Università degli studi di Salerno
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Università degli studi di Salerno Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali Tesi di Laurea in Archeologia e storia dell’arte greca e romana Il complesso del Foro di Augusto: la rappresentazione monumentale del potere Relatore: Prof. Fausto Longo Candidato: Maurizio Musio Matr. 0310701523 Anno Accademico 2011-2012 Università degli studi di Salerno Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali Tesi di Laurea in Archeologia e storia dell’arte greca e romana Il complesso del Foro di Augusto: la rappresentazione monumentale del potere Relatore: Prof. Fausto Longo Candidato: Maurizio Musio Matr. 0310701523 Correlatore: Prof. Mauro Menichetti Anno Accademico 2011-2012 « Non si tratta di conservare il passato ma di realizzare le sue speranze. » (Theodor W. Adorno) INDICE Introduzione V Abstract X Capitolo I. Introduzione storico-topografica I.1 Il contesto orografico p. 1 I.2 Le preesistenze p. 3 I.3 L'Argiletum p. 4 I.4 La creazione dei ''Fora Imperatorum'': la rivoluzione urbanistica p. 8 I.4.1 Il Foro di Cesare p. 8 I.4.2 Il Foro di Augusto p. 10 I.4.3 Il Foro di Augusto in età post-classica p. 14 Capitolo II. La storia degli studi e delle campagne archeologiche nel Foro di Augusto II.1 Studi e ricerche dalla fine del XIV sec. alla fine del XVI sec. p. 17 II.2 La creazione del quartiere ‘Alessandrino’ p. 22 II.3 La riscoperta del foro nel XIX secolo p. 23 II.4 Il piccone del regime: sventramenti nella Roma del ventennio p. 30 II.5 Continuità dell’antico: I Fori Imperiali nel progetto della città p. 33 Capitolo III. Il complesso del Foro di Augusto III.1 L’articolazione piazza-portici-esedre p. 41 III.1.1 La piazza augustea p. 41 III.1.2 I portici p. 43 III.1.3 Exedra duplex: i « Summi Viri » e la « Gens Iulia » p. 48 III.1.4 L’ambito giudiziario e amministrativo del Foro di Augusto p. 55 III.2 Il tempio di Mars Ultor III.2.1 Votum e Dedicatio: la descrizione di Ovidio p. 59 p. 59 III.2.2 Architettura e decorazioni III.3 L’aula del Colosso p. 62 p. 71 III.3.1 La grandiosa decorazione ‘‘illusionistica’’ p. 71 III.3.2 I frammenti della statua colossale p. 74 III.3.3 L’identificazione e la rappresentazione del Genius Augusti p. 79 III.4 La Lex Templi del tempio di Marte Ultore e le funzioni del Foro di Augusto p. 82 III.4.1 Le funzioni legate alla guerra p. 83 III.4.2 Le altre funzioni del tempio p. 84 Bibliografia p. 86 Introduzione Il desiderio di approfondire lo studio sulle tematiche riguardanti il foro di Augusto, e gli aspetti della politica augustea racchiusi in esso, è nato da un exposé assegnatomi durante il mio soggiorno Erasmus svolto in Francia presso l'Université Charles de Gaulle di Lille nell’a.a. 2010-2011. Grazie al professore di Archeologia romana Javier Arce, ho potuto effettuare le mie prime ricerche bibliografiche e appassionarmi alla storia e al mito racchiusi nella figura di Augusto, realizzando per la fine del corso un elaborato intitolato ‘‘Le Forum d’Auguste. Le programme figurative du pouvoir’’. Al mio ritorno dalla positiva esperienza dell'Erasmus ho proseguito la ricerca con il professore Fausto Longo che mi ha indirizzato verso una ricerca bibliografica sistematica, indicandomi le linee guida da seguire per la realizzazione della tesi. In questo elaborato ho provato ad analizzare tutti gli aspetti che contraddistinguono il Foro di Augusto a partire dalle preesistenze riscontrate nell’area dei Fori Imperiali fino all’analisi più strettamente ideologica e simbolica del Tempio di Marte Ultore. Tale analisi è stata suddivisa in tre capitoli. Il primo è un’introduzione storicotopografica del Foro, ovvero l'analisi del territorio prima, durante e dopo la creazione dei Fori Imperiali. L’analisi prende inizio dal contesto orografico dell’Argiletum, del quale ho preso in esame la natura commerciale e le strutture ritrovate, e prosegue con la trasformazione urbanistica del quartiere repubblicano finalizzata alla costruzione del Foro di Cesare e poi del Foro di Augusto; di quest’ultimo ho infine tracciato anche la storia delle trasformazioni avvenute in età post-classica. Il secondo capitolo ha origine dall’esigenza di ricostruire un filo cronologico che ripercorra tutta l’esistenza del Foro di Augusto e, per questo, si configura come una storia degli studi e delle campagne archeologiche. Riprendendo l’ultimo paragrafo del primo capitolo, ho passato in rassegna tutte le vicissitudini che interessarono l’area del Foro dal Medioevo prendendo in considerazione le costruzioni che sorsero sull’intera area dei Fori Imperiali e che portarono alla creazione del quartiere ‘‘Alessandrino’’ nel 1584. Nella seconda parte del capitolo ho analizzato la V riscoperta del foro avvenuta nel XIX secolo prima per opera degli architetti francesi e poi da studiosi italiani come Rodolfo Lanciani, autore dei primi scavi archeologici in quest’area. Il capitolo porta a termine questa rassegna storica del Foro ripercorrendo le vicende avvenute per la costruzione di Via dell’Impero, che separò definitivamente le aree forensi, e le operazioni di recupero, salvaguardia e valorizzazione dei Fori Imperiali avvenute a partire dalla fine del 1970. Al terzo e ultimo capitolo, ho affidato l’analisi completa e approfondita del complesso monumentale del Foro, esponendo per ogni elemento costruttivo l’aspetto architettonico, decorativo e ideologico. Ho considerato l’articolazione piazzaportici-esedre come il punto di partenza per la realizzazione di un chiaro messaggio figurativo che, attraverso l’esposizione dei summi viri e della gens Iulia, legittima e glorifica la grandezza di Augusto e di Roma. Tale messaggio prosegue e diventa ancora più forte nel Tempio di Marte Ultore di cui ho analizzato, tramite le parole di Ovidio, le condizioni che portarono al votum e alla dedicatio e, grazie allo studio di volumi fondamentali come le opere di Paul Zanker e Pierre Gros, l’architettura e le decorazioni esterne ed interne del tempio. Un paragrafo è stato dedicato allo studio dell’Aula del Colosso, considerando le sue decorazioni, le sue funzioni e soffermandomi sull’identificazione e sulla possibile rappresentazione della statua colossale che custodiva. Per concludere la tesi ho racchiuso nel paragrafo finale un’analisi sulle funzioni del tempio e del Foro enunciate dalla Lex Templi¸ ricordata da Casso Dione e Svetonio, con particolare attenzione alla figura di Marte nella politica di immagini augustea. Da questo studio sugli aspetti fondamentali del Foro ho potuto sviluppare una serie di considerazioni da cui eventualmente partire per futuri approfondimenti. Per quanto concerne l'architettura e la topografia del complesso, occorre essere consapevoli che, allo stato attuale, le ricostruzioni della sistemazione originaria del complesso, ovvero prima degli interventi apportati in età domizianea 1, devono essere considerate del tutto ipotetiche e ulteriormente da verificare. Il lato breve sud-occidentale del foro, inesplorato degli scavatori degli anni del 1 MENEGHINI 2009, pp. 108: Si tratta della demolizione degli emicicli minori avvenuta nell'ambito dei primi lavori di sbancamento del terreno che in quell'epoca ancora doveva addossarsi al settore nord-occidentale del foro di Augusto VI Governatorato, è ancora in attesa di essere indagato. Pertanto l'altra porzione dell'emiciclo, recentemente scoperto, conservata al di sotto dell'aiuola che costeggia la via dei Fori Imperiali, ancora rappresenta una cesura evidente del complesso. Ugualmente di eccezionale interesse sarebbe la verifica dell'ipotizzata presenza del quarto emiciclo, obliterato dal Foro Transitorio, che è situata in una zona del tutto inesplorata, posizionata in corrispondenza della via Alessandrina. Le ultime planimetrie del Foro edite nel 2010 mostrano quanto differenti sono ora le conoscenze del Foro rispetto alle piante pubblicate non molti anni fa e quanto diverse siano le prospettive di ricerca che si aprono per i prossimi anni. Altrettanto stimolante sarebbe approfondire l'aspetto innovativo e predominante di Marte nell’ideologia augustea. Con la divisione delle funzioni che abbiamo visto caratterizzare il tempio di Marte Ultore, la guerra vittoriosa e la coesione dei corpi sociali, i cui perni, il trionfo e la censura, sono esclusivi dell'imperatore, venne posta in atto un'operazione di "legittimazione" politica di Mars Ultor accanto a Iuppiter Capitolinus: Marte trasportato all'interno del Pomerium cessa di essere confinato nella sfera della protezione dei cittadini in armi per divenire, come Iuppiter, una sorta di divinità poliadica, soprattutto se vista all'interno del programma di immagini che illustrano il mito dell'origine della gens Iulia e della nascita di Roma. Questa migrazione di funzioni dal Mons Capitolinum al tempio di Marte Ultore, o l’istituzione di funzioni parallele, è piena di significati tra i quali, secondo la Bonnefond2, la conclusione della Repubblica, il cui simbolo era Iuppiter, e l'inizio del principato che vede in Mars, progenitore della gens Iulia, la divinità protettrice. Il Foro di Augusto fu il monumento che più contribuì a propagandare il nuovo mito dello Stato: esso doveva esprimere lo stesso pensiero dell'imperatore, il pensiero presente nell'epopea di Virgilio, in cui il mito e la storia si fondono in un unico quadro provvidenziale. La sola differenza rispetto al poema epico è la direzione temporale che qui è rivolta dal presente al passato, riuscendo ad integrare il passato nel mito della nuova era. Il Foro e il tempio furono concepiti come la "vetrina" del nuovo Stato secondo un preciso programma educativo.3 2 3 BONNEFOND 1987, p. 270 ZANKER 1989, pp. 206-207 VII Il tempio di Marte e il Foro di Augusto risultano essere i poli dell’innovazione nei tre domini dell’architettura, dell’iconografia e delle funzioni, uno dei più grandi esempi della realizzazione materiale di un messaggio ideologico: il complesso non fu realizzato solamente per essere ammirato, il messaggio che esso racchiudeva doveva essere costantemente rivitalizzato, riattualizzato, tramite il compimento di atti e riti regolarmente ripetuti che rinviavano ai tre aspetti fondamentali della funzione imperiale: le decisioni sulla guerra, il controllo della comunità e l’amministrazione della giustizia. Ringraziamenti: Innanzitutto ringrazio il Professore Arce, senza il quale molto probabilmente questa mia passione per Augusto non sarebbe mai nata, il Professore Longo, che è riuscito a seguirmi in un cammino che percorrevo per la prima volta, e il professore Simone Foresta che, introducendomi ad una più approfondita bibliografia di Augusto, mi ha permesso di sviluppare ed approfondire alcuni aspetti della politica ideologica augustea. VIII Per tutti gli altri che mi hanno direttamente o indirettamente aiutato non basterebbero parole, anche perché non sono bravo ad esprimere la gratitudine e l’amore che provo verso le persone che quotidianamente, o saltuariamente, riescono a sopportarmi. Si è soliti ringraziare i propri genitori, i parenti tutti, i propri amici, i compagni d'Università; io spero che tutti loro sappiano già quanto sono fondamentali per me e se c’è qualcuno a cui è dedicata questa tesi: « siete Voi». « Se avrete fatto la tesi con gusto, vi verrà voglia di continuare. Di solito mentre si lavora a una tesi si pensa solo al momento in cui si sarà finito: si sognano le vacanze che seguiranno. Ma se il lavoro è stato fatto bene il fenomeno normale, dopo la tesi, è l’insorgere di una gran frenesia di lavoro. Si vogliono approfondire tutti i punti che si erano tralasciati, si vogliono inseguire le idee che ci erano venute in mente ma che avevamo dovuto espungere, si vogliono leggere altri libri, scrivere dei saggi. E questo è segno che la tesi vi ha attivato il metabolismo intellettuale, che è stata una esperienza positiva. [..] In fondo sarà stata la prima volta che avete fatto un lavoro scientifico serio e rigoroso, e non è esperienza da poco.» Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Milano, 1977, pp.248-249 IX Abstract Le Forum d’Auguste fut consacré par Octave avant la bataille de Philippes en 42 av. J.-C., à Mars Ultor, pour qu’il l’assistât dans la lutte contre les assassins de César, Brutus et Cassius, mais l’évolution des événements repoussa à plus tard l’accomplissement de ce vœu. Après avoir vaincu Marc Antoine à la bataille navale d'Actium en 31 av. J.-C., Octave devient seul détenteur du pouvoir, en 28 av. J.-C., le sénat lui confère le titre de Princeps Senatus, « le premier du sénat », ce qui signifie qu'il est le premier à prendre la parole devant l'assemblée et l'année suivante il lui donne même le titre d’Auguste, surnom sacré évoquant toute la vertu religieuse du fondateur de cité, Romolus, sans oublier le nouveaux valeur royal. Entre le moment où il fut pensé et sa réalisation, il s’écoula quarante ans. Ca construction suite à une promesse faite sur un champ de bataille avait, alors, perdu toute signification, donc Auguste se vit amené à donner à l’ensemble de l’ouvrage une nouvelle signification, en identifiant le Divus Julius à l’idée impériale et en faisant de Mars Ultor le vengeur de tous les ennemies de l’Imperium. Nous ne savons pas exactement quand la construction de l’édifice fut commencée, il ne fut consacré qu’en l’année 2 a.v J-C., mais des monuments de l’époque élevé dans la Province, dans les vingt dernières années, par exemple la Maison carrée à Nîmes or le « Forum de marbre » de Merida, on peut déclarer l’influence de ce grand chantier qu’était le Forum d’Auguste. Les travaux du Forum, comme déclare Auguste dans les Res Gestae, avaient été financés ex manibus, par l’argent prélevé sur le butin de guerre, mais peut-être qu’y contribuèrent aussi le succès diplomatique avec les Parthes, qui avaient rendu les enseignes, et même le règlement de la conquête de l’Espagne en 19 a.v. J-C.. Dans ce mémoire, j'ai essayé d'analyser tous les aspects qui distinguent le Forum d’ Auguste d’abord avec les structures préexistantes trouvés dans les Fori Imperiali jusqu'à l'analyse plus strictement idéologique et symbolique du Temple de Mars Ultor. X Cette analyse a été divisée en trois chapitres, où chacun d'entre eux ont porté sur l'approfondissement d'un thème différent. Le premier chapitre est une introduction historique et topographique du Forum, c'est-à-dire l'analyse de la zone avant, pendant et après la création des Forums Impériaux. Le deuxième chapitre provient de la nécessité de reconstruire un ordre chronologique qui suit toute l'existence du Forum d'Auguste et, par conséquent, est configuré comme une histoire des études et ensuite des les fouilles archéologiques qui ont eu lieu dans le Forum d'Auguste. Dans le troisième et dernier chapitre, j'ai fait l'analyse complète et détaillée de l'ensemble monumental du forum, exposant pour chaque composant les les aspects architectural, décoratif et idéologique. Le temple de Mars Ultor et le Forum d’Auguste sont les pôles d'innovation dans les trois domaines de l'architecture, de l'iconographie et des fonctions, l'un des plus grands exemples de la réalisation matérielle d'un message idéologique: le complexe n'a pas été réalisé seulement pour être admiré, le message qu'il couvrait devait être constamment revitalisé, réactualisé, par l'accomplissement d'actes et rites répétés régulièrement que se référer à les trois aspects fondamentaux de la fonction impériale: les décisions concernant la guerre, le contrôle de la communauté et l'administration de la justice. XI Capitolo I Introduzione storico-topografica I.1 Il contesto orografico Comprendere l'assetto geomorfologico dell'area dei Fori Imperiali, prima, durante e dopo la costruzione dei Fori stessi, è fondamentale per analizzare il cambiamento che il paesaggio ha subito nel momento in cui questo settore urbano da quartiere privato è stato convertito in un'area di fruizione pubblica. La comprensione risulta essere complicata a causa dei potenti interventi di sbancamento e bonifiche, avvenute a partire da Cesare fino a Traiano, che hanno modificato notevolmente l'area. Fu merito di De Angelis d'Ossat4 (Fig. 1) l'aver dimostrato, in base agli studi sulla stratigrafia, l'esistenza di una ''sella'' intercollinare tra il Campidoglio e il Quirinale e di aver redatto una sezione completa della valle. Tale sezione rendeva visibile l'entità del taglio della ''sella'' ed evidenziava i possenti muri, ben evidenti su entrambi i versanti, creati come sostruzione dei terrazzamenti. | Fig.1. Sezione geologica fra Campidoglio e Quirinale. 