Università degli studi di Salerno

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Università degli studi di Salerno
Università degli studi di Salerno
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali
Tesi di Laurea
in
Archeologia e storia dell’arte greca e romana
Il complesso del Foro di Augusto:
la rappresentazione monumentale del potere
Relatore:
Prof.
Fausto Longo
Candidato:
Maurizio Musio
Matr. 0310701523
Anno Accademico 2011-2012
Università degli studi di Salerno
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali
Tesi di Laurea
in
Archeologia e storia dell’arte greca e romana
Il complesso del Foro di Augusto:
la rappresentazione monumentale del potere
Relatore:
Prof.
Fausto Longo
Candidato:
Maurizio Musio
Matr. 0310701523
Correlatore:
Prof.
Mauro Menichetti
Anno Accademico 2011-2012
« Non si tratta di conservare il passato ma di realizzare le sue speranze. »
(Theodor W. Adorno)
INDICE
Introduzione
V
Abstract
X
Capitolo I. Introduzione storico-topografica
I.1 Il contesto orografico
p. 1
I.2 Le preesistenze
p. 3
I.3 L'Argiletum
p. 4
I.4 La creazione dei ''Fora Imperatorum'': la rivoluzione urbanistica
p. 8
I.4.1 Il Foro di Cesare
p. 8
I.4.2 Il Foro di Augusto
p. 10
I.4.3 Il Foro di Augusto in età post-classica
p. 14
Capitolo II. La storia degli studi e delle campagne
archeologiche nel Foro di Augusto
II.1 Studi e ricerche dalla fine del XIV sec. alla fine del XVI sec.
p. 17
II.2 La creazione del quartiere ‘Alessandrino’
p. 22
II.3 La riscoperta del foro nel XIX secolo
p. 23
II.4 Il piccone del regime: sventramenti nella Roma del ventennio
p. 30
II.5 Continuità dell’antico: I Fori Imperiali nel progetto della città
p. 33
Capitolo III. Il complesso del Foro di Augusto
III.1 L’articolazione piazza-portici-esedre
p. 41
III.1.1 La piazza augustea
p. 41
III.1.2 I portici
p. 43
III.1.3 Exedra duplex: i « Summi Viri » e la « Gens Iulia »
p. 48
III.1.4 L’ambito giudiziario e amministrativo del Foro di Augusto
p. 55
III.2 Il tempio di Mars Ultor
III.2.1 Votum e Dedicatio: la descrizione di Ovidio
p. 59
p. 59
III.2.2 Architettura e decorazioni
III.3 L’aula del Colosso
p. 62
p. 71
III.3.1 La grandiosa decorazione ‘‘illusionistica’’
p. 71
III.3.2 I frammenti della statua colossale
p. 74
III.3.3 L’identificazione e la rappresentazione del Genius Augusti
p. 79
III.4 La Lex Templi del tempio di Marte Ultore e
le funzioni del Foro di Augusto
p. 82
III.4.1 Le funzioni legate alla guerra
p. 83
III.4.2 Le altre funzioni del tempio
p. 84
Bibliografia
p. 86
Introduzione
Il desiderio di approfondire lo studio sulle tematiche riguardanti il foro di Augusto, e gli aspetti della politica augustea racchiusi in esso, è nato da un exposé assegnatomi durante il mio soggiorno Erasmus svolto in Francia presso l'Université
Charles de Gaulle di Lille nell’a.a. 2010-2011.
Grazie al professore di Archeologia romana Javier Arce, ho potuto effettuare le
mie prime ricerche bibliografiche e appassionarmi alla storia e al mito racchiusi
nella figura di Augusto, realizzando per la fine del corso un elaborato intitolato
‘‘Le Forum d’Auguste. Le programme figurative du pouvoir’’.
Al mio ritorno dalla positiva esperienza dell'Erasmus ho proseguito la ricerca con
il professore Fausto Longo che mi ha indirizzato verso una ricerca bibliografica
sistematica, indicandomi le linee guida da seguire per la realizzazione della tesi.
In questo elaborato ho provato ad analizzare tutti gli aspetti che contraddistinguono il Foro di Augusto a partire dalle preesistenze riscontrate nell’area dei Fori Imperiali fino all’analisi più strettamente ideologica e simbolica del Tempio di Marte
Ultore.
Tale analisi è stata suddivisa in tre capitoli. Il primo è un’introduzione storicotopografica del Foro, ovvero l'analisi del territorio prima, durante e dopo la creazione dei Fori Imperiali.
L’analisi prende inizio dal contesto orografico dell’Argiletum, del quale ho preso
in esame la natura commerciale e le strutture ritrovate, e prosegue con la trasformazione urbanistica del quartiere repubblicano finalizzata alla costruzione del Foro di Cesare e poi del Foro di Augusto; di quest’ultimo ho infine tracciato anche la
storia delle trasformazioni avvenute in età post-classica.
Il secondo capitolo ha origine dall’esigenza di ricostruire un filo cronologico che
ripercorra tutta l’esistenza del Foro di Augusto e, per questo, si configura come
una storia degli studi e delle campagne archeologiche. Riprendendo l’ultimo paragrafo del primo capitolo, ho passato in rassegna tutte le vicissitudini che interessarono l’area del Foro dal Medioevo prendendo in considerazione le costruzioni che
sorsero sull’intera area dei Fori Imperiali e che portarono alla creazione del quartiere ‘‘Alessandrino’’ nel 1584. Nella seconda parte del capitolo ho analizzato la
V
riscoperta del foro avvenuta nel XIX secolo prima per opera degli architetti francesi e poi da studiosi italiani come Rodolfo Lanciani, autore dei primi scavi archeologici in quest’area. Il capitolo porta a termine questa rassegna storica del Foro ripercorrendo le vicende avvenute per la costruzione di Via dell’Impero, che
separò definitivamente le aree forensi, e le operazioni di recupero, salvaguardia e
valorizzazione dei Fori Imperiali avvenute a partire dalla fine del 1970.
Al terzo e ultimo capitolo, ho affidato l’analisi completa e approfondita del complesso monumentale del Foro, esponendo per ogni elemento costruttivo l’aspetto
architettonico, decorativo e ideologico. Ho considerato l’articolazione piazzaportici-esedre come il punto di partenza per la realizzazione di un chiaro messaggio figurativo che, attraverso l’esposizione dei summi viri e della gens Iulia, legittima e glorifica la grandezza di Augusto e di Roma. Tale messaggio prosegue e
diventa ancora più forte nel Tempio di Marte Ultore di cui ho analizzato, tramite
le parole di Ovidio, le condizioni che portarono al votum e alla dedicatio e, grazie
allo studio di volumi fondamentali come le opere di Paul Zanker e Pierre Gros,
l’architettura e le decorazioni esterne ed interne del tempio. Un paragrafo è stato
dedicato allo studio dell’Aula del Colosso, considerando le sue decorazioni, le sue
funzioni e soffermandomi sull’identificazione e sulla possibile rappresentazione
della statua colossale che custodiva. Per concludere la tesi ho racchiuso nel paragrafo finale un’analisi sulle funzioni del tempio e del Foro enunciate dalla Lex
Templi¸ ricordata da Casso Dione e Svetonio, con particolare attenzione alla figura di Marte nella politica di immagini augustea.
Da questo studio sugli aspetti fondamentali del Foro ho potuto sviluppare una serie di considerazioni da cui eventualmente partire per futuri approfondimenti.
Per quanto concerne l'architettura e la topografia del complesso, occorre essere
consapevoli che, allo stato attuale, le ricostruzioni della sistemazione originaria
del complesso, ovvero prima degli interventi apportati in età domizianea 1, devono
essere considerate del tutto ipotetiche e ulteriormente da verificare.
Il lato breve sud-occidentale del foro, inesplorato degli scavatori degli anni del
1
MENEGHINI 2009, pp. 108: Si tratta della demolizione degli emicicli minori avvenuta nell'ambito
dei primi lavori di sbancamento del terreno che in quell'epoca ancora doveva addossarsi al settore
nord-occidentale del foro di Augusto
VI
Governatorato, è ancora in attesa di essere indagato. Pertanto l'altra porzione
dell'emiciclo, recentemente scoperto, conservata al di sotto dell'aiuola che
costeggia la via dei Fori Imperiali, ancora rappresenta una cesura evidente del
complesso. Ugualmente di eccezionale interesse sarebbe la verifica dell'ipotizzata
presenza del quarto emiciclo, obliterato dal Foro Transitorio, che è situata in una
zona del tutto inesplorata, posizionata in corrispondenza della via Alessandrina.
Le ultime planimetrie del Foro edite nel 2010 mostrano quanto differenti sono ora
le conoscenze del Foro rispetto alle piante pubblicate non molti anni fa e quanto
diverse siano le prospettive di ricerca che si aprono per i prossimi anni.
Altrettanto stimolante sarebbe approfondire l'aspetto innovativo e predominante di
Marte nell’ideologia augustea.
Con la divisione delle funzioni che abbiamo visto caratterizzare il tempio di Marte
Ultore, la guerra vittoriosa e la coesione dei corpi sociali, i cui perni, il trionfo e la
censura, sono esclusivi dell'imperatore, venne posta in atto un'operazione di
"legittimazione" politica di Mars Ultor accanto a Iuppiter Capitolinus: Marte
trasportato all'interno del Pomerium cessa di essere confinato nella sfera della
protezione dei cittadini in armi per divenire, come Iuppiter, una sorta di divinità
poliadica, soprattutto se vista all'interno del programma di immagini che illustrano
il mito dell'origine della gens Iulia e della nascita di Roma.
Questa migrazione di funzioni dal Mons Capitolinum al tempio di Marte Ultore, o
l’istituzione di funzioni parallele, è piena di significati tra i quali, secondo la
Bonnefond2, la conclusione della Repubblica, il cui simbolo era Iuppiter, e l'inizio
del principato che vede in Mars, progenitore della gens Iulia, la divinità
protettrice.
Il Foro di Augusto fu il monumento che più contribuì a propagandare il nuovo
mito dello Stato: esso doveva esprimere lo stesso pensiero dell'imperatore, il
pensiero presente nell'epopea di Virgilio, in cui il mito e la storia si fondono in un
unico quadro provvidenziale. La sola differenza rispetto al poema epico è la
direzione temporale che qui è rivolta dal presente al passato, riuscendo ad
integrare il passato nel mito della nuova era. Il Foro e il tempio furono concepiti
come la "vetrina" del nuovo Stato secondo un preciso programma educativo.3
2
3
BONNEFOND 1987, p. 270
ZANKER 1989, pp. 206-207
VII
Il tempio di Marte e il Foro di Augusto risultano essere i poli dell’innovazione nei
tre domini dell’architettura, dell’iconografia e delle funzioni, uno dei più grandi
esempi della realizzazione materiale di un messaggio ideologico: il complesso non
fu realizzato solamente per essere ammirato, il messaggio che esso racchiudeva
doveva essere costantemente rivitalizzato, riattualizzato, tramite il compimento di
atti e riti regolarmente ripetuti che rinviavano ai tre aspetti fondamentali della
funzione imperiale: le decisioni sulla guerra, il controllo della comunità e
l’amministrazione della giustizia.
Ringraziamenti:
Innanzitutto ringrazio il Professore Arce, senza il quale molto probabilmente questa mia passione per Augusto non sarebbe mai nata, il Professore Longo, che è
riuscito a seguirmi in un cammino che percorrevo per la prima volta, e il professore Simone Foresta che, introducendomi ad una più approfondita bibliografia di
Augusto, mi ha permesso di sviluppare ed approfondire alcuni aspetti della politica ideologica augustea.
VIII
Per tutti gli altri che mi hanno direttamente o indirettamente aiutato non basterebbero parole, anche perché non sono bravo ad esprimere la gratitudine e l’amore
che provo verso le persone che quotidianamente, o saltuariamente, riescono a sopportarmi.
Si è soliti ringraziare i propri genitori, i parenti tutti, i propri amici, i compagni
d'Università; io spero che tutti loro sappiano già quanto sono fondamentali per me
e se c’è qualcuno a cui è dedicata questa tesi: « siete Voi».
« Se avrete fatto la tesi con gusto, vi verrà voglia di continuare. Di solito mentre
si lavora a una tesi si pensa solo al momento in cui si sarà finito: si sognano le
vacanze che seguiranno. Ma se il lavoro è stato fatto bene il fenomeno normale,
dopo la tesi, è l’insorgere di una gran frenesia di lavoro. Si vogliono approfondire tutti i punti che si erano tralasciati, si vogliono inseguire le idee che ci erano
venute in mente ma che avevamo dovuto espungere, si vogliono leggere altri libri,
scrivere dei saggi. E questo è segno che la tesi vi ha attivato il metabolismo intellettuale, che è stata una esperienza positiva. [..] In fondo sarà stata la prima volta
che avete fatto un lavoro scientifico serio e rigoroso, e non è esperienza da poco.»
Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Milano, 1977, pp.248-249
IX
Abstract
Le Forum d’Auguste fut consacré par Octave avant la bataille de Philippes en 42
av. J.-C., à Mars Ultor, pour qu’il l’assistât dans la lutte contre les assassins de
César, Brutus et Cassius, mais l’évolution des événements repoussa à plus tard
l’accomplissement de ce vœu.
Après avoir vaincu Marc Antoine à la bataille navale d'Actium en 31 av. J.-C.,
Octave devient seul détenteur du pouvoir, en 28 av. J.-C., le sénat lui confère le
titre de Princeps Senatus, « le premier du sénat », ce qui signifie qu'il est le premier à prendre la parole devant l'assemblée et l'année suivante il lui donne même
le titre d’Auguste, surnom sacré évoquant toute la vertu religieuse du fondateur de
cité, Romolus, sans oublier le nouveaux valeur royal.
Entre le moment où il fut pensé et sa réalisation, il s’écoula quarante ans.
Ca construction suite à une promesse faite sur un champ de bataille avait, alors,
perdu toute signification, donc Auguste se vit amené à donner à l’ensemble de
l’ouvrage une nouvelle signification, en identifiant le Divus Julius à l’idée impériale et en faisant de Mars Ultor le vengeur de tous les ennemies de l’Imperium.
Nous ne savons pas exactement quand la construction de l’édifice fut commencée,
il ne fut consacré qu’en l’année 2 a.v J-C., mais des monuments de l’époque élevé
dans la Province, dans les vingt dernières années, par exemple la Maison carrée à
Nîmes or le « Forum de marbre » de Merida, on peut déclarer l’influence de ce
grand chantier qu’était le Forum d’Auguste. Les travaux du Forum, comme déclare Auguste dans les Res Gestae, avaient été financés ex manibus, par l’argent
prélevé sur le butin de guerre, mais peut-être qu’y contribuèrent aussi le succès
diplomatique avec les Parthes, qui avaient rendu les enseignes, et même le règlement de la conquête de l’Espagne en 19 a.v. J-C..
Dans ce mémoire, j'ai essayé d'analyser tous les aspects qui distinguent le Forum
d’ Auguste d’abord avec les structures préexistantes trouvés dans les Fori Imperiali jusqu'à l'analyse plus strictement idéologique et symbolique du Temple de Mars
Ultor.
X
Cette analyse a été divisée en trois chapitres, où chacun d'entre eux ont porté sur
l'approfondissement d'un thème différent.
Le premier chapitre est une introduction historique et topographique du Forum,
c'est-à-dire l'analyse de la zone avant, pendant et après la création des Forums
Impériaux.
Le deuxième chapitre provient de la nécessité de reconstruire un ordre
chronologique qui suit toute l'existence du Forum d'Auguste et, par conséquent,
est configuré comme une histoire des études et ensuite des les fouilles
archéologiques qui ont eu lieu dans le Forum d'Auguste.
Dans le troisième et dernier chapitre, j'ai fait l'analyse complète et détaillée de
l'ensemble monumental du forum, exposant pour chaque composant les les
aspects architectural, décoratif et idéologique.
Le temple de Mars Ultor et le Forum d’Auguste sont les pôles d'innovation dans
les trois domaines de l'architecture, de l'iconographie et des fonctions, l'un des
plus grands exemples de la réalisation matérielle d'un message idéologique: le
complexe n'a pas été réalisé seulement pour être admiré, le message qu'il couvrait
devait être constamment revitalisé, réactualisé, par l'accomplissement d'actes et
rites répétés régulièrement que se référer à les trois aspects fondamentaux de la
fonction impériale: les décisions concernant la guerre, le contrôle de la
communauté et l'administration de la justice.
XI
Capitolo I
Introduzione storico-topografica
I.1 Il contesto orografico
Comprendere l'assetto geomorfologico dell'area dei Fori Imperiali, prima, durante
e dopo la costruzione dei Fori stessi, è fondamentale per analizzare il
cambiamento che il paesaggio ha subito nel momento in cui questo settore urbano
da quartiere privato è stato convertito in un'area di fruizione pubblica.
La comprensione risulta essere complicata a causa dei potenti interventi di
sbancamento e bonifiche, avvenute a partire da Cesare fino a Traiano, che hanno
modificato notevolmente l'area.
Fu merito di De Angelis d'Ossat4 (Fig. 1) l'aver dimostrato, in base agli studi sulla
stratigrafia, l'esistenza di una ''sella'' intercollinare tra il Campidoglio e il
Quirinale e di aver redatto una sezione completa della valle. Tale sezione rendeva
visibile l'entità del taglio della ''sella'' ed evidenziava i possenti muri, ben evidenti
su entrambi i versanti, creati come sostruzione dei terrazzamenti.
| Fig.1. Sezione geologica fra Campidoglio e Quirinale. 1 tufi antichi; 2 rocce maremmane; 3
tufo litoide da costruzione; 4 strati fluvio-lacustri; tratti neri verticali: muri di sostegno
(da DE ANGELIS D’OSSAT 1946)
Prima di d'Ossat si ipotizzava l'esistenza della ''sella'' in base ad alcune
testimonianze indirette costituite principalmente dall'epigrafe (Fig. 2) incisa sul
piedistallo della Colonna di Traiano, che cita la rimozione di un mons, per la
4
DE ANGELIS D’OSSAT 1946, pp. 17-23
1
costruzione del foro5 e da alcune fonti letterarie, tra cui un passo di Cassio Dione,
nel quale lo storico afferma che l'altezza della Colonna servisse a ricordare il
livello dei colossali sbancamenti realizzati dall'imperatore Traiano6.
| Fig. 2. L’epigrafe incisa sul piedistallo della Colonna Traiana (da http://cil.bbaw.de)
3
Le indagini archeologiche del 1998-2000 hanno permesso di realizzare numerose
campionature geologiche sugli strati naturali scoperti, durante gli scavi, in alcuni
punti del Foro di Cesare e Traiano7. L'analisi dei campioni prelevati è stata
fondamentale per la ricostruzione del rilievo scomparso che doveva presentarsi
come un declivio graduale tra la sommità del Quirinale, presso la via Biberatica, e
il fondovalle, in corrispondenza del Clivus Argentarius, costituito da un versante
di sabbie e argille.
