendo così anche in La gentilèssa il tema
del doppio. Il rapporto coi padri però è meno problematico, sebbene non meno
doloroso: il padre E. non è praticamente mai stato conosciuto, e infatti in nota
l’autrice spiega che per lei l’unico padre è stato Dante, il secondo padre in
ordine di numerazione, ma primo tra i due nella scala affettiva e come
esperienza di relazionalità padre-figlia, non avendo nessun ricordo del padre
naturale.
Nella raccolta in dialetto milanese il doppio si sviluppa maggiormente nella
dimensione dei contrari e degli opposti, come la vendita delle lettere gratis in
Lètter lètter, il male che non fa troppo male di L’ospedaa, la descrizione di
Brigante tutta basata sulle somiglianze con qualcuno, per poi concludere che
però quand el me se durmenta beatt in brasc/ alura ‘l ghe sumèia pù a
nissun502, o il peso lanciato da papà Dante, che prima ‘l rivava giò in tèrra,503
ma poi ‘l pes t’a purtà in alt/ in alt luntan504 ossia compiendo un movimento
esattamente opposto a quello solito. La poesia che più di tutti propone tale
tematica è però Milàn brutta bèlla, che già nel titolo contiene un ossimoro, che
si ripete più volte nel testo, accanto al non amore del proprio amore che quindi
fa soffrire Vivian e le fa dire più volte che se ne vuole andare, mentre però
continua a restare:
501
V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi fare un giro in bicicletta/ dài
papà./ Sto ferma ferma/ non muovo le gambe/ non metto i piedi nelle ruote/ non parlo/ fammi
fare un giro in bicicletta/ ho sei anni/ non peso mica tanto dai papà.”
502
V.L., Brigante, ivi, p.52; Trad.: “Quando mi si addormenta beato in braccio/ allora non
assomiglia più a nessuno.”
503
V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Quando il peso toccava terra.”
504
Ibidem; Trad.: “Il peso ti portò via/ ti portò in alto.“
254
Milàn brutta bèlla
ne poeudi pù vu via
te set giamò scuntrusa periferia
Milàn brutta bèlla te lassi
Milàn lassem andà
Milan brutta bèlla
lassem andà
‘l me amur ‘l m’ama no
‘l me amur ‘l m’ama no
Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna
lassem andà, ciama no, tirem no pe ‘l brasc
lassem andà Milàn bèlla/ lassem andà.505
4. Narratore e interlocutori
Autobiografica è anche la raccolta La gentilèssa: la propria esperienza di vita è
raccontata dall’autrice in prima persona, enfatizzando ulterioremente una
modalità narrativa già introdotta nelle altre raccolte.
A un tu sono rivolti i suoi discorsi in versi, ma l’interlocutore è muto e mai
presente quando si tratta dell’amato, che già era stato rappresentato
efficacemente in questo modo nella sezione Il tuo posto vuoto di Teresino.
Sono invece in scena i due padri, ma il brano poetico propone solo la parte di
dialogo pronunciata da Vivian, così come monodirezionale sembra essere il
discorso rivolto alla città Milano.
In Stanott u sugnà l’autrice scrive che l’amato le spiegava come scrivere le
letter e sorrideva, e gesticolava mentre parlava, riportando anche un suo
discorso nel quale lui pronuncia addirittura il nome di lei: te me disevet asculta
Vivian…506 e i puntini di sospensione danno il via a un elenco di lettere con
annesse immagini raccontate dall’amato sognato per spiegare come scrivere.
Un altro discorso indiretto è proposto in Visin a San Lurenz, dove questa volta
505
V.L., Milàn brutta bella, ivi, p.40; Trad.: “Milano brutta bella/ non ne posso più vado via/
sei già scontrosa periferia/ Milano brutta bella ti lascio/ Milano lasciami andare/ Milano brutta
bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama/ Milano ho il
magone come una donna/ lasciami andare non chiamare non tirarmi per il braccio/ lasciami
andare Milano bella/ lasciami andare.”
506
V.L., Stanott u sugnà, ivi, p.24; Trad.: “Mi dicevi/ ascolta Vivian…”
255
è riportato un discorso diretto, segnalato dalla punteggiatura nella prima parte
del discorso della signora:
“La sa” la diseva
“a vint’an vendevi i fiur”
e semper mi fermavi
e ghe dumandavi che fiur?
e lè la diseva i viulètt
visin a San Lurenz.507
Le parole della gente allo strano rumore che proviene dal cuore di Vivian in
Stasera ‘l coeur sono proposte anch’esse allo stesso modo, ‘l vusava tant che la
gent se dumanda/ ma ‘sse l’è tutt quest vusà?508, come parole dette tra sé e sé
sono quelle pronunciate dall’uomo cui ‘n gatt s’era tanto affezionato: lù ne po
propri pù e ‘l se dumanda/ ma perché propri a mi stu gatt?509
5. Metro
A differenza delle brevi poesie di Teresino e di molti dei componimenti delle
altre raccolte della poetessa, in La gentilèssa il metro scelto è più corposo,
sebbene mai tocchi in numero di versi dei tre poemetti dell’autrice. I testi più
brevi si trovano nella seconda sezione della raccolta, escludendo la prima
poesia, ma di soli otto versi è anche Ier sera me sunt indurmentada. Al
contrario i componimenti più lunghi sono Stanott u sugnà e Brigante coi loro
trentaquattro versi, a cui vanno aggiunti i due dell’epigrafe dedicata
dall’autrice al proprio cane nella seconda delle due poesie, mentre quasi
altrettanto estesa è L’ospedaa. Nessuna di queste poesie è però organizzata in
strofe, divisione che viene invece applicata in testi di dimensioni più ridotte,
come in Milàn brutta bèlla composta nella prima parte da cinque versi e nella
seconda da otto, o in Te tiravet ‘l pes relativamente di undici e otto versi.
507
V.L., Visin a San Lurenz, ivi, p. 42; Trad.: “Lo sa diceva/ a vent’anni vendevo fiori/ e
sempre mi fermavo/ e le domandavo che fiori?/ e lei diceva violette/ vicino a San Lorenzo.”
508
V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Grida così tanto che la gente si domanda/ ma cos’è
tutto questo gridare?”
509
V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché
proprio a me questo gatto?”
256
Delle sedici poesie di cui si compone la raccolta, solo cinque sono divise in
strofe, e in questi casi sempre il testo si articola in due parti.
Il verso della poesia dialettale della Lamarque, rispetto al resto della sua
poesia, presenta una minor varietà, rispettando una disposizione metrica più
accostabile alla lirica, ed evitando quindi di proporre i lunghi versi de L’amore
mio è buonissimo o de Il signore d’oro e de Il signore degli spaventati, sebbene
siano inseriti versi anche di quasi una ventina di sillabe in brani come Pèss fritt
o L’ospedaa, così come di brevissimi se ne leggono in altri, si pensi alle due
sillabe di Te tiravet ‘l pes al v.11, e ‘l pes…, o di Come ‘n gatt al v.4, de nott.
Va però considerata la grande differenza quantitativa che intercorre tra la
produzione dialettale dell’autrice e quella in lingua italiana, che non permette
quindi di fare veri e propri paragoni per quanto riguarda la rispettiva varietas
metrica.
6. Fonti
-Milano e il dialetto milanese, una tradizione poetica che da Giovanni Antonio Biffi
arriva a Franco Loi. Come ti inserisci in questo florilegio?
-Mi sono inserita, come mio solito, illegittimamente […]. Non sono milanese, ma
Milano è la mia città d’adozione (in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano
lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto negli Anni Cinquanta, allora la
parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente,
è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975 […] si è mossa e, senza averle
minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra
le altre centinaia […]. Negli anni successivi non si sono fatte più vive, non ne ho
scritte più.510
Non si ricollega quindi alla tradizione dialettale della poesia di Milano, anzi,
espressamente la Lamarque dichiara di avere utilizzato tale lingua senza una
scelta stilistica consapevole.
Come a dire che non nascono, da parte di un’autrice che sempre ci ha saputo
incantare e coinvolgere con la limpidezza della sua lingua, dall’esigenza di rinnovarsi
manipolando con bravura un’altra lingua, un dialetto ormai usato da pochissimi (o
forse dal solo Franco Loi), in poesia.