1 tufi antichi; 2 rocce maremmane; 3 tufo litoide da costruzione; 4 strati fluvio-lacustri; tratti neri verticali: muri di sostegno (da DE ANGELIS D’OSSAT 1946) Prima di d'Ossat si ipotizzava l'esistenza della ''sella'' in base ad alcune testimonianze indirette costituite principalmente dall'epigrafe (Fig. 2) incisa sul piedistallo della Colonna di Traiano, che cita la rimozione di un mons, per la 4 DE ANGELIS D’OSSAT 1946, pp. 17-23 1 costruzione del foro5 e da alcune fonti letterarie, tra cui un passo di Cassio Dione, nel quale lo storico afferma che l'altezza della Colonna servisse a ricordare il livello dei colossali sbancamenti realizzati dall'imperatore Traiano6. | Fig. 2. L’epigrafe incisa sul piedistallo della Colonna Traiana (da http://cil.bbaw.de) 3 Le indagini archeologiche del 1998-2000 hanno permesso di realizzare numerose campionature geologiche sugli strati naturali scoperti, durante gli scavi, in alcuni punti del Foro di Cesare e Traiano7. L'analisi dei campioni prelevati è stata fondamentale per la ricostruzione del rilievo scomparso che doveva presentarsi come un declivio graduale tra la sommità del Quirinale, presso la via Biberatica, e il fondovalle, in corrispondenza del Clivus Argentarius, costituito da un versante di sabbie e argille. CIL VI 960: ‘‘[…] AD DECLARANDVM QVANTAE ALTITVDINIS/ MONS ET LOCVS TAN[TIS OPE]RIBVS SIT EGESTVS’’ 6 CASS. DIO, Hist. Rom., LXVIII, 16, 3: « (Traiano) allestì anche delle biblioteche, e innalzò nel Foro anche un’enorme colonna, destinandola sia a tomba per se stesso, sia per indicare il lavoro fatto per il Foro: e infatti, dato che tutto quel luogo era montuoso, lo sbancò per un’altezza pari a quella della colonna, e così poté allestire il Foro in un’area resa pianeggiante. » 7 RIZZO 2001, in particolare pp. 217-220 5 2 I.2 Le preesistenze La stretta valle che separa il Quirinale dal Campidoglio risulta essere stata un crocevia fondamentale nella storia urbanistica di Roma a partire dalla metà del II millennio a.C.. In sintesi possiamo stabilire che la valle fu, da principio, percorsa da direttrici viarie, forse di carattere commerciale, a cui si è ipotizzato di far risalire le due serie di profondi solchi paralleli scavati nel banco argilloso naturale, provocati dal passaggio più che frequente di veicoli con ruote8, ritrovati, durante gli scavi del 2006, corrispondente meridionale della nell'area all'estremità piazza del futuro Foro di Cesare (Fig. 3). Successivamente tali impronte | Fig. 3. Solchi di ruote di carri risalenti ai sec. XIIIXI a.C. nell’area del Foro di Cesare (da MENEGHINISANTANGELI VALENZANI 2007) risultano tagliate dalle fosse di una necropoli protostorica ascrivibile al XI e X sec. a.C.. La presenza di tombe e oggetti funerari presente nella valle permette di comprendere come l'area fosse utilizzata per le sepolture dei gruppi stanziati in villaggi ben distinti tra loro malgrado la sostanziale unità del contesto orografico9. A loro volta le aree di sepoltura verranno obliterate da settori di abitato a partire dal VIII se non già dal IX sec. a.C.10, che andranno a costituire il futuro quartiere dell'Argiletum11. 8 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p.18 GROS-TORELLI 2010, p. 57 10 MENEGHINI 2006, p. 64 11 LTUR, I, pp.125-126 9 3 I.3 L'Argiletum La nostra conoscenza diretta della topografia dell'intera area è piuttosto scarsa e si basa maggiormente sulle testimonianze esistenti nelle fonti letterarie antiche12. Secondo tali fonti il piccolo abitato, che nel tempo si ampliò fino a formare un vero e proprio quartiere, era delimitato a nord e a sud rispettivamente dal versante occidentale del Quirinale e dalla Velia, a ovest dal Foro Romano e a est dalla Subura, ed era solcato, nell'area corrispondente al futuro Foro di Nerva, dall'antico tracciato viario dell'Argiletum, principale asse stradale della zona da cui il nome del quartiere circostante. Analizzando la disposizione e l'altimetria delle strutture di età repubblicana finora rinvenute nella zona è possibile avere un'idea del paesaggio urbano in cui questo quartiere, identificabile con un settore dell'Argiletum, sorgeva. L'abitato si arrampicava sulle pendici meridionali del Quirinale con la caratteristica principale di essere costituito da un impianto a terrazze che, grazie alla sostruzione di potenti muraglioni, rispettavano la conformazione del rilievo naturale adeguandosi ad essa. Dalle fonti risulta un quartiere, costituito da botteghe di artigiani, piazze, slarghi, case di abitazione, canali, mercati e sacelli, che corrisponde pienamente con quanto rinvenuto dalle indagini archeologiche. Si è ipotizzato che il quartiere fosse diviso in due settori dalla via omonima, che con andamento NordEst/SudOvest separava una parte commerciale, compresa tra la strada e le pendici della Velia, da una parte residenziale, compresa tra la stessa via e le pendici della ''sella'' tra Campidoglio e Quirinale13. Tale ipotesi troverebbe conferma dalle fonti, dove apprendiamo della massiccia presenza di edifici commerciali come il Forum Piscarium14, il Forum Cuppedinis15 e il Forum Coquinum16, che dovevano contrassegnare fortemente il carattere del quartiere. Durante gli scavi del 1995-1996, a cura della Sovraintendenza dei Beni Culturali del Comune di Roma, al di sotto della metà occidentale del Foro di Nerva, sono stati trovati i resti di tre gruppi di strutture preesistenti genericamente databili 12 PALOMBI 2005 TORTORICI 1991, in particolare pp. 32-37 14 LTUR, II, pp. 312-313 15 LTUR, II, p. 298 16 LTUR, II, p. 297 13 4 all'età tardo repubblicana (Fig. 4a-4b). | Fig. 4a. Foro di Nerva. Scavi 1995-1996. Veduta aerea: A) Lastricato di peperino (III-II sec. a.C.) B) Fondazione in calcestruzzo di un edificio templare. C) Domus solarata con portico (IX sec. d.C.). D) Domus solarata (IX sec. d. C.) E) Acciottolato stradale (IX sec d.C.) 1) Ambienti ipogei di età tardo-repubblicana con resti di scala. 2) Ambienti ipogei di età tardo-repubblicana con decorazione pavimentale a mosaico. 3) Ambienti ipogei di età tardo-repubblicana con pavimenti in opus spicatum (da MENEGHINI 2009) Costruite secondo un orientamento Nord/Sud, analogo a gran parte del quartiere pre-imperiale, tali strutture suggeriscono la presenza di impianti termali riferibili ad una o più domus aristocratiche, o di ambienti ipogei da ricondurre ad un più ampio complesso destinato all’approvvigionamento alimentare, da alcuni identificato con il Macellum, localizzato tradizionalmente nell’area dove sorse in seguito il Foro di Nerva17. Nell'Argiletum, come abbiamo detto, dovevano sorgere anche abitazioni di diverso genere, sia insulae, come quella di Cicerone e suo fratello Quinto, ma anche di domus aristocratiche che sembrano concentrate nell'area poi occupata dal Foro di Augusto, come la casa di Sesto Pompeo, console del 14 d.C.18. 17 18 MENEGHINI 2006, pp. 73-75; RIZZO 2001, pp. 220-224 TORTORICI 1991, pp. 85-89 5 Alcuni recenti ritrovamenti nel settore meridionale del Foro di Cesare contribuiscono a documentare la presenza di edifici di epoca arcaica in quest'area; le indagini archeologiche condotte tra il 2004 e il 2008 hanno permesso di approfondire il contesto precedente alla costruzione del Foro, tramite la scoperta di numerose strutture in opera quadrata di blocchi di tufo, di pavimenti e di impianti fognari, nella stessa tecnica e materiale, risalenti al IV-II secolo a.C.19. Tutti questi edifici risultano spianati con | Fig. 4b. Foro di Nerva. Particolare ambiente 2. (da MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007). grande regolarità al momento della preparazione del Foro di Cesare e sorgono a loro volta, su uno spesso strato di bonifica che ne copre un altro composto di detriti carbonizzati prodotti da un grande incendio. Tale evento è databile, sulla base della ceramica contenuta nel soprastante strato di bonifica, tra l'inizio e la metà del IV secolo a.C., e danneggiò gravemente un edificio costruito in blocchi di tufo cappellaccio risalente forse al VI-V secolo a.C.20 (Fig. 5). Relativamente all’area del Foro di Augusto, durante i lavori di scavo e sistemazione di Via dell’Impero, negli anni Trenta fu rinvenuta, in prossimità della testata del portico meridionale con il muro di fondo del complesso, un’altra struttura di forma rettangolare (Fig. 6), realizzata anch’essa in conci di tufo cappellaccio disposti a secco, orientata in senso Est/Ovest. Le caratteristiche del rivestimento e la forma della struttura hanno permesso di identificarla come una vasca/fontana. 19 20 MENEGHINI 2009, p. 31 DELFINO 2011. Nella relazione lo studioso ha attribuito le consistenti tracce di incendio al sacco gallico del 390 a.C. 6 Un’ultima evidenza (Fig. 7) è attestata da una fotografia del 1932, relativa ad una struttura in blocchi rettangolari di tufo ubicata nei pressi dell’esedra meridionale del Foro di Augusto, della quale non è possibile dare ulteriori informazioni a causa della totale assenza di documentazioni21. Il quartiere fu progressivamente cancellato dall'intensa attività edilizia che portò, a partire dalla metà del I secolo a.C. e nell'arco di centocinquanta anni, alla realizzazione dei Fori Imperiali costruiti | Fig. 5. Foro di Cesare. Scavi 2008: A) per sostituire e ampliare l'antico Foro Resti di un udificio in blocchi di tufo di cappellaccio del VI-V sec. a.C. B) Resti di un tratto stradale di età arcaica pavimentato in battuto (da MENEGHINI 2009) Romano. | Fig. 6. Struttura muraria preesistente (vasca), rinvenuta presso la testata NE del porticato meridionale del Foro di Augusto (foto A.Delfino, da MENEGHINI-SANTANGELI 2010). 21 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp.15-31 7 | Fig. 7. Struttura muraria preesistente rinvenuta presso l’esedra meridionale del Foro di Augusto (da LEONE-MARGIOTTA 2007). I.4 La creazione dei ''Fora Imperatorum'': la rivoluzione urbanistica I.4.1 Il Foro di Cesare | Fig. 8. Foro di Cesare. Veduta ricostruttiva sulla scorta dell’analisi e dei dati forniti da AMICI 1991 (InkLink / MENEGHINI 2009). In un contesto di aperta rivalità, non ancora politica, tra Gneo Pompeo e Giulio Cesare si inseriscono le imprese urbanistiche che i due triumviri andavano realizzando con crescente magnificenza. Pompeo aveva da poco inaugurato il primo splendido teatro in marmo di Roma nel Campo Marzio, nel 55 a.C., quando Giulio Cesare, nel 54 a.C., incaricò un gruppo di collaboratori, tra i quali Marco Tullio Cicerone, di progettare e costruire un nuovo complesso monumentale giustificandolo come ampliamento del Foro Romano (Fig. 8). Lo stesso Cicerone offre un importante riferimento topografico in un celebre passo di una sua lettera all'amico Pomponio Attico « […] ut forum laxaremus et usque ad atrium Libertatis explicaremus […] »22 ricordando l'entusiasmo con cui egli e i suoi collaboratori lavoravano per ''allargare l'antico foro fino all'Atrium Libertatis''23. Quest'ultimo, risalente all'età repubblicana e sede ufficiale dei censori, era probabilmente collocato alle spalle del Tempio di Venere Genitrice24, al di sopra della pendice scoscesa del Quirinale e il riferimento topografico, nella lettera ad Attico, contribuisce a delineare il perimetro del nuovo complesso monumentale, esteso dal confine nord-orientale del Foro Romano sino all'antica sede dei censori. L'area scelta da Cesare per la costruzione del nuovo foro, dunque, era densamente 22 CIC., Ad Att. 4, 17, 7 LTUR, I, pp. 133-135 24 CASTAGNOLI 1946 23 8 popolata, per cui fu necessario uno straordinario impegno economico per l'acquisto delle proprietà private. Questa spesa, largamente finanziata con i proventi della conquista gallica, fu effettuata versando sessanta milioni di sesterzi secondo Cicerone, e fino a cento milioni secondo Plinio il Vecchio25 e Svetonio26. Dopo la demolizione degli edifici espropriati, gli addetti alla costruzione, per ottenere il piano destinato a ospitare il nuovo Foro, si trovarono a dover effettuare anche dei consistenti lavori di livellamento dell'area. Data l'irregolarità naturale del luogo, fu necessario spianare il banco geologico naturale fino a ottenere ''terrazze'' o ''gradoni'' corrispondenti ai portici, al tempio e alla piazza del Foro, sui quali poi furono gettate le fondazioni degli elevati, le preparazioni e le pavimentazioni in marmo e travertino27. Il Foro di Cesare (Fig. 9) era costituito da una piazza rettangolare di m 100x48,94, pavimentata in lastre di travertino, con portici su tre lati e con il tempio di profondamente Venere incassato Genitrice nel lato settentrionale secondo l’uso italico e tardo-ellenistico28. Cesare creò una pubblica piazza concependola come un vero e proprio ''santuario'' della sua famiglia, che talvolta utilizzò al pari |aFig. 9. Foro di Cesare. Planimetria ricostruttiva. Strutture relative al lato corto meridionale di età di un palcoscenico, come durante cesariana, rinvenute negli scavi 2006-2008 (in rosso), montate sulla pianta del complesso augustea (in nero) l'inaugurazione stessa del complesso, relativa alla fase (da MENEGHINI 2009). il 26 settembre del 46 a.C., o come quando vi ricevette il Senato al completo, nel 44 a.C., rimanendo seduto ante aedem invece di alzarsi in segno di deferenza29. 25 PLIN., Nat. Hist. 36,103 SUET., Caes .26, 2 27 MENEGHINI 2009, p. 43 28 MENEGHINI 2009, pp. 43-57 29 LIV., Perioc. 116; Suet., Cae. 78; CASS. DIO. 44,8, 1-2 26 9 I.4.2 Il Foro di Augusto | Fig. 10. Foro di Augusto. Veduta ricostruttiva con al centro il Tempio di Marte Ultore (Inklink / MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007). Nel 42 a.C. alla vigilia della battaglia di Filippi contro la coalizione dei cesaricidi, Bruto e Cassio, il giovane Gaio Ottaviano fece voto solenne di edificare, in caso di vittoria, un Tempio a Marte Ultore 30. Ottenuta la sua vendetta Ottaviano mantiene la sua promessa ma va anche oltre: progetta di edificare un nuovo foro all'interno del quale inserire il tempio (Fig. 10). Augusto si trovò come Cesare di fronte ai problemi legati all'esproprio dei beni immobiliari che i privati cittadini possedevano nella zona, quindi, come egli stesso dichiara nella sua opera-testamento delle ‘‘Res gestae divi Augusti’’31, per portare a compimento il progetto acquistò, con fondi personali, l'area nella quale sarebbe sorto il suo Foro. Tuttavia a differenza di Cesare che non aveva badato a spese, Augusto limitò il più possibile gli espropri, inevitabile forma di violenza, tanto da trovarsi costretto a realizzare, come dice Svetonio, un Foro angustius32. Il motivo di tale cautela nei confronti dei cittadini è stata spiegata con motivi di carattere socio-politico, come la salvaguardia dello ius civile e dei diritti di proprietà, che Augusto non volle violare per rispetto della tradizione repubblicana33. SUET., Aug. 29: ‘‘Aedem Martis bello Philippensi pro ultione paterna suscepto voverat’’ AUG., RSDA, 21: ''In privato solo Martis Ultoris templum forumque Augustum ex manibiis feci.'' 32 SUET., Aug. 56, 2: ''Forum angustius fecit non ausus extrorquere possessoribus proxima domos.'' 33 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010 p.11 con ulteriore bibliografia; ZANKER 1989, p. 168 30 31 10 A queste motivazioni dobbiamo aggiungere il forte vincolo di natura geomorfologica dell'area, delimitata sul lato Nord/Est dalle pendici del Quirinale e sul lato Nord/Ovest dalle pendici della ''sella'', con cui dovettero rapportarsi i costruttori34. Si deve ad Alessandro Delfino35 una sintesi dettagliata sui numerosi studi riguardanti le preesistenze del Foro di Augusto e la ricostruzione della conformazione geomorfologica dell'area prima della costruzione del complesso monumentale. Tramite il confronto delle quote assolute rilevate sotto i piani pavimentali del Foro di Augusto, è evidente come lo sbancamento dell'area abbia tenuto conto, sin dalla fase iniziale del cantiere, delle varie parti in cui si sarebbe poi articolato il complesso monumentale. Le analisi effettuate sugli strati inferiori al calpestio augusteo testimoniano che lo sbancamento in prossimità delle pendici del Quirinale, in corrispondenza del portico settentrionale e del Tempio di Marte Ultore, ha interessato non solo eventuali strutture preesistenti ma anche il banco di argilla naturale; viceversa nelle aree più a valle, dove è situato il portico meridionale, la rasatura si è attestata al livello di fondazione degli edifici preesistenti o al di sopra di tale quota. Il motivo di tale differenza è spiegabile per il fatto che nell'area Nord/Est del Foro, più prossima al Quirinale, la pendenza originaria del rilievo doveva aumentare sensibilmente. Da tali considerazioni Delfino ha tracciato una serie di profili geomorfologici prendendo come limiti le strutture preesistenti conservate nell’area del Foro di Augusto. Grazie a questi profili è chiaro che, prima dell'intervento augusteo, l'area era caratterizzata da un ambiente pedecollinare, che presentava una doppia pendenza degradante rispettivamente a Sud, verso il corso d'acqua che scorreva snel fondovalle tra Quirinale e Esquilino e a Sud/Ovest, verso la valle del Velabro. Conoscendo il paesaggio su cui si andava a collocare il cantiere augusteo, è senza dubbio più facile inquadrare i limiti del cantiere stesso e comprendere come si adattò, per quanto possibile, alla morfologia naturale dell’area (Fig.11; fig 12). Il limite Nord del foro, alle spalle dell’esedra settentrionale, coincideva con il punto in cui la ''sella'' si saldava al versante del Quirinale formando un angolo naturale, probabilmente effettuato in epoca repubblicana, per ospitare il 34 35 ARNOLDUS-HUYZENVELD 2000; RIZZO 2001 pp. 215-220 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010 pp. 11-31 11 quadriportico di una domus che doveva articolarsi in una serie di ambienti disposti a terrazze lungo il pendio del Quirinale. Sul lato Nord/Ovest parte dell’esedra e il porticato dovevano confinare con il taglio artificiale del versante, come testimonia il lato esterno dell’emiciclo che si presentava con il nucleo a vista, priva della cortina di rivestimento. | Fig. 11. Planimetria dell’area del Foro di Augusto. L’area campita in grigio corrisponde alla porzione del pendio naturale sbancata dal quartiere augusteo (da MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010). L’intero complesso poggiava a Nord/Est contro un imponente muraglione in opera quadrata di blocchi di peperino e pietra gabina disposti a filari alterni di testa e di taglio, alto fino a 33 metri nel tratto più elevato. L’alta parete, costituita da materiali ritenuti ignifughi, era realizzata per isolare il Foro dalla retrostante Subura, un quartiere popolare dove gli incendi erano frequentissimi. Inoltre la preesistenza di un condotto fognario e della relativa strada soprastante, individuata all'esterno del muro di fondo del foro stesso, avrebbero determinato l'andamento 'spezzato' del muro e, di conseguenza, limitato l'estensione verso Nord/Est di tutto il foro36. Al di là del portico meridionale a Sud/Est, dove si innalzerà poi il Foro Transitorium, l’area conservava gli edifici più antichi