CIL VI 960: ‘‘[…] AD DECLARANDVM QVANTAE ALTITVDINIS/ MONS ET LOCVS
TAN[TIS OPE]RIBVS SIT EGESTVS’’
6
CASS. DIO, Hist. Rom., LXVIII, 16, 3: « (Traiano) allestì anche delle biblioteche, e innalzò nel
Foro anche un’enorme colonna, destinandola sia a tomba per se stesso, sia per indicare il lavoro
fatto per il Foro: e infatti, dato che tutto quel luogo era montuoso, lo sbancò per un’altezza pari a
quella della colonna, e così poté allestire il Foro in un’area resa pianeggiante. »
7
RIZZO 2001, in particolare pp. 217-220
5
2
I.2 Le preesistenze
La stretta valle che separa il Quirinale dal Campidoglio risulta essere stata un
crocevia
fondamentale
nella
storia urbanistica di Roma a
partire
dalla
metà
del
II
millennio a.C..
In sintesi possiamo stabilire che
la valle fu, da principio, percorsa
da direttrici viarie, forse di
carattere commerciale, a cui si è
ipotizzato di far risalire le due
serie di profondi solchi paralleli
scavati
nel
banco
argilloso
naturale, provocati dal passaggio
più che frequente di veicoli con
ruote8, ritrovati, durante gli scavi
del
2006,
corrispondente
meridionale
della
nell'area
all'estremità
piazza
del
futuro Foro di Cesare (Fig. 3).
Successivamente
tali
impronte
| Fig. 3. Solchi di ruote di carri risalenti ai sec. XIIIXI a.C. nell’area del Foro di Cesare (da MENEGHINISANTANGELI VALENZANI 2007)
risultano tagliate dalle fosse di una necropoli protostorica ascrivibile al XI e X
sec. a.C..
La presenza di tombe e oggetti funerari presente nella valle permette di
comprendere come l'area fosse utilizzata per le sepolture dei gruppi stanziati in
villaggi ben distinti tra loro malgrado la sostanziale unità del contesto orografico9.
A loro volta le aree di sepoltura verranno obliterate da settori di abitato a partire
dal VIII se non già dal IX sec. a.C.10, che andranno a costituire il futuro quartiere
dell'Argiletum11.
8
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p.18
GROS-TORELLI 2010, p. 57
10
MENEGHINI 2006, p. 64
11
LTUR, I, pp.125-126
9
3
I.3 L'Argiletum
La nostra conoscenza diretta della topografia dell'intera area è piuttosto scarsa e si
basa maggiormente sulle testimonianze esistenti nelle fonti letterarie antiche12.
Secondo tali fonti il piccolo abitato, che nel tempo si ampliò fino a formare un
vero e proprio quartiere, era delimitato a nord e a sud rispettivamente dal versante
occidentale del Quirinale e dalla Velia, a ovest dal Foro Romano e a est dalla
Subura, ed era solcato, nell'area corrispondente al futuro Foro di Nerva, dall'antico
tracciato viario dell'Argiletum, principale asse stradale della zona da cui il nome
del quartiere circostante.
Analizzando la disposizione e l'altimetria delle strutture di età repubblicana finora
rinvenute nella zona è possibile avere un'idea del paesaggio urbano in cui questo
quartiere, identificabile con un settore dell'Argiletum, sorgeva.
L'abitato si arrampicava sulle pendici meridionali del Quirinale con la
caratteristica principale di essere costituito da un impianto a terrazze che, grazie
alla sostruzione di potenti muraglioni, rispettavano la conformazione del rilievo
naturale adeguandosi ad essa.
Dalle fonti risulta un quartiere, costituito da botteghe di artigiani, piazze, slarghi,
case di abitazione, canali, mercati e sacelli, che corrisponde pienamente con
quanto rinvenuto dalle indagini archeologiche.
Si è ipotizzato che il quartiere fosse diviso in due settori dalla via omonima, che
con andamento NordEst/SudOvest separava una parte commerciale, compresa tra
la strada e le pendici della Velia, da una parte residenziale, compresa tra la stessa
via e le pendici della ''sella'' tra Campidoglio e Quirinale13. Tale ipotesi troverebbe
conferma dalle fonti, dove apprendiamo della massiccia presenza di edifici
commerciali come il Forum Piscarium14, il Forum Cuppedinis15 e il Forum
Coquinum16, che dovevano contrassegnare fortemente il carattere del quartiere.
Durante gli scavi del 1995-1996, a cura della Sovraintendenza dei Beni Culturali
del Comune di Roma, al di sotto della metà occidentale del Foro di Nerva, sono
stati trovati i resti di tre gruppi di strutture preesistenti genericamente databili
12
PALOMBI 2005
TORTORICI 1991, in particolare pp. 32-37
14
LTUR, II, pp. 312-313
15
LTUR, II, p. 298
16
LTUR, II, p. 297
13
4
all'età tardo repubblicana (Fig. 4a-4b).
| Fig. 4a. Foro di Nerva. Scavi 1995-1996. Veduta aerea: A) Lastricato di peperino (III-II sec.
a.C.) B) Fondazione in calcestruzzo di un edificio templare. C) Domus solarata con portico (IX
sec. d.C.). D) Domus solarata (IX sec. d. C.) E) Acciottolato stradale (IX sec d.C.) 1) Ambienti
ipogei di età tardo-repubblicana con resti di scala. 2) Ambienti ipogei di età tardo-repubblicana
con decorazione pavimentale a mosaico. 3) Ambienti ipogei di età tardo-repubblicana con
pavimenti in opus spicatum (da MENEGHINI 2009)
Costruite secondo un orientamento Nord/Sud, analogo a gran parte del quartiere
pre-imperiale, tali strutture suggeriscono la presenza di impianti termali riferibili
ad una o più domus aristocratiche, o di ambienti ipogei da ricondurre ad un più
ampio complesso destinato all’approvvigionamento alimentare, da alcuni
identificato con il Macellum, localizzato tradizionalmente nell’area dove sorse in
seguito il Foro di Nerva17.
Nell'Argiletum, come abbiamo detto, dovevano sorgere anche abitazioni di diverso
genere, sia insulae, come quella di Cicerone e suo fratello Quinto, ma anche di
domus aristocratiche che sembrano concentrate nell'area poi occupata dal Foro di
Augusto, come la casa di Sesto Pompeo, console del 14 d.C.18.
17
18
MENEGHINI 2006, pp. 73-75; RIZZO 2001, pp. 220-224
TORTORICI 1991, pp. 85-89
5
Alcuni recenti ritrovamenti nel
settore meridionale del Foro di
Cesare
contribuiscono
a
documentare la presenza di
edifici di epoca arcaica in
quest'area;
le
indagini
archeologiche condotte tra il
2004 e il 2008 hanno permesso
di approfondire il contesto
precedente alla costruzione del
Foro, tramite la scoperta di
numerose strutture in opera
quadrata di blocchi di tufo, di
pavimenti
e
di
impianti
fognari, nella stessa tecnica e
materiale, risalenti al IV-II
secolo
a.C.19.
Tutti
questi
edifici risultano spianati con | Fig. 4b. Foro di Nerva. Particolare ambiente 2.
(da MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007).
grande regolarità al momento
della preparazione del Foro di Cesare e sorgono a loro volta, su uno spesso strato
di bonifica che ne copre un altro composto di detriti carbonizzati prodotti da un
grande incendio. Tale evento è databile, sulla base della ceramica contenuta nel
soprastante strato di bonifica, tra l'inizio e la metà del IV secolo a.C., e danneggiò
gravemente un edificio costruito in blocchi di tufo cappellaccio risalente forse al
VI-V secolo a.C.20 (Fig. 5). Relativamente all’area del Foro di Augusto, durante i
lavori di scavo e sistemazione di Via dell’Impero, negli anni Trenta fu rinvenuta,
in prossimità della testata del portico meridionale con il muro di fondo del
complesso, un’altra struttura di forma rettangolare (Fig. 6), realizzata anch’essa in
conci di tufo cappellaccio disposti a secco, orientata in senso Est/Ovest. Le
caratteristiche del rivestimento e la forma della struttura hanno permesso di
identificarla come una vasca/fontana.
19
20
MENEGHINI 2009, p. 31
DELFINO 2011. Nella relazione lo studioso ha attribuito le consistenti tracce di incendio
al sacco gallico del 390 a.C.
6
Un’ultima evidenza (Fig. 7) è attestata da
una fotografia del 1932, relativa ad una
struttura in blocchi rettangolari di tufo
ubicata nei pressi dell’esedra meridionale
del Foro di Augusto, della quale non è
possibile dare ulteriori informazioni a
causa
della
totale
assenza
di
documentazioni21.
Il quartiere fu progressivamente cancellato
dall'intensa attività edilizia che portò, a
partire dalla metà del I secolo a.C. e
nell'arco di centocinquanta anni, alla
realizzazione dei Fori Imperiali costruiti
| Fig. 5. Foro di Cesare. Scavi 2008: A)
per sostituire e ampliare l'antico Foro Resti di un udificio in blocchi di tufo di
cappellaccio del VI-V sec. a.C. B) Resti di
un tratto stradale di età arcaica pavimentato
in battuto (da MENEGHINI 2009)
Romano.
| Fig. 6. Struttura muraria preesistente (vasca), rinvenuta
presso la testata NE del porticato meridionale del Foro di
Augusto (foto A.Delfino, da MENEGHINI-SANTANGELI
2010).
21
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp.15-31
7
| Fig. 7. Struttura muraria
preesistente rinvenuta presso
l’esedra meridionale del Foro di
Augusto (da LEONE-MARGIOTTA
2007).
I.4 La creazione dei ''Fora Imperatorum'': la rivoluzione urbanistica
I.4.1 Il Foro di Cesare
| Fig. 8. Foro di Cesare. Veduta ricostruttiva sulla scorta dell’analisi e dei dati forniti da
AMICI 1991 (InkLink / MENEGHINI 2009).
In un contesto di aperta rivalità, non ancora politica, tra Gneo Pompeo e Giulio
Cesare si inseriscono le imprese urbanistiche che i due triumviri andavano
realizzando con crescente magnificenza. Pompeo aveva da poco inaugurato il
primo splendido teatro in marmo di Roma nel Campo Marzio, nel 55 a.C., quando
Giulio Cesare, nel 54 a.C., incaricò un gruppo di collaboratori, tra i quali Marco
Tullio Cicerone, di progettare e costruire un nuovo complesso monumentale
giustificandolo come ampliamento del Foro Romano (Fig. 8).
Lo stesso Cicerone offre un importante riferimento topografico in un celebre
passo di una sua lettera all'amico Pomponio Attico « […] ut forum laxaremus et
usque ad atrium Libertatis explicaremus […] »22 ricordando l'entusiasmo con cui
egli e i suoi collaboratori lavoravano per ''allargare l'antico foro fino all'Atrium
Libertatis''23.
Quest'ultimo, risalente all'età repubblicana e sede ufficiale dei censori, era
probabilmente collocato alle spalle del Tempio di Venere Genitrice24, al di sopra
della pendice scoscesa del Quirinale e il riferimento topografico, nella lettera ad
Attico, contribuisce a delineare il perimetro del nuovo complesso monumentale,
esteso dal confine nord-orientale del Foro Romano sino all'antica sede dei censori.
L'area scelta da Cesare per la costruzione del nuovo foro, dunque, era densamente
22
CIC., Ad Att. 4, 17, 7
LTUR, I, pp. 133-135
24
CASTAGNOLI 1946
23
8
popolata, per cui fu necessario uno straordinario impegno economico per
l'acquisto delle proprietà private. Questa spesa, largamente finanziata con i
proventi della conquista gallica, fu effettuata versando sessanta milioni di sesterzi
secondo Cicerone, e fino a cento milioni secondo Plinio il Vecchio25 e Svetonio26.
Dopo la demolizione degli edifici espropriati, gli addetti alla costruzione, per
ottenere il piano destinato a ospitare il nuovo Foro, si trovarono a dover effettuare
anche dei consistenti lavori di livellamento dell'area. Data l'irregolarità naturale
del luogo, fu necessario spianare il banco geologico naturale fino a ottenere
''terrazze'' o ''gradoni'' corrispondenti ai
portici, al tempio e alla piazza del
Foro, sui quali poi furono gettate le
fondazioni
degli
elevati,
le
preparazioni e le pavimentazioni in
marmo e travertino27.
Il Foro di Cesare (Fig. 9) era costituito
da una piazza rettangolare di m
100x48,94, pavimentata in lastre di
travertino, con portici su tre lati e con
il
tempio
di
profondamente
Venere
incassato
Genitrice
nel
lato
settentrionale secondo l’uso italico e
tardo-ellenistico28. Cesare creò una
pubblica piazza concependola come un
vero e proprio ''santuario'' della sua
famiglia, che talvolta utilizzò al pari |aFig. 9. Foro di Cesare. Planimetria ricostruttiva.
Strutture relative al lato corto meridionale di età
di un palcoscenico, come durante cesariana, rinvenute negli scavi 2006-2008 (in
rosso), montate sulla pianta del complesso
augustea (in nero)
l'inaugurazione stessa del complesso, relativa alla fase
(da MENEGHINI 2009).
il 26 settembre del 46 a.C., o come
quando vi ricevette il Senato al completo, nel 44 a.C., rimanendo seduto ante
aedem invece di alzarsi in segno di deferenza29.
25
PLIN., Nat. Hist. 36,103
SUET., Caes .26, 2
27
MENEGHINI 2009, p. 43
28
MENEGHINI 2009, pp. 43-57
29
LIV., Perioc. 116; Suet., Cae. 78; CASS. DIO. 44,8, 1-2
26
9
I.4.2 Il Foro di Augusto
| Fig. 10. Foro di Augusto. Veduta ricostruttiva con al centro il Tempio di Marte Ultore
(Inklink / MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007).
Nel 42 a.C. alla vigilia della battaglia di Filippi contro la coalizione dei cesaricidi,
Bruto e Cassio, il giovane Gaio Ottaviano fece voto solenne di edificare, in caso
di vittoria, un Tempio a Marte Ultore 30.
Ottenuta la sua vendetta Ottaviano mantiene la sua promessa ma va anche oltre:
progetta di edificare un nuovo foro all'interno del quale inserire il tempio (Fig.
10).
Augusto si trovò come Cesare di fronte ai problemi legati all'esproprio dei beni
immobiliari che i privati cittadini possedevano nella zona, quindi, come egli
stesso dichiara nella sua opera-testamento delle ‘‘Res gestae divi Augusti’’31, per
portare a compimento il progetto acquistò, con fondi personali, l'area nella quale
sarebbe sorto il suo Foro. Tuttavia a differenza di Cesare che non aveva badato a
spese, Augusto limitò il più possibile gli espropri, inevitabile forma di violenza,
tanto da trovarsi costretto a realizzare, come dice Svetonio, un Foro angustius32.
Il motivo di tale cautela nei confronti dei cittadini è stata spiegata con motivi di
carattere socio-politico, come la salvaguardia dello ius civile e dei diritti di
proprietà, che Augusto non volle violare per rispetto della tradizione
repubblicana33.
SUET., Aug. 29: ‘‘Aedem Martis bello Philippensi pro ultione paterna suscepto voverat’’
AUG., RSDA, 21: ''In privato solo Martis Ultoris templum forumque Augustum ex manibiis feci.''
32
SUET., Aug. 56, 2: ''Forum angustius fecit non ausus extrorquere possessoribus proxima domos.''
33
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010 p.11 con ulteriore bibliografia; ZANKER 1989, p. 168
30
31
10
A queste motivazioni dobbiamo aggiungere il forte vincolo di natura
geomorfologica dell'area, delimitata sul lato Nord/Est dalle pendici del Quirinale e
sul lato Nord/Ovest dalle pendici della ''sella'', con cui dovettero rapportarsi i
costruttori34.
Si deve ad Alessandro Delfino35 una sintesi dettagliata sui numerosi studi
riguardanti le preesistenze del Foro di Augusto e la ricostruzione della
conformazione geomorfologica dell'area prima della costruzione del complesso
monumentale. Tramite il confronto delle quote assolute rilevate sotto i piani
pavimentali del Foro di Augusto, è evidente come lo sbancamento dell'area abbia
tenuto conto, sin dalla fase iniziale del cantiere, delle varie parti in cui si sarebbe
poi articolato il complesso monumentale.
Le analisi effettuate sugli strati inferiori al calpestio augusteo testimoniano che lo
sbancamento in prossimità delle pendici del Quirinale, in corrispondenza del
portico settentrionale e del Tempio di Marte Ultore, ha interessato non solo
eventuali strutture preesistenti ma anche il banco di argilla naturale; viceversa
nelle aree più a valle, dove è situato il portico meridionale, la rasatura si è attestata
al livello di fondazione degli edifici preesistenti o al di sopra di tale quota.
Il motivo di tale differenza è spiegabile per il fatto che nell'area Nord/Est del Foro,
più prossima al Quirinale, la pendenza originaria del rilievo doveva aumentare
sensibilmente.
Da tali considerazioni Delfino ha tracciato una serie di profili geomorfologici
prendendo come limiti le strutture preesistenti conservate nell’area del Foro di
Augusto. Grazie a questi profili è chiaro che, prima dell'intervento augusteo, l'area
era caratterizzata da un ambiente pedecollinare, che presentava una doppia
pendenza degradante rispettivamente a Sud, verso il corso d'acqua che scorreva
snel fondovalle tra Quirinale e Esquilino e a Sud/Ovest, verso la valle del Velabro.
Conoscendo il paesaggio su cui si andava a collocare il cantiere augusteo, è senza
dubbio più facile inquadrare i limiti del cantiere stesso e comprendere come si
adattò, per quanto possibile, alla morfologia naturale dell’area (Fig.11; fig 12).
Il limite Nord del foro, alle spalle dell’esedra settentrionale, coincideva con il
punto in cui la ''sella'' si saldava al versante del Quirinale formando un angolo
naturale, probabilmente effettuato in epoca repubblicana, per ospitare il
34
35
ARNOLDUS-HUYZENVELD 2000; RIZZO 2001 pp. 215-220
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010 pp. 11-31
11
quadriportico di una domus che doveva articolarsi in una serie di ambienti disposti
a terrazze lungo il pendio del Quirinale. Sul lato Nord/Ovest parte dell’esedra e il
porticato dovevano confinare con il taglio artificiale del versante, come testimonia
il lato esterno dell’emiciclo che si presentava con il nucleo a vista, priva della
cortina di rivestimento.
| Fig. 11. Planimetria dell’area del Foro di Augusto. L’area campita in grigio corrisponde alla
porzione del pendio naturale sbancata dal quartiere augusteo (da MENEGHINI-SANTANGELI
VALENZANI 2010).
L’intero complesso poggiava a Nord/Est contro un imponente muraglione in opera
quadrata di blocchi di peperino e pietra gabina disposti a filari alterni di testa e di
taglio, alto fino a 33 metri nel tratto più elevato. L’alta parete, costituita da
materiali ritenuti ignifughi, era realizzata per isolare il Foro dalla retrostante
Subura, un quartiere popolare dove gli incendi erano frequentissimi. Inoltre la
preesistenza di un condotto fognario e della relativa strada soprastante, individuata
all'esterno del muro di fondo del foro stesso, avrebbero determinato l'andamento
'spezzato' del muro e, di conseguenza, limitato l'estensione verso Nord/Est di tutto
il foro36.