510
M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.Lamarque, La
gentilèssa, cit., p.61
257
Sono dunque di lingua italiana le poesie che più hanno influenzato la scrittura
dialettale della Lamarque, e sono Rodari, Zanzotto e Pascoli gli autori che
ritornano maggiormente in questa produzione parallela e tematicamente affine
alla raccolta Teresino.
E’ il fanciullino pascoliano che permette all’autrice di farsi cambiare la
giornata semplicemente da una gentilezza ricevuta,
Come me pias a mi la gentilèssa
come me pias diventi matta
duu parulitt al moment giust
‘n attenzion minimissima de nient […]511
o di essere felice solo nel leggere il proprio nome sulla busta di una lettera
ricevuta:
511
V.L., La Gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace
divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente[…].”
258
con la soa busta bianca e ‘l bullin culurà
con denter ben piegà el foeuj
in alt Milan, la data
e sott la parola “cara”
cara e ‘l me nom visìn […].512
Ritornano i modi fiabeschi di Rodari ad esempio in Stanott u sugnà,
nell’elenco delle lettere dell’alfabeto, come in una delle filastrocche didattiche
delle scuole elementari:
A come i al di rundin che vulen su nel ciel
B come i banc de la scola cont i scolaritt
C come i bei cà cont ‘l tètt ross […]513
Andrea Zanzotto è invece rintracciabile per la sua ricerca sul linguaggio, nella
quale giunge anch’esso all’uso del dialetto, recuperando anche i modi del
linguaggio infantile con il petèl, composto da balbettii ed onomatopee. Così
anche la Lamarque per esempio in Stanott u sugnà mima il suono delle
zanzare, ne l’aria ‘l zzz zzz di zanzar…, come in L’Ospedaa riproduce il
tintinnio del termometri portati ai pazienti dagli infermieri, din-din. Un
discorso simile si potrebbe fare anche per l’utilizzo del dialetto milanese, scelta
che però l’autrice stessa rivela non programmatica, ma spontanea, quindo non
collegata a una ricerca stilistica come quella di Zanzotto, ma comunque
valorizzando l’uso giocoso e creativo del linguaggio che favorisce
l’espressività: poeu snifa de chì/ snifa del là/ gh’è più la mama/ gh’è più ‘l
papà.514
512
V.L., La lèttera, ivi, p.18: Trad.: “Con la sua bella busta bianca e il francobollo colorato/
con dentro ben piegato il foglio/ in alto Milano e la data/ sotto la parola “cara”/ cara e il mio
nome vicino […].”
513
V.L., Stanott u sugnà, in ivi, p.24; Trad.: “A come le ali delle rondini che volano nel cielo/
B come i banchi della scuola con dentro i bambini; C come le case con il tetto rosso rosso
[…].”
514
V.L., Brigante, ivi, p.50; Trad: “Poi cerca di qui/ cerca di là/ non c’è più la mamma/ non
c’è più il papà.”
259
CAPITOLO VIII
LA LINGUA E LO STILE
260
1. Lo stile
Parlando del genere di poesia da lei composta l’autrice spiega:
Sì, appartengo anch’io alla vasta vastissima famiglia poetica dei poeti autobiografici,
certo tutti in qualche modo lo sono, ma noi più apertamente dichiaratamente
spudoratamente. Ho iniziato a scrivere poesie nell’infanzia (e anche in questo sono in
numerosa compagnia), in un momento cruciale della mia esistenza, quando a dieci
anni scoprii che la mamma con cui vivevo era una mamma adottiva, che da qualche
parte ne esisteva un’altra, quella biologica che mi aveva messa al mondo. Tenni il
segreto per me, ma che fatica, alla Vivian “muta” giunse in soccorso il sollievo della
penna.
E conclude: Chi prende la penna in mano perché non può farne a meno, nasce
come poeta autobiografico.515
Nei suoi componimenti l’autrice infatti racconta della sua storia personale,
soffermandosi innanzitutto sulle tappe fondamentali dell’adozione e dei primi
anni vissuti a Milano, segnati dalla morte del “nuovo” padre. Della propria
infanzia la Lamarque scrive nella prima sezione di Teresino e di Una quieta
polvere, ma mentre nella prima raccolta il focus tematico è principalmente
sull’adozione e sulla madre
A nove mesi la frattura
la sostituzione il cambio di madre
Oggi ogni volto ogni affetto le sembrano copie cerca l’originale
in ogni cassetto516,
nel 1996 è tutta la famiglia ad essere cantata, compreso l’incontro da adulta coi
fratelli e col padre naturale,
Quei bambini in cortile
potevo essere io
quei fili per stendere
515
516
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
V.Lamarque, A nove mesi, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9
261
guardati parlando di madri
somiglianze
secondo te
secondo me
però non tanto
tranne le mani, così uguali […]517.
E’ invece nella raccolta dialettale che vengono portate davvero in primo piano
le due figure paterne, ai quali infatti sono dedicate due poesie: Famm fa un gir
in bicicletta e Te tiravet ‘l pes. Di questa prima parte della vita dell’autrice è
però la madre la figura chiave, presenza continua della sua poesia, persino nei
componimenti della psicanalisi, dove infatti scrive amante neonata/ succhia
l’uomomamma perdutamente/ ecco il latte buono[…]518.
Alla figura matena segue quella del marito Paolo, l’amore mio della seconda
sezione di Teresino, denominazione che si ritrova anche nel poemetto Questa
quieta polvere: l’amore mio è buonissimo519; all’amore mio io voglio tanto
bene/ tantissimo520; che l’amore mio essendo bellissimo/ l’abbiano rapito degli
Dèi invidiosi?521 Nella prima sezione di Una quieta polvere il marito veste
anche i panni del padre, quando papà fa Carosello/ come ridi/ come ridi./
Lasciati guardare figlia mia/ -alt-/ così.522, così come in Il tuo posto vuoto,
quarta sezione di Tersino, nella quale però si racconta del momento della
separazione, che viene inserita anche in Una quieta polvere, ma con meno
insistenza e sofferenza (vista anche la distanza cronologica dall’evento):
Il tuo posto vuoto a tavola
parla racconta chiacchiera ride forte
non sta mai fermo si alza
ritorna mangia avanza sempre un boccone
ritaglia forme di animali
il tuo posto vuoto a tavola
a destra di Miryam
è di fronte a me523
517
V.L., Conoscendo l’altro fratello, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.28
V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.23
519
V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13
520
V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13
521
V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.74
522
V.L., Quando papà, ivi, p.40
523
V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37
518
262
Non mi ero separata
padre madre figlia
la famiglia continuava unita
oh il percorso bello della vita524.
L’argomento diventa qui l’assenza dell’amato, assenza invadente in tutta la
seconda parte della raccolta Teresino oltre che de La gentilèssa:
Milàn brutta bèlla
lassem andà
‘l me amur ‘l m’ama no
‘l me amur ‘l m’ama no525.
Segue il lungo periodo di analisi durante il quale l’autrice vive un forte
transfert per il suo terapista, il Dottor B.M. L’amore impossibile e lontano per
lui è protagonista assoluto delle tre raccolte Il signore d’oro, Il signore degli
spaventati e Poesie dando del Lei, a cui va aggiunta la sezione Poesie dando
del Lei (altre):
Era un signore bello e meraviglioso./ Vicino a lui non si poteva stare sempre sempre,
bensì mai./ Lui, il Lontano, viveva dispettoso con la sua famiglia, in un altro luogo.526
;
Credevo non mi amasse
perché è vietato
forse invece non mi ama
perché non è innamorato.527
Altra tematica fondamentale della poesia autobiografica dell’autrice, ma
soprattutto della sua vita reale, è la figlia Miryam da piccola, dedicataria della
sezione Ho una bella bambina nella raccolta Teresino, oltre che di molte delle
poesie di Una quieta polvere, sempre nella prima sezione dedicata alla
famiglia:
Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca
524
V.L., Sogno d’oro (II), in Una quieta polvere, cit., p.41
V.L. Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.40; Trad.: “Milano brutta
bèlla/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.”
526
V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p. 9
527
V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54
525
263
con le sue due ali che non sanno volare
e le piume leggere e spettinate
e i due occhi attenti
a dove meglio beccare.528;
Mia figlia dice
che le piacerebbe chiamarsi
“calzina”.