e di carattere commerciale propri dell’Argiletum, mentre a pochi metri nel sottosuolo correva la Cloaca Maxima. Il lato del raccordo con il Foro di Cesare non è noto in quanto obliterato 36 BAUER 1985, pp. 116; PENTIRICCI-SCHINGO, 2000 pp. 317-326 12 da via dei Fori Imperiali. Tuttavia gli scavi, che hanno interessato le ampie aiuole ai lati della via dei Fori Imperiali, hanno dimostrato che il lato Sud/Ovest del Foro di Augusto doveva essere a diretto contatto con il Foro di Cesare, tramite un ‘‘muraglione di notevoli dimensioni’’, come è stato evidenziato dalle relative fondazioni in blocchi di tufo37, che sembrano essere in tutto simili a quelle del muraglione Nord/Ovest, analizzate da Heinrich Bauer38. Fig.12. Foro di Augusto. Planimetria ricostruttiva (da MENEGHINI 2009) A: Tempio di Marte Ultore; B: Esedre Maggiori; C: Aula del Colosso; D: Arco dei ‘’Pantani’’; E: Quadriportico Domus repubblicana; G: Esedre Minori; F: Portici 37 38 RIZZO 2000, p.67; RIZZO 2001, pp. 226-227 BAUER 1985 13 Gli studi che sono seguiti alla campagna di scavo degli anni 1991-2007 dell’amministrazione comunale39, ipotizzano una sistemazione monumentale maggiormente articolata del lato breve, simile a quella utilizzata poi nei Fori della Pace, di Nerva e di Traiano: un colonnato di grandi proporzioni, aggettante dalla parete assieme alla trabeazione, con al centro un fornice di collegamento con il Foro di Cesare. I.4.3 Il Foro di Augusto in età post-classica Il complesso monumentale del Foro di Augusto dopo l'età imperiale fu progressivamente privato delle sue funzioni pubbliche e nella tarda antichità gli ampi spazi dell'esedre furono utilizzate per attività scolastiche ed educative. È noto che la destrutturazione del Foro di Augusto, in primis del Tempio di Marte Ultore, a differenza degli altri Fori risale già ai primi decenni dell'Alto Medioevo, durante gli anni della dominazione gota, tra la fine del V e l'inizio del VI sec. d.C.. La testimonianza di questa spoliazione è dall'epigrafe ''PAT costituita DECI'' (Fig.13), incisa sul piano di posa di uno dei grandi rocchi marmorei delle colonne della peristasi del tempio. Tale iscrizione documenta l'avvenuta appropriazione dei | Fig. 13. Iscrizione PAT [rici] DECI (V-VI secolo d.C.) incisa sulla facciata inferiore di uno dei rocchi delle colonne della peristasti del Tempio di Marte Ultore (MENEGHINI 2009). materiali risultanti dalla demolizione del tempio da parte di un esponente dell'aristocrazia o, comunque, di una sua diretta responsabilità nell'attività di destrutturazione40. La posizione dell'epigrafe esclude che la colonna potesse essere ancora in piedi al momento della sua realizzazione e pertanto rafforza l'ipotesi che la maggior parte del Tempio fosse già stata spoliata41. La sorte a cui andò incontro il resto del complesso monumentale contrasta con la destrutturazione precoce del Tempio di Marte Ultore e indica probabilmente una vicenda diversa per i due settori del monumento. Nel corso del IX secolo la maggior parte dei rivestimenti marmorei della piazza e del portico settentrionale e 39 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 54-55 Per un tentativo di identificazione del personaggio citato MENEGHINI 2009, p. 197 41 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p. 118 40 14 i blocchi di tufo litoide e travertino delle fondazioni vennero sistematicamente sfruttati come ''cava'' per materiali edilizio pregiato. Questo sfruttamento del materiale lapideo fu reso possibile dalla progressiva privatizzazione delle aree forensi, i cui beneficiari sono da ricercare nelle classi dominanti ed ecclesiastiche. La spoliazione definitiva del monumento può essere messa in relazione con la costruzione, sullo stilobate del Tempio, del monastero di S. Basilio probabilmente nella prima metà del IX sec. (Fig. 14). A differenza degli altri complessi che videro la creazione di abitazioni in opera quadrata addossate alle strutture imperiali42, nel Foro di Augusto il Monastero di S. Basilio sembra aver continuato a mantenere il possesso dei resti antichi senza aver occupato l'area vicina con costruzioni rilevanti. Il complesso basiliano doveva interessare probabilmente anche il vicino edificio romano, riadattato per il nuovo uso, in quanto dalle fonti di XV-XVI secolo vi è la distinzione tra palatium vetus sul podio e palatium novus nell'edificio romano43. Un importante trasformazione avvenne verso la fine del XII o inizio XIII secolo d.C., con l'arrivo dei Cavalieri Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, futuri Cavalieri di Rodi e poi di Malta, che, con il nome di Priorato di S. Basilio, fecero del Monastero la propria sede romana. Da quel momento il potente ordine monastico cavalleresco estese nel corso dei secoli le sue proprietà sull'intera area dei Fori Imperiali. Su questi ultimi furono costruiti la Casa dei Cavalieri di Rodi, complesso articolato munito di un palazzo sovrapposto alla cosiddetta Terrazza Domizianea; un ospedale nel foro di Traiano e la chiesa di S. Basilio, ricostruita qualche metro più in alto della più antica chiesa omonima e fornita di un campanile, a pianta quadrata in mattoni, che fu eretto sulle tre superstiti colonne del Tempio di Marte Ultore44. 42 MENEGHINI 2009, p. 141-142 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 151 44 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p. 143 43 15 | Fig 14. Veduta ricostruttiva del monastero di S. Basilio al Foro di Augusto nel X secolo d.C. (Inklink / MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007) 16 Capitolo II La storia degli studi e delle campagne archeologiche nel Foro di Augusto II.1 Studi e ricerche dalla fine del XIV alla fine del XVI secolo Dalla fine del XIV secolo, nonostante il Priorato dell'Ordine venne trasferito sull'Aventino, l'interessamento al nuovo complesso fu continuo. Dapprima con papa Martino V nel 1426, poi da parte di Giambattista Orsini, priore dell'ordine nel 1422. Nella metà del XV secolo, grazie a Marco Barbo, nipote del papa Paolo II e amministratore dei beni del priorato, iniziarono diversi lavori come la costruzione della splendida loggia del palazzo. Poco dopo i lavori di quest'ultimo subentra un nuovo affittuario, il commerciante Marcantonio Cosciari, al quale viene riconosciuta la proprietà di parte del materiale antico che eventualmente avesse ritrovato nell'area. È questo uno dei primi riferimenti che abbiamo dell'abbondanza dei materiali restituiti dal Foro di Augusto. Già nel 1477, sotto papa Sisto IV, furono effettuati alcuni scavi presso il complesso di San Basilio, forse nell'emiciclo settentrionale, nei quali emersero molti marmi e importanti iscrizioni, tra cui quella riguardante i Salii e la loro stazione nel Foro.45 Durante la seconda metà del XVI secolo vennero realizzate rappresentazioni cartografiche che rispecchiavano la topografia urbana della città, tra queste la pianta di Leonardo Bufalini del 1551 (Fig. 15) e la veduta ''a volo d'uccello'' del 1577 di Etienne du Pérac (Fig. 16). In queste raffigurazioni la superficie del Foro di Augusto è occupata da campi e coltivazioni, ma sempre ben delimitata dalle alte mura perimetrali. Per comprendere il rapporto predominante che i grandi resti degli edifici di età romana instaurarono con l'urbanistica dell’epoca, sono fondamentali i disegni dei diversi settori dei Fori di molti artisti cinquecenteschi. Particolarmente interessanti due disegni di Antonio da Sangallo il Giovane, uno di Sallustio Peruzzi, nei quali sono presenti numerose postille per facilitare l’interpretazione dei dettagli46 (Figg. 17-18-19) e le sei tavole che Andrea Palladio 45 46 LANCIANI 1902,I, p. 80 BORSARI 1883, pp. 400-415 con tav. 17 ha dedicato al Tempio di Marte Ultore, che l’autore collocò nel Foro di Augusto, da molti all’epoca ritenuto proseguimento del Foro di Nerva (Figg. 20-21-22). | Fig. 15. La zona dei Fori Imperiali nella pianta di Roma di L. Bufalini del 1551. | Fig. 16. La zona dei Fori Imperiali nella pianta di Roma di E. Du Pérac del 1557. 18 | Fig. 17. Studio di Antonio da Sangallo il Giovane: emiciclo meridionale; angolo NE del Foro con le tre colonne superstiti (BORSARI 1883). | Fig. 18. Pianta generale del Foro di Augusto e del Tempio di Marte di Sallustio Peruzzi, nel margine inferiore sinistro sezione di un portico (BORSARI 1883). 19 | Fig. 19. Studio di Antonio da Sangallo il Giovane sull’esedra meridionale con dettaglio di un « pilastro scanalato [..] di marmo cipollino » (BORSARI 1883) | Fig. 20. Ricostruzione di Andrea Palladio del Tempio di Marte Ultore (PALLADIO 1570) 20 | Fig. 21. Disegno di Andrea Palladio raffigurante gli ornamenti del portico (PALLADIO 1570). | Fig. 22. Disegno di Andrea Palladio dei lacunari del soffito del portico (PALLADIO 1570). 21 II.2 La creazione del quartiere ‘Alessandrino’ La seconda metà del XVI secolo fu per Roma un periodo di forte crescita demografica a cui seguì un notevole incremento delle costruzioni edili, grazie al quale l'area dei Fori Imperiali, di proprietà di pochi grandi possidenti molto influenti presso la Curia e l'Amministrazione Capitolina, subì una trasformazione radicale. A partire dagli anni del breve pontificato di Pio V (1566-1572), l'intera area dei Fori Imperiali, denominata nelle fonti con il toponimo di Pantani, in quanto soggetta a impaludamento, fu interessata da una imponente opera di bonifica. Inizialmente fu riattivata la Cloaca Massima tramite un nuovo collettore denominato ‘‘il chiavicone della Subura’’, e, in seguito, un potente interro uniformò il livello di calpestio. L’urbanizzazione dei Fori Imperiali, promossa dal cardinale Michele Bonelli, detto ‘‘l’Alessandrino’’, nipote di Pio V e nominato da questi priore dell’ordine, avvenne nel 1584, quando fu concessa l’autorizzazione ad aprire nuove strade, quelle che saranno poi Via Alessandrina, Via Bonella, Via della Salara Vecchia, Via Cremona, e a concedere i lotti lungo le strade in enfiteusi per la costruzione di future abitazioni. Nel 1566 Pio V concesse l’antico Priorato alle suore Domenicane della SS. Annunziata, che adeguarono la struttura alle esigenze del nuovo edificio di culto barocco: il quadriportico romano divenne una lavanderia e gli archi della loggia furono chiusi in muratura per creare un solaiodormitorio per le monache47. Dal soprannome del cardinale | Fig. 23. A. Tempesta, Pianta di Roma. In questa pianta Michele Bonelli il nuovo compare per la prima volta il quartiere Alessandrino quartiere venne chiamato nell’area dei Fori Imperiali. ‘‘Alessandrino’’. Due raffigurazioni cartografiche offrono un’immagine complessiva del quartiere e della sua espansione nell’arco di tre secoli: la prima è la pianta di Roma di 47 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 57-58 22 Antonio Tempesta del 1593 (Fig. 24), pochi decenni dopo la creazione del quartiere, la seconda, nella sua massima espansione, è la pianta di Giovan Battista Nolli del 1748, dove l’unica preesistenza antica evidente, risulta essere il grande muraglione del Foro di Augusto (Fig. 24). Tramite le piante del Catasto Urbano del 1818-1824, è stato possibile capire come il cosiddetto Isolato di San Basilio si estendeva a Est e a Ovest del muro di fondo del Foro di Augusto, occupando | Fig. 24 G..B. Nolli. Pianta di Roma (1748) . Il quartiere alessandrino appare al massimo della un’area che gravitava intorno al sua espansione. grande complesso del Monastero dell’ Annunziata. Il monastero risultava essere chiuso su via Alessandrina e su via Bonella da un alto muro recinzione insieme di che, al preesistente muraglione augusteo, lo isolava dal quartiere che gli si sviluppava intorno (Fig. 25). | Fig. 25 Isolato di San Basilio, pianta rielaborata sulla base del Catasto Urbano (1818-1824) (MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010). 23 II.3 La riscoperta del foro nel XIX secolo Nei primi anni del XIX la nuova temperie culturale e politica portò ad una vera riscoperta dell'area del Foro di Augusto. Importanti furono gli studi condotti da alcuni allievi dell’Accademia Francese di Villa Medici48, per l’acquisizione di dati certi sul complesso, basati sia sulla verifica diretta delle strutture sia sui primi interventi di sterro e scavo. Sarà LouisSylvestre Gasse, tra il 1803 e il 1805, a rappresentare la sovrapposizione degli edifici moderni sulle preesistenti strutture imperiali. Nel 1825 grazie ai saggi di Francesco Saponieri, affiancati dai rilevi di François-Joseph Toussaint Uchard che realizza una pianta delle strutture sottostanti il convento, si arriva ad una migliore definizione del Tempio e delle sue caratteristiche architettoniche (Fig. 26). | Fig. 26. Uchard, François-Joseph-Toussaint, 1843 . Temple de Mars Vengeur. Plan de l'état actuel des ruines du temple et du Forum (Albums des Envois de Rome : vol. 27). A seguito del crollo improvviso di un’ala del monastero della SS. Annunziata, nel 1839, si decise di demolire, creando polemiche nelle quali intervenne anche Stendhal49, il campanile romanico di S. Basilio e di liberare il fianco del podio con le colonne dalle costruzioni che vi si addossavano50. 48 ROMA ANTIQUA 1992 STENDHAL 1883, pp. 323-324: ‘‘[…] un clocher carré enbriques, fort élevé et fort pesant, qui finira par faire écrouler ce qui nous reste du temple de Nerva. C'est contre ce clocher que sont dirigés les voeux de tous les antiquaires de Rome. […] Tous désirent qu'il soit démoli, mais il appartient à l'église de l'Annonciation. Quand aurons-nous un Pape assez philosophe pour permettre qu'un édifice consacré au culte soit démoli, et cela pour augmenter le plaisir profane des dilettanti?’’ 50 BAIANI-GHILARDI 2000, p. 93. 49 24 Nuovi saggi furono condotti nel 1869 nell’esedra meridionale, ormai libera dalle strutture sovrastanti, e tramite i rilievi di Louis Noguet, fu possibile stabilire dati fondamentali per la copertura dell’esedre, i limiti dei portici e la separazione tra il Foro ed il complesso monumentale del Foro di Nerva (Fig. 27). | Fig. 27. Louis Noguet, 1869. Forum d'Auguste et temple de Mars vengeur. Restauration, coupe longitudinale (D'ESPOUY, 1912). Il 16 maggio del 1881 il Comune di Roma acquistò un’area di circa 950 mq corrispondente all’esedra e al portico meridionale del Foro di Augusto; l’area, in gran parte edificata, fu acquistata a dir di Rodolfo Lanciani per « togliere via uno scorcio deplorato da secoli » e « discoprire l’antico piano, sul quale giacciono ancora sepolti ed ignorati i piedistalli marmorei eretti da Augusto ». Proprio grazie a Rodolfo Lanciani vengono condotti i primi scavi sistematici, con eccellenti risultati scientifici, che restituiscono una gran quantità di materiali, soprattutto epigrafici, evidenziando la successione di due strati di interro fino al pavimento del Foro51. I vari passaggi degli scavi verranno continuamente pubblicati sia sul ‘‘Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma’’ 52 sia tramite pubblicazioni individuali di Lanciani, come ad esempio ‘The Ruins and Excavation of Ancient Rome’’ dove verrà riprodotta una pianta riassuntiva di alcuni degli interventi archeologici più importanti apportati nella area Nord/Est del Foro (Fig. 28). Sarà Giuseppe Gatti dalle pagine del ‘‘Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma’’ nel 1890 a riprendere le analisi del Lanciani sui documenti epigrafici ritrovati, suddividendoli per tipologie 51 52 LANCIANI 1889; LANCIANI 1901 BCAR 1890; 1924; 1929 25 | Fig. 28. Pianta degli scavi effetuati nel Foro di Augusto (da LANCIANI 1897). e integrandole con disegni53. La contemporanea apertura di Via Cavour, da molti considerato il più grande sventramento romano di tutti i tempi, creò evidenti problemi di viabilità, in quanto la nuova strada si arrestava ai limiti del Foro Romano e il traffico veicolare doveva confluire nell’assai ridotta rete viaria del quartiere Alessandrino. Nei primi anni del XX secolo si cominciarono a programmare interventi per lo sventramento sistematico del quartiere che insisteva sui Fori e, accanto a progetti e soluzioni di ingegneria urbana, apparvero proposte promosse da archeologici: nel 1911 compare sul ‘‘Bullettino d’Arte’’ il progetto per ‘‘L’isolamento e la redenzione degli avanzi dei Fori Imperiali’’, un celebre studio di Corrado Ricci, in cui rivendica la priorità delle strutture imperiali sugli edifici tardo-cinquecenteschi, considerate ‘‘case vecchie e recenti’’. Il progetto in realtà era molto limitato a causa delle difficoltà di espropriare gli isolati che si erano impiantati sui Fori e finiva con l’interessare esclusivamente il settore di Via Alessandrina dove si riduceva al minimo la demolizione di case, 53 GATTI 1890 26 chiese e palazzi storici. Lo stesso Ricci definì il suo progetto come « un minimo di demolizioni e un massimo di risultato archeologico e monumentale » 54 (Fig. 29). Il progetto generale di scavo e sistemazione dell’area dei Fori Imperiali prende inizio solo tredici anni dopo, nel 1924, proprio nell’area augustea, di cui Ricci ammirava enormemente le strutture superstiti, con l’abbattimento del convento della chiesa barocca dell’Annunziata e la riscoperta dell’abside della chiesa dei Basiliani, che in un primo momento si cercherà di salvare attuando un restauro. Successivamente verrà demolita conservando le sole pitture presenti. Dal punto di vista strutturale sono importanti gli interventi per un nuovo ancoraggio delle colonne superstiti del tempio, precedentemente agganciate a muri demoliti insieme alla chiesa. Durante tali interventi, avviati dalla Commissione Archeologica in attuazione del progetto approvato dal Governatorato, verranno identificati lo stilobate del tempio di Marte Ultore, parte della gradinate e del peristilio, parte della cella e gli ampi gradini dell’emiciclo meridionale, le due strade laterali al tempio con il loro lastricato, le fondamenta degli archi di Druso e Germanico, parte delle due aule antistanti alle esedre con i loro pavimenti marmorei e, all’interno di queste, le nicchie per le statue « la sala del Colosso di Augusto, qualche frammento di queste, e molte altre cose, che non si possono in breve nemmeno enumerare »55. Quirino Giglioli da notizia per la prima volta del ritrovamento dell’Aula del Colosso nel 1926 e, elencando e elogiando sia Ricci che il Governatorato, auspica uno scavo totale dell’area56. Dal 1927 si avviano i restauri della pavimentazione del Foro, rispettando rigorosamente il cromatismo originario. Il muro di fondo è oggetto di un importante intervento di restauro, con rinforzi mediante ghiere e tiranti in ferro; i restauri e le ricostruzioni, come ad esempio quelle delle lesene nell’area del Colosso e delle semicolonne dell’esedra, sono sempre molto coerenti e accorti, in linea con l’ideale di restauro ‘stilistico’ dell’epoca e con l’uso differenziato dei materiali.57 I lavori proseguono fino al 1933, quando si completa lo scavo dell’emiciclo meridionale e della via che corre lungo questo lato del tempio. 