Al di là del portico meridionale a Sud/Est, dove si innalzerà poi il Foro
Transitorium, l’area conservava gli edifici più antichi e di carattere commerciale
propri dell’Argiletum, mentre a pochi metri nel sottosuolo correva la Cloaca
Maxima. Il lato del raccordo con il Foro di Cesare non è noto in quanto obliterato
36
BAUER 1985, pp. 116; PENTIRICCI-SCHINGO, 2000 pp. 317-326
12
da via dei Fori Imperiali.
Tuttavia gli scavi, che hanno interessato le ampie aiuole ai lati della via dei Fori
Imperiali, hanno dimostrato che il lato Sud/Ovest del Foro di Augusto doveva
essere a diretto contatto con il Foro di Cesare, tramite un ‘‘muraglione di notevoli
dimensioni’’, come è stato evidenziato dalle relative fondazioni in blocchi di
tufo37, che sembrano essere in tutto simili a quelle del muraglione Nord/Ovest,
analizzate da Heinrich Bauer38.
Fig.12. Foro di Augusto. Planimetria ricostruttiva (da MENEGHINI 2009)
A: Tempio di Marte Ultore; B: Esedre Maggiori; C: Aula del Colosso; D: Arco dei ‘’Pantani’’;
E: Quadriportico Domus repubblicana; G: Esedre Minori; F: Portici
37
38
RIZZO 2000, p.67; RIZZO 2001, pp. 226-227
BAUER 1985
13
Gli studi che sono seguiti alla campagna di scavo degli anni 1991-2007
dell’amministrazione comunale39, ipotizzano una sistemazione monumentale
maggiormente articolata del lato breve, simile a quella utilizzata poi nei Fori della
Pace, di Nerva e di Traiano: un colonnato di grandi proporzioni, aggettante dalla
parete assieme alla trabeazione, con al centro un fornice di collegamento con il
Foro di Cesare.
I.4.3 Il Foro di Augusto in età post-classica
Il complesso monumentale del Foro di Augusto dopo l'età imperiale fu
progressivamente privato delle sue funzioni pubbliche e nella tarda antichità gli
ampi spazi dell'esedre furono utilizzate per attività scolastiche ed educative.
È noto che la destrutturazione del Foro di Augusto, in primis del Tempio di Marte
Ultore, a differenza degli altri Fori risale già ai primi decenni dell'Alto Medioevo,
durante gli anni della dominazione gota, tra la fine del V e l'inizio del VI sec. d.C..
La testimonianza di questa
spoliazione
è
dall'epigrafe
''PAT
costituita
DECI''
(Fig.13), incisa sul piano di
posa di uno dei grandi rocchi
marmorei delle colonne della
peristasi del tempio.
Tale
iscrizione
documenta
l'avvenuta appropriazione dei
| Fig. 13. Iscrizione PAT [rici] DECI (V-VI secolo d.C.)
incisa sulla facciata inferiore di uno dei rocchi delle
colonne della peristasti del Tempio di Marte Ultore
(MENEGHINI 2009).
materiali risultanti dalla demolizione del tempio da parte di un esponente
dell'aristocrazia o, comunque, di una sua diretta responsabilità nell'attività di
destrutturazione40. La posizione dell'epigrafe esclude che la colonna potesse
essere ancora in piedi al momento della sua realizzazione e pertanto rafforza
l'ipotesi che la maggior parte del Tempio fosse già stata spoliata41.
La sorte a cui andò incontro il resto del complesso monumentale contrasta con la
destrutturazione precoce del Tempio di Marte Ultore e indica probabilmente una
vicenda diversa per i due settori del monumento. Nel corso del IX secolo la
maggior parte dei rivestimenti marmorei della piazza e del portico settentrionale e
39
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, pp. 54-55
Per un tentativo di identificazione del personaggio citato MENEGHINI 2009, p. 197
41
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p. 118
40
14
i blocchi di tufo litoide e travertino delle fondazioni vennero sistematicamente
sfruttati come ''cava'' per materiali edilizio pregiato. Questo sfruttamento del
materiale lapideo fu reso possibile dalla progressiva privatizzazione delle aree
forensi, i cui beneficiari sono da ricercare nelle classi dominanti ed ecclesiastiche.
La spoliazione definitiva del monumento può essere messa in relazione con la
costruzione, sullo stilobate del Tempio, del monastero di S. Basilio probabilmente
nella prima metà del IX sec. (Fig. 14).
A differenza degli altri complessi che videro la creazione di abitazioni in opera
quadrata addossate alle strutture imperiali42, nel Foro di Augusto il Monastero di
S. Basilio sembra aver continuato a mantenere il possesso dei resti antichi senza
aver occupato l'area vicina con costruzioni rilevanti.
Il complesso basiliano doveva interessare probabilmente anche il vicino edificio
romano, riadattato per il nuovo uso, in quanto dalle fonti di XV-XVI secolo vi è la
distinzione tra palatium vetus sul podio e palatium novus nell'edificio romano43.
Un importante trasformazione avvenne verso la fine del XII o inizio XIII secolo
d.C., con l'arrivo dei Cavalieri Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, futuri
Cavalieri di Rodi e poi di Malta, che, con il nome di Priorato di S. Basilio, fecero
del Monastero la propria sede romana.
Da quel momento il potente ordine monastico cavalleresco estese nel corso dei
secoli le sue proprietà sull'intera area dei Fori Imperiali. Su questi ultimi furono
costruiti la Casa dei Cavalieri di Rodi, complesso articolato munito di un palazzo
sovrapposto alla cosiddetta Terrazza Domizianea; un ospedale nel foro di Traiano
e la chiesa di S. Basilio, ricostruita qualche metro più in alto della più antica
chiesa omonima e fornita di un campanile, a pianta quadrata in mattoni, che fu
eretto sulle tre superstiti colonne del Tempio di Marte Ultore44.
42
MENEGHINI 2009, p. 141-142
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 151
44
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007, p. 143
43
15
| Fig 14. Veduta ricostruttiva del monastero di S. Basilio al Foro di Augusto nel X secolo d.C.
(Inklink / MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2007)
16
Capitolo II
La storia degli studi e delle campagne archeologiche nel Foro di
Augusto
II.1 Studi e ricerche dalla fine del XIV alla fine del XVI secolo
Dalla fine del XIV secolo, nonostante il Priorato dell'Ordine venne trasferito
sull'Aventino, l'interessamento al nuovo complesso fu continuo. Dapprima con
papa Martino V nel 1426, poi da parte di Giambattista Orsini, priore dell'ordine
nel 1422. Nella metà del XV secolo, grazie a Marco Barbo, nipote del papa Paolo
II e amministratore dei beni del priorato, iniziarono diversi lavori come la
costruzione della splendida loggia del palazzo. Poco dopo i lavori di quest'ultimo
subentra un nuovo affittuario, il commerciante Marcantonio Cosciari, al quale
viene riconosciuta la proprietà di parte del materiale antico che eventualmente
avesse ritrovato nell'area. È questo uno dei primi riferimenti che abbiamo
dell'abbondanza dei materiali restituiti dal Foro di Augusto. Già nel 1477, sotto
papa Sisto IV, furono effettuati alcuni scavi presso il complesso di San Basilio,
forse nell'emiciclo settentrionale, nei quali emersero molti marmi e importanti
iscrizioni, tra cui quella riguardante i Salii e la loro stazione nel Foro.45
Durante la seconda metà del XVI secolo vennero realizzate rappresentazioni
cartografiche che rispecchiavano la topografia urbana della città, tra queste la
pianta di Leonardo Bufalini del 1551 (Fig. 15) e la veduta ''a volo d'uccello'' del
1577 di Etienne du Pérac (Fig. 16). In queste raffigurazioni la superficie del Foro
di Augusto è occupata da campi e coltivazioni, ma sempre ben delimitata dalle
alte mura perimetrali. Per comprendere il rapporto predominante che i grandi resti
degli edifici di età romana instaurarono con l'urbanistica dell’epoca, sono
fondamentali i disegni dei diversi settori dei Fori di molti artisti cinquecenteschi.
Particolarmente interessanti due disegni di Antonio da Sangallo il Giovane, uno di
Sallustio Peruzzi, nei quali sono presenti numerose postille per facilitare
l’interpretazione dei dettagli46 (Figg. 17-18-19) e le sei tavole che Andrea Palladio
45
46
LANCIANI 1902,I, p. 80
BORSARI 1883, pp. 400-415 con tav.
17
ha dedicato al Tempio di Marte Ultore, che l’autore collocò nel Foro di Augusto,
da molti all’epoca ritenuto proseguimento del Foro di Nerva (Figg. 20-21-22).
| Fig. 15. La zona dei Fori Imperiali nella pianta di Roma di L. Bufalini del 1551.
| Fig. 16. La zona dei Fori Imperiali nella pianta di Roma di E. Du Pérac del 1557.
18
| Fig. 17. Studio di Antonio da Sangallo il Giovane: emiciclo meridionale; angolo NE del Foro con
le tre colonne superstiti (BORSARI 1883).
| Fig. 18. Pianta generale del Foro di Augusto e del Tempio di Marte di Sallustio Peruzzi, nel
margine inferiore sinistro sezione di un portico (BORSARI 1883).
19
| Fig. 19. Studio di Antonio da Sangallo il Giovane sull’esedra meridionale con dettaglio di un
« pilastro scanalato [..] di marmo cipollino » (BORSARI 1883)
| Fig. 20. Ricostruzione di Andrea Palladio del Tempio di Marte Ultore (PALLADIO 1570)
20
| Fig. 21.
Disegno di Andrea Palladio
raffigurante gli ornamenti
del portico (PALLADIO 1570).
| Fig. 22. Disegno di Andrea Palladio dei lacunari del soffito del portico (PALLADIO 1570).
21
II.2 La creazione del quartiere ‘Alessandrino’
La seconda metà del XVI secolo fu per Roma un periodo di forte crescita
demografica a cui seguì un notevole incremento delle costruzioni edili, grazie al
quale l'area dei Fori Imperiali, di proprietà di pochi grandi possidenti molto
influenti presso la Curia e l'Amministrazione Capitolina, subì una trasformazione
radicale. A partire dagli anni del breve pontificato di Pio V (1566-1572), l'intera
area dei Fori Imperiali, denominata nelle fonti con il toponimo di Pantani, in
quanto soggetta a impaludamento, fu interessata da una imponente opera di
bonifica. Inizialmente fu riattivata la Cloaca Massima tramite un nuovo collettore
denominato ‘‘il chiavicone della Subura’’, e, in seguito, un potente interro
uniformò il livello di calpestio. L’urbanizzazione dei Fori Imperiali, promossa dal
cardinale Michele Bonelli, detto ‘‘l’Alessandrino’’, nipote di Pio V e nominato da
questi priore dell’ordine, avvenne nel 1584, quando fu concessa l’autorizzazione
ad aprire nuove strade, quelle che saranno poi Via Alessandrina, Via Bonella, Via
della Salara Vecchia, Via Cremona, e a concedere i lotti lungo le strade in enfiteusi
per la costruzione di future abitazioni. Nel 1566 Pio V concesse l’antico Priorato
alle suore Domenicane della
SS.
Annunziata,
che
adeguarono la struttura alle
esigenze del nuovo edificio di
culto barocco: il quadriportico
romano
divenne
una
lavanderia e gli archi della
loggia
furono
chiusi
in
muratura per creare un solaiodormitorio per le monache47.
Dal soprannome del cardinale
|
Fig. 23. A. Tempesta, Pianta di Roma. In questa pianta
Michele Bonelli il nuovo compare per la prima volta il quartiere Alessandrino
quartiere venne chiamato nell’area dei Fori Imperiali.
‘‘Alessandrino’’.
Due raffigurazioni cartografiche offrono un’immagine complessiva del quartiere e
della sua espansione nell’arco di tre secoli: la prima è la pianta di Roma di
47
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 57-58
22
Antonio Tempesta del 1593 (Fig.
24),
pochi
decenni
dopo
la
creazione del quartiere, la seconda,
nella sua massima espansione, è la
pianta di Giovan Battista Nolli del
1748, dove l’unica preesistenza
antica evidente, risulta essere il
grande muraglione del Foro di
Augusto (Fig. 24).
Tramite
le
piante
del
Catasto
Urbano del 1818-1824, è stato
possibile capire come il cosiddetto
Isolato di San Basilio si estendeva a
Est e a Ovest del muro di fondo del
Foro
di
Augusto,
occupando | Fig. 24 G..B. Nolli. Pianta di Roma (1748) .
Il quartiere alessandrino appare al massimo della
un’area che gravitava intorno al sua espansione.
grande complesso del Monastero dell’ Annunziata.
Il monastero risultava essere chiuso su via Alessandrina e su via Bonella da un
alto
muro
recinzione
insieme
di
che,
al
preesistente muraglione augusteo, lo
isolava
dal
quartiere che gli si
sviluppava intorno
(Fig. 25).
| Fig. 25 Isolato di San Basilio, pianta rielaborata sulla base del Catasto Urbano (1818-1824)
(MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010).
23
II.3 La riscoperta del foro nel XIX secolo
Nei primi anni del XIX la nuova temperie culturale e politica portò ad una vera
riscoperta dell'area del Foro di Augusto.
Importanti furono gli studi condotti da alcuni allievi dell’Accademia Francese di
Villa Medici48, per l’acquisizione di dati certi sul complesso, basati sia sulla
verifica diretta delle strutture sia sui primi interventi di sterro e scavo. Sarà LouisSylvestre Gasse, tra il 1803 e il 1805, a rappresentare la sovrapposizione degli
edifici moderni sulle preesistenti strutture imperiali. Nel 1825 grazie ai saggi di
Francesco Saponieri, affiancati dai rilevi di François-Joseph Toussaint Uchard che
realizza una pianta delle strutture sottostanti il convento, si arriva ad una migliore
definizione del Tempio e delle sue caratteristiche architettoniche (Fig. 26).
| Fig. 26. Uchard, François-Joseph-Toussaint, 1843 . Temple de Mars Vengeur. Plan de l'état
actuel des ruines du temple et du Forum (Albums des Envois de Rome : vol. 27).
A seguito del crollo improvviso di un’ala del monastero della SS. Annunziata, nel
1839, si decise di demolire, creando polemiche nelle quali intervenne anche
Stendhal49, il campanile romanico di S. Basilio e di liberare il fianco del podio con
le colonne dalle costruzioni che vi si addossavano50.
48
ROMA ANTIQUA 1992
STENDHAL 1883, pp. 323-324: ‘‘[…] un clocher carré enbriques, fort élevé et fort pesant, qui
finira par faire écrouler ce qui nous reste du temple de Nerva. C'est contre ce clocher que sont
dirigés les voeux de tous les antiquaires de Rome. […] Tous désirent qu'il soit démoli, mais il
appartient à l'église de l'Annonciation. Quand aurons-nous un Pape assez philosophe pour
permettre qu'un édifice consacré au culte soit démoli, et cela pour augmenter le plaisir profane des
dilettanti?’’
50
BAIANI-GHILARDI 2000, p. 93.
49
24
Nuovi saggi furono condotti nel 1869 nell’esedra meridionale, ormai libera dalle
strutture sovrastanti, e tramite i rilievi di Louis Noguet, fu possibile stabilire dati
fondamentali per la copertura dell’esedre, i limiti dei portici e la separazione tra il
Foro ed il complesso monumentale del Foro di Nerva (Fig. 27).
| Fig. 27. Louis Noguet, 1869. Forum d'Auguste et temple de Mars vengeur. Restauration, coupe
longitudinale (D'ESPOUY, 1912).
Il 16 maggio del 1881 il Comune di Roma acquistò un’area di circa 950 mq
corrispondente all’esedra e al portico meridionale del Foro di Augusto; l’area, in
gran parte edificata, fu acquistata a dir di Rodolfo Lanciani per « togliere via uno
scorcio deplorato da secoli » e « discoprire l’antico piano, sul quale giacciono
ancora sepolti ed ignorati i piedistalli marmorei eretti da Augusto ».
Proprio grazie a Rodolfo Lanciani vengono condotti i primi scavi sistematici, con
eccellenti risultati scientifici, che restituiscono una gran quantità di materiali,
soprattutto epigrafici, evidenziando la successione di due strati di interro fino al
pavimento del Foro51. I vari passaggi degli scavi verranno continuamente
pubblicati sia sul ‘‘Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di
Roma’’ 52 sia tramite pubblicazioni individuali di Lanciani, come ad esempio ‘The
Ruins and Excavation of Ancient Rome’’ dove verrà riprodotta una pianta
riassuntiva di alcuni degli interventi archeologici più importanti apportati nella
area Nord/Est del Foro (Fig. 28). Sarà Giuseppe Gatti dalle pagine del ‘‘Bullettino
della Commissione Archeologica Comunale di Roma’’ nel 1890 a riprendere le
analisi del Lanciani sui documenti epigrafici ritrovati, suddividendoli per tipologie
51
52
LANCIANI 1889; LANCIANI 1901
BCAR 1890; 1924; 1929
25
| Fig. 28. Pianta degli scavi effetuati nel Foro di Augusto (da LANCIANI 1897).
e integrandole con disegni53. La contemporanea apertura di Via Cavour, da molti
considerato il più grande sventramento romano di tutti i tempi, creò evidenti
problemi di viabilità, in quanto la nuova strada si arrestava ai limiti del Foro
Romano e il traffico veicolare doveva confluire nell’assai ridotta rete viaria del
quartiere Alessandrino. Nei primi anni del XX secolo si cominciarono a
programmare interventi per lo sventramento sistematico del quartiere che insisteva
sui Fori e, accanto a progetti e soluzioni di ingegneria urbana, apparvero proposte
promosse da archeologici: nel 1911 compare sul ‘‘Bullettino d’Arte’’ il progetto
per ‘‘L’isolamento e la redenzione degli avanzi dei Fori Imperiali’’, un celebre
studio di Corrado Ricci, in cui rivendica la priorità delle strutture imperiali sugli
edifici tardo-cinquecenteschi, considerate ‘‘case vecchie e recenti’’.
Il progetto in realtà era molto limitato a causa delle difficoltà di espropriare gli
isolati che si erano impiantati sui Fori e finiva con l’interessare esclusivamente il
settore di Via Alessandrina dove si riduceva al minimo la demolizione di case,
53
GATTI 1890
26
chiese e palazzi storici. Lo stesso Ricci definì il suo progetto come « un minimo di
demolizioni e un massimo di risultato archeologico e monumentale » 54 (Fig. 29).
Il progetto generale di scavo e sistemazione dell’area dei Fori Imperiali prende
inizio solo tredici anni dopo, nel 1924, proprio nell’area augustea, di cui Ricci
ammirava enormemente le strutture superstiti, con l’abbattimento del convento
della chiesa barocca dell’Annunziata e la riscoperta dell’abside della chiesa dei
Basiliani, che in un primo momento si cercherà di salvare attuando un restauro.
Successivamente verrà demolita conservando le sole pitture presenti.