Di che colore?
Saltando sul piede
già cambia di stanza
rispondendo rossa!
e a righe! mamma!529
Negli Inediti pubblicati nel 2002, l’autrice dedica altri componimenti alla
figlia, ricordandola ancora bambina, ma descrivendola anche da adulta, ormai
mamma di Micòl e sposa di Giorgio: La mia bambina ha un lungo collo/ come
i bianchi cigni./ E come loro chiede con eleganza/ cibi e sguardi. […]530; Per
le nozze di Miryam e Giorgio/ (sei sei del novantasei);
Alt, fermati tempo qui sull’oro
dei capelli, sull’argento
della nota, su Micòl che guarda
la madre, tieni tempo lunga la nota sospesa
nell’aria, tieni tonde per l’eternità le guance della figlia, e della figlia della figlia che
soffia
come la mamma e ride come il papà […]531.
La figlia adulta e suo marito Giorgio ritornano anche in Poesie per un gatto,
sebbene rimanendo in secondo piano: -La mia bambina Miryam…/ -Bambina?
ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha
età.532; -Ignazio Miryam si è sposata!/ -Beata lei con chi?/ -Con
Giorgio.[…]533; -E Giorgio?/ -E’ tanto che non mi lancia sul divano./ -Ti
lamentavi tanto…534
528
V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45
V.L., Calzina, in Una quieta polvere, cit., p.37
530
V.L., Alla mia bambina, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.240
531
V.L., A Miryam che suona il clarinetto, ivi, p.241
532
V.L., La mia bambina Miryam, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007, p.52
533
V.L., Ignazio Miryam si è sposata!, ivi, p.67
534
V.L., E Giorgio?, ivi, p.79
529
264
Anche la narrazione della nascita della nipotina Micòl ripropone la tematica
familiare. Di lei si legge solamente negli Inediti, essendo la bambina nata nel
2000: della bella estate nascevano neonati color/ di certi mattini leggermente/
rosati come la nuova Micòl535;
Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte
è pronto e un padre e quasi
tutto il resto. Brindo
con i gerani e con la clivia
in fiore. Dose d’acqua
doppia a tutti oggi!536.
Spiega l’autrice, introducendo la trattazione della morte, che questo è il tema
che più mi sta a cuore in questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi),
gli addii delle persone, gli addii alla vita.537 Accennata nella prima raccolta del
1981, e ne La Gentilèssa, la tematica attraversa la trilogia per il Dottor B.M.,
concentrandosi nelle ultime poesie delle tre opere, per diventare invece
protagonista in Una quieta polvere (principale argomento del poemetto Questa
quieta polvere e della sezione Come fiori), oltre che nella raccolta Poesie per
un gatto dove narrando della morte di Zarina si affronta proprio il tema degli
gli addii delle persone, gli addii alla vita538, così come nel poemetto L’albero e
in molte delle Poesie dedicate: Chissà se l’amore mio ci sarà/ quando sarò in
punto di morte/ mi piacerebbe tanto di sì/ e che mi stesse vicino vicino539; Ier
sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun svegliada pù540; Ne è da poco
passata la morte/ che il suo viso già sfuma nella tua memoria541;
L’ultima volta che la vide non sapeva che era l’ultima volta che la vedeva.
Perché?
Perché queste cose non si sanno mai.
Allora non fu gentile quell’ultima volta?
Sì, ma non a sufficienza per l’eternità.542;
535
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.222
V.L., A Micòl, ivi, p.241
537
Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012
538
Ibidem
539
V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, in Teresino, cit., p.13
540
V.L., Ier sera me sunt indurmentada, in La gentilèssa, cit., p.56
541
V.L., Ne è da poco passata la morte, in Poesie 1972-2002, cit., p.34
542
V.L., La signora dell’ultima volta, in Il signore d’oro, cit., p.85
536
265
La prima estate
che non potrò partire
vada Lei lontano
guardi Lei le belle cose create
per le mie palpebre addormentate.543;
il mattino dopo che si è morti/ non ci si può svegliare/ la vita è finita/ è
cominciata la morte544;
Quando mi ricordo della morte
guardo diversamente
i Fiori e l’Erba
li accarezzo preparo
la nostra futura amicizia
saremo così vicini!
i vicini più stretti
guarderò tanto (dal basso)
i loro steli perfetti.545;
come erano bianchi i morti/ o era bianca la luna? L’albero/ le diceva ssss dai
dormi/ dormi sss […] c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a
là546; Cara terra, nostra futura/ copertina gentile, non in tinta/ unita, a fiori e
foglie i ricami/ preziosi con i quali ci dirai per sempre/ buonanotte.547;
L’equivoco è chiarito Zarina
dorme, si è tanto addormentata
ora basterà aspettare il giorno
che si risveglierà oh se si risveglierà
non fatemi mai più così tanto spaventare
vedendola dormire vi siete confusi
col morire
vedendola dormire
vi siete confusi
col morire.548
543
V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81
V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.66
545
V.L., Vicini, ivi, p.128
546
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit.,p.217-218
547
V.L., Cara terra, ivi, p.243
548
V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.166
544
266
Percorrono il resto della poesia autobiografica gli amici, sia vivi che morti, che
compaiono soprattutto nella raccolta Tersino, in Una quieta polvere e in Poesie
dedicate:
[…] il pianoforte nostro poi talmente lungo
che suonavamo insieme a dieci mani:
io e Tiziano un po’ male
il marito di Ornella benino
Irlando proprio bene549;
Cara Daniela scrivendo/ poco fa una emme un po’/ gobbuta come facevi tu/ ti
ho vista con la penna/ in mano […]550; di quel monte che la casa / di Jung
guarda/ e che io guardo con Rossana/ e Alida […]551; A C.V. che aiuta i
poeti552; A Livia Candiani553; ma anche in Poesie per un gatto l’autrice
scrivendo di Zarina ne nomina i padroni, gli amici e vicini di casa Olga e
Irlando.
Altra tematica della poesia e della vita della Lamarque è la natura, ossia gli
animali, i fiori e le piante, dei quali sul Corriere della Sera scrivo un po’ sulle
pagine degli animali, un po’ su quelle culturali che fa rima con animali.554 Al
suo gatto Ignazio dedica la raccolta Poesie per un gatto, nella quale però
ricorda l’affezionato cane Brigante, cui intitola una poesia in La Gentilèssa e
un’altra in Una quieta polvere. Animaletti e fiori sono inseriti in tutta la poesia
dell’autrice, ma il tema si fa più rilevante e animalista, o naturalista, nel 1996,
con testi come Requiem per margherite, Asinello, Alla bambina Carla, oltre
che negli Inediti con Care lumachine, Ai gesuiti, Caro papa e in L’albero.
Volendo quindi individuare le principali parole chiave della poesia della
Lamarque, riferendoci alla prima parte della sua vita narrata in poesia
potremmo innanzi tutto notare l’influenza della scoperta di avere due mamme,
e del problematico rapporto con la madre naturale (benché in realtà tale
549
V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47
V.L., Cara Daniela, in Una quieta polvere, cit., p.125
551
V.L., Caro Dottore Le scrivo, ivi, p.88
552
V.L., A C.V., che aiuta i poeti, in Poesie 1972-2002, ivi, p.232
553
V.L., A Livia Candiani, ivi, p.242
554
Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale
Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012
550
267
rapporto sia stato inesistentente nell’infanzia, Conoscendo a 19 anni la
madre555). “Madre” è quindi una delle parole chiave della sua poesia, alla quale
se ne associa un’altra, “abbandono”, riferita all’adozione, col ricordo della
discesa a nove mesi dal Trentino a Milano. La ricerca affettiva, conseguente a
questo sentimento di solitudine, si riversa invece in tutta la poesia dell’autrice,
soprattutto nella prima raccolta, sia riferendosi alla madre che al marito, e poi
alla figlia. “Amore” è quindi un’altra parola caratterizzante la poetica della
Lamarque, a cui però, con sofferenza, si sostituisce un nuovo abbandono, la
separazione dal marito, introducendo così l’ “assenza” cantata con dolore più o
meno celato. All’assenza si associa anche la “lontananza”, lontananza
dell’amato, soprattutto nella trilogia sul transfert, dove l’irrealizzabile amore
per il Dottor B.M., riproponendo la tematica affettiva legata ai precedenti
abbandoni, introduce nella poesia dell’autrice il canto del proprio insistito amor
de lonh. Questa impossibilità viene da Vivian superata con l’immaginazione,
sintetizzabile nella parola “sogno”, che ritorna in tutte le sue raccolte in
riferimento all’amore, ma anche a tutti gli altri ambiti della vita, mezzo
utilizzato fin da bambina per superare i momenti di dolore e solitudine oltre
che per giocare.