54 RICCI 1911 COLINI-RICCI 1932, pp. 37-57 56 GIGLIOLI 1926 57 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 153-155 55 27 | Fig. 29. Progetto di scavo dell’area dei Fori Imperiali (RICCI 1911). 28 | Fig. 30. Italo Gismondi 1938. Planimetria dei Fori Imperiali, copia su lucido della pianta del 1933 (da GIULIANI 2007). 29 Dello stesso anno è la prima redazione della planimetria ricostruttiva dei Fori Imperiali di Italo Gismondi, che costituì la matrice di tutte le planimetrie per qualunque lavoro di topografia dell’area58 (Fig. 30). II.4 Il piccone del regime: sventramenti nella Roma del ventennio Il progetto di scavo si lega subito ai nuovi programmi urbanistici redatti dal Governatorato nel Piano Regolatore del 1931, che resterà in vigore fino al 1958, il quale riprendeva da quelli precedenti il congiungimento di Piazza Venezia con Via Cavour tramite l’allargamento di Via Cremona, ma aggiungeva anche la prosecuzione del tracciato verso il Colosseo, con un percorso che aggirava la Velia da Est. Solo nel 1932, con le demolizioni già in atto senza un programma preciso, si decise di modificare il progetto e di realizzare una strada rettilinea tra Piazza Venezia e il Colosseo, sbancando completamente la Velia. Corrado Ricci, che pur coinvolto in questa impresa, aveva tentato di garantire ai lavori di ‘liberazione’ dei monumenti un minimo di serietà scientifica, verrà di fatto estromesso e sostituito da Antonio Muñoz, unico responsabile delle decisioni in campo archeologico fino alla caduta del fascismo, Muñoz definì la creazione della nuova via « un’idea geniale »59. La distruzione sistematica del quartiere Alessandrino e della Velia non fu il frutto di una politica ‘‘archeologica’’, ma dei bisogni propagandistici dello Stato fascista, che voleva far spazio alla nuova strada, chiamata poi ‘‘Via dell’Impero’’, inaugurata da Mussolini il 28 ottobre 1932. Il modo e la velocità con cui furono condotti i lavori impedirono di ottenere risultati archeologici degni di esser così chiamati, ed i complessi monumentali, separando definitivamente le aree archeologiche forensi, furono ridotti a scenografia e fondale di prestigio per un’ ‘‘autostrada’’ urbana, utili per le parate di regime60 (Figg. 31-32). 58 GIULIANI 2007, pp. 76-81, p. 269 MIGNANELLI 2006, p. 39 60 LA REGINA 2004, p. 116 59 30 | Fig. 31. Foro di Augusto: ( da LEONE-MARGIOTTA 2007). foto dei lavori di demolizione di via Bonella Lo scavo archeologico si arrestò all’area limitata di una porzione del Foro di Cesare mentre tutte le aree limitrofe allo stradone, una volta rasati all’altezza delle cantine i palazzi del quartiere Alessandrino, vennero ricoperte da giardinetti ideati da Muñoz poiché immaginava che « nella vasta zona a giardino […] potranno a tempo opportuno praticarsi gli scavi […] ». | Fig. 32. Via dell’Impero, 1934. Cerimonie dell'VIII Leva Fascista sullo sfondo il Foro di Augusto (Archivio Storico Istituto Luce). La documentazione che ci è pervenuta riguardo gli sterri e le demolizioni consiste in centinaia di foto raccolte recentemente nel volume a cura di Leone e Margiotta del 2007 e nei ‘‘Giornali dei Lavori’’, redatti dal Paroli per un pure fine 31 amministrativo durante gli scavi, che riportano notizie inedite relative agli sterri e ai restauri dei Fori di Cesare e di Augusto. Nel corso dello stesso 1932 Gioacchino De Angelis D’Ossat esegue l’importante studio geologico di tutta l’area di cui abbiamo precedentemente parlato. All’inizio degli anni Quaranta hanno luogo nuove, limitate indagini nel settore meridionale del Foro di Augusto, intorno alle fondazioni del muro perimetrale, dei portici e del tempio. Gli interventi portano allo scoperto le fondazioni delle strutture ed un avanzo di edificio repubblicano, a sud dell’Arco dei Pantani61 (Fig. 6). Nel 1955 sulle pagine del ‘‘Bullettino dell’Istituto Archeologico Germanico’’ Giulio Quirino Giglioli pubblica un saggio sulla ricostruzione delle Cariatidi ritrovate durante gli scavi del 1930. Tali statue, copie delle famose Cariatidi dell’Eretteo dell’Acropoli di Atene e probabilmente collocate nelle porticus del Foro, furono oggetto di una ricostruzione effettuata da parte dei Cavalieri di Malta, nella quale sono presentate alternate a clipei con teste di Giove e completate con un’ampia trabeazione62 (Fig. 41). I lavori di ricerca, recupero e valorizzazione del Foro di Augusto nel secondo dopoguerra vengono portati avanti ad opera del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Tra i vari interventi vengono segnalati due saggi di scavo effettuati nel 1967 nell’area alla destra del tempo di Marte Ultore, all’altezza della seconda colonna della peristasi. I saggi (A e B), realizzati grazie ad alcune lacune della pavimentazione augustea, erano finalizzati ad esplorare le fondazioni del portico Nord e del tempio. Su tutta l’area fu identificato lo spesso strato di preparazione del pavimento e, al di sotto, uno strato sconvolto dall’impianto delle strutture augustee, con tracce di bruciato e ricco di materiale ceramico databile dall’età del Bronzo Finale all’età repubblicana; furono ritrovati anche resti di sepolture dell’età del ferro63. 61 BCAR 1946-48, p. 198 GIGLIOLI 1955, pp. 155-159, tav. 54-60 63 COLINI 1978 62 32 II.5 Continuità dell’antico: I Fori Imperiali nel progetto della città Nel 1978 la Soprintendenza Archeologica di Roma denunciò lo stato di degrado dell’intera area archeologica causata dall’inquinamento urbano, di cui le strade troppo vicine erano i principali colpevoli. A partire dal 1979, grazie ad Adriano La Regina, Soprintendente dal 1978 al 2005, prese forma un progetto di intervento, con la partecipazione dei primi specialisti e teorici dello scavo stratigrafico con a capo Andrea Carandini, che proponeva di creare il Parco Archeologico di Roma. Tuttavia un’assurda polemica portata avanti da diversi partiti compresa politici, l’opposizione dell’allora ministro dei Beni Culturali Vernola, prese Nicola | Fig. 33. Appello di Adriano La Regina sulle pagine del il Corriere della Sera del 21 dicembre 1978 (Archivio Cederna). sopravvento sulle motivazioni scientifiche e culturali dei progettisti degli scavi e i progetti allora impostati non giunsero a nessun risultato64 (Figg. 33-34). Finalmente in un clima più disteso la Soprintendenza Archeologica, in collaborazione con l’Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma ‘‘La Sapienza’’, riuscì ad avviare i lavori nel 1985-1986 poi ripresi per l’arco di tempo compreso tra il 1989 e il 1995. Nel corso di queste campagne di scavo si decise di analizzare le aree totalmente sconosciute e di cercare di individuare i nessi architettonici tra i vari complessi monumentali, per questo motivo il Foro di Augusto non fu interessato da tali operazioni (Fig. 35). 64 LA REGINA 1981 33 | Fig. 34. Sovrintendenza Archeologica di Roma: area dei Fori. Previsione di scavo e progettazione (LA REGINA 1981). 34 | Fig. 35. Fori Imperiali. Planimetria generale con estensione degli scavi 1989-2007. Blu: scavi 1989-1995. Rosso: scavi 1998-2000. Verde: scavi 2004-2007 (MENEGHINI 2009). 35 Nonostante ciò è proprio negli anni Settanta e Ottanta che, grazie a un nutrito gruppo di studiosi italiani e tedeschi, si avrà una ripresa scientifica degli studi. Fondamentali sono i lavori di Paul Zanker che, dopo una piccola ma preziosa presentazione del complesso del Foro65, sempre citata negli studi successivi, analizzerà principalmente gli aspetti ideologici della politica di Augusto in costante rapporto con i grandiosi monumenti da questi fatti costruire. Altrettanto importante sarà Pierre Gros66 che, in un’opera di grande respiro sulle architetture religiose al tempo di Augusto, avanzerà numerose tesi sulla decorazione architettonica del tempio di Marte Ultore e sui suoi significati nell’ottica augustea. Grazie ad uno studio dettagliato del 1981 di S. Rinaldi Tufi67, sui frammenti statuari marmorei, e all’articolo di G. Capecchi68, incentrato su una protome di divinità del Museo Archeologico di Firenze e sulla sua possibile identificazione come parte del programma iconografico del Foro, verranno ampliate le conoscenze sulle decorazioni del complesso. H. Bauer focalizzerà la sua ricerca sull’architettura del Foro e proporrà una nuova ricostruzione del portico e dell’esedre che si differenzia dal ben noto plastico di Italo Gismondi69. Giuseppe Camodeca nel 1987 effettua una riedizione di tutti i numerosi documenti vadimoniali dell’archivio dei Sulpicii, noto anche come Tabulae Pompeianae di Murecine, nelle quali cercherà di riscontrare preziose informazioni sulla topografia del forum Augustum, e di dimostrare la presenza ‘‘in foro Augusto’’ del ‘‘tribunal praetoris peregrini’’ accanto a quello del ‘‘praetoris urbani’’70. Nello stesso anno vi fu la pubblicazione di un’importante saggio di M. Bonnefond che, ripercorrendo la strada tracciata da Zanker, analizza le funzioni reali e, maggiormente, quelle simboliche che vengono attribuite al Foro di Augusto e al Tempio di Marte Ultore al momento della loro costruzione71. Gli scavi condotti dall’Amministrazione Comunale, saranno oggetto di numerose pubblicazioni in seguito alle mostre romane ‘‘I luoghi del consenso imperiale. Il Foro di Augusto. Il Foro di Traiano’’ del 1995 e ‘‘I marmi colorati della Roma 65 ZANKER 1968 GROS 1976 67 RINALDI TUFI 1981, pp. 69-84 68 CAPECCHI 1984, pp. 499-450, tav. I-II 69 BAUER 1985; BAUER 1987, pp. 763-770 70 CAMODECA 1986, pp. 505-508 71 BONNEFOND 1987, pp. 251-278 66 36 imperiale’’ del 2002. I diversi volumi pubblicati, insieme ai due rispettivi cataloghi, sempre a cura di Eugenio La Rocca, Roberto Meneghini, Lucrezia Ungaro e Riccardo Santangeli Valenzani, hanno rappresentato tappe importanti per la sintesi degli studi sui materiali forensi, ancora in corso, e sull’architettura del complesso. Finalità precipua di questi studi è stata la volontà di garantire la fruizione dei dati da parte del pubblico, e di valorizzare i reperti e i monumenti recuperati con l’inaugurazione del Museo dei Fori Imperiali, situato nei Mercati di Traiano, avvenuta nel 2007. A ridosso degli anni 2000 vengono pubblicate due tra le più importanti monografie sul complesso: quella di J. Ganzert sul tempio di Marte Ultore72 e di M. Spannagel sull’intero complesso monumentale73. I grandi scavi nell’area dei Fori Imperiali, diedero spunto a molti dibattiti, anche su aspetti prima di allora poco analizzati. In questo contesto si inseriscono i lavori di W. Trillmich che, insieme ad altri colleghi, ha approfondito, mediante pubblicazioni, congressi e mostre, i rapporti tra Roma e la penisola Iberica, anche per quanto riguarda la trasmissione di modelli iconografici e di programmi figurativi desunti dal grande complesso augusteo, fenomeno che risulta, nel caso delle Hispaniae e della Lusitania, particolarmente intenso74. Anche durante le indagini del 1998-2000, inserite nel Piano di Interventi per il Grande Giubileo del 2000, lo scavo archeologico si è concentrato sulle aree degli altri tre fori, mirando a chiarire, per quanto riguarda il Foro di Augusto, i nessi architettonici con il Foro di Traiano. Durante gli scavi sono stati scoperti i resti di un terzo emiciclo di dimensioni leggermente inferiori rispetto a quelle dei due maggiori, già noti e tuttora visibili; tale struttura fu obliterata dai lavori di costruzione del Foro di Traiano ed è facile immaginare che abbia avuto una sua corrispettiva sul lato confinante il foro di Nerva. Le pubblicazioni di questi scavi sono state curate da Serena Baiani e Massimiliano Ghilardi, e comprendono l’ampio articolo di Serenza Rizzo75 che ha analizzato e descritto le operazioni effettuate e i dati emersi durante il Progetto dei Fori Imperiali (Fig. 36). 72 GANZERT 1996 SPANNAGEL 1999 74 TRILLMICH 1996, pp. 95-113; studi poi raccolti in LA ROCCA–LEON–PARISI PRESICCE 2008 75 LA ROCCA 2001, pp. 171-213; BAIANI-GHILARDI 2000, pp. 62-78; RIZZO 2001, pp. 215-244 73 37 | Fig. 36. Emiciclo minore veduta dall’alto (sx) e particolare delle impronte dei blocchi di fondazione del muro curvo (dx). (MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010) Nel 2002, a distanza di vent’anni dal suo primo contributo, riprende il tema delle decorazioni scultoree analizzando alcuni temi abbastanza divergenti e di non poca importanza76. Finalmente negli anni 2005-2007 nuove indagini sono state condotte nell’area del Foro di Augusto. Lo scavo si è svolto nell’aiuola triangolare, una di quelle progettate da Muñoz, situata tra Via Alessandrina e Via dei Fori Imperiali, l’ultimo vasto settore , escludendo Via dei Fori Imperiali, ancora inesplorato (Fig. 37). Gli obiettivi scientifici dell’indagine sono stati mirati a risolvere il problema dell’articolazione architettonica del lato occidentale del Foro, e in particolare, a verificare l’ipotesi, avanzata sia da E. La Rocca che da A. Ventura Villanueva, della presenza di una basilica, poi grazie a questi scavi confutata. Nonostante durante gli scavi fosse attestata la quasi completa spoliazione della decorazione e della struttura architettonica del monumento antico, ulteriore conferma della precoce destrutturazione di cui erano già state trovate testimonianze77, lo scavo si è dimostrato fondamentale per dare risposte a una serie di interrogativi ancora aperti grazie ad approfonditi studi sui vari contesti del complesso augusteo. 76 77 RINALDI TUFI 2002 pp. 177-193 Vedi n. 41 38 I risultati di queste indagini sono stati resi noti nella pubblicazione del 2010 ‘‘Scavi dei Fori Imperiali. Il Foro di Augusto – L’area centrale’’ a cura di Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli Valenzani. | Fig. 37. Planimetria dell’area interessata dagli scavi 2005-2007 ; in nero : stato attuale dell’area con individuazione del saggio di scavo nel settore centrale ; in rosso : planimetria ricostruttiva del Foro di Augusto ; in verde : gli isolati del Quartiere Alessandrino (MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010). In primis lo studio sulla geomorfologia dell’area prima, durante e dopo la costruzione dei complessi dei Fori Imperiali, di cui abbiamo già trattato 78, a cui dobbiamo aggiungere il contributo di D. Palombi, esaustivo per quel che concerne la toponomastica e la viabilità prima dei fori imperiali79; in seguito l’analisi stratigrafica ha consentito la lettura archeologica di quelle fasi di trasformazione del paesaggio, dall’alto medioevo all’età moderna, che gli sterri novecenteschi avevano completamente cancellato; infine un elemento innovativo di questa 78 79 DELFINO 2011, pp. 285-302 PALOMBI 2005, pp. 81-92 39 ricerca è stata la ricostruzione delle fasi di urbanizzazione dell’area nel corso del Rinascimento che ha portato ad un riscontro archeologico delle notizie tratte dalle fonti storiche, catastali e archivistiche80. Nel corso di questi scavi, e nella prima pubblicazione dei risultati scientifici, ha trovato ampio spazio l’analisi di Elisabetta Carnabuci che, partendo dalle indicazioni di Giuseppe Camodeca, grazie alle analisi delle strutture, comprese quelle relative alla nuova esedra, ha approfondito la riflessione sulle funzioni di ambito giudiziario dell’esedre e sulle modifiche attuate nel corso dei secoli alla forma del Foro di Augusto.81 A conclusione dello scavo e per celebrare l’apertura del tanto atteso Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano del 2007, è avvenuta la pubblicazione di un volume che, ripercorrendo e presentando il percorso espositivo del nuovo museo, si propone di illustrare le architetture antiche e la loro decorazione architettonica e scultorea. In esso sono descritte le importanti operazioni di restauro, apportate sia agli ambienti forensi che alla stessa sede del Museo, finalizzate a conservare la memoria dell’antica grandezza dei Fori Imperiali.82 80 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp. 141-229 MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp.103-139 82 UNGARO 2007 81 40 Capitolo III Il complesso del Foro di Augusto III.1 L’articolazione piazza-portici-esedre La grande piazza del foro si presenta come un isolato chiuso al traffico, i cui portici sui lati maggiori si allargano in esedre semicircolari coperte, aumentando lo spazio fruibile per le attività prevalenti, giudiziarie ed educative. La scelta dell’articolazione piazza-portici-esedre deve essere vista in funzione del reale utilizzo di questi spazi. Già in ambiente ellenistico-macedone era in uso il modello del peristilio, o cortile porticato, affiancato da absidi coperte, riccamente decorate con statue. Anche l’atrio, ambiente principale della casa, era completato da vani laterali che ospitavano i ritratti degli antenati. III.1.1 La piazza augustea Il senso di isolamento e maestosità è rafforzato dal poderoso