Dal punto di vista strutturale sono importanti gli interventi per un nuovo
ancoraggio delle colonne superstiti del tempio, precedentemente agganciate a
muri demoliti insieme alla chiesa. Durante tali interventi, avviati dalla
Commissione
Archeologica
in
attuazione
del
progetto
approvato
dal
Governatorato, verranno identificati lo stilobate del tempio di Marte Ultore, parte
della gradinate e del peristilio, parte della cella e gli ampi gradini dell’emiciclo
meridionale, le due strade laterali al tempio con il loro lastricato, le fondamenta
degli archi di Druso e Germanico, parte delle due aule antistanti alle esedre con i
loro pavimenti marmorei e, all’interno di queste, le nicchie per le statue « la sala
del Colosso di Augusto, qualche frammento di queste, e molte altre cose, che non
si possono in breve nemmeno enumerare »55. Quirino Giglioli da notizia per la
prima volta del ritrovamento dell’Aula del Colosso nel 1926 e, elencando e
elogiando sia Ricci che il Governatorato, auspica uno scavo totale dell’area56. Dal
1927 si avviano i restauri della pavimentazione del Foro, rispettando
rigorosamente il cromatismo originario. Il muro di fondo è oggetto di un
importante intervento di restauro, con rinforzi mediante ghiere e tiranti in ferro; i
restauri e le ricostruzioni, come ad esempio quelle delle lesene nell’area del
Colosso e delle semicolonne dell’esedra, sono sempre molto coerenti e accorti, in
linea con l’ideale di restauro ‘stilistico’ dell’epoca e con l’uso differenziato dei
materiali.57 I lavori proseguono fino al 1933, quando si completa lo scavo
dell’emiciclo meridionale e della via che corre lungo questo lato del tempio.
54
RICCI 1911
COLINI-RICCI 1932, pp. 37-57
56
GIGLIOLI 1926
57
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 153-155
55
27
| Fig. 29. Progetto di scavo dell’area dei Fori Imperiali (RICCI 1911).
28
| Fig. 30. Italo Gismondi 1938. Planimetria dei Fori Imperiali, copia su lucido della pianta del
1933 (da GIULIANI 2007).
29
Dello stesso anno è la prima redazione della planimetria ricostruttiva dei Fori
Imperiali di Italo Gismondi, che costituì la matrice di tutte le planimetrie per
qualunque lavoro di topografia dell’area58 (Fig. 30).
II.4 Il piccone del regime: sventramenti nella Roma del ventennio
Il progetto di scavo si lega subito ai nuovi programmi urbanistici redatti dal
Governatorato nel Piano Regolatore del 1931, che resterà in vigore fino al 1958, il
quale riprendeva da quelli precedenti il congiungimento di Piazza Venezia con Via
Cavour tramite l’allargamento di Via Cremona, ma aggiungeva anche la
prosecuzione del tracciato verso il Colosseo, con un percorso che aggirava la Velia
da Est. Solo nel 1932, con le demolizioni già in atto senza un programma preciso,
si decise di modificare il progetto e di realizzare una strada rettilinea tra Piazza
Venezia e il Colosseo, sbancando completamente la Velia. Corrado Ricci, che pur
coinvolto in questa impresa, aveva tentato di garantire ai lavori di ‘liberazione’ dei
monumenti un minimo di serietà scientifica, verrà di fatto estromesso e sostituito
da Antonio Muñoz, unico responsabile delle decisioni in campo archeologico fino
alla caduta del fascismo, Muñoz definì la creazione della nuova via « un’idea
geniale »59.
La distruzione sistematica del quartiere Alessandrino e della Velia non fu il frutto
di una politica ‘‘archeologica’’, ma dei bisogni propagandistici dello Stato
fascista, che voleva far spazio alla nuova strada, chiamata poi ‘‘Via dell’Impero’’,
inaugurata da Mussolini il 28 ottobre 1932.
Il modo e la velocità con cui furono condotti i lavori impedirono di ottenere
risultati archeologici degni di esser così chiamati, ed i complessi monumentali,
separando definitivamente le aree archeologiche forensi, furono ridotti a
scenografia e fondale di prestigio per un’ ‘‘autostrada’’ urbana, utili per le parate
di regime60 (Figg. 31-32).
58
GIULIANI 2007, pp. 76-81, p. 269
MIGNANELLI 2006, p. 39
60
LA REGINA 2004, p. 116
59
30
| Fig. 31. Foro di Augusto:
( da LEONE-MARGIOTTA 2007).
foto
dei
lavori
di
demolizione
di
via
Bonella
Lo scavo archeologico si arrestò all’area limitata di una porzione del Foro di
Cesare mentre tutte le aree limitrofe allo stradone, una volta rasati all’altezza delle
cantine i palazzi del quartiere Alessandrino, vennero ricoperte da giardinetti ideati
da Muñoz poiché immaginava che « nella vasta zona a giardino […] potranno a
tempo opportuno praticarsi gli scavi […] ».
| Fig. 32. Via dell’Impero, 1934. Cerimonie dell'VIII Leva Fascista sullo sfondo il Foro di
Augusto (Archivio Storico Istituto Luce).
La documentazione che ci è pervenuta riguardo gli sterri e le demolizioni consiste
in centinaia di foto raccolte recentemente nel volume a cura di Leone e Margiotta
del 2007 e nei ‘‘Giornali dei Lavori’’, redatti dal Paroli per un pure fine
31
amministrativo durante gli scavi, che riportano notizie inedite relative agli sterri e
ai restauri dei Fori di Cesare e di Augusto. Nel corso dello stesso 1932 Gioacchino
De Angelis D’Ossat esegue l’importante studio geologico di tutta l’area di cui
abbiamo precedentemente parlato.
All’inizio degli anni Quaranta hanno luogo nuove, limitate indagini nel settore
meridionale del Foro di Augusto, intorno alle fondazioni del muro perimetrale, dei
portici e del tempio.
Gli interventi portano allo scoperto le fondazioni delle strutture ed un avanzo di
edificio repubblicano, a sud dell’Arco dei Pantani61 (Fig. 6).
Nel 1955 sulle pagine del ‘‘Bullettino dell’Istituto Archeologico Germanico’’
Giulio Quirino Giglioli pubblica un saggio sulla ricostruzione delle Cariatidi
ritrovate durante gli scavi del 1930. Tali statue, copie delle famose Cariatidi
dell’Eretteo dell’Acropoli di Atene e probabilmente collocate nelle porticus del
Foro, furono oggetto di una ricostruzione effettuata da parte dei Cavalieri di
Malta, nella quale sono presentate alternate a clipei con teste di Giove e
completate con un’ampia trabeazione62 (Fig. 41).
I lavori di ricerca, recupero e valorizzazione del Foro di Augusto nel secondo
dopoguerra vengono portati avanti ad opera del Consiglio Nazionale delle
Ricerche. Tra i vari interventi vengono segnalati due saggi di scavo effettuati nel
1967 nell’area alla destra del tempo di Marte Ultore, all’altezza della seconda
colonna della peristasi. I saggi (A e B), realizzati grazie ad alcune lacune della
pavimentazione augustea, erano finalizzati ad esplorare le fondazioni del portico
Nord e del tempio. Su tutta l’area fu identificato lo spesso strato di preparazione
del pavimento e, al di sotto, uno strato sconvolto dall’impianto delle strutture
augustee, con tracce di bruciato e ricco di materiale ceramico databile dall’età del
Bronzo Finale all’età repubblicana; furono ritrovati anche resti di sepolture
dell’età del ferro63.
61
BCAR 1946-48, p. 198
GIGLIOLI 1955, pp. 155-159, tav. 54-60
63
COLINI 1978
62
32
II.5 Continuità dell’antico: I Fori Imperiali nel progetto della città
Nel 1978 la Soprintendenza Archeologica di Roma denunciò lo stato di degrado
dell’intera area archeologica causata dall’inquinamento urbano, di cui le strade
troppo vicine erano i principali colpevoli.
A partire dal 1979, grazie
ad Adriano La Regina,
Soprintendente dal 1978
al 2005, prese forma un
progetto di intervento, con
la
partecipazione
dei
primi specialisti e teorici
dello scavo stratigrafico
con
a
capo
Andrea
Carandini, che proponeva
di
creare
il
Parco
Archeologico di Roma.
Tuttavia un’assurda polemica portata avanti da
diversi
partiti
compresa
politici,
l’opposizione
dell’allora ministro dei
Beni
Culturali
Vernola,
prese
Nicola | Fig. 33. Appello di Adriano La Regina sulle pagine del
il
Corriere della Sera del 21 dicembre 1978 (Archivio Cederna).
sopravvento sulle motivazioni scientifiche e culturali dei progettisti degli scavi e i
progetti allora impostati non giunsero a nessun risultato64 (Figg. 33-34).
Finalmente in un clima più disteso la Soprintendenza Archeologica, in
collaborazione con l’Istituto di Topografia Antica dell’Università di Roma ‘‘La
Sapienza’’, riuscì ad avviare i lavori nel 1985-1986 poi ripresi per l’arco di tempo
compreso tra il 1989 e il 1995. Nel corso di queste campagne di scavo si decise di
analizzare le aree totalmente sconosciute e di cercare di individuare i nessi
architettonici tra i vari complessi monumentali, per questo motivo il Foro di
Augusto non fu interessato da tali operazioni (Fig. 35).
64
LA REGINA 1981
33
| Fig. 34. Sovrintendenza Archeologica di Roma: area dei Fori. Previsione di scavo e
progettazione (LA REGINA 1981).
34
| Fig. 35. Fori Imperiali. Planimetria generale con estensione degli scavi 1989-2007. Blu: scavi
1989-1995. Rosso: scavi 1998-2000. Verde: scavi 2004-2007 (MENEGHINI 2009).
35
Nonostante ciò è proprio negli anni Settanta e Ottanta che, grazie a un nutrito
gruppo di studiosi italiani e tedeschi, si avrà una ripresa scientifica degli studi.
Fondamentali sono i lavori di Paul Zanker che, dopo una piccola ma preziosa
presentazione del complesso del Foro65, sempre citata negli studi successivi,
analizzerà principalmente gli aspetti ideologici della politica di Augusto in
costante rapporto con i grandiosi monumenti da questi fatti costruire. Altrettanto
importante sarà Pierre Gros66 che, in un’opera di grande respiro sulle architetture
religiose al tempo di Augusto, avanzerà numerose tesi sulla decorazione
architettonica del tempio di Marte Ultore e sui suoi significati nell’ottica augustea.
Grazie ad uno studio dettagliato del 1981 di S. Rinaldi Tufi67, sui frammenti
statuari marmorei, e all’articolo di G. Capecchi68, incentrato su una protome di
divinità del Museo Archeologico di Firenze e sulla sua possibile identificazione
come parte del programma iconografico del Foro, verranno ampliate le
conoscenze sulle decorazioni del complesso. H. Bauer focalizzerà la sua ricerca
sull’architettura del Foro e proporrà una nuova ricostruzione del portico e
dell’esedre che si differenzia dal ben noto plastico di Italo Gismondi69. Giuseppe
Camodeca nel 1987 effettua una riedizione di tutti i numerosi documenti
vadimoniali dell’archivio dei Sulpicii, noto anche come Tabulae Pompeianae di
Murecine, nelle quali cercherà di riscontrare preziose informazioni sulla
topografia del forum Augustum, e di dimostrare la presenza ‘‘in foro Augusto’’ del
‘‘tribunal praetoris peregrini’’ accanto a quello del ‘‘praetoris urbani’’70. Nello
stesso anno vi fu la pubblicazione di un’importante saggio di M. Bonnefond che,
ripercorrendo la strada tracciata da Zanker, analizza le funzioni reali e,
maggiormente, quelle simboliche che vengono attribuite al Foro di Augusto e al
Tempio di Marte Ultore al momento della loro costruzione71.
Gli scavi condotti dall’Amministrazione Comunale, saranno oggetto di numerose
pubblicazioni in seguito alle mostre romane ‘‘I luoghi del consenso imperiale. Il
Foro di Augusto. Il Foro di Traiano’’ del 1995 e ‘‘I marmi colorati della Roma
65
ZANKER 1968
GROS 1976
67
RINALDI TUFI 1981, pp. 69-84
68
CAPECCHI 1984, pp. 499-450, tav. I-II
69
BAUER 1985; BAUER 1987, pp. 763-770
70
CAMODECA 1986, pp. 505-508
71
BONNEFOND 1987, pp. 251-278
66
36
imperiale’’ del 2002. I diversi volumi pubblicati, insieme ai due rispettivi
cataloghi, sempre a cura di Eugenio La Rocca, Roberto Meneghini, Lucrezia
Ungaro e Riccardo Santangeli Valenzani, hanno rappresentato tappe importanti
per la sintesi degli studi sui materiali forensi, ancora in corso, e sull’architettura
del complesso. Finalità precipua di questi studi è stata la volontà di garantire la
fruizione dei dati da parte del pubblico, e di valorizzare i reperti e i monumenti
recuperati con l’inaugurazione del Museo dei Fori Imperiali, situato nei Mercati di
Traiano, avvenuta nel 2007.
A ridosso degli anni 2000 vengono pubblicate due tra le più importanti
monografie sul complesso: quella di J. Ganzert sul tempio di Marte Ultore72 e di
M. Spannagel sull’intero complesso monumentale73.
I grandi scavi nell’area dei Fori Imperiali, diedero spunto a molti dibattiti, anche
su aspetti prima di allora poco analizzati. In questo contesto si inseriscono i lavori
di W. Trillmich che, insieme ad altri colleghi, ha approfondito, mediante
pubblicazioni, congressi e mostre, i rapporti tra Roma e la penisola Iberica, anche
per quanto riguarda la trasmissione di modelli iconografici e di programmi
figurativi desunti dal grande complesso augusteo, fenomeno che risulta, nel caso
delle Hispaniae e della Lusitania, particolarmente intenso74.
Anche durante le indagini del 1998-2000, inserite nel Piano di Interventi per il
Grande Giubileo del 2000, lo scavo archeologico si è concentrato sulle aree degli
altri tre fori, mirando a chiarire, per quanto riguarda il Foro di Augusto, i nessi
architettonici con il Foro di Traiano. Durante gli scavi sono stati scoperti i resti di
un terzo emiciclo di dimensioni leggermente inferiori rispetto a quelle dei due
maggiori, già noti e tuttora visibili; tale struttura fu obliterata dai lavori di
costruzione del Foro di Traiano ed è facile immaginare che abbia avuto una sua
corrispettiva sul lato confinante il foro di Nerva. Le pubblicazioni di questi scavi
sono state curate da Serena Baiani e Massimiliano Ghilardi, e comprendono
l’ampio articolo di Serenza Rizzo75 che ha analizzato e descritto le operazioni
effettuate e i dati emersi durante il Progetto dei Fori Imperiali (Fig. 36).
72
GANZERT 1996
SPANNAGEL 1999
74
TRILLMICH 1996, pp. 95-113; studi poi raccolti in LA ROCCA–LEON–PARISI PRESICCE 2008
75
LA ROCCA 2001, pp. 171-213; BAIANI-GHILARDI 2000, pp. 62-78; RIZZO 2001, pp. 215-244
73
37
| Fig. 36. Emiciclo minore veduta dall’alto (sx) e particolare delle impronte dei blocchi di
fondazione del muro curvo (dx). (MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010)
Nel 2002, a distanza di vent’anni dal suo primo contributo, riprende il tema delle
decorazioni scultoree analizzando alcuni temi abbastanza divergenti e di non poca
importanza76.
Finalmente negli anni 2005-2007 nuove indagini sono state condotte nell’area del
Foro di Augusto. Lo scavo si è svolto nell’aiuola triangolare, una di quelle
progettate da Muñoz, situata tra Via Alessandrina e Via dei Fori Imperiali, l’ultimo
vasto settore , escludendo Via dei Fori Imperiali, ancora inesplorato (Fig. 37).
Gli obiettivi scientifici dell’indagine sono stati mirati a risolvere il problema
dell’articolazione architettonica del lato occidentale del Foro, e in particolare, a
verificare l’ipotesi, avanzata sia da E. La Rocca che da A. Ventura Villanueva,
della presenza di una basilica, poi grazie a questi scavi confutata.
Nonostante durante gli scavi fosse attestata la quasi completa spoliazione della
decorazione e della struttura architettonica del monumento antico, ulteriore
conferma della precoce destrutturazione di cui erano già state trovate
testimonianze77, lo scavo si è dimostrato fondamentale per dare risposte a una
serie di interrogativi ancora aperti grazie ad approfonditi studi sui vari contesti del
complesso augusteo.
76
77
RINALDI TUFI 2002 pp. 177-193
Vedi n. 41
38
I risultati di queste indagini sono stati resi noti nella pubblicazione del 2010
‘‘Scavi dei Fori Imperiali. Il Foro di Augusto – L’area centrale’’ a cura di Roberto
Meneghini e Riccardo Santangeli Valenzani.
| Fig. 37. Planimetria dell’area interessata dagli scavi 2005-2007 ; in nero : stato attuale dell’area
con individuazione del saggio di scavo nel settore centrale ; in rosso : planimetria ricostruttiva
del Foro di Augusto ; in verde : gli isolati del Quartiere Alessandrino (MENEGHINI-SANTANGELI
VALENZANI 2010).
In primis lo studio sulla geomorfologia dell’area prima, durante e dopo la
costruzione dei complessi dei Fori Imperiali, di cui abbiamo già trattato 78, a cui
dobbiamo aggiungere il contributo di D. Palombi, esaustivo per quel che concerne
la toponomastica e la viabilità prima dei fori imperiali79; in seguito l’analisi
stratigrafica ha consentito la lettura archeologica di quelle fasi di trasformazione
del paesaggio, dall’alto medioevo all’età moderna, che gli sterri novecenteschi
avevano completamente cancellato; infine un elemento innovativo di questa
78
79
DELFINO 2011, pp. 285-302
PALOMBI 2005, pp. 81-92
39
ricerca è stata la ricostruzione delle fasi di urbanizzazione dell’area nel corso del
Rinascimento che ha portato ad un riscontro archeologico delle notizie tratte dalle
fonti storiche, catastali e archivistiche80. Nel corso di questi scavi, e nella prima
pubblicazione dei risultati scientifici, ha trovato ampio spazio l’analisi di
Elisabetta Carnabuci che, partendo dalle indicazioni di Giuseppe Camodeca,
grazie alle analisi delle strutture, comprese quelle relative alla nuova esedra, ha
approfondito la riflessione sulle funzioni di ambito giudiziario dell’esedre e sulle
modifiche attuate nel corso dei secoli alla forma del Foro di Augusto.81
A conclusione dello scavo e per celebrare l’apertura del tanto atteso Museo dei
Fori Imperiali nei Mercati di Traiano del 2007, è avvenuta la pubblicazione di un
volume che, ripercorrendo e presentando il percorso espositivo del nuovo museo,
si propone di illustrare le architetture antiche e la loro decorazione architettonica e
scultorea. In esso sono descritte le importanti operazioni di restauro, apportate sia
agli ambienti forensi che alla stessa sede del Museo, finalizzate a conservare la
memoria dell’antica grandezza dei Fori Imperiali.82
80
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp. 141-229
MENEGHINI-SANTANGELI VALENZANI 2010, pp.103-139
82
UNGARO 2007
81
40
Capitolo III
Il complesso del Foro di Augusto
III.1 L’articolazione piazza-portici-esedre
La grande piazza del foro si presenta come un isolato chiuso al traffico, i cui portici sui lati maggiori si allargano in esedre semicircolari coperte, aumentando lo
spazio fruibile per le attività prevalenti, giudiziarie ed educative.