Altra parola che ben descrive e rappresenta la poesia autobiografica della
Lamarque è “vita”, spesso accompagnata da un’altra idea che influenza il suo
scrivere, anche a livello linguistico, l’ ”infanzia”, che si colora dei toni della
fiaba e dei giochi dei bambini per cercare di tamponare le ferite subite. E’
invece la “morte” la parola che ritorna sempre più insistente nelle sue raccolte,
fino a diventare protagonista assoluta nel 1996 e nel 2007, inserendosi anche
nel titolo dickinsoniano Una quieta polvere.
555
V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, ivi, p.7
268
2. L’aspetto retorico grammaticale
La lingua delle poesie di Vivian Lamarque resta molto simile nelle varie
raccolte pubblicate dall’autrice, piano e semplice, ricco di espressioni
tipicamente infantili. Ad enfatizzare ulteriormente la scelta linguistica
interviene lo sguardo fiabesco con cui si vive il dato quotidiano. Così l’infanzia
e la fiaba risultano essere le due realtà che maggiormente ne influenzano le
poesie, tanto nelle immagini quanto nel linguaggio prescelto. A questo riguardo
va però tenuto presente anche il dolore che si cela dietro la patina fiabesca che
sembra rivestire i testi dell’autrice:
Vivian Lamarque non si racconta le favole per consolarsi dei suoi dolori, ma si
racconta il suo dolore come se fosse una favola. La sua non è una poesia da e per
bambini. Sa sospendere sulla pagina le osservazioni “da bambini” con la grazia di un
vecchissimo e filiforme artigiano. Perciò i versi conclusivi delle sue poesie hanno
quell’effetto di rasoiata leggera556
che già aveva notato Vittorio Sereni nella prima raccolta dell’autrice.
La ripetizioni dei suoni è una delle caratteristiche che da subito si colgono nella
poesia della Lamarque, e lei stessa ammette la sua predilezione per la rima
baciata che suona come una gentilezza per le orecchie557 e fa apparire così
facili i versi costruiti invece con un accurato lavoro di lima. Nella prima
raccolta si legge Valdesina trascinata per mano/ giù fino a Milano;
Fa bene
al mio cuore
questo sole invernale
fa male
al mio cuore
il tuo freddo tepore;
appuntamento-vento sono parole rima della poesia Vento, così come in Una
quieta polvere si legge Corteggiamento vano/ a nove mesi mi hai presa per
556
D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996
C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”,
06 febbraio 2003
557
269
mano/ mi hai lasciato a Milano, o anche i poeti che ho amato/ mi hanno
telefonato, mentre giardino rima con vicino in Piove. Rispetto a Teresino, la
raccolta del 1996 incrementa l’utilizzo di rime baciate, aumentandone anche la
varietà, mentre invece nella prima opera molte di essere erano ottenute grazie
ai verbi all’infinito, al participio o ai suffissi degli avverbi come
continuamente-vagamente, fetale-coniugale, addormentata-cullata-svegliataamata, amare-spogliare-declinare, raffreddati-malati, ammalare-consolare,
fare-ridimensionare,
prudentemente-mente-illegittimamente,
nata-malata,
disperara-nata, modalità rimica che si ritrova in Una quieta polvere, come ad
esempio in che prato beato/ come sa di essere amato, o guardare-respirare in
Riso bianco, ma con meno frequenza. Anche in Poesie per un gatto lo schema
rimico è semplice e regolare, con rime come traslocheremo-perderemo e
appartamento-momento558 in un unico testo di sei versi, oppure quaggiùlassù559, Brigante-te560, temporale-male561, e molte altre.
Lo stesso si può dire per la raccolta in dialetto, per la quale infatti Maurizio
Cucchi aveva sottolineato come la scelta linguistica dell’autrice non fosse
legata dall’esigenza di rinnovarsi manipolando con bravura un’altra lingua
scrivendo in La gentilèssa testi che continuano infatti i modi della poesia
pubblicata negli anni Settanta e Ottanta. Più rara in questo caso la rima baciata,
ad esempio lètt-sett562, mentre densissimo il gioco allitterante e assonante che
con le ripetizioni dei suoni vocalici e consonantici del milanese scandisce lo
schema metrico dei brani poetici: t’u t’ant pregà/ e adèss, adèss che l’è rivada/
bèlla bianca rettangulara563; oppure in Brigante, in cui si distribuiscono in
tutto il testo parole sdrucciole con la a accentata, modo in cui di compongono i
participi in dialetto: affinità- capità- dumà-prà- là- gh’à-cercà-scavà-baià.
Per quanto riguarda la trilogia psicoanalitica il discorso va differenziato. Qui
infatti ritorna la rima baciata in Poesie dando del Lei , come anche
nell’omonima sezione di Una quieta polvere, essendo questi dei brevissimi
558
V.L., Devo dirti una cosa grave Ignazio tralocheremo, in Poesie per un gatto, cit., p.55
V.L., Come mi sembri Romeo, ivi, p.54
560
V.L., Perché non sei un cane?, ivi, p.40
561
V.L., Ti spaventa il temporale, ivi, p.19
562
V.L., L’ospedaa, in La gentilèssa, cit., p.38
563
V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad.: “T’ho tanto pregato/ e adesso adesso che è arrivata/ bella
bianca rettangolare”.
559
270
testi poetici nei quali frequente è la rima baciata: improvviso-viso564, ventoaccontento565, colore-fiore566, dita-vita567, vorrei-lei568, matite- margherite569,
anche se le rime baciate sono molto più utilizzate nella raccolta del 1989
piuttosto che nella sezione Poesie dando del Lei (altre). Per Il signore d’oro e
Il signore degli spaventati la rima baciata è più difficile da individuare,
essendo prosa poetica, composta quindi da versi molto lunghi. L’assenza della
rima è così sostituita dalle assonanze e dalle consonanze, come della vita
l’invecchiata mano magra chiamava570; chi stava lì sotto era protetto da tutti i
mali del mondo571; l’acqua che saliva saliva voleva portala là dove si
annega572. Le allitterazioni, le consonanze e le assonanze ritornano però in
tutta la produzione della poetessa, accompagnando il lettore nel testo e creando
quell’effetto musicale e lieve che caratterizza le poesie della Lamarque. Si
vedano come esempi il primo e l’ultimo poemetto da lei composti: in Teresino
nel 1981 scriveva senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino al tuo
letto; sotto il tavolo dove pendeva la tovaglia, così come in L’albero,
pubblicato nel 2002, si legge non amava nessuno solo il mondo oppure
pettirossi in agonia nelle trappole ho visto e rideva rideva la lieve vita
dell’albero.
Numerose le ripetizioni non solo fonetiche, bensì di intere parole o sintagmi.
Motivo narrativo nella seconda sezione di Teresino è la ridondanza di l’amore
mio, che infatti viene riproposto anche nel titolo: L’amore mio è buonissimo.
Così anche ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati è il signore il
vocabolo che ritorna in ogni componimento, insieme con la coprotagonista, la
signora, mentre molto più rada è la frequenza di Dottore o Lei nella terza
raccolta della trilogia psicoanalitica. Interi versi ritornano insistenti soprattutto
564
V.L., Desiderio iprovviso, in Poesie dando del Lei, cit., p.47
V.L., Io con Lei, ivi, p.49
566
V.L., Dalle nostre finestre, ivi, p.53
567
V.L., Tracce d’inchisotro sulle dita, ivi, p.80
568
V.L., Caro Dottore, in Una quieta polvere, cit., p.85
569
V.L., Se ho scritto qualche poesia di meno, ivi, p.85
570
V.L., La signora della mano, in Il signore d’oro, cit., p.86
571
V.L., La signora del parasole, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992,
p.39
572
V.L., La signora dell’acqua, ivi, p.50
565
271
nei componimenti più sofferti, in Teresino per la lontanaza e l’indifferenza del
marito quando ad esempio scrive
Sempre più mi sembri una persona innamorata
e so che con me questo non ha a che vedere
e so che questo con me non ha a che vedere573,
o nel poemetto conclusivo quando si constata l’assenza di Teresino:
Teresino teresino sparito
ma un mattino
teresino tersino sparito
teresino teresino sparito
segni di zampette sulla neve
le mie lettere morte a pezzetti
in mille cestini
teresino teresino sparito.