muro perimetrale che separa e protegge il Foro dai quartieri retrostanti. Dal muraglione si aprono verso nord un triplice fornice e verso sud un arco a un solo fornice, denominato dopo l’età classica ‘‘Arco dei Pantani’’. Da entrambi gli ingressi si accede al piano del Foro mediante scalinate; alla base di queste ultime, nel 19 d.C. furono aggiunti due archi in onore di Druso Minore e di Germanico in ricordo della vittoria sugli Armeni. Due percorsi lastricati in marmo bianco corrono lungo i fianchi dell’ampio podio del tempio e conducono alla piazza vera e propria, della quale ben poco oggi è visibile. La pianta mostra come lo spazio centrale, con andamento irregolare a est, sia dominato dal tempio di Marte Ultore, imponente con i suoi 30 metri d’altezza rispetto alla piazza antistante e ai due stretti corridoi di accesso laterali larghi 6,70 metri. Il Foro presentava la superficie scoperta lastricata in marmo bianco lunense. III.1.1.1 « Pater Patriae » « Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester order populusq[ue] Romanus universus appellavit me pat]rem patriae idque in vestibulo ae41 dium mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. sub quadrigis, quae mihi ex s.c. positae sunt, decrevit. Cum scripsi haec, annus agebam septuagensumum sextum ».83 Il punto focale della piazza era costituito dal colossale gruppo bronzeo di Augusto su quadriga al suo centro, decretato per senatoconsulto e collocato di fronte al tempio di Marte Ultore. Augusto era su una quadriga trionfale, forse incoronato da una Vittoria84, come spesso è stato raffigurato sulla monetazione coeva. Sul basamento era inciso il titolo onorifico di Pater Patriae che il Senato, l’ordine equestre e tutto il popolo avevano offerto all’imperatore il 5 febbraio del 2 a.C., come egli stesso orgogliosamente ricorda nelle sue ‘‘Res Gestae’’, tale titolo lega tutto il popolo dell’impero romano ad Augusto secondo il vincolo di devozione che i figli dovevano ai loro padri85. Il titolo di Pater Patriae giunge un nuovo tassello all’immagine del principe ancora vivente, dichiarandone una qualità vraumana che lo poneva molto più in alto di tutti i mortali. Nonostante la notevole importanza che lo stesso Augusto attribuisce alla quadriga non sono state ancora ritrovate tracce archeologiche evidenti che aiutino a stabilirne la collocazione, le dimensioni | Fig. 38 Il piede destro di bronzo dorato da statua femminile di e l’iconografia che vi era rappresentata. L’unico vittoria alata: le due immagini del piede di fronte e sul lato esterno frammento che Eugenio La Rocca ha ipotizzato evidenziano la definizione del modellato. (da UNGARO 2007) 83 AUG. Res. Gestae I, XXXV: « Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine equestre e tutto il popolo Romano, mi chiamò padre della patria, decretò che questo titolo dovesse venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Iulia e nel Foro di Augusto sotto la quadriga che fu eretta a decisione del senato, in mio onore. Quando scrissi questo, avevo settantasei anni. » 84 ZANKER 1984, p. 228 85 LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 pp.74-87 42 potesse appartenere al gruppo86 è un piede di bronzo dorato, di misura maggiore del vero e di grande qualità formale. Sotto il piede vi è un lungo tenone quadrangolare, anch’esso in bronzo, che aveva il compito di reggere, una volta applicato dentro un sostegno, la statua colossale (Fig. 38). La Rocca ritiene che il piede appartenga a una figura femminile in volo, e quindi sia riferibile alla Vittoria incoronatrice, ipotizzata da Zanker e ritenuta possibile da Ganzert87. Tuttavia, in una più recente analisi, Rinaldi Tufi88 fa risalire il piede bronzeo ad una delle due Vittorie acroteriali collocate lateralmente sul frontone del tempio di Marte Ultore, analizzate insieme al complesso del tempio successivamente. La scelta iconografica della quadriga trionfale nella piazza è un segnale ben preciso di una lettura del programma figurativo del Foro in relazione alla pacificazione universale augustea e contro il sistema usuale di raffigurare il vincitore: in questo schema non vi è posto per i vinti, ma solo per le popolazioni consapevoli di vivere nel migliore mondo possibile sotto la guida del principe perfetto. III.1.2 I portici Dalla piazza, aldilà del colonnato e dei basamenti di statue che si trovavano davanti ogni colonna, salendo tre gradini si accedeva ai portici: la facciata risultava composta da un solo ordine di colonne in giallo antico con basi attiche e capitelli corinzi in marmo lunense, sormontato da un fregio-architrave formato da | Fig. 39 Disegno ricostruttivo dell’ordine dei portici con fregio decorato sui due lati opposti (UNGARO 2007) LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 p. 76 GANZERT 1996 p. 276 88 RINALDI TUFI 2002, pp. 179-181 86 87 43 blocchi separati. L’architrave tripartito a fasce lisce proseguiva con un fregio decorato sui due lati opposti, con un motivo a girali naturalistico verso la piazza e con un rilievo a tralci a nastro molto appiattito verso l’interno dei portici (Fig. 39). L’ordine di colonne era a sua volta sovrastato da un alto attico, che slanciava i portici altrimenti oppressi dall’altezza del tempio. L’attico avancorpi si articola sporgenti in che fungono da sostegno per le figure femminili delle cariatidi: la loro elegante acconciatura è scolpita in un solo blocco con il cercine, il kyma ionico e l’abaco a imitazione di un ‘‘canestro’’ trasformato in un capitello (Fig. 40). Il capitello-canestro unisce sporgente alla si trabeazione alternata con quella rettilinea arretrata, decorata con baccellature e soffitto a cassettoni. Come dimostra la firma su un frammento di cariatide | Fig. 40 Ricostruzione di Cariatide dal Museo dei Fori ‘‘C VIBIUS RUFUS’’, le Imperiali nei Mercati di Traiano cariatidi sono da considerare come copie delle famose figure dell’Eretteo sull’Acropoli di Atene, tuttavia rielaborate e adattate alla diversa sensibilità romana, rendendole più corpose, ma mantenendo invariata l’eleganza dei dettagli nei monili e nell’acconciatura. Sul piano di fondo, tra le cariatidi, si collocano dei pannelli quadrangolari, ricavati da un unico blocco, incorniciati da una fascia di kyma lesbico trilobato nei quali 44 erano situate delle imagines clipeatae, la cui incorniciatura convessa varia con tre diversi motivi decorativi: quello più complesso presentava tre fasce mentre gli altri due si compongono di lunghe baccellature composite e una decorazione floreale ad anthemion. I clipei al centro ospitavano, inserite con un tenone sul retro, teste maschili, alcune direttamente ispirate alla raffigurazione di Giove Ammone, mutuato dalla divinità egizia del dio Amun, venerato nell’oasi di Siwa e legato alla figura di Alessandro Magno. Altre teste maschili, invece, non avevano le corna e indossavano il torques, monile di ambiente celtico e asiatico, ma all’epoca molto diffuso. Sia nella prima ricostruzione dell’attico, nella Casa dei Cavalieri di Rodi degli anni Quaranta del Novecento, che nella recente e più corretta ricomposizione, situata nei Mercati di Traiano, sono presenti dei piccoli fori tra le folte capigliature probabilmente relativi ai sistemi di sollevamento dei blocchi, mentre al momento mancano testimonianze della possibile alternanza delle figure maschili con quelle femminili di Meduse o Gorgoni, come invece avviene successivamente in contesti monumentali provinciali89 (Fig. 41). I frammenti dei clipei, sia di antica che di recente acquisizione, confermano | Fig. 41 Ricomposizione dell’attico del Foro di Augusto conservata nella Casa dei Cavalieri di Rodi (da QUIRINO GIGLIOLI 1955) l’eccezionale qualità delle teste maschili, caratterizzate da un pathos, accentuato 89 UNGARO 2007, pp.150-159 45 dalle ciocche apparentemente realizzate in modo casuale e invece ordinatamente iscrivibili in un cerchio, dalle sopracciglia folte, dagli occhi infossati e dalle bocche carnose e dischiuse (Fig. 42). Per tutte le teste conosciute e conservate a Roma o altrove90, è stata proposta la realizzazione da parte di botteghe rodie, appositamente chiamate a Roma da Augusto e impegnate nel cantiere del Foro, per il loro diretto rapporto con la produzione asiatica. | Fig. 42 Particolare del Clipeo di Giove Ammone dalla ricostruzione dell’attico situata nel Museo dei Fori Imperiali È solo entrando nei portici che si percepisce la vastità degli spazi interni e il protagonismo dei marmi colorati. La superficie dei portici, larghi 13 metri, è scandita dal pavimento in opus sectile a modulo grande, secondo uno schema reticolare rettangolare con fascia esterna in bardiglio, che racchiude riquadri con un motivo a stuoia in giallo antico e all’interno due lastre in africano (Fig. 43). | Fig. 43 Pavimentazione marmorea del portico meridionale (da UNGARO 2007) CAPECCHI 1984, l’autore propone di individuare in un clipeo presente nel Museo Archeologico di Firenze una protome di Giove Ammone del foro di Augusto 90 46 Sulla parete di fondo invece troviamo nicchie rettangolari che, come quelle dell’esedre, incorniciate e inquadrate da semicolonne in giallo antico come l’ordine di facciata, erano destinate ad ospitare statue. Il susseguirsi del colonnato, la ricchezza dei marmi colorati e la teoria di cariatidi verso il tempio dovevano creare un effetto di grande ieraticità, simbolo della pace raggiunta nell’impero grazie ad Augusto, nonostante le sanguinose guerre (Fig. 44). | Fig. 44 Ricostruzione in 3D del portico meridionale della piazza (modellazione ed editing studio M.C.M. srl – ACSys spa”). 47 III.1.3 Exedra duplex: i « Summi Viri » e la « Gens Iulia » Prima di analizzare le esedre che si nascondevano aldilà dei portici, bisogna tener conto che gli unici accessi noti al foro sono quelli da Nord ma non quelli da Sud che, probabilmente, dobbiamo ritenere fossero i privilegiati data la maestosità del tempio di Mars Ultor e l’importanza del programma figurativo che esso racchiudeva. Considerando ciò bisogna tener conto dell’impossibilità, per chi entrasse da sud, di vedere le esedre: la prima impressione che si percepisce è di una costruzione di tipo classico, molto simile all’attiguo Foro di Cesare91. Solo avanzando ci si rende conto di quello che si trova al di là del porticato, è una scoperta progressiva che si completa solo ai piedi della scalinata del tempio, sull’asse delle esedre stesse e al centro del ‘‘sistema di immagini’’ augusteo. Su una linea ideale in corrispondenza del tempio, sul fondo dei portici, undici possenti pilastri compositi in cipollino schermano l’interno delle ampie esedre monumentali, nascondendo una nuova dimensione spaziale ideata per la messa in atto del complesso discorso di propaganda ideologica. I pilastri, completati verso i portici da semicolonne, si allineano a quelle in giallo antico dei lati lunghi dei portici, sorreggendo sia la travatura di copertura del portico sia la facciata rettilinea delle esedre verso i portici, realizzata con un ordine superiore in marmo africano. Le esedre, a loro volta, presentano due ordini a parete che inquadrano nicchie rettangolari: il primo con semicolonne in cipollino che rispecchiano i pilastri, il secondo con semicolonne in giallo antico. Il fregio del primo ordine è a nastro continuo, di discendenza tardo-repubblicana, noto anche nelle produzioni di terracotta del tipo ‘‘Lastra Campana’’. L’altezza complessiva dei due registri delle esedre è di 21 metri: il primo, a causa della curvatura, presenta nicchie leggermente più strette rispetto a quelle dei portici (Fig. 45). Le esedre ospitavano i maggiori cicli statuari di cui parlano le fonti, corredati da tituli ed elogia su tabulae affisse sotto le statue. Attraverso la titolatura dei personaggi rappresentati e il racconto delle loro gesta per la grandezza di Roma, si realizzava un piano di comunicazione della propaganda augustea. 91 MAGGI 2002 48 | Fig. 45 Ricostruzione grafica dell'esedra settentrionale del Foro di Augusto allestita a tribunale (da UNGARO 2007) 49 Le incorniciature delle nicchie erano molto varie: i due tipi fondamentali sono quelli a meandro, che si presentano sia in verticale sia in orizzontale, e quelle ad anthemion, per una disposizione orizzontale (Fig. 46). | Fig. 46 Frammenti in marmo lunense pertinenti alle decorazioni di una nicchia della parete di fondo dei portici che risulta analoga a quella delle esedre (da UNGARO 2007). Le statue inserite nelle nicchie avevano una profondità di circa 50 centimetri, come i basamenti, lavorati su tre facce, sui quali erano situate. Al centro di ogni esedra si apre una nicchia molto ampia, profonda 3.25 e larga 4.80 metri, delimitata dall’abbinamento di pilastri e colonne in cipollino (Fig. 47). È possibile ipotizzare che il programma figurativo delle due esedre fosse simmetrico e complementare: l’uno incentrato su Romolo, l’altro su Enea. Nella nicchia centrale dell’esedra settentrionale si ritiene fosse collocato il gruppo scultoreo di Enea che fugge da Troia | Fig. 47 Assonometria della nicchia centrale delle esedre, sistema binato pilastro-colonna e semicolonna in cipollino (da UNGARO 2007). 50 ponendo in salvo i Penati, il padre Anchise e il figlioletto Ascanio: l’incipit fondamentale della gens Iulia. Nelle nicchie laterali figuravano i re mitici di Albalonga, di cui sono documentati Enea Silvio, Alba Silvio e Proca Silvio, probabilmente con vesti e calzari più arcaici, a rappresentare le origini di Roma. Nell’esedra meridionale, invece, era collocato Romolo raffigurato come eroe vittorioso che trasporta le spolia opima. Ai lati di Romolo figurano i summi viri, coloro che hanno fatto la grandezza di Roma sotto ogni | Fig. 48 Parte inferiore di una gamba lambita dalla toga, caratterizzata dal mulleus, di raffinata fattura in aspetto, militare e civile, secondo morbida pelle aderente al piede e alla gamba, sostenuta di stringhe con asole decorate e fiori di l’ideologia del principato dall’intreccio loto. (UNGARO 2007) augusteo. La toga con cui sono rappresentati i summi viri simboleggia l’impegno civile e religioso di moralizzazione della società a cui la nuova classe dirigente a Roma, e in tutte le provincie, deve far riferimento. Associati a questa veste troviamo sia calzari tipici delle cariche militari, i mullei dall’elegante modello in pelle con lacci passanti entro asole decorate con motivi a fiori di loto, sia quelli tipici delle figure togate, i calcei suddivisi per tipologia a seconda della classe sociale. (Fig. 48; 49; 50) Tra i summi viri troviamo persino quei magistrati della | Fig. 49 Statua frammentaria maschile stante Tarda corazzata in marmo lunense (da UNGARO 2007) 51 Repubblica che erano stati coinvolti in lotte fratricide, come Mario e Silla, Tiberio Sempronio Gracco e Giulio Cesare Strabone, come a dimostrare la totale volontà di pacificazione universale e quindi il tentativo di imporre l’oblio sulle guerre civili92. La varietà testimoniata degli anche stili da è alcuni esemplari velato capite, riferiti a figure sacerdotali, e da ritratti di grande interesse attribuiti al Foro, conservati in vari musei esteri, come il cosiddetto Mario e il | Fig. 50 Statua frammentaria maschile stante togata, in marmo lunense, ricomposta da due frammenti cosiddetto Silla, ora a Monaco di combacianti (UNGARO 2007). Baviera, nonché da figure femminili (Figg. 51 - 52). | Fig. 51 Il cosiddetto Mario, Monaco di Baviera, Gliptoteca | Fig. 52 Il cosiddetto Silla, Monaco di Baviera, Gliptoteca Tra i molti reperti tuttora conservati nei depositi capitolini ben poco sembra 92 LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 p. 81 52 attribuibile ai famosi personaggi rappresentati nelle nicchie centrali, in compenso alcune fonti iconografiche e soprattutto alcuni rinvenimenti eccezionali nelle provincie ispaniche aiutano a ricostruire il programma figurativo. Oltre due piccoli affreschi pompeiani, che documentano con assoluta chiarezza le forme iconografiche dei due gruppi (Figg. 53-54), abbiamo la possibilità di | Fig. 53 Affresco da Pompei in cui è raffigurato | Fig. 54 Affresco da Pompei in cui è raffigurata la fuga di Enea da Troia, con il Romolo con le spolia opima padre Anchise, il figlio Ascanio e i Penati analizzare i gruppi centrali ritrovati a Merida e Cordova, dove il modello del programma figurativo del Foro di Augusto viene esportato per dar luogo a complessi monumentali di grande interesse come il ‘‘Foro di marmo’’ di Augusta Emerita, antica capitale della Lusitania, odierna Merida e come il Foro di Cordova, antica capitale della provincia | Fig. 55 Frammento di basamento con iscrizione di Enea, in marmo lunense, dalla nichia di fondo senatoriale della Betica. dell’esedra dei portici: « Aen[e]a[s primis ] / Da Merida proviene il gruppo di Latin[orum rex] / regnav[it annos III » Enea (Fig. 56), dove è rappresentata la fuga da Troia. La ricostruzione del gruppo, proposta da Walter Trillmich, rappresenta Enea in abiti romani che porta in salvo i Penati, l’anziano padre e il figlio che proseguirà la stirpe. Tra le iscrizione ritrovate nel Foro di Augusto risalta un frammento di titulus riferito proprio a Enea ‘‘primo re dei Latini che regnò per tre anni’’ (Fig. 55). 53 | Fig. 56 Prospetto ricostruttivo della nicchia centrale nell’esedra settentrionale, con l’inserimento del gruppo statuario di Enea, Anchise e Ascanio, dal gruppo di Merida (da UNGARO 2007). La statua di Cordova è ancora controversa: un personaggio maschile in movimento veste una loricata associata al paludamentum sulla spalla e una corta veste sulla parte inferiore del tronco, tipica di una figura mitica (Fig. 57). Romolo recava gli spolia opima sulla spalla; a queste si potrebbero attribuire le tracce presenti sulla spalla destra della statua. Ai materiali ritrovati nel Foro di Augusto, appartiene un frammento di | Fig. 57 Calco in resina di statua maschile stante loricata frammentaria, raffigurante Romolo o Enea, dalla collezione Tienda, Museo Archeologico di Cordova (da UNGARO 2007). 