La scelta dell’articolazione piazza-portici-esedre deve essere vista in funzione del
reale utilizzo di questi spazi. Già in ambiente ellenistico-macedone era in uso il
modello del peristilio, o cortile porticato, affiancato da absidi coperte, riccamente
decorate con statue. Anche l’atrio, ambiente principale della casa, era completato
da vani laterali che ospitavano i ritratti degli antenati.
III.1.1 La piazza augustea
Il senso di isolamento e maestosità è rafforzato dal poderoso muro perimetrale che
separa e protegge il Foro dai quartieri retrostanti. Dal muraglione si aprono verso
nord un triplice fornice e verso sud un arco a un solo fornice, denominato dopo
l’età classica ‘‘Arco dei Pantani’’. Da entrambi gli ingressi si accede al piano del
Foro mediante scalinate; alla base di queste ultime, nel 19 d.C. furono aggiunti
due archi in onore di Druso Minore e di Germanico in ricordo della vittoria sugli
Armeni. Due percorsi lastricati in marmo bianco corrono lungo i fianchi
dell’ampio podio del tempio e conducono alla piazza vera e propria, della quale
ben poco oggi è visibile. La pianta mostra come lo spazio centrale, con andamento
irregolare a est, sia dominato dal tempio di Marte Ultore, imponente con i suoi 30
metri d’altezza rispetto alla piazza antistante e ai due stretti corridoi di accesso laterali larghi 6,70 metri. Il Foro presentava la superficie scoperta lastricata in marmo bianco lunense.
III.1.1.1 « Pater Patriae »
« Tertium decimum consulatum cum gerebam, senatus et equester order populusq[ue] Romanus universus appellavit me pat]rem patriae idque in vestibulo ae41
dium mearum inscribendum et in curia Iulia et in foro Aug. sub quadrigis, quae
mihi ex s.c. positae sunt, decrevit. Cum scripsi haec, annus agebam septuagensumum sextum ».83
Il punto focale della piazza era costituito dal colossale gruppo bronzeo di Augusto su quadriga al
suo centro, decretato per senatoconsulto e collocato di fronte al tempio di Marte Ultore.
Augusto era su una quadriga trionfale, forse incoronato da una Vittoria84, come spesso è stato raffigurato sulla monetazione coeva.
Sul basamento era inciso il titolo onorifico di Pater Patriae che il Senato, l’ordine equestre e tutto
il popolo avevano offerto all’imperatore il 5 febbraio del 2 a.C., come egli stesso orgogliosamente
ricorda nelle sue ‘‘Res Gestae’’, tale titolo lega
tutto il popolo dell’impero romano ad Augusto
secondo il vincolo di devozione che i figli dovevano ai loro padri85. Il titolo di Pater Patriae
giunge un nuovo tassello all’immagine del principe ancora vivente, dichiarandone una qualità
vraumana che lo poneva molto più in alto di tutti i
mortali.
Nonostante la notevole importanza che lo stesso
Augusto attribuisce alla quadriga non sono state
ancora ritrovate tracce archeologiche evidenti che
aiutino a stabilirne la collocazione, le dimensioni | Fig. 38 Il piede destro di bronzo
dorato da statua femminile di
e l’iconografia che vi era rappresentata. L’unico vittoria alata: le due immagini del
piede di fronte e sul lato esterno
frammento che Eugenio La Rocca ha ipotizzato evidenziano la definizione del
modellato. (da UNGARO 2007)
83
AUG. Res. Gestae I, XXXV: « Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine
equestre e tutto il popolo Romano, mi chiamò padre della patria, decretò che questo titolo dovesse
venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Iulia e nel Foro di Augusto sotto la
quadriga che fu eretta a decisione del senato, in mio onore. Quando scrissi questo, avevo
settantasei anni. »
84
ZANKER 1984, p. 228
85
LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 pp.74-87
42
potesse appartenere al gruppo86 è un piede di bronzo dorato, di misura maggiore
del vero e di grande qualità formale. Sotto il piede vi è un lungo tenone quadrangolare, anch’esso in bronzo, che aveva il compito di reggere, una volta applicato
dentro un sostegno, la statua colossale (Fig. 38). La Rocca ritiene che il piede appartenga a una figura femminile in volo, e quindi sia riferibile alla Vittoria incoronatrice, ipotizzata da Zanker e ritenuta possibile da Ganzert87. Tuttavia, in una
più recente analisi, Rinaldi Tufi88 fa risalire il piede bronzeo ad una delle due Vittorie acroteriali collocate lateralmente sul frontone del tempio di Marte Ultore,
analizzate insieme al complesso del tempio successivamente.
La scelta iconografica della quadriga trionfale nella piazza è un segnale ben preciso di una lettura del programma figurativo del Foro in relazione alla pacificazione
universale augustea e contro il sistema usuale di raffigurare il vincitore: in questo
schema non vi è posto per i vinti, ma solo per le popolazioni consapevoli di vivere
nel migliore mondo possibile sotto la guida del principe perfetto.
III.1.2 I portici
Dalla piazza, aldilà del colonnato e dei basamenti di statue che si trovavano
davanti ogni colonna, salendo tre gradini si accedeva ai portici: la facciata
risultava composta da un solo ordine di colonne in giallo antico con basi attiche e
capitelli corinzi in marmo lunense, sormontato da un fregio-architrave formato da
| Fig. 39 Disegno ricostruttivo dell’ordine dei portici con fregio decorato sui due lati opposti
(UNGARO 2007)
LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 p. 76
GANZERT 1996 p. 276
88
RINALDI TUFI 2002, pp. 179-181
86
87
43
blocchi separati. L’architrave tripartito a fasce lisce proseguiva con un fregio
decorato sui due lati opposti, con un motivo a girali naturalistico verso la piazza e
con un rilievo a tralci a nastro molto appiattito verso l’interno dei portici (Fig. 39).
L’ordine di colonne era a sua volta sovrastato da un alto attico, che slanciava i
portici altrimenti oppressi
dall’altezza del tempio.
L’attico
avancorpi
si
articola
sporgenti
in
che
fungono da sostegno per le
figure
femminili
delle
cariatidi: la loro elegante
acconciatura è scolpita in un
solo blocco con il cercine, il
kyma ionico e l’abaco a
imitazione di un ‘‘canestro’’
trasformato in un capitello
(Fig. 40).
Il
capitello-canestro
unisce
sporgente
alla
si
trabeazione
alternata
con
quella rettilinea arretrata,
decorata con baccellature e
soffitto a cassettoni.
Come dimostra la firma su
un frammento di cariatide
| Fig. 40 Ricostruzione di Cariatide dal Museo dei Fori
‘‘C VIBIUS RUFUS’’, le Imperiali nei Mercati di Traiano
cariatidi sono da considerare come copie delle famose figure dell’Eretteo
sull’Acropoli di Atene, tuttavia rielaborate e adattate alla diversa sensibilità
romana, rendendole più corpose, ma mantenendo invariata l’eleganza dei dettagli
nei monili e nell’acconciatura.
Sul piano di fondo, tra le cariatidi, si collocano dei pannelli quadrangolari, ricavati
da un unico blocco, incorniciati da una fascia di kyma lesbico trilobato nei quali
44
erano situate delle imagines clipeatae, la cui incorniciatura convessa varia con tre
diversi motivi decorativi: quello più complesso presentava tre fasce mentre gli
altri due si compongono di lunghe baccellature composite e una decorazione
floreale ad anthemion. I clipei al centro ospitavano, inserite con un tenone sul
retro, teste maschili, alcune direttamente ispirate alla raffigurazione di Giove
Ammone, mutuato dalla divinità egizia del dio Amun, venerato nell’oasi di Siwa e
legato alla figura di Alessandro Magno. Altre teste maschili, invece, non avevano
le corna e indossavano il torques, monile di ambiente celtico e asiatico, ma
all’epoca molto diffuso. Sia nella prima ricostruzione dell’attico, nella Casa dei
Cavalieri di Rodi degli anni Quaranta del Novecento, che nella recente e più
corretta ricomposizione, situata nei Mercati di Traiano, sono presenti dei piccoli
fori tra le folte capigliature probabilmente relativi ai sistemi di sollevamento dei
blocchi, mentre al momento mancano testimonianze della possibile alternanza
delle figure maschili con quelle femminili di Meduse o Gorgoni, come invece
avviene successivamente in contesti monumentali provinciali89 (Fig. 41).
I frammenti dei clipei, sia di antica che di recente acquisizione, confermano
| Fig. 41 Ricomposizione dell’attico del Foro di Augusto conservata nella Casa dei Cavalieri
di Rodi (da QUIRINO GIGLIOLI 1955)
l’eccezionale qualità delle teste maschili, caratterizzate da un pathos, accentuato
89
UNGARO 2007, pp.150-159
45
dalle ciocche apparentemente realizzate in modo casuale e invece ordinatamente
iscrivibili in un cerchio, dalle sopracciglia folte, dagli occhi infossati e dalle
bocche carnose e dischiuse (Fig. 42).
Per tutte le teste conosciute
e conservate a Roma o
altrove90, è stata proposta la
realizzazione da parte di
botteghe rodie, appositamente chiamate a Roma da
Augusto e impegnate nel
cantiere del Foro, per il loro
diretto
rapporto
con
la
produzione asiatica.
| Fig. 42 Particolare del Clipeo di Giove Ammone dalla
ricostruzione dell’attico situata nel Museo dei Fori Imperiali
È solo entrando nei portici che si percepisce la vastità degli spazi interni e il
protagonismo dei marmi colorati. La superficie dei portici, larghi 13 metri, è
scandita dal pavimento in opus sectile a modulo grande, secondo uno schema
reticolare rettangolare con fascia esterna in bardiglio, che racchiude riquadri
con un motivo a
stuoia in giallo
antico e all’interno due lastre in
africano
(Fig.
43).
| Fig. 43 Pavimentazione marmorea del portico meridionale (da UNGARO 2007)
CAPECCHI 1984, l’autore propone di individuare in un clipeo presente nel Museo Archeologico
di Firenze una protome di Giove Ammone del foro di Augusto
90
46
Sulla parete di fondo invece troviamo nicchie rettangolari che, come quelle
dell’esedre, incorniciate e inquadrate da semicolonne in giallo antico come
l’ordine di facciata, erano destinate ad ospitare statue.
Il susseguirsi del colonnato, la ricchezza dei marmi colorati e la teoria di cariatidi
verso il tempio dovevano creare un effetto di grande ieraticità, simbolo della pace
raggiunta nell’impero grazie ad Augusto, nonostante le sanguinose guerre (Fig.
44).
| Fig. 44 Ricostruzione in 3D del portico meridionale della piazza (modellazione ed editing
studio M.C.M. srl – ACSys spa”).
47
III.1.3 Exedra duplex: i « Summi Viri » e la « Gens Iulia »
Prima di analizzare le esedre che si nascondevano aldilà dei portici, bisogna tener
conto che gli unici accessi noti al foro sono quelli da Nord ma non quelli da Sud
che, probabilmente, dobbiamo ritenere fossero i privilegiati data la maestosità del
tempio di Mars Ultor e l’importanza del programma figurativo che esso
racchiudeva.
Considerando ciò bisogna tener conto dell’impossibilità, per chi entrasse da sud,
di vedere le esedre: la prima impressione che si percepisce è di una costruzione di
tipo classico, molto simile all’attiguo Foro di Cesare91.
Solo avanzando ci si rende conto di quello che si trova al di là del porticato, è una
scoperta progressiva che si completa solo ai piedi della scalinata del tempio,
sull’asse delle esedre stesse e al centro del ‘‘sistema di immagini’’ augusteo.
Su una linea ideale in corrispondenza del tempio, sul fondo dei portici, undici
possenti pilastri compositi in cipollino schermano l’interno delle ampie esedre
monumentali, nascondendo una nuova dimensione spaziale ideata per la messa in
atto del complesso discorso di propaganda ideologica.
I pilastri, completati verso i portici da semicolonne, si allineano a quelle in giallo
antico dei lati lunghi dei portici, sorreggendo sia la travatura di copertura del portico sia la facciata rettilinea delle esedre verso i portici, realizzata con un ordine
superiore in marmo africano. Le esedre, a loro volta, presentano due ordini a parete che inquadrano nicchie rettangolari: il primo con semicolonne in cipollino che
rispecchiano i pilastri, il secondo con semicolonne in giallo antico. Il fregio del
primo ordine è a nastro continuo, di discendenza tardo-repubblicana, noto anche
nelle produzioni di terracotta del tipo ‘‘Lastra Campana’’.
L’altezza complessiva dei due registri delle esedre è di 21 metri: il primo, a causa
della curvatura, presenta nicchie leggermente più strette rispetto a quelle dei
portici (Fig. 45).
Le esedre ospitavano i maggiori cicli statuari di cui parlano le fonti, corredati da
tituli ed elogia su tabulae affisse sotto le statue. Attraverso la titolatura dei
personaggi rappresentati e il racconto delle loro gesta per la grandezza di Roma, si
realizzava un piano di comunicazione della propaganda augustea.
91
MAGGI 2002
48
| Fig. 45 Ricostruzione grafica dell'esedra settentrionale del Foro di Augusto allestita a tribunale
(da UNGARO 2007)
49
Le incorniciature delle nicchie erano molto varie: i due tipi fondamentali sono
quelli a meandro, che si presentano sia in verticale sia in orizzontale, e quelle ad
anthemion, per una disposizione orizzontale (Fig. 46).
| Fig. 46 Frammenti in marmo lunense pertinenti alle decorazioni di una nicchia della parete di
fondo dei portici che risulta analoga a quella delle esedre (da UNGARO 2007).
Le statue inserite nelle nicchie avevano una profondità di circa 50 centimetri,
come i basamenti, lavorati su tre facce, sui
quali erano situate.
Al centro di ogni esedra si apre una nicchia
molto ampia, profonda 3.25 e larga 4.80
metri, delimitata dall’abbinamento di pilastri
e colonne in cipollino (Fig. 47).
È possibile ipotizzare che il programma
figurativo delle due esedre fosse simmetrico
e
complementare:
l’uno
incentrato
su
Romolo, l’altro su Enea.
Nella
nicchia
centrale
dell’esedra
settentrionale si ritiene fosse collocato il
gruppo scultoreo di Enea che fugge da Troia | Fig. 47 Assonometria della nicchia
centrale delle esedre, sistema binato
pilastro-colonna e semicolonna in
cipollino (da UNGARO 2007).
50
ponendo in salvo i Penati, il padre Anchise e il
figlioletto Ascanio: l’incipit fondamentale della
gens Iulia.
Nelle nicchie laterali figuravano i re mitici di
Albalonga, di cui sono documentati Enea Silvio,
Alba Silvio e Proca Silvio, probabilmente con vesti
e calzari più arcaici, a rappresentare le origini di
Roma.
Nell’esedra meridionale, invece, era collocato
Romolo raffigurato come eroe vittorioso che
trasporta le spolia opima. Ai lati di Romolo
figurano i summi viri, coloro che hanno fatto la
grandezza di Roma sotto ogni | Fig. 48 Parte inferiore di una gamba lambita dalla
toga, caratterizzata dal mulleus, di raffinata fattura in
aspetto, militare e civile, secondo morbida pelle aderente al piede e alla gamba, sostenuta
di stringhe con asole decorate e fiori di
l’ideologia
del
principato dall’intreccio
loto. (UNGARO 2007)
augusteo. La toga con cui sono
rappresentati
i
summi
viri
simboleggia l’impegno civile e
religioso di moralizzazione della
società a cui la nuova classe
dirigente a Roma, e in tutte le
provincie, deve far riferimento.
Associati a questa veste troviamo
sia calzari tipici delle cariche
militari, i mullei dall’elegante
modello in pelle con lacci passanti
entro asole decorate con motivi a
fiori di loto, sia quelli tipici delle
figure togate, i calcei suddivisi per
tipologia a seconda della classe
sociale. (Fig. 48; 49; 50)
Tra i summi viri troviamo persino
quei
magistrati
della
| Fig. 49 Statua frammentaria maschile stante
Tarda corazzata in marmo lunense (da UNGARO 2007)
51
Repubblica
che
erano
stati
coinvolti in lotte fratricide, come
Mario e Silla, Tiberio Sempronio
Gracco e Giulio Cesare Strabone,
come a dimostrare la totale
volontà
di
pacificazione
universale e quindi il tentativo di
imporre
l’oblio
sulle
guerre
civili92.
La
varietà
testimoniata
degli
anche
stili
da
è
alcuni
esemplari velato capite, riferiti a
figure sacerdotali, e da ritratti di
grande interesse attribuiti al Foro,
conservati in vari musei esteri,
come il cosiddetto Mario e il | Fig. 50 Statua frammentaria maschile stante togata, in
marmo lunense, ricomposta da due frammenti
cosiddetto Silla, ora a Monaco di combacianti (UNGARO 2007).
Baviera, nonché da figure femminili (Figg. 51 - 52).
| Fig. 51 Il cosiddetto Mario,
Monaco di Baviera, Gliptoteca
| Fig. 52 Il cosiddetto Silla,
Monaco di Baviera, Gliptoteca
Tra i molti reperti tuttora conservati nei depositi capitolini ben poco sembra
92
LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 p. 81
52
attribuibile ai famosi personaggi rappresentati nelle nicchie centrali, in compenso
alcune fonti iconografiche e soprattutto alcuni rinvenimenti eccezionali nelle
provincie ispaniche aiutano a ricostruire il programma figurativo.
Oltre due piccoli affreschi pompeiani, che documentano con assoluta chiarezza le
forme iconografiche dei due gruppi (Figg. 53-54), abbiamo la possibilità di
| Fig. 53 Affresco da Pompei in cui è raffigurato | Fig. 54 Affresco da Pompei in cui è
raffigurata la fuga di Enea da Troia, con il
Romolo con le spolia opima
padre Anchise, il figlio Ascanio e i Penati
analizzare i gruppi centrali ritrovati a Merida e Cordova, dove il modello del
programma figurativo del Foro di
Augusto viene esportato per dar
luogo a complessi monumentali di
grande interesse come il ‘‘Foro di
marmo’’ di Augusta Emerita, antica
capitale della Lusitania, odierna
Merida e come il Foro di Cordova,
antica capitale della provincia | Fig. 55 Frammento di basamento con iscrizione di
Enea, in marmo lunense, dalla nichia di fondo
senatoriale della Betica.
dell’esedra dei portici: « Aen[e]a[s primis ] /
Da Merida proviene il gruppo di Latin[orum rex] / regnav[it annos III »
Enea (Fig. 56), dove è rappresentata la fuga da Troia. La ricostruzione del gruppo,
proposta da Walter Trillmich, rappresenta Enea in abiti romani che porta in salvo i
Penati, l’anziano padre e il figlio che proseguirà la stirpe. Tra le iscrizione
ritrovate nel Foro di Augusto risalta un frammento di titulus riferito proprio a
Enea ‘‘primo re dei Latini che regnò per tre anni’’ (Fig. 55).