Composte alla stessa altezza cronologica anche le poesie di La gentilèssa
spesso esprimono il dolore tramite la ripetizione, come l’insistito lassem andà
rivolto per cinque volte a Milàn brutta bèlla o il senso di colpa per il lasciarsi
andare e l’incapacità di reagire al male in Gajna malada che più volte dice me
interèssa pù nient e l’è minga giust. Ancora più insistente diventa l’anadiplosi
in Questa quieta polvere, dove sono intere strofe ad essere riproposte nel testo,
come la citazione dai fratelli Grimm, che ritorna tre volte nel poemetto, Che fa
il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte ancora/ E poi non verrà
più, mentre si ripete invariata la sequenza di cinque brevi strofe che ritorna per
due volte nel testo:
per esempio ci sono le visioni
con le visioni si può vedere tutto
si può vedere la visione del profilo delle montagne
con lo sfondo del profilo dell’amore mio
oppure la visione di un fiume impetuoso
con dentro l’amore mio che guada
oppure la visione del lago di Brais
tutto circondato dall’amore mio
oppure la visione della Valle della Neve
cosidetta perché la sua terra
573
V.L., Sempre più mi sembri, in Teresino, cit., p.27
272
è del color della neve,
si noti che nel componimento ritorna più volte anche il sintagma l’amore mio
frequentissimo nella sezione del 1981 L’amore mio è buonissimo. In Poesie per
un gatto Ignazio incredulo per la morte di Zarina in più componimenti
(compreso il conclusivo) rinfaccia agli uomini di aver confuso il dormire della
gattina con la morte, mentre in quattro testi, tre dei quali consecutivi, il
protagonista chiede insistentemente alla padrona –Dammi un croccantino in tre
dei quali la risposta di Vivian è la stessa: -lo sai che ti fa male.
Anche se molto meno frequente rispetto all’anadiplosi, l’utilizzo dell’anafora
continua il gioco della ripetizione nella poesia della Lamarque con la
ripetizione di parole, sintagmi, e interi versi. In Teresino la figura retorica è
scelta dall’autrice per creare dei crescendo insistiti e ostentati, come nella
fantastica descrizione dell’amato in L’albero delle ciliegie,
lui è l’albero delle ciliegie
lui è i rami più alti dell’albero delle ciliegie
lui è dove le ciliegie sono mille
dove le ciliegie sono degli uccelli
dove le ciliegie sono felici
lui è le ciliegie rosse!,
e in Vento, dove insistente è l’anafora delle e, che oltre al gioco immaginifico
propone di nuovo la ripetizione per sottolineare un momento di dolore, come in
Caro nome mio nel quale immaginando la propria regressione a stato fetale
scrive: anzi nove mesi in montagna/ anzi mia madre è incinta/ anzi si è
innamorata, mentre invece raccontando della separazione ripete per tre volte Il
tuo posto vuoto. Altra anafora insistente si ritrova nel poemetto in cui il nome
Teresino è proposto per ben sedici volte come prima parola del verso poetico.
Nella trilogia analitica tale figura retorica è utilizzata come rimando tra il
narratore e la non ben identificata voce che insistentemente domanda
spiegazioni su ogni cosa detta da Vivian:
Era una Nostalgia di chi?
Era una Nostalgia di un signore.
Andato via?
273
Andato via.
Era una nostalgia grande?
Era la Nostalgia più grande di tutta la vita.574;
E dove erano?/[…]/ E come avvenne?/ […] E dopo?575; Due/ Quante
seggiole?/ Due/ Quanti tavoli?/ Uno./ Quanti letti?/ Uno./ Quanti soli?/ Un
sole e una luna./ Quante stelle?576; Sembrava un bosco facile […]/ sembrava
un bosco da attraversare […]/ sembrava un bosco facile […]577. Anche in
Poesie dando del Lei, nonostante la brevità dei testi poetici, si ritrovano alcune
anafore, come Sono le sei la città dorme/ e Lei?/ […] Sono le sei la città
dorme/ e Lei con lei. o mi tenga accanto a sé/ mi tenga accanto a sé ho detto
dove ritorna il gioco dialogico delle altre due raccolte per il Dottor B.M.,
mentre altre volte l’anafora è proprio utilizzata per sottolineare la ripetitività e
l’insistenza di Vivian nei confronti dell’amato analista, come nel lungo elenco
di regali: più mille poesie circa/ più quello stralunato ritrattino/ […]/ più una
goccia di miele/ più una spina di rosa/ […] più un cielo gentile/ più i colori che
vuole/ più il doppio della metà […]578. Anche in Una quieta polvere si
ripropone l’anafora, soprattutto nella prima sezione della raccolta per
sottolineare la continuità della sofferenza dell’abbandono, come nella lunga
serie di che della poesia Babbi, dove anaforici sono anche i padri, essendo due,
Caro babbo I […] Caro babbo II , nella poesia al fratello, secondo te/ secondo
me oltre al lungo elenco introdotto sempre dalla congiunzione e ripetuta per
sette volte, o nella reiterazione temporale delle poesie che parlano della
solitudine di Vivian: per tutta l’infanzia/ per tutta l’adolescenza/ […] per tutti i
pranzi […]579. Nel poemetto ritorna invece spesso a inizio verso il pronome
personale soggetto di prima persona, come se la voce narrante volesse ribadire
la propria esistenza ossia il proprio essere viva, come ad esempio io non voglio
essere quieta/ io non voglio essere polvere/ […] io vado subito a vedere la data
di morte […] / io non sono morta io sono nata, mentre spesso nel resto della
574
V.L., Il signore della nostalgia, in Il signore d’oro, cit., p.14
V.L., Il signore e la signora, ivi, p.87
576
V.L., Il signore e la signora, in Il signore dgeli spaventati, cit., p.36
577
V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37
578
V.L., In dote le porto, in Poesie dando del Lei, cit., p.63
579
V.L., Cucchiaini, in Una quieta polvere, cit., p.24
575
274
raccolta l’anafora propone veri e propri elenchi: vigilate voi, noi assenti/ sulle
nostre case eleganti/ sui bei ladri distinti/ sui governanti580; c’era una
bambina/ […] / c’erano panchine/ […] / c’erano mamme nonne/ c’era anche
una tata581;
saremo due gocce di pioggia uguali
o saremo due moscerini con le ali
saremo due lumachine lente liete
o due puntini splendenti di stelle comete
saremo due granelli di terra rotondi
o saremo due insettini vagabondi582.
580
V.L., Vù cumprà, ivi, p.111
V.L., Ballata degli occhiali neri, ivi, p.91
582
V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93
581
275
Rade le anafore in L’albero, mentre più frequenti in Poesie dedicate, come la
ripetizione della congiunzione e in A Evehenij Solonovitch o dei per ogni in A
Emily Dickinson, nel primo caso collegato alla sucessione cronologica
dell’evento narrato, che si ripeteva ogni volta uguale, mentre nel secondo per
un semplice elenco. Ritornano quindi anche negli Inediti i due principali
utilizzi della figura retrica già riscontrati nel resto della produzione dell’autrice,
compresa La gentilèssa: ‘l s’è sentì ciamà/ ‘l s’è fermà/ ‘l s’è truvà […]583
scrive ad esempio in Come ‘n gatt per raccontare nell’ordine temporale
l’incontro tra lei e l’amato, mentre invece in Brigante Vivian elenca i modi che
ha il suo cane per convincere la padrona a coccolarlo: ‘l te se pianta inanz/ […]
‘l te fa sentì in colpa/ […] ‘l te fa diventà matt/ […] ‘l fa andà la coa.