54 calzare più grande del vero che potrebbe essere riferibile a uno dei personaggi centrali, per le proporzioni e per la fattura, trattandosi di un mulleus riccamente decorato con stringhe e borchie applicate93 (Fig. 58). | Fig. 58 Frammento di statua maschile di dimensioni maggiori del vero: dorso del piede destro calzato con mulleus, arricchito da pelle leonina e borchie, in marmo lunense, e disegno ricostruttivo (da UNGARO 2007). La pavimentazione dell’esedre è costituita da lastre rettangolari in marmo africano e giallo antico, prive di bordura (Fig. 59). | Fig. 59 Pavimentazione marmorea dell’esedra settentrionale del Foro di Augusto (da UNGARO 2007). 93 LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 pp. 158-167 55 III.1.4 L’ambito giudiziario e amministrativo del Foro di Augusto « Fori exstruendi causa fuit hominum et iudiciorum multitudo, quae videbatur non sufficientibus duobus etiam tertio indigere; itaque festinatius necdum perfecta Martis aede publicatum est cautumque, ut separatim in eo publica iudicia et sortitiones iudicum fierent » Svetonio, Vita divi Augusti, XXIX, 1-2 Fondamentale è la descrizione di Svetonio sulle motivazioni che portarono alla costruzione del Foro di Augusto in cui compare la necessità di nuovi spazi per le attività giudiziarie in quanto i due fori precedenti, il Foro Repubblicano e il Foro di Cesare, non erano più sufficienti ad accogliere la moltitudine di persone che prendevano parte ai processi. Grazie ad uno studio di E. Carnabuci, che ha preso spunto dall’analisi di G. Camodeca su alcune tavolette cerate ritrovate a Ercolano e a Murecine, abbiamo importati informazioni sul luogo e sulla modalità con la quale si svolgevano le attività giudiziarie. Le tavolette custodite nei due antichi archivi privati campani, menzionanti i tribunali del foro di Augusto, provengono dalla casa del Bicentenario ad Ercolano e dal cosiddetto Portico a Triclini in località Murecine a sud di Pompei, dove sono state rinvenute rispettivamente negli anni ‘30 e nel luglio del 1959. Queste tavolette, oltre ad essere una fonte di primaria importanza per la prassi giuridica di età Giulio Claudia, hanno fornito preziose informazioni anche sulla topografia del Forum Augustum. Queste fonti vadimoniali, in cui sono descritte, con molta precisione, le indicazioni per gli appuntamenti delle parti nell'ambito della fase preliminare dei processi condotti dal pretore urbano e peregrino, hanno confermato l'esistenza di apposite sale di udienza dei magistrati nel foro augusteo. Si è ritenuto di poter identificare tali ambienti nei grandi emicicli aperti ai lati della piazza augustea94. Gli atti processuali ercolanensi riconducono, infatti, a procedimenti tenuti al foro di Augusto dal pretore urbano, mentre quelli pompeiani alludono a dibattimenti presieduti dal pretore peregrino. Gli atti di citazione considerati ricordano, in particolare, i luoghi di comparizione in iure del convenuto, esplicitamente stabiliti, davanti allo stesso tribunale del È del Castagnoli l’ipotesi che i tribunali pretorii si trovassero nelle esedre del Foro di Augusto (CASTAGNOLI 1950, p. 75) 94 56 pretore urbano o al tempio di Marte Ultore, e in prossimità di alcune fra le numerose sculture presenti nel complesso forense, indicate con il relativo numerale, quali le statue di Diana Lucifera, di Tiberio Sempronio Gracco o del console Gneo Sentio Saturnino95. Occorre sottolineare che le fonti giuridiche analizzate hanno fornito una prova dell'esistenza, finora non ancora verificata, di queste statue nel Foro di Augusto. In particolare, la statua di Diana Lucifera è ricordata nella tavoletta ercolanese N. 6, che menziona esplicitamente il luogo d'incontro delle parti « ante signum Dianae Luciferae ad columnam X». Si ritiene che la decima colonna citata sia quella del portico antistante l'emiciclo settentrionale del Foro, da identificare con il tribunale del pretore urbano, collocato nel settore della piazza destinato alla glorificazione dei mitici antenati di Augusto, discendenti della stirpe di Enea, il nume protettore della gens Iulia. Si reputa poi che il portico antistante debba essere riconosciuto con la Porticus Iulia, citata nella tavoletta ercolanese N. 89, dove si legge come su alcune colonne di questo portico, situato di fronte al tribunale del pretore urbano, era affisso l'editto del magistrato giurisdicente, da cui era stata tratta una copia conforme. L'analoga e simmetrica struttura orientale, dove erano raffigurati Romolo e i summi viri, come si evince dalla lettura delle tavolette provenienti dalla villa pompeiana in località Murecine di proprietà della famiglia puteolana dei Sulpicii, era destinata a ospitare il tribunale del pretore peregrino L'esistenza del tribunale del pretore peregrino nel Foro di Augusto è confermata dalla qualifica del convenuto, in TPSulp. 13 e 14, come peregrinus Trupho Alexandrinus96. In questi documenti vadimoniali pompeiani, come in TPSulp. 27, compare la medesima indicazione del luogo di comparazione concordato fra le parti, la statua triumphalis di Cn. Sentius Saturninus, la cui presenza nella piazza monumentale dedicata ad Augusto era rimasta assolutamente ignota prima del rinvenimento delle tavolette; il personaggio rappresentato dovrebbe essere identificato con il console del 41 d.C., che ricevette nel 44 d.C. gli ornamenta triumphalia di Claudio, a seguito del vittorioso esito della campagna militare contro i Britanni. Infine si ricorda la TPSulp. 19, che menziona la statua Gracci, situata ad Vedi TH 6; TPSulp. 19; TPSulp 13,14 e 27 in MENEGHINI – SANTANGELI VALENZANI 2006, pp. 193-196 96 CAMODECA 1986 p. 177 95 57 columnam quartam proxume gradus, raffigurante con ogni probabilità Tiberio Sempronio Gracco. Appare probabile che le strutture di supporto necessarie alle attività giudiziarie espletate dai pretori, collocate sopra la lussuosa pavimentazione marmorea degli emicicli, fossero realizzate in legno. Ci si riferisce in particolare al suggestus, il palco sopraelevato sul quale era collocata la prestigiosa sella curule del magistrato e alla vasta pedana di forma semicircolare che ospitava il subsellia, caratteristici sedili dove prendevano posto i numerosi componenti del consilium giudicante. La scoperta, avvenuta nell'ambito dell'indagine intrapresa nel 2004 dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, di un terzo imponente emiciclo disposto lungo il portico Nord-Occidentale, obliterato dalla costruzione della corte porticata traianea, ha rimesso completamente in discussione la topografia di un'ampia porzione del complesso rendendo necessarie nuove indagini sia archeologiche che topografiche. Alla luce dei risultati forniti dai nuovi e più ampi scavi condotti nell'area dell'emiciclo, si afferma un impianto completamente diverso rispetto a quello delle due esedre finora note. Le differenze riguardano sia le dimensioni complessive, in quanto più piccolo rispetto alle esedre maggiori, sia la disposizione dello spazio interno, più articolata, infatti l’esedra minore doveva apparire aperta verso il portico antistante con una complessa soluzione architettonica. Nel terzo emiciclo, data la sua configurazione architettonica più piccola e caratterizzata da murature portanti, appare suggestiva l'ipotesi di collocarvi gli armaria, gli scaffali che contenevano il materiale documentario dei magistrati giurisdicenti. La demolizione dei due emicicli minori, si ipotizza fortemente la presenza di un quarto emiciclo speculare, sarebbe da far risalire alla costruzione della Basilica Ulpia, che avrebbe ereditato le funzioni svolte all'interno dei due emicicli minori del foro di Augusto, nell'ambito di un trasferimento di una parte consistente delle attività giudiziarie.97 97 MENEGHINI 2009, pp. 104-126 58 III.2 Il tempio di Mars Ultor III.2.1 Votum e Dedicatio: la descrizione di Ovidio « Fallor, an arma sonant? Non fallimur, arma sonabant: v. 550 Mars venit et veniens bellica signa dedit. Ultor ad ipse suos caelo descendit honores templaque in Augusto conspicienda foro. Et deus est ingens et opus: debebat in urbe non aliter nati Mars habitare sui. v. 555 Digna Giganteis haec sunt delubra tropaeis: hinc fera Gradivum bella movere decet, seu quis ab Eoo nos impius orbe lacesset, seu quis ab occiduo sole domandus erit. Perspicit Armipotens operis fastigia summi, v. 560 et probat invictas summa tenere deas; perspicit in foribus diversae tela figurae, armaque terrarum milite victa suo. Hinc videt Aenean oneratum pondere caro et tot Iuleae nobilitatis avos; v. 565 hinc videt Iliaden umeris ducis arma ferentem, claraque dispositis acta subesse viris. Spectat et Augusto praetextum nomine templum, et visum lecto Caesare maius opus. Voverat hoc iuvenis tum cum pia sustulit arma: v. 570 a tantis princeps incipiendus erat. Ille manus tendens, hinc stanti milite iusto, hinc coniuratis, talia dicta dedit: ‘‘Si mihi bellandi pater est Vestaeque sacerdos auctor, et ulcisci numen utrumque paro, 59 v. 575 Mars, ades et satia scelerato sanguine ferrum, stetque fauor causa pro meliore tuus. Templa feres et, me victore, vocaberis Ultor.’’ Voverat, et fuso laetus ab hoste redit. Nec satis est meruisse semel cognomina Marti: v. 580 persequitur Parthi signa retenta manu. Gens fuit et campis et equis et tuta sagittis et circumfusis inuia fluminibus; addiderant animos Crassorum funera genti, cum periit miles signaque duxque simul. v. 585 Signa, decus belli, Parthus Romana tenebat, Romanaeque aquilae signifer hostis erat; isque pudor mansisset adhuc, nisi fortibus armis Caesaris Ausoniae protegerentur opes. Ille notas veteres et longi dedecus aevi v. 590 sustulit: agnorunt signa recepta suos. Quid tibi nunc solitae mitti post terga sagittae, quid loca, quid rapidi profuit usus equi? Parthe, refers aquilas, uictos quoque porrigis arcus: pignora iam nostri nulla pudoris habes. v. 595 Rite deo templumque datum nomenque bis ulto, et meritus voti debita solvit honor. » Ovidio, Fasti, V, vv. 549-596 L’epiteto Ultor associato a Marte non compare nel culto primitivo della antica divinità italica della guerra, che in epoca arcaica era venerata con l’appellativo di Gravidus: l’epiteto Ultor, infatti, è documentato dalle fonti solo a partire dalla II metà del I sec a.C. e in stretta connessione con Ottaviano-Augusto98. Sono i versi di Ovidio la testimonianza più antica, estesa e dettagliata sui cui si è soffermata la moderna storiografia, versi che celebrano l’anniversario della dedica del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, avvenuta come sappiamo da 98 AMIOTTI 1998, p. 167 60 Velleio Patercolo durante il consolato di Augusto e di L. Canio Gallo nel 2 a.C. 99. Il poeta immagina l’epifania di Marte Ultore che discende dal cielo nel foro di Augusto e nel tempio, di cui è esaltata la grandiosità degna della grandezza del dio (vv. 549-553). Ovidio riproduce nei Fasti l’invocazione votiva con la quale il giovane erede di Cesare promette al dio della guerra, in cambio della protezione sul campo di battaglia, un tempio e l’attributo di Ultor, idoneo alle circostanze e alle motivazioni del conflitto. Il tempio di Marte Ultore, che rappresenta il fulcro originario del foro, scaturisce da un voto felicemente (laetus) esaudito (voverat) per una vittoria militare (me victore .. fuso .. ab hoste) che racchiude in se anche una vendetta privata (vocaberis Ultor) (vv. 569-578). I versi di Ovidio si riferiscono alla battaglia di Filippi del 42 a.C., quando l’esercito dei triumviri sconfisse Bruto e Cassio, i due cesaricidi. A conferma di Ovidio troviamo anche Svetonio che considera la battaglia di Filippi pro ultione paterna100. La premessa del distico elegiaco ovidiano rispetta la tradizione trionfale che prevedeva il gesto votivo come preludio di una guerra e la dedica ex manibus come atto conclusivo e testimonianza della vittoria trionfale. Tuttavia la ultio privata e le caratteristiche del bellum Philippense, se sono adatti al giovane triumviro Ottaviano, non si addicono al princeps Augusto che intende creare un foro dove regni un autentico trionfo realizzato a spese delle externae gentes101. Ma durante i quaranta anni che intercorrono tra la formulazione del voto e il suo scioglimento, il progetto originario si adegua alla nuova dimensione augustea: la dedica a Marte Ultore viene scrupolosamente osservata, ma viene ‘‘nascosta’’ la ultio privata e il conflitto civile, sovrapponendo a essi una seconda ultio al fine di riabilitare il nome della res publica. Si tratta della vendetta di Carre, avvenuta attraverso il recupero delle insegne imperiali cadute nelle mani dei Parti dopo l’uccisione di Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. (vv. 579-596). La ultio, condotta contro i nemici contro cui l’esercito romano era risultato in passato sconfitto, riveste per l’ideologia augustea un ruolo di risalto perché VELL. PAT., Hist. Rom. II, 100, 2: ‘‘At in urbe eo ipso anno, quo magnificentissimis gladiatorii muneris naumachiaeque spectaculis divus Augustus abhinc annos triginta se et Gallo Caninio consulibus, dedicato Martis templo animos oculosque populi Romani repleverat […] ’’ 100 Vedi supra, n. 28 101 AUG., RSDA, 3: ‘‘Externas gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare quam excidere malui.’’ 99 61 assicura la risoluzione di tutte le problematiche di politica estera e, di conseguenza, la completezza della conquista ecumenica. Il recupero delle insegne romane cadute in mano al nemico è l’espressione simbolica più alta della politica augustea e la custodia e l’esposizione delle stesse nei penetralia del tempio di Marte Ultore ne costituisce il compimento102. Lo scioglimento del voto (v. 596), quindi, si compie attraverso l’offerta del tempio a Marte bis ulto, due volte Ultore, di due vendette che non sono ritenute accadimenti cumulativi ma eventi complementari, in quanto la prima ultio scaturisce da una vittoria militare, mentre la seconda si lega alla sottomissione di externae gentes103. Il dio Marte, che nel distico ovidiano visita l’intero foro, certifica come il tempio abbia l’apparenza di un santuario di fasti trionfali, conforme alla vocazione di voto di guerra e di dedica manubiale (vv. 550-555). III.2.2 Architettura e decorazioni « mirabilem forumque divi Augusti [...] pulcherrima operum, quae umquam vidit orbis » Plinio, Naturalis Historia, XXXVI, 102 Salendo un’ampia scalinata di marmo bianco lunense di diciassette gradini, si raggiungeva il maestoso edificio che presentava il colonnato su tre lati mentre quello di fondo terminava con un’ampia abside, separata dal muraglione retrostante da un’intercapedine. Malgrado la destrutturazione precoce del tempio, ciò che resta dell’edificio permette di analizzare gli elementi costruttivi dell’ordine architettonico e di considerare il tempio di Marte Ultore il primo esempio di applicazione dell’ordine corinzio canonico romano. Il partito architettonico giunto fino a noi comprende le tre colonne della peristasi, con basi e capitelli, agganciate al muro della cella e al muraglione perimetrale, sormontate dall’architrave (Fig. 60); il soffitto del corridoio tra le tre colonne e il muro della cella con due grandi lacunari a cassettoni, decorati entrambi da cornici rientranti e da un rosone centrale; specchiature rettangolari, situate tra i lacunari, 102 CRESCI MARRONE 2004, p. 111 CRESCI MARRONE 2004, p. 172 103 UNGARO 2007, p.129 103 62 | Fig. 60 Le tre colonne della peristasi superstiti sormontate dall’architrave. decorate con meandro a svastica continuo e lo spigolo interno tra il muro della cella e la parete di fondo del corridoio (Fig. 61). | Fig. 61 Il soffitto del corridoio tra le colonne della peristasi e il muro della cella. Dalle analisi dei resti possiamo comprendere come si componeva il colossale ordine esterno: sostenute dall’imponente podio, alto circa 4,55 metri, realizzato in blocchi di tufo di Grottaoscura e rivestito in marmo bianco lunense, si slanciavano otto colonne in facciata e sette per lato, collocate su basi attiche con plinto, con il fusto scanalato composto da più rocchi e sormontate da capitelli corinzi realizzati con due blocchi sovrapposti. Al di sopra di questi l’imponente trabeazione, con 63 l’architrave tripartito diviso in blocchi in senso longitudinale, che anticipava il fregio liscio costituito anch’esso da due blocchi sovrapposti. Sul soffitto con cassettoni della peristasi, sorretto da mensole, grazie ai lavori di restauro realizzati nel 1988 e nel 1996, sono state rivelate ampie tracce di coloritura: blu egizio sul fondo delle svastiche dei meandri, terra verde sulle rosette al centro dei cassettoni, forse attribuibile al preparato per la doratura104. | Fig. 62 Rappresentazione del Tempio di Marte Ultore nel rilievo dell’Ara Pietatis Augustae, particolare del frontone dal calco del Museo della Civiltà Romana. Le decorazione del frontone è nota grazie al rilievo dell’Ara Pietatis Augustae, innalzata sotto l’imperatore Claudio, che riproduce l’ordine architettonico esterno, le figure del frontone e le vittorie acroteriali (Fig. 62). Al centro è raffigurato Marte, in un’iconografia non comune, barbuto, con un elmo a tre creste, ma senza corazza, coperto da un leggero mantello che gli ricade sulle gambe lasciando scoperto il torso, nella mano destra impugna una lancia o uno scettro mentre la mano sinistra è ferma sulla spada riposta nel suo balteo. Alla sua destra è raffigurata Venere con un piccolo Eros sulla spalla, alla sua sinistra la Fortuna con cornucopia e timone, dal lato di Venere la figura maschile di Romolo in abito pastorale e in veste di augure, che rappresenta il fausto auspicio della fondazione di Roma, mentre accanto alla Fortuna siede la dea Roma