53
| Fig. 56 Prospetto ricostruttivo della nicchia centrale nell’esedra settentrionale, con l’inserimento
del gruppo statuario di Enea, Anchise e Ascanio, dal gruppo di Merida (da UNGARO 2007).
La
statua
di
Cordova
è
ancora
controversa: un personaggio maschile in
movimento veste una loricata associata
al paludamentum sulla spalla e una corta
veste sulla parte inferiore del tronco,
tipica di una figura mitica (Fig. 57).
Romolo recava gli spolia opima sulla
spalla; a queste si potrebbero attribuire le
tracce presenti sulla spalla destra della
statua.
Ai
materiali
ritrovati
nel
Foro
di
Augusto, appartiene un frammento di
| Fig. 57 Calco in resina di statua maschile stante
loricata frammentaria, raffigurante Romolo o Enea,
dalla collezione Tienda, Museo Archeologico di
Cordova (da UNGARO 2007).
54
calzare più grande del vero che potrebbe essere riferibile a uno dei personaggi
centrali, per le proporzioni e per la fattura, trattandosi di un mulleus riccamente
decorato con stringhe e borchie applicate93 (Fig. 58).
| Fig. 58 Frammento di statua maschile di dimensioni maggiori del vero: dorso del piede destro
calzato con mulleus, arricchito da pelle leonina e borchie, in marmo lunense, e disegno
ricostruttivo (da UNGARO 2007).
La pavimentazione dell’esedre è costituita da lastre rettangolari in marmo africano
e giallo antico, prive di bordura (Fig. 59).
| Fig. 59 Pavimentazione marmorea dell’esedra settentrionale del Foro di Augusto
(da UNGARO 2007).
93
LA ROCCA–UNGARO-MENEGHINI 1995 pp. 158-167
55
III.1.4 L’ambito giudiziario e amministrativo del Foro di Augusto
« Fori exstruendi causa fuit hominum et iudiciorum multitudo,
quae videbatur non sufficientibus duobus etiam tertio indigere;
itaque festinatius necdum perfecta Martis aede publicatum est cautumque,
ut separatim in eo publica iudicia et sortitiones iudicum fierent »
Svetonio, Vita divi Augusti, XXIX, 1-2
Fondamentale è la descrizione di Svetonio sulle motivazioni che portarono alla
costruzione del Foro di Augusto in cui compare la necessità di nuovi spazi per le
attività giudiziarie in quanto i due fori precedenti, il Foro Repubblicano e il Foro
di Cesare, non erano più sufficienti ad accogliere la moltitudine di persone che
prendevano parte ai processi.
Grazie ad uno studio di E. Carnabuci, che ha preso spunto dall’analisi di G.
Camodeca su alcune tavolette cerate ritrovate a Ercolano e a Murecine, abbiamo
importati informazioni sul luogo e sulla modalità con la quale si svolgevano le
attività giudiziarie.
Le tavolette custodite nei due antichi archivi privati campani, menzionanti i
tribunali del foro di Augusto, provengono dalla casa del Bicentenario ad Ercolano
e dal cosiddetto Portico a Triclini in località Murecine a sud di Pompei, dove sono
state rinvenute rispettivamente negli anni ‘30 e nel luglio del 1959. Queste
tavolette, oltre ad essere una fonte di primaria importanza per la prassi giuridica di
età Giulio Claudia, hanno fornito preziose informazioni anche sulla topografia del
Forum Augustum. Queste fonti vadimoniali, in cui sono descritte, con molta
precisione, le indicazioni per gli appuntamenti delle parti nell'ambito della fase
preliminare dei processi condotti dal pretore urbano e peregrino, hanno
confermato l'esistenza di apposite sale di udienza dei magistrati nel foro augusteo.
Si è ritenuto di poter identificare tali ambienti nei grandi emicicli aperti ai lati
della piazza augustea94. Gli atti processuali ercolanensi riconducono, infatti, a
procedimenti tenuti al foro di Augusto dal pretore urbano, mentre quelli
pompeiani alludono a dibattimenti presieduti dal pretore peregrino.
Gli atti di citazione considerati ricordano, in particolare, i luoghi di comparizione
in iure del convenuto, esplicitamente stabiliti, davanti allo stesso tribunale del
È del Castagnoli l’ipotesi che i tribunali pretorii si trovassero nelle esedre del Foro di Augusto
(CASTAGNOLI 1950, p. 75)
94
56
pretore urbano o al tempio di Marte Ultore, e in prossimità di alcune fra le
numerose sculture presenti nel complesso forense, indicate con il relativo
numerale, quali le statue di Diana Lucifera, di Tiberio Sempronio Gracco o del
console Gneo Sentio Saturnino95. Occorre sottolineare che le fonti giuridiche
analizzate hanno fornito una prova dell'esistenza, finora non ancora verificata, di
queste statue nel Foro di Augusto. In particolare, la statua di Diana Lucifera è
ricordata nella tavoletta ercolanese N. 6, che menziona esplicitamente il luogo
d'incontro delle parti « ante signum Dianae Luciferae ad columnam X». Si ritiene
che la decima colonna citata sia quella del portico antistante l'emiciclo
settentrionale del Foro, da identificare con il tribunale del pretore urbano,
collocato nel settore della piazza destinato alla glorificazione dei mitici antenati di
Augusto, discendenti della stirpe di Enea, il nume protettore della gens Iulia. Si
reputa poi che il portico antistante debba essere riconosciuto con la Porticus Iulia,
citata nella tavoletta ercolanese N. 89, dove si legge come su alcune colonne di
questo portico, situato di fronte al tribunale del pretore urbano, era affisso l'editto
del magistrato giurisdicente, da cui era stata tratta una copia conforme.
L'analoga e simmetrica struttura orientale, dove erano raffigurati Romolo e i
summi viri, come si evince dalla lettura delle tavolette provenienti dalla villa
pompeiana in località Murecine di proprietà della famiglia puteolana dei Sulpicii,
era destinata a ospitare il tribunale del pretore peregrino
L'esistenza del tribunale del pretore peregrino nel Foro di Augusto è confermata
dalla qualifica del convenuto, in TPSulp. 13 e 14, come peregrinus Trupho
Alexandrinus96.
In questi documenti vadimoniali pompeiani, come in TPSulp. 27, compare la
medesima indicazione del luogo di comparazione concordato fra le parti, la statua
triumphalis di Cn. Sentius Saturninus, la cui presenza nella piazza monumentale
dedicata ad Augusto era rimasta assolutamente ignota prima del rinvenimento
delle tavolette; il personaggio rappresentato dovrebbe essere identificato con il
console del 41 d.C., che ricevette nel 44 d.C. gli ornamenta triumphalia di
Claudio, a seguito del vittorioso esito della campagna militare contro i Britanni.
Infine si ricorda la TPSulp. 19, che menziona la statua Gracci, situata ad
Vedi TH 6; TPSulp. 19; TPSulp 13,14 e 27 in MENEGHINI – SANTANGELI VALENZANI 2006, pp.
193-196
96
CAMODECA 1986 p. 177
95
57
columnam quartam proxume gradus, raffigurante con ogni probabilità Tiberio
Sempronio Gracco. Appare probabile che le strutture di supporto necessarie alle
attività
giudiziarie
espletate
dai
pretori,
collocate
sopra
la
lussuosa
pavimentazione marmorea degli emicicli, fossero realizzate in legno. Ci si
riferisce in particolare al suggestus, il palco sopraelevato sul quale era collocata la
prestigiosa sella curule del magistrato e alla vasta pedana di forma semicircolare
che ospitava il subsellia, caratteristici sedili dove prendevano posto i numerosi
componenti del consilium giudicante.
La scoperta, avvenuta nell'ambito dell'indagine intrapresa nel 2004 dalla
Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, di un terzo imponente
emiciclo disposto lungo il portico Nord-Occidentale, obliterato dalla costruzione
della corte porticata traianea, ha rimesso completamente in discussione la
topografia di un'ampia porzione del complesso rendendo necessarie nuove
indagini sia archeologiche che topografiche.
Alla luce dei risultati forniti dai nuovi e più ampi scavi condotti nell'area
dell'emiciclo, si afferma un impianto completamente diverso rispetto a quello
delle due esedre finora note. Le differenze riguardano sia le dimensioni
complessive, in quanto più piccolo rispetto alle esedre maggiori, sia la
disposizione dello spazio interno, più articolata, infatti l’esedra minore doveva
apparire aperta verso il portico antistante con una complessa soluzione
architettonica.
Nel terzo emiciclo, data la sua configurazione architettonica più piccola e
caratterizzata da murature portanti, appare suggestiva l'ipotesi di collocarvi gli
armaria, gli scaffali che contenevano il materiale documentario dei magistrati
giurisdicenti.
La demolizione dei due emicicli minori, si ipotizza fortemente la presenza di un
quarto emiciclo speculare, sarebbe da far risalire alla costruzione della Basilica
Ulpia, che avrebbe ereditato le funzioni svolte all'interno dei due emicicli minori
del foro di Augusto, nell'ambito di un trasferimento di una parte consistente delle
attività giudiziarie.97
97
MENEGHINI 2009, pp. 104-126
58
III.2 Il tempio di Mars Ultor
III.2.1 Votum e Dedicatio: la descrizione di Ovidio
« Fallor, an arma sonant? Non fallimur, arma sonabant:
v. 550
Mars venit et veniens bellica signa dedit.
Ultor ad ipse suos caelo descendit honores
templaque in Augusto conspicienda foro.
Et deus est ingens et opus: debebat in urbe
non aliter nati Mars habitare sui.
v. 555
Digna Giganteis haec sunt delubra tropaeis:
hinc fera Gradivum bella movere decet,
seu quis ab Eoo nos impius orbe lacesset,
seu quis ab occiduo sole domandus erit.
Perspicit Armipotens operis fastigia summi,
v. 560
et probat invictas summa tenere deas;
perspicit in foribus diversae tela figurae,
armaque terrarum milite victa suo.
Hinc videt Aenean oneratum pondere caro
et tot Iuleae nobilitatis avos;
v. 565
hinc videt Iliaden umeris ducis arma ferentem,
claraque dispositis acta subesse viris.
Spectat et Augusto praetextum nomine templum,
et visum lecto Caesare maius opus.
Voverat hoc iuvenis tum cum pia sustulit arma:
v. 570
a tantis princeps incipiendus erat.
Ille manus tendens, hinc stanti milite iusto,
hinc coniuratis, talia dicta dedit:
‘‘Si mihi bellandi pater est Vestaeque sacerdos
auctor, et ulcisci numen utrumque paro,
59
v. 575
Mars, ades et satia scelerato sanguine ferrum,
stetque fauor causa pro meliore tuus.
Templa feres et, me victore, vocaberis Ultor.’’
Voverat, et fuso laetus ab hoste redit.
Nec satis est meruisse semel cognomina Marti:
v. 580
persequitur Parthi signa retenta manu.
Gens fuit et campis et equis et tuta sagittis
et circumfusis inuia fluminibus;
addiderant animos Crassorum funera genti,
cum periit miles signaque duxque simul.
v. 585
Signa, decus belli, Parthus Romana tenebat,
Romanaeque aquilae signifer hostis erat;
isque pudor mansisset adhuc, nisi fortibus armis
Caesaris Ausoniae protegerentur opes.
Ille notas veteres et longi dedecus aevi
v. 590
sustulit: agnorunt signa recepta suos.
Quid tibi nunc solitae mitti post terga sagittae,
quid loca, quid rapidi profuit usus equi?
Parthe, refers aquilas, uictos quoque porrigis arcus:
pignora iam nostri nulla pudoris habes.
v. 595
Rite deo templumque datum nomenque bis ulto,
et meritus voti debita solvit honor. »
Ovidio, Fasti, V, vv. 549-596
L’epiteto Ultor associato a Marte non compare nel culto primitivo della antica
divinità italica della guerra, che in epoca arcaica era venerata con l’appellativo di
Gravidus: l’epiteto Ultor, infatti, è documentato dalle fonti solo a partire dalla II
metà del I sec a.C. e in stretta connessione con Ottaviano-Augusto98.
Sono i versi di Ovidio la testimonianza più antica, estesa e dettagliata sui cui si è
soffermata la moderna storiografia, versi che celebrano l’anniversario della dedica
del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, avvenuta come sappiamo da
98
AMIOTTI 1998, p. 167
60
Velleio Patercolo durante il consolato di Augusto e di L. Canio Gallo nel 2 a.C. 99.
Il poeta immagina l’epifania di Marte Ultore che discende dal cielo nel foro di
Augusto e nel tempio, di cui è esaltata la grandiosità degna della grandezza del
dio (vv. 549-553). Ovidio riproduce nei Fasti l’invocazione votiva con la quale il
giovane erede di Cesare promette al dio della guerra, in cambio della protezione
sul campo di battaglia, un tempio e l’attributo di Ultor, idoneo alle circostanze e
alle motivazioni del conflitto. Il tempio di Marte Ultore, che rappresenta il fulcro
originario del foro, scaturisce da un voto felicemente (laetus) esaudito (voverat)
per una vittoria militare (me victore .. fuso .. ab hoste) che racchiude in se anche
una vendetta privata (vocaberis Ultor) (vv. 569-578).
I versi di Ovidio si riferiscono alla battaglia di Filippi del 42 a.C., quando
l’esercito dei triumviri sconfisse Bruto e Cassio, i due cesaricidi. A conferma di
Ovidio troviamo anche Svetonio che considera la battaglia di Filippi pro ultione
paterna100.
La premessa del distico elegiaco ovidiano rispetta la tradizione trionfale che
prevedeva il gesto votivo come preludio di una guerra e la dedica ex manibus
come atto conclusivo e testimonianza della vittoria trionfale. Tuttavia la ultio
privata e le caratteristiche del bellum Philippense, se sono adatti al giovane
triumviro Ottaviano, non si addicono al princeps Augusto che intende creare un
foro dove regni un autentico trionfo realizzato a spese delle externae gentes101.
Ma durante i quaranta anni che intercorrono tra la formulazione del voto e il suo
scioglimento, il progetto originario si adegua alla nuova dimensione augustea: la
dedica a Marte Ultore viene scrupolosamente osservata, ma viene ‘‘nascosta’’ la
ultio privata e il conflitto civile, sovrapponendo a essi una seconda ultio al fine di
riabilitare il nome della res publica. Si tratta della vendetta di Carre, avvenuta
attraverso il recupero delle insegne imperiali cadute nelle mani dei Parti dopo
l’uccisione di Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. (vv. 579-596).
La ultio, condotta contro i nemici contro cui l’esercito romano era risultato in
passato sconfitto, riveste per l’ideologia augustea un ruolo di risalto perché
VELL. PAT., Hist. Rom. II, 100, 2: ‘‘At in urbe eo ipso anno, quo magnificentissimis gladiatorii
muneris naumachiaeque spectaculis divus Augustus abhinc annos triginta se et Gallo Caninio
consulibus, dedicato Martis templo animos oculosque populi Romani repleverat […] ’’
100
Vedi supra, n. 28
101
AUG., RSDA, 3: ‘‘Externas gentes, quibus tuto ignosci potuit, conservare quam excidere
malui.’’
99
61
assicura la risoluzione di tutte le problematiche di politica estera e, di
conseguenza, la completezza della conquista ecumenica. Il recupero delle insegne
romane cadute in mano al nemico è l’espressione simbolica più alta della politica
augustea e la custodia e l’esposizione delle stesse nei penetralia del tempio di
Marte Ultore ne costituisce il compimento102.
Lo scioglimento del voto (v. 596), quindi, si compie attraverso l’offerta del
tempio a Marte bis ulto, due volte Ultore, di due vendette che non sono ritenute
accadimenti cumulativi ma eventi complementari, in quanto la prima ultio
scaturisce da una vittoria militare, mentre la seconda si lega alla sottomissione di
externae gentes103.
Il dio Marte, che nel distico ovidiano visita l’intero foro, certifica come il tempio
abbia l’apparenza di un santuario di fasti trionfali, conforme alla vocazione di
voto di guerra e di dedica manubiale (vv. 550-555).
III.2.2 Architettura e decorazioni
« mirabilem forumque divi Augusti [...]
pulcherrima operum, quae umquam vidit orbis »
Plinio, Naturalis Historia, XXXVI, 102
Salendo un’ampia scalinata di marmo bianco lunense di diciassette gradini, si
raggiungeva il maestoso edificio che presentava il colonnato su tre lati mentre
quello di fondo terminava con un’ampia abside, separata dal muraglione
retrostante da un’intercapedine. Malgrado la destrutturazione precoce del tempio,
ciò che resta dell’edificio permette di analizzare gli elementi costruttivi
dell’ordine architettonico e di considerare il tempio di Marte Ultore il primo
esempio di applicazione dell’ordine corinzio canonico romano.
Il partito architettonico giunto fino a noi comprende le tre colonne della peristasi,
con basi e capitelli, agganciate al muro della cella e al muraglione perimetrale,
sormontate dall’architrave (Fig. 60); il soffitto del corridoio tra le tre colonne e il
muro della cella con due grandi lacunari a cassettoni, decorati entrambi da cornici
rientranti e da un rosone centrale; specchiature rettangolari, situate tra i lacunari,
102
CRESCI MARRONE 2004, p. 111
CRESCI MARRONE 2004, p. 172
103
UNGARO 2007, p.129
103
62
| Fig. 60 Le tre colonne della peristasi superstiti sormontate dall’architrave.
decorate con meandro a svastica continuo e lo spigolo interno tra il muro della
cella e la parete di fondo del corridoio (Fig. 61).
| Fig. 61 Il soffitto del corridoio tra le colonne della peristasi e il muro della cella.
Dalle analisi dei resti possiamo comprendere come si componeva il colossale
ordine esterno: sostenute dall’imponente podio, alto circa 4,55 metri, realizzato in
blocchi di tufo di Grottaoscura e rivestito in marmo bianco lunense, si slanciavano
otto colonne in facciata e sette per lato, collocate su basi attiche con plinto, con il
fusto scanalato composto da più rocchi e sormontate da capitelli corinzi realizzati
con due blocchi sovrapposti. Al di sopra di questi l’imponente trabeazione, con
63
l’architrave tripartito diviso in blocchi in senso longitudinale, che anticipava il
fregio liscio costituito anch’esso da due blocchi sovrapposti.
Sul soffitto con cassettoni della peristasi, sorretto da mensole, grazie ai lavori di
restauro realizzati nel 1988 e nel 1996, sono state rivelate ampie tracce di
coloritura: blu egizio sul fondo delle svastiche dei meandri, terra verde sulle
rosette al centro dei cassettoni, forse attribuibile al preparato per la doratura104.
| Fig. 62 Rappresentazione del Tempio di Marte Ultore nel rilievo dell’Ara Pietatis Augustae,
particolare del frontone dal calco del Museo della Civiltà Romana.
Le decorazione del frontone è nota grazie al rilievo dell’Ara Pietatis Augustae,
innalzata sotto l’imperatore Claudio, che riproduce l’ordine architettonico esterno,
le figure del frontone e le vittorie acroteriali (Fig. 62). Al centro è raffigurato
Marte, in un’iconografia non comune, barbuto, con un elmo a tre creste, ma senza
corazza, coperto da un leggero mantello che gli ricade sulle gambe lasciando
scoperto il torso, nella mano destra impugna una lancia o uno scettro mentre la
mano sinistra è ferma sulla spada riposta nel suo balteo. Alla sua destra è
raffigurata Venere con un piccolo Eros sulla spalla, alla sua sinistra la Fortuna con
cornucopia e timone, dal lato di Venere la figura maschile di Romolo in abito
pastorale e in veste di augure, che rappresenta il fausto auspicio della fondazione
di Roma, mentre accanto alla Fortuna siede la dea Roma victrix seduta sulle armi
in veste amazzonica con scettro e scudo. Agli estremi del frontone troviamo il
Tevere, reclino su un orcio da cui fluisce l’acqua circondato da canne palustri, e il
Palatinus mons, il colle della Roma Quadrata, della casa di Romolo e di quella di
Augusto, lo spazio delle origini sacre della città.
Due Vittorie fungono da acroteri del timpano, alle quali Rinaldi Tufi fa risalire il
piede di bronzo rinvenuto, durante gli scavi dello scorso secolo, dinanzi al tempio
104
UNGARO 1998, pp. 250-251
64
di Marte Ultore105. Si tratta di un piede sinistro, la cui punta delle dita poggia a
terra mentre la caviglia è sollevata, che suggerisce una statua alta non meno di tre
metri sulla cui pianta del piede si innesta un tenone in piombo rivestito in bronzo,
attraversato da una sbarra di ferro, probabilmente unico punto d’appoggio della
grande statua raffigurata nell’atto di spiccare il volo (Fig. 38).
Nella scalinata del tempio dovevano essere inseriti l’altare al centro e ai lati due
fontane a cui potrebbe far riferimento un basso fregio a girali (Fig. 63).
| Fig. 63 I blocchi del fregio a girali accostati e la ricostruzione del motivo vegetale (UNGARO
2007).
Dall’esterno del tempio in marmo bianco il pavimento del pronao, realizzato in
lastre
di
marmi
colorati,
introduce attraverso un’ampia
porta alla cella, riccamente
decorata e ricoperta da marmi
policromi, a cominciare dal
pavimento. L’ampio modulo a
griglia
costituito
rettangolare
da
fasce
è
in
pavonazzetto, che si alternano
a quadrati in giallo antico e
racchiudono rettangoli bordati
in africano, contenenti lastre
in pavonazzetto (Fig. 64). | Fig. 64 Pavimentazione marmorea della cella del Tempio
Lungo le pareti, su un alto di Marte Ultore (da UNGARO 2007).
podio continuo, si elevavano due ordini binati di colonne libere e retrostanti
105
Vedi pp. 42-43
65
lesene, dai fusti in pavonazzetto e sormontate da capitelli corinzi di elevata
eleganza, intagliati in marmo lunense statuario. Sul fondo delle pareti dovevano
essere ricavate delle specchiature appena accennate, che inquadravano
probabilmente delle statue106.
Molto famose risultano essere la decorazione dei capitelli e delle basi di lesena del
primo ordine grazie a un esemplare quasi intatto con la rappresentazione, nella
parte superiore, di cavalli alati, ovvero pegasi, che nascono da eleganti girali
d’acanto, sostenuti dal registro inferiore da foglie in stile corinzio molto rigido.
Nel particolare possiamo osservare come si differenzino le due parti del capitello:
la parte inferiore del kalathos è ricoperta da foglie di acanto dalle cime ripiegate e
aggettanti, mentre nella metà superiore i cavalli alati dalla criniera arcaizzante
presentano le ali trasformate in foglie di acanto con la cima ripiegata a spirale. I
cavalli sostengono gli spigoli dell’abaco al posto delle normali volute ed
emergono da un tralcio rivestito da foglie di acanto a spirale che terminano in una
| Fig. 65 Capitello corinzieggiante figurato con cavalli alati, pegasi, di lesena, in marmo lunense,
proveniente dal primo ordine della decorazione interna della cella del Tempio di Marte Ultore
(da UNGARO 2007).
106
UNGARO 2007, pp. 132-133
66
rosetta107 (Fig. 65).
Punto focale del tempio era l’abside, poco profonda ma molto larga, racchiusa da
lesene e sopraelevata su cinque alti gradini impreziositi dal rivestimento delle
alzate in alabastro e dal piano di calpestio in pavonazzetto.
Qui era ospitato il gruppo cultuale composto da una statua di Venere a fianco di
Marte Ultore. Per lungo tempo i tentativi d’identificazione del tipo cultuale qui
rappresentato sono stati influenzati della descrizione che ne fa Ovidio nei Tristia:
« venerit in magni templum, tua munera,
Martis stat Venus Ultori iuncta, vir ante fores » 108
Ovidio menziona il foro di Augusto affermando che al suo interno verrebbero
riuniti gli ‘‘amanti’’ Marte, qui rappresentato nelle sue funzioni di seduttore, e
Venere, iuncta a Marte, mentre Vulcano sarebbe rimasto ante fores.
È stato allora proposto di riconoscere il gruppo in un tipo Marte-Venere di cui
abbiamo numerose repliche. Il ritrovamento di due
frammenti di statue, di cui uno appartenente a un
Ares Borghese e l’altro ad un’Afrodite del tipo
Capua hanno rafforzato questa tesi (Fig. 66). 109
Tuttavia
il
fram-
mento, che raffigura
parte del
collo di
Marte con il balteo a
tracolla e una mano
femminile che poggia
sulla sua spalla, non | Fig. 66 Frammento di gruppo statuario raffigurante Marte e Venere,
marmo pario e il disegno ricostruttivo realizzato sul modello del
può riferirsi al gruppo in
gruppo conservato presso il Museo Nazionale Romano (da UNGARO
cultuale sia perché il 2007).
frammento individua statue di piccolo formato sia perché l’Ares Borghese non
può essere interpretato come un Mars Ultor, dato che non doveva essere giovane
ma maturo, con una barba folta e consistente110. Probabilmente è stata l’atmosfera
Vedi GROS 1976 pp. 192-194 per una più ampia dissertazione sull’eventuale ruolo simbolico
dei pegasi in relazione a Marte.
108
OV. Trist, II, v. 295
109
L’ORANGE 1973
110
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, pp. 79-80; GROS 1976, p.166
107
67
dell’epigramma che ha portato Ovidio a definire iuncta le due divinità originarie
dei Romani, o ancora è verosimile, data l’alta fattura dei frammenti in marmo
pario, che il gruppo in questione fosse verosimilmente uno dei capolavori che
decoravano la cella111.
L’autentico gruppo cultuale invece, secondo la maggior parte degli archeologi,
potrebbe essere identificato con l’aiuto di una celebre base da Cartagine, ora ad
Algeri, nella quale sono raffigurate in altorilievo tre statue di culto: Marte barbuto
al centro, in corazza anatomica, scettro e scudo, con elmo a una cresta sul capo;
alla sua destra Afrodite, appoggiata a un pilastrino, con un erote che le porge una
piccola spada; alla sua sinistra una figura giovanile seminuda, con mantello che
gli ricade sui fianchi (Fig. 67).
| Fig. 67 Rilievo di Cartagine, ora conservato a Algeri, dove sono raffigurate le statue di culto
presenti nella cella del tempio di Marte Ultore (da LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995).
Il passaggio della spada di Marte a Venere, da parte dell’amorino, è in tale
evidenza da suggerire un’interpretazione allegorica che vede Marte disarmato da
Amore, alludendo alla pace ottenuta da Augusto dopo la giusta guerra.
La figura di Marte invece è ravvisabile in un colosso marmoreo dell’età dei Flavi
(Fig. 68), ora ai Musei Capitolini, dove il dio è raffigurato nelle vesti di una
111
ZANKER 1989, p. 210-215
68
solenne figura paterna dalla folta
barba.
Nel rilievo dell’Ara Pietatis Augustae
Marte è raffigurato ancora Iuvenis,
una figura giovanile, nuda e arcaica,
come in un denario del 17 a.C. in cui è
raffigurata
una
arcaicizzante
receptis,
che
sua
insieme
rivela
statua
ai
un
signa
aspetto
aggressivo: poggia il piede sul globo
con gesto trionfale ed è armato di
lancia e di spada (Fig. 69).
Nella statua porta, invece, porta una
corazza riccamente decorata, un elmo
sontuoso, le gambiere, la lancia e lo
scudo. Mentre la corazza è nello stile
del tempo, l’elmo con le sfingi e i
cavalli alati è ripreso dall’Athena | Fig. 68 Statua di Marte ritrovata nel foro di
Nerva e attualmente conservata nei Musei
Parthenos di Fidia. La barba e il volto Capitolini.
richiamano una statua di tipo attico, mentre il ricco ornamento della corazza e
dello scudo è
piena
di
lusioni
alalla
realtà contemporanea.
Sullo
scudo
compariva una
corona civica
mentre
sulla
| Fig. 69 Denario, 17 a.C., raffigurazione statua arcaicizzante di Mars Ultor
affiancata dalla scritta ‘‘signa receptis’’ (da ZANKER 1989).
corazza dominano due grifi, che insieme al gorgoneion alludono alle distruttrici
armi di Marte. I grifi potevano essere interpretati dagli osservatori come simboli
di Nemesi, dea della vendetta, oppure di Apollo, tuttavia poggiano su una grossa
palmetta munita di tralci, e fra questi ultimi cresce una sorta di pianta a forma di
candelabro. Le cornucopie incrociate che compaiono sulle spalle non lasciano
69
dubbi all’interpretazione: il nuovo, o meglio, il vecchio Marte è diventato il
guardiano della Pace.
Riguardo il terzo personaggio giovanile, per lungo tempo è stato riconosciuto
come Giulio Cesare divinizzato, in virtù di un foro all’altezza della fronte
destinato a reggere una stella in bronzo, simbolo connesso alla rappresentazione
del Divo Giulio112. Tuttavia questa raffigurazione non sembra essere
d’appannaggio del solo Cesare in quanto utilizzata anche dai suoi discendenti. Da
questa considerazione un brano di Tacito sembra offrire una soluzione:
«[..] effigiemque eius pari magnitudine ac Martis Ultoris
eodem in templo censuere [..] »113
Nel 54 d.C. il Senato, per celebrare le vittorie di Corbulone in Armenia, stabilì di
erigere una effigies del giovane Nerone, di misura pari a quella di Marte Ultore,
nel tempio omonimo. La proposta avanzata dal Martin114 è avvalorata
dall’acconciatura dei capelli del giovane, assai simile a quella dei ritratti di
Nerone al momento della sua ascesa al principato.
La cella accoglieva, oltre le insegne militari recuperate probabilmente affisse
lungo le pareti e sull’abside stessa, anche altre statue di divinità che ampliavano la
decorazione del Foro. Ne danno notizia tra gli altri Pausania, Plinio e Marziale:
Pausania115 ricorda una statua in avorio di Athena Alea, opera di Endois, situata
nel tempio della dea a Tegea, che fu presa da Augusto all’epoca delle sue lotte con
Marco Antonio; di un Apollo eburneus sappiamo da Plinio116; di una Diana
Lucifera, forse riconducibile alla statua citata nelle tavolette di Murecine, dinanzi
ai quali si stipulavano affari in denaro ne parla Marziale che, come egli stesso
ricorda, applicava il sigillo sulle sue carte117; infine ancora Plinio afferma che
all’ingresso del tempio di Marte Ultore erano collocate due statue bronzee
pertinenti al tabernaculum di Alessandro Magno118, un probabile omaggio al
grande Macedone che rientra nella mai sopita imitatio Alexandri, poi esplicitata
SUET., Caes, 88: ‘‘[..] stella crinita per septem continuos dies fulsit exoriens circa undecimam
horam, creditumque est animam esse Caesaris in caelum recepti; et hac de causa simulacro eius in
vertice additur stella. [..]
113
TAC. Ann., XIII, 8, 1
114
MARTIN 1988, pp. 55-64
115
PAUS., Perieg., VIII, 46
116
PLIN., Nat. Hist., VII, 53
117
MART., X, 70, 7-8
118
PLIN., Nat. Hist., XXXIV, 48
112
70
nei dipinti presenti nell’Aula del Colosso.
III.3 L’aula del Colosso
L’Aula
del
Colosso
venne scoperta grazie gli
scavi
condotti
dal
Governatorato di Roma
dal 1924 al 1933.
Fu riscoperta la maggior
parte
della
originaria
elementi
mento
struttura
e
molti
del
rivesti-
parietale
che
furono ricollocati in situ
seguendo
presenti
le
nella
tracce
mura-
tura119.
L’Aula è un ambiente
racchiuso
nell’angolo
Nord-Occidentale
del
Foro, sul fondo dell’
ampio
portico
set-
tentrionale, nella posizione tipica dei sacelli
| Fig. 70 Veduta esterna dell’Aula del Colosso dal portico (da
connessi alle basiliche120, UNGARO 2007)
ed è così denominata perché contiene un basamento sul quale doveva collocarsi
una statua di grandi dimensioni (Fig.70).
III.3.1 La grandiosa decorazione ‘‘illusionistica’’
Il pavimento dell’Aula è realizzato in lastre di pavonazzetto e giallo antico ed è
delimitato da una fascia di marmo cipollino che segue l’andamento delle pareti
(Fig.71).
119
120
LA ROCCA -UNGARO - MENEGHINI 1995, p. 63-73
GROS 1976, p. 124 in particolare riguardo il rapporto aedis-basilica sotto aspetti differenti
71
In uno spazio piuttosto esiguo, 12 per 13 metri,
dall’accentuato sviluppo verticale, l’aula ha una
divisione
modulare
delle
pareti
molto
semplificata rispetto alla maggiore articolazione
delle esedre e dei portici, ma simile al tempio di
Marte Ultore. Le parete Nord-Ovest, su cui
poggia l’edificio della Casa dei Cavalieri di
Rodi, raggiunge i 25 metri di altezza e il buono
stato di conservazione consente di ricostruirne la | Fig. 71 Pavimentazione marmorea
dell’Aula del Colosso (da UNGARO
decorazione inferiore riferibile, probabilmente, 2007).
anche alla parete Sud-Ovest, della quale rimangono pochi resti.
La parete è realizzata in tufo rosso dell’Aniene ed è caratterizzata da un ordine
architettonico composto da quattro paraste scanalate in marmo pavonazzetto
sovrastate da quattro capitelli corinzi, in marmo bianco di Luni, che presentano
tracce di decorazione policroma dipinta in blu egizio. Lo spazio tra le paraste
presenta una scansione orizzontale in tre fasce. La prima era decorata da un fregio
a palmette e fiori di loto ed interamente rivestita di lastre in marmo giallo di
Numidia. La seconda fascia doveva rappresentare il fulcro decorativo della parete.
In essa, delimitate al di sopra da eleganti cornici aggettanti in marmo bianco
lunense, si evidenziano, intagliati nel tufo, tre incassi rettangolari per
l’alloggiamento di quadri: una tabula centrale più grande affiancata da due
tabulae più piccole. È comunemente accettata l’opinione che negli incassi
maggiori delle pareti laterali si trovassero i due quadri di Apelle di cui ci ricorda
Plinio:
« […] super omnes divus Augustus in foro suo celeberrima
in parte posuit tabulas duas, quae Belli faciem pictam habent et Triumphum,
item Castores ac Victoriam. posuit et quas dicemus sub artificum mentione in
templo Caesaris patris. idem in curia quoque, quam in comitio consecrabat,
duas tabulas inpressit pariet […] »121
Plinio descrive le due opere del grande artista sicionio: il primo raffigurava la
imago della guerra con le mani legate dietro la schiena e Alessandro trionfatore
sul carro; il secondo mostrava Castore e Polluce con la Vittoria e Alessandro.
121
PLIN., Nat. Hist., XXXV, 27
72
La terza fascia più piccola, ospitava invece tre quadri di dimensioni inferiori,
come si evince dagli incassi nel tufo. Nelle parete laterali, quindi, si riproponeva
in forme architettoniche quanto appariva spesso nella pittura del cosiddetto II stile
avanzato: un ordine architettonico che incorniciava, nella parte inferiore tre quadri
| Fig. 72 Veduta dell’Aula da Sud: di fronte la parete laterale, verso Nord, con l’ordine di lesene in
pavonazzetto, sulla destra la parete di fondo con il basamento, sulla sinistra le colonne ricostruite
sull’ingresso (da UNGARO 2007)
grandi racchiusi da fregi preziosi e, al di sopra, tre pannelli più piccoli122 (Fig. 72).
La parete di fondo dell’Aula ha rivelato un rivestimento costituito da lastre
rettangolari in marmo bianco lunense fino ad 11 metri d’altezza, verosimilmente
l’altezza della statua. La conservazione dei fori per le grappe per il montaggio
delle lastre e l’esame dei loro diversi spessori hanno permesso di ipotizzare un
andamento curvilineo dei motivi decorativi vegetali, tale da far pensare al disegno
delle pieghe di un tessuto utilizzato come sfondo alla statua colossale.
Tra i motivi individuati i più significativi sono: le grandi palmette alternate a più
piccole rovesce, con motivo a can corrente e che presentano una colorazione rossa
(Fig. 73a); le palmette stilizzate rovesce, anche qui con una prevalenza del color
rosso, con disegno realizzato a compasso; delle fasce caratterizzate da un onda
continua e all’interno rosette (Fig. 73b); una grande quantità di lastre con stesura
di blu egizio; alcune lastre perfettamente lisce e prive di coloritura, probabilmente
122
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 66
73
applicate alla parte alta della parete; ed infine un motivo che disegna quadrati
contenenti rosette, alternati a sole rosette, alludenti a un motivo a cassettoni, come
| Fig. 73 Frammenti di lastre dipinte in marmo lunense dall’Aula del Colosso: a) motivo a grandi
palme alternate a palmette rovesciate; b) motivo a fasce di can corrente e rosette; c) motivo a
cassettoni con disegno ricostruttivo (da UNGARO 2007)
ad imitare un’edicola (Fig. 73c)123.
La parete dipinta, quindi, dilatando in maniera illusionistica l’ambiente molto
esiguo rispetto alla grandezza della statua colossale, non provocava al visitatore
una sensazione di soffocamento, ma accresceva la maestosità dell’aula.
III.3.2 I frammenti della statua colossale
Sulla parete di fondo poggia un alto podio, 120 x 280 x 480 centimetri, realizzato
in blocchi di tufo di Grottaoscura come quello del tempio, che, data la sua
123
UNGARO 2007, pp. 144-151
74
continuità con il muro perimetrale e l’interruzione dello zoccolo marmoreo perimetrale in prossimità del basamento, risulta essere stato progettato ed eseguito
insieme all’aula. Delle anomalie nella lavorazione dello zoccolo, come l’aggiunta
di un filare di blocchi di tufo di misura diversa dagli altri, dimostrano come il
podio in corso d’opera sia stato ampliato124 (Fig. 74).
Fig. 74 Assonometria del podio nelle sue due fasi costruttive con le impronte dei piedi della
statua colossale (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008)
A sinistra del podio sono presenti evidenti tracce da incasso, probabilmente per un
tripode, mentre, davanti allo stesso, si trovano dei fori nel pavimento che
sembrano indicare la presenza di transenne, forse per delimitare l’area di rispetto e
di protezione per la statua. Il piano superiore del podio mostra le lastre di
rivestimento in pavonazzetto ritagliate per l’alloggiamento della statua, della
quale abbiamo le impronte dei piedi abbastanza definite. La figura è stante sul
piede sinistro avanzato mentre il piede destro è arretrato quasi a finire nel muro
retrostante.
I tre reperti attribuibili alla statua sono scolpiti in marmo pario della migliore
qualità, lichnites, seguono le schede dei reperti redatte dopo i restauri125:
‘‘N. inv. FA 181a (Fig. 75). Della mano destra si conserva la
parte centrale (cm 74 x 44), chiusa nell’atto di stringere un
oggetto cilindrico, presumibilmente metallico, sostenuto da un
124
UNGARO 2008, p. 404, n. 17
Si riportano integralmente le schede dei reperti effettuate dopo i restauri del 2002, edite in
UNGARO 2008, pp. 405-408
125
75
elemento passante tra il dito indice e il pollice. La superficie
inferiore del frammento si presenta lavorata a subbia in modo
apparentemente irregolare, come a disegnare punti di appoggio
alla struttura di sostegno. La parte destinata all’alloggiamento
dell’oggetto cilindrico mostra micro fessurazioni forse dovute al
momento del suo distacco. Sul retro si conserva il numero
‘‘103’’ apposto con vernice rossa al momento del rinvenimento
e registrato su una pianta del 1927 con allegato elenco dei
materiali da 1 a 199: il frammento è segnalato come rinvenuto
nel perimetro dell’aula.’’
| Fig. 75 Aula del Colosso: Mano destra frammentaria (fronte e retro), con relativo rilievo e ipotesi
ricostruttiva (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008).
‘‘N. inv. FA 181b (Fig. 76). Della mano sinistra si conserva il
dorso (cm 92 x 52), il cui apparato venoso è ben evidenziato. Lo
spessore del frammento è molto sottile soprattutto verso il suo
bordo esterno, mentre il trattamento della superficie inferiore
presenta una lavorazione omogenea, sempre caratterizzata
dall’impiego della subbia, e un livello diverso di risparmi del
marmo, dovuto alla necessità di garantire l’adesione al sostegno
76
della statua, evitando un possibile scivolamento dell’arto.’’
| Fig. 76 Aula del Colosso: Mano sinistra frammentaria (fronte e retro), con relativo
rilievo e ipotesi ricostruttiva (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008).
‘‘N. inv. FA 182 (Fig. 77). Il terzo frammento (ricomposto da
due pezzi principali e due minori, in totale misura cm 64 x 56), è
attribuibile al braccio, probabilmente in corrispondenza della
parte interna appena oltre il polso. La sua ricomposizione ha
permesso
di
evidenziare
sulla
superficie
superiore,
particolarmente decoesa, una sorta di incasso, ottenuto con un
lieve abbassamento della superficie stessa, come per far aderire
meglio un materiale diverso, mentre uno spazio di risulta fa
77
pensare alla posizione di un tenone. Un breve tratto marginale
dà l’idea di una torsione dell’arto, forse per ‘‘agganciare’’
meglio il suo sostegno interno (Fig. 80). La faccia inferiore del
pezzo mostra tracce di diverse lavorazioni, lisciata e a subbia
prevalentemente, sempre secondo le stesse modalità dei
frammenti.’’
| Fig. 77 Aula del Colosso: frammenti ricomposti che appartengono al polso della mano
destra, con relativo rilievo (da LA ROCCA - LEON – PARISI 2008)
Dalle schede si evince che si tratta di un acrolito di grandi dimensioni, la
ricostruzione credibile dell’altezza della statua, compatibile anche con alcune
78
impronte di probabili agganci evidenti
nella muratura, è di circa undici metri.
Le parti realizzate in marmo, almeno i
nostri frammenti, non sono ‘‘piene’’ ma
sono realizzate ‘‘cave’’, in quanto
predisposte per aderire alla struttura di
sostegno della statua probabilmente di
legno e ferro (Fig. 78).
A quelli descritti, va aggiunto un
frammento,
nel
tempo
schedato,
restaurato e poi scomparso, di cui si è
riavuta notizia grazie a Rinaldi Tufi126,
che ha ritrovato una vecchia foto del
frammento scattata durante il restauro
dello stesso: si tratta di un occhio destro | Fig. 78 Aula del Colosso: Proposta del sistema
assemblaggio del rivestimento in marmo con
dalle misure compatibili con quelle del di
l’interno in legno del braccio destro della statua
colosso, cm 16 x 20 x 21, ma solo (da LA ROCCA - LEON - PARISI 2008).
recentemente è stato appurato che il reperto è in marmo pario, avvalorando quindi
l’attribuzione in attesa di studi accurati. Sappiamo che conservava tracce di
policromia per definire la pupilla, l’iride e il contorno vero e proprio dell’occhio
(Fig. 79).
| Fig. 79 Occhio destro colossale in
marmo pario (da RINALDI TUFI
2002).
RINALDI TUFI 2002, pp.186-188: l’autore si spinge oltre la descrizione del frammento,
ipotizzando l’identificazione del frammento, e quindi del colosso stesso, con il Divus Iulius.
126
79
III.3.3 L’identificazione e la rappresentazione del Genius Augusti
La possibile identificazione del colosso, seguendo l’ipotesi avanzata dal La
Rocca127, esclude la presenza nell’Aula di un Augusto divinizzato, dato che il
princeps ebbe la consecratio solo post mortem, a favore di una rappresentazione
colossale del genius Augusti128, il cui culto era anteriore al 2 a.C.. Infatti nel 12
a.C. Augusto riceve il titolo di pontifex maximus e inizia a diffondersi la sua
raffigurazione in vesti di sacerdote con il capo velato.
Augusto tra il 12 e il 7 a.C., nell’ambito della riforma dei vici compitales, istituì il
culto pubblico del proprio genius, estendendo a livello statale il modello familista
del culto domestico. I lares compitales furono dunque sostituiti, o almeno
affiancati, dai lares Augusti, in cui trovò degno rilievo il genio dell’imperatore, il
genius Augusti, mentre il senato prescrisse che i cittadini sacrificassero anche
privatamente, nella loro casa, al genio dell’imperatore. Il Genio, così come nella
definizione di Orazio129, è il dio della natura umana, diverso per ciascuno
individuo, come è diverso il carattere e il destino di ognuno, l’astro che governa la
nascita di ciascun uomo, che lo accompagna lungo il percorso della vita,
prendendo le forme di un dio da cui l’uomo stesso trae la sua energia vitale.
La creazione del culto del Genius, che giocò un ruolo fondamentale per il sorgere
e diffondersi del culto imperiale, era necessaria in quanto costituiva una base
solida sulla quale costruire la successiva divinizzazione: il princeps, a cui verrà
attribuito il nome di Augustus, si fa testimone, con il proprio genius, di un’attività
conforme alla volontà e all’azione divina. Sostanzialmente, non rispecchia la
volontà di essere venerato come un dio in terra, ma rapporta le sua azione ad una
sfera di influenza divina.
Per quanto concerne la raffigurazione del Genius Augusti, in questa fase è
testimoniata nelle edicole dipinte in ambito domestico o territoriale, dove appare
raffigurato velato capite con i suoi attributi da officiante, la patera, la cornucopia,
l’acerra, sempre tra i due Lari, oppure nel caso delle statuette dei geni ‘‘privati’’
127
LA ROCCA-UNGARO-MENEGHINI 1995, p. 85-88
FUCHS 1960, s.v. Genio
129
HOR., Ep., II, 2, 187-189: « scit Genius, natale comes qui temperat astrum, / naturae deus
humanae, mortalis in unum / quodque caput, vultu mutabilis, albus et alter. »
128
80
con il rotolo e la patera130. Diversa la sua raffigurazione su alcuni altari dove
compare sempre in abiti da officiante accompagnato dai Lari, ma con il lituus
nella mano destra, in particolare nell’altare del vicus Sandalarius, che ha come
modello l’Augusto di via Labicana. Sia la statua dei Musei Vaticani sia quella del
Museo Nazionale Romano attestano la diffusione della figura ieratica in toga
praetexta e capite velato, che allude al recupero degli antichi costumi morali da
parte del princeps, come esempio chiaro ed efficace per tutto l’Impero.
I pochi resti marmorei e le tracce sul podio potrebbero riferirsi a questa
rappresentazione del genius Augusti in toga, capite velato, lituus nella destra e
forte patera o, più difficilmente, cornucopia nella sinista (Fig. 80).
| Fig. 80 Ricostruzione acquerellata dell’Aula del Colosso (da LA ROCCA - LEON – PARISI (2008)
Un ulteriore elemento che può essere in relazione con il culto del Genius Augusti
è un fregio con fanciulle che recano festoni carichi di frutti. In diverse fasi di
studio sul complesso sono stati individuati 13 frammenti, la cui ricomposizione
viene comunemente riferita ad uno schema a tre figure, due speculari di profilo
130
UNGARO 2008, pp. 410-414
81
che si rivolgono ad una centrale frontale, unite da festoni. La varietà dei frutti
potrebbe riferirsi alla partecipazione alle cerimonie in onore dei Lari e del genius
Augusti, durante le quali era prevista una processione di giovanette.131
Augusto, con la scelta di collocare qui la statua colossale del suo genius, non
aspira ad essere venerato come un dio ma vuole essere considerato come custode
dell’impero romano e guida del mondo intero, mediatore, agli occhi del popolo,
tra la sfera divina e quella umana, fautore di un’era di pace e sicurezza di cui egli
stesso, Pater Patriae, ne sarà il garante.
III.4 La Lex Templi del tempio di Marte Ultore e le funzioni del Foro di
Augusto
« […] Che potessero colà recarsi egli ed i suoi posteri
ogni qual volta loro piacesse, e quelli ancora che usciti fossero
dalla puerizia e tra i puberi annoverati.
Che di là partissero coloro, che alle magistrature al di fuori si spedivano.
Che il Senato ancora proferisse colà i decreti del trionfo.
Che loro poi i quali trionfassero, a questo Marte
lo scettro e la corona dedicherebbero.
Che ad essi ed agli altri tutti i quali ottenuti avessero i trionfali onori, erigere si
dovessero statue di bronzo nel Foro.
E che qualora riportate si fossero insegne militari tolte ai nimici,
queste deporre si dovessero nel tempio.
Che celebrare parimenti si dovessero presso le gradinate di quel tempio alcuni
giuochi pubblici da coloro che in qualunque tempo preposti fossero alle turme.
Che infiggere vi si dovesse il chiodo da coloro
che dall’uffizio di censore uscivano.
Che lecito fosse anche ai senatori il redimere la somministrazione dei cavalli che
gareggiare dovevano nel corso, e la custodia del tempio, siccome stabilito era di
già riguardo ai templi di Apollo e di Giove Capitolino.
Dopo tutto questo Augusto il tempio stesso dedicò […] »
Historia Romana, 55, 10, 2-5, traduzione di G. Viviani, Milano, 1823
La Lex Templi e le funzioni ivi enunciate sono state oggetto di studio da parte di
Marianne Bonneford132 che, analizzando due brani di Svetonio133 e Cassio
131
RIPARI 1995, p. 70
BONNEFORD 1987
133
SUET., Aug., 29, 2: ‘‘Sanxit ergo ut de bellis triumphisque hic consuleretur senatus provincias
cum imperio petituri hinc deducerentur, quique victore redissent huc insignia triumphorum
inferrent.’’
132
82
Dione134, ha riconsiderato il Foro di Augusto non solo come un complesso il cui
compito è trasmettere un messaggio di maestosità architettonica e iconografica,
simbolo della potenza di Roma, ma anche come un nuovo spazio civico la cui
vocazione è definita dal compimento di atti e riti che si possono suddividere in
due categorie: quella della guerra vittoriosa e quella della coesione dei corpi
sociali.
III.4.1 Le funzioni legate alla guerra
In primis viene stabilito che le sedute del Senato se relative alle guerre e ai trionfi
si dovevano tenere nel Tempio di Marte Ultore, mentre prima di allora si
riunivano principalmente sul colle Capitolino; a seguire viene deciso che la
cerimonia trionfale per coloro che, rivestiti dall’imperium, lasciavano Roma per le
loro province, da sempre riservata al Tempio di Iuppiter Capitolinus,
raddoppiasse, imponendo ai generali che partivano di pronunciare i loro voti sia
sul Campidoglio che al Tempio di Marte Ultore, facendo di questo l’ultima tappa
prima della partenza; sempre riguardo ai trionfatori si stabilisce che essi, una volta
terminata la cerimonia trionfale e come una sorta di dono personale, deponessero
nel Tempio di Marte Ultore le insignia triumphorum, una maniera per mettere in
maggior risalto Mars Ultor grazie al quale si era conseguita la vittoria.
Considerando poi che, a partire dall’età di Augusto, i soli generali onorati dal
Trionfo fanno parte della famiglia imperiale, abbiamo un ulteriore esempio del
carattere dinastico del nuovo principato già espresso nell’esedra della Gens Iulia.
L’ultima disposizione della Lex Templi relativa alla celebrazione della guerra
vittoriosa prevede di erigere nel foro di Augusto le statue dei trionfatori e di
coloro che avrebbero ricevuto il trionfo, queste statue andranno ad aggiungersi a
quelle già presenti dei summi viri della Repubblica. Anche in questo contesto il
Foro di Augusto viene a contrapporsi all’area Capitolina che, come ben sappiamo
dalle fonti, in epoca repubblicana era popolata da statue erette dai membri della
nobilitas per ricordare i loro gloriosi antenati, statue che Augusto fece trasportare
nel Campo Marzio, a dir di Svetonio per la ristrettezza dei luoghi in cui erano
collocate. Non sembra difficile individuare un’ulteriore motivazione: il desiderio
di fare del Foro il solo spazio al centro della città destinato all’esaltazione dei
grandi uomini del passato e, creando questo monopolio, diminuire il valore
134
CASS. DIO., Hist. Rom., 55, 10,2-5
83
simbolico e l’importanza politica del Mons Capitolinus.
Un articolo della Lex, menzionato solamente da Cassio Dione, prevede che le
insegne recuperate ai nemici saranno poste nel tempio; questa disposizione, che ha
in sé la motivazione della costruzione del Tempio, ovvero il recupero delle
insegne restituite dai Parti, diventa una funzione permanente del nuovo luogo di
culto. La volontà anche in quest’ultimo caso è chiara: affiancare Iuppiter
Capitolino nelle sue funzioni destinate ad esaltare la guerra vittoriosa, come il far
stabilire gli accordi di pace ai principi stranieri nel tempio di Marte Ultore, così da
far divenire Marte garante dei trattati e conferirgli uno degli attributi che
dall’origine della città era proprio di Iuppiter, trasferendo un rito che esprime
l’invincibilità di Roma nel nuovo Foro.
III.4.2 Le altre funzioni del tempio
Dal passo di Cassio Dione possiamo analizzare anche le altre funzioni del Tempio
che permettono di ampliare il ruolo dell’edificio oltre le vicende di guerra,
attribuendogli compiti inerenti alla vita cittadina di tutti i giorni.
La prima regola riguarda ‘‘quelli che lasciano il gruppo dei bambini’’, possiamo
comprendere come si tratti di tutti i figli dei cittadini senza distinzioni che, quando
avranno raggiunto l’età, dovranno, in foro deducere, recarsi nel Foro di Augusto e
prendere possesso della toga virile simbolo dell’introduzione come nuovo
cittadino negli affari della res publica. Nuovamente una cerimonia fino ad allora
inalterata viene modificata da queste disposizione augustee infatti, prima della
inauguratio del tempio di Marte Ultore, essa aveva un doppio carattere, privato,
dove la bulla e la praetexta venivano consacrati ai Lares, e una pubblica, dove il
giovane doveva recarsi sul Campidoglio per effettuare un sacrificio in onore di
Iuventas e poi veniva condotto al foro dove era immerso immediatamente nella
vita civica. Senza che il colle Capitolino sia privato della sua funzione
antecedente, il passaggio del giovane nel tempio di Marte entra a far parte della
cerimonia, elevando l’edificio augusteo al medesimo livello del tempio di Giove
Ottimo Massimo e creando un altro centro non solamente dedicato alle attività
della guerra ma più largamente alla vita civica, incominciando proprio dal primo
vero rito necessario per diventare un cittadino di Roma.
Un altro rito stabilito dalla Lex Templi, che richiama evidentemente quello del
clavus annalis del tempio di Giove capitolino, tratta dell'affissione di un chiodo da
84
parte da parte dei censori al termine del loro mandato. Augusto riprende e
trasferisce al tempio di Marte Ultore un rito che rappresenta la chiusura di un
lustum,durata della carica dei censori: un lustro durante il quale la comunità vive
secondo la ripartizione effettuata dai loro censori che quindi contrassegnano la
vita civile e allo stesso tempo "santificano" la loro carica appellandosi alla
protezione di Marte. Considerando anche che con Augusto il census diventa
monopolio dell'imperatore, quindi l'affissione del chiodo è un atto ad esclusivo
appannaggio dell’imperatore, si comprende come la comunità civica sia
virtualmente nelle mani del principe. Il rito del chiodo celebra un compimento del
census e stabilisce un legame triangolare tra Mars Ultor, l'imperatore e il populus,
dove Iuppiter non rientra.
Ogni cittadino quindi doveva intrattenere con Marte Ultore un doppio rapporto,
individuale quando deponeva la toga praetexta e collettivo quando il censore gli
assegnava un posto nella gerarchia cittadina. Su questo aspetto insistono le altre
disposizioni della lex templi: esse cercano di stabilire una relazione tra il tempio e
una parte del corpo civile, quindi gli ordini superiori.
Dapprima i cavalieri: «Che i comandanti della cavalleria in carica celebrino una
festa davanti le gradinate (del tempio)», probabilmente da riferirsi alla
processione dei Ludi Martiales o dei Ludi Sevirales che inizialmente terminavano
sul Campidoglio, mentre ora si arricchiscono di una nuova stazione nel Foro di
Augusto.
L'ultimo articolo, che riguarda l'ordine senatoriale, accorda ai senatori il diritto di
prendere parte alle aste "per la fornitura dei cavalli delle corse", che si svolgeva
durante i Ludes Martiales e ‘‘per la guardia del tempio’’. Casso Dione precisa che
questa proroga accordata ai senatori, normalmente esclusi dalle aste pubbliche,
riguardava anche le aste per la guardia del tempo di Apollo e del Campidoglio,
sottolineando quindi l'importanza anche di Apollo nel cui tempio sul Palatino,
infatti, furono trasferiti già nel 29 a.C. i libri sibillini fino a quel momento
conservati nel Capitolium.
85
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