Ripropone queste due modalità l’uso anaforico di Poesie per un gatto, oltre alla
ripresa del gioco dialogico che aveva caratterizzato i botta e risposta delle
poesie per il Dottor B.M., come la ripetizione di più584 alla notizia del trasloco
in un appartamento o i ma e i perché che introducono le disquisizioni dei due
protagonisti, che spesso non la pensano nello stesso modo.
Le ripetizioni a volte sono riprese in ordine inverso, come nel gioco chiastico
di Sole invernale: Fa bene al mio male/ questo sole invernale/ fa male al mio
cuore/ il tuo freddo tepore. Proprio riguardo a tale figura retorica Caddeo
sottolinea come essa sia utilizzata per ribadire il tema del doppio, che l’autrice
propone soprattutto in Teresino e nella trilogia per il Dottor B.M.:
il chiasmo, più ancora del parallelismo, è figura retorica tipica del rispecchiamento. La
disposizione incrociata del chiasmo richiama l’inversione speculare (nella nostra
immagine allo specchio, per esempio, la mano sinistra diventa la destra).
583
V.L., Come ‘n gatt, in La gentilèssa, cit., p.34; Trad.: “Si è sentito chiamare/ si è fermato/si
è trovato[…]”.
584
V.L., Traslocheremo Ignazio, in Poesie per un gatto, cit., p.56
276
Proponendo poi una riflessione sulla poesia Il primo mio amore erano due,
dove l’autrice, scrivendo di un adolescenziale amore per due gemelli, allude
anche alle due madri:
nel caso specifico il chiasmo raffronta i due rivali, simili-diversi oggetti d’amore (in sé
e per sé unico e indivisibile): allegro vs serio, minore vs maggiore, piacere vs dovere,
desiderio vs Super-io. Giocondamente, con strenua affilata ingenuità, i due rivali sono
l’uno l’immagine speculare dell’altro, fratelli gemelli, che si rimandano con circolare
infinità la loro identità diversa, identica diversità.585
Una situazione molto simile si ritorva ne Il signore degli spaventati, dove
l’idea è ulteriormente estremizzata con l’omonimia delle due sorelle, entrambe
chiamate Chiara dal signore, loro padre, così come in Una quieta polvere con
la poesie Babbi, che presenta sistematicamente e con lo stesso schema prima il
padre E., dopo di che il padre Dante. Per il resto si consideri che la poesia della
Lamarque appare piana e ordinata, questo fa sì che alla figura chiastica siano
preferite le anafore, le ripetizioni e le rime. Il chiasmo viene introdotto nella
narrazione poetica per creare giochi di parole e richiami a filastrocche o nenie,
come questa sì e quella no/ anzi quella sì e questa no586, nel bosco nel cuore
del cuore del bosco587, io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo588, e le
poesie belle agli amici/ e ai nemici le brutte589, ti prego muori muori ti
prego590, non ruberanno la sposa/ allo sposo né lo sposa/ alla sposa591, ama il
balcone il mio gatto/ il balcone ama anche me592.
Numerose in tutta la raccolta le metafore e le similitudini che ritornano nelle
varie poesie per esemplificare meglio le sensazioni di dolore o d’amore narrate
da Vivian, oppure per contestualizzare la realtà lì rappresentata, che comunque
la maggior parte delle volte propone storie di dolore o di innamoramenti. In
tutte le raccolte l’autrice assimila l’oggetto del paragone all’amato, lui è
585
R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15,
novembre 1995, p.24
586
V.L., Adozione ninna-oh, in Una quieta polvere, cit., p.19
587
V.L., Teresino, in Teresino, cit., p.73
588
V.L., La ballata degli occhiali neri, in Una quieta polvere, cit., p.90
589
V.L., Testamento, in Una quieta polvere, cit., p.115
590
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219
591
V.L., Per le nozza di Miryam e Giorgio, ivi, p.240
592
V.L., Ama il balcone il mio gatto, in Poesie per un gatto, cit., p.25
277
l’albero delle ciliegie/ […] lui è le ciliegie rosse593 oppure non si chiamava
così/ ma era detto aquilone/ perché […] quando vedeva da lontano Maria/
pareva innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione594, scrive in Teresino, nel
quale poemetto fin dai primi versi si legge teresino piantina/ rara delicata.
Continuo è il gioco di similitudini attribuite ai vari signori di Il signore d’oro e
Il signore degli spaventati, dove già dai titoli vengono proposte molte delle
caratteristiche attribuite ai brevi ritratti del signore, ossia il Dottor B.M., così
come alla signora, Vivian, si pensi allo stesso titolo della prima raccolta, o a Il
signore tesoro, Il signore usignolo, Il signore nave, a La signora spostatrice di
montagne, dove con le montagne si allude alla fatica di certe sedute analitiche
o La signora dei fiori, i cui fiori non sono veri fiorì, bensì le macchie che con
l’età compaiono sulle mani.
In Teresino, come nel resto della produzione poetica, si utilizzano immagini tra
le più varie per descrivere i più disparati aspetti della quotidianità di Vivian, a
partire dalla rappresentazione di se stessa e delle persone care: su non vedi che
sono un po’ formica scrive per dire che cerca in tutti i modi di racimolare
qualche briciola dell’affetto del distante marito, oppure si descrive come una
vecchia, logorata dall’eccessivo dolore, i suoi trenta anni sono diventati cento,
mentre ne La gentilèssa cerca di lenire il proprio male come una gajna malada
e raccontando di un uomo che raccoglie un gattino da strada descrive invece
l’incontro col marito, l’innamoramento e l’eccessivo affetto dimostrato da lei e
dal gatto della poesia Com ‘n gatt. In Teresino parlando della figlia racconta
oggi torna dal mare la mia gallinella bianca e di sé dice Io sono il re del
balcone595, oppure si descrive come una rara e schiva specie di pesce che
vola596. In Poesie dedicate descrivendo la madre la paragona al fiore da cui lei
prende il nome, come una Rosa dal lungo/ lungo stelo […] e come una
profumata rosa/ profumata e lo stesso fa per la nipotina, già dal titolo: A Micòl
rosellina. L’immagine dei fiori ritorna in tutte le raccolte della Lamarque per
parlare della morte, ma soprattutto nella seconda parte della sua produzione
593
V.L., L’albero delle ciliegie, in Teresino, cit., p.26
V.L., Era detto aquilone, ivi, cit., p.26
595
V.L., Il re del balcone, in Teresino, cit., p.47
596
V.L., Pesce che vola, ivi, cit., p.56
594
278
poetica, ossia dalla pubblicazione del 1996, dopo la trilogia per il Dottor B.M.
Come fiori intitola infatti la sezione dedicata a trattare dell’aldilà in Una quieta
polvere e numerose sono immagini simili proposte negli inediti della poetessa,
ad esempio fioriremo fioriremo/ nella gentile terra597; l’erba erano i morti?
erano diventati fili d’erba belli così?598 oppure in Poesie per un gatto, nel
quale la terza sezione si intitola Il giardino dell’aldilà, con fiori e giardini
Vivan spiega la vita di Zarina, morta, e così la loro in un prossimo futuro:
-Ripeto la domanda
ci sarà o non ci sarà
questo aldilà?
-Forse Ignazio non lo so.
-Come non lo sai?
-Ma sì vedrai è come una specie
di giardino si diventa tutti erba e fiori.
-Fiori? un fiore io? mai!599
-E dove?/ -In un bel giardino fiorito./ -Come quello che avevamo?/ -Sì.600; -E
Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una margherita./ -Zarina mia una
margherita?/ Non voglio non voglio la morte della vita.601
All’uscita di Teresino nel 1981, già Vittorio Sereni aveva sottolineato l’abilità
immaginifica dell’autrice e soprattutto il suo linguaggio analogico, che le
permette così di passare improvvisamente da un discorso all’altro in modo
inaspettato:
L’intelligenza del cuore […] nella Lamarque è fonte continua di analogie, tramite
fulmineo tra il cuore, il pensiero, la memoria, tra il grande e l’impercettibile; e non ad
altro, a questa forza analogica in lei chiaramente nativa, si debbono le sue arguzie, le
sue allusioni, i repentini rovesciamenti di fronte per cui a volte due versi a chiusura di
una cantilena quanto mai puerile arrivano imprevisti come una coltellata: “insomma
affinità elettive poche pochine nessuna/ (sarà per questo che brilli così nel mezzo del
mio cielo?)”.602
597
V.L., Alle pratoline, in Poesie 1972-2002, cit., p.243
V.L., L’albero, ivi, p.226
599
V.L., Ripeto la domanda, in Poesie per un gatto, cit., p.152
600
V.L., E dove?, ivi, p.156
601
V.L., E Zarina che fiore diventerà?, cit., p.160
602
V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115
598
279
Tale tendenza perdura in tutto il percorso poetico della Lamarque, come in
Muso di volpe, dove la conclusione aspetto la zampata è inattesa rispetto al
testo più descrittivo e affettuoso degli altri versi del componimento, con
l’affettuoso inizio muso di volpe volpino volpone oppure Volevo sognare il
postino/con una lettera in mano/ invece ho sognato il postino/ senza una mano,
così come nella raccolta in dialetto milanese, nella quale, ad esempio, tutta la
poesia Stasera ‘l coeur è scritta per distogliere l’attenzione dal dolore per
l’assenza dell’amato, ma proprio alla fine del testo scappa l’immagine della
sofferenza del gatto per il tradimento subìto: a fa l’amur cont un alter gatt?603
stessa sofferenza espressa in altre poesie, come l’amara conclusione se lègg se
strascia fine/ basta poch a cuntentàm604 nella quale Vivian si rappresenta quasi
mendicante affetto o nel sogno della relazione col padre naturale, che però si
rivela essere appunto tutta immaginazione: che poeu sun rivada mi/ e te set
sparì ti.605 Nelle poesie della trilogia del transfert, la conclusione spesso
interrompe improvvisamente il sogno della paziente, riportandola alla realtà,
cioè all’impossibilità della relazione amorosa col proprio analista: La mia
superficie è felice, / ma venga venga a vedere/ sotto la vernice606; guardavano i
bellissimi mari/ e le alte montagne/ separati607; Presto corra presto/ venga a
guardare/ una foglia, viva,/ che cade608; Quando Lei è nervoso e fa così/ con le
mascelle/ e vibra e si controlla/ ma mi vorrebbe molto sgridare/ ecco, proprio
quando Lei fa così/ io La vorrei baciare.609 Il sogno si interrompe anche in
Una quieta polvere, dove la famiglia, descritta unita e felice, si rivela essere
solo un bel sogno d’oro, mentre inaspettatamente l’accoglienza iniziale
sparisce in Cucchiaini: quasi più è tornata nel cassetto/ dei feroci bambini
cucchiaini. Così l’arrivo gioioso dell’ospite atteso in Glocklein si conclude
però con la sua rapida dipartita, busserà nei vetri/ credendo che io dorma/ dirà
giorno speciale/ e poi volerà via, e dolorosa è la scoperta di un’altra poesia
603
V.L., Stasera ‘l coeur, in La gentilèssa, cit., p.28; Trad.: “A far l’amore con un altro gatto”.
V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Si legge si straccia fine/ basta poco a farmi contenta”.
605
V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Che poi sono arrivata io/ e sei sparito
tu”.
606
V.L., La mia superficie è felice, in Poesie dando del Lei, cit., p.19
607
V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26
608
V.L., Presto corra presto, ivi, p.39
609
V.L., Quando Lei è nervoso e fa così, ivi, p.42
604
280
della raccolta: lì una sera trovò/ qualcuno che dormiva/ si chinò a guardare/
era una bambina/ oh ma non dormiva/ oh ma non era viva. In Inediti alla
serena narrazione della prima parte della poesia Cartina muta, segue
l’inaspettata immagine di una compagna di scuola, che di cognome si chiamava
De Vita, ma che è stata/ la prima di tutte a lasciarla, muta,/ la vita, così come
la salvezza della gallinella che sembrava essere presa per fare un‘insalta di
pollo, mentre invece si rivela essere proprio per l’animale il piatto preparato: la
vuoi una fogliolina di insalata? E’ Ignazio, nei dialoghi di Poesie per un gatto,
a riproporre conclusioni inaspettate alle domande di Vivan, con sarcasmo e
distacco:
-Perché in via G.Moretti c’era il giardino
e qui non c’è? –Perché questo è un appartamento.
-Ho capito vivrò di cemento.610;
-Ignazio guarda quel piccione magrolino
con l’ala spezzata nemmeno una briciola
gli è toccata non dici niente?
-Niente.
-E guarda quello gli manca una zampetta.
-Preda perfetta.611
Il linguaggio della poesia di Vivian Lamarque è spesso stato definito come
infantile, bambinesco, e, come nota Sereni nel suo articolo su Teresino, non
siamo alle metamorfosi delle favole ma poco ci manca aggiungendo però che ci
troviamo davanti a una storia di “grandi” riportata agli attucci, bronci,
moine, sillabazioni puerili: al livello puerile.612 A queste affermazioni Rossana
Dedola aggiunge:
l’uso di questo linguaggio tuttavia non significa che la realtà venga completamente
dimenticata e che al suo posto venga dipinto con colori pastello un castello d’aria.
Delle fiabe la Lamarque non recupera l’aspetto meraviglioso, l’incantesimo, dietro
610
V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giardino, in Poesie per un gatto, cit., p.63
V.L., Ignazio guarda quel piccione magrolino, ivi, p.74
612
V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, cit., p.115
611
281
l’incantesimo c’è sempre un conflitto tanto più drammatico perché a esso è esposta
un’anima infantile.613
Per quanto riguarda i tempi verbali, i più ricorrenti nelle raccolte sono
l’indicativo presente e imperfetto, ossia i tempi più utilizzati nel linguaggio dei
bambini nei loro giochi come nei giochi immaginosi di Vivian, nei quali
mischia oniricamente fatti reali a eventi vagheggiati. Interessante soprattutto
l’uso dell’imperfetto, che potremmo chiamare “imperfetto ludico” nota Giulia
Petrucci spiegando: non rimanda infatti a un passato, piuttosto a un presente
agito fantasticamente614. Molti dei componimenti nei quali l’autrice adotta tale
tempo verbale raccontano del proprio amore perfetto e immaginato, come nella
prima raccolta in Io senti ero tua moglie, Io naturalmente volavo e soprattutto
nel poemetto finale:
passavano le suore[… ] bussavano all’uscio/ avevamo paura […]
eravamo bianchi leggeri
nevicavamo teresino
andavi allo zoo guardavi tanto
la tigre
poi miagolavi […], nella camera dei bambini facevi
i brutti sogni
sotto il letto dormivano i
ladri senza fiatare li ascoltavamo[…].
Anche nella trilogia psicanalitica i modi verbali richiamano spesso i modi
dell’invenzione dei giochi e della fiaba, soprattutto nei due signori,
introducendo spesso i personaggi con Era un signore e Era una signora. Alla
finzione alludono anche i modi dei due sogni raccontati nella prima sezione di
Una quieta polvere dove si legge Era una neonata/ un padre era contenta che
era nata/ una madre era contenta che era nata615 e Non mi ero separata/ padre
madre figlia/ la famiglia continuava unita616, così come nella sezione dedicata
al Dottor B.M. nei momenti in cui, ormai superato il transfert, descrive con
613
R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi
Novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.232
614
G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivan Lamarque,
in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.92
615
V.L., Sogno d’oro (I), in Una quieta polvere, cit., p.138
616
V.L., Sogno d’oro (II), ivi, p.41
282
maggior distacco i suoi impossibili sogni d’amore, associati spesso ad
atteggiamenti infantili: Cercavo la giusta matita/ per fare in Suo onore un
ghirigoro/ gli occhi mi brillavano/ come a un cercatore d’oro617;
Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della
Vita.618 Anche nel poemetto L’albero torna un simile utilizzo dell’imperfetto
per raccontare un altro tipo d’amore immaginato, come si legge fin dall’esergo:
Se eri un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, e così anche nei sogni
raccontati in dialetto:
Stanott u sugnà
che te me ‘mparavet a lègg e a scriv
[…] e mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta
e vardavi incantada i toi bei man espressiv
che disegnaven ne l’aria.619
Si consideri però che in molti testi di tutta la produzione poetica il tempo
imperfetto è utilizzato come semplice tempo passato, per narrare di fatti di una
volta, spesso dell’infanzia, e in generale di ricordi. Tale è l’unico modo in cui
viene usato il passato in Poesie per un gatto, quasi sempre in riferimento alla
nostalgia di Ignazio per Zarina: -Zarina che grattavo sempre alla sua porta,
morta?620; Prima di lei spuntava la sua ombra/ mi veniva da farle per ridere un
agguato/ per farle spavento621. Sempre nei modi semplici e piani tipici del
linguaggio dei bambini ritorna in tutte le raccolte il tempo presente, anche per
narrare eventi precedentemente accaduti, ma è soprattutto con la raccolta Una
quieta polvere che il presente acquista spazio e importanza nella poesia
dell’autrice, utilizzato molto ad esempio nella sezione Fine millennio:
girotondo casca il mondo/ casca la terra/ si alza la guerra622; non ho vetri oggi
mi spiace623; che nuvola gigante guarda si sta/ spostando624; così anche nel
617
V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83
V.L., Sonnambulina L’amavo, ivi, p.83
619
V.L., Stanott u sugnà, in La gentilèssa, cit., p.24; Trad.: “Stanotto ho sohnato/ che mi
insegnavi a leggere e a scrivere/ […] E io ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e
guardavo incantata le tue belle mani espressive/ che disegnavano nell’aria […]”.
620
V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, in Poesie per un gatto, cit., p.131
621
V.L., Prima di Lei spuntava la sua ombra, ivi, p.145
622
V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108
623
V.L., Nuovi Dèi, ivi, p.110
624
V.L., Nuvola, ivi, p.116
618
283
poemetto scrive i morti se li tocchi sono freddi nel quale però ai presenti si
accostano i tempi imperfetti del ricordo misto al sogno, ieri ho avuto una
visione/ l’amore mio era in giardino/ metà era vecchio/ metà era bambino.625
Il corrispettivo stilistico di questi presupposti, ossia l’aspetto fiabesco e
infantile di molte delle immagini proposte dall’autrice nella sua poesia,
è dato dalla tenue manipolazione di un italiano standard tesa a riprodurre una
intonazione colloquiale ulteriormente mimetizzata nell’assenza di punteggiatura (“Tua
moglie che allegra nel viaggio/ […] le dici guarda il Cervino che bello”) e con il
continuo ricorso alla espressività infantile nelle scelte lessicali, nei diminutivi
(“domandine”, “fagottino”, “lumachine”, “caldino”) e nella grazia di certe
sgrammaticature (“l’amore mio […] è uno dei più pittori di tutti”).626
Tipici del linguaggio infantile sono infatti i diminutivi e i vezzeggiati, utilizzati
nello stesso titolo della prima raccolta, Teresino, e i superlativi, continuamente
ripetuti in l’amore mio è buonissimo. Entrambe le modalità espressive hanno
tendenzialmente risvolti affettivi e sono utilizzati soprattutto nella prima
raccolta e nelle poesie dedicate al Dottor B.M.: Scrive/ […] parole con la sua
bella calligrafia minutina627; boschi bandierine ragnetti/ i pidocchietti dei
bambini le pulci dei cagnolini/ […] ninnenanne piattini chicchere di caffè/
pentolotte sotto le coperte piedini628; la signora della valigetta629; la signora
dei foglietti630; lontanissime vacanze/ erano cominciate631; essere vorrei una
sua Amantina632.
Come “amantina” molti sono i vocaboli inventati dalla poetessa, per rendere in
modo più sintetico il senso di ciò che vuole esprimere, ma anche per continuare
il modo linguistico proprio dei bambini, che parlano utilizzando strampalati
neologismi, piccoli errori grammaticali e ripetizioni enfatiche, con queste
ultime riprendendo anche i modi delle fiabe. Parole nuove, spesso ottenute
accostando due parole già esistenti, si ritrovano in tutta la poesia della
625
V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.65
F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80
627
V.L., Sui vetri della finestra, in Teresino, cit., p.51
628
V.L., Sai la Rita, ivi, p.51
629
V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70
630
V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76
631
V.L., Lontanissime vacanze, in Poesie dando del Lei, cit., p.26
632
V.L., Essere vorrei, ivi, p.34
626
284
Lamarque come ad esempio marronblu633; sestessa634; persempre635;
buonapasqua636; uomomamma637; brava-bambina638; già-morti e non-ancora/
nati639; similformiche640; sua Gattità641
così come i modi colloquiali e le
sgrammaticature: se era un bambino buono o così così642; che mi stesse vicino
vicino643; all’amore mio io voglio tanto bene/ tantissimo644; non sentiva la tua
mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare645; voleva
tenerlo fino a persempre646; un suo luogo lontano lontano che una volta si
partiva al mattino647; tantissimo male faceva quel male./ Tanto come mille
muri contro una sola fronte […] Anzi. Forse un poco meno648; se un giorno
l’amore mio ritornerà/ io sarò felice649; nessuno nessuno ci separerà650;
c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a là651; chiamalo tu
alba spicciati dì Dante652; Cos’è questo odore infernale? […] Rimbambita653; Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone654.
Va notato che in L’albero e in Poesie per un gatto l’autrice utilizza alcuni
vocaboli stranieri e parole e modi di dire introdotti nel linguaggio comune dai
mass media, come Hoover; week-end; black-out; signori sanspapier; exsogno; gol!gol!; fard; show; share655; -O.k. buonanotte656; discount;
633
V.L., Il signore delle barchette, in Il signore d’oro, cit., p.60
V.L., Il signore della buonanotte, ivi, p.18
635
V.L., Il signore gentile, ivi, p.30
636
V.L., Il signore della Pasqua, ivi, p.57
637
V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23
638
V.L., Abbandono, in Una quieta polvere, cit., p.15
639
V.L., Nuvola, ivi, p.116
640
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219
641
V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, in Poesie per un gatto, cit., p.39
642
V.L., L’amore mio quando era bambino, in Teresino, cit., p.13
643
V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, ivi, p.13
644
V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13
645
V.L., Il signore meno, in Il signore d’oro, cit., p.40
646
V.L., Il signore alato, ivi, p.36
647
V.L., Il signore del luogo lontano, in Il signore degli spaventati, cit., p.26
648
V.L., Il signore che faceva male, ivi, p.33
649
V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.67
650
V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93
651
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218
652
V.L., L’albero, ivi, p.221
653
V.L., Cos’è questo odore infernale?, in Poesie per un gatto, cit., p.98
654
V.L., Miryam mi ha chiesto come stai, ivi, p.68
655
V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.221-227
656
V.L., La gironata è finita tornerà tra un anno, in Poesie per un gatto, cit. p.92
634
285
breakfast657; single658; ex-vicino659; -Che schifo di scatoletta./ -E’ “para gatos
com tendencia a obesidade”/ -Come?/ -“Gatos com baixo nìvel de
actividade”/ -Ti lascio torno alle lucertole […]660.
A livello linguistico un discorso a parte andrebbe fatto per la raccolta La
gentilèssa, in cui inoltre l’autrice stessa dichiara di aver utilizzato numerose
parole non esistenti nel dialetto milanese, introducendo quindi anche in queste
poesie alcuni neologismi: mi sono anche concessa qualche parola che esiste
solo per me.661
657
V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94
V.L., Sei una single tu?, ivi, p.111
659
V.L., Che sussulti ma cosa sogni Ignazio, ivi, p.116
660
V.L., Che schifo di scatoletta, ivi, p.88
661
V.L., Nota, in La gentilèssa, cit., p.15
658
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Per chi è il mondo?, di Tom Pow, Nord-Sud, Pordenone 2001
La piccola indiana Foglia Danzante: una storia, di Geraldine Elschner, NordSud, Pordenone 2001
Sei malato, Berto?, di Katja Reider, Nord-Sud, Pordenone 2002
Fino ai confini del mare, di Hermann Moers, Nord-Sud, Pordenone 2002
Rosso Timido, di Gilles Tibo, Nord-Sud, Pordenone 2002
Fratellino lupo, di Danièle Ball-Simon, Nord-Sud, Pordenone 2002
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