victrix seduta sulle armi in veste amazzonica con scettro e scudo. Agli estremi del frontone troviamo il Tevere, reclino su un orcio da cui fluisce l’acqua circondato da canne palustri, e il Palatinus mons, il colle della Roma Quadrata, della casa di Romolo e di quella di Augusto, lo spazio delle origini sacre della città. Due Vittorie fungono da acroteri del timpano, alle quali Rinaldi Tufi fa risalire il piede di bronzo rinvenuto, durante gli scavi dello scorso secolo, dinanzi al tempio 104 UNGARO 1998, pp. 250-251 64 di Marte Ultore105. Si tratta di un piede sinistro, la cui punta delle dita poggia a terra mentre la caviglia è sollevata, che suggerisce una statua alta non meno di tre metri sulla cui pianta del piede si innesta un tenone in piombo rivestito in bronzo, attraversato da una sbarra di ferro, probabilmente unico punto d’appoggio della grande statua raffigurata nell’atto di spiccare il volo (Fig. 38). Nella scalinata del tempio dovevano essere inseriti l’altare al centro e ai lati due fontane a cui potrebbe far riferimento un basso fregio a girali (Fig. 63). | Fig. 63 I blocchi del fregio a girali accostati e la ricostruzione del motivo vegetale (UNGARO 2007). Dall’esterno del tempio in marmo bianco il pavimento del pronao, realizzato in lastre di marmi colorati, introduce attraverso un’ampia porta alla cella, riccamente decorata e ricoperta da marmi policromi, a cominciare dal pavimento. L’ampio modulo a griglia costituito rettangolare da fasce è in pavonazzetto, che si alternano a quadrati in giallo antico e racchiudono rettangoli bordati in africano, contenenti lastre in pavonazzetto (Fig. 64). | Fig. 64 Pavimentazione marmorea della cella del Tempio Lungo le pareti, su un alto di Marte Ultore (da UNGARO 2007). podio continuo, si elevavano due ordini binati di colonne libere e retrostanti 105 Vedi pp. 42-43 65 lesene, dai fusti in pavonazzetto e sormontate da capitelli corinzi di elevata eleganza, intagliati in marmo lunense statuario. Sul fondo delle pareti dovevano essere ricavate delle specchiature appena accennate, che inquadravano probabilmente delle statue106. Molto famose risultano essere la decorazione dei capitelli e delle basi di lesena del primo ordine grazie a un esemplare quasi intatto con la rappresentazione, nella parte superiore, di cavalli alati, ovvero pegasi, che nascono da eleganti girali d’acanto, sostenuti dal registro inferiore da foglie in stile corinzio molto rigido. Nel particolare possiamo osservare come si differenzino le due parti del capitello: la parte inferiore del kalathos è ricoperta da foglie di acanto dalle cime ripiegate e aggettanti, mentre nella metà superiore i cavalli alati dalla criniera arcaizzante presentano le ali trasformate in foglie di acanto con la cima ripiegata a spirale. I cavalli sostengono gli spigoli dell’abaco al posto delle normali volute ed emergono da un tralcio rivestito da foglie di acanto a spirale che terminano in una | Fig. 65 Capitello corinzieggiante figurato con cavalli alati, pegasi, di lesena, in marmo lunense, proveniente dal primo ordine della decorazione interna della cella del Tempio di Marte Ultore (da UNGARO 2007). 106 UNGARO 2007, pp. 132-133 66 rosetta107 (Fig. 65). Punto focale del tempio era l’abside, poco profonda ma molto larga, racchiusa da lesene e sopraelevata su cinque alti gradini impreziositi dal rivestimento delle alzate in alabastro e dal piano di calpestio in pavonazzetto. Qui era ospitato il gruppo cultuale composto da una statua di Venere a fianco di Marte Ultore. Per lungo tempo i tentativi d’identificazione del tipo cultuale qui rappresentato sono stati influenzati della descrizione che ne fa Ovidio nei Tristia: « venerit in magni templum, tua munera, Martis stat Venus Ultori iuncta, vir ante fores » 108 Ovidio menziona il foro di Augusto affermando che al suo interno verrebbero riuniti gli ‘‘amanti’’ Marte, qui rappresentato nelle sue funzioni di seduttore, e Venere, iuncta a Marte, mentre Vulcano sarebbe rimasto ante fores. È stato allora proposto di riconoscere il gruppo in un tipo Marte-Venere di cui abbiamo numerose repliche. Il ritrovamento di due frammenti di statue, di cui uno appartenente a un Ares Borghese e l’altro ad un’Afrodite del tipo Capua hanno rafforzato questa tesi (Fig. 66). 109 Tuttavia il fram- mento, che raffigura parte del collo di Marte con il balteo a tracolla e una mano femminile che poggia sulla sua spalla, non | Fig. 66 Frammento di gruppo statuario raffigurante Marte e Venere, marmo pario e il disegno ricostruttivo realizzato sul modello del può riferirsi al gruppo in gruppo conservato presso il Museo Nazionale Romano (da UNGARO cultuale sia perché il 2007). frammento individua statue di piccolo formato sia perché l’Ares Borghese non può essere interpretato come un Mars Ultor, dato che non doveva essere giovane ma maturo, con una barba folta e consistente110. Probabilmente è stata l’atmosfera Vedi GROS 1976 pp. 192-194 per una più ampia dissertazione sull’eventuale ruolo simbolico dei pegasi in relazione a Marte. 108 OV. Trist, II, v. 295 109 L’ORANGE 1973 110 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 79-80; GROS 1976, p.166 107 67 dell’epigramma che ha portato Ovidio a definire iuncta le due divinità originarie dei Romani, o ancora è verosimile, data l’alta fattura dei frammenti in marmo pario, che il gruppo in questione fosse verosimilmente uno dei capolavori che decoravano la cella111. L’autentico gruppo cultuale invece, secondo la maggior parte degli archeologi, potrebbe essere identificato con l’aiuto di una celebre base da Cartagine, ora ad Algeri, nella quale sono raffigurate in altorilievo tre statue di culto: Marte barbuto al centro, in corazza anatomica, scettro e scudo, con elmo a una cresta sul capo; alla sua destra Afrodite, appoggiata a un pilastrino, con un erote che le porge una piccola spada; alla sua sinistra una figura giovanile seminuda, con mantello che gli ricade sui fianchi (Fig. 67). | Fig. 67 Rilievo di Cartagine, ora conservato a Algeri, dove sono raffigurate le statue di culto presenti nella cella del tempio di Marte Ultore (da LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995). Il passaggio della spada di Marte a Venere, da parte dell’amorino, è in tale evidenza da suggerire un’interpretazione allegorica che vede Marte disarmato da Amore, alludendo alla pace ottenuta da Augusto dopo la giusta guerra. La figura di Marte invece è ravvisabile in un colosso marmoreo dell’età dei Flavi (Fig. 68), ora ai Musei Capitolini, dove il dio è raffigurato nelle vesti di una 111 ZANKER 1989, p. 210-215 68 solenne figura paterna dalla folta barba. Nel rilievo dell’Ara Pietatis Augustae Marte è raffigurato ancora Iuvenis, una figura giovanile, nuda e arcaica, come in un denario del 17 a.C. in cui è raffigurata una arcaicizzante receptis, che sua insieme rivela statua ai un signa aspetto aggressivo: poggia il piede sul globo con gesto trionfale ed è armato di lancia e di spada (Fig. 69). Nella statua porta, invece, porta una corazza riccamente decorata, un elmo sontuoso, le gambiere, la lancia e lo scudo. Mentre la corazza è nello stile del tempo, l’elmo con le sfingi e i cavalli alati è ripreso dall’Athena | Fig. 68 Statua di Marte ritrovata nel foro di Nerva e attualmente conservata nei Musei Parthenos di Fidia. La barba e il volto Capitolini. richiamano una statua di tipo attico, mentre il ricco ornamento della corazza e dello scudo è piena di lusioni alalla realtà contemporanea. Sullo scudo compariva una corona civica mentre sulla | Fig. 69 Denario, 17 a.C., raffigurazione statua arcaicizzante di Mars Ultor affiancata dalla scritta ‘‘signa receptis’’ (da ZANKER 1989). corazza dominano due grifi, che insieme al gorgoneion alludono alle distruttrici armi di Marte. I grifi potevano essere interpretati dagli osservatori come simboli di Nemesi, dea della vendetta, oppure di Apollo, tuttavia poggiano su una grossa palmetta munita di tralci, e fra questi ultimi cresce una sorta di pianta a forma di candelabro. Le cornucopie incrociate che compaiono sulle spalle non lasciano 69 dubbi all’interpretazione: il nuovo, o meglio, il vecchio Marte è diventato il guardiano della Pace. Riguardo il terzo personaggio giovanile, per lungo tempo è stato riconosciuto come Giulio Cesare divinizzato, in virtù di un foro all’altezza della fronte destinato a reggere una stella in bronzo, simbolo connesso alla rappresentazione del Divo Giulio112. Tuttavia questa raffigurazione non sembra essere d’appannaggio del solo Cesare in quanto utilizzata anche dai suoi discendenti. Da questa considerazione un brano di Tacito sembra offrire una soluzione: «[..] effigiemque eius pari magnitudine ac Martis Ultoris eodem in templo censuere [..] »113 Nel 54 d.C. il Senato, per celebrare le vittorie di Corbulone in Armenia, stabilì di erigere una effigies del giovane Nerone, di misura pari a quella di Marte Ultore, nel tempio omonimo. La proposta avanzata dal Martin114 è avvalorata dall’acconciatura dei capelli del giovane, assai simile a quella dei ritratti di Nerone al momento della sua ascesa al principato. La cella accoglieva, oltre le insegne militari recuperate probabilmente affisse lungo le pareti e sull’abside stessa, anche altre statue di divinità che ampliavano la decorazione del Foro. Ne danno notizia tra gli altri Pausania, Plinio e Marziale: Pausania115 ricorda una statua in avorio di Athena Alea, opera di Endois, situata nel tempio della dea a Tegea, che fu presa da Augusto all’epoca delle sue lotte con Marco Antonio; di un Apollo eburneus sappiamo da Plinio116; di una Diana Lucifera, forse riconducibile alla statua citata nelle tavolette di Murecine, dinanzi ai quali si stipulavano affari in denaro ne parla Marziale che, come egli stesso ricorda, applicava il sigillo sulle sue carte117; infine ancora Plinio afferma che all’ingresso del tempio di Marte Ultore erano collocate due statue bronzee pertinenti al tabernaculum di Alessandro Magno118, un probabile omaggio al grande Macedone che rientra nella mai sopita imitatio Alexandri, poi esplicitata SUET., Caes, 88: ‘‘[..] stella crinita per septem continuos dies fulsit exoriens circa undecimam horam, creditumque est animam esse Caesaris in caelum recepti; et hac de causa simulacro eius in vertice additur stella. [..] 113 TAC. Ann., XIII, 8, 1 114 MARTIN 1988, pp. 55-64 115 PAUS., Perieg., VIII, 46 116 PLIN., Nat. Hist., VII, 53 117 MART., X, 70, 7-8 118 PLIN., Nat. Hist., XXXIV, 48 112 70 nei dipinti presenti nell’Aula del Colosso. III.3 L’aula del Colosso L’Aula del Colosso venne scoperta grazie gli scavi condotti dal Governatorato di Roma dal 1924 al 1933. Fu riscoperta la maggior parte della originaria elementi mento struttura e molti del rivesti- parietale che furono ricollocati in situ seguendo presenti le nella tracce mura- tura119. L’Aula è un ambiente racchiuso nell’angolo Nord-Occidentale del Foro, sul fondo dell’ ampio portico set- tentrionale, nella posizione tipica dei sacelli | Fig. 70 Veduta esterna dell’Aula del Colosso dal portico (da connessi alle basiliche120, UNGARO 2007) ed è così denominata perché contiene un basamento sul quale doveva collocarsi una statua di grandi dimensioni (Fig.70). III.3.1 La grandiosa decorazione ‘‘illusionistica’’ Il pavimento dell’Aula è realizzato in lastre di pavonazzetto e giallo antico ed è delimitato da una fascia di marmo cipollino che segue l’andamento delle pareti (Fig.71). 119 120 LA ROCCA -UNGARO - MENEGHINI 1995, p. 63-73 GROS 1976, p. 124 in particolare riguardo il rapporto aedis-basilica sotto aspetti differenti 71 In uno spazio piuttosto esiguo, 12 per 13 metri, dall’accentuato sviluppo verticale, l’aula ha una divisione modulare delle pareti molto semplificata rispetto alla maggiore articolazione delle esedre e dei portici, ma simile al tempio di Marte Ultore. Le parete Nord-Ovest, su cui poggia l’edificio della Casa dei Cavalieri di Rodi, raggiunge i 25 metri di altezza e il buono stato di conservazione consente di ricostruirne la | Fig. 71 Pavimentazione marmorea dell’Aula del Colosso (da UNGARO decorazione inferiore riferibile, probabilmente, 2007). anche alla parete Sud-Ovest, della quale rimangono pochi resti. La parete è realizzata in tufo rosso dell’Aniene ed è caratterizzata da un ordine architettonico composto da quattro paraste scanalate in marmo pavonazzetto sovrastate da quattro capitelli corinzi, in marmo bianco di Luni, che presentano tracce di decorazione policroma dipinta in blu egizio. Lo spazio tra le paraste presenta una scansione orizzontale in tre fasce. La prima era decorata da un fregio a palmette e fiori di loto ed interamente rivestita di lastre in marmo giallo di Numidia. La seconda fascia doveva rappresentare il fulcro decorativo della parete. In essa, delimitate al di sopra da eleganti cornici aggettanti in marmo bianco lunense, si evidenziano, intagliati nel tufo, tre incassi rettangolari per l’alloggiamento di quadri: una tabula centrale più grande affiancata da due tabulae più piccole. È comunemente accettata l’opinione che negli incassi maggiori delle pareti laterali si trovassero i due quadri di Apelle di cui ci ricorda Plinio: « […] super omnes divus Augustus in foro suo celeberrima in parte posuit tabulas duas, quae Belli faciem pictam habent et Triumphum, item Castores ac Victoriam. posuit et quas dicemus sub artificum mentione in templo Caesaris patris. idem in curia quoque, quam in comitio consecrabat, duas tabulas inpressit pariet […] »121 Plinio descrive le due opere del grande artista sicionio: il primo raffigurava la imago della guerra con le mani legate dietro la schiena e Alessandro trionfatore sul carro; il secondo mostrava Castore e Polluce con la Vittoria e Alessandro. 121 PLIN., Nat. Hist., XXXV, 27 72 La terza fascia più piccola, ospitava invece tre quadri di dimensioni inferiori, come si evince dagli incassi nel tufo. Nelle parete laterali, quindi, si riproponeva in forme architettoniche quanto appariva spesso nella pittura del cosiddetto II stile avanzato: un ordine architettonico che incorniciava, nella parte inferiore tre quadri | Fig. 72 Veduta dell’Aula da Sud: di fronte la parete laterale, verso Nord, con l’ordine di lesene in pavonazzetto, sulla destra la parete di fondo con il basamento, sulla sinistra le colonne ricostruite sull’ingresso (da UNGARO 2007) grandi racchiusi da fregi preziosi e, al di sopra, tre pannelli più piccoli122 (Fig. 72). La parete di fondo dell’Aula ha rivelato un rivestimento costituito da lastre rettangolari in marmo bianco lunense fino ad 11 metri d’altezza, verosimilmente l’altezza della statua. La conservazione dei fori per le grappe per il montaggio delle lastre e l’esame dei loro diversi spessori hanno permesso di ipotizzare un andamento curvilineo dei motivi decorativi vegetali, tale da far pensare al disegno delle pieghe di un tessuto utilizzato come sfondo alla statua colossale. Tra i motivi individuati i più significativi sono: le grandi palmette alternate a più piccole rovesce, con motivo a can corrente e che presentano una colorazione rossa (Fig. 73a); le palmette stilizzate rovesce, anche qui con una prevalenza del color rosso, con disegno realizzato a compasso; delle fasce caratterizzate da un onda continua e all’interno rosette (Fig. 73b); una grande quantità di lastre con stesura di blu egizio; alcune lastre perfettamente lisce e prive di coloritura, probabilmente 122 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 66 73 applicate alla parte alta della parete; ed infine un motivo che disegna quadrati contenenti rosette, alternati a sole rosette, alludenti a un motivo a cassettoni, come | Fig. 73 Frammenti di lastre dipinte in marmo lunense dall’Aula del Colosso: a) motivo a grandi palme alternate a palmette rovesciate; b) motivo a fasce di can corrente e rosette; c) motivo a cassettoni con disegno ricostruttivo (da UNGARO 2007) ad imitare un’edicola (Fig. 73c)123. La parete dipinta, quindi, dilatando in maniera illusionistica l’ambiente molto esiguo rispetto alla grandezza della statua colossale, non provocava al visitatore una sensazione di soffocamento, ma accresceva la maestosità dell’aula. III.3.2 I frammenti della statua colossale Sulla parete di fondo poggia un alto podio, 120 x 280 x 480 centimetri, realizzato in blocchi di tufo di Grottaoscura come quello del tempio, che, data la sua 123 UNGARO 2007, pp. 144-151 74 continuità con il muro perimetrale e l’interruzione dello zoccolo marmoreo perimetrale in prossimità del basamento, risulta essere stato progettato ed eseguito insieme all’aula. Delle anomalie nella lavorazione dello zoccolo, come l’aggiunta di un filare di blocchi di tufo di misura diversa dagli altri, dimostrano come il podio in corso d’opera sia stato ampliato124 (Fig. 74). Fig. 74 Assonometria del podio nelle sue due fasi costruttive con le impronte dei piedi della statua colossale (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008) A sinistra del podio sono presenti evidenti tracce da incasso, probabilmente per un tripode, mentre, davanti allo stesso, si trovano dei fori nel pavimento che sembrano indicare la presenza di transenne, forse per delimitare l’area di rispetto e di protezione per la statua. Il piano superiore del podio mostra le lastre di rivestimento in pavonazzetto ritagliate per l’alloggiamento della statua, della quale abbiamo le impronte dei piedi abbastanza definite. La figura è stante sul piede sinistro avanzato mentre il piede destro è arretrato quasi a finire nel muro retrostante. I tre reperti attribuibili alla statua sono scolpiti in marmo pario della migliore qualità, lichnites, seguono le schede dei reperti redatte dopo i restauri125: ‘‘N. inv. FA 181a (Fig. 75). Della mano destra si conserva la parte centrale (cm 74 x 44), chiusa nell’atto di stringere un oggetto cilindrico, presumibilmente metallico, sostenuto da un 124 UNGARO 2008, p. 404, n. 17 Si riportano integralmente le schede dei reperti effettuate dopo i restauri del 2002, edite in UNGARO 2008, pp. 405-408 125 75 elemento passante tra il dito indice e il pollice. La superficie inferiore del frammento si presenta lavorata a subbia in modo apparentemente irregolare, come a disegnare punti di appoggio alla struttura di sostegno. La parte destinata all’alloggiamento dell’oggetto cilindrico mostra micro fessurazioni forse dovute al momento del suo distacco. Sul retro si conserva il numero ‘‘103’’ apposto con vernice rossa al momento del rinvenimento e registrato su una pianta del 1927 con allegato elenco dei materiali da 1 a 199: il frammento è segnalato come rinvenuto nel perimetro dell’aula.’’ | Fig. 75 Aula del Colosso: Mano destra frammentaria (fronte e retro), con relativo rilievo e ipotesi ricostruttiva (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008). ‘‘N. inv. FA 181b (Fig. 76). Della mano sinistra si conserva il dorso (cm 92 x 52), il cui apparato venoso è ben evidenziato. Lo spessore del frammento è molto sottile soprattutto verso il suo bordo esterno, mentre il trattamento della superficie inferiore presenta una lavorazione omogenea, sempre caratterizzata dall’impiego della subbia, e un livello diverso di risparmi del marmo, dovuto alla necessità di garantire l’adesione al sostegno 76 della statua, evitando un possibile scivolamento dell’arto.’’ | Fig. 76 Aula del Colosso: Mano sinistra frammentaria (fronte e retro), con relativo rilievo e ipotesi ricostruttiva (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008). ‘‘N. inv. FA 182 (Fig. 77). Il terzo frammento (ricomposto da due pezzi principali e due minori, in totale misura cm 64 x 56), è attribuibile al braccio, probabilmente in corrispondenza della parte interna appena oltre il polso. La sua ricomposizione ha permesso di evidenziare sulla superficie superiore, particolarmente decoesa, una sorta di incasso, ottenuto con un lieve abbassamento della superficie stessa, come per far aderire meglio un materiale diverso, mentre uno spazio di risulta fa 77 pensare alla posizione di un tenone. Un breve tratto marginale dà l’idea di una torsione dell’arto, forse per ‘‘agganciare’’ meglio il suo sostegno interno (Fig. 80). La faccia inferiore del pezzo mostra tracce di diverse lavorazioni, lisciata e a subbia prevalentemente, sempre secondo le stesse modalità dei frammenti.’’ | Fig. 77 Aula del Colosso: frammenti ricomposti che appartengono al polso della mano destra, con relativo rilievo (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008) Dalle schede si evince che si tratta di un acrolito di grandi dimensioni, la ricostruzione credibile dell’altezza della statua, compatibile anche con alcune 78 impronte di probabili agganci evidenti nella muratura, è di circa undici metri. Le parti realizzate in marmo, almeno i nostri frammenti, non sono ‘‘piene’’ ma sono realizzate ‘‘cave’’, in quanto predisposte per aderire alla struttura di sostegno della statua probabilmente di legno e ferro (Fig. 78). A quelli descritti, va aggiunto un frammento, nel tempo schedato, restaurato e poi scomparso, di cui si è riavuta notizia grazie a Rinaldi Tufi126, che ha ritrovato una vecchia foto del frammento scattata durante il restauro dello stesso: si tratta di un occhio destro | Fig. 78 Aula del Colosso: Proposta del sistema assemblaggio del rivestimento in marmo con dalle misure compatibili con quelle del di l’interno in legno del braccio destro della statua colosso, cm 16 x 20 x 21, ma solo (da LA ROCCA - LEON - PARISI 2008). recentemente è stato appurato che il reperto è in marmo pario, avvalorando quindi l’attribuzione in attesa di studi accurati. Sappiamo che conservava tracce di policromia per definire la pupilla, l’iride e il contorno vero e proprio dell’occhio (Fig. 79). | Fig. 79 Occhio destro colossale in marmo pario (da RINALDI TUFI 2002). RINALDI TUFI 2002, pp.186-188: l’autore si spinge oltre la descrizione del frammento, ipotizzando l’identificazione del frammento, e quindi del colosso stesso, con il Divus Iulius. 126 79 III.3.3 L’identificazione e la rappresentazione del Genius Augusti La possibile identificazione del colosso, seguendo l’ipotesi avanzata dal La Rocca127, esclude la presenza nell’Aula di un Augusto divinizzato, dato che il princeps ebbe la consecratio solo post mortem, a favore di una rappresentazione colossale del genius Augusti128, il cui culto era anteriore al 2 a.C.. Infatti nel 12 a.C. Augusto riceve il titolo di pontifex maximus e inizia a diffondersi la sua raffigurazione in vesti di sacerdote con il capo velato. Augusto tra il 12 e il 7 a.C., nell’ambito della riforma dei vici compitales, istituì il culto pubblico del proprio genius, estendendo a livello statale il modello familista del culto domestico. I lares compitales furono dunque sostituiti, o almeno affiancati, dai lares Augusti, in cui trovò degno rilievo il genio dell’imperatore, il genius Augusti, mentre il senato prescrisse che i cittadini sacrificassero anche privatamente, nella loro casa, al genio dell’imperatore. Il Genio, così come nella definizione di Orazio129, è il dio della natura umana, diverso per ciascuno individuo, come è diverso il carattere e il destino di ognuno, l’astro che governa la nascita di ciascun uomo, che lo accompagna lungo il percorso della vita, prendendo le forme di un dio da cui l’uomo stesso trae la sua energia vitale. La creazione del culto del Genius, che giocò un ruolo fondamentale per il sorgere e diffondersi del culto imperiale, era necessaria in quanto costituiva una base solida sulla quale costruire la successiva divinizzazione: il princeps, a cui verrà attribuito il nome di Augustus, si fa testimone, con il proprio genius, di un’attività conforme alla volontà e all’azione divina. Sostanzialmente, non rispecchia la volontà di essere venerato come un dio in terra, ma rapporta le sua azione ad una sfera di influenza divina. Per quanto concerne la raffigurazione del Genius Augusti, in questa fase è testimoniata nelle edicole dipinte in ambito domestico o territoriale, dove appare raffigurato velato capite con i suoi attributi da officiante, la patera, la cornucopia, l’acerra, sempre tra i due Lari, oppure nel caso delle statuette dei geni ‘‘privati’’ 127 LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 85-88 FUCHS 1960, s.v. Genio 129 HOR., Ep., II, 2, 187-189: « scit Genius, natale comes qui temperat astrum, / naturae deus humanae, mortalis in unum / quodque caput, vultu mutabilis, albus et alter. » 128 80 con il rotolo e la patera130. Diversa la sua raffigurazione su alcuni altari dove compare sempre in abiti da officiante accompagnato dai Lari, ma con il lituus nella mano destra, in particolare nell’altare del vicus Sandalarius, che ha come modello l’Augusto di via Labicana. Sia la statua dei Musei Vaticani sia quella del Museo Nazionale Romano attestano la diffusione della figura ieratica in toga praetexta e capite velato, che allude al recupero degli antichi costumi morali da parte del princeps, come esempio chiaro ed efficace per tutto l’Impero. I pochi resti marmorei e le tracce sul podio potrebbero riferirsi a questa rappresentazione del genius Augusti in toga, capite velato, lituus nella destra e forte patera o, più difficilmente, cornucopia nella sinista (Fig. 80). | Fig. 80 Ricostruzione acquerellata dell’Aula del Colosso (da LA ROCCA - LEON – PARISI (2008) Un ulteriore elemento che può essere in relazione con il culto del Genius Augusti è un fregio con fanciulle che recano festoni carichi di frutti. In diverse fasi di studio sul complesso sono stati individuati 13 frammenti, la cui ricomposizione viene comunemente riferita ad uno schema a tre figure, due speculari di profilo 130 UNGARO 2008, pp. 410-414 81 che si rivolgono ad una centrale frontale, unite da festoni. La varietà dei frutti potrebbe riferirsi alla partecipazione alle cerimonie in onore dei Lari e del genius Augusti, durante le quali era prevista una processione di giovanette.131 Augusto, con la scelta di collocare qui la statua colossale del suo genius, non aspira ad essere venerato come un dio ma vuole essere considerato come custode dell’impero romano e guida del mondo intero, mediatore, agli occhi del popolo, tra la sfera divina e quella umana, fautore di un’era di pace e sicurezza di cui egli stesso, Pater Patriae, ne sarà il garante. III.4 La Lex Templi del tempio di Marte Ultore e le funzioni del Foro di Augusto « […] Che potessero colà recarsi egli ed i suoi posteri ogni qual volta loro piacesse, e quelli ancora che usciti fossero dalla puerizia e tra i puberi annoverati. Che di là partissero coloro, che alle magistrature al di fuori si spedivano. Che il Senato ancora proferisse colà i decreti del trionfo. Che loro poi i quali trionfassero, a questo Marte lo scettro e la corona dedicherebbero. Che ad essi ed agli altri tutti i quali ottenuti avessero i trionfali onori, erigere si dovessero statue di bronzo nel Foro. E che qualora riportate si fossero insegne militari tolte ai nimici, queste deporre si dovessero nel tempio. Che celebrare parimenti si dovessero presso le gradinate di quel tempio alcuni giuochi pubblici da coloro che in qualunque tempo preposti fossero alle turme. Che infiggere vi si dovesse il chiodo da coloro che dall’uffizio di censore uscivano. Che lecito fosse anche ai senatori il redimere la somministrazione dei cavalli che gareggiare dovevano nel corso, e la custodia del tempio, siccome stabilito era di già riguardo ai templi di Apollo e di Giove Capitolino. Dopo tutto questo Augusto il tempio stesso dedicò […] » Historia Romana, 55, 10, 2-5, traduzione di G. Viviani, Milano, 1823 La Lex Templi e le funzioni ivi enunciate sono state oggetto di studio da parte di Marianne Bonneford132 che, analizzando due brani di Svetonio133 e Cassio 131 RIPARI 1995, p. 70 BONNEFORD 1987 133 SUET., Aug., 29, 2: ‘‘Sanxit ergo ut de bellis triumphisque hic consuleretur senatus provincias cum imperio petituri hinc deducerentur, quique victore redissent huc insignia triumphorum inferrent.’’ 132 82 Dione134, ha riconsiderato il Foro di Augusto non solo come un complesso il cui compito è trasmettere un messaggio di maestosità architettonica e iconografica, simbolo della potenza di Roma, ma anche come un nuovo spazio civico la cui vocazione è definita dal compimento di atti e riti che si possono suddividere in due categorie: quella della guerra vittoriosa e quella della coesione dei corpi sociali. III.4.1 Le funzioni legate alla guerra In primis viene stabilito che le sedute del Senato se relative alle guerre e ai trionfi si dovevano tenere nel Tempio di Marte Ultore, mentre prima di allora si riunivano principalmente sul colle Capitolino; a seguire viene deciso che la cerimonia trionfale per coloro che, rivestiti dall’imperium, lasciavano Roma per le loro province, da sempre riservata al Tempio di Iuppiter Capitolinus, raddoppiasse, imponendo ai generali che partivano di pronunciare i loro voti sia sul Campidoglio che al Tempio di Marte Ultore, facendo di questo l’ultima tappa prima della partenza; sempre riguardo ai trionfatori si stabilisce che essi, una volta terminata la cerimonia trionfale e come una sorta di dono personale, deponessero nel Tempio di Marte Ultore le insignia triumphorum, una maniera per mettere in maggior risalto Mars Ultor grazie al quale si era conseguita la vittoria. Considerando poi che, a partire dall’età di Augusto, i soli generali onorati dal Trionfo fanno parte della famiglia imperiale, abbiamo un ulteriore esempio del carattere dinastico del nuovo principato già espresso nell’esedra della Gens Iulia. L’ultima disposizione della Lex Templi relativa alla celebrazione della guerra vittoriosa prevede di erigere nel foro di Augusto le statue dei trionfatori e di coloro che avrebbero ricevuto il trionfo, queste statue andranno ad aggiungersi a quelle già presenti dei summi viri della Repubblica. Anche in questo contesto il Foro di Augusto viene a contrapporsi all’area Capitolina che, come ben sappiamo dalle fonti, in epoca repubblicana era popolata da statue erette dai membri della nobilitas per ricordare i loro gloriosi antenati, statue che Augusto fece trasportare nel Campo Marzio, a dir di Svetonio per la ristrettezza dei luoghi in cui erano collocate. Non sembra difficile individuare un’ulteriore motivazione: il desiderio di fare del Foro il solo spazio al centro della città destinato all’esaltazione dei grandi uomini del passato e, creando questo monopolio, diminuire il valore 134 CASS. DIO., Hist. Rom., 55, 10,2-5 83 simbolico e l’importanza politica del Mons Capitolinus. Un articolo della Lex, menzionato solamente da Cassio Dione, prevede che le insegne recuperate ai nemici saranno poste nel tempio; questa disposizione, che ha in sé la motivazione della costruzione del Tempio, ovvero il recupero delle insegne restituite dai Parti, diventa una funzione permanente del nuovo luogo di culto. La volontà anche in quest’ultimo caso è chiara: affiancare Iuppiter Capitolino nelle sue funzioni destinate ad esaltare la guerra vittoriosa, come il far stabilire gli accordi di pace ai principi stranieri nel tempio di Marte Ultore, così da far divenire Marte garante dei trattati e conferirgli uno degli attributi che dall’origine della città era proprio di Iuppiter, trasferendo un rito che esprime l’invincibilità di Roma nel nuovo Foro. III.4.2 Le altre funzioni del tempio Dal passo di Cassio Dione possiamo analizzare anche le altre funzioni del Tempio che permettono di ampliare il ruolo dell’edificio oltre le vicende di guerra, attribuendogli compiti inerenti alla vita cittadina di tutti i giorni. La prima regola riguarda ‘‘quelli che lasciano il gruppo dei bambini’’, possiamo comprendere come si tratti di tutti i figli dei cittadini senza distinzioni che, quando avranno raggiunto l’età, dovranno, in foro deducere, recarsi nel Foro di Augusto e prendere possesso della toga virile simbolo dell’introduzione come nuovo cittadino negli affari della res publica. Nuovamente una cerimonia fino ad allora inalterata viene modificata da queste disposizione augustee infatti, prima della inauguratio del tempio di Marte Ultore, essa aveva un doppio carattere, privato, dove la bulla e la praetexta venivano consacrati ai Lares, e una pubblica, dove il giovane doveva recarsi sul Campidoglio per effettuare un sacrificio in onore di Iuventas e poi veniva condotto al foro dove era immerso immediatamente nella vita civica. Senza che il colle Capitolino sia privato della sua funzione antecedente, il passaggio del giovane nel tempio di Marte entra a far parte della cerimonia, elevando l’edificio augusteo al medesimo livello del tempio di Giove Ottimo Massimo e creando un altro centro non solamente dedicato alle attività della guerra ma più largamente alla vita civica, incominciando proprio dal primo vero rito necessario per diventare un cittadino di Roma. Un altro rito stabilito dalla Lex Templi, che richiama evidentemente quello del clavus annalis del tempio di Giove capitolino, tratta dell'affissione di un chiodo da 84 parte da parte dei censori al termine del loro mandato. Augusto riprende e trasferisce al tempio di Marte Ultore un rito che rappresenta la chiusura di un lustum,durata della carica dei censori: un lustro durante il quale la comunità vive secondo la ripartizione effettuata dai loro censori che quindi contrassegnano la vita civile e allo stesso tempo "santificano" la loro carica appellandosi alla protezione di Marte. Considerando anche che con Augusto il census diventa monopolio dell'imperatore, quindi l'affissione del chiodo è un atto ad esclusivo appannaggio dell’imperatore, si comprende come la comunità civica sia virtualmente nelle mani del principe. Il rito del chiodo celebra un compimento del census e stabilisce un legame triangolare tra Mars Ultor, l'imperatore e il populus, dove Iuppiter non rientra. Ogni cittadino quindi doveva intrattenere con Marte Ultore un doppio rapporto, individuale quando deponeva la toga praetexta e collettivo quando il censore gli assegnava un posto nella gerarchia cittadina. Su questo aspetto insistono le altre disposizioni della lex templi: esse cercano di stabilire una relazione tra il tempio e una parte del corpo civile, quindi gli ordini superiori. Dapprima i cavalieri: «Che i comandanti della cavalleria in carica celebrino una festa davanti le gradinate (del tempio)», probabilmente da riferirsi alla processione dei Ludi Martiales o dei Ludi Sevirales che inizialmente terminavano sul Campidoglio, mentre ora si arricchiscono di una nuova stazione nel Foro di Augusto. L'ultimo articolo, che riguarda l'ordine senatoriale, accorda ai senatori il diritto di prendere parte alle aste "per la fornitura dei cavalli delle corse", che si svolgeva durante i Ludes Martiales e ‘‘per la guardia del tempio’’. Casso Dione precisa che questa proroga accordata ai senatori, normalmente esclusi dalle aste pubbliche, riguardava anche le aste per la guardia del tempo di Apollo e del Campidoglio, sottolineando quindi l'importanza anche di Apollo nel cui tempio sul Palatino, infatti, furono trasferiti già nel 29 a.C. i libri sibillini fino a quel momento conservati nel Capitolium. 85 Bibliografia * * Le abbreviazioni delle riviste seguono quelle pubblicate sul sito web dell’American Journal of Archaeology: http://www.ajaonline.org/submissions/abbreviations, per le voci non presenti nell’ AJA si rimanda all'Année philologique: http://www.annee-philologique.com/files/sigles_fr.pdf AMICI 1991 C. M. AMICI, Il Foro di Cesare, Firenze 1991 BORSARI 1883 L. BORSARI , Il foro d'Augusto ed il tempio di Marte Ultore: Memoria del Sig. Luigi Borsari, in RendLinc., serie 3a, vol. 13 Roma 1884, pp 400-415 AMIOTTI 